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La famiglia nella tempesta
Nevio Genghini
Perché la famiglia si trova oggi nell’occhio del ciclone? In poche battute azzarderò una risposta, scegliendo un angolo visuale che ritengo decisivo per sbrogliare la matassa.
1. La famiglia, come tutte le cose umane, può essere considerata sotto due aspetti, alquanto diversi tra loro: sia con l’occhio disincantato dello studioso di fatti sociali, sia con l’occhio partecipe di chi ne ha formata una.
Il punto di vista esterno è legittimo ed anche utile: ci fa conoscere dimensioni della famiglia che trascendono il vissuto dei suoi membri. E’ chiaro, però, che la prospettiva esterna può sussistere perché e finché sussiste la prospettiva interna. Una famiglia che non venisse più percepita come scuola di comunione, non potrebbe più ricevere mandati dalla società, e quindi assolvere compiti di tipo istituzionale.
2. Dal punto di vista esterno – come si è detto – la famiglia è solo una tessera di un mosaico più vasto, che ne determinata il posto e l’importanza. Dal punto di vista interno, al contrario, essa rappresenta il crocevia, nonché l’orizzonte unificante, delle nostre basilari esperienze: la nascita e la morte, l'amore e il lavoro. Il filo che annoda queste esperienze è la gratuità, ossia la capacità di onorare l’altro nel suo irraggiungibile mistero. La gratuità, a sua volta, è la matrice segreta dei codici che ci guidano nella selva dei nostri dilemmi esistenziali (vero/falso, buono/cattivo, ammirevole/ripugnate, giusto/iniquo, ecc.). Dunque, lo specifico contributo della famiglia all’utilità generale è la formazione della personalità morale. Poiché non ci sono energie alternative o equivalenti funzionali della gratuità, non c’è alcuna agenzia pubblica che possa surrogare la sua performance. La famiglia mette a disposizione della società un tipo d’uomo che, detto alla buona, sa di poter essere felice solo con gli altri, non a spese degli altri. Su questo tipo umano, com’è noto, fanno gran conto le istituzioni della vita civile ed economica, proprio perché sono consapevoli di non poter generare in proprio le virtù necessarie all’efficienza dei loro processi e dei loro apparati.
3. “La famiglia è in crisi” – si dice da più parti, ma il discorso si ferma perlopiù alle ragioni economiche e sociologiche del suo precario stato di salute (i giovani che non trovano lavoro, la loro preferenza per i legami “liquidi”, ecc.). Rischia così di passare inosservata la radice culturale della crisi. Molti pensano che la famiglia “tradizionale” non meriti alcun trattamento di favore, da parte dell’ordinamento giuridico, rispetto ad altri legami e sodalizi di natura affettiva. Da dove nasce questa insofferenza? Un episodio può aiutarci a riflettere. Alcuni anni fa, durante una seduta del Parlamento europeo, nella quale si discuteva la regolamentazione dell’accesso alle tecniche di riproduzione assistita, fu issato in mezzo al pubblico un manifesto che recitava così: l’unica legge è il desiderio. Lo slogan ricapitola il senso della rivoluzione morale che ha cambiato, negli ultimi decenni, il comune senso del pudore: il desiderio è innocente, perciò non ha bisogno di essere guidato o indirizzato secondo verità e ragione. Di conseguenza vincoli ed impegni affettivi duraturi umiliano oggettivamente la sua naturale esuberanza. Si spiega così – nella considerazione pubblica – il declino della famiglia “cristiano-borghese”, che la letteratura e la cinematografia odierne dipingono volentieri come la madre di tutte le nostre nevrosi.
4. Lo slogan che ho ricordato potrebbe sembrare la trovata estemporanea di una lobby (quella, per intenderci, che ci ha abituati a pensare l’identità sessuale come un “orientamento”, ossia come un dato socio-culturale, piuttosto che come una “vocazione” iscritta nella carne della persona). Al contrario, racchiude un messaggio seducente, soprattutto per i giovani. Dice a ciascuno di loro: il tuo desiderio è innocente, dunque non hai bisogno di misurarti con una realtà più grande delle tue “voglie”. Ecco il centro, il vortice interno della tempesta: chi è convinto che non vi sia nulla al di là delle sue voglie, percepirà inevitabilmente la famiglia come una pietra d’inciampo. L’esperienza familiare, infatti, contraddice la fede nell’innocenza e nella spontaneità dei nostri desideri: nessuno sa quel che vuole realmente, finché non si sente voluto; nessuno sa quel che desidera realmente, finché non si sente desiderato. Solo quando uno sguardo carico di sollecitudine e di benevolenza si posa su di me, io imparo a mettere ordine nel groviglio delle mie voglie, a distinguere quelle compatibili con la mia dignità da quelle che invece, se soddisfatte, potrebbero compromettere la piena fioritura della mia persona.
5. Nella famiglia si fa esperienza di questa verità elementare: c’è un altro, al di à delle nostre confuse voglie e prima dei nostri autentici desideri. Pertanto essa è il luogo originario del senso religioso. Ci ricorda, infatti, che abbiamo un debito di gratitudine con chi ci ha voluti al mondo, un debito che non potremo mai saldare: siamo dunque degli invitati, gli ospiti di un banchetto allestito per noi ma non da noi. Rispetto alla vita, in altre parole, ci troviamo nella stessa condizione del musicista che scopre una partitura incompiuta: egli può aggiungere alcune battute di suo pugno, può riempire gli spazi vuoti dello spartito con il suo personale talento, ma nello stesso tempo deve accordare i suoi interventi con una linea melodica già tracciata dall’iniziativa altrui. La famiglia è nella tempesta perché la sua dinamica ordinaria (che l’inevitabile oscillazione della vita coniugale tra alti e bassi, tra lucidità e confusione, tra ardore e stanchezza non può radicalmente alterare) smentisce il pròton pseudos (l’errore originario) di chi crede che il desiderio umano non abbia bisogno di essere redento .
6. La tempesta che ha investito la famiglia, sin qui descritta come crisi culturale, ha anche un evidente risvolto civile. Secondo un’influente visione della democrazia, i protagonisti essenziali della vita pubblica sono due: l’individuo e lo stato. La persona viene così rinviata alle istituzioni statali quali fonti primarie di solidarietà sociale. Questo spiega perché la famiglia sia stata spogliata in misura crescente – nelle società occidentali – delle funzioni che naturalmente le competono, come ad esempio nel campo dell’educazione e dell’assistenza. Bisogna dunque lottare perché la famiglia diventi finalmente il primo interlocutore delle politiche sociali dell’ente pubblico. Esistono bisogni umani (educazione, cultura, assistenza) che per la loro natura complessa chiamano direttamente in causa la responsabilità delle famiglie. Nessun apparato burocratico, infatti, è in grado di erogare quel senso di partecipazione al destino dell’altro che è il cuore stesso della vita familiare.
