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MEDIA E BAMBINI : UNA SFIDA PER L’EDUCAZIONE
di Sergio Spini
Questo articolo prende lo spunto da due importanti documenti ecclesiali: il Messaggio pubblicato il 24 gennaio 2007 da Benedetto XVI col titolo “I bambini e i mezzi di comunicazione sociale: una sfida per l’educazione” e la “Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia” del 28 marzo 2007.
I due documenti sono correlati, sia per la forte incidenza dei mass-media nella maturazione psicofisica delle nuove generazioni, sia per i rischi derivanti alla famiglia dai modelli di una cultura libertaria ed edonistica, veicolati in misura massiccia e con modalità pervasive dagli attuali strumenti della comunicazione sociale.
Nel Messaggio del Papa si legge: “Le complesse sfide che l’educazione contemporanea deve affrontare sono spesso collegate alla diffusa influenza dei media nel nostro mondo…In verità, vi è chi afferma che l’influenza formativa dei media è in competizione con quella della scuola, della Chiesa e, forse, addirittura con quella della famiglia…Il rapporto tra bambini, media ed educazione può essere considerato da due prospettive: la formazione dei bambini da parte dei media e la formazione dei bambini, per rispondere in modo appropriato ai media…Educare i bambini ad essere selettivi nell’uso dei media è responsabilità della famiglia, della Chiesa e della scuola. Il ruolo dei genitori è di primaria importanza.”
Dal documento dei nostri Vescovi cito questo passo: “Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e da una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno di fedeltà che essa porta con sé: impegno di fedeltà tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.”
Il rapporto che esiste tra i mass-media e la famiglia è ambivalente: comporta soprattutto un “rischio”, ma può e deve anche essere una “ricchezza”.Il rischio presenta due principali aspetti: il depotenziamento della natura e delle funzioni che sono tipiche della famiglia; la carenza o le distorsioni della basilare attività educativa propria dei genitori. Anche nella ricchezza si può evidenziare una duplice dimensione: il contributo che i media offrono alla famiglia perchè essa sia sempre più autentica comunità caratterizzata dall’amore; le opportunità da essi proposte per l’integrale e armonica educazione dei singoli membri e del “gruppo domestico” considerato nella sua totalità.
La famiglia
La famiglia si fonda non sul fatto di stare abitualmente “accanto” agli altri, ma sul desiderio e sulla gioia di “vivere insieme”, sulla crescente capacità di collaborare amorevolmente. Essa è un “gruppo”, vale a dire una “realtà psicologica”, i cui fondamenti sono la mutua integrazione dei soggetti che ne fanno parte e le interazioni tra i vari membri.
La famiglia costituisce il momento del passaggio dalla natura alla cultura, senza cui non esiste una società propriamente umana; la famiglia è il punto di intersezione tra pubblico e privato, necessario per una differenziazione non anonima e non alienante della vita sociale. La famiglia non è una semplice somma di persone, è una pluralità qualitativamente nuova, è uno specifico soggetto sociale, titolare di diritti e di doveri analoghi a quelli dei singoli individui: diritti che sono da tutelare, doveri che sono da compiere.
Gli articoli 29, 30 e 31 della nostra Costituzione sono a questo proposito di una chiarezza esemplare. “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio…E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli…La Repubblica
agevola la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi…Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù.”
Il Concilio Vaticano II ha definito la famiglia “una comunità di vita e di amore”; Giovanni Paolo II nella “Lettera alle famiglie” del 1999, dopo aver connotato il “focolare domestico” come “il centro e il cuore della civiltà dell’amore”, ha nettamente contrapposto l’amore “dono” alla mentalità individualistica, all’attrazione sessuale mutevole ed egoistica. “L’amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri. Soltanto chi, nel nome dell’amore, sa essere esigente con se stesso, può anche esigere l’amore degli altri. Perché l’amore è esigente…Contrario alla civiltà dell’amore è il cosiddetto ‘libero amore’, tanto più pericoloso perché proposto come frutto di un sentimento ‘vero’, mentre di fatto distrugge l’amore. Quante famiglie sono andate in rovina proprio per il ‘libero amore’!”
