Infanzia e famiglia

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Infanzia e famiglia

 

La famiglia con gli occhi dei figli.

 

Il fatto che la famiglia sia uno dei temi in cui maggiormente si dispiega la verve polemica di esponenti cattolici nel dibattito odierno, non deve certamente fuorviare nella errata opinione che la famiglia sia un affare della Chiesa, della religione, o delle religioni. Cosi facendo si correrebbe il rischio di svuotare l’istituzione familiare da quella che ne è la vera essenza, e cioè di nocciolo aggregativo primordiale, germe di ogni società, in qualsiasi epoca la si consideri, anche prima dell’avvento della nostra religione cattolica.
Fare della famiglia una bandiera del cristianesimo in un contesto mai come adesso connotato di forti aspetti pluralistici, infatti, espone a mio avviso la famiglia stessa a critiche fin troppo facili quali ad esempio l’essere di parte, il voler difendere l’ideologia piuttosto che l’idea.
Invece la famiglia, anche per un buon cattolico, va affermata, difesa e apprezzata nella sua concezione laica, lasciando poi alla libera scelta critica di ognuno la possibilità di declinarla alla maniera cristiana piuttosto che musulmana piuttosto che atea e via dicendo.
In effetti, la famiglia in senso stretto è la naturale derivazione degli istinti primordiali di conservazione della specie, che portano i genitori a rimanere insieme, accudire i loro figli e assicurare loro sostentamento e protezione contro le insidie del mondo circostante.
Sull’antichità della famiglia, semmai dovesse essere necessario, la più risalente testimonianza finora trovata è la cosiddetta Famiglia di Eulau, che proviene da una tomba trovata a Eulau (Sassonia), datata 4600 anni fa, contenente i resti di un uomo, una donna (con una età stimata di circa trent'anni) e due bambini di circa 5 e 9 anni di vita. L'analisi del loro DNA ha confermato il legame di parentela familiare suggerito dalle peculiarità della sepoltura: i corpi furono sepolti abbracciati fra di loro.
E ancora, già in epoca romana precristiana, la famiglia era diventata una vera e propria istituzione di diritto, aggregazione elementare della società già composta sulla base delle nuptiae, e coloro che vi appartenevano erano soggetti all’autorità del pater familias .
Oggi, la Costituzione italiana riconoscendo e definendo la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ne riconosce (importante la valenza ricognitiva e non attributiva) i diritti (articolo 29). Ci sono interpretazioni molto diverse che vengono date a questo articolo e ad altri articoli che parlano di famiglia: alcuni vedono una definizione specifica di famiglia altri invece no, alcuni vedono una limitazione in senso eterosessuale di cos'è famiglia e di cos'è matrimonio e altri invece no.
Quel che è certo è che con la riforma del diritto di famiglia (legge 151/75) si è superata la concezione patriarcale della famiglia a favore di una più giusta parità tra l’uomo e la donna nella conduzione della famiglia e nei rapporti tra i coniugi, e tra genitori e figli. Vero è che la legge in questo campo non è destinata a dettare l’ultima parola, infatti quello dei rapporti interprivati e in particolar modo i rapporti familiari, è un ambito in continuo divenire.
Ad esempio, ai giorni nostri è in notevole crescita il fenomeno delle convivenze, come è in notevole crescita l'emancipazione di molte persone omosessuali le quali chiedono di poter scegliere anche loro se sposare o meno la persona amata; in questo contesto ci sono delle rivendicazioni, come le richieste di una maggior tutela e di un riconoscimento giuridico delle formazioni sociali extra-matrimoniali (Vedasi il progetto di legge “DICO” il cui iter non è andato a buon fine) e quelle di porre fine all'esclusione dei gay dalla possibilità di contrarre regolare matrimonio col proprio partner. Queste rivendicazioni hanno trovato e stanno sempre più trovando totale o progressiva realizzazione in gran parte dei Paesi europei e occidentali in generale, si pensi a realtà come quella francese, inglese, spagnola, tedesca, svedese, olandese, israeliana, canadese, californiana, newyorkese, sudafricana, australiana, neozelandese, persino taiwanese di recente. In Italia, al momento, queste rivendicazioni sono comparse da relativamente poco tempo nello scenario mediatico-politico quotidiano, tuttavia, le ricerche Eurispes "Rapporto Italia" dal 2003 ad oggi mostrano che, soprattutto quelle relative alla tutela e al riconoscimento delle coppie di fatto, stanno guadagnando il consenso dell'opinione pubblica, laica o cattolica che sia.
Le “famiglie di fatto” che vengono alla luce in un tale contesto, non sembrano tuttavia, secondo quanto emerge da una visione d’insieme dell’Ordinamento italiano, minare il ruolo della famiglia legittima che, come recita la Costituzione, è quella fondata sul matrimonio e che, alla luce di una tale formulazione, mantiene la propria superiorità rispetto alle forme “irregolari”, come le definisce papa Giovanni Paolo II nell’enciclica “ Familiaris consortio”.
Resta infatti l’importanza impareggiabile dell’impegno solenne che gli sposi assumono davanti a Dio, alla legge, alla intera comunità, e non è un impegno da poco, è un impegno che non si può revocare a piacimento, ma che cambia la vita e apre nuovi scenari, che chiama la coppia a fondare una famiglia, a declinarla proprio secondo i canoni della famiglia cristiana, il cui esempio perenne non può che essere la Sacra Famiglia.