Dibattito successivo alla relazione di Nevio Genghini
1. E’ molto positivo che la Diocesi rifletta sul tema della famiglia, sperabilmente non solo e non tanto perché si tratta di una realtà per molti aspetti in crisi, ma perché è un valore fondante della società. La riflessione sulla famiglia si deve muovere su tre piani.
a) Prospettiva culturale
Oggi è in crisi l’identità stessa di famiglia. L’Istat, ad esempio, quando sintetizza le sue ricerche si trova nella necessità di spiegare a quale tipo di famiglia si riferisce (ci sono 10-12 tipi diversi), mentre un tempo non era necessario spiegare cos’era la famiglia, era un concetto chiaro a tutti.
Ad essere in crisi è oggi prima di tutto la comunione, fondamento della famiglia, sostituita dall’individualismo dei singoli componenti. La famiglia è diventata un luogo privato, che non ha niente da dire alla scuola, alla politica, con cui non ha niente a che fare. Oggi viviamo nella società dei figli unici, perché il primo figlio è spesso anche l’unico, dato che ci si sposa sempre più tardi. Vene perciò meno il senso stesso della fraternità. La durata media del matrimonio è oggi pari a 13 anni, un matrimonio su quattro salta. Ci sono tre periodi che rappresentano “picchi” in cui avvengono le crisi: il primo è entro i primi 2-3 anni dal matrimonio, il secondo dopo 10 anni e due figli, il terzo dopo i 30 anni di matrimonio, quando i figli se ne vanno e si allontanano dal nucleo familiare originario. Si assiste poi oggi anche ad un fenomeno del tutto nuovo: un 5% di “separazioni” dovute esclusivamente a convenienze di tipo fiscale.
b) Prospettiva pastorale
Di fronte alla constatazione che la famiglia è in crisi, la Chiesa non deve solo giocare in difesa, deve considerare la famiglia non solo come parte del problema, ma come parte della soluzione al problema stesso. In altri termini, se è vero che la famiglia rappresenta la cellula fondamentale della società e della Chiesa, la Chiesa deve puntare proprio sulla famiglia per uscire da questa situazione di crisi.
c) Prospettiva biblico-teologica
E’ necessario approfondire il fondamento biblico e teologico della famiglia, che rappresenta il “modello” di riferimento di tutto il messaggio cristiano.
La riflessione su magistero e teologia della nuzialità dopo il Concilio Vaticano II si è sviluppata moltissimo. Il problema è allora che oggi il magistero della Chiesa è molto più avanti rispetto alla prassi pastorale delle parrocchie, che non si è adeguata. Ciò significa che occorre fare uno sforzo di cambiamento, che i corsi per fidanzati devono essere fatti in un certo modo, ecc. ecc.
2. Come Chiesa si sta troppo a guardare il declino della famiglia, la si sta un po’ “abbandonando” e non si trovano gli strumenti per incidere. Soprattutto non si considera un aspetto, quello della Chiesa come “Popolo di Dio”, come comunità che non faccia sentire sola la famiglia. Il cristiano deve stare dentro una comunità, da soli non si va lontano. La famiglia deve giocarsi dentro una comunità, al di fuori è sola. Bisogna inoltre recuperare il “Vieni e vedi” che dice Gesù, il proporre degli esempi da seguire: anche noi abbiamo qualcosa da mostrare, da proporre, e cioè la bellezza del fare famiglia. Spesso invece non abbiamo niente da mostrare, e non esprimiamo la bellezza del dire Sì per sempre e del portarlo avanti.
3. Perché costruire una famiglia oggi? Cosa vuol dire costruire una famiglia oggi? L’idea della famiglia cristiana è basata sul sacramento del legame coniugale. Dio ha deciso di chiamare Cristo “sposo” quindi la famiglia ha un ruolo anche teologico e spirituale, perché incarna il rapporto tra uomo e Dio. La genesi dell’umano nasce di lì, a partire dalla sessualità. È importante quindi condurre una riflessione anche sulla sessualità: non solo non è tabù, ma va valorizzata al livello più alto. Anche gli altri sacramenti hanno un riferimento con il legame sacramentale del vicolo matrimoniale. Occorre dire forte allora i valori che sono alla base della famiglia, ripartendo proprio dalla riflessione teologico-spirituale sull’unione coniugale, che dà poi valore a tutto il resto.
4. Un tempo il matrimonio era lo sbocco inevitabile di una relazione di coppia, e anche successivamente c’era tutto un mondo attorno che aiutava, confortava, e non contemplava neppure l’idea di potersi separare. Dal punto di vista culturale, non c’era neanche l’idea della separazione. Oggi invece le famiglie sono sole: servono perciò l’accompagnamento, l’accoglienza, l’esperienza di altre famiglie attorno. Non siamo inoltre capaci di far vedere il bello, la bellezza della famiglia.
5. Ci sono due attenzioni da tenere: la prima è quella di non fare una “retorica” della famiglia, è bene parlare anche degli aspetti più critici della famiglia; la seconda è quella di non affrontare il futuro con lo sguardo rivolto al passato, la famiglia non è solo quello che è stata, ma è quello che sarà e che potrà fare; probabilmente sarà anche di più, non bisogna guardare al passato.
6. C’è una stretta relazione tra la prospettiva interna e la prospettiva esterna citate da Nevio Genghini nella sua relazione. Infatti, se la famiglia è il luogo di produzione dell’umano, qual è il modello di uomo di cui parliamo? I genitori infatti trasmettono ai figli i valori che a loro volta prendono dalla società, in cui c’è pluralismo culturale: ci sono perciò famiglie diverse che trasmettono valori diversi (potere/successo o valori evangelici). In tal senso le famiglie hanno anche una funzione antropologica, mentre purtroppo oggi le “agenzie formative” sono ben altre (mass-media in primis). La famiglia dunque non è sostituibile, ma è di fatto ampiamente sostituita.
