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LO SVILUPPO PSICOMOTORIO DEL BAMBINO (DALLA NASCITA AI SEI/SETTE ANNI) E LA LETTO-SCRITTURA
di Marco Paolo Dellabiancia
1. APPROCCIO ECOLOGICO E CONCEZIONI DELLO SVILUPPO
Per un pedagogista clinico come Piero Crispiani (Itard e la pedagogia clinica, Napoli 1998 e Pedagogia clinica, Bergamo 2001) l’approccio ecologico è quell’intervento che si rivolge al fenomeno da studiare tenendo presente la complessa interezza delle sue manifestazioni che, sempre ma soprattutto quando ci si rivolge all’essere umano in particolare, si esprimono sia nella prospettiva dell’essere per sé (ecologia dei vari sistemi funzionali interni), che in quella dell’essere per altro (ecologia dei vari sistemi funzionali esterni, ovvero del rapporto con qualunque persona o qualunque elemento naturale o artificiale dell’ambiente circostante, in quanto influente). Per poter sviluppare un tale approccio, perciò, è necessario realizzare un’osservazione clinica, in altre parole ravvicinata e diretta, sulle singolarità delle evidenze locali (ricerca qualitativa) e non solo sulle regolarità e sulle ricorrenze generali (ricerca quantitativa), come pure sullo sviluppo diacronico come narrato dal soggetto medesimo o da un osservatore privilegiato che, interpretando, spiega (storia di caso), più che sull’accostamento di configurazioni di fenomeni sincronici analoghi in vari soggetti, perché ricorrenti e statisticamente elaborabili, ma spesso privi di senso, se non addirittura fuorvianti (ricerca descrittiva o standard).
L’approccio ecologico è perciò un fondamento ineludibile per chi vuole avvicinarsi al soggetto con intento educativo o rieducativo e comporta tutta una configurazione di finalità, obiettivi e strumenti adeguati (P. Crispiani, C. Giaconi, Diogene 2008. Manuale di diagnostica pedagogica, Bergamo 2008 e P. Crispiani, Hermes 2012. Glossario scientifico professionale, Bergamo 2011). Tra questi si colloca anche una rappresentazione più esaustiva possibile dello sviluppo motorio del soggetto in età evolutiva; in questo contributo è limitata al periodo che va dalla nascita ai sei/sette anni, perché periodo fondamentale per la funzione motoria sotto tutti i punti di vista, e suddiviso in quattro fasi: a) primi mesi di vita (non senza un richiamo allo sviluppo endouterino); b) primo anno; c) secondo e terzo anno; d) dal quarto al sesto/settimo, secondo una periodizzazione da prendere come un riferimento non normativo ma processuale e interpretato clinicamente del progetto educativo o rieducativo medesimo. Bisogna tener presente, a questo proposito, che nello studio statistico delle popolazioni con Sviluppo s’intende il processo teleonomico psicofisico generale che guida al conseguimento della costituzione e delle competenze dell'adulto e risulta dal combinarsi di due macroprocessi biopsicofisici, quello della Maturazione, come evoluzione per lo più geneticamente determinata delle strutture e delle funzioni secondo il piano teleonomico inscritto nel DNA, e quello dell'Apprendimento (per molti Autori Adattamento), come evoluzione del funzionamento di strutture e funzioni a contatto delle situazioni della vita, ovvero evoluzione delle capacità e delle competenze che è provocata dalle condizioni ambientali, sia fisiche, che psicologiche e socio-culturali cui il soggetto reagisce attivamente.
Abbiamo poi detto che all’interno del processo spontaneo e per gran parte inconscio dell’Apprendimento biologico (o Adattamento) si colloca anche quello più specifico e artificiale dell’Apprendimento culturale (formalizzato nell’Istruzione o nella Formazione), perseguito come espressione dell’intenzionalità del soggetto, ovvero esito di un insegnamento più o meno esplicito. Maturazione e Apprendimento determinano insieme la Crescita, come Accrescimento del corpo e dei vari organi e Morfogenesi, o sviluppo della Costituzione individuale, dal lato più prettamente bio-psico-fisico, come pure il Comportamento più o meno competente, dal lato più prettamente psico-sociale. Ovviamente lo sviluppo motorio, per rispetto del nostro punto di partenza definito ecologico, non può che essere integrato con tutte le altre funzioni che determinano lo sviluppo infantile generale, anche se su di esso abbiamo numerose teorie, talvolta molto differenti tra loro, se non divergenti. La diversità, infatti, nasce proprio dai diversi aspetti che possiamo considerare come determinanti del processo evolutivo globale, come lo sviluppo cognitivo, o sociale, o del linguaggio, o emotivo e affettivo, o morale, o psicomotorio e così via , oltreché dai paradigmi di studio e ricerca dei vari Autori.
Nell’affrontare il nostro compito, dunque, pur riferendoci direttamente alle specificità dello sviluppo motorio, teniamo tuttavia presenti gli apporti delle varie ricerche su quello generale e, in altre parole delle teorie: psicoanalitica (Freud), maturativa (Gesell e Buhler), psicobiologica (Wallon), d’epistemologia genetica (Piaget), funzionalista (Bruner), neocomportamentista (Skinner e Comportamentisti soggettivi), sociopsicoanalitica (E. Erikson), dello sviluppo affettivo (Spitz, Bowlby, Mahler, Winnicott e Klein), della scuola di psicologia storico- culturale (Vygotsky) e della teoria dei campi (C. Lewin). Questo complesso teorico, infatti, fa da sfondo comune, relativo al processo di sviluppo generale, dove poter calare la descrizione dello sviluppo motorio, aggiungendo che, per le peculiarità dell’oggetto di studio, però noi evochiamo e ricerchiamo il più possibile quelle elaborazioni inerenti, realizzate dalle Neuroscienze, che possono far propendere giustificatamente, anche se non sempre in modo totalmente compiuto perché la ricerca è sempre ancora in corso, al momento opportuno per l’una o per l’altra prospettiva . Tutto ciò, dunque, è espressione dell’approccio ecologico, ma è anche richiesto dall’oggetto del nostro studio.
2. CONCEZIONE DI PRASSIA E ARCHITETTURA DELLA FUNZIONE MOTORIA
Per ciò che abbiamo già detto, infatti, è evidente che ogni disciplina scientifica (e ogni scuola di ricerca) ha propri modelli di spiegazione del funzionamento della motricità e propri concetti di riferimento, tuttavia è possibile riscontrare delle uniformità che permettono di orientare globalmente la cognizione dell’osservatore. Così, ad esempio, ogni scienza individua un'unità funzionale del sistema motorio in quella più elementare porzione del sistema medesimo che mantiene le caratteristiche del complesso: che sia chiamata prassia, o piano motorio, o schema motorio, o riflesso e così via, tutte queste unità funzionali, comunque considerate, hanno almeno un versante sensitivo-sensoriale e un versante motorio. Ovvero, un altro esempio concerne ciò che viene coinvolto dal versante motorio che può chiamarsi condotta, comportamento, azione, gesto, movimento e così via a seconda delle implicazioni antropologiche su cui si fonda l'impostazione della ricerca di quella scuola di pensiero, tuttavia, anche in questo caso, con tutti questi termini si intende significare semplicemente ciò che un soggetto fa.
In questo senso e alla luce del nostro approccio che propone la sintesi dei due versanti in un'unica unità funzionale gestaltisticamente intesa, privilegiamo il termine e il concetto di “prassia”, per indicare la capacità di agire in modo intenzionale (che non vuol dire cosciente) e coordinato, meglio riferibile pertanto ad una sequenza di atti, una capacità acquisita in interazione con l’ambiente . Sviluppata ai primi del ‘900 in biologia, psicologia e scienze motorie, dapprima la nozione di prassia si riferisce alla motricità. In J. Piaget è “un sistema di movimenti coordinati in funzione di un risultato o di uno scopo”. In seguito la prassia indica tutto l’agire umano in quanto movimento in un tempo ed in uno spazio, quindi include tutte le funzioni esecutive, dalle posture alle sequenze di movimenti, alle azioni della memoria, del linguaggio, del pensiero e così via. Camerini e De Panfilis ne segnalano la convergenza con il fenomeno dell’intenzionalità, quale“piano” che, durante il trattamento delle informazioni, recluta determinate aree cerebrali per codificare la risposta o il comportamento da mettere in atto. Il concetto di prassia genera i correlati paradigmi di aprassia e disprassia .
Un altro concetto condiviso, poi, è quello fondativo di una funzione motoria definita su di una struttura gerarchica di due o più sistemi: quello più elementare è chiamato sensomotorio, quello più complesso prattognosico. In tal senso alcuni modelli psicologici che un tempo volevano descrivere come funziona l'agire complessivo dell'uomo (basta ricordare come a metà dell’Ottocento I. M. Secenov avesse già descritto tutta l’attività cerebrale attraverso riflessi nel suo testo: “I riflessi del cervello”) sono ormai rimasti solo per descrivere le caratteristiche del livello sensomotorio, e tra essi si possono ricordare:
S ------------- > R, |
SC ---- > SI ------------- > R, |
S <======> R, |
Da un punto di vista logico in questi modelli emergono due operazioni fondamentali: la Ricezione degli stimoli (comprensiva sia degli stati dell’ambiente interno che degli stimoli dell’ambiente esterno all’individuo) e l’Esecuzione (sia mediante il movimento che mediante il tono e la postura nello stato d’immobilità). Nell’uomo utilizzano una tale organizzazione i Riflessi che assicurano: 1) la fuga da stimoli dolorosi, 2) la tensione muscolare nei muscoli antigravitari o Tono antigravitario, 3) l'equilibrio del corpo (che assieme alla tensione muscolare antigravitaria costituisce la Postura) e 4) le coordinazioni elementari e globali che a questi ambiti ineriscono (dai riflessi plantari locali alle sinergie complessive del corpo dei riflessi tonici del collo, anche emotivamente connotati). Tutto ciò accade all’interno di una Struttura gerarchica integrata che permette a centri superiori di controllare quelli inferiori in modo da ottenerne l'impegno localizzato e settoriale, oppure sinergico e massivo, ma comunque sempre rigidamente predeterminato dalla dotazione ereditaria individuale, inscritta nella variabilità caratteristica della specie e suscettibile, nei livelli più alti dei centri riflessi, di apprendimenti veramente elementari o per via condizionata (apprendimenti di segnali e di catene di reazioni, dove l'esito di una reazione diviene il segnale scatenante della successiva), o per imprinting.
Al blocco superiore appartengono, invece, sempre da un punto di vista logico, delle operazioni più complesse che consistono nel Trattamento dell'informazione sia quella che entra, come nella Percezione che determina la Conoscenza di sé e della situazione ambientale, sia quella che esce sotto forma di movimento integrato e adattato ad un contesto significativo, come nell'Elaborazione di un piano di azione e nel Controllo della sua esecuzione. I modelli descritti dalle varie scuole scientifiche a questo proposito presentano, tra il versante Ricettivo e quello Esecutivo, dei complessi "cognitivi" che possono giustificare l'intenzionalità dell'individuo. La formula logica di riferimento, quindi, diviene:
S < === > O < === > R |
e le diverse scuole ne hanno descritto vari modelli psicologici, come il Piano TOTE del Comportamentismo soggettivo nella prima e nella seconda versione, oppure l’Accettore d’Azione della Neurofisiologia Russa, o il modello Neurocibernetico di N. A. Bernstein. Si può affermare, in ogni caso, che utilizzano una tale organizzazione gli Automatismi e le Azioni volontarie che organizzano i repertori motori, assicurati dai riflessi del livello inferiore, in complessi unitari, sia filogeneticamente fissati col meccanismo genetico (come camminare, correre, saltare, arrampicarsi ecc.), che ontogeneticamente appresi (come leggere, scrivere, disegnare, andare in bicicletta, guidare l’automobile ecc.), sottoponendoli:
3. MODELLO NEUROLOGICO DI JEANNEROD DEL FUNZIONAMENTO MOTORIO
I modelli che sono stati presentati possono apparire ormai desueti, benché costituiscano sicuramente un’impostazione ancora non falsificata dalla ricerca scientifica che, peraltro, si è orientata sempre più verso la concezione della Conoscenza incarnata “embodied mind” (M. Wilson, 2002). Per fare un passo avanti, allora, si può confidare pienamente nel modello gerarchico delle prassie di M. Jeannerod (1990) così come ripresa recentemente (Camerini e De Panfili 2003). In realtà la proposta di tale autore inizialmente intendeva occuparsi soltanto delle disprassie, per giungere a distinguere quando considerarle un disturbo primario o un disturbo secondario . Si trattava infatti di differenziare le manifestazioni originali da quelle disorganizzazioni dell’attività prattognosica che si possono riscontrare in collegamento ad altre condizioni patologiche quali il ritardo mentale, i disturbi pervasivi dello sviluppo e taluni disturbi di personalità.