Su questa “irregolarità” mi ha colpito la riflessione di papa Giovanni Paolo II, il quale ha evidenziato il paradosso del nuovo millennio, per cui nei paesi del terzo mondo non ci sono i mezzi di sussistenza che consentano alle famiglie di vivere un’esistenza dignitosa, e per contro nei paesi cosiddetti avanzati, il progresso e il benessere ormai diffuso instillano negli animi il cosiddetto “pensiero debole”, connotato dalla paura del futuro, con il conseguente rifiuto di assumere un impegno duraturo come quello cui si è chiamati per formare una famiglia.
Tra le situazioni irregolari passate in rassegna nella suddetta enciclica vi sono gli esperimenti coniugali, le coppie di fatto di tipo eterosessuale e anche omosessuale, i matrimoni tra cattolici celebrati col solo rito civile, i divorzi, i controlli sulle procreazioni e la “piaga” dell’aborto.
Ma al di là di queste problematiche esterne, peraltro molto dibattute, sembra opportuno soffermare l’attenzione su un aspetto più intimo della famiglia, quello delle dinamiche interne, perché è lì che, a mio parere, si gioca la partita fondamentale per la sopravvivenza e il successo della Famiglia tradizionale nel nuovo millennio.
Quello che in particolare può interessare chi come me è “figlio”, è il rapporto tra genitori e figli, rapporto che talvolta, specialmente a partire dalla fase adolescenziale, può risentire delle instabilità che accompagnano questa delicata fase della crescita dei figli. Questa particolare fase mette a dura prova la comunicazione coi genitori. La conflittualità tra i bisogni di autonomia e di protezione dell'adolescente si esprimono all'interno della famiglia attraverso nuove e diverse forme di comunicazione sia verbali (come silenzi, aggressività verbale, aumento dei conflitti, provocazioni), che non verbali (come modo di vestire e di atteggiarsi, rapporto con il cibo, modalità di gestire gli spazi personali).
La fase dell'adolescenza caratterizzata da comportamenti che vanno dalla solitudine all'irrequietezza, dal rifiuto delle regole familiari (fino ad allora accettate) al rifiuto scolastico, dalle nuove richieste ed esigenze relative al desiderio di avere il motorino o la macchina, di andare in discoteca, di non avere orari da rispettare, comporta delle irregolarità di condotta nel contesto familiare, che rischiano di compromettere in modo drastico la comunicazione all'interno della famiglia.
La comunicazione fra genitori e figli può, quindi, diventare difficile, i genitori possono sentirsi insicuri, poco informati, e i figli possono sentirsi incompresi, non ascoltati, e non trovare argomenti da condividere con i genitori. I figli possono soffrire molto il sentore di una fiducia nei loro confronti da parte dei genitori, che sembra scemare sempre più.
Per i genitori è importante essere flessibili e cambiare le modalità comunicative adottate: non si può pretendere di rapportarsi al “figlio”così come si faceva fino a qualche anno prima, bisogna rendersi conto della nuova personalità, bisogna capire che quel figlio è una “persona”. Mantenere il rapporto così come maturato con il figlio dall'infanzia rischia, infatti, di portare incomprensioni e continue ed esasperate richieste e provocazioni da parte del ragazzo, con il rischio di compromettere il dialogo e di rompere i rapporti.
Ma lo stesso cambio di prospettiva lo suggerirei anche al figlio, è utile infatti rendersi conto che con la propria crescita oltre ad acquistare maturità indipendenza ed esperienza bisogna farsi carico di un nuovo ventaglio di rapporti con gli altri, che non sono più quelli del bambino ma sono ormai quelli dell’uomo, e ciò vale in primo luogo nei confronti dei propri genitori: non solo un padre e una madre ma due persone. Da questo cambio di prospettiva passa il rispetto per le opinioni degli altri, la possibilità di trovare una sintesi alla altrimenti insanabile divergenza di vedute tra genitori e figli. Dunque più apertura, più dialogo. I genitori non cerchino rifugio nell’autorità e i figli non cerchino rifugio nella ribellione. Il luogo dove incontrarsi è il dialogo, la casa, l’appartenenza.
La discussione, il dialogo in famiglia non è soltanto un mezzo per sviluppare conoscenze e consapevolezze. E' anche una delle vie (rinforzata dallo stare e fare delle attività assieme, dal coltivare degli interessi comuni, ecc.) per creare senso di fiducia, affetto, senso di appartenenza e, perché no, anche un certo “orgoglio di famiglia” che accomuni genitori e figli e li faccia sentire un fronte comune. E' una delle vie per creare quelle convinzioni interiori, vere forze interne che possono poi governare il comportamento. Dentro la famiglia, infatti, i figli possono via via giungere a rappresentarsi sia le attese dei genitori circa il loro comportamento e le valutazioni che ne daranno, sia l'immagine complessiva che essi mostrano di avere di loro ( e che sentiranno di non dover smentire se positiva, o di dover modificare in meglio se incerta o negativa). Queste informazioni ed attribuzioni di significato, possono venire personalizzate, divenendo parte della propria visione delle cose e del mondo, cioè vere forze interiori che aiutano la persona a tener conto dei propri valori e a produrre comportamenti ad essi coerenti anche quando si trova sola. In altre parole, è in famiglia, che i figli formano gran parte del carattere degli uomini che saranno.