7. La realtà delle famiglie irregolari o separate è una grande sfida e una grande emergenza culturale per la Chiesa. Ci si sente più rappresentati dalla famiglia dei “Cesaroni”, serial televisivo, che dal modello di famiglia proposto dalla Chiesa. Occorre aumentare la consapevolezza della crescita della persona dentro la famiglia come cristiano. La Chiesa deve fare più sforzi per arrivare alla gente, soprattutto a chi ha bisogno di aiuto. Occorre fare più attenzione alle giovani coppie, alla realtà di famiglia che esiste, ai figli di separati. In particolare occorre interrogarsi e aiutarsi in questo campo: come educare i figli dei separati al valore della famiglia?
8. C’è oggi un deficit formativo sulla famiglia, anche da parte dei cattolici cosiddetti “praticanti”. Si è allentato lo sforzo formativo del mondo cristiano su queste tematiche, i cristiani praticanti si comportano come gli altri (si pensi a rapporti prematrimoniali e convivenza), non c’è sufficiente formazione. Il risultato è che l’“esterno” della società ha una grande incidenza sull’“interno” della famiglia.
La famiglia in prospettiva sociologica
Paolo Parma
Le riflessioni che seguono prendono spunto dall’analisi di alcuni dati statistici pubblicati dalla Segreteria Generale della CEI nell’ottobre del 2009. Poiché non sono uno specialista in tematiche famigliari, mi limito a collocare tali informazioni all’interno di un quadro interpretativo generale di tipo sociologico che mette a confronto due diverse prospettive: quella che si rifà alla tradizionale teoria funzionalista e quella, più recente, che riprende le idee di fondo della teoria sistemica.
Nella prospettiva sociologica funzionalista
L’individuo viene considerato l’elemento principale di un sistema sociale. E’ lui che, attraverso la sua continua attività di produzione di beni immateriali (idee) e materiali (le cose) contribuisce a costruire il mondo in cui abita. Questa costruzione riguarda innanzitutto la dimensione culturale: un apparato simbolico di valori e significati che, se condiviso dai membri della società, finisce per costituire l’identità nazionale di un popolo od anche (per usare un termine durkheimiano) la sua “coscienza collettiva”. Essa stabilisce le cose in cui credere e definisce il senso di ciò che si è e di ciò che si fa.
Questa produzione culturale, poi, si concretizza nella costruzione della dimensione strutturale: un apparato di istituzioni (politiche, giuridiche, economiche, sociali, ecc.) che traduce quei valori e significati in fini sociali da realizzare ed indica ai soggetti quello che devono fare (i ruoli) e come lo devono fare (le procedure e norme di comportamento).
L’uomo, dunque, è il costruttore del suo mondo (il mondo è una produzione umana) ma è vera anche la proposizione inversa e cioè che l’uomo è un prodotto sociale. E’ questo il rapporto dialettico che esiste tra l’uomo e il suo mondo ed è in relazione a questo secondo aspetto del rapporto (la produzione dell’uomo) che entra in scena la famiglia (considerata come istituzione sociale).
L’uomo è un prodotto sociale nel senso che trae dalla famiglia (attraverso un processo di interazione con i genitori chiamato “socializzazione”) tutte quelle conoscenze che (una volta interiorizzate nella coscienza) sono necessarie a completare il suo apparato istintuale, a consentirgli di entrare in relazione con gli altri in modo corretto ed a dare un senso alla sua biografia.
La famiglia, quindi, insegna ai nuovi arrivati che cosa è il mondo (i valori e significati), come si deve stare nel mondo (le norme), cosa si deve fare nel mondo e chi si è (l’identità) in questo mondo. Essa trae, ovviamente, le conoscenze da trasmettere dall’apparato culturale presente nella società con la conseguenza che si avranno tanti tipi di uomini diversi a seconda delle culture presenti nel tempo e nello spazio (cosa ben documentata dagli antropologi) o in dipendenza dello strato sociale di appartenenza (operaio, borghese ecc.).
Alla famiglia, in definitiva, sono affidati alcuni compiti essenziali al buon funzionamento della società:
Nella prospettiva funzionalista ciò che garantisce la riproduzione sociale è, dunque, la condivisione di un nucleo essenziale di valori e significati (la cultura) e l’impegno della famiglia (prima) e della scuola (poi) nel compito della socializzazione. Se le due condizioni si realizzano, la società funziona in modo corretto e senza tante situazioni conflittuali. Gli individui si trovano inseriti in una realtà che non offre loro tante possibilità di scelta (si vive in un mondo di destino, un mondo dato per scontato):
Nella prospettiva sistemica
Nella realtà di oggi constatiamo che le cose non funzionano così, il mondo è cambiato e va descritto e compreso con altre categorie interpretative. E’ a tale scopo che si ricorre alla teoria dei sistemi (detta anche neo-funzionalista) .
Tale teoria rovescia completamente la prospettiva precedente: non ci si pone più dal punto di vista dell’individuo ma da quello del sistema sociale e delle sue esigenze di funzionamento. Si nota, allora, che:
In queste condizioni, il sistema sociale per poter funzionare (e ridurre il campo di scelta dei soggetti) deve operare attraverso una strategia di differenziazione istituzionale. Ciò significa che si costruiranno nuovi modelli istituzionali (in grado di rispondere alle esigenze che provengono da quell’ambiente così complesso e multiforme di cui si diceva sopra). La conseguenza è che oggi ci si trova di fronte a diversi modelli di famiglia, diversi modelli di scuola, di Stato, di Chiesa ecc.
Questo processo di differenziazione porta il sistema a suddividersi in sub-sistemi, in settori istituzionali (la famiglia, la scuola, la Chiesa, ecc.) che forniscono risposte “all’ambiente” in cui sono immersi e, attraverso l’offerta di sempre nuovi modelli, ne riducono le possibilità di scelta e ne controllano i comportamenti. Avremo, così, accanto al modello di famiglia tradizionale, quella di fatto, quella omosessuale, quella monogenitoriale, ecc. Come pure accanto alla scuola pubblica troveremo quella privata (parificata o non parificata, confessionale o laica, etnica, ecc.). Od ancora, accanto alla Chiesa cattolica ci saranno altre chiese, e all’interno della Chiesa cattolica troveremo tante modalità diverse di vivere l’esperienza religiosa. Tutto ciò rappresenta abbastanza bene quel processo di differenziazione che i settori istituzionali devono mettere in atto per rispondere alla crescente complessità sociale. In altri termini, per ridurre la complessità dell’ambiente sociale, i sistemi istituzionali devono aumentare la loro complessità interna.