Lo stesso modello neurologico, da un punto di vista teorico tuttavia, può costituire un interessante riferimento paradigmatico della descrizione ed interpretazione generale della motricità umana, secondo un’impostazione a struttura gerarchica, applicabile diffusamente alla gestualità volontaria abile sia nell’adulto che nel bambino e consistente nell’organizzazione di tre livelli diversi di definizione del processo motorio (qui dallo scrivente rivisitato).
a- Un piano superiore che effettua la progettazione del gesto in piena consapevolezza, utilizzando elementi attentivi, concettuali e mnestici (gnosie e memorie semantiche), emotivo-affettivi (memorie episodiche) e linguistici (fasie) per dominare la complessità della situazione fenomenica in cui si viene a trovare il soggetto. Tale piano sovrintende alla costruzione dell’intenzione, ovvero dello scopo dell’azione mediante il pensiero, quale linguaggio interno che sostiene il perseguimento dell’azione medesima. Questo piano realizza il suo compito con evidenti difficoltà per deficit intellettivo globale (Ritardo Mentale) o per problemi neurobiologici pervasivi (Disturbi Pervasivi dello Sviluppo come la Sindrome di Asperger), ovvero per problemi affettivi (nei Disturbi di Personalità e, in particolare, nel Disturbo Schizoide).
b- Un piano intermedio che definisce la programmazione dell’azione senza intervento di alcuna consapevolezza della medesima, ma in modo del tutto automatico e, soprattutto, seguendo vie modulari (cioè tendenzialmente autonome nell’elaborazione). Tale piano è deficitario nelle disfunzioni neuropsicologiche specifiche come le Disprattognosie (Aprassie e Disprassie dello sviluppo), sebbene (sempre per gli autori citati) possa comparire, come Disfunzione dei canali visuomotori, anche in condizioni contraddistinte da ritardo mentale (come nella Sindrome di Williams).
c- Un piano inferiore che attua la strategia individuata da quello intermedio, per realizzare lo scopo definito da quello superiore, ma lo fa esprimendo differenti livelli inter e intra-individuali di consapevolezza e d’abilità. Si presenta deficitario nelle situazioni di goffaggine, sia quelle “pure” che quelle combinate con un Disturbo Specifico dello sviluppo (risulta, perciò, frequente l’associazione con il Disturbo d’Apprendimento della letto-scrittura). La caratteristica generale, poi, di questo livello è di trovarsi in una situazione di doppio legame a causalità incrociata con i piani superiori, perché se:
- da un lato, col suo deficit può disorganizzare il tono di base e la riafferentazione (il feedback senso-percettivo-motorio) che costituiscono i principali materiali per la determinazione della Sintesi afferente (Anochin 1973). Ma proprio sulla sintesi afferente devono “lavorare” i due piani superiori per realizzare il loro compito: per determinare lo scopo del proprio agire, infatti, si deve prima “sentire” la propria posizione e i propri bisogni, onde poter determinare l’obiettivo da raggiungere e poi si deve scegliere nel proprio repertorio il percorso da realizzare per conseguirlo. Perciò si va così in definitiva a disorganizzare la progettazione,
- dall’altro lato, però, può essere determinato, come nella condizione di goffaggine, da carenze nel trattamento dell’informazione a carico dei piani superiori. Tali carenze possono, in tal modo, impedire o rendere difficoltosa soprattutto la realizzazione di gesti nuovi. Perché sono ancora in fase d’apprendimento e, dunque, si vanno strutturando e ricostruendo in gran parte “per accomodamento” di uno schema o di un programma motorio che avrebbe dovuto essere già stato fissato e automatizzato, ma che, invece, continua a presentare fluttuazioni proprio in quei suoi riferimenti fondamentali che lo caratterizzano come tale (teorie dello schema motorio di Adams 1971 e di Schmidt 1975 ).
Anche in questo caso, dunque, il nostro interesse dal modello di funzionamento neurologico di Jeannerod ci rimanda alle Neuroscienze, nell’intento di trovare precisi riferimenti processuali ai tre livelli suesposti. E in realtà sussistono ormai numerosi materiali utilizzabili in questa direzione, a partire si può dire fin dalla nascita della Neuropsicologia prima con il concetto di “Sistema funzionale” e poi con la “Teoria dei tre blocchi” di Lurija (1978), ora molto ridimensionata, ma pur sempre fondativa della storia dello sviluppo delle Neuroscienze. È infatti necessario, considerare come tali ricerche assumano un significato particolare nel quadro delle diverse discipline che si occupano dell’agire umano poiché, rimanendo delle tutto vincolate al dato oggettivo e sperimentale, possono a pieno titolo suffragare o meno gli assunti delle altre discipline. Queste, invece, pur operando su dati di fatto, mediante il medesimo processo interpretativo della comprensione se ne possono poi anche distaccare progressivamente, fino ad arrivare anche ad enunciati del tutto infondati.
In questo senso la ricerca realizzata dalle Neuroscienze è lenta nel far emergere risultati significativi, perché legata al livello di sviluppo delle modalità e delle strumentazioni disponibili per lo studio sperimentale del cervello e delle sue funzioni. Quando può raggiungere, tuttavia, una sufficiente teorizzazione suffragata tramite validi esperimenti, segna però il vero limite dell’orizzonte scientifico del momento che diventa così il riferimento epistemologico pienamente accettato ed accettabile. Anche se poi, necessariamente, tutti i paradigmi moralmente positivi e funzionalmente propositivi delle discipline operative, formative, riabilitative e terapeutiche sono accettabili nell’agire sociale, prescindendo dal riconoscimento scientifico dei loro fondamenti teorici, come la Psicoanalisi freudiana aveva già dimostrato al suo tempo (Lo Coco e Lo Verso 2006), se rispettosi dei principi deontologici ed etici correnti, perché valutati sulla base delle evidenze empiriche.
4. MOTRICITÀ DEL NEONATO E PRIME RELAZIONI AFFETTIVE (nei primi mesi di vita)
Alla nascita il neonato ha già alle spalle circa nove mesi di vita prenatale nell’utero materno; questo periodo lo ha preparato alla vita esterna che, nei primi tempi, si configura ancora come un vero e proprio utero sociale. Durante questo periodo prenatale, infatti, il feto sviluppa il suo patrimonio genetico, ma viene anche esposto ad una serie di fattori ambientali che sono mediati dallo stretto rapporto con l'organismo della madre, perché il feto è in simbiosi con la madre, tanto che le esigenze metaboliche della sua crescita sono assicurate in modo automaticamente commisurato ai suoi bisogni . Dopo la nascita, invece, il neonato comincia la sua vita autonoma, perché è ormai separato dalla circolazione sanguigna materna e dallo stato di benessere ovattato connesso a quella originaria automatica soddisfazione, per cui comincia a vivere l'alternanza tra una sensazione di privazione, provocata dall'abbassamento di concentrazione dei metaboliti del sangue e la soddisfazione del bisogno vegetativo fondamentale tramite l’alimentazione. La respirazione, l'alimentazione, la digestione e l'escrezione con le prime esigenze affettive del neonato, perciò, sono tutte funzioni vegetative concernenti le necessità della sua sopravvivenza che s’impongono su ogni altra funzione somatica e di relazione, giustificando appieno la denominazione di stadio narcisistico primario dato da Freud a questo periodo della vita del lattante.
Le funzioni di relazione spontanee, muscolari e sensoriali, infatti, inizialmente restano povere. Il neonato si trova costantemente sottomesso alla forza di gravità, ma non ha ancora un tono neuromuscolare antigravitario sufficiente per assicurare l'equilibrio del suo corpo se non nella posizione distesa, benché l’area cerebrale motoria primaria sia la più sviluppata e sia subito seguita dall’area somato-sensoriale (effetto della motricità riflessa intrattenuta nel periodo fetale); in tale condizione e nei primi tempi dopo la nascita la sua motricità spontanea si limita a reazioni impulsive, sostanzialmente localizzate agli arti, e a tensioni massive della muscolatura dell’asse corporeo (asse costituito dai segmenti del capo, del tronco e del bacino resi congruenti dalle cinture e dai fasci muscolari), segnali entrambe di fasi critiche seguite sovente dal pianto e che manifestano direttamente il bisogno alimentare o escretivo. Se stimolato, tuttavia, il lattante dispone di un ricco patrimonio di riflessi neonatali (che descriveremo più avanti), coordinato settorialmente dal midollo e globalmente dal tronco dell’encefalo, destinato a recedere nei mesi successivi al sopravvenire del controllo corticale.
Dal momento iniziale della nascita, poi, la quantità di segnali sensoriali e la loro qualità percettiva aumentano progressivamente per cui risulta un'attivazione significativa del processo di maturazione sensoriale a carico delle percezioni sia esterne, che interne (cenestesiche e labirintiche) e propriocettive. Così i contatti cutanei si rivelano di notevole importanza, almeno quanto il soddisfacimento dei bisogni nutritivi, nell'instaurarsi dell'equilibrio affettivo del bambino, tanto che Wallon e Ajuriaguerra possono parlare di “dialogo tonico” come elemento primitivo e fondamentale nella realizzazione della comunicazione e, soprattutto, nella costruzione della mente del bambino. Questo ruolo di personalizzazione che viene svolto dalla sensorialità all’esordio della percezione, si completa con l'importanza che essa riveste nell'organizzazione dei primi automatismi acquisiti, che sono all'origine delle future prassie. Fattori essenziali dello sviluppo, dunque, sono le stimolazioni cutanee, visive e uditive causate dalla presenza umana che, a due mesi, rendono il bambino capace di creare un contatto attivo con l’ambiente circostante . L'attività senso-motoria non si sviluppa soltanto a partire dalle stimolazioni esterne, ma anche dalle informazioni propriocettive, labirintiche e articolari, che sono all'origine del tono antigravitario, delle reazioni di equilibrio e dei primi aggiustamenti posturali, per cui la coordinazione esige l'intervento dell'archeo-cervelletto (la parte più antica, dal punto di vista filogenetico, di tale organo). “Il tono partecipa a tutti i comportamenti comunicativi dell’individuo” esprimendo, dunque, tutte le sue dimensioni emozionali ed affettive.
5. COMPORTAMENTO SPONTANEO DEL NEONATO (movimento e percezione)
Osservando il neonato in uno stato di quiete digestiva, possiamo rilevare la postura e la mobilità spontanee. Nel bimbo normale i quattro arti sono in flessione. La testa e la spina dorsale riposano distesi sagittalmente, nel caso in cui sopravviene una rotazione laterale del capo, però, si determina una modificazione del tono degli arti: braccia e gambe si flettono dal lato occipitale e si distendono dal lato facciale (riflesso tonico asimmetrico del collo o dello schermitore).
I riflessi somatici arcaici, come già accennato,sono caratteristici dei primi due mesi di vita. Rappresentano un insieme di reazioni innate, caratterizzate da modificazioni della distribuzione tonica dei muscoli e da reazioni compulsive degli arti, sotto l'aspetto di riflessi di raddrizzamento e di automatismi ritmici degli arti inferiori o di afferramento per la mano. Il punto di partenza per questi riflessi è sia propriocettivo, sia esterocettivo (soprattutto cutaneo, ma molte volte non è specifico). Sono molti, tuttavia i più interessanti risultano: la marcia automatica (se sostenuto sotto le braccia, quando appoggia la punta di un piede contro una superficie solida, il bambino riesce a compiere tutte le movenze combinate degli arti inferiori necessarie per camminare senza sostenere il carico del corpo), il riflesso di prensione (se si introduce un dito nella mano del bambino, lui riesce ad afferrarlo chiudendo la mano e mantenendo in tensione i flessori dell’avambraccio), il riflesso di raddrizzamento del capo (quando il bambino dal decubito supino viene messo in posizione seduta tirandolo per le braccia, raddrizza la testa e dopo aver superato la verticale ricade indietro) , il riflesso di Moro o di sussulto (stando disteso sul lettino o sostenuto sulle mani dell’osservatore, in risposta ad una scossa improvvisa o ad un cedimento dell’appoggio del capo arcua il dorso, getta la testa indietro, le braccia in fuori e stringe convulsamente le mani come per aggrapparsi) e il riflesso natatorio (compie movimenti alternati degli arti superiori e inferiori come di nuoto, quando viene immerso completamente nell’acqua) .
Gli automatismi vitali, invece, assicurano la sopravvivenza del neonato, perché tengono sotto la loro dipendenza il gioco delle funzioni metaboliche in rapporto con la respirazione, l'alimentazione e la digestione. Queste reazioni si esercitano già prima della nascita, tanto che taluni autori notano che già verso i cinque mesi di vita intrauterina sussistono delle contrazioni ritmiche del torace che provocano un flusso e un riflusso di liquido amniotico nella trachea (automatismo respiratorio). Prima dei sette mesi dal concepimento, infatti, il neonato prematuro ha la capacità di succhiare e di inghiottire, non può tuttavia alimentarsi per suzione. Solo a partire dall'ottavo mese diviene possibile la suzione, grazie alla sinergia funzionale della muscolatura labioglosso-faringea (automatismo di suzione).
I neonati, poi, dispongono di capacità visiva fin dalla nascita. Infatti, già dai primi istanti di vita, sono in grado di osservare l’ambiente circostante e dimostrano la loro attenzione mostrando di concentrarsi nell’osservazione, sollevando le palpebre, illuminandosi e smettendo di succhiare. All’inizio, il neonato può vedere solo oggetti vicini, a una distanza tra 25 e 30 cm. È interessante notare che questa è la distanza alla quale si trova il viso della madre durante l’allattamento. Il neonato tende a esaminare i contorni dell’oggetto, prima di passare ai dettagli interni, e anche quando guarda un volto umano, ne percorre prima la sagoma e poi osserva gli occhi e la bocca. I neonati sono attratti dai movimenti e sono in grado di mettere a fuoco un oggetto in movimento. Possono seguirlo con lo sguardo e, a volte anche con la testa. Inizialmente l’attenzione è totale, ma dopo alcuni minuti, possono distrarsi, girarsi da un’altra parte, diventare sonnolenti e addormentarsi. Essi rivolgono più attenzione ad oggetti colorati che ad oggetti grigi, mentre sono più attratti da oggetti neri e bianchi che da oggetti a tinta unita.
