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La psichiatria è quella branca della medicina che si occupa dello studio e della terapia della malattie mentali.
Essa, a differenza di molte altre discipline specialistiche, usufruisce degli apporti provenienti da aree non tipicamente mediche quali la psicologia, la sociologia, l'antropologia ecc..
Considerando la sua evoluzione storica, possiamo osservare che l'esigenza di trovare una spiegazione (e una cura) per le malattie mentali è stata sempre presente fin dall'antichità. Esistono documenti che indicano che già gli antichi Egizi distinguevano diverse forme di disturbo psichico e che praticavano la trapanazione cranica con finalità terapeutiche (dato questo non da tutti condiviso).
Più sicure ci sono invece giunte le concezioni degli antichi Greci sulle malattie mentali che, alla luce di più complesse analisi filosofiche sulla natura stessa dell'uomo, venivano attribuite con Ippocrate allo squilibrio tra i “quattro umori” fondamentali, cioè i quattro fluidi circolanti nel corpo: il sangue la linfa, la bile gialla e la bile nera Tracce di questa antica teoria la ritroviamo ancora in alcuni termini che vengono talora usati per definire i diversi temperamenti umani come quello “sanguigno”, quello “flemmatico” (da flegma=linfa), quello “bilioso” e infine quello “malinconico” (da melanchole'= bile nera).
Accanto a questa visione più naturalistica, nel mondo classico greco e ancora di più in quello romano era fortemente sentito l'influsso della divinità sul comportamento e sul destino degli uomini, tanto da attribuire all'influenza di specifici dei il prevalere di una o dell'altra passione (Venere per l'amore, Marte per la bellicosità, Mercurio per l'astuzia ecc.).
Analogamente ci deriva dai tempi antichi la credenza dell'influsso degli astri sullo sviluppo di determinati tratti del carattere e sugli altri fenomeni di cui si occupa l'astrologia.
A ben vedere dunque è proprio da queste teorie e supposizioni che si sono sviluppati molti dei pregiudizi che gravano sulle malattie mentali. La mutevolezza e la imprevedibilità di molti disturbi psichici, insieme alla loro tendenza a ripresentarsi periodicamente, hanno infatti radicato la convinzione che essi potessero dipendere da fattori esterni come le fasi lunari o in genere da fenomeni che sfuggono al controllo della volontà.
Anche nel Medio Evo proseguì questa visione della malattia mentale per cui molte manifestazioni oggi attribuite a squilibri psicopatologici, venivano ricondotte ad influenze nefaste di origine diabolica. Se dunque la malattia mentale veniva considerata un'espressione demoniaca, non deve stupire il fatto che fossero proprio i monaci a gettare le basi per una forma primitiva di assistenza psichiatrica, accogliendo nei loro conventi e lazzaretti una moltitudine di persone che per vari motivi erano state allontanate dal consesso civile.
Spetta comunque agli Arabi il riconoscimento di avere organizzato per primi delle strutture ospedaliere di tipo psichiatrico che all'inizio di questo millennio sorsero nelle regioni europee soggette alla loro influenza.
Tra il XVI ed il XVIII secolo anche in Italia sorsero numerosi ospizi che accoglievano ammalati di mente e se inizialmente furono gli ordini religiosi ad occuparsi dell'assistenza a questa umanità disgraziata, con l'estendersi del controllo statale sull'ordine pubblico, questi ospedali persero sempre di più la loro iniziale fisionomia per assumere quella più tetra di vere e proprie prigioni nelle quali il regime di vita per i reclusi era particolarmente miserevole.
Sull'onda della ventata di rinnovamento sociale indotto dalla rivoluzione francese, alla fine del 1700 un medico francese Auguste Pinel, promosse un profondo cambiamento della prassi fino allora vigente, liberando i folli dalle catene che li univano ad altri emarginati, ladri prostitute ed assassini che popolavano i vari ospizi di Parigi.
Con questo atto, compiuto peraltro da altri medici dell'epoca come il Tuke in Inghilterra e da Chiarugi in Italia, inizia la vera storia scientifica della Psichiatria, nel senso che da allora le malattie mentali sono ufficialmente entrate nel campo di interesse della Medicina.