Il rapporto tra genitori e figli, nella famiglia cristiana, è anche la sede privilegiata attraverso cui i genitori possono trasmettere la fede, il messaggio di Cristo, la testimonianza della loro vita improntata alla ricerca della grazia di Dio. Il focolare domestico può diventare la sede della condivisione di una preghiera, di una speranza, di gioie e di dolori, anche pesanti, perché quando un evento negativo, un lutto, un insuccesso, una malattia grave colpiscono un membro della propria famiglia, una persona vicina, amata, è grandissimo il dolore che colpisce il cuore degli altri familiari, quasi come se tutto il corpo soffrisse per la malattia di un suo arto, di un suo organo. Tale e talmente forte è il legame che si instaura tra i membri di una famiglia, tra sposi, tra genitori e figli, tra fratelli. È un’empatia talmente pregnante che consente di esultare, gioire e soffrire tutti insieme. È  l’essenza della famiglia.
A mio avviso, nel relativismo dei valori che caratterizza l’epoca in cui viviamo, è più che mai attuale il bisogno di rifugiarsi in un insieme di certezze, in un nocciolo duro che resista agli assalti esterni, siano essi ideologie, mode, usi….
È in questo contesto che la famiglia, e in questo caso soprattutto i genitori, con il loro ruolo di educatori, di guide, devono assumersi la responsabilità di trasmettere i propri valori, non solo con le parole, ma anche con le azioni! Essi devono farsi testimoni della cristianità, non devono avere paura di mostrarsi nella loro fede, come anche nelle loro debolezze, come anche nelle loro gioie e nei dolori, così che anche i figli, forti di un messaggio così vivo e così pregnante, abbiano la certezza di una fede, e di una rosa di valori che siano ben radicati in loro, e che non temano le influenze del mondo esterno, facendosi a loro volta portatori di questi valori verso l’esterno, e testimoni di cristianità.
Anche un segno della croce, un ringraziamento prima del pranzo, un santo rosario recitato insieme, sono gesti che fortificano la fede, sono gesti di comunione, idonei a declinare  la famiglia nella   cristianità.
Il segreto della famiglia sta tutto nell’unione, nella condivisione, nel dialogo a volte discreto, a volte scherzoso e leggero, altre volte perché no anche acceso, con toni forti, perché questo può succedere nella dialettica dei confronti. L’importante è, a mio avviso, non innalzare muri visibili, né frapporre veli invisibili ma altrettanto nocivi, tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fratelli.

