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Lo stile della fermezza per genitori credibili e autorevoli
Dott. Osvaldo Poli - psicologo-psicoterapeuta
I Virus morali
“ Nessun vento è favorevole a chi non sa dove andare “
R. M. Rilke
L’attuale difficoltà dei genitori ad essere fermi non è completamente riconducibile all’influenza debilitante dei virus affettivi e culturali presenti nell’attuale sensibilità educativa .
Non tutto il disagio dei genitori è di natura emotiva, ed il recupero della fermezza va ricercato oltre la stessa psicologia , scienza che descrive il funzionamento dell’apparato psichico ma che, per il suo statuto epistemologico, non può ambire a stabilire normativamente ciò che è bene e ciò che è male.
Le radici della crescente difficoltà dei genitori ad essere fermi si possono rintracciare ad un livello più profondo di quello psicologico .
La fermezza educativa sgorga da una sorgente segreta che si trova in un luogo di cui si è persa traccia nelle mappe della cultura odierna : nella regione della coscienza morale .
La natura della fermezza infatti , come ogni altra virtù , non è propriamente psicologica o culturale , ma è essenzialmente morale ed i genitori che intendano essere autorevoli e fermi non possono che attingere la loro forza principalmente da questa riserva energetica .
L'inquinamento odierno sembra aver raggiunto anche le falde più profonde della coscienza , poiché si è perso il "sapere su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato" rendendo inevitabilmente smarriti i genitori nella loro azione educativa.
Il concetto stesso di bene e male è stato destituito di ogni legittimità culturale .
Al suo posto esiste solo – vago, educato – il concetto di "disagio" come principio interpretativo degli aspetti negativi o problematici della vita dei figli .
Il genitore smarrito
Alcuni virus attaccano subdolamente l’io ideale di ruolo del genitore, svuotandolo della forza delle sue convinzioni educative, rendendolo incerto su cosa sia giusto o sbagliato , degno di essere perseguito o evitato dal punto di vista educativo.
A quel punto tutto il sistema diventa instabile , provocando nel genitore “ l’effetto smarrimento” .
Lo smarrimento avvertito dai genitori e che contribuisce notevolmente alla mancanza di fermezza educativa pare essere in larga misura dovuto all'insicurezza morale , oltre che all'incertezza psicologica .
L’insicurezza morale responsabile dello smarrimento è cosa fondamentalmente diversa dall’incertezza di natura psicologica .
L’insicurezza morale provoca lo smarrimento educativo, l’incertezza psicologica ( ( descritta nei capitoli precedenti) origina la debolezza dello stile educativo.
Lo smarrimento è uno stato mentale di quasi-dolore, , sottile ed impalpabile dovuto alla percezione della mancanza di un fondamento solido alle proprie opinioni , di un principio sicuro cui ispirare la propria azione educativa .
E’ il dolore che attesta l’assenza di un principio credibile che dia direzione e senso all’agire educativo , di una ragione degna di maggiore affidabilità del semplice “ mi sento di fare così” .
Lo smarrimento dei genitori sembra invocare un criterio che liberi dal dubbio persistente di essere in balia delle proprie incerte opinioni e da cui sentirsi giudicati (sì, giudicati !) confermando o smentendo i propri punti di vista sull’educazione dei figli .
Un punto fermo insomma con cui far dialogare i propri pensieri e a cui ricorrere per non sentirsi persi nella soggettivizzazione radicale che toglie ogni fondamento alla distinzione fra vero e falso, fra bene e male anche in campo educativo.
Senza la riscoperta di una sicurezza morale fondamentale appare alquanto improbabile attuare il proposito della fermezza.
Sarebbe poco ragionevole riparare i dinamismi psicologici , (la complessa rete che trasporta energia psichica) senza considerare il collegamento del sistema alla fonte stessa dell’energia.
La certezza morale rappresenta il fondamento della sicurezza psicologica e dunque non si può essere sicuri (psicologicamente) , senza godere di qualche essere certezza (morale).
Il godimento cui si allude è sperimentabile come serenità interiore , un sentimento complesso , di natura etica più che psicologica .
Il virus morale tende a parassitare la più importante e decisiva domanda di ogni genitore : qual è il bene del figlio? E’ possibile avere un’idea certa in proposito ?