L’olfatto e il gusto sono già presenti alla nascita e sono finalizzati alla sopravvivenza e quindi alla ricerca e alla simbiosi con la madre. I bambini riconoscono l’odore della madre sono infastiditi dagli odori troppo forti. Il neonato e il lattante accettano anche alimenti i cui sapori appaiono a noi poco gradevoli, ma che conoscono e, invece, rifiutano i cibi nuovi anche se appetibili. Verso il compimento del primo anno in genere la loro capacità gustativa subisce un'evoluzione più rapida e i bambini apprezzano i cibi più conditi e gustosi. Il tatto riveste un'importanza del tutto peculiare nel bambino piccolo. Il rapporto tra madre e il bambino, fatto da coccole carezze e abbracci, è fondamentale per stabilire una buona relazione madre-figlio e avviare, come detto, il dialogo tonico.
Anche l’udito è presente, e ben sviluppato, già molto tempo prima della nascita. Il bambino può distinguere diversi tipi di suoni (un ronzio, un campanello), gli alti e i bassi, voci diverse, suoni familiari o estranei, e può anche riconoscere la direzione dalla quale questi provengono. I neonati preferiscono i toni alti. Quando viene suonata una campanella, il bambino si orienta verso il suono, girando prima gli occhi e poi la testa, muovendola a destra o a sinistra secondo la provenienza del suono. Il neonato può fare associazioni tra udito e altri sensi e può anche rispondere in maniera diversa allo stesso suono: questa capacità di fare associazioni fra diversi sensi costituisce un processo fondamentale per l’apprendimento. I neonati sono molto reattivi nei confronti della voce umana e mostrano di preferire la voce materna alle voci femminili in genere, forse per il continuo ascolto della stessa durante la gravidanza. Si tranquillizzano al suono della voce della madre e tendono a girare la testa verso di lei.
6. PRIMI SCAMBI COMUNICATIVI E IMPORTANZA DELLA RELAZIONE CON LA MADRE PER LO SVILUPPO DELLA MENTE (nel primo anno di vita)
L'intimità fisica nella relazione che si stabilisce tra la madre ed il neonato è stata, dunque, paragonata ad una vera simbiosi da cui la giovane vita dovrà progressivamente rendersi autonoma. I momenti privilegiati di questa simbiosi sono quelli dell'allattamento, del bagnetto, delle cure igieniche e quando il bimbo viene vestito. Inizialmente, tuttavia, il momento certamente più favorevole della relazione madre-bambino è quello dell'allattamento al seno (reale o succedaneo con la tettarella), più per la natura degli scambi che determina che per ragioni puramente fisiologiche. Il bimbo è in relazione corpo a corpo con la madre, ne sente il calore, il contatto cutaneo; questa relazione è fatta anche dell'odore, delle parole e del viso materno. Tutta la sensorialità corporea èmessa in funzione nel corso della soddisfazione del bisogno alimentare, e tale rito, abitua il bimbo ad una certa presenza sempre stabile. La prima espressione comunicativa del neonato si manifesta come ricerca del contatto cutaneo, fino a quando i sensi visivo e uditivo maturano ed egli ricerca così la comunicazione attraverso la vista e l’udito.
Ma ancor prima che il suo sistema visivo sia capace di analizzare singoli dettagli, il bimbo, attraverso lo sguardo, compie degli atti sociali. Lo sguardo e le inflessioni della voce dell’adulto svolgono un ruolo importante proprio per il loro carattere espressivo che è in grado di attrarre l'attenzionedel bimbo. Questa capacità percettiva si sviluppa a partire da due mesi. I primi scambi che avvengono tra madre e bimbo comprendono movimenti di labbra, di lingua, associati a movimenti di braccia e di mani, a balbettii, a cenni del capo, a gridi, a vocalizzi, a sguardi e sorrisi. Verso le otto settimane, questa forma di comunicazione è già ben sviluppata, mentre gli altri processi percettivi e cognitivi non sono ancora manifesti.
A partire dalla quarta settimana poi comincia a comparire il sorriso di fronte a un volto, non necessariamente umano, quale può essere anche quello di una maschera, purché abbia due occhi. Si tratta dello stadio dell’oggetto precursore o del primo organizzatore che si determina comunque entro i tre mesi come risposta specifica del sorriso da parte del bimbo ad una configurazione di stimolo che ha funzione di segnale. L’apparire del primo sorriso, in generaletra le sei e le otto settimane, è anche il segno delle prime relazioni sociali che si instaurano tra il bimbo e il mondo che lo circonda, ma soprattutto è la prima traccia mestica che si è formata sugli elementi fondamentali del viso della madre: si tratta del primo schema da cui poi progressivamente nascerà tutta la produzione mentale. Esso poi si manifesta in alcune situazioni relazionali particolari, come alla fine della poppata. Il primo sorriso è spesso rivolto alla madre, ma in seguito si generalizza e può prodursi in presenza di un qualsiasi volto umano.
Attorno ai sei mesi comincia a scomparire questo sorriso automatico del bimbo, perché egli comincia a distinguere tra i volti familiari e quelli sconosciuti e solo tra i sette e gli otto mesi è in grado di identificare veramente l'immagine della madre. Così in presenza dell’estraneo il bambino non ride più, ma anzi mostra ansia e piange (stadio del secondo organizzatore). La presenza materna, che fino ad allora non era che un bisogno, infatti, diventa ora un desiderio all'origine di un’intenzionalità diappropriazione esclusiva; così la figura materna diventa insostituibile, diventa il primo oggetto d’amore, a tal punto che la sua assenza è vissuta dal bimbo come una frustrazione; il ricorso a questa figura è particolarmente evidente quando il bimbo si sente minacciato, in particolare dalla presenza di una persona estranea . Un atteggiamento affettuoso, ma anche fermo, da parte della madre dovrà permettere al bambino di accettare il distacco senza drammi, dominando l’angoscia di separazione. Tra il dodicesimo e il quindicesimo mese, poi, il bambino diventa capace di comprendere il significato del “NO” come disapprovazione materna.
Una volta fissata definitivamente l'immagine materna, l'accesso alla permanenza dell'oggetto (Piaget 1936) permette al bambino di rivolgere, in funzione di uno scopo più o meno cosciente, la sua attività motoria che diviene, perciò, intenzionale. La funzione di aggiustamentoche costituisce la vera intelligenza del corpo, gli permetterà di ‘reinventare’ le soluzioni motorie ai problemi che gli si parano innanzi ostacolando le sue intenzioni, come ha definitivamente dimostrato J. Piaget osservando i comportamenti dei suoi tre figli da piccoli, con le reazioni circolari primaria, secondaria e terziaria , qui riprodotte nella tabella sinottica seguente.
Denominazione dello stadio con indicatore |
età |
Stadio delle reazioni riflesse |
0-1 mesi |
Stadio delle reazioni circolari primarie e comparsa dei primi schemi |
1-4 mesi |
Stadio delle reazioni circolari secondarie con la comparsa di mezzi adatti a far continua-re la visione di ciò che interessa |
4-8 mesi |
Stadio della coordinazione degli schemi secondari e della loro applicazione a nuove situazioni |
8-12 mesi |
Stadio delle reazioni circolari terziarie con scoperta di nuovi mezzi per raggiungere i fini desiderati |
12-18 mesi |
Stadio dell'invenzione di nuovi mezzi per combinazione mentale, piuttosto che con azio-ni, cioè comparsa della memoria a livello elementare e della capacità di fare progetti. |
18-24 mesi |
7. MATURAZIONE DI COMPETENZE SENSO-PERCETTIVO-MOTORIE E SCOPERTA DEL MONDO
L’intenzionalità del bambino si può determinare ed affermare in questa prima lunga fase per effetto del progredire dello sviluppo motorio sia nell’organizzazione della catena di raddrizzamento che nello sviluppo della prensione e della manualità che costituiscono le dimensioni motorie più analizzate dai vari Autori. Per entrambe, però, assume particolare importanza la maturazione del tono posturale: “dal punto di vista dello sviluppo del tono e della motilità, è possibile distinguere lo sviluppo posturo-cinetico (PC) e lo sviluppo gestuale-prassico (GP) nella fascia compresa tra i 12 e i 60 mesi (Levi, Sechi, Parisi, 1987)” e in tal senso si osserva che a partire dal terzo mese il tono dei muscoli della nuca e del collo si organizza in funzione delle posizioni assunte dall'asse corporeo: quando il bimbo rotola dalla posizione distesa di decubito supino a quella di decubito prono, oppure dal decubito supino sale alla posizione seduta tirato per le braccia, la sua testa segue prima passivamente il movimento guidato dall’adulto e poi, raggiunta la posizione finale, anziché ricadere in avanti o indietro come nei primi tempi, si rizza pur tra oscillazioni e sbandamenti, il collo perciò comincia a fare da cerniera al tronco e da supporto tendenzialmente stabile al capo che, a sua volta, comincia a guidare tutte le sinergie del corpo.
Tra il sesto e il dodicesimo mese, poi, il bimbo conquista la verticalità e riesce a stare seduto con appoggio prima e senza appoggio poi. In tale posizione egli avrà più possibilità di proseguire le sue esperienze di manipolazione perché le braccia sono completamente libere. Intorno al decimo mese, infatti, inizia ad aggrapparsi ai sostegni, a strisciare al suolo, poi si solleva carponi e comincia
a “gattonare” con l'impiego delle mani e delle ginocchia, preludio indispensabile alla stazione eretta. Tra il decimo ed il dodicesimo mese riesce a tenersi in piedi per un tempo anche prolungato con un appoggio per arrivare così alla posizione bipede, inizialmente incerta e piena di oscillazioni e cadute, poi sempre più sicura. Dal dodicesimo al quattordicesimo mese, il bimbo entra nel periodo della locomozione. La realizzazione dei primi passi indipendenti esige una condizione indispensabile: l'equilibrio generaleche dipende dalla maturazione del sistema visuo-vestibolo-cerebellare dell'equilibrio. Questo equilibrio, ancora precario, si affermerà con l'esercizio stesso del cammino, che, in questo periodo, diverrà l'attività dominante. La tabella che segue descrive compiutamente questo percorso.
età |
indicatore |
età |
indicatore |
età |
indicatore |
Nascita |
Posizione fetale |
1 mese |
Prono, solleva il mento dal piano |
2 mesi |
Prono, solleva il torace |
3 mesi |
Supino cerca di afferrare, senza esito |
4 mesi |
Seduto con appoggio Da supino a prono |
6 mesi |
Seduto su seggiolone afferra oggetti mobili |
7 mesi |
Seduto senza appoggio |
8 mesi |
Sta in piedi, se aiutato |
9 mesi |
Si tiene in piedi, appoggiandosi |
10 mesi |
Si trascina carponi, “gattona” |
11 mesi |
Cammina, se aiutato |
12 mesi |
Si alza, per mettersi eretto, appoggiandosi |
13 mesi |
Sale gradini trasci-nandosi carponi |
14 mesi |
Sta in piedi da solo |
15 mesi |
Cammina senza aiuto |
Nello sviluppo della prensione, dopo gli studi fondamentali di Gesell, è stato documentato (Von Hofsten 1981) che il neonato già a otto giorni di vita presenta un comportamento di pre-avvicinamento dell’arto superiore quando un oggetto compare nel suo campo visivo ed egli riesce a fissarlo: questo movimento non è preciso, né porta a una prensione dell’oggetto, in quanto risulta costituito da una sinergia estensoria del braccio e della mano connessa alla fissazione oculare, tuttavia appare chiaramente finalizzato all’approccio dell’oggetto, poiché molto più accurato rispetto ai movimenti dell’arto superiore che si possono osservare quando il bambino non fissa l’oggetto . A questo fenomeno molto precoce, poi, taluni Autori connettono anche lo sviluppo della dominanza e del conseguente processo di lateralizzazione delle funzioni motorie che, invece, per altri avviene più tardi. In ogni modo da questo primo tentativo e dall’originale manifestarsi del riflesso dell'afferrare (vedi riflessi neonatali) verso i due i mesi comincia ‘il gioco di mano’ che configura la prima fase della prensione. Questa attività consiste nel non mantenere i pugni chiusi, ma nell'aprirli, nel portarli alla bocca, nell’afferrare una mano con l'altra mano, e in questo gioco il bambino riesce a guardare per breve tempo le sue dita. Alla fine di questo periodo, intorno alla sedicesima settimana, egli potrà seguire con gli occhi gli spostamenti delle sue mani.
Da qui si passa alla seconda fase, verso la sedicesima settimana infatti, il bambino riesce a seguire visivamente la mano, manifestando con questo, la prima vera coordinazione occhio-mano. Tale coordinazione può dirsi affermata totalmente solo tra i quattro e i sei mesi. Il bimbo non si accontenta più di manipolare le sue mani o i suoi piedi, ma ora è attratto dagli oggetti. Così verso i cinque mesi diventa capace di afferrare l'oggetto con movimenti intenzionali delle braccia; è acquisita in tal modo la prensione volontaria della terza fase. L'acquisizione della stazione seduta e la migliore efficacia dell'organizzazione teleo-cinetica, infatti, permetteranno il perfezionamento delle due componenti del movimento di prensione: l'avvicinamento della mano e la presa dell'oggetto.