Nel corso del 1800 lo sforzo degli studiosi di psichiatria fu rivolto alla descrizione delle diverse forme morbose seguendo il metodo clinico che si snodava lungo il percorso obbligato etiologia-patogenesi-decorso-prognosi.
Questo indirizzo di studio trasse particolare impulso dalla scoperta dell'agente causale della paralisi progressiva ed alimentò la convinzione che per ogni disturbo mentale si potesse trovare una precisa alterazione anatomopatologica del cervello. Tuttavia in assenza di altre importanti scoperte circa la causa prima delle disfunzioni mentali, la ricerca si dedicò soprattutto ai criteri di decorso e prognosi. Ecco quindi che alla concezione nosografica del famoso psichiatra tedesco Kraepelin si aggiunse quella nosodromica, che con Bleuler valorizzava maggiormente le varianti di decorso, accettando la possibilità che le psicosi, ed in particolare la schizofrenia di cui egli coniò termine, potessero subire l'influsso di fattori psicologici inconsci.
Più o meno nello stesso periodo in cui si svilupparono gli studi nosografici di Kraepelin, Sigmund Freud gettava le basi per una nuova rivoluzione nel campo della psichiatria. Secondo la sua visione, il confine tra salute e malattia mentale si perdeva in quella importante dimensione della vita psichica definita inconscio, all'interno della quale lo scontro tra desideri e proibizioni può talora generare alterazioni persistenti del modo di vedere e di pensare la cui traccia originaria rimane spesso nascosta o dimenticata. Partendo da questi principi, Freud elaborò una forma di terapia che fu denominata psicanalisi la cui tecnica fu poi diversamente modificata dai suoi allievi come Jung, Adler e altri.
Tuttavia la visione freudiana della malattia mentale e la sua prassi terapeutica stentò a farsi strada in Europa mentre ottenne migliori successi in America. In Italia, nella prima parte di questo secolo prevaleva una visione biologica delle malattie mentali che di fatto venivano assimilate a quella neurologiche nell'ambito di una clinica delle malattie nervose e mentali.
A questa concezione teorica, corrispondeva sotto il versante assistenziale una estesa rete di ospedali psichiatrici dipendenti dalle varie amministrazioni provinciali nei quali i ricoveri avvenivano, secondo quanto stabilito da una legge del 1904, in base ad una ordinanza emessa dal questore e ad un unico certificato medico da cui risultasse che la persona in questione fosse affetta “per qualunque causa da alienazione mentale tale da renderla pericolosa a sé o agli altri o da riuscire di pubblico scandalo”. I ricoveri di fatto, in assenza di terapie efficaci, duravano anche per molti anni ed avevano quindi più che altro una funzione di custodia.
Fu solo dopo gli anni ‘50 che, in seguito ai progressi della psicofarmacologia e all'introduzione di nuove tecniche di terapia psico-sociale, iniziò un progressivo movimento di riforma dell'assistenza psichiatrica i cui primi risultati portarono ad una revisione della legislazione in materia con la possibilità di trasformare i ricoveri da coatti a volontari, l'abolizione della annotazione del ricovero sul certificato penale ecc.
Comunque l'innovazione più importante la si ebbe con la legge 180 del 13 maggio 1978 che in sostanza decretò la chiusura degli ospedali psichiatrici, l'istituzione dei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC) all'interno degli ospedali civili e l'istituzione dei centri di salute mentale (CSM). Questa riforma suscitò e suscita ancora dibattiti e riflessioni soprattutto per il carattere innovativo sulla cultura stessa della malattia mentale; infatti pur venendo riconosciuta la sua potenziale pericolosità tanto da consentire il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), l'accento veniva posto sulla necessità di perseguire ad ogni costo la collaborazione del malato al suo progetto terapeutico, nel pieno rispetto della sua dignità di persona.