Una chiarificazione appare decisiva per poter raggiungere una certa sicurezza e serenità all’agire educativo.
Le tossine rilasciate dall’azione virale, dal canto loro , inducono il convincimento che non esiste alcuna verità in campo educativo e che ognuno è legittimato a ritenere vera la propria opinione .
Il dubbio che paralizza molti genitori è l’effetto di una posizione filosofica molto diffusa nella mentalità corrente riconducibile sostanzialmente all’affermazione che il bene ed il male non esistono o non sono altro che ciò che la propria opinione personale o la propria cultura di appartenenza inducono a ritenere tale.
In realtà esisterebbero solamente le personalissime opinioni di ciascuno , la cui natura autoreferenziale non renderebbe possibile nessuna obbligazione morale.
Una così sottile distruzione del principio d'autorità paralizza l'anima e delegittima radicalmente ogni pretesa di autorevolezza educativa .
Tali posizioni sono ispirate al nichilismo (un potente virus sfuggito da qualche laboratorio filosofico) la cui tesi di fondo , nella sua versione più sofisticata ed aggressiva, è relativa alla radicale impossibilità del pensiero razionale ad accedere alla conoscenza veritativa della realtà .
Un presupposto attualmente accettato come liberatorio, progressista, ed invocato come fondamento della tolleranza e del pluralismo , ma che in realtà crea smarrimento e un'azione educativa incerta, poco coraggiosa perché mancante di punti di riferimento solidi e affidabili.
Cosa dunque è realmente importante nell'educazione del figlio, decisivo per la sua realizzazione personale ?
E' necessario porsi nuovamente questa domanda oggi clandestina , inattuale, con cui pochi hanno il coraggio di misurarsi , invitati dalla cultura pubblica a non cercare troppo oltre l’orizzonte del " benessere psicologico" dei figli.
Il dolore dell'insicurezza e dello smarrimento dei genitori testimonia che non è così agevole rassegnarsi alla conclusione che tale domanda sia senza risposta e che anzi sia proibito desiderarla e sconveniente cercarla.
Se non esiste una verità " decisiva" , in nome di cosa il genitore può esercitare l'autorità e tendere alla fermezza come ad un bene desiderabile?
Solo la certezza di un principio realmente convincente e ritenuto degno di essere perseguito dà al genitore la forza di chiedere ai figli delle rinunce " intelligenti " (alle condotte ispirate, ad esempio, alla comodità del momento, al tentativo di portare il genitore all'esasperazione, a persistere nell’atteggiamento di farsi ripetere mille volte le stesse cose).
E’ necessaria una solida convinzione perché il genitore si senta sorretto nel suo tentativo di aiutare i figli a diventare delle persone migliori.
La coscienza morale
La possibilità di essere fermi implica una preliminare chiarificazione di alcuni snodi decisivi riguardanti la formazione dei figli .
Innanzi tutto : l’educazione dei figli deve riguardare anche l’aspetto morale ?
E quindi: cosa si deve intendere per coscienza morale ?
E’ innegabile che la cultura attuale attribuisca una importanza decisiva alla consapevolezza personale , alla conoscenza di sé . Il sapere dell’ autocoscienza appare decisivo nella comprensione di tutto ciò che riguarda l’umano .
L’accezione più comune del termine coscienza si riferisce alla consapevolezza di pensieri e sentimenti personali ma tale comprensione marcatamente psicologica, non sembra esaurire appieno il significato del termine “ coscienza” , che appare piuttosto resistente a dissolversi completamente nella consapevolezza psicologica fino a divenire un semplice sinonimo della stessa.
L’aspetto oggi tendenzialmente negato come caratterizzante la coscienza sembra essere la dimensione morale della stessa.
In realtà esiste un “sapere di sé” profondo ed ineliminabile che riguarda la conoscenza “morale” oltre che psicologica di se stessi.
La coscienza si può definire , in prima approssimazione come il luogo interiore dove è intuita e valutata la positività e negatività di ogni azione e conseguentemente viene presa una misteriosa ma reale decisione per il bene o per il male.
Da essa sorgono forze che innervano le strutture psicologiche e da cui traggono origine molte energie che " entrano " nel circuito psichico attivando alcune dinamiche a discapito di altre.