Occorre, infine, far presente che tali sistemi istituzionali, in un contesto come quello fin qui descritto, diventano sempre più autoreferenziali, funzionano in modo relativamente autonomo rispetto al sistema sociale complessivo. Essendo venuta meno l’esigenza di dare senso unitario a tutto il sistema (essendo venuto meno il centro), essi traggono dal loro interno le regole di funzionamento (e le norme di comportamento) ricavandole essenzialmente da un principio funzionale di fondo (ad esempio, il potere per il sub-sistema politico, il profitto per il sub-sistema economico la salute per il sub-sistema sanitario, la salvezza per il sub-sistema religioso, ecc.).
L’uomo si trova, così, a passare da un sub-sistema ad un altro (dalla famiglia, alla scuola, al lavoro, ecc.) essendo chiamato a seguire norme che rimandano a principi funzionali diversi ed avendo la spiacevole sensazione della mancanza di un senso unitario e coerente del tutto. L’uomo si trova nella stessa condizione dell’emigrante (in senso culturale anziché geografico), con tutte le conseguenze sociali e personali che ciò comporta (relativismo, soggettivismo, incertezza, precarietà, ecc.).
In questo contesto la famiglia:
Se caliamo i dati statistici pubblicati dalla CEI all’interno del quadro teorico sopra delineato, si può rilevare quanto essi riescano a confermarne la validità interpretativa.
----> 24,76% (in forte crescita)
----> 34,20% (nel comune di Rimini)
---> due persone ----> 27,58% (dato di Rimini)
---> tre persone ----> 23,40%
---> quattro persone ----> 18,18%
Alcune note conclusive
La prima osservazione da fare è di tipo metodologico. Come si è visto, per comprendere le problematiche riguardanti la famiglia si è utilizzato un quadro teorico (la teoria sistemica) che meglio di altri riesce a dar conto dei mutamenti sociali. Occorre, però, sempre essere consapevoli che le teorie sono costruzioni astratte e storicamente determinate. Esse, pur pretendendo di interpretare la realtà, non riescono mai a rendere conto fino in fondo della sua complessità. Il mondo concreto è sempre più vario di quanto una teoria (seppur valida) sia in grado di rappresentare e spiegare.
La seconda osservazione richiama l’attenzione sul fatto che le società sono soggette a mutamento continuo (non sono immobili) e che tale mutamento è, in ultima analisi, sempre riconducibile all’azione umana. Sono sempre gli uomini che, con le loro decisioni, orientano e influenzano le strutture sociali (anche se, utilizzando la teoria sistemica, si ha l’impressione che il sistema funzioni senza soggetto, quasi come un mega computer che è sfuggito al controllo del suo costruttore).
Infine, dalle statistiche che descrivono la condizione della famiglia a Rimini emerge in modo evidente che essa si trova coinvolta all’interno di un forte processo di differenziazione. Si moltiplicano modelli di unione famigliare essenzialmente determinati dal tipo di struttura sociale che la nostra società è venuta assumendo e funzionali ad esigenze e finalità diverse e, spesso, lontane dai fini tradizionali ricavati da valori condivisi. E’ chiaro, ormai, che in un contesto postmoderno come quello in cui viviamo, occorre fare i conti con una situazione molto più complessa e competitiva di un tempo. Chi intende avanzare nuovi modelli di famiglia (o difendere quelli tradizionali) dovrebbe accettare la logica della differenziazione, senza pretendere di imporre a tutti, in modo autoritativo, il proprio modello (magari facendo leva su inadeguati criteri di appartenenza religiosa o inesistenti rendite di posizione).
Questa è la sfida che la Chiesa si trova ad affrontare. Oggi i suoi membri devono impegnarsi in una vera e propria battaglia culturale, in una azione di promozione da svolgere nella sfera pubblica e politica, con strumenti adeguati e facendo leva essenzialmente sulla credibilità e sulla ragionevolezza del modello proposto. In particolare, diventa sempre più urgente strappare la famiglia da quella sfera privata in cui è stata confinata e ridarle le funzioni pubbliche che le sono proprie (e che vengono, paradossalmente, richiamate tutte le volte che ci si trova di fronte a fenomeni di devianza e disordine sociale).
La sfida del pluralismo ai modelli sociali tradizionali può suscitare reazioni di vario genere: di resa allo spirito del tempo, di tipo difensivo od offensivo. Nel primo caso ci si impegna in uno sforzo di “aggiornamento” che finisce per indebolire e nascondere gli aspetti essenziali che caratterizzano la specificità della proposta. Nel secondo caso ci si sforza di rimanere fedeli al proprio sistema di valori, si rafforzano i “muri” e si guarda al mondo con sospetto (rischiando di non essere più capaci di sintonizzarsi con le nuove sensibilità culturali). Una reazione offensiva, infine, affronta la sfida con lo spirito aggressivo tipico di chi deve compiere una crociata (dove l’altro non è più il fratello ma il nemico da combattere).
La posizione più sensata sembra essere, come sostiene Berger, quella di riuscire a “mantenere delle convinzioni senza dissolverle nel relativismo e senza racchiuderle nei falsi assoluti del fanatismo” .
Dibattito successivo alla relazione di Paolo Parma
1. Occorre sempre avere alcune accortezze quando si fa un’analisi sociologica. I modelli interpretativi sono infatti sempre un po’ rigidi, e quindi vanno letti sempre con una certa precauzione metodologica. José Casanova, ad esempio, applicando la teoria dei sistemi aveva previsto la progressiva privatizzazione delle religioni, mentre questo non è avvenuto. I dati sociologici non sono “veri” in senso assoluto e non hanno una valenza eterna, ma sono validi “per una stagione”, all’interno di un determinato contesto e per un dato periodo, col tempo cambiano.
Inoltre se è vero che mancano politiche per la famiglia, allora il problema è anche culturale. Dove infatti le politiche sono state maggiormente orientate alla famiglia, i risultati si sono evidenziati: ad esempio in Francia, dove in seguito alle politiche che sono state attuate in difesa della maternità, le nascite sono aumentate. D’altra parte il modello “tradizionale” di famiglia è comunque presente, e costituisce una parte consistente della realtà del nostro paese, anzi nel nostro paese proprio ad un eccessivo familismo è stata attribuita in alcuni casi la responsabilità di una mancata crescita e di un arretrato sviluppo sociale.
