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LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA
Il clima di accelerazione storica del mondo contemporaneo con i suoi ritmi sempre più frenetici e vorticosi investe ogni aspetto della nostra società, la famiglia, così come la scuola. Siamo immersi in una società che è completamente centrata sul mito della velocità, del fare presto, dell’accelerazione.
Nessuno ha più il tempo di attendere. Oggi si vuole tutto velocemente. Grazie alla televisione e alle reti telematiche è di gran voga la somministrazione di notizie in tempo reale, in diretta. Si è cioè convinti di potere di più se si è in rete con tutto il mondo attraverso un computer, un telefono o un monitor. A cosa serve tutto questo? Spesso non si sa. Si sa solo di essere collegati con tutto il mondo. Forse si ottiene un grande senso di sicurezza, di protezione, rispetto alla sensazione di esser soli. Si vive con il mito incalzante del tempo reale e si sta perdendo la capacità di saper attendere. Chi ha più il tempo di aspettare l'arrivo di una lettera? Oggi è possibile alzare la cornetta e sentire la persona con cui si vuol comunicare in pochi secondi. Che vantaggio c'è nello scrivere delle lettere? Se tutto va per il giusto verso c'è da attendere una settimana. Molto meglio il telefono, la posta elettronica, la chat.
Siamo nell'epoca del tempo senza attesa. Questo ha delle ripercussioni incredibili sul nostro modo di vivere. Non abbiamo più il tempo di attendere, non sappiamo partecipare a un incontro senza essere disturbati dal cellulare, vogliamo tutto e subito in tempo reale. Le teorie psicologiche sono concordi nel pensare che una delle differenze fra i bambini e gli adulti risieda nel fatto che i bambini vivono secondo il principio di piacere (tutto e subito), mentre gli adulti vivono secondo il principio di realtà (saper fare sacrifici oggi per godere poi domani). Sembra che oggi gli adulti, grazie anche alla società del consumismo esasperato, vivano esattamente come i bambini secondo le modalità del voglio tutto e subito. Sapremo ritrovaretempi naturali? Sapremo attendere una lettera? Sapremo piantare una ghianda o una castagna sapendo che saranno i nostri pronipoti a vederne la maestosità secolare? Sapremo aspettare? Si tratta di intraprendere un nuovo itinerario educativo. Genitori, educatori, insegnanti e tutti coloro che ruotano attorno al mondo dei bambini e dei ragazzi, dovrebbero essere stimolati dalle suggestioni offerte dalla pedagogia della lumaca e dovrebbero ricominciare a riflettere sul senso del tempo educativo e sulla necessità di adottare strategie didattiche ed educative di rallentamento.
La pedagogia della lumaca, ovvero l’elogio della lentezza
Rousseau diceva che “bisogna perdere tempo per guadagnarne”, evidenziando che quello che a volte ci appare come tempo perso è in realtà il modo più idoneo per favorire i processi di apprendimento e di crescita dei bambini.
Gianfranco Zavalloni, pedagogista e dirigente scolastico autore di numerosi libri sui temi dell’ambiente e della scuola, ha dato una definizione autorevole di questo pensiero elaborando la pedagogia della lumaca.
È possibile sintetizzare la pedagogia della lumaca, ovvero l’elogio della lentezza, con un invito proveniente dalla cultura latina “Festina lente”, ossia affrettati lentamente. Per arrivare alla meta non bisogna correre, magari improvvisando, ma impegnarsi senza fretta ed in modo oculato.
Il segreto dell'apprendimento scolastico, per Gianfranco Zavalloni, è in gran parte qui. Non il tragitto dritto, lineare, veloce, solitario della freccia scagliata a colpire uno specifico bersaglio, piuttosto lo sviluppo delle capacità di tutti di aderire a quello che si sta facendo e costruendo, di andare a fondo scoprendone i significati e inventandosene di propri. Una scuola lenta, una pedagogia della lumaca. Andare a piedi, usare le mani, esplorare, costruire, sbagliare e imparare dagli errori, aiutarsi reciprocamente.