Gli aspetti psicologici sono enormemente influenzati dall’intima decisione riguardante " cosa si ritiene interiormente essere bene o male " ; le decisioni morali infatti dinamizzano il sistema psichico e liberano energie insospettate , essendone la segreta sorgente.
Tale aspetto “morale” dell’identità è chiaramente percepibile nei vissuti psicologici dei ragazzi.
Io sono buono o cattivo ? – si chiedono spesso cercando di definire la propria identità.
Ed ancor più pragmaticamente : sono più felice quando sono buono o cattivo?
Queste elementari domande sono già presenti nei bambini che cercano le prime risposte alla loro identità morale chiedendo conferma ai genitori sul fatto di essere considerati buoni o cattivi.
La valutazione “morale” di se stessi è dunque ineludibile e rappresenta un bisogno reale, degno di essere considerato quanto la necessità di scoprire le proprie attitudini , le capacità intellettive o i tratti del carattere.
In molte occasioni è del tutto evidente che i bambini stessi sono consapevoli di fare dei capricci, di forzare la mano ai genitori, di avanzare delle pretese, di dire della bugie per qualche tornaconto .
Possiedono essi stessi la percezione di “ fare qualcosa che non va ” anche se il genitore non si accorge dei loro raggiri né li rimprovera per i loro comportamenti sbagliati. Avvertono di “ comportarsi male” anche quando i genitori non esprimono giudizi di valore sulle loro azioni .
Anche il vissuto psicologico riferito al rispetto delle regole e dei limiti imposti dai genitori non coincide solo e semplicemente con l’esperienza della frustrazione dei propri desideri.
E’ appena il caso di ricordare che anche i bambini sanno riconoscere che molti divieti e richieste dei genitori sono semplicemente giuste ed anche per questa ragione , non solamente per paura dei castighi , in qualche occasione sanno obbedire , decidendo una libera accettazione delle stesse.
Un maggiore realismo imporrebbe di rapportarsi ai figli come se, proporzionalmente alla loro età , possedessero una embrionale capacità di capire e distinguere il bene dal male e di imparare a sopportare una momentanea rinuncia ai propri desideri per qualcosa che intuiscono ragionevole e fondato.
L’azione educativa del genitore si limita ad attivare il programma morale misteriosamente preinstallato , e le sue parole appaiono convincenti se sono conformi al senso innato di giustizia morale presente nei figli.
Una simile considerazione rimanda con tutta evidenza alla più classica riflessione filosofica relativa alla legge morale naturale , che risulta sorprendentemente confermata dalla pratica clinica .
Rivolgersi ai figli come se fossero privi di ogni elementare principio di valutazione morale non è realistico ; l’azione educativa non consiste principalmente nell’inserire forzosamente la propensione alla valutazione morale .
Essa, riferitamente ad alcuni principi di fondo, già esiste ed opera in modo innato, quanto nell’aiutare il figlio a non evitare il confronto con la sua coscienza , perfezionando la sua capacità di comprendere e di aderire ai principi di cui essa è testimone .
Quale verità morale per un buon rapporto fra genitori e figli?
La verità morale perduta, in grado di ridare una direzione di fondo all'azione educativa e contemporaneamente costituire un efficace rimedio all’incertezza dei genitori pare essere così enunciabile : che i figli , per essere felici è necessario che diventino buoni, capaci cioè di voler bene.
Questa certezza che sopravvive attualmente in clandestinità , è fondamentale per l'agire educativo perché costituisce la ragione più profonda e decisiva che giustifica il tentativo del genitore di resistere alle spire avvolgenti dell’oscuro senso di colpa per aver “fatto star male” il figlio, prendendo delle posizioni a lui poco gradite.
Quale essenziale principio , quale bene maggiore rende infatti legittimo opporsi in certa misura ai loro desideri ?
Chi ha smarrito la semplice verità che è necessario aiutare i figli ad essere buoni possiede una visione parziale dell’educazione (in cui prevalgono gli aspetti di un riuscito adattamento alla vita sociale) ma non può attingere alla sorgente motivazionale che sostiene la fatica della fermezza.
Fare in modo che i figli diventino buoni è qualcosa di più del desiderio che non assumano comportamenti devianti e che tendano al successo scolastico e professionale (soglia cui sembrano arrestarsi molte pratiche educative correnti).