Sotto il profilo più strettamente scientifico, l'evoluzione della psichiatria ha seguito dei filoni differenti a seconda della concezione prevalente cui si rifacevano i diversi ricercatori. Oggi si assiste ad uno sforzo di riunificazione delle tre “anime” psichiatriche: quella biologica, quella psicologica e quella sociale. Ciononostante, persistendo ancora delle divergenze di vedute sulla denominazione stessa delle varie malattie e condizioni morbose, nell'ultimo decennio si è andato affermando un criterio descrittivo che ha preso il nome di DSM IV che sta ad indicare: Diagnostic Statistical Manual IV edizione dell'Associazione Psichiatrica Americana. Questa versione che è uscita nel 1996. Poiché però tale approccio descrittivo, per quanto largamente diffuso, non è stato del tutto accettato, specialmente in Europa, manterremo in questa trattazione anche la nomenclatura tradizionale che del resto è ancora quella che figura nel ICD 10 da cui è stata tratta quella riportata nel manuale ISTAT.
2. Concetti sociologici di normalità e di devianza.
Non è possibile affrontare il vasto e complesso panorama delle malattie mentali se non si tenta di definire cosa si intenda per salute e malattia sotto il profilo psicologico e sociale. Come è noto l'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. A ben vedere questa definizione risulta quanto meno utopistica nel senso che può riguardare una stretta minoranza di persone particolarmente fortunate. Se poi dal concetto di salute (mentale) vogliamo passare a quello di normalità... (mentale), le cose si fanno ancora più complesse.
Intanto il termine stesso di normalità può prestarsi a numerosi equivoci in quanto esso può essere sotto diversi profili specie se si tenta di riferirlo al comportamento umano.
Esiste ad esempio una normalità statistica secondo la quale viene considerato normale il comportamento più frequentemente osservato in un gruppo di individui.
C’è poi la normalità morale che fa riferimento all'osservanza di principi etici di natura laica o religiosa.
E infine esiste una normalità naturale che identifica sotto questo aspetto quei comportamenti che di volta in volta sono auspicabili da parte di vuole perseguire un particolare obiettivo.
Stabiliti questi punti, risulta chiaro che un individuo può apparire “normale” secondo una certa ottica e anormale o meglio “deviante” secondo un'altra. Ad esempio un giocatore di poker normale deve far buon uso del “bluff” che è in sostanza un trucco per ingannare gli altri, cosa riprovevole dal punto di vista morale. Analogamente per il codice della strada è fatto obbligo di rispettare i limiti di velocità, però le persone che in autostrada non superano i 130 Km/h sono probabilmente una stretta minoranza, e così via.
Se ora ci spostiamo nuovamente al campo della medicina, osserveremo che molto spesso il termine normale viene usato come sinonimo di sano, il che può indurre in molti errori di valutazione specie se facciamo riferimento alla salute mentale.
Se noi osserviamo un uomo seminudo che agita un bastone con delle piume sopra urlando frasi incomprensibili, non ci sentiremmo in grado di definirlo come una persona normale ma anzi ci preoccuperemmo di farla visitare da un medico (possibilmente uno psichiatra!). Se però lo stesso individuo si comportasse nello stesso modo in un villaggio dell'Africa centrale, la gente del posto potrebbe tributargli onori e rispetto nella speranza che la sua pantomima potesse far terminare un lungo periodo di siccità.
Ecco dunque che nell'affrontare il tema delle malattie mentali è molto più importante rispetto alle altre branche della medicina, fare riferimento ai tempi e ai luoghi, in pratica, alla cultura.
Ora, secondo la nostra cultura, si considera normale difendere a tutti i costi la salute, per cui il malato “normale” è quello che cerca di guarire il prima possibile collaborando attivamente con il medico. Si comprende quindi come sia difficile a volte capire il malato di mente che da proprio l'impressione di “non voler guarire” e questo può dipendere dal vantaggio secondario fornito dalla malattia, che ad esempio consente di evitare compiti o situazioni ritenuti a torto o a ragione superiori alle proprie forze.
Si può quindi ritenere che questo tipo di malato, proprio per il fatto di non adeguarsi al “ruolo” di malato, venga più facilmente considerato “deviante” e quindi emarginato dal gruppo di appartenenza. Questo processo viene a volte facilitato dal paziente stesso che, consapevole dei pregiudizi che gravano sulla malattia mentale, tende ad assumere un atteggiamento più chiuso e diffidente, per cui in definitiva risulta più difficile la presa in carico terapeutica, già resa complessa dal fatto che si ha spesso a che fare con una persona priva di una coscienza di malattia.