«Qualsiasi apprendimento, per essere significativo, deve passare attraverso tre esperienze: il gioco, strumento ideale per apprendere e rispettare le regole, e per maturare nelle relazioni sociali; lo studio/l'impegno, per acquisire le componenti culturali della simbolizzazione e della comunicazione; il lavoro manuale, per educare il corpo all'uso di tutti i suoi sensi e per imparare a vivere nel mondo con responsabilità». C'è, in questo splendido testo di Zavalloni, un repertorio ricchissimo di indicazioni e di spunti per una didattica efficace nelle scuole dell'infanzia e dell'obbligo scolastico, ma anche per l’educazione in genere. Ci sono le strategie educative di rallentamento, basate sull'idea di Rousseau che «perdere tempo è guadagnare tempo»: perdere tempo ad ascoltare, a parlare insieme, perderlo per rispettare tutti, per condividere le scelte, per giocare, camminare, crescere. Perdere tempo per un'altra idea di educazione, per un'altra società rispetto a quella, basata sul successo, sul guadagno, sul competere, sul vincere, che oggi sta assediando e danneggiando la scuola.
L'involucro dei consigli sembra nostalgia della scuola di una volta, prima della plastica, della fotocopiatrice, di internet, ma la sostanza è un'altra. Recuperare la stilografica, perfino il pennino e il calamaio, e la scrittura in corsivo, perché la bella scrittura è capacità di concentrazione, autocontrollo, sviluppo della mano che pensa, educazione all'ordine e alla bellezza. Disegnare anziché fotocopiare, per non uccidere la creatività, l'originalità, l'unicità. Creare da soli tavole, schemi e organigrammi, perché «solo così gli apprendimenti saranno davvero nostri. Scrivere lettere vere, per reimparare, nell'età del tempo senza attesa, la capacità di aspettare. Bandire il copia e incolla, perché la ricerca non è assemblare, ma cercare le fonti attendibili, scegliere le informazioni che servono, darsi un punto di vista per organizzare, elaborare, concludere.
Strategie didattiche di rallentamento
Per Zavalloni si tratta quindi di “perdere il tempo” all’interno della scuola, ovvero di scovare le diverse strategie didattiche utili a rallentare. L’opera concreta è quella di ribaltare alcune pratiche educative e didattiche che ormai per inerzia sono entrate nelle consuetudini delle scuole. Di conseguenza, diviene indispensabile proporne di nuove, che forse per alcuni sembreranno vecchie o già poste negli archivi del passato.
C’è una fase, di solito l’inizio del primo anno di un nuovo ciclo scolastico, in cui tutto il tempo perso a parlare e ad ascoltare i ragazzi nelle loro storie personali è preziosissimo. È il tempo della scoperta, della conoscenza dei vissuti personali, dell’elaborazione di buone regole comuni del vivere insieme. Perdere tempo senza fare il programma, uno dei principali motivi d’ansia dei nostri insegnanti, non è di certo perdere tempo. Ci sarebbe molto da riflettere, a tal proposito, su tutte quelle attività di cosiddetta continuità fra i diversi gradi di scuola se poi non perdiamo tempo a conoscere i nostri ragazzi.
Qui si parla di penna stilografica, di cannetta, pennino e inchiostro. È l’arte della calligrafia, dello scrivere bene, della bella scrittura. Nell’era del computer si tratta anche di sperimentare la tecnica dell’inchiostro e del pennino.
È la prima e indispensabile maniera per vivere in un territorio, per conoscerlo bene e a fondo nelle sue vicende storiche e geografiche. Farlo insieme, con tutti i compagni della classe, permette di vivere emozioni, volgere lo sguardo su particolari mai visti dall’abitacolo delle nostre veloci automobili, sentire gli odori, provare sensazioni che creano legami. Per questo sarebbe davvero importante cominciare o ricominciare a fare gite a piedi.