Se i figli non sono aiutati a ritenere per certo che possono essere più felici cercando di amare i genitori, ad esempio, invece di ignorarli o sfruttarli , anche l’affetto naturale che provano nei loro confronti è destinato a corrompersi e a trasformarsi in insofferenza e risentimento reciproco.
I rapporti di consanguineità non garantiscono di per sé un buon rapporto fra genitori e figli; i naturali sentimenti di reciproca benevolenza per trasformarsi in legami positivi necessitano di essere convalidati dalla libera decisione di accettare le condizioni che li realizzano .
I legami forti e positivi fra genitori e figli , verso cui gli affetti naturali inclinano, non si realizzano se non sono rispettate le condizioni che permettono al rapporto di essere “ buono” .
Nel caso in cui i figli si rifiutino alle esigenze della reciprocità ( espressione relazionale dell’amore ) diventeranno inevitabilmente un peso ed una delusione per i genitori ; essi si sentiranno accettati solo se li accontentano, si adattano alle loro esigenze e permettono loro di fare ciò che vogliono, senza interferire nella loro supposta libertà.
Solo la richiesta di rispondere con amore all’amore ricevuto , accettando il patto di reciprocità con i genitori costituisce il valore “ di fronte al quale” sorge nei figli il sentimento della responsabilità .
La reciprocità conferisce e mantiene la natura di alleanza al rapporto fra genitori e figli e rappresenta una “ legge certa “ della vita , a conferma che non esistono altre condizioni per realizzare un buon rapporto nelle relazioni famigliari .
Se un genitore conviene su questo principio ed è disposto a “ garantirlo” anche agli occhi del figlio , sente di avere “ un buon motivo” per esercitare l’autorità, per esigere e per vietare .
L’autorità riveste pertanto la forma della testimonianza di una legge cui il genitore stesso si sente sottomesso .
I suoi atti d’autorità non sono intesi a chiedere al figlio di riconoscere il suo potere personale ma sottendono un invito ad accettare ciò che egli stesso ritiene vincolante e decisivo per la propria vita .
La virtù della fermezza
Con il termine di fermezza educativa si intende la capacità di assumere decisioni emotivamente difficili ma che rappresentano l’interesse educativo reale dei figli, resistendo alle pressioni psicologiche interne o esterne tendenti a indebolire, delegittimare o modificare gli atteggiamenti educativi intuiti come opportuni e valutati come giusti.
Il linguaggio quotidiano traduce con singolare semplicità e correttezza l’essenza della fermezza educativa, definendola come la capacità “avere polso” quando è necessario.
Anche se la comprensione e l'apprezzamento della fermezza educativa possono risultare intuitivi ed immediati, non è altrettanto semplice installarla stabilmente fra i programmi attivi nel proprio repertorio educativo.
La pratica della fermezza educativa comporta, per il genitore, l’esperienza di un’importante difficoltà emotiva, dovendo rinunciare al suo naturale desiderio di " vedere il figlio contento", ed accettando il principio che per crescere bene e per realizzarsi egli debba necessariamente passare attraverso l'esperienza della rinuncia, dell'impegno, dell’accettazione del limite all’appagamento suoi desideri.
Chiedere ai figli comportamenti impegnativi o imporre loro rinunce dolorose è inevitabile nell’esperienza di ogni educatore.
La fermezza è rappresentata dalla forza psicologica e morale di resistere alle difficoltà ed al dispiacere richiesto dall'agire per il bene del figlio.
Si è virtuosi quando le tendenze del carattere assecondano o quantomeno non ostacolano il desiderio di lasciarsi guidare dal valore, dall’intenzione cioè di agire nell’interesse educativo del figlio.
Se le forze psicologiche, e le dinamiche affettive non sono opportunamente rese disponibili all'azione del valore, la capacità di agire nell’interesse educativo reale del figlio è limitata o completamente disattivata.
L'apparato psichico dunque deve essere adeguatamente configurato per " far girare" nell’ambiente operativo le buone intenzioni educative, permettendo in questo modo al valore di agire, di influire realmente nello stile educativo .