A sei mesi l'avvicinamento è laterale (avvicinamento parabolico) e la prensione è cubito-palmare: l'oggetto viene afferrato tra le ultime dita e l’eminenza ipotenare. A questo stadio esiste l'intenzionalità di afferrare, ma resta da acquisire ancora la coordinazione motoria della prensione. Però già verso i sette mesi l'avvicinamento è meno laterale, perché il gomito diventa più mobile e la presa dell'oggetto avviene con presa digito-palmare (tra la palma e le dita disposte a rastrello). A otto mesi si ha l’avvicinamento diretto e la presa avviene con l'aiuto del pollice (radio-digitale). A questo punto, il bambino diviene capace di passare un oggetto da una mano all'altra, ciò gli permette di dedicarsi a veri e propri giochi di manipolazione. Tra l’ottavo e il nono mese, infine, la presa è caratterizzata dall’uso della ‘pinza’, cioè il bambino può portare in opposizione indice e pollice per afferrare e utilizzare anche oggetti piccolissimi (prima pinza inferiore, tra i bordi laterali delle ultime falangi dell’indice e del pollice, poi pinza superiore, tra i polpastrelli del pollice e dell’indice) .
Al termine di questo periodo, poi, è acquisita la maturazione delle fibre piramidali da cui dipende tutto il controllo dei muscoli della mano e delle dita, il bimbo potrà così afferrare oggetti sempre più sottili, ad esempio una funicella. Contemporaneamente, l'accrescimento della forza muscolare gli permetterà di eseguire azioni quali spingere, tirare, sollevare, lanciare, battere, incrociare, strappare. Dopo i dieci mesi, la funzione di aggiustamento permetterà al bambino di moltiplicare le sue possibilità di azione, a cominciare dal suo desiderio di appropriazione e in funzione dei bisogni dello vita sociale alla quale egli comincia a partecipare attivamente, avviando così la quarta fase nello sviluppo della prensione e manipolazione. Apprenderà così a bere dalla tazza o dal bicchiere, a servirsi di un cucchiaio, a ruotare i pugni, ad aprire scatole, ad afferrare oggetti e a gettarli.
8. SVILUPPO DELLE STRUTTURE PRASSICHE FONDAMENTALI E PRIME OPERAZIONI LOGICHE E INFRALOGICHE (nel secondo e terzo anno di vita)
Dai quindici mesi in poi “un vero interesse per l'oggetto, soprattutto per l'oggetto nuovo, insolito, come un vero bisogno intellettuale orienteràormai l'attività del bimbo verso la scoperta e la padronanza del mondo esterno” . Questo aspetto del comportamento permetterà al bimbo non soltanto di moltiplicare le sue prassie, ma di costruirsi e rappresentarsi anche uno spazio d'azione vissuto. La condotta esplorativa è una risposta globale dell'organismo ad una nuova situazione. È quindi la novità o il carattere insolito dello stimolo a determinare il comportamento. Una prassia, come abbiamo detto, è un insieme di reazioni motorie e di atti automatici e intenzionali coordinati insieme in funzione di un risultato pratico. Le prime prassie perciò compaiono abbastanza presto, generalmente quando ha inizio l'attività intenzionale, ma si realizzano soprattutto con la locomozione e con la manipolazione quali espressioni concrete del bisogno di condotte esplorative.
Queste condotte di ricerca possono spiegarsi, nella dimensione strutturale macroscopica del sistema cerebrale, con i meccanismi neurofisiologici che si esercitano in modo reciproco tra la corteccia e la formazione reticolare del tronco cerebrale: interazioni che rappresentano il supporto della funzione di vigilanza. Attraverso la vigilanza specifica, di carattere adattativo e di livello corticale, l'organismo sceglie nel suo ambiente lo stimolo che corrisponde ai suoi bisogni del momento (processo attenzionale ), mentre la vigilanza diffusa, invece, rappresenta uno stato di base dell’attività encefalica di carattere globale (processo preattenzionale, focalizzabile dalla sostanza reticolare del tronco cerebrale); proprio da essa dipende la condotta esplorativa (il riflesso di orientamento di Pavlov) che porta alla scoperta di nuovi oggetti o di nuove caratteristiche e funzioni in oggetti già conosciuti, moltiplicata all’infinito dall’investimento simbolico per cui un oggetto ne rappresenta un altro, assumendone nel gioco la funzione (Piaget 1945).
In presenza di un oggetto sconosciuto, il bimbo utilizzerà a turno gli schemi che già conosce (porta in bocca tutto, anche la scarpa; batte tutto, anche il bicchiere di vetro e così via) esercitando appieno la funzione dell’assimilazione, ma ad un certo punto gli schemi già assimilati si modificheranno, perché un primo grado di accomodamento permetterà il loro diverso impiego nell’assecondare la conformazione o l’uso specifico dell’oggetto medesimo. Si manifesta in questo caso la funzione di aggiustamento indicata da Le Boulch;essa corrisponde all'avvio del processo di accomodamento nel caso particolare dell'esercizio delle prassie. Questa selezione di schemi, che conduce alla scoperta di una nuova prassia, generalmente è un'attività intenzionale ma non corticale, ovvero manifestazione dell'attività dei centri nervosi sotto-corticali (nuclei della base) il cui ruolo consiste, infatti, nel selezionare e nell'integrare le informazioni che risultano dall'attività esercitata sull'oggetto, e nel confrontarle in una serie di approssimazioni e di correzioni successive con gli schemi già posseduti, ovvero gli elementi delle prassie già stabilizzate o modularizzate (sempre che i Neuroni specchio di Rizzolatti non sconvolgano prima o poi anche questa teoria).
E tutto ciò viene anche confermato a livello della dimensione strutturale microscopica del sistema cerebrale, perché a partire dal decimo mese di vita e sino oltre la fine del secondo anno, il cervello del bimbo manifesta una profonda trasformazione: si producono un numero assai elevato di sinapsi (in altre parole di collegamenti tra cellule nervose), a tal punto che si calcola se ne sviluppi una quantità pari al 150% di quella che caratterizzerà il cervello adulto. Le sinapsi si producono in continuità per tutta la vita, perché segnalano la creazione di nuovi circuiti o di sostituzione di vecchi per le memorie (episodiche, semantiche e procedurali), per gli apprendimenti, per la gnosie, le fasie e le prassie, ovvero per tutti i processi e i prodotti delle funzioni cerebrali. Come abbiamo accennato, in questo periodo, infatti, si sviluppa la funzione simbolica (imitazione in presenza, imitazione differita, gioco simbolico e linguaggio verbale orale comunicativo) in collegamento (o per effetto conseguente, secondo la Teoria dell’Azione della Psicologia sovietica) a tutta questa imponente massa di prassie che si determina nella manipolazione degli oggetti e nell’esplorazione degli ambienti (accompagnati dal commento/correzione dell’adulto presente). A partire dalla fine del secondo anno di vita e per tutto il terzo, si attua nel cervello del bimbo una “potatura sinaptica” che riduce i circuiti ridondanti per far assumere al medesimo la forma che avrà nell’adulto
A diciotto mesi, dunque, l'attività senso e percettivo-motoria stacca il bambino dai rapporti esclusivi con la madre, mentre continua a fargli scoprire l’esistenza di oggetti, le lorocaratteristiche, la loro permanenza e i loro spostamenti reciproci e rispetto a sé attraverso la costruzione delle immagini mentali. Le immagini si realizzano fin dalle prime forme d’attività rappresentativa che trae le sue origini nell’interiorizzazione di un’imitazione delle manipolazioni e delle esplorazioni, agendo come evocazione mentale e si affiancano integrandoli agli schemi senso e percettivo motori. Così il bimbo, dopo aver conquistato la capacità di muoversi nel mondo, costruisce, tramite le azioni, la rappresentazione del mondo medesimo: nasce lo spazio topologico che descrive una realtà indipendente dagli oggetti che in esso si trovano e le prime forme temporali. Ma inizialmente lo spazio del bambino resta ancora legato agli oggetti e la sua costruzione può avvenire solo attraverso la conquista delle relazioni di apertura e chiusura, barriera tra interno ed esterno, vicinanza, separazione, ordine, contiguità, successione e avvolgimento che si realizzano nella manipolazione più varia e nello spostamento realizzato dal bimbo degli oggetti medesimi.
I rapporti di successione, ordine, contiguità spazialeconsentono al bambino una certa stabilità nella configurazione delle diverse parti di un oggetto o nella disposizione relativa di oggetti diversi nel suo ambiente di vita: disposizione che comincia a ritornare in modo costante alla considerazione del soggetto attraverso la rappresentazione. I rapporti di avvolgimento, barriera, dentro e fuoripermettono al bambino di situare un elemento tra altri due, qualcosa all'interno di un'altra cosa, su di una superficie, poi in uno spazio a tre dimensioni, ad esempio un oggetto in una scatola. L'attività senso e percettivo-motoria, dunque, una volta interiorizzata, permette al bambino di cogliere vari punti di vista sulla realtà, di confrontare, di ripetere a modo suo un certo numero di esperienze, di effettuare spostamenti diversi trasformando così il suo universo percettivo fino a conferirgli una certa coerenza mediante l’affermarsi delle nozioni infralogiche (spazio, tempo, causalità, quali dimensioni continue del reale) e logiche (confronti fra le diverse qualità omologiche degli oggetti, per effetto della capacità di costruire le classi e le serie).
Considerando il ruolo materno (espressivo anche di quello di tutti gli adulti di riferimento) in questo periodo, si può dire che la madre deve diffusamente verbalizzare incitando il figlio a tentare le sue esperienze, assumendo un atteggiamento rassicurante, al fine di evitare l’insicurezza e l’inibizione nel bambino. Ella deve creare un ambiente stimolante per favorire la maturazione del bambino, ponendolo a contatto con un certo numero di oggetti, affinché la sua motricità si eserciti, non solo quella ludica manipolativa ed esplorativa, costruttiva della mente, ma anche quella funzionale, mediata e accompagnata dal linguaggio adulto.
A quindici mesi, così, il bambino potrà acquisire alcune prassie legate all’alimentazione: bere alla tazza, utilizzare un cucchiaio. Verso i due anni saprà magiare e bere in autonomia; a due e mezzo salire le scale (con entrambi i piedi su ciascun gradino), correre in avanti e incominciare ad arrampicarsi, spingere e tirare grossi giocattoli (ma non di farli girare attorno ad un ostacolo fisso) e andare in triciclo spingendosi con i piedi a terra, lanciare una palla avanti a sé, dare deboli calci e saltare da uno scalino basso a terra. A tre anni sale le scale alternando i piedi, ma scende posandoli entrambi su ciascun gradino, poi corre con sicurezza e aggira gli ostacoli anche se porta o trascina o spinge grossi giocattoli, dimensiona i propri movimenti e l’ingombro del suo corpo in rapporto agli oggetti e allo spazio circostante, va in triciclo pedalando, lancia la palla avanti e l’afferra al volo con entrambe le mani, calcia la palla con una certa forza e può stare in equilibrio sulla punta dei piedi. Il senso di prestanza determinato da queste acquisizioni funzionali, infatti, si riverbererà sulla motricità ludica, potenziandola al sommo grado.
9. SVILUPPO DEL LINGUAGGIO ORALE E DEL PENSIERO
Come abbiamo detto, la verbalizzazione della madre e degli adulti sull’agire del bambino è molto importante. Il periodo che va dai due ai tre anni, oltre che per l’incremento delle strutture prassiche, è particolarmente significativo, infatti, anche per lo sviluppo del linguaggio orale. Per quanto ci riguarda, non descriveremo tale processo, se non per sommi capi e, comunque, come obbligatoria premessa alla letto-scrittura rimandando ad altri i necessari approfondimenti . Generalmente in ambiente sonoro e verbale si incomincia dai due ai dieci mesi ad assistere al periodo pre-linguistico che è sostanzialmente caratterizzato da tentativi ed esercizi di meccanismi vocali che il bambino compie al fine di migliorare una sua competenza comunicativa sul versante produttivo (lallazione dal 4° al 6° mese e poi pronuncia spontanea delle prime parole singole, spesso incomprensibili per l’indeterminatezza dei fonemi), anche se molto più ampia sul versante ricettivo, perché inclusiva della comprensione del tono della voce che risulta collegato in continuità con le altre dimensioni espressive del dialogo tonico, così come già indicato a suo tempo, fin dalle prime forme relazionali con la madre. Nel linguaggio parlato, però, l’atto motorio del parlare è molto importante per apprendere a sentire il proprio discorso (e dunque a controllarlo), come dimostrano coloro che sono divenuti sordi dopo lo sviluppo e poco alla volta hanno perso anche la residua capacità di parlare.
Il periodo linguistico inizia tra i dodici e i quindici mesi ed ècaratterizzato dall'utilizzo delle prime parole-frasi. Inizialmente i primi elementi del linguaggio non sono comprensibili, ed anche più tardi non saranno utilizzati, al di fuori del contesto situazionale ordinario. Le prime parole comprese e utilizzate dal bambino sovvengono alla denominazione di oggetti familiari che hanno per lui un significato affettivo. Ciò corrisponde alla parola-frase in cui ‘lolo’ significa voglio bere, ‘miam miam’ ho fame. Il linguaggio orale in via di acquisizione è costituito da un numero limitato di elementi lessicali che aumenta lentamente fino a due anni. Il bambino disponendo di pochi termini, impiega lo stesso vocabolo per designare più situazioni. Ciò viene chiamato ‘polisemia’ ed un suo esempio è rappresentato dalla designazione di tutti gli uomini col termine ‘papà’
Al termine del secondo anno, però, il bambino conosce e comprende mediamente più di duecento vocaboli e può designare un’azione con una parola, e quindi usare il verbo, per associare due parole: papà patì = papà partito, bumbu mamma = da bere mamma, ciò rappresenta il primo rudimento grammaticale (frase minima con predicato nominale e predicato verbale). Verso i tre anni poi le frasi avranno spontaneamente (tramite acquisizione per esposizione al linguaggio adulto) uno sviluppo grammaticale e sintattico più consistente, con una rigidità di regole che comporta tipici errori grammaticali negli anni successivi, compariranno inoltre alcuni verbi principali ed anche aggettivi, avverbi e pronomi, tanto che a quattro o cinque anni la competenza grammaticale e sintattica si può considerare quasi definitivamente compiuta, nonostante non ci sia stato alcun insegnamento formale. Rimane, tuttavia, per sviluppare completamente anche la competenza comunicativa col linguaggio orale, l’apprendimento progressivo e talvolta non breve, ma esteso a tutte le diverse condizioni di vita sociale, della competenza pragmatica nell’uso del medesimo linguaggio.