3. La relazione terapeutica
Quando ci si avvicina per la prima volta ad una persona portatrice di un disturbo di interesse psichiatrico, l’atteggiamento che si assume nei suoi riguardi varierà molto a seconda del fatto di essere o meno a conoscenza di questo suo problema. Infatti, se saremo già stati informati di questa sua condizione, tenderemo, per i motivi sopra esposti ad assumere un atteggiamento quanto meno guardingo se non diffidente. L'aver a che fare con un “matto” o presunto tale evoca immediatamente una serie di reazioni che derivano dall'immagine ormai consolidata e radicata che si ha della follia come di qualcosa di ridicolo o pericoloso che ci impedisce di comportarci spontaneamente, il tutto per il timore di suscitare reazioni imprevedibili nella persona che ci sta di fronte.
Questo atteggiamento, in parte comprensibile e giustificabile nelle persone che non siano a conoscenza dei problemi connessi alle malattie mentali, va quanto meno disciplinato negli operatori sanitari che prima o poi nella loro professione si troveranno a contatto con persone affette da turbe psichiche.
Questi pazienti, sono in primo luogo disturbati nelle loro relazioni interpersonali, tendono a dare importanza a cose trascurate in genere dalla maggioranza della gente e possono reagire in modo apparentemente incomprensibile.
Una prima regola utile ad impostare una relazione terapeutica deve quindi prevedere certamente l'osservazione del comportamento spontaneo del malato, ma anche in eguale misura l'osservazione dei nostri sentimenti e delle nostre sensazioni di fronte a quella persona.
Può essere utile seguire il seguente schema:
In effetti la relazione con una persona disturbata emotivamente non è mai rigida, ma tende a modificarsi mano a mano con cui procede la conoscenza reciproca. Bisogna poi tener presente che molte persone che giungono all'osservazione psichiatrica si trovano in una condizione di scompenso che può essere determinata da una serie molto differente di fattori anche se a volte la sintomatologia di presentazione può essere molto simile da persona a persona.
È quindi molto importante mantenere un atteggiamento di estrema apertura, evitando di cadere nella trappola delle generalizzazioni, molto pericolosa in psichiatria. Ad esempio molto spesso capita di sentire discorsi del genere: “quello lì fa la scena solo perché vuole avere sempre qualcuno vicino”... oppure: “quelli che vogliono veramente suicidarsi non lo dicono mai a nessuno”, ecc. In realtà è solo dalla conoscenza approfondita del malato e del suo ambiente esistenziale che si possono elementi utili per comprendere il reale significato di molti suoi comportamenti.
Se molti progressi si sono fatti nel campo delle neuroscienze e nell'uso dei farmaci psicotropi, rimane di fondamentale importanza nel trattamento dei disturbi psichici l'adozione di un atteggiamento psicoterapico che non deve essere conosciuto e adottato soltanto dallo specialista, ma divenire un patrimonio comune a tutti gli operatori della salute, data anche la grande diffusione che tali disturbi hanno tra la popolazione generale.
4. Disturbi d’ansia (o nevrosi)
Con questo termine si usa definire una serie di condizioni di sofferenza psichica caratterizzate fondamentalmente dall'ansia che determina molteplici difficoltà di rapporto interpersonale nelle persone che ne soffrono; queste tuttavia, non perdono mai una corretta visione della realtà e ricercano attivamente un aiuto per essere liberate dai loro disturbi.
In questo senso le nevrosi si distinguono nettamente da altri disturbi psichici definiti psicosi che sono in genere più gravi e che sono caratterizzate dalla perdita di rapporto con il reale e da una scarsa coscienza di malattia.
Le nevrosi sono piuttosto diffuse tra la popolazione generale e possono variare notevolmente quanto ad entità dei sintomi. Come abbiamo detto prima il sintomo nucleare delle nevrosi è rappresentato dall'ansia; questa a sua volta è in realtà uno stato affettivo generale e radicato nella natura umana che oscilla tra diversi gradi che vanno dalla apprensività, all'inquietudine per giungere fino alla paura.