I vari media contribuiscono a rendere sempre più la famiglia una “comunità di vita”, oppure isolano i suoi membri l’uno dall’altro, fino a contrapporli? Il padre totalmente immerso nella lettura del giornale che trascura il dialogo col suo bambino, la madre affascinata da un serial televisivo, i figli isolati nella cameretta davanti al televisore o al computer individuale, i giornali radio e i telegiornali che di fatto impediscono la conversazione durante i pasti, sono semplici ma purtroppo frequenti esempi di un uso distorto dei media, che porta alla frammentazione della vita domestica.
La “comunità di amore” non esiste quando vi è una fruizione individualistica dei diversi media,
quando essi trasmettono senza limiti scene e vicende di sessualità priva di autentico amore, quando propongono l’infedeltà tra coniugi come costume inevitabile o addirittura come modello esemplare. Come si denuncia nel Messaggio papale del 2004, “la famiglia e la vita familiare troppo spesso vengono rappresentate in modo inadeguato dai mezzi di comunicazione sociale. L’infedeltà, l’attività sessuale al di fuori del matrimonio e l’assenza di una visione morale e spirituale del contratto matrimoniale vengono ritratti in modo acritico, sostenendo, talvolta, al tempo stesso il divorzio, la contraccezione, l’aborto e l’omosessualità. Queste rappresentazioni, promovendo cause nemiche del matrimonio e della famiglia, sono dannose al bene comune della società.”
Attenti osservatori delle persone che hanno dirette responsabilità nella produzione e nella scelta dei contenuti, da pubblicare sulla carta stampata o da trasmettere sul grande e sul piccolo schermo, hanno giustamente osservato che molte di esse sono per così dire “senza famiglia”, per libera scelta; ne sono fieri, esaltano la propria situazione di vita e di relazioni affettive, facendosi in tal modo propagandisti di edonismo, di libertarismo, di scetticismo. Cito un esempio significativo e recente. Il 12 maggio 2007, il giorno del “Family daj” che ha visto più di un milione di persone confluire a Roma in una serena testimonianza a favore della famiglia autentica, il quotidiano “Il Manifesto” pubblicava in prima pagina una vignetta oltraggiosa che rappresentava due giovani che si abbracciavano, con la scritta “O il Papa o l’amore”.
Il quadro prevalentemente negativo degli attuali rapporti tra la famiglia e i media non esclude affatto la possibilità e il dovere che essi hanno di offrire positivi contributi a questo fondamentale gruppo umano. Lo rileva anche il messaggio papale del 2004. Oggi le famiglie “godono di opportunità pressoché illimitate di informazione, di educazione, di arricchimento culturale e perfino di crescita spirituale, opportunità molto superiori a quelle che la maggior parte delle famiglie aveva in passato.”
I periodici, i quotidiani, i giornali radio, gli stessi telegiornali (quando non cadono nella spettacolarizzazione e nella banalizzazione ), forniscono moltissime informazioni, anche in “tempo reale”. E’ certamente difficile scegliere in questa enorme massa di notizie quelle essenziali, oggettive, imparziali, ma gli stessi genitori possono fare da “vaglio critico” di fronte ad essa. Un lodevole modello per loro da alcuni anni si trova in un inserto di “Avvenire”, “Popotus”, che il giovedì e il sabato introduce con sapiente gradualità i ragazzi alla lettura dei quotidiani.
I documentari geografici, storici, scientifici e artistici non mancano affatto nella programmazione dei media, inclusa la TV, ma sovente essi vengono purtroppo trasmessi in tarda serata. In attesa di orari più…ragionevoli, con le tecniche attuali è possibile registrarli e fruirne poi insieme, con vantaggio di tutti i membri della famiglia.