La fotocopia è la grande maledizione delle nostre scuole. Oggi si fotocopia tutto. Abbiamo la mania di riprodurre tutto con una fotocopia e darlo da colorare ai nostri ragazzi oggi diventati espertissimi nel riempire di colore gli spazi di una fotocopia. Bisogna recuperare l’originalità del fare personalmente, con il disegno proprio. Disegnare e creare da soli tavole, schemi e organigrammi. Solo così gli apprendimenti saranno nostri.
Conosco una maestra che porta spesso i ragazzi della propria classe nel prato davanti a scuola. Nelle giornate nuvolose e di vento, li fa sdraiare per terra e guardare le nuvole nel cielo, immaginandone forme e movimenti. È scuola questa? Si è scuola, un’eccezionale scuola di poesia.
Nell’era della posta elettronica ricevere gli auguri di Natale con una lettera di posta elettronica indirizzata ad altre 150 persone può, se ci fermiamo un attimo a pensarci, creare un po’ di disagio. Si fa prima e non si perde tempo, questa è la motivazione. Non c’è nulla di più spersonalizzante. Che bello, invece, ricevere e scrivere una cartolina, una lettera singola, un biglietto personalizzato. In occasione delle feste e delle ricorrenze, anziché i classici regalini, gadget o piccoli giocattoli spesso inutili, si potrebbe proporre ai nostri ragazzi di scrivere, ad esempio, cartoline variamente decorate con un ampio ventaglio di tecniche, come il collage, i timbri decorativi e tante altre.
Rallentiamo anche a casa
La regola più importante dell'educazione, dice Rousseau, “non è di guadagnare tempo, ma di perderne”. Alla sorpresa del lettore Rousseau esclama ”lettori volgari, perdonate i miei paradossi, ma preferisco essere uomo a paradossi che uomo a pregiudizi”. Ci vuole pazienza, occorre sapere osservare la crescita e l'evoluzione del bambino. Per conoscerlo occorre tempo e per permettere al bambino di conoscersi occorre lasciargli il tempo di scoprirsi.
Da questa preziosa affermazione di Rousseau e dalle indicazioni di Zavalloni, rivolte alla scuola, che esplicitano strategie didattiche di apprendimento finalizzate a bandire la fretta per dare la possibilità ai bambini di avere la possibilità di crescere nel rispetto dei loro ritmi, dei loro modi e dei loro tempi di apprendimento, possiamo trarre utili e preziosi consigli come educatori e genitori.
Zavalloni sostiene che perdere tempo a parlare rappresenta la premessa indispensabile per un corretta relazione educativa. Non si può prescindere, infatti, dalla reciproca conoscenza e creare in classe un clima sociale positivo è possibile solo ascoltando e conversando con i bambini, conoscendo la loro storia e le loro vicissitudini quotidiane. La stessa cosa vale nelle nostre case, all’interno delle nostre famiglie.
L’ascolto è una delle esperienze più significative e fondamentali della pedagogia e rappresenta la premessa di quell’empatia necessaria per fare dell’educazione una relazione d’aiuto.
Occorre perdere tempo per parlare insieme, nel rispetto di tutti, si deve perdere tempo per darsi tempo, ossia per scoprire ed apprezzare le piccole cose, quelle che magari diamo per scontate, ma che in realtà non lo sono, soprattutto per i nostri bambini, che vivono ogni esperienza con la gioia dello stupore.
Dovremmo cercare di dedicare più tempo a casa a parlare con i nostri figli. Spesso li “ascoltiamo” mentre siamo impegnati a fare altro, ma questo non è un ascolto reale. Non diamo per scontato di sapere cosa pensano, di saperli leggere dentro prima che parlino. Fermiamoci più spesso. Ascoltiamoli con ogni cellula del nostro corpo. Diamo importanza e spazio ai loro vissuti, ascoltiamo e prendiamo in considerazione le loro idee, il loro punto di vista.