Se la cultura conta, le battaglie culturali non sono quindi affatto inutili: il modello tradizionale di famiglia continua a mantenere consistenza, e il tema dell’educazione alla famiglia di tipo “religioso” e “tradizionale” ha anche oggi grande significato e importanza (anche perché vi è chi ritiene che se va in crisi la famiglia “tradizionale”, andrebbe in crisi tutta la società più in generale). Non è dunque la battaglia culturale che deve fare paura, l’importante è non concepire l’esito del processo in atto come meccanicamente e deterministicamente già predeterminato.
2. La relazione di Paolo Parma si è volutamente limitata ad una presentazione ed una prima lettura dei dati sociologici. Il passo successivo necessario della riflessione è quello di chiedersi il perché di quanto sta accadendo, quali sono le motivazioni che sostengono tali cambiamenti e quali strumenti darsi per modificare quanto accade, come fare perché le cose vadano in modo diverso. In tal senso, c’è spazio per fare ricerca (noi direttamente oppure chiedendo l’aiuto e il sostegno ad esperti esterni).
3. E’ necessario chiarire i termini del problema e definire meglio l’oggetto della domanda “cosa è cambiato?”, nel senso che occorre non fermarsi ad una diagnosi dei cambiamenti delle caratteristiche “esterne” della società e della famiglia, ma andare al cuore del problema. Ad esempio ci si potrebbe chiedere se nella situazione attuale le persone sono effettivamente più felici. Nessuno lascia un’esperienza significativa e arricchente per una più povera e sterile. Forse il disorientamento che caratterizza la nostra società deriva dalla ricerca, in modi non adeguati e impropri, di modelli che rispondano alle esigenze di felicità che sono dell’uomo di tutti i tempi. Come leggere dunque questa situazione, quanto è successo?
4. E’ importante non idealizzare il passato e il modello tradizionale come se fossero soltanto positivi e non contenessero anch’essi aspetti di criticità, e contemporaneamente demonizzare il presente. Non necessariamente il “monolitismo culturale” che ha caratterizzato il passato ha apportato solo frutti positivi (si pensi ai regimi totalitaristi e alle guerre che hanno caratterizzato il secolo scorso), mentre d’altro canto una società “liquida” e “pluricentrica” come quella di oggi non ha solo aspetti negativi.
5. La relazione di Paolo Parma suscita molte domande. Cosa ha determinato questi cambiamenti? C’è stato un fattore particolare che ha scatenato i cambiamenti? Un tempo la coppia era concepita come durevole per tutta la vita, ma dov’era la scelta? Oggi al contrario ci sono molteplici possibilità di scelta, ma come regolarsi? E di fronte ad una gamma così ampia di scelte, siamo veramente più “liberi”? Come si è arrivati a questa situazione? In una volta sola oppure progressivamente?
6. Occorre ribadire che non esistono dati, ma solo interpretazioni, non bisogna sacralizzare punti di partenza dell’interpretazione trattandoli come certezze. La foto presentata è sicuramente realistica, ma statica: per comprendere i dati, che sono “statici”, occorre inserirli in una prospettiva dinamica.
Nel 1860 Engels pubblica “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato” per dimostrare che la famiglia era un “costruzione sociale” destinata ad evolversi in futuro, fino a tramontare del tutto (perché ampiamente inefficiente e inefficace), quando la società avesse trovato modi più efficaci (“agenzie sociali”) di esercitare i suoi ruoli.
Nei totalitarismi la prima agenzia che è stata esautorata e spogliata dai propri compiti educativi è stata proprio la famiglia (attraverso la militarizzazione della gioventù, i riti del sabato, ecc.), quindi il parallelo tra secolo delle guerre e dei regimi totalitari e modello tradizionale della famiglia è improprio, perché per affermarsi, i regimi totalitari hanno dovuto svuotare del proprio ruolo educativo proprio la famiglia. Si potrebbe anzi dire che proprio il risultato di ciò sono state le guerre e le dittature.
I dati offerti possono essere esaminati come fossero eventi atmosferici, come tali ineluttabili, oppure al contrario come l’esito di una battaglia culturale, che ha come posta in gioco la forza e il significato del legame uomo-donna. Occorre sempre risalire alla radice umana della loro consistenza, alla concezione di uomo che ci sta dietro, per poter correttamente comprendere i dati di un fenomeno.
Il magistero di Giovanni Paolo II insisteva fortemente sull’antropologia, ricordando che l’ultima radice di ogni vicenda umana è sempre umana. Occorre perciò ricercare il significato umano dei fenomeni sociali, mentre oggi si assiste ad uno iato tra la lettura dei dati e la loro interpretazione. Attenzione dunque al “culto paralizzante” dei dati, essi vanno sempre interpretati e non vanno mai considerati come ineluttabili, perché partono sempre da precise scelte e sfociano sempre in scelte. Spesso infatti non viene dedicata altrettanta attenzione alla ricerca delle scelte che hanno determinato la comparsa del fenomeno che si studia: bisogna buttarsi nell’avventura della comprensione.
7. Si può parlare di uno spostamento del luogo educativo dalla famiglia ad altre “agenzie educative”: ciò è avvenuto oggi soprattutto ad opera della televisione, che ha un vero e proprio predominio culturale. Non sono dunque necessari i totalitarismi per esautorare il ruolo della famiglia, è sufficiente pensare al ruolo della televisione. La famiglia infatti è stata spogliata del suo ruolo di creare relazioni e favorire la maturazione dell’identità della persona: il “divenire uomo” oggi è stato spostato al di fuori della famiglia, e nell’ultimo trentennio in particolare in direzione dello strumento della televisione commerciale. In tale contesto si è passati dall’“essere in relazione” all’“essere in ego”, non si costruiscono più “persone” (cioè esseri in relazione) ma “individui” (esseri chiusi in sé stessi). Il ruolo educativo è dunque spesso delegato alla TV, gigantesco affare commerciale. Se questo spostamento sia avvenuto “naturalmente” oppure sia stato voluto per fini altri o secondari, ossia sia un frutto volontario di altre scelte (si pensi all’esigenza insita in un’economia capitalistica di ingenerare bisogni commerciali), questo non è dato saperlo.
8. E’ necessario ristabilire un nesso tra dati e interpretazione, per poter poi trovare una soluzione sul piano culturale e incidere su questa realtà.