Anche la “crescita spirituale” può essere alimentata dai media, a cominciare dai periodici e quotidiani cattolici, dalle nostre reti radio e televisive ( Radio A – Sat 2000 – Telepace ). Pure nella programmazione della Rai e di Mediaset vi sono abituali e significativi “momenti religiosi”: le
Messe festive, l’Angelus domenicale del Papa, le rubriche “A sua immagine” e “Le frontiere dello spirito”. Vi sono poi i grandi eventi religiosi che i media hanno fatto e fanno conoscere a tutto il
mondo: il Giubileo del 2000, le Giornate mondiali della gioventù, i funerali di Giovanni Paolo II, l’elezione di Benedetto XVI e il suo recentissimo incontro coi bambini.
A questo punto è tuttavia doveroso un serio interrogativo: le famiglie, a cominciare da quelle praticanti, conoscono e valorizzano queste e analoghe risorse per la crescita spirituale? La risposta in molti casi è deludente: si demonizza, magari soltanto a parole, la TV, ma poi praticamente non si fruisce della sua innegabile “ricchezza”.
I bambini
La statunitense Aimeée Dorr, nel libro “Televisione e bambini”, opportunamente ci ricorda che i minori “si configurano come pubblico speciale, dotato di un grado incompleto di comprensione del mondo. I bambini non sono un gruppo monolitico e indifferenziato, né sono del tutto diversi dai telespettatori adulti”.
Tra i mass-media i giovanissimi privilegiano ancora la televisione, ne fanno un uso spesso eccessivo, per molteplici motivi. Essi si sentono attratti dalle immagini, specialmente se sono mobili e colorate; di fronte ai segni iconici hanno l’impressione di capirne totalmente il significato, senza apparente fatica, mentre sovente stentano a decodificare un messaggio verbale, soprattutto se è stampato; la piena disponibilità di uno o più apparecchi e del telecomando rende agevole l’uso della TV, mentre la pluralità dei canali e le molte ore di trasmissione consentono una larga possibilità di scelta; la mancanza di fratelli e l’assenza di coetanei, il lavoro extradomestico dei genitori, la difficoltà di divertirsi all’aperto inducono a trovare nella televisione un “surrogato” comodo e gratificante.
I motivi della fruizione assidua del piccolo schermo, spesso al limite della passione e della “dipendenza”, sono da ricercare anche nei genitori. Essi cercano nella TV un aiuto nel gravoso compito della cura dei figli, la considerano un innocuo passatempo o un comodo “tranquillante”, un mezzo per prevenire i litigi frequenti nei giochi di gruppo oppure per premiare o per punire.
Il concetto di teledipendenza include sia l’attaccamento morboso al più importante dei media, sia la passività dello spettatore nei confronti dei suoi programmi. E’ bene precisare che il bambino non si può completamente paragonare ad una lastra fotografica o ad un nastro magnetico, ma è un soggetto capace di reagire ai messaggi, di “costruirne” in qualche modo e misura il significato. I piccoli sono curiosi, desiderano vivamente apprendere, pongono agli adulti mille domande, quindi si avvicinano alla TV anche per imparare cose nuove. Mentre i genitori e gli insegnanti sono di norma disponibili a completare immediatamente le proprie spiegazioni e a correggere gli eventuali errori di interpretazione di chi li ascolta, la TV trasmette notizie in modo unidirezionale, quasi sempre si rivolge ad un pubblico indifferenziato.
I bambini, poiché hanno una conoscenza molto limitata del mondo fisico e sociale, spesso non capiscono o fraintendono il contenuto di un programma, accettano per vero ciò che è falso o quantomeno discutibile, oppure non sono in grado di comprendere i reali motivi e scopi di una determinata trasmissione. Se i genitori si rendessero conto di questo fatto, la “solitudine televisiva” dei figli si ridurrebbe in misura significativa e l’educazione familiare sarebbe più efficace.