L'interazione tra il bambino e il suo ambiente sociale così, per una linea di sviluppo, progressivamente potrà diventare un processo prevalentemente verbalizzato (con il codice verbale capace di integrare e applicare ad un livello ideativo quei codici senso-motorio e dell’immagine che fino ad ora si attualizzavano solo in situazione di presenza) e di scambio comunicativo, mentre il legame tra la parola e l'azione, per un’altra linea di sviluppo, si tradurrà progressivamente nel monologo adattativo del bambino che sta esplorando il suo mondo e cimentando la sua azione (tipicamente nel gioco): ciò che Piaget ha chiamato ‘linguaggio egocentrico’, preludio al linguaggio interiore ovvero al pensiero, come ci ha indicato Vygotskij che considera come il linguaggio interiore nel corso del gioco permetta al bambino di quattro o cinque anni di controllare la sua azione. “Grazie all’intervento del linguaggio, per la prima volta il bambino risulta capace di padroneggiare il proprio comportamento, rapportandosi a se stesso come dall’esterno, considerando se stesso come un oggetto attraverso l’organizzazione e la pianificazione preliminare dei propri atti di comportamento. Questi oggetti che erano al di fuori della sfera dell’accessibile per l’attività pratica, grazie al linguaggio divengono disponibili per l’attività pratica del bambino” .
Qui va ben inteso che per “padroneggiare il comportamento” si vuole indicare la capacità di progettazione globale della propria azione e di controllo e cambiamento della medesima, non ancora, tuttavia, di controllo nella realizzazione del movimento secondo un’immagine anticipata del medesimo che si deve determinare nel compiere quella azione al fine di conseguire quel determinato scopo. Per il controllo intenzionale del movimento, infatti, devono maturare ancora alcune importanti competenze e si devono realizzare alcuni passaggi evolutivi fondamentali, come vedremo nel prossimo paragrafo.
10. SCHEMA E IMMAGINE DEL CORPO PER LO SVILUPPO DEL SÉ CORPOREO
Dopo la nascita, infatti, il corpo del bambino è statovissuto come un tutto unitario con quello materno per effetto dell’interazione simbiotica che l'unisce alla madre. Quando comincia a riconoscere l’immagine materna, il bambino scopre che la soddisfazione dei suoi bisogni passa per l'appropriazione di un oggetto esterno a lui (la madre, oggetto libidinale). Progressivamente poi, attraverso le esperienze relazionali, il bambino scopre la diversità delle persone del suo ambiente. Il processo d'identificazione, anche oltre il dialogo tonico, gli permetterà di sentire nel suo corpo le emozioni e gli atteggiamenti degli altri e di vivere corporalmente i sentimenti delle persone che lo circondano, siano essi aggressivi o affettuosi. “Per Wallon, infatti, il senso originario di sé incomincia a svilupparsi attraverso la progressiva integrazione delle percezioni relative ai tre campi estero, proprio ed enterocettivo nel corso della dinamica tensione emotiva provocata dalla relazione con l'altro. Allo studio di ciascun campo sensoriale è stato destinato un'ampia trattazione nei corsi tenuti alla Sorbona alla fine degli anni '30 (L'origine del carattere nel bambino, Ed. Riuniti Roma 1979, da pag. 143 a pag. 165), ma la tematica è poi stata continuamente ripresa (Cinestesia e immagine visuale del proprio corpo nel bambino, in “Psicologia ed educazione del bambino”, La Nuova Italia Firenze 1971, da pag. 59 a pag. 76). Zazzo, poi, ha continuato questa ricerca, documentando lo stadio dello specchio e l'uso dei pronomi personali per evidenziare la fase di conseguimento della coscienza (Immagini del corpo e coscienza di sé, in “Psicologia del bambino e metodo genetico”, Ed. Riuniti, Roma 1973, da pag. 225 a pag. 248)” .
Alla fine del periodo senso-motorio che Piaget, come sappiamo, situa tra i quindici e i diciotto mesi, viene acquisita la permanenza dell'oggetto, ma contemporaneamente alla costruzione del reale l’attività prassica del bambino gli fa scoprire la sua corporeità in quanto persona (soggetto), perché mediante l’azione il bimbo può sperimentare prima la percezione del movimento che vuole realizzare nel complesso generale del senso del corpo (prima forma di coscienza corporea o “sensus sui”) e successivamente la sua immagine visiva (prima a quadri separati e distinti e poi nell’insieme unitario). In tal senso vari Autori usano la metafora dello specchio (anche se l’unità si costruisce prevalentemente sull’immagine del corpo dei soggetti circostanti): di fronte allo specchio, dunque, il bambino comincia con l'esplorare quel corpo estraneo posto davanti a sé.
Progressivamente, così, inizia a mettere insieme il corpo cinestesico (come si produce dalla propriocezione che si pone alla base dello schema corporeo , più le reazioni vestibolari d’equilibrio), in altre parole che deriva dalla fluttuante percezione delle sue reazioni posturali e gestuali, e quello cenestesico che deriva dalla percezione continua dello stato interno (quel sottofondo esistenziale che si coglie prevalentemente come stato di benessere o di malessere), congiunti nel corpo “vissuto”, con quello che vede riflesso nello specchio e, intorno ai tre anni, capisce che il corpo che sente di vivere è proprio lo stesso che vede nello specchio . Il bambino riconosce così un tutto unitario nel suo corpo come oggetto e soggetto, ovvero sia dal di fuori che dal di dentro, ma gli rimane da integrare in questa corporeità unificata dall’atto percettivo immaginifico tutta la sua esperienza del mondo esterno per renderla utilizzabile all’agire. E per farlo dovrà passare dall’atto di cogliere l’immagine del proprio sé corporeo a quello di rappresentarsela incorporata.
Il processo di elaborazione di una tale rappresentazione deriva, secondo la psicologia genetica di Piaget, dall’accomodamento degli schemi senso-motori già posseduti, con una prevalenza dell’aspetto figurativo (per imitazione interiorizzata) nel periodo dai due ai sette anni (stadio pre-operatorio), mentre prevarrà l’aspetto operatorio dopo i sette anni che consentirà di controllare sia la condizione statica del corpo, che alcune sue trasformazioni (movimenti, gesti, azioni fondamentali), arrivando infine ad anticipare l’atto intenzionalmente perseguito (dagli otto agli undici anni, seppur con differenze personali e di genere: quella che è stata definita come “età d’oro del movimento”).
Dal riconoscimento dell’affermazione definitiva di questa competenza alla fine della seconda infanzia (sei/sette anni) nasce il processo d’insegnamento che si centra su una prima fase cognitiva di incorporazione del modello di movimento da svolgere e poi su di una fase associativa di accomodamento; tale processo didattico, infatti, risulta del tutto inadeguato (come lo giudica Le Boulch ) per le età precedenti, perché riferita ad una operazione di “riduzione dei gradi di libertà” secondo il modello neurocibernetico di N. A. Bernstein , del tutto incongruo alla fase preoperatoria dell’immagine (non risultando percorribile, a parer nostro, l’interpretazione di Nicoletti, citata anche da Cottini, che collega la teoria di Bernstein a quella dello “schema” di Schmidt). In realtà si confrontano su questa modalità d’apprendimento due teorie inconciliabili, perché riferite una al modello neurocibernetico acquisito dalla psicologia cognitivista e l’altra al modello di sviluppo della psicologia genetica di Piaget .
A partire dai tre anni, dunque, l'emergere della funzione d'interiorizzazione permette al fanciullo di rivolgersi a se stesso e avviare un vero processo narcisistico. In tal modo il bambino prenderà coscienza che la sua personalità è distinta da quei modelli che fino ad allora gli si erano imposti. Di conseguenza non assimilerà più i sentimenti e gli atteggiamenti degli altri, ma piuttosto cercherà di opporvisi per affermare la propria personalità nascente. Attraverso i giochi simbolici d’espressione e d’animazione il bambino, ponendosi alternamente come personaggio attivo, tenterà di collaudare i due aspetti complementari necessari alla costituzione di un Io equilibrato. In tal senso, poi, il duplice movimento che va dall'identificazione all'atteggiamento narcisistico si esprime non soltanto a livello immaginario, ma anche in funzione degli scambi comunicativi del fanciullo in seno all'ambiente familiare. Il bisogno di riconoscersi e di farsi riconoscere sarà talvolta sostituito da quello di essere approvato ed apprezzato.
11. LO SVILUPPO MOTORIO E IL GIOCO SIMBOLICO (dai tre ai sei/sette anni)
Il bambino di tre anni che ha beneficiato di un ambiente umano favorevole alla dinamica degli scambi affettivi e che, grazie all'aiuto e alla verbalizzazione materna, ha potuto confrontarsi con il mondo degli oggetti con successo, ovvero che non è stato né superprotetto, né lasciato abbandonato a se stesso, mostra di possedere una motricità spontanea armoniosa. I suoi spostamenti non creano più problemi, l'equilibrio è assicurato, la coordinazione braccia-gambe è acquisita e questa motricità è perfettamente ritmica, cioè ben organizzata sul piano temporale. Egli sale e scende rapidamente le scale e sta acquisendo molta abilità sul piano della coordinazione oculo-manuale. In particolare ha risolto molti dei problemi che sorgono a tavola: beve da solo, senza versare il liquido, tiene il cucchiaio e la forchetta tra il pollice e l'indice. Mostra d’aver acquisito anche un buon controllo dello sfintere e comincia ad essere capace di spogliarsi da solo. Possono ancora evidenziarsi normali incertezze nel dominare schemi crociati, come usare coltello e forchetta o allacciare stringhe ma presto anche questi saranno superati dallo sviluppo.
Sulla base di questa spontaneità motoria utilitaristica (o d’uso), anche la motricità ludica che si manifesta nelle attività gratuite e di esplorazione continuerà ad arricchire il bagaglio di prassie del fanciullo. In questo periodo dello sviluppo, poi, le esplorazioni del bambino sono sempre più dirette da un'intenzionalità che è cosciente del fine da realizzare. Egli dispone dunque di una vera e propria memoria del corpo, carica di affettività e da essa orientata, che dipende dalle sue esperienze riuscite vissute precedentemente e valorizzate dall'adulto. Il movimento del bambino perciò ha un ruolo espressivo, tuttavia presto per lo sviluppo della funzione simbolica e del linguaggio il fanciullo comincerà a diventare cosciente dell’effetto che il suo agire sviluppa sugli altri ed allora (verso i quattro anni) la sua espressione perderà la spontaneità (reazioni di presenza) e il bambino, attraverso moine, sorrisi e bronci cercherà di attirare l’attenzione su di sé.
L'attività prassica, però, permette soprattutto di aumentare la plasticità della funzione di aggiustamento e di sollecitare l'assunzione di informazioni sempre più precise sull'ambiente circostante. I progressi più significativi sul piano gestuale hanno la loro base sull'aggiustamento posturale, che beneficia di una regolazione tonica molto più precisa. Lo sviluppo del controllo tonico consente l'eliminazione di tensioni parassite (paratonie) e delle sincinesie, soprattutto se il fanciullo non è troppo sollecitato sul piano emozionale dalla eccessiva attenzione dell'adulto e dalla sua troppo grande esigenza di controllo sui dettagli del movimento. I giochi funzionali e simbolici ma soprattutto le situazioni della vita quotidiana con le quali si confronta (alimentarsi, lavarsi, vestirsi, andare in bicicletta o con i pattini e così via) danno occasione al bambino di accrescere il suo repertorio gestuale. “Intorno ai tre anni il bambino controlla globalmente gli schemi motori dinamici generali (correre, lanciare, saltare, salire, scendere ecc… piano.. veloce…), imita di volta in volta posizioni globali del corpo o posizioni semplici di un segmento, riconosce parametri spaziali, discrimina e riproduce strutture ritmiche varie e articolate. Tra i cinque ed i sei anni effettua una prima forma di controllo segmentario degli schemi dinamici generali, imita contemporaneamente posizioni globali del corpo e posizioni combinate dei suoi segmenti, riconosce la destra e la sinistra su di sé e sugli altri, discrimina e riproduce strutture ritmiche varie e articolate, matura ed esercita la motricità fine” .
Dai quattro ai cinque anni sa variare il ritmo del suo passo, corre, mantiene l'equilibrio su un piede, lancia dall'alto in basso. È divenuto ulteriormente abile nell'arrampicarsi, sa guidare con familiarità un triciclo e sta migliorando rapidamente la capacità di giocare con palle di dimensioni differenti, ha ormai raggiunto un buon equilibrio statico anche in condizioni relativamente precarie, è capace di saltare verso il basso con buon equilibrio nella fase di volo durante la quale, tuttavia, non compie ancora movimenti, focalizzando la sua attenzione sul punto d'arrivo. Il controllo della postura è affinato, saltella su un piede, apprende nuovi schemi motori, continua ad avere difficoltà con i piani obliqui e crociati, così come mostra difficoltà nel movimento ritmico, pur sapendosi muovere seguendo la musica.