Il momento principe in cui la famiglia è riunita è quello dei pasti. Tentiamo una piccola rivoluzione, spegniamo il televisore e raccontiamoci le nostre giornate, pianifichiamo insieme le cose da fare.
È importante perdere tempo per condividere le scelte, organizzando a scuola, ma anche a casa delle zone di libertà dove tutti possono sentire la responsabilità di ciò che hanno scelto. È molto bello crescere insieme ascoltando e raccogliendo la cultura e le emozioni dei nostri figli.
Riprendendo Rousseau, lui è profondamente convinto che i bambini siano dei poeti che sentono l'esistenza, che si stupiscono di fronte ai fenomeni della natura. Non bisogna uccidere questa loro sensibilità. “Lasciate venire il bambino: stupito dallo spettacolo, non mancherà di farvi delle domande”. Permettete al bambino di stupirsi e di domandarsi perché. Quanta verità in questa affermazione.
Lasciamo che i nostri figli si stupiscano, scoprano, si incuriosiscano, facciano delle domande. Ci capita spesso, sempre a causa della fretta e delle cose da fare, di stroncare i loro discorsi fantasiosi, per noi talvolta anche senza senso, di ignorare le loro domande, di banalizzare le loro curiosità. Dobbiamo dare spazio al loro stupore, alla loro poesia. Ci arricchiremo anche noi.
Lo stesso richiamo di Zavalloni a dare spazio al disegno, alla creatività e all’arte, canali innati e preferenziali per i bambini, che può fare bene anche a noi adulti riscoprire e valorizzare. Ci sediamo mai a tavolino con i nostri figli a disegnare, colorare con gli acquerelli, costruire qualcosa insieme? Ci siamo mai distesi con loro su un prato a guardare le nuvole o le stelle nel cielo?
Dobbiamo perdere tempo per giocare, camminare, crescere insieme ai nostri figli. Il gioco educa alla convivenza civile più di sterili regole apprese sui libri, che non saranno mai interiorizzate perché non vissute.
Ci concediamo mai una passeggiata a piedi con i nostri figli? Quante belle chiacchierate e quanta vicinanza possono nascere da una semplice passeggiata, momento di condivisione unico e irripetibile. Camminare aiuta ad una maggiore conoscenza e alla scoperta del territorio e per prepararci al futuro dobbiamo dare il giusto spazio al nostro presente. L'importanza del cammino, non dell'arrivo. Il tempo del cammino, che deve essere lento, non solo per accettare il passo di chi è più debole, ma perché inseguendo curiosità e emozioni ognuno possa inoltrarsi, scoprire altre piste, deviare, tornare indietro, scambiare pensieri e sentimenti, costruire relazioni. E domani, proprio per aver compiuto un cammino di questo tipo, possa non dimenticare quello che ha imparato.
Infine, perdere tempo per guadagnare tempo è necessario perché la velocità s’impara nella lentezza. Ma è davvero perdere tempo questo?
La saggezza della lumaca
Nel “Breve trattato sulla decrescita serena” Latouche riprende la bella metafora della lumaca di Ivan Illich per indicare un percorso alternativo a quello, molto simile ad un vicolo cieco, in cui il mito della crescita illimitata ci ha infilato.
In questa situazione, sarebbe urgente riscoprire la saggezza della lumaca. Infatti la lumaca non solo ci insegna la necessaria lentezza, ma ci impartisce anche una lezione ancora più indispensabile.
La lumaca, ci spiega Ivan Illich, costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe, poi smette bruscamente e comincia a creare delle circonvoluzioni stavolta decrescenti. Una sola spira più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande. Invece di contribuire al benessere dell’animale, lo graverebbe di un peso eccessivo. A quel punto qualsiasi aumento della sua produttività servirebbe unicamente a rimediare alle difficoltà create da una dimensione del guscio superiore ai limiti fissati dalla sua finalità. Superato il punto limite dell’ingrandimento delle spire, i problemi della crescita eccessiva si moltiplicano in progressione geometrica, mentre la capacità biologica della lumaca può seguire soltanto, nel migliore dei casi, una progressione aritmetica.