“Nativi digitali” è il titolo di un convegno a cui ho partecipato di recente, e definisce come tali le nuove generazioni (in particolare i nati dal 1991 in poi), che vivono internet come ambiente di relazione e di crescita, come ambiente in cui vivono, studiano, lavorano, ecc. In questo convegno si è evidenziato come lo sviluppo di relazioni virtuali comporti lo sviluppo di una dimensione narcisistica molto spiccata, con la diminuzione dell’empatia verso gli altri e dell’umanità delle relazioni. Lo sviluppo di legami “liquidi” caratterizza sempre più i rapporti di oggi e sembra che l’abitudine a frequentare ambienti virtuali (ipertesti, ad es.) induca modifiche nel funzionamento di intere aree della corteccia cerebrale. Si sviluppano quindi effetti collaterali, si sviluppano relazioni particolari, di qualità strana e che possono creare nuovi tipi di relazioni anche nelle famiglie (si pensi ai casi sempre più frequenti in cui si interrompe una relazione affettiva con un sms, senza alcuna dimensione “umana”). In tale contesto, risulta necessario domandarsi cosa succederà in futuro.
9. Viviamo in una società pluralista, caratterizzata cioè da una molteplicità di diverse concezioni del mondo, che coabitano insieme. In questa società sono possibili più progetti di vita, e altrettante sono le istituzioni che lo permettono. Il pluralismo culturale ha cioè prodotto un pluralismo delle istituzioni e dei progetti di vita (tale per cui oggi è diventato “concepibile” ad esempio un matrimonio tra omosessuali).
Il pluralismo genera un grande conflitto di interpretazioni. Indubbia è la deriva individualista e narcisista che caratterizza il nostro tempo, ma altrettanto presenti sono anche dei contro-movimenti di stampo personalista. La pressione sociale esercitata dalla corrente più diffusa può essere pertanto contraddetta, il fenomeno dell’individualismo che spezza le relazioni può essere contrastato, ad esempio proprio tramite la famiglia: la sfida è aperta (ad esempio nella nostra Diocesi ci sono dei mass media che diffondono modelli alternativi di vita e di famiglia).
Maritain ci ricorda che la storia non è il ricettacolo dei rifiuti, ma ha un senso e una direzione. La “soggettività” e l’individualità è molto stimolata anche perché oggi c’è la necessità di fare molte più scelte di un tempo, per cui è percepita come un valore molto più che un tempo. Non c’è quindi da guardare con pessimismo a questa situazione, al contrario la pluralità delle scelte ha sicuramente anche dei risvolti positivi. Occorre dunque essere ottimisti, se solo si concepisce la storia in maniera non deterministica, le possibilità di creazione e di invenzione oggi sono infinite.
10. La fotografia offerta dalla relazione di Paolo Parma è molto importante per renderci conto della situazione. Non dobbiamo nasconderci che la realtà è piuttosto inquietante, perché la linea di sviluppo appare molto persuasiva. Il punto di riferimento culturale si è spostato da alcuni principi ad altre prospettive. Dall’800 al ‘900 c’è stato un cammino graduale della cultura verso l’assolutismo dell’io (libertà estrema come valore, edonismo, incomunicabilità, annullamento delle relazioni, ecc.), e ciò ha prodotto i suoi effetti, che sono quelli ben esposti da Paolo Parma. Il modello tradizionale di famiglia è visto come ideale borghese da abbandonare.
Occorre perciò interrogarsi sul ruolo della cultura cattolica prima, durante e dopo questo passaggio. Il cristianesimo ha delle responsabilità nell’aver permesso tutto ciò, è stato assente o incapace di intervenire, ad esempio senza una opportuna difesa della cultura cattolica della famiglia. La cultura della massificazione (televisiva e non), inoltre, è stata assimilata anche dalla coscienza cristiana, l’omologazione televisiva è stata quasi completamente assorbita. Occorre invece formulare ipotesi alternative, ad esempio ribadire una cultura della qualità dei rapporti. Anche se la presenza cristiana è minoritaria in questa società pluralista si tratta di una minoranza profetica, deve essere “sale e lievito”, capace di essere incisiva ed efficace.
11. E’ importante non mitizzare il passato, perché anche la famiglia di un tempo, tradizionale, non era sempre una realtà positiva: non si “rompeva”, ma non era sempre luogo di relazione e di crescita della persona.
La famiglia: educazione al mistero e alla relazione
Natalino Valentini
Premessa
L’intento è quello di offrire alcuni spunti di riflessione complementari a quanto già ascoltato nelle relazioni precedenti. Ritengo importante tornare al tema della famiglia come luogo di costruzione dell’identità personale, sebbene incentrando l’attenzione sull’educazione alla gratuità e al mistero, sulla qualità delle relazioni personali all’interno della vita familiare.
Lo sguardo cristiano sul dono della famiglia dovrebbe essere scoperto, testimoniato e custodito fuori da ogni gonfia retorica e da ogni spettacolarizzazione, preservandone con umiltà la sua essenza più intima. Occorre innanzitutto edificare “l’uomo interiore”(Rn 7,23-24; Ef 3,14-16), costruire una solida architettura dell’anima, dare forma all’unità della persona in relazione a partire dal radicamento al Cristo, rivelazione dell’agape trinitaria. Solo in Lui infatti possiamo rigenerare e santificare la nostra vita, unendola alla vita divina, senza contrapporre lo spirituale al corporale, la fedeltà in Dio alla fedeltà alla storia e al mondo.
Qualche rimando biblico
Lasciamoci guidare anzitutto da alcune sottolineature provenienti dalla Parola di Dio, alla ricerca dello sguardo biblico sulla famiglia.
Ciò che subito stupisce è che l’alleanza tra Dio e l’uomo è concepita proprio secondo il modello del vincolo familiare, attraverso l’immagine della nuzialità e della sponsalità. La Bibbia si apre con una coppia e si chiude con un'altra due coppia. La storia della salvezza è scandita da questa modalità di relazione.
La casa, la famiglia, di Nazareth si presenta con determinate e precise caratteristiche: mette in rilievo la qualità degli affetti e della relazione sponsale, ma senza alcuna enfatizzazione di tipo familistico, senza farne un paradigma esplicito (familismo), bensì sottolineando uno stile di fondo: accettazione della volontà di Dio, primato della Parola di Dio, amore oblativo come regola di vita. Vi è una sorta di trascendimento della famiglia e essa nel Vangelo è quasi sotto traccia. Ci sono però temi significativi quali lo smarrimento di Gesù nel tempio e il suo ritrovamento (Lc 2, 46-50), che richiamano il calore familiare, la qualità degli affetti (materna, paterna e filiale), il rapporto tra identità e distinzione come una delle caratteristiche della dimensione familiare.