La differenza che corre tra l'ansia normale e quella patologica è che nella prima la tensione psichica determina una attivazione delle risorse dell'individuo diretta contro uno stimolo ben conosciuto e reale nella seconda invece la tensione psichica si realizza in assenza di qualsiasi pericolo concreto per l'individuo che però vive nella continua attesa di un possibile danno che proprio perché non conosciuto viene immaginato come qualcosa di nettamente superiore rispetto alla sua capacità di farvi fronte.
Accanto a questi aspetti che potremmo definire “psicologici” dell'ansia, coesistono sintomi somatici che, essendo mediati dal sistema nervoso vegetativo, vengono anche definiti sintomi neurovegetativi. Essi coinvolgono in varia misura i diversi organi ed apparati determinando a livello dell'apparato:
Le nevrosi vengono oggi definite in modo diverso dal passato per cui, in base alla classificazione del DSM IV, si parla di: disturbo d'ansia generalizzata, disturbo da attacchi di panico, disturbi fobici, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi somatoformi, disturbo post-traumatico da stress.
Circa la causa di tali disturbi, essi vengono generalmente attribuiti a fattori psicologici; in particolare, secondo l'ottica psicoanalitica, essi derivano da conflitti tra spinte o pulsioni contrastanti che, sorti in quella dimensione della vita psichica denominata inconscio, non riescono a trovare una soluzione mediante i meccanismi di difesa dell'Io.
L'ansia quindi, rappresenterebbe il segnale che pensieri o sentimenti sgradevoli, o comunque inaccettabili, stanno per affiorare alla coscienza.
4.1 Disturbo d'ansia generalizzata
Il quadro clinico che più frequentemente si presenta all'osservatore è caratterizzato dalla presenza di ansia diffusa e persistente che si manifesta con segni di tensione motoria iperattività neurovegetativa stato di attesa apprensiva e di aumentata vigilanza.
Un soggetto con questo disturbo è caratteristicamente irrequieto, teso, incapace di rilassarsi: appare costantemente preoccupato per l'esito delle sue attività e spesso per possibili sventure che potrebbero capitare a sé o agli altri. L'attesa apprensiva che egli vive, comporta come unico risultato l'irritabilità, l'incapacità di concentrazione con conseguente disturbo della memoria e spesso difficoltà di addormentamento.
A volte questo disturbo rappresenta la prosecuzione di un disturbo da iperansietà già presente nell'adolescenza e che comportava per il soggetto una preoccupazione eccessiva della correttezza dei suoi comportamenti, con bisogno esagerato di rassicurazioni. In questo caso il disturbo ansioso si inserisce in un più` generale disturbo di personalità che finisce quindi per diventare un vero “stile di vita”.
Altre volte le manifestazioni d'ansia possono essere conseguenti a qualche avvenimento considerato stressante dal paziente verificatosi nei tre mesi antecedenti l'esordio dei sintomi. Infine lo stato d'ansia può derivare da una esperienza traumatica grave tale da evocare in chiunque sintomi di disagio.
DSM IV - Criteri diagnostici per F41.1 Disturbo d'Ansia Generalizzato
A. Ansia e preoccupazione eccessive (attesa apprensiva), che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, a riguardo di una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche).
B. La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.
C. L'ansia e la preoccupazione sono associate con tre (o più) dei sei sintomi seguenti (con almeno alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi 6 mesi). Nota Nei bambini è richiesto solo un item.
1) irrequietezza, o sentirsi tesi o con i nervi a fior di pelle
2) facile affaticabilità
3) difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria
4) irritabilità
5) tensione muscolare
6) alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente).
D. L'oggetto dell'ansia e della preoccupazione non è limitato alle caratteristiche di un disturbo di Asse I, per es., l'ansia o la preoccupazione non riguardano l'avere un Attacco di Panico (come nel Disturbo di Panico), rimanere imbarazzati in pubblico (come nella Fobia Sociale), essere contaminati (come nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo), essere lontani da casa o dai parenti stretti (come nel Disturbo d'Ansia di Separazione), prendere peso (come nell'Anoressia Nervosa), avere molteplici fastidi fisici (come nel Disturbo di Somatizzazione), o avere una grave malattia (come nell'Ipocondria), e l'ansia e la preoccupazione non si manifestano esclusivamente durante un Disturbo Post-traumatico da Stress.