Secondo Piaget l’attività ludica realizza fondamentalmente una funzione di assimilazione per cui le strutture mentali tendono a piegare la realtà alle proprie forme e ai propri scopi. Nello stadio senso-motorio (fino a due anni), con il gioco funzionale, l’assimilazione consiste nell’esercizio di strutture a vuoto per il puro piacere del funzionamento, ma poi nella motricità utilitaristica dello stadio delle reazioni circolari terziarie che si realizzano con scoperta di nuovi mezzi per raggiungere i fini desiderati, si presenta l’accomodamento. I giochi funzionali permettono al bambino di confrontarsi con il mondo degli oggetti e di acquisire nuove prassie. Nello stadio pre-operatorio, tra i due e i sette anni, compare il gioco simbolico le cui caratteristiche sono la ripetizione di un agire e il cambiamento di finalità . Nel ripetere il gesto, ora, il bambino riproduce situazioni, oggetti, azioni non immediatamente presenti per cui le azioni ludiche sono decontestualizzate e rappresentano “uno stare per” altre azioni. In questo senso il gioco simbolico segna un passaggio fondamentale nello sviluppo dell’intelligenza, insieme al linguaggio verbale e all’imitazione differita, ed è piena espressione del pensiero e della rappresentazione mentale che derivano dall’interiorizzazione dell’azione. Tuttavia per Piaget il gioco simbolico in questa fase resta assimilatorio, egocentrico, non socializzato poiché distorce e piega la realtà ai desideri egocentrici del bambino. In questo senso il gioco ha un importante significato emotivo, ma ha scarsa propulsività intellettuale. È soltanto con il passaggio allo stadio successivo, quello operatorio, che il gioco si fa più realistico e adattato alla realtà e, nel contempo, diventa sociale (gioco con regole).
Secondo Vygotskij nel gioco simbolico il bambino agisce sulla base dei significati e, anche se ha bisogno ancora di un oggetto come intermediario della sua immaginazione, ciò che conta non sono le proprietà dell’oggetto, ma i significati di cui può essere investito. Mentre per Piaget il decentramento compare molto tardi nel gioco, ovvero solo con il gioco regolato, per Vygotskij il gioco simbolico è fin dall’inizio un intreccio di regole e di immaginazione: Vygotskij non distingue in questo senso tra gioco simbolico e gioco con regole poiché il primo contiene sempre regole e il secondo situazioni immaginarie. L’immaginazione che opera nel gioco non è per Vygotskij elemento di confusione tra realtà e fantasia, mondo interno e mondo esterno, ma molla di sviluppo in quanto crea la zona di sviluppo prossimale.
Mentre per Piaget nel gioco simbolico non vi è spazio per l’educazione, Vygotskij attribuisce ad esso una fondamentale valenza educativa: nel gioco infatti, come nell’area di sviluppo prossimale, svolge un ruolo decisivo il compagno esperto, adulto o bambino. La mente di ciascun individuo si sviluppa facendo esperienza di strumenti culturali forniti dall’attività congiunta, volta alla soluzione di un problema, con un partner più esperto in grado di agire nell’area di sviluppo prossimale del meno esperto. Le Boulch considera il gioco simbolico la “ vera attività proiettiva volta a creare un universo magico dove reale e immaginario si mescolano” . Non essendo la realtà sempre propizia a permettergli di sperimentare i suoi differenti personaggi, il fanciullo si rifugerà nell'immaginario e si creerà così un universo fantastico che non conserva un carattere magico. Proprio nel gioco simbolico l'Io del fanciullo diviene « Io », cioè trova la possibilità non solo di esistere nell'immaginario, ma anche nel corso di un'esperienza reale nel momento in cui realtà interiore e realtà esterna sono ancora confuse. Quando sarà realizzato l'adeguamento tra ciò che viene progettato e la verità del percepito, il fanciullo passerà da un universo magico al mondo reale organizzato.
12. EVOLUZIONE DELLA MOTRICITÀ GRAFICA E DEL DISEGNO DEL CORPO
Gli schemi oculo e video-motori che sono messi in gioco nel lasciare una traccia prima e nel disegno poi, si sprigionano da una condotta motoria che viene modificata per dare effetto alle proprietà del campo visivo così come sono colte dal bimbo. All’inizio, la difficoltà di espressione grafica deriva più dalla difficoltà motoria che da quella percettiva; sembra che l’intenzione espressiva venga tradita dalla realizzazione motoria. La coordinazione gestuale e l’interesse rivolto dal fanciullo alle possibilità che egli possiede di segnare dei tracciati, precede di molto l’uso della matita. La prima presa della matita avviene a mano piena anche dopo i dieci e i dodici mesi, età nella quale il fanciullo ha nel frattempo acquisito, per alcuni oggetti, la prensione pollice-indice. Questa ‘prassia della matita’ potrà acquisirsi nel corso del secondo anno. Da questo momento il bambino riesce a compiere semplici scarabocchi eseguiti sulla base di movimenti impulsivi come zig-zag che si sovrappongono o serie confuse di cerchi. Questo tipo di attività grafica si basa essenzialmente su di un controllo del movimento riferibile alla radice dell'arto (esercitato dall’area corticale premotoria in incipiente maturazione) e si traduce globalmente in scariche toniche.
Il grafismo esprime, infatti, delle caratteristiche toniche che possono rappresentare indizi della dominanza laterale con lo sviluppo di forme di bimanualità (in altre parole: un arto attua il movimento fine e preciso, mentre l’altro sostiene il supporto o funge da esso. Una bimanualità controllata dall’area motoria supplementare). Ciò poi è anche evidente nelle direzioni e nei sensi di rotazione: ad esempio, quando si propone al fanciullo di scarabocchiare su di un grande foglio bianco appuntato al muro. Se egli adopera la mano destra, traccerà sul foglio nella direzione da sinistra a destra partendo dall'asse centrale (perciò quando scriverà partendo dal lato sinistro del foglio, starà usando uno schema crociato); se usa la sinistra, traccerà da destra a sinistra. Riguardo al senso di rotazione delle linee curve chiuse o ad occhiello, si ha il senso orario per la mano destra, il senso antiorario per la mano sinistra. La lateralità è funzione di una dominanza neurologica che conferisce a uno degli emisferi l'iniziativa dell'organizzazione dell'atto motorio e che sfocerà nell'apprendimento e nel consolidamento delle prassie bimanuali.
L'accenno della prevalenza manuale può essere colto (per alcuni Autori) verso i quattro mesi, quando il fanciullo è capace di seguire per la prima volta con gli occhi lo spostamento di una sua mano. A partire dai sette mesi la prevalenza si rivela quando una delle mani si mostra più abile dell'altra nelle manipolazioni e per il fatto che il fanciullo tende a utilizzarla di preferenza; tra i due e tre anni tuttavia, tale prevalenza sarebbe fluttuante e la lateralità non sarebbe ancora definitivamente stabilizzata. Permettere al fanciullo di organizzare da solo le sue attività motorie globali è l'azione educativa fondamentale per porlo nelle migliori condizioni per accedere ad una lateralità omogenea e coerente. Così il grafismo dopo i due anni diventerà un atto intenzionale e volto ad ottenere un tracciato che però, inizialmente, risulta fine a se stesso (un tracciato per lasciare la traccia del movimento). Il primo controllo di dominanza cinestesica consiste nel frenare l'impulsività del tracciato e nel mantenerlo in un quadro spaziale definito (i limiti del foglio). A partire dai due anni e mezzo il controllo visivo si eserciterà in modo più preciso, ma il progresso del grafismo non è possibile se non nella misura in cui le coordinazioni motorie si sono sviluppate.
L'esperienza dello specchio, come abbiamo detto, porta all'appropriazione dell'immagine speculare di sé, che favorisce la fusione di due realtà globali del corpo: l'una, primigenia, fatta di sensazioni viscerali, muscolari e cinestesiche diffuse e organizzate come un tutto negli aggiustamenti prassici e posturali; l'altra, più recente che funge da trama all'organizzazione dell’immagine visiva e che perciò viene rappresentata con una figura fissa che si stacca su di uno sfondo, all'interno della quale sono già identificati alcuni elementi fondamentali, seppur mal localizzati. Le conoscenze topologiche, acquisite dal fanciullo nel corso delle sue esperienze sullo spazio, così possono applicarsi al suo corpo. L'immagine visiva si struttura, quindi, grazie ad una migliore discriminazione delle parti e allo stabilirsi dei rapporti di prossimità e di collegamento tra di esse. Delle varie prove che permettono di tracciare i progressi realizzati dal fanciullo nella conquista di una rappresentazione mentale fedele dell’immagine visiva del suo corpo, si può privilegiare quella originaria di Goodenough (1926): il disegno dell’uomo (o dell’omino).
Molto utilizzata in Italia questa prova propone i seguenti esiti (poi sintetizzati nella tabella):
a) la prima rappresentazione figurata, che si pone verso i tre anni, consiste in una figura circolare con linee irregolari rappresentate all’interno di un cerchio. Poco dopo i tre anni, il bambino disegna un cerchio con occhi, naso, bocca. In seguito, aggiunge al cerchio due tratti che rappresentano gli arti inferiori. b) Verso i quattro anni, un cerchio rappresenterà la testa con occhi, naso, bocca, orecchie, qualche volta anche con i capelli. Un secondo cerchio rappresenterà il tronco, da cui partono gli arti. c) A cinque anni il bambino raffigura le mani e i piedi, le dita della mano appaiono sotto forma di tratti, i piedi sotto forma di escrescenze degli arti inferiori. d) Intorno ai sette anni, la traduzione attraverso il grafismo dell'immagine visiva del corpo ha acquisito le sue fondamentali particolarità; ma la precisione e la varietà del dettaglio variano considerevolmente da un bambino all'altro.
La fedeltà con cui si può stabilire il livello reale della rappresentazione visiva che il fanciullo ha del suo corpo attraverso il disegno del pupazzo è però limitata, da una parte, dalla differenza tra la rappresentazione mentale e la motricità grafica, e, dall'altra, dal carattere in qualche modo sempre proiettivo della prova (un test specifico per queste dimensioni è quello della figura umana di Machover, 1949) .
13. RUOLO DELLE FUNZIONI D’INTERIORIZZAZIONE E D’AGGIUSTAMENTO
La funzione d'interiorizzazione e l’attenzione centrata sul corpo, permettono di stabilire relazioni sempre più precise tra ciò che è visualizzato e ciò che è percepito somestesicamente. L'utilizzazione ludica di questa forma di attenzione avverrà durante la realizzazione di prassie familiari e molto automatizzate, come le azioni della vita quotidiana, vestirsi, scarabocchiare, aprire una porta, lanciare una palla, rotolarsi per terra, arrampicarsi, manipolare un oggetto. L’adulto non deve attirare l'attenzione del fanciullo sulla riuscita del compito, ma su ciò che si prova nel corso della realizzazione. È importante, inoltre, che le esperienze percettive del fanciullo, basate sulla sensazione del corpo proprio, siano associate alla verbalizzazione. Il bambino deve apprendere verbalmente il nome delle diverse parti del corpo rapportandole sempre ad una esperienza percettiva. Deve essere proposta, dunque, un'associazione somestesica verbale riferita al referente visivo e non soltanto un'associazione verbale visiva.
Tra i tre e i sei anni, se si tiene considerazione delle conquiste del periodo precedente, si può affermare che non avviene sul piano della coordinazione prassica un progresso davvero significativo, perché i progressi più rilevanti ed evidenti della motricità funzionale e ludica di questo periodo si basano di più sulla regolazione tonica e sull'aggiustamento della postura che non sulla realizzazione del gesto. Il periodo del corpo vissuto (dalla nascita a tre anni) è decisivo, infatti, nella formazione della personalità, nella misura in cui l'Io si sviluppa mediante le strutture senso e percettivo-motorie e nella misura in cui il fanciullo ha la possibilità di prendere e di comprendere una grande diversità di atteggiamenti che permettono lo scambio con gli altri. Ma nel passaggio al periodo del corpo percepito (da tre a sei anni) il bambino comincia ad essere capace di passare dalla semplice identificazione imitativa che gli fa assumere inconsciamente certi atteggiamenti o posture o mimiche, ad un'imitazione originata da un’immagine mentale che si traduce in un’organizzazione posturale e mimica adattata alle sue proprie reazioni emotive. In tal senso l'organizzazione tonico-emotiva non è più comandata dai suoi bisogni immediati, ma può essere l’oggetto di un'attività intenzionale.
Nel momento in cui l'immagine visiva del corpo e la sua immagine somestesica si saranno fuse, perciò, verrà raggiunto uno stadio importante sulla via della strutturazione delle competenze psicomotorie, perché l’apprendimento delle prassie non dovrà utilizzare forzatamente il solo canale per prove ed errori (processo di aggiustamento globale), ma potrà cominciare ad attingere al canale della ristrutturazione improvvisa del quadro percettivo (con aggiustamento specifico ad una immagine mentale anticipata). Ovviamente si tratta di un processo maturativo che richiede un completo arco di tempo per realizzarsi (talché si definirà compiutamente solo nel periodo del corpo rappresentato, cioè da 6 a 10/12 anni); all’inizio di questo terzo periodo l’aggiustamento motorio, infatti, resta globale e i progressi sul piano prassico sono dovuti, da una parte, alla moltiplicazione degli schemi e, dall'altra, allo sviluppo della funzione simbolica. Sul piano motorio propriamente detto, perciò, il progresso più significativo consiste in un migliore controllo tonico e posturale da cui dipenderà l’evoluzione dell’attenzione e della percezione .
