Fobia scolastica

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Fobia scolastica

Un caso di comunicazione scuola – insegnanti - alunno
Su presunta “fobia scolastica”, ossia le tentate soluzioni che peggiorano il problema.(naturalmente il caso riportato è reale, ma nell’esposizione è utilizzato un nome di fantasia e non è riferito ad una situazione del territorio piacentino)

A., un bambino di sette anni, manifestava improvvisi malesseri come nausea, vomito, mal di pancia, ansia e rifiuto di andare a scuola. Mentre la madre, di professione insegnante, reagiva alla situazione spingendo A. ad andare ugualmente a scuola, timorosa del fatto che il bambino potesse rimanere indietro con gli apprendimenti e non ottenere quindi buoni risultati (con la sola conseguenza di essere poi chiamata dalle insegnanti poco dopo l’inizio delle lezioni per andarla a riprendere), il padre, molto più accondiscendente, era dell’idea di non mandare il figlio a scuola se ciò era per lui causa di tali malesseri (accompagnava quindi A. fino all’ingresso della scuola e, se manifestava disagio, lo riportava a casa). Le insegnanti, dal canto loro, mostravano verso A. un atteggiamento protettivo, di estrema preoccupazione e “compassione”, cominciando anche a sorvolare sui compiti scolastici e sulle verifiche quando il bambino non otteneva esiti positivi, scusandolo a causa delle sue numerose assenze. In questo caso l’atteggiamento di tutti gli adulti non faceva altro che offrire ad A. grande attenzione e scusanti, offrendogli ciò che in termini tecnici viene chiamato “vantaggio secondario” legato al problema manifestato e che è una delle cause del suo mantenimento. La soluzione in questo caso è stata quella di fare in modo che i genitori assumessero una posizione comune evitando innanzitutto di manifestare al bambino eccessiva ansia e preoccupazione nei confronti dei suoi malesseri, per non enfatizzarli, e dandogli l’attenzione richiesta in altri momenti diversi da quelli in cui esternava ansia. In secondo luogo è stato indicato loro di rassicurare A. sulla normalità dell’avere momenti di apprensione legati al dover andare a scuola e al dover fare compiti e verifiche, ma di spiegargli anche come ciò, anche se non sempre piacevole, fosse necessario e non oggetto di scelta, e comunque affrontabile con maggiore serenità. L’intervento con le insegnanti è stato invece incentrato sull’eliminare il loro atteggiamento fin troppo protettivo nei confronti di A., facendo in modo che anche a lui venissero fatte le stesse richieste fatte ai suoi compagni, evitando comunque l’assunzione di un atteggiamento troppo “duro” e frustrante. Il dare, da parte degli adulti, meno peso all’ansia e alle preoccupazioni del bambino e ai conseguenti “sintomi” ha fatto sì che anche quest’ultimo si rasserenasse, portando all’estinzione graduale anche degli stessi malesseri fisici.

L’essere flessibili rispetto ai problemi che i bambini o gli adolescenti ci pongono e alle soluzioni che riusciamo a trovare ci permettono quindi di agire in modo pragmatico ed efficace, mentre la rigidità non fa altro che aumentare notevolmente i problemi degli stessi ragazzi.
Il presupposto da cui partire e che occorre innanzitutto precisare è che non esistono bambini cattivi o “malati”, ma esistono solo relazioni disfunzionali. Talvolta questo non viene considerato o viene dimenticato, imputando tutta la responsabilità dei loro problemi agli stessi bambini, come se gli adulti non fossero parte integrante della relazione e quindi anche del problema. Questi ultimi dovrebbero invece pensare che molto spesso le difficoltà dei ragazzi sono proprio originate da una serie di tentativi che gli adulti mettono in atto allo scopo di risolverle e che il più delle volte non solo non sono risolutivi, ma addirittura le alimentano e talvolta le peggiorano. In termini tecnici si parla in questo caso di tentate soluzioni disfunzionali.

Capita di sovente ad esempio che nei casi di fobia scolare (riluttanza e rifiuto della scuola da parte del bambino, manifestati talvolta anche con la comparsa di sintomi fisici come mal di testa, mal di stomaco, etc.) gli adulti cerchino innanzitutto di individuare una causa di ciò all’interno del bambino, considerandosi come estranei al problema. Si è visto invece che, in gran parte dei casi, la fobia scolare si viene a costituire proprio in relazione ad un particolare tipo di interazione che si instaura tra il bambino e uno dei due genitori.
Generalmente tutto parte da una paura del genitore, ad esempio la madre, e da un suo stato di ansia rispetto alla possibilità che il figlio possa avere all’inizio della scuola qualche problema; proprio sulla base di questo capita spesso che la madre cominci a mettere in atto tutta una serie di azioni preventive allo scopo di prevenire/evitare queste possibili difficoltà. Una delle cose che viene fatta è ad esempio quella di andare alla ricerca della scuola migliore, in cui il figlio fragile e sensibile possa essere accolto al meglio e senza traumi, e facendo ciò la madre generalmente parla anche con le insegnanti allo scopo di informarle delle caratteristiche particolari del proprio figlio. In questo modo però, anche se involontariamente, non farà altro che allertarle prima che ce ne sia stata l’effettiva necessità, portandole ad esempio a pensare “ecco un altro caso difficile” ancor prima che queste abbiano effettivamente visto il bambino. Ciò inevitabilmente influenzerà l’atteggiamento delle insegnanti al momento dell’inserimento, portandole a comportarsi con il bambino come se questo fosse effettivamente problematico.

 

 

Fonte: http://www.icbobbio.it/botti8.doc

Sito web da visitare: http://www.icbobbio.it

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