Poiché le fasi dell’età evolutiva si differenziano tra di loro, il modo di fruire della TV cambia col passare degli anni. “I bambini di età prescolare – rileva A. Dorr – tendono a ignorare la continuità della trama e del contenuto e hanno invece la tendenza a concentrare l’attenzione su avvenimenti isolati, per loro interessanti. Intorno ai sette anni preferiscono i programmi con una trama unica rispetto a quelli a puntate. Durante l’infanzia si verificano cambiamenti anche nelle idee dei bambini sulla realtà del contenuto dei programmi televisivi. I bambini in età prescolare tendono a considerarlo completamente reale, perché appare simile alla vita reale. Ad un certo punto la maggior parte di essi capisce che i programmi dei cartoni animati e delle marionette non sono reali. Intorno ai sette-otto anni capiscono che anche i programmi che presentano persone in carne e ossa non sono necessariamente spezzoni della vita reale.”
Istruttivo, a questo proposito, è l’episodio autobiografico descritto e spiegato dalla Dorr. “Parecchi spettatori molto giovani credono che dentro la scena ci siano realmente dei bambini, che un
personaggio televisivo possa effettivamente vederli, o che quanto appare nello schermo stia accadendo proprio in quel modo nella vita reale. Quando aveva tre anni, il mio figlio maggiore
disse:’ Mamma, guarda. Mamma, mamma! Guarda questo!’ a una mia intervista televisiva ripresa in diretta, che suo padre stava guardando, e andò via disgustato quando io non gli risposi.”
Circa l’influenza della TV sui ragazzi non vi è totale accordo fra gli esperti. Vi è chi la demonizza e chi la ritiene irrilevante, ma prevalgono i giudizi negativi sull’uso e soprattutto sull’abuso del piccolo schermo. La TV induce ad estraniarsi dall’ambiente locale, può compromettere l’unità della vita familiare, rende incerti i confini fra la realtà e la produzione fantastica, limita seriamente i giochi spontanei, favorisce l’atteggiamento passivo, frena lo sviluppo delle capacità di concentrazione e di perseveranza, spesso propone modelli discutibili di condotta, è una della cause principali della povertà linguistica giustamente lamentata dagli insegnanti.
A questo proposito, scrive il filosofo Pietro Prini:”Tendiamo a non vedere più nulla come è naturalmente, ma come lo confeziona e lo maschera la sua immagine, alla maniera di un paesaggio nei ‘dépliants’ delle agenzie turistiche. L’esito alienante della cultura iconica che invade spazi sempre più vasti delle nostre giornate - e in particolare quelli delle nuovissime generazioni - è o può essere quello di trasformare il nostro ‘essere al mondo’ in un ludico ‘essere allo spettacolo’, senza criteri di giudizio né scelte di valori. In un’epoca così perdutamente alienata nel mondo delle immagini come è la nostra, uno dei problemi più urgenti è l’educazione al gusto della realtà.”
I bambini sono attratti dalla pubblicità televisiva per molteplici motivi: la brevità spazio-temporale dei messaggi, la semplicità e familiarità delle situazioni, la chiarezza e suggestione delle proposte, la stessa ripetitività dei contenuti. Mentre per gli adulti maturi ed equilibrati la pubblicità è solo una serie di proposte, spesso petulanti, per i minori – impulsivi, bramosi del “tutto e subito” – essa diventa una specie di imperativo, di promessa infallibile. Se i genitori non cedono alle richieste ingiustificate del figlio, questi protesta, si ribella; se invece normalmente ottiene ciò che pretende, diventa incontentabile, si avvia sulla strada del consumismo e del conformismo.
Paolo Landi, esperto di pubblicità, ma anche consapevole dei rischi che essa comporta nello sviluppo infantile, afferma: “I bambini non hanno bisogno della pubblicità, casomai è la pubblicità che ha bisogno di loro, a tal punto da farli diventare protagonisti perché creano emozioni che inducono a comperare. La vita di un minore non c’entra nulla con la vita delle merci, col valore del denaro che invece si insegna insulsamente a chi ha tre anni di età. Ho l’impressione che oggi le giovani generazioni restino davvero schiave del consumo tecnologico televisivo. C’è, in altri termini, una forma coatta, compulsiva di consumare le cose, che poi porta a consumare la vita, invece che a viverla. Per difendere i minori dalle insidie della pubblicità basta tenerli lontani da essa e perciò spegnere la TV.”