La virtù della fermezza, come tutte le virtù, non è innata rappresenta dunque uno stato di perfezione abituale dell'intelligenza e della sensibilità affettiva, che mette ordine nelle tendenze del carattere rendendole disponibili all'azione del valore.
L’apprezzamento razionale della virtù e la constatazione della sua necessità, non ne abilita, solo per questo, all’uso.
E’ necessario individuare e sciogliere le difficoltà che la rendono difficilmente praticabile.
A tale fine la riflessione psicologica può fornire gli strumenti per collegare i fili del valore alle caratteristiche personali, attraverso la conoscenza realistica delle proprie debolezze affettive
L’acquisizione della fermezza implica dunque lo sforzo di conoscere maggiormente se stessi, di diventare consapevoli delle dinamiche affettive che possono ostacolare il sincero desiderio di essere genitori autorevoli e fermi.
Una realistica conoscenza di sé rappresenta dunque la condizione indispensabile per correggere alcuni stili educativi deboli, permissivi o eccessivamente accondiscendenti e per acquisire, gradualmente la capacità di essere fermi quando la relazione educativa lo richieda.
I sensi di colpa , ad esempio
Il ceppo virale del senso di colpa, assai diffuso, ha escogitato numerose forme di adattamento alla vita psichica del genitore.
Le sue tossine procurano una sofferenza psicologica caratterizzata dalla intollerabile sensazione di “ aver fatto soffrire i propri figli” e inducono il genitore a riparare segretamente il dolore di cui si sente responsabile.
Le ragioni delle accuse che il genitore muove segretamente a se stesso sono generalmente poco realistiche: si sente colpevole di aver inflitto al figlio una sofferenza che in realtà era inevitabile e indipendente dalla sua volontà, oppure non particolarmente grave ed insuperabile come immagina, o dovuta infine a circostanze sfavorevoli più subite che attivamente ricercate dal genitore stesso.
Tuttavia egli avverte come una grave mancanza non aver saputo proteggere il figlio da tutte le sofferenze della vita e tale colpa, anche se non è consapevole si manifesta molto chiaramente nel suo stile educativo.
Il senso di colpa, anche se inconfessato, appare evidente nel “ modo di fare”, nel tono complessivo che assume il rapporto educativo.
In molti casi esso costituisce la ragione segreta di molti cedimenti, di molte incapacità ad essere fermi, per non “ far soffrire maggiormente” il figlio.
A quest’ultimo apparirà un genitore stranamente arrendevole e sarà tentato di utilizzare questa debolezza per imporre le sua pretese e le sue condizioni, ben sapendo di trovarsi di fronte ad un genitore che, sentendosi in colpa, mette la sordina al suo istintivo senso di giustizia, impedendogli di seguire le sue convinzioni educative più profonde.
I contenuti psicologici del senso di colpa sono molteplici; i più diffusi, riportati nelle " storie di vita" dei genitori, sono:
* Quando il bambino era piccolo, io ero spesso ammalata e non ho potuto seguirlo come avrei voluto
* La mia malattia lo ha condizionato, gli ha tolto delle opportunità, sono stata per lui un problema
* Penso di aver trascurato mio figlio, di non averlo seguito adeguatamente perché dovevo lavorare a tempo pieno
* Non gli ho dato ciò che , in altre circostanze ho potuto dare agli altri figli
* Temo di avergli rubato la serenità, di averlo fatto soffrire con le mie vicende affettive " complicate"
* Ritengo di non dedicargli molto tempo perché sono spesso lontano per lavoro
* Inoltre: mi sento in colpa
- di non aver impedito che da piccolo assistesse a frequenti litigi con il partner con cui avevo gravi disaccordi
- di non aver giocato maggiormente con lui
- di aver messo in cattiva luce l’altro genitore con cui ero in disaccordo
- di non averlo fatto fisicamente “perfetto” come lui avrebbe desiderato
- di non aver saputo evitare la malattia con cui è nato
- di avergli rubato l’infanzia, avendogli dato troppo presto un fratellino
- di non avergli dato un fratello o una sorella , qualcuno con cui giocare
- di non avergli dato il tenore di vita che altri genitori danno ai loro figli
- di averlo desiderato diverso da com’era (lo desideravo maschio o femmina ed è nato del sesso opposto)
- di averlo lasciato al nido d’infanzia invece che tenerlo con me, come fanno le altre mamme
- di aver provato nei suoi confronti dei sentimenti di rifiuto per le conseguenze derivanti dalla sua nascita (ho dovuto rinunciare il lavoro cui tenevo molto o alla progressione della carriera, interrompere degli studi, oppure perché la sua nascita ha determinato la rottura del rapporto di coppia)
Ancora: mi faccio dei problemi
* perché il figlio "è capitato" senza essere desiderato come il precedente anche se inseguito ho superato quel momento difficile . Se mi sentissi dire: tuo figlio ha dei problemi, segretamente penserei che è colpa mia perché non si è sentito accettato
* è capitato in un "brutto momento" in cui avevamo molte difficoltà (economiche, di coppia, dovute a malattie o ad altre circostanze)
* Perché l’ho voluto principalmente per accontentare mio marito, anche se poi mi sono molto affezionata a lui
* Perché nel periodo della gravidanza non provavo entusiasmo come mi sembrava dovesse provare una mamma.