Questo divorzio della lumaca dalla ragione geometrica, che per un periodo aveva anche lei sposato, ci mostra la via per pensare una società della decrescita, possibilmente serena e conviviale.
La lentezza è, insieme ai concetti di leggerezza e di fragilità, una nozione sovversiva per il materialismo pesante e devastatore delle nostre società. Un punto di vista e un'aspirazione essenziali per lavorare a quel cambiamento antropologico di cui l'umanità ha un evidente e urgente bisogno. La cura della lentezza, l'accoglienza della fragilità, l'idea di un'umanità che torni ad essere leggera per il pianeta in cui vive, sono elementi costitutivi di una cultura amica degli uomini e della natura, attenta alla sostenibilità dello sviluppo, capace di opporsi alla violenza dello sfruttamento e del consumo indiscriminato di risorse limitate, di individuare un cammino nuovo, in cui imparare, lentamente, nuovi modi di vivere. Come nelle teorie della decrescita, non si tratta di tornare a un passato che non può più esserci, né tanto meno di mitizzarlo. Ma è all'ordine del giorno, senza dubbio, la necessità di rallentare l'accelerazione di una versione pericolosa della modernità, di allontanare da noi, dai nostri figli, dal pianeta che non siamo più capaci di rispettare, l'incubo di un punto catastrofico di non ritorno.
Da questi pensieri di Illich e Latouche, adottati da molti per riflettere sulla nostra società e per suggerire un rivoluzionario pensiero ecologico, possiamo trarre un altro importante e prezioso spunto per riflettere sulla corsa che facciamo quotidianamente per accrescere le nostre competenze, capacità, conoscenze, senza talvolta avere la saggezza di fermarci a guardare alle piccole cose, ai particolari.
Chiudiamo con un altro pensiero di Rousseau, che sostiene che per pretendere di formare un bambino occorre aver formato prima di tutto se stessi. La conoscenza di se stesso attraverso l'esperienza della vita è un apprendimento che ci spinge a formare le nostra personalità. Chi non ha consapevolezza di questo processo auto-formativo non può pensare di essere educatore. “Ricordatevi, che prima d'intraprendere di formare un uomo, occorre essersi fatto uomo se stesso, bisogna trovare in se stesso l'esempio che si pensa di proporre”. L'educatore autorevole è colui che è consapevole della sua formazione e del modo come tutto ciò sia avvenuto. È quello che nella relazione conosce se stesso e stima la virtù. Rousseau crede nelle virtù educative.
La relazione educativa è anche un atto d'amore, atto d'amore verso l'educando, verso se stesso e verso quello che si trasmette. L'amore rappresenta per Rousseau la massima virtù educativa. Senza amore non vi può essere autorevolezza da parte dell'educatore. Nell'amore vi è il riconoscimento dell'altro come essere eguale a me perchè diverso da me. Le competenze dell'educatore sono prima di tutto competenze umane.
Proprio per questo è importante che ognuno di noi rifletta sul proprio guscio, su come si è formato, sulle spire che lo compongono, sulle esperienze che lo hanno segnato. Solo conoscendo a fondo noi stessi possiamo essere educatori migliori per i nostri figli, più liberi e consapevoli.
Decalogo del “perdere tempo”
Questi pensieri sono dedicati a genitori, educatori, insegnanti impegnati ad aiutare i bambini e i ragazzi a costruire se stessi:
Bibliografia
Fonte: http://www.folignano1.org/wp-content/Progetti/www.pereducareunbambino.it/wp-content/uploads/2013/10/LA-PEDAGOGIA-DELLA-LUMACA.doc
Sito web da visitare: http://www.folignano1.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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