Meno drastica è la posizione di un altro esperto di pubblicità, Adriano Zanacchi. “L’impatto della comunicazione pubblicitaria non è mai assoluto, incondizionato, ma può trovare dei contrappesi nel vario intreccio delle dinamiche familiari e sociali che sono potenzialmente in grado, se non di eliminare, almeno di ridurne gli effetti negativi. Questa possibilità è strettamente connessa con la capacità dei genitori di esercitare la loro irrinunciabile funzione educativa, in parallelo con quella di competenza delle varie istituzioni educative e scolastiche, certamente in grado di agire sul dosaggio nella quantità di esposizione, sulle scelte, sulla creazione di un ascolto critico e valutativo.”
Sempre più anticipato e diffuso è l’incontro dei bambini col computer. La sua straordinaria utilità negli ambiti produttivi, nelle organizzazioni sociali e nelle stesse famiglie è incontestabile. Proprio per questo motivo se ne insegna l’uso già dalla scuola elementare e in non poche scuole materne. Per i minori logicamente il computer è un mezzo per divertirsi, per accedere ai video-giochi. A questo punto è utile confrontare il parere di due esperti statunitensi.
Patricia Greenfield scrive: “I video-giochi sviluppano la capacità del pensiero in parallelo e la velocità di reazione, ma tendono a disattivare la riflessione. Il vero pericolo sta tuttavia nella grande varietà e forza di attrazione dei video-giochi. Una familiarità eccessiva col loro mondo fantastico può produrre insofferenza e incapacità a sopportare l’intricato mondo della vita reale.” Ben diverse, e a mio parere inaccettabili, sono le affermazioni compiaciute di Seymour Papert: “I bambini si
trovano più a loro agio con le macchine che coi genitori e gli insegnanti…Facoltà tipica del computer è di tenere incatenato l’utente per notti intere…I bambini si innamorano pazzamente del
computer…I bambini che crescono con l’opportunità di utilizzare al massimo il PC avranno meno voglia di dedicarsi a qualcosa che assomigli, anche vagamente, all’istruzione elementare così come noi l’abbiamo conosciuta.”
Il fatto che negli Stati Uniti pochissime scuole abbiano condiviso l’esaltazione del PC come sussidio didattico per eccellenza, e che nella stragrande maggioranza delle scuole americane si insegni a utilizzare il computer come strumento di lavoro, non può non indurre a considerare il PC come “uno” dei mezzi di apprendimento, non certamente sostitutivo della lingua parlata e scritta, del rapporto diretto con la realtà, del libro, del gioco, della complessa trama dei rapporti interpersonali che caratterizza la scuola, anche quella metodologicamente avanzata.
Una sfida per l’educazione
L’educazione è il risultato di fattori soggettivi (patrimonio genetico, temperamento e impegno individuale) e di influssi ambientali. Dai primi dipendono soprattutto lo sviluppo fisico, le capacità sensoriali; dai secondi sono fortemente condizionati il linguaggio verbale, il pensiero, la condotta. L’ambiente, cioè la realtà in cui si è immersi e si matura, si può distinguere sotto il profilo pedagogico in “sfere educative” (famiglia, scuola, parrocchia, associazioni formative, circoli culturali) e in “sfere extraeducative” (vicinato, tradizioni locali, spazi pubblici di divertimento, media vari, in particolare la TV). Teoricamente dovrebbe prevalere l’influsso delle sfere educative, ma di fatto molto spesso sono più incisive quelle extraeducative .
Educare i minori all’uso critico dei mass-media è compito primario della famiglia. In passato i genitori erano spesso autoritari, eccedevano in divieti e imposizioni; oggi, in nome della libertà, quasi sempre concedono tutto ai figli, compreso l’uso indiscriminato della TV, del computer, di Internet.