Questi vissuti , scelti fra molti simili , rappresentano dei rimproveri che segretamente il genitore rivolge a se stesso
La possibilità di essere fermo è minata alla radice dal bisogno di rimediare al torto inferto al figlio ed al dolore che immagina di avergli ingiustamente arrecato.
Tutto ciò induce inavvertitamente il genitore ad essere " poco deciso ", a sopportare troppo, a lasciarsi ricattare, ad essere troppo accondiscendente.
Il genitore che agisce mosso dal senso di colpa è alquanto limitato nella sua libertà di essere fermo, quando se ne presenta la necessità.
Box 1
I virus emotivi rappresentano dei “ modi di essere e di sentire” che costantemente ci “ lavorano sotto “ , aspetti del carattere che “ ci portiamo dietro “ da molto tempo, tendenze a metterci in relazione che noi stessi consideriamo inopportune e poco ragionevoli .
Essi rappresentano gli aspetti del nostro carattere che noi stessi consideriamo imperfetti, o che vorremmo diversi .
I virus emotivi tendono a vivere tendenzialmente fuori dalla nostra consapevolezza .
Essi possono impadronirsi dei files di sistema e fornire al genitore delle istruzioni errate , ispirando comportamenti che si traducono in un danno educativo per i figli, rendendoli "ciechi" riguardo a ciò che è più opportuno fare.
Così il genitore troppo protettivo non si accorgerà del legittimo desiderio del figlio di diventare grande ed imparare ad affrontare da solo i rischi e le difficoltà , il genitore troppo apprensivo gli trasmetterà la sua " paura di tutto" rendendolo insicuro , il genitore che ha troppa paura di imporre dei limi ti crescerà un figlio tendenzialmente viziato e tirannico, chi vive sensi di colpa irrisolti nei confronti dei figli, sarà disponibile a concedere anche ciò che non dovrebbe.
Box 2
La conoscenza realistica di sé è essenziale per diventare degli educatori equilibrati .
L'ascolto di sé , delle proprie emozioni e paure , l’accoglienza libera e coraggiosa dei proprio pensieri , rappresenta la condizione fondamentale che deve essere desiderata e ricercata perché porta in dono la possibilità di essere rivelati a noi stessi , anche nelle nostre parti più bisognose di essere riparate.
La conoscenza di sé permette di migliorarsi
fino a farci sentire più genitori più sicuri, coraggiosi, armoniosi , fiduciosi nella bontà del nostro istinto educativo.
Questo lavoro su di sé dà progressivamente alle nostre parole e ai nostri gesti educativi quella saggezza, quella misura, scioltezza ed autorevolezza che avvertiamo nei rari momenti in cui ci sentiamo " magici" , come se misteriosamente ci venisse tutto facile, giusto, ben fatto .
Sono momenti in cui ci sentiamo unificati perché ciò che proviamo, ciò che pensiamo e ciò che vogliamo sono in armonia e proprio per questo ci sentiamo capaci di essere genitori teneri e forti, pazienti ma esigenti, caldi e rispettosi allo stesso tempo.
Più capaci di voler bene nel modo giusto , con misteriosa facilità.
Fonte: http://www.noifamiglia.it/archivio/relazioni/2007_seminario/POLI.doc
Sito web da visitare: http://www.noifamiglia.it
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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