Riguardo al tema della nuzialità cruciale resta l’episodio delle nozze di Cana. In esso si compie la benedizione delle nozze, ma l’atto concreto del Cristo rispetto alla sponsalità è verso la gioia (l’acqua viene trasformata in vino): con Gesu la vita ha un altro sapore, c’è la gioia nel cuore. La nuzialità crea dunque gioia e relazioni significative.
Altro aspetto è il rapporto tra famiglia e amicizia a partire dalla relazione con Lazzaro, con le sorelle Maria e Marta. Anche qui non vi è nessun familismo, Gesù non fa della famiglia un assoluto, ma mostra che essa si deve aprire alla volontà di Dio (“Chi è mio padre e chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli e le mie sorelle?” Mc 3,31). Il trascendimento del matrimonio e della famiglia è dunque a partire dalla famiglia stessa e arriva fino all’abbandono.
Tuttavia, per cogliere il senso più complessivo della famiglia, a partire dal sacramento delle nozze, san Paolo ci esorta a fissare il nostro sguardo sul grande mistero: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa !” Ef 5,32).
Il carattere propriamente misterico del matrimonio risiede essenzialmente nel suo contenuto d’amore, prima ancora che in quello di “famiglia”, la sua natura trascende i confini naturali per aprirsi alla Chiesa e al mondo.
Il fine e la pienezza di ogni vita, di ogni amore, è accogliere il Cristo, dargli vita in noi. Non è certo per caso che il rapporto tra Dio e il mondo, tra Dio e Israele, tra Dio e il cosmo reintegrato nella Chiesa, sia espresso nella Bibbia in termini di amore coniugale. Si tratta di una duplice analogia: da una parte, noi comprendiamo l’amore di Dio per il mondo e l’amore di Cristo per la Chiesa perché ci è stata offerta l’esperienza dell’amore coniugale, ma, d’altra parte, l’amore coniugale ha le sue radici, la sua profondità e la sua pienezza nel grande mistero di Cristo e della sua Chiesa. La relazione e la conoscenza tra i coniugi diventano eventi ecclesiali, sono esperienze di partecipazione alla comunione dei santi: «Sarebbe un errore considerare il matrimonio come semplice certificazione e benedizione di un evento biologico. Collegato con l’Eucaristia, il matrimonio costituisce la memoria con i nubendi, anche se hanno la benedizione per formare una propria famiglia, tuttavia non hanno nella famiglia l’ultimo e definitivo plesso di relazioni costituenti la loro ipostasi, ma nella Chiesa quale assemblea eucaristica» (J. Zizioulas, Dalla Maschera alla Persona, in L’essere ecclesiale). Il trascendimento escatologico della natura biologica è legato sostanzialmente ed esistenzialmente all’Eucaristia, e conseguentemente alla comunione trinitaria, ma questo non significa una “spiritualizzazione” del matrimonio e una svalutazione della relazione familiare, bensì una trasformazione dinamica della relazione naturale in evento di comunione personale, cioè di grazia, di dono gratuito di alterità e di libertà personali. Si tratta di conformare tutto il proprio essere all’accoglimento umile e paziente del dono, della grazia di Dio che, simile a un metallo fuso, cola nella realtà umana deificandola. Soltanto così può avvenire quella trasfigurazione dell’amore naturale in “vero amore ”, che nella sua compiutezza e integrità dischiude la natura autenticamente ascetica, spirituale ed etica del sacramento nuziale. Portando l’incontro “naturale” del maschile e del femminile nel “grande mistero del Cristo e della Chiesa”, il sacramento delle nozze acquista un nuovo significato, che ha la sua sorgente vivificante nell’Eucaristia. La partecipazione alla comunione eucaristica è come sigillo e compimento delle nozze in Cristo. Egli infatti è l’essenza dell’unità di vita nella reciproca donazione.
L’ascesi cristiana non è mai un fatto privato, ma sempre un evento ecclesiale, un’opera di comunione, di partecipazione personale all’unità di vita della Chiesa. A partire da questo nucleo sacramentale della vita liturgica si può scoprire perché la Chiesa sia compresa nei sacramenti, nell’unità organica che la rende fonte della grazia e della salvezza. Qui la vita cristiana come unione storica ed escatologica si traduce in comunione con la vita della Santa Trinità, possibile nell’esperienza sacramentale all’interno della Chiesa, quale corpo teandrico di Cristo.
[A partire dalla coppia sponsale è possibile rintracciare nel Vangelo (ad es. di Marco), alcune scansioni fondamentali della vita familiare: la misura e il valore della comunicazione in famiglia, il cambiamento del cuore, l’esercizio del perdono, la relazione con chi è più debole, l’esperienza della sofferenza e della morte in famiglia, il tempo della quotidianità e della festa, ecc… ( Significativo a proposito resta l’itinerario esegetico proposto da M.T. Zattoni e G. Gillini, Interno familiare secondo Marco)].
Verso una pedagogia della relazione familiare
Ciò che oggi appare sempre più urgente e fondamentale è pensare la famiglia come luogo di costruzione della personalità, come luogo pedagogico di ricerca di senso, luogo nel quale si dà fondamento alle relazione umane, si apprende l’esercizio del discernimento, della comprensione reciproca, della condivisione, di una comune visione del mondo. È il luogo in cui si fa esperienza della fragilità dei legami, della difficoltà, ma anche della decisività delle relazioni. Oggi la famiglia è una realtà fragile e vulnerabile, esposta a molti rischi, eppure, paradossalmente, proprio per questa sua condizione, molto dipende da essa. Nella famiglia occorre mettere in gioco la propria libertà nella costruzione delle relazioni affettive, occorre mettere in gioco sé stessi fino in fondo.
Dal punto di vista pedagogico ciò che oggi appare più indispensabile consiste nel dare forma concreta ad una vera e propria ontologia delle relazioni, cioè nel plasmare quotidianamente un senso profondo del nostro essere-in-relazione con l’altro a partire dalle persone che compongono la famiglia, costruendo con ognuna di loro relazioni autentiche, uniche e irripetibili. La costruzione della persona nella famiglia è anche il frutto dell’incontro con le diverse esperienze umane che compongono ogni singolo nucleo. Le diverse esperienze di vita che si sedimentano fanno di ogni famiglia un’esperienza unica eppure comune.
Questo sguardo cristiano sulla famiglia, teso a rintracciare i fondamenti antropologici e ontologici della relazione non può prescindere da alcune dimensioni educative di fondo. Tra queste mi permetto qui di richiamare schematicamente almeno un paio di aspetti.