L’autorità dei genitori, rettamente intesa, è una guida, un aiuto: è la manifestazione concreta di un amore intelligente. Essi hanno il diritto-dovere di prescrivere e di proibire, ma soltanto secondo quei criteri di razionalità e di equilibrio che possono trovare riscontro nella coscienza morale che si va lentamente formando nei figli. La vera autorità libera il minore dall’impulsività, dall’incoerenza, dal conformismo, dalla teledipendenza; quindi genera la libertà morale, intesa come adesione interiore ai valori universali, come padronanza abituale di sé, come indipendenza dai condizionamenti socio-culturali.
Illuminanti e preziose sono , a questo proposito, le parole di Benedetto XVI nel suo Messaggio del 2007. “Come l’educazione in generale, quella ai media richiede formazione all’uso della libertà. Si tratta di una responsabilità impegnativa. Troppo spesso la libertà è presentata come un’instancabile ricerca del piacere o di nuove esperienze. Questa è una condanna, non una liberazione! La vera libertà non condannerebbe mai un individuo – soprattutto un bambino – all’insaziabile ricerca della novità. Alla luce della verità, l’autentica libertà viene sperimentata come una risposta definitiva al ‘sì’ di Dio all’umanità, chiamandoci a scegliere, non indiscriminatamente ma deliberatamente, tutto quello che è buono, vero e bello. I genitori sono i guardiani di questa libertà e, dando gradualmente una maggiore libertà ai loro bambini, li introducono alla profonda gioia della vita.”
Ciò che forma il minore nella famiglia non è tanto l’insegnamento verbale, quanto piuttosto l’atmosfera che vi si respira, la presenza e il comportamento dei genitori, dei fratelli, dei nonni. L’azione indiretta ma costante della vita domestica regola gli impulsi dei figli e ne educa la personalità in modo armonico e integrale, se la famiglia è saldamente strutturata e moralmente sana; viceversa, quando essa è disunita e carente sotto il profilo etico-sociale, i minori crescono emotivamente instabili, incapaci di acquisire un forte carattere e di inserirsi costruttivamente nella società.
Il concetto “positivo” di libertà proposto dal Papa nelle parole sopra citate si collega chiaramente ad un altro passo del Messaggio. “L’educazione ai media dovrebbe essere positiva. Ponendo i bambini di fronte a quello che è esteticamente e moralmente eccellente, essi vengono aiutati a sviluppare la propria opinione, la prudenza e la capacità di discernimento. E’ qui importante riconoscere il valore fondamentale dell’esempio dei genitori e i vantaggi nell’introdurre i giovani ai classici della
letteratura infantile, alle belle arti e alla musica nobile…La bellezza, quasi specchio del divino, ispira e vivifica i cuori e le menti, mentre la bruttezza e la volgarità hanno un impatto deprimente
sugli atteggiamenti ed i comportamenti.” Detto in breve: il migliore antidoto alla “TV spazzatura” è l’incontro assiduo, suggerito e guidato, col bene, col vero e col bello.
Come in precedenza ho ricordato, purtroppo le sfere extraeducative spesso incidono di più, e negativamente, che le sfere educative. Anziché rapporti di confronto e di integrazione fra di esse, vi
sono concorrenza e scontro, a danno soprattutto di chi è in età evolutiva. La “sfida per l’educazione” riguarda dunque in larga misura anche i mass-media. Lo afferma chiaramente Benedetto XVI: “Questo desiderio profondamente sentito di genitori ed insegnanti di educare i bambini nella via della bellezza, della verità e della bontà può essere sostenuto dall’industria dei media solo nella misura in cui promuove la dignità fondamentale dell’essere umano, il vero valore del matrimonio e della vita familiare, le conquiste positive ed i traguardi dell’umanità…Ogni tendenza a produrre programmi – compresi film di animazione e video-games – che in nome del divertimento esaltano la violenza, riflettono comportamenti antisociali o volgarizzano la sessualità umana, è perversione, ancor di più quando questi programmi sono rivolti a bambini e adolescenti.”
Il termine “perversione” è severo, ma purtroppo coglie nel segno, come ben sa chi ha dimestichezza coi mass-media.