L’unica struttura motoria che si avvantaggia rapidamente durante questa fase evolutiva è la coordinazione oculo-manuale nelle gestualità e nelle azioni balistiche. I movimenti di presa della palla al volo, ad esempio, sono balistici perché si realizzano con riferimento a parabole di oggetti lanciati nello spazio ambientale e tali gesti sono anche reattivi, perché si svolgono in un tempo così breve che non concede né una fase di preparazione, dove lavorare con l’aggiustamento mediante immagine mentale, né una correzione del gesto in corso d’azione, ma solo finale sull’esito di riuscita o non riuscita. Il movimento balistico richiede, in altre parole, per ottenere un risultato positivo, un repertorio di esperienze pregresse che abbiano reso automatica la risposta motoria alle differenti parabole possibili. Per questo motivo dai tre ai sei/sette anni si assiste ad un rapido sviluppo di competenza, nslla situazione di una frequenza adeguata ad applicazioni esercitative.
14. STRUTTURE TEMPORALI: DURATE E RITMI
Fin dalla nascita i ritmi corporei debbono adeguarsi alle condizioni temporali imposte dall'ambiente. Secondo Le Boulch l’interrelazione tra l'organismo materno e quello del fanciullo determina il tempo degli automatismi cadenzati più primitivi, come i ritmi, o delle oscillazioni cadenzate della testa e del tronco. Questi ritmi sono la traduzione di un'oscillazione tonica, cioè di una pulsazione che fa alternare la tensione e il rilassamento, in dipendenza dell'attività spontanea della formazione reticolare. Dopo la nascita, i ritmi si attualizzano nel dondolio, che, quando obbedisce ad una cadenza appropriata, ha un’efficacia sicura sull’abbassamento del livello tonico tanto da indurre il rilassamento e poi il sonno. Le oscillazioni toniche fondamentali sono non soltanto in rapporto con l’eccitazione labirintica, ma risultano anche fortemente influenzate dalle informazioni sonore ritmiche che giungono al corpo del feto (i battiti cardiaci, i movimenti peristaltici dell’intestino della madre). In tal senso tutti i ritmi motori spontanei, così come essi si manifestano alla nascita, cioè i riflessi arcaici ritmici come il camminare automatico, l'automatismo respiratorio, l’automatismo di suzione e i ritmi di oscillazione, si instaurano durante la vita intrauterina.
Dopo la nascita, uno degli aspetti fondamentali della relazione madre-figlio è la regolamentazione dei ritmi biologici del fanciullo. Durante gli scambi corporei tra la madre e il fanciullo, il ritmo dei movimenti della madre deve adeguarsi al tempo proprio del fanciullo realizzando, così, uno scambio tonico-sincrono. L’utilizzazione ritmica del linguaggio o del canto contribuisce a consolidare i ritmi motori spontanei del fanciullo la cui stabilità garantisce un buon equilibrio tonico-emotivo. Più tardi, nel periodo dell’acquisizione delle prassie fondamentali, l’importanza dell'atteggiamento educativo dell'ambiente è essenziale per migliorare o mantenere il buon ordine temporale del movimento e la spontaneità. L’ambiente deve favorire le esperienze prassiche in un buon clima di sicurezza e di tranquillità. Un ambiente che svalorizzasse l’attività corporea a vantaggio delle attività a carattere cognitivo, avrebbe un’influenza negativa sulla buona armonia del corpo. Ne deriverebbe una diminuzione di spontaneità motoria e di disponibilità, che si manifesterebbe con movimenti rigidi e privi di naturalezza. Queste manifestazioni si osserverebbero prima in presenza dei genitori, poi diverrebbero una caratteristica della personalità sempre più difficile da modificare qualora si prolungasse un simile clima educativo.
L’aggiustamento spontaneo al tempo ritmato è più precoce rispetto alla percezione del ritmo temporale. Esso può essere sollecitato nelle prove di sincronizzazione senso-motoria. Con la sincronizzazione senso-motoria, infatti, è possibile influenzare la motricità ritmica del fanciullo. La maggior parte degli Autori parlano di sincronizzazione senso-motoria nei fanciulli a partire dai tre/sei anni. C'è sincronizzazione senso-motoria quando ad una serie di stimoli sonori periodici (cadenza o ritmo cadenzato) si riesce a giustapporre una realizzazione motoria corrispondente. A tre anni, però, l'organismo può adattarsi ad una realtà temporalmente strutturata al solo livello del vissuto. È il fenomeno della sintonizzazione che può sfociare nell’acquisizione di automatismi stabili, bene adattati all’ambiente e suscettibili di accomodamento. Il ‘lavoro percettivo’ è il passaggio dal trattamento automatico dell'informazione al trattamento di questa stessa informazione posta sotto il controllo dell’attenzione selettiva. Ne deriva che l’informazione sarà oggetto di un passaggio al livello dell’analisi cosciente e sfocerà nella possibilità di una riproduzione partendo da una vera operazione mentale.
Le strutture temporali che si possono percepire sono fondamentalmente due: le durate e le strutture ritmiche. Per le durate é fondamentale riconoscere ciò che dura più o meno a lungo, apprezzare le uguaglianze e le differenze. La struttura ritmica invece rappresenta una successione di elementi che non sono uguali tra di loro e rappresenta sul piano spaziale la percezione delle forme di un insieme. La strutturazione temporale si sviluppa nel bambino a partire dall’adeguamento motorio a delle semplici cadenze, per poi evolversi con l’acquisizione successiva di tempi e velocità diversi da quelli spontanei. Nel fanciullo dai tre ai sei anni è difficile avere dati precisi sulla cronologia dell’acquisizione della durata. Tuttavia, alla fine di questo periodo egli deve essere in grado di differenziare durate medie (da 60 a 80 millesimi di secondo d'intervallo) e durate brevi (da 20 a 60 millesimi di secondo) da durate lunghe (da 80 a 120 millesimi di secondo). Tale percezione è immediata e dipende dalla buona attitudine alla sincronizzazione senso-motoria spontanea. La percezione delle strutture ritmiche si acquisisce da strutture semplici, di tre elementi, progredendo successivamente in complessità. Il bambino dai tre ai sei anni può riprodurre forme di tre o quattro elementi; dopo gli otto anni, egli può fissare sette o otto elementi. Inoltre, a partire dai sei anni, il fanciullo potrà articolare più sotto-insiemi che gli permetteranno di riprodurre forme temporali sempre più diversificate. Pertanto, per l’acquisizione della strutturazione temporale, non vi é una precisa corrispondenza d’età, ma semplicemente un progredire dal più semplice al più complesso. Il lavoro che gli adulti devono svolgere con bambini intorno ai sei anni sarà rivolto a favorire l'espressione dei ritmi corporei spontanei e la possibilità di sincronizzarli a supporti sonori adatti e, inoltre, a educare la percezione uditiva dei ritmi, in particolare delle strutture ritmiche. L’evolversi della strutturazione spazio-temporale è fondamentale per la riuscita nelle attività scolastiche, per la sua ricaduta nell’apprendimento di lettura, scrittura, calcolo.
15. RAPPORTO TRA CORPO E SPAZIO E ACCESSO ALLO SPAZIO EUCLIDEO
Lo spazio è inizialmente il luogo occupato dal corpo e nel quale si sviluppano i movimenti del corpo. È quindi lo spazio personale e gesticolatorio d’azione, uno spazio, in altre parole, delimitato dall'accesso prima alla stazione seduta e poi alla stazione eretta che permettono di scoprire gli oggetti, fino a quando la locomozione estenderà il campo d'azione favorendo le scoperte nello spazio ambientale. Attraverso l’esercizio senso-motorio, il bambino percepisce l’oggetto che, inizialmente, è riconosciuto come invariato e con le stesse proprietà nel corso dei suoi spostamenti. Più tardi, verso gli otto - nove mesi, l’oggetto diventa permanente e il bambino diventa capace, anche in sua assenza, di richiamarlo mentalmente con la rappresentazione mentale. Tale possibilità di sostituire all’oggetto la sua immagine corrisponde all'emergere della funzione simbolica. L’evocazione dell’oggetto attraverso l'immagine sarà un supporto fondamentale per lo sviluppo dell’attività percettiva. Quando si troverà in presenza di un nuovo oggetto, il bambino potrà paragonarlo, attraverso la rappresentazione mentale, agli scherni percettivi elaborati nelle pregresse esperienze.
Inizialmente l’oggetto è identificato e memorizzato in rapporto all’azione che il fanciullo può esercitare su di esso: gli oggetti sono quelli che egli mangia, sbatte, lancia, rompe. L’utilizzazione di alcuni indici percettivi permetterà d’individuare caratteri comuni a parecchi oggetti, i quali potranno essere in tal modo raggruppati in categorie, cioè in vere strutture mentali. L’organizzazione dello spazio visivo, supporto della rappresentazione mentale delle diverse forme geometriche, passa attraverso l'associazione costante tra la vista e il tatto nella manipolazione e attraverso la vista e la cinestesi nel grafismo e nel disegno. Fin dai tre anni, infatti, in altre parole a partire dal momento in cui il fanciullo abbozza il primo disegno dell'omino, egli progredisce assai rapidamente nelle riproduzioni figurative.
Dagli elementari rapporti topologici basati sull’oggetto stesso e sugli elementi dell’ambiente che gli sono contigui (il piano che sostiene l’oggetto o le pareti della stanza), si svilupperanno progressivamente le nozioni di verticale e di orizzontale. All’inizio, il bambino disegna i personaggi come fluttuanti nello spazio del foglio. Fra i quattro e i cinque anni, si notano le prime preoccupazioni circa l’orientamento, cioè del posizionamento di figure in rapporto ad elementi esterni come la linea di terra o la linea dell’orizzonte. Il personaggio allora possiede due dimensioni, altezza e larghezza, ed è disegnato di faccia. Al contrario, i primi animali, come il cane e il gatto, sono rappresentati di profilo.
Proprio a partire dai rapporti topologici il fanciullo accederà anche alla percezione delle forme geometriche. L’esplorazione tattile ha inizialmente un’importanza maggiore rispetto all’esperienza grafica che tradurrà ciò che è stato sperimentato a livello senso-motorio. La prima organizzazione topologica che il bambino effettua avviene all’interno della figura stessa. Importante è la scoperta dell’angolo retto, che permette di ritagliare l’interno della figura con un sistema di coordinate ortogonali, ma ancora appartenente alla stessa figura. Nel momento in cui il bambino rappresenta un personaggio su di un pendio, esso è perpendicolare al pendio, perché la nozione di verticalità o di gravità non è ancora acquisita. Tra i quattro e i sette anni, il fanciullo è capace di costruire una retta partendo da spilli che allinea uno dopo l’altro, a condizione che possa disporre di un bordo di tavolo o di scatola come riferimento. Dopo i sette anni, egli potrà effettuare correttamente questa costruzione senza alcun riferimento. La scoperta della retta è un’indicativa apertura alla nozione di asse, per la quale le proprietà fino allora attribuite all’oggetto potranno estendersi ad uno spazio astratto. Mentre nei rapporti topologici le proprietà della figura erano considerate per se stesse, nello spazio proiettivo ed euclideo il problema è di situare gli oggetti secondo sistemi di riferimento esterni ad essi.
Nello spazio proiettivo, l’oggetto o la figura non è più vista in quanto tale, ma in rapporto al punto di vista di un osservatore che ha una certa visuale dell’oggetto o della figura. Nel disegno la prospettiva viene introdotta quando il bambino conquista questo concetto di spazio, ovvero intorno agli otto - nove anni. Lo spazio euclideo rappresenta un vasto reticolo che permette di stabilire relazioni di ordine metrico tra gli oggetti. I riferimenti fondamentali sono rappresentati dalla verticale e dall'orizzontale, a partire dalle quali si stabilisce un sistema di coordinate. Ogni oggetto posto in questo reticolo è dunque coordinato in rapporto agli altri, secondo tre tipi di rapporti simultanei: [(sinistra – destra) + (sopra – sotto) + (davanti – dietro)]. La possibilità di stabilire relazioni tra oggetti nello spazio passa per l’orientamento del proprio corpo, cioè attraverso l’utilizzazione degli assi scoperti prima nella relazione con l’oggetto e poi utilizzati per simbolizzare il proprio corpo che è esso stesso oggetto dello spazio, ma ora ne diviene il riferimento principale .
Progressivamente, le nozioni di alto e di basso potranno applicarsi ad un corpo verticale; anche l'avanti e il dietro del corpo saranno facilmente riconosciuti e verbalizzati. Alla fine di questo stadio il bambino comprenderà anche le nozioni di destra e sinistra su di sé affidandosi ai criteri cinestesici (alla memoria del corpo per un’azione che si svolge abitualmente con una mano) per poter distinguere tra i due lati. Una volta preso coscienza di essere un corpo orientato, il bambino riverserà sullo spazio circostante lo schematismo: così la sua geometria proiettiva spontanea gli permetterà di estendere allo spazio gli assi del corpo che serviranno anche da assi di coordinamento per accedere ad uno spazio euclideo (metrico). È, perciò, importante non intraprendere in modo avventato il lavoro d'interiorizzazione, che può essere adeguato solo se il bambino ha raggiunto uno stadio di efficienza prassica vissuto da lui come efficace. Se non viene soddisfatta questa condizione, egli opporrà resistenza ai tentativi tesi a sollecitarne la funzione d'interiorizzazione vanificando l’insegnamento.