Alcune possibili piste di lavoro per un recupero dell’ontologia della relazione affettiva e familiare:
Dibattito successivo alla relazione di Natalino Valentini
1. Oggi tutti questi elementi non vengono vissuti più, soprattutto non c’è più il “tempo” per “vivere” la famiglia. Dove ci sono questa fatica e queste difficoltà cosa si può fare, da dove si può partire? Laddove le relazioni familiari sono molto “rovinate” da dove si può partire?
Partire dall’affetto per i ragazzi è ad es. sempre importante, soprattutto perché i giovani non ne hanno mai abbastanza. La qualità del poco tempo che abbiamo a disposizione è forse la chiave di tutto.
2. Il contesto attuale ci pone di fronte ad una grande sfida; tuttavia non dobbiamo perdere la speranza. Occorre recuperare la qualità delle relazioni, a partire dall’ambito ecclesiale, con un atteggiamento teso a recuperare l’essenziale dal punto di vista evangelico. Per fare ciò dobbiamo innanzitutto riappropriarci del tempo, del vivere in pienezza e in modo totalizzante il tempo che ci è donato, in ogni ambito e con ogni persona. Per poter aver cura dell’altro, per poter “consegnarci” all’altro, è necessario del tempo, vivere in pienezza ogni singolo istante, avere capacità di ascolto.
La famiglia è poi anche il luogo della prova, della fatica, della croce, ma è proprio il sigillo della croce che rende l’amore più autentico, qui è il mistero dell’eros crocifisso (Sant’Ignazio di Antiochia) quale fonte di una nuova sapienza. Assumendo la fatica del quotidiano, dando dignità alle piccole e alle grandi cose di tutti i giorni, lentamente i membri della famiglia scorgono nella tenerezza e misericordia reciproca, l’apparire di una “Bellezza che crea ogni comunione” (Dionigi Areopagita). Soltanto da questa Bellezza inabitata dallo Spirito vivificante può giungere una rivelazione di senso per l’esistenza, e questo non può che essere il dono sempre nuovo dell’amore. Questa grazia, il santo la riceve ad ogni incontro, perché egli è, come diceva Evagrio, allo stesso tempo “separato da tutti e unito a tutti”. È in questa Bellezza-Comunione della famiglia che si può scorgere come il divino s’incontra con l’umano, fino a riscoprire il volto di Cristo nell’uomo e presentire il volto dell’altro in Dio.
3. Il problema è la qualità dei legami, della relazione, questo è il centro di tutto, laddove si gioca il mistero di Dio. Qui secondo me va enfatizzato il discorso sulla famiglia.
4. L’identità della persona si costruisce proprio nella famiglia, fin dai primi anni, e si fonda sulla qualità della relazione del dialogo che “disvela” (filosofia dialogica). C’è una qualità diversa che caratterizza ogni relazione e che svela l’identità e la differenza nella famiglia, dove ognuno ha un portato sapienziale e dove la circolarità dei legami diventa fondamentale.
5. Ci sono due questioni centrali, che secondo me sono da riprendere:
6. Per un verso è necessario recuperare le peculiarità dell’antropologia cristiana sulla famiglia, a partire dai fondamenti biblici, sapienziali e spirituali, per essere “nel mondo” senza essere “del mondo”, ma per altro verso, non possiamo certo pretendere che tutto si riduca alle nostre costruzioni umane. L’educazione al mistero e alla qualità della relazione comunionale è solo in ordine all’accoglimento di un dono di Grazia che ci precede e di una divina Presenza che accompagna le nostre esperienze quotidiane.
Tale teoria viene elaborata dal sociologo tedesco Niklas Luhmann.
Si fa notare che tali dati sono molto parziali e disomogenei quanto al tempo ed al luogo di riferimento. Sono parziali poiché non riportano tutti gli aspetti necessari a costruire un quadro completo della situazione famigliare. Sono disomogenei quanto al tempo perché si riferiscono ad anni diversi (dal 2001 al 2007) e quanto al luogo (poiché si riferiscono ad ambiti spaziali diversi (Diocesi, Comune, Regione, Italia).
Da uno studio Istat, effettuato nel febbraio 2007, emerge che «accanto alle convivenze prematrimoniali cresce l’accettazione sociale della convivenza come modalità di formazione della famiglia alternativa al matrimonio». Una recente indagine, promossa dalla Regione Piemonte su un campione rappresentativo di popolazione dai 18 ai 29 anni, attesta che oltre un terzo dei giovani vive (o sceglierebbe) un rapporto di convivenza.
La famiglia è costituita da un insieme di persone legate da vincoli di: 1) matrimonio; 2) parentela; 3) affinità; 4) adozione; 5) tutela; 6) vincoli affettivi, 7) coabitanti (anche se non ancora iscritte nell’anagrafe del comune ove dimorano abitualmente). Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona.
N. famiglie unipersonali, che vivono sole, di età inferiore a 35 anni ----> Nel 2001 ----> 3,89% (media nazionale 3,22%).
Il nucleo famigliare è l’insieme di persone che formano una relazione di coppia o di tipo genitore figlio. La coppia si intende: 1) coniugata o convivente; 2) senza figli o con figli mai sposati; 3) un solo genitore assieme ad uno o più figli mai sposati. Nell’ambito di una famiglia possono esistere uno o più nuclei famigliari o anche nessuno (come nel caso delle famiglie unipersonali).
Persone regolarmente coniugate (magari con figli) che, per motivi di lavoro risiedono in città o regioni diverse e sono costrette ad incontrarsi solo nei fine settimana.
Tale numero si aggiunge ai circa 2 milioni di persone (“i pendolari della famiglia”) che per motivi diversi si spostano da un luogo ad un altro per incontrare i componenti del nucleo famigliare.
Da ciò consegue che la riproduzione sociale è drasticamente rallentata, tanto da non consentire un adeguato tasso di sostituzione (calcolato intorno a 2,1 figli per donna).
Lo studio Istat del 2007 rileva che il fenomeno dei figli nati fuori dal matrimonio è, in Italia, intorno al 15%, pari a circa 80mila bambini l’anno, quasi il doppio rispetto a dieci anni fa.
P. Berger, Una gloria remota, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 49.
Fonte: http://www.diocesi.rimini.it/wp-content/uploads/2012/10/Dispensa-sulla-famiglia-P.C._Copia-Ristretta_06-09-2010.doc
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