Alcuni suggerimenti pratici
Poichè il “prevenire” dà migliori frutti che il “reprimere”, i genitori (e i nonni, se ci sono e accettano di essere coinvolti) debbono permettere, favorire e proporre quelle attività che siano
alternative all’abuso della TV: giochi di vario tipo, ampia fruizione di materiali e di spazi ludici, dialoghi e conversazioni, disegni e costruzioni, disbrigo in comune delle faccende domestiche, relazioni assidue con altre famiglie (di amici, di parenti, di vicini di casa).
“L’abuso – secondo una vecchia massima – non esclude l’uso.” Ciò vale logicamente anche per la televisione. Non si tratta di eliminarla totalmente dalla vita individuale e familiare, ma di fruirne nei modi e nei tempi più adatti al temperamento e all’età del soggetto, alle situazioni, alle circostanze. Porre dei limiti all’uso della TV significa adottare delle regole, preferibilmente “proposte”, ma anche “imposte”, qualora sia necessario. La prima e più efficace regola è quella del buon esempio dei genitori. Se essi non antepongono la TV al dialogo e alle relazioni intrafamiliari, se non si lasciano suggestionare dalla “fiction” e dalla pubblicità, se dimostrano capacità critica di fronte a tutti i messaggi del piccolo schermo, insegnano praticamente ai figli una basilare verità: è possibile e bello non diventare teledipendenti.
Una seconda importante regola si può formulare in questi termini: il televisore è uno strumento, non il padrone di casa. Quindi di norma lo si lascia spento o lo si spegne durante i pasti (per consentire la conversazione), al mattino dei giorni di scuola (per non impedire lo svolgimento ordinato delle tradizionali attività di inizio della giornata), nelle ore pomeridiane da dedicare allo studio, nel…momento critico in cui si deve “togliere la spina” per un tempestivo e adeguato riposo notturno.
Se il televisore è uno strumento da usare con misura e intelligenza, è opportuno che i genitori (e/o i nonni) conoscano in anticipo i principali programmi delle varie reti, facciano una selezione oculata dei contenuti di cui permettere o consigliare la visione, motivino chiaramente le ragioni delle scelte e delle proibizioni, coinvolgano sempre più i minori in queste selezioni critiche. Ciò innegabilmente
richiede tempo e impegno culturale agli adulti, ma non si comprende perché le preoccupazioni dei genitori debbano limitarsi ai problemi dell’alimentazione, dell’abbigliamento e della salute fisica, e non possano estendersi all’equilibrio emotivo, alla serenità affettiva, allo sviluppo linguistico e intellettuale, alla moralità e alla socializzazione dei figli.
La relativa maturità dei minori in non pochi casi rende parzialmente incomprensibili o moralmente pregiudizievoli certe trasmissioni televisive, perciò è bene che gli adulti – se possibile – li assistano prima, durante e dopo la fruizione dei programmi. Logicamente l’ “assistenza” dev’essere discreta, stimolante, aperta al confronto delle idee e dei gusti, sempre rispettosa della coscienza di chi si trova ancora in piena età evolutiva. La presenza dell’adulto giova anche al rispetto delle elementari norme igieniche. Ad esempio, è necessario stare alla giusta distanza dallo schermo, sedersi correttamente anziché sdraiarsi per terra con la testa fra le mani, evitare che il locale sia buio, moderare il volume dei suoni.
La necessità di risolvere il problema dell’assistenza dei bambini quando anche la madre lavora fuori casa è la ragione principale della sempre più larga presenza dei nonni all’interno delle “nuove” famiglie. Tale presenza può essere positiva se la responsabilità primaria dell’educazione rimane ai
genitori, se vi è un sostanziale accordo educativo tra la seconda e la terza età. I nonni infatti sono molto disponibili verso i nipotini, dialogano volentieri con essi, sono spettatori o compagni dei loro giochi, possono educare alla fruizione moderata e critica della TV.
Fonte: http://www.aiart.org/public/web/documenti/spini_sergio.doc
Sito web da visitare: http://www.aiart.org
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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