Oggi la famiglia deve fronteggiare quelli che taluna dottrina conservatrice chiama attentati, le unioni di fatto, i matrimoni ufficiati in Comune e non celebrati in chiesa, le coppie omosessuali e quant’altro.
Ebbene, secondo la mia opinione la famiglia vera, tradizionale, non ha bisogno di difensori che argomentino a favore di una sua superiorità vera o presunta, né che vengano demonizzate le figure minori, “irregolari” di aggregati umani. La famiglia vera non ha bisogno di essere difesa da questi fenomeni perché si trova su un piano parallelo, che non si scontra con le altre forme irregolari di famiglia, perché è una istituzione ontologicamente diversa, che non deve temere la concorrenza nel terreno in cui per natura si trova.
D’altra parte, argomentando logicamente, fautori di opposte dottrine potrebbero fondare sulla ragione diverse concezioni morali che screditerebbero la famiglia tradizionale a favore delle altre tipologie aggregative.
Scegliere di sposarsi in chiesa o in comune attiene a una libera scelta, e la libertà di autodeterminazione, oltre ad essere garantita dalla legge è anche e ancor prima un dono che Dio ha fatto a tutti noi, dandoci una coscienza per poter scegliere.
Ecco dunque che ci troviamo in un’epoca in cui, come afferma il filosofo postmoderno Hengelhardt,siamo tutti stranieri morali, costretti a convivere tra di loro, e solo una società con una morale semivuota, cioè senza una visione etica forte, potrà permettere che la società tragga le sue energie da più visioni morali riconoscendo alle persone la libertà individuale e, contemporaneamente, la possibilità che fioriscano scelte libere e responsabili”.
Alla luce di tutto questo, la risposta migliore che la famiglia come istituzione può dare, è forse la risposta meno rumorosa verso l’esterno, ed è una risposta che la famiglia, anzi le famiglie, dovranno cercare, trovare e praticare al loro interno, tramandando la bontà delle tradizioni che fanno capo alla nostra cultura da secoli, arricchendo la famiglia di valori assoluti come quelli cristiani.
Fintantoché continueranno ad esistere famiglie cristiane col coraggio della fede, continuerà ad esistere la Famiglia cristiana.

 

Fonte: http://www.famiglierog.net/wp-content/uploads/la-famiglia-con-gli-occhi-dei-figli.doc

Sito web da visitare: http://www.famiglierog.net

Autore del testo: Pierpaolo Arena

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