16. LETTO-SCRITTURA DAI TRE AI SEI ANNI
Nel grafismo dagli scarabocchi si passa ai vari tipi di linee (verticale, obliqua, orizzontale, aperta, chiusa), per passare poi al cerchio, all’incrocio di linee e alla stesura del colore. Da qui, poi, si assiste a vari tipi di tratti (continuo, spezzato, curvo, ondulatorio), il semicerchio, l’imitazione dei tratti, il controllo della direzione e della dimensione grafica, la chiusura del cerchio antioraria e infine il disegno imitativo e geometrico. Si passa, dunque, al linguaggio scritto. Sul linguaggio scritto, per il bimbo da tre a cinque anni, sono state fatte varie ricerche, tra queste Ferreiro e Teberosky affermano che l’apprendimento della lettura e della scrittura non può ridursi solo ad un insieme di tecniche percettivo-motorie, né alla sola volontà o alla sola motivazione, ma si deve fare riferimento ad una vera e propria acquisizione concettuale. Secondo le due note studiose non va accettata l’uguaglianza “alfabetizzazione = scolarizzazione”. Infatti i bambini già prima dell’ingresso nella scuola sono esposti ad una massiccia stimolazione sulla corrispondenza più o meno corretta tra suoni e segni, finalizzata a fissare le prime regole associative di trasposizione . L’insegnamento, nel momento in cui si propone di trasmettere al bambino gli strumenti tecnici per realizzare la lettura e la scritture, deve tener conto delle conoscenze pregresse e delle singole strategie d’apprendimento da questi attivate spontaneamente. I livelli di costruzione della lingua scritta nel bambino dai tre ai cinque anni, per le due ricercatrici citate, sono essenzialmente quattro.
La letto-scrittura, infatti, è un’azione globale e predittiva dell’intera parola o dell’enunciato che, nel lettore più abile, congiunge dinamicamente l’azione di decodifica (lettura) o di codifica (scrittura), con la comprensione o l’espressione del pensiero e simultaneamente col movimento oculare di visione focale per la prima e, nella scrittura, anche di coordinazione dell’arto dominante per un movimento che segue il rigo secondo la scansione da sinistra a destra. “Il processo di letto-scrittura avviene, però secondo una successione di balzi, fissazioni e regressioni continui dello sguardo (Cornoldi 1985, Crispiani 2009), perciò si ripropongono continuamente anche questi due processi modulari dell’orientare e del puntare lo sguardo, il primo per ogni unità di comprensione semantico-concettuale e il secondo per ogni scatto saccadico . Ovviamente non sono la medesima cosa, ma atti molto diversi l’uno dall’altro: mentre il secondo, infatti, mi fa puntare entrambi gli occhi in modo combinato verso il punto di mira, permettendomi di fissarlo, il primo, invece, è capace di collocarmi nello spazio secondo un sistema di riferimento determinato da parametri oculo-visivi e, dunque, secondo uno dei due sistemi di riferimento spaziale che sono stati ampiamente discussi ancora di recente da Rizzolatti e Sinigaglia (2006) .
Ma per compiere tutto ciò il bambino deve aver sviluppato un buon possesso degli schemi oculo-motori e prassici crociati: persino per collocarsi all’inizio del rigo, infatti, la prassia normale per il destrimane (vista nel paragrafo 12) che va dall’asse centrale verso destra, dev’essere forzata con l’incrocio verso sinistra dell’asse medesimo, ma poi ricorre in ogni a capo, in ogni riorientamento e in ogni scatto saccadico ... Va da sé che problemi di controllo degli schemi crociati, come dice da tempo P. Crispiani, determinano poi grossi problemi di letto-scrittura a cui si possono aggiungere anche tutti gli altri processi motori eventualmente deficitari nella lateralizzazione, nella sequenza spaziale (topologica e proiettiva), nella cadenza ritmica e così via.
Bibliografia essenziale:
G. B. Camerini e C. De Panfilis, Psicomotricità dello sviluppo, Carocci Faber, Roma 2003
P. Crispiani, Dislessia come disprassia sequenziale, Junior – Spaggiari Parma 2011
M. P. Dellabiancia, L’educatore motorio dell’infanzia, Floriani Macerata 2012
J. Le Boulch, Lo sviluppo psicomotorio dalla nascita a sei anni. Conseguenze educative della psicocinetica nell’età prescolare, Armando Editore, Roma, 1999
E. R. Kandel et Alii, Fondamenti delle Neuroscienze e del comportamento, Ambrosiana Milano 1999
J. Piaget, La costruzione del reale nel bambino,La Nuova Italia, Firenze 1973
J. Piaget, La formazione del simbolo nel bambino, La Nuova Italia, Firenze 1972
H. Wallon, L’origine del carattere nel bambino, Editori Riuniti, Roma 1974
Cfr. M. P. Dellabiancia, L’educatore motorio dell’infanzia, Floriani Macerata 2012, aggiornato annualmente in http://docenti.unimc.it/docenti/marco-paolo-dellabiancia/2012/lab-di-area-espressivo-motoria-2012
Cfr. J. Nash, Psicologia dello sviluppo. Un approccio psicobiologico. Giunti Barbera, Firenze 1975 e M. Reuchlin, Manuale di Psicologia, Editori riuniti, Roma 1981
Cfr. M. P. Dellabiancia, Nuove prospettive per la pedagogia del corpo e del movimento dai contributi delle neuro-scienze cognitive (2006), in www.dellabiancia.it/educazionefisica.htm
Cfr. P. Crispiani, M. P. Dellabiancia, Approccio neuromotorio ai DSA come disprassia sequenziale, in L’integrazione scolastica e sociale, 9, 2, 2010
Cfr. G. B. Camerini, C. De Panfilis, Psicomotricità dello sviluppo, Carocci Faber, Roma 2003, da pag. 43
Cfr. P. Crispiani, C. Giaconi, Hermes 2010. Glossario pedagogico professionale, Junior, Bergamo 2009
Cfr. M. P. Dellabiancia, Concezioni scientifiche e modelli della funzione motoria, in www.dellabiancia.it/educazione fisica.htm dove si può trovare anche la bibliografia di riferimento per ciascun Autore citato nel brano
Il preciso riferimento concettuale a “deficit” e “disturbo”, a “patologia primaria” e “secondaria”, a “modularità” e ad altri concetti fondamentali della medicina vanno qui interpretati alla luce della Pedagogia clinica, cfr. nota n. 6
Con Sintesi afferente P. K. Anochin intende quello stadio iniziale nello sviluppo dell’azione nel corso del quale il soggetto prende coscienza della sua condizione somatica (sia come bisogno-motivazione, che come posizione e disposizione all’azione del corpo) e di quella ambientale, potendo così orientarsi e predisporsi ad un’attività specifica tra le tante possibilità che gli si offrono. È espressione al sommo grado della capacità d’autoregolazione e d’integrazione tra sistemi funzionali diversi
Lo schema motorio è la traccia mestico-percettiva sulla cui struttura si determina l’attuazione dei movimenti non riflessi già appresi. Nei movimenti nuovi si costruisce per assemblaggio di tracce motorie vecchie o per invenzione tramite un’immagine mentale anticipata.
Scienza che studia le funzioni cognitive nei loro rapporti con le strutture cerebrali. Prende il proprio linguaggio dalla psicologia, poiché la semiologia si valuta in termini comportamentali. Della neurologia conserva il costante riferimento alla lesione o alla disorganizzazione fisiologica che è responsabile dei disturbi, cfr. nota n. 6
Da J. Le Boulch, Lo sviluppo psicomotorio dalla nascita a sei anni. Conseguenze educative della psicocinetica nell’età prescolare, Armando Editore, Roma, 1999, pp.40-41
H. Wallon, L’origine del carattere nel bambino, Ed. Riuniti Roma 1974 (Ed. orig. 1934) e J. De Ajuriaguerra, Manuale di psichiatria del bambino, Masson Milano 1979
L. Camaioni, P. Di Blasio, Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna 2002
Da G. B. Camerini, C. De Panfilis, Op. Cit., pag. 93
Da J. Le Boulch, Op. Cit., p. 47
Cfr. http://www.psicomotricista.it/riflessi_neonatali.html
Da C. Landreth, Comportamento e apprendimento nell’infanzia, La nuova Italia Firenze 1976, a pag. 89.
Da J. Le Boulch, Op. Cit., pp. 55-56
Da R. A. Spitz, Il primo anno di vita del bambino, Giunti e Barbera, Firenze 1962, da pag. 22
Da R. A. Spitz, Op. Cit., da pag. 51
J. Piaget, La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, Giunti e Barbera, Firenze 1968 (Ed. orig. 1937)
Da G. B. Camerini, C. De Panfilis, Op. Cit., pag. 93
Da J. Le Boulch, Op. Cit., da pag. 65 a pag. 69
Da A. Oliverio Ferraris, A. Oliverio, Psicologia, Zanichelli Bologna 2002, pag. 100
Da E. Fedrizzi, I disordini dello sviluppo motorio, Piccin Nuova Libraria, Padova, 2004, p.42
Da H. Gratiot-Alphandéry e R. Zazzo, Trattato di psicologia dell’infanzia, vol. 2 Lo sviluppo biologico, Armando Roma 1971, pp. 267 e 268
Da J. Le Boulch, Op. Cit., p. 70
Cfr. E. R. Kandel et Alii, Fondamenti delle Neuroscienze e del comportamento, Ambrosiana Milano 1999, pag. 401
Cfr. J. Le Boulch, Op. Cit., p. 72
Cfr. J. S. Bruner, Psicologia della conoscenza, Armando Roma 1976
Cfr. A. Oliverio Ferraris, A. Oliverio, Op. Cit. pagg. 77 e 78
Cfr. M. Danesi, Neurolinguistica e glottodidattica, Liviana Padova 1988, da pag. 67 a pag. 80, D. I. Slobin, Psicolinguistica,La nuova Italia Firenze 1975, da pag. 75 a pag. 115, J. Nash, Op. Cit. da pag. 337 a pag. 356, P. H. Mussen et Alii, Lo sviluppo del bambino e la personalità, Zanichelli, Bologna 1976, da pag. 196 a pag. 222, M. Reuchlin, Op. Cit. da pag. 253 a pag. 280
Cfr. J. Le Boulch, Op. Cit., pp.79-81
Cfr. L. S. Vygotskij e A. R. Lurija, Strumento e segno nello sviluppo del bambino, citato e tradotto da L. Mecacci. (Ed. Orig. 1932), tratto da http://mondoailati.unical.it/didattica/archivi/easyup0405/docs/_decima.pdf
Il Sé è ciò che un individuo appare a se stesso, sulla base della percezione che egli stesso ne ha nel corso delle vicende della vita e che riceve dagli altri nelle relazioni e negli scambi comunicativi
Cfr. M. P. Dellabiancia, Itinerari di percezione, conoscenza coscienza del corpo, in http://www.dellabiancia.it/ educazionefisica.htm
Cfr. J. Nash, Op. Cit., da pag. 470 a pag. 491
Cfr. J. Le Boulch, Op. Cit., pag. 85
Cfr. G. B. Camerini e C. De Panfilis, Op. Cit., pagg. 89 e 90
R. Nicoletti, Il controllo motorio, Il Mulino Bologna 1992, da pag. 147
Cfr. J. Le Boulch, Verso una scienza del movimento umano, Armando, Roma 1975, da pag. 249
Cfr. L. Cottini, Psicomotricità, Carocci, Roma 2003, a pag. 15
Cfr. M. P. Dellabiancia, L’educatore motorio dell’infanzia, Libreria Universitaria Floriani, Macerata 2012, da pag. 91
L’Io (o identità della persona): è la componente che apprende, organizza, interpreta l’esperienza. Esprime l’esistenza dell’individuo come separato, distinto dagli altri, costante e continuo nel tempo
Dalle Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle Scuole dell’Infanzia, allegato A al D.lvo n. 59/04 espansive del D.M. 3 giugno 1991: Orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali
Da J. Le Boulch, Op. Cit., pag. 120
Cfr. L. Pizzo Russo, Introduzione al test del disegno dell’uomo, Giunti e Barbera, Firenze 1977
J. Le Boulch, Op. Cit., da pag. 124
J. Le Boulch, Op. Cit., da pag. 131
Cfr. M. P. Dellabiancia, L’educatore motorio dell’infanzia, Libreria Universitaria Floriani, Macerata 2012, pag. 113
Cfr. E. Ferreiro e A. Teberosky , La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti editore, 1994
P. Crispiani, Dossier DSA 2008-CLIDD Clinica della dislessia e disgrafia Ivi, pp. 56-57.
Ivi, pp. 57-58.
I movimenti saccadici sono piccole escursioni coniugate degli occhi che avvengono in modo rapido quando spostiamo il nostro sguardo da una parola all’altra della riga che stiamo leggendo. Hanno il compito di riportare (con maggiore o minor precisione) sulla fovea (il punto di maggior discriminazione visiva) l’oggetto dello sguardo che, nello spostamento lungo la riga, era venuto a cadere su territori della retina esterni alla fovea medesima e perciò si era reso poco discriminabile.
Da P. Crispiani, M. P. Dellabiancia, Op. Cit.
Fonte: http://docentiold.unimc.it/docenti/marco-paolo-dellabiancia/2012/lab-di-area-espressivo-motoria-2012/lo-sviluppo-psicomotorio-del-bambino/at_download/LO%20SVILUPPO%20PSICOMOTORIO%20DEL%20BAMBINO.doc
Sito web da visitare: http://docentiold.unimc.it
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