E. L'ansia, la preoccupazione, o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
F. L'alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo), e non si manifesta esclusivamente durante un Disturbo dell'Umore, un Disturbo Psicotico o un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.
4.2 Disturbo da attacchi di panico
L'attacco di panico insorge solitamente per la prima volta durante il normale svolgimento di attività quotidiane. All'improvviso il soggetto si sente invadere da un'ansia crescente, un sentimento di viva apprensione che può giungere fino ad un livello di vero e proprio terrore. Può avvertire talora sintomi psichici quali sentimenti di irrealtà, paura di morire o di impazzire o di compiere gesti inconsulti. Possono inoltre associarsi sintomi fisici di natura neurovegetativa (dispnea, palpitazioni, sudorazione, oppressione al torace, senso di perdita dell'equilibrio) che non fanno che aggravare la sua condizione soggettiva. Questo susseguirsi di sensazioni dura generalmente alcuni minuti e siccome tende a verificarsi in luoghi pubblici, è facile che il soggetto chieda aiuto ai presenti, i quali, in genere, provvedono a farlo accompagnare ad un Pronto Soccorso. Poiché in questi casi l'episodio si è già risolto, il medico non trova in genere nulla di obiettivo, per cui il paziente, rassicurato, ritorna alle sue normali occupazioni senza più pensare all'incidente occorsogli, che viene attribuito ad un generico sovraffaticamento psico-fisico.
Frequentemente però, dopo pochi giorni o settimane, si verifica un nuovo episodio di panico che, al solito, non viene inquadrato in una qualche patologia somatica; a questo punto però il paziente non si accontenta più di rassicurazioni mediche generiche, bensì ricorre a consultazioni specialistiche a partire dal sintomo fisico che più lo ha spaventato. Dopo due o tre episodi del genere, il soggetto sviluppa spesso uno stato d'ansia anticipatoria: egli diviene quindi molto apprensivo, costantemente vigile e attento a cogliere le minime avvisaglie dell'episodio già sperimentato. Poiché, nel tentativo di darsi una spiegazione di quanto gli è successo, il paziente associa il sintomo a determinate situazioni o comportamenti, questi saranno da lui accuratamente evitati, nel timore dello scatenarsi di un nuovo episodio. Ecco che può in tal modo svilupparsi una sorta di circolo vizioso definito disturbo da evitamento che conduce il paziente a limitare sempre maggiormente la sua vita di relazione.
DSM IV - Criteri diagnostici per F41.0 Disturbo di Panico Senza Agorafobia
A. Entrambi 1) e 2):
1) Attacchi di Panico inaspettati ricorrenti (pag. 437)
2) almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:
a) preoccupazione persistente di avere altri attacchi
b) preoccupazione a proposito delle implicazioni dell'attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, "impazzire")
c) significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.
B. Assenza di Agorafobia
C. Gli Attacchi di Panico non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).
D. Gli Attacchi di Panico non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come Fobia Sociale (per es., si manifestano in seguito all'esposizione a situazioni sociali temute), Fobia Specifica (per es., in seguito all'esposizione ad una specifica situazione fobica), Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., in seguito all'esposizione allo sporco in qualcuno con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., in risposta a stimoli associati con un grave evento stressante), o Disturbo d'Ansia di Separazione (per es., in risposta all'essere fuori casa o lontano da congiunti stretti).
DSM IV - Criteri Diagnostici per F40.01 Disturbo di Panico Con Agorafobia
Vedi il precedente, ad eccezione del criterio
B. Presenza di Agorafobia.
4.3 Disturbi fobici
Il termine fobia deriva dalla parola greca “phobos” che significa paura. Tuttavia la fobia come del resto l'ansia patologica non è legata ad un pericolo attuale e concreto ma diversamente da quella si manifesta solo in presenza di un oggetto o di una situazione generalmente peculiari per ogni singolo paziente.
Ecco che ad esempio una persona, può provare un persistente timore di affrontare determinate situazioni da sola, in luoghi pubblici o affollati da cui, nel caso di improvvisa necessità di soccorso, gli possa essere preclusa la possibilità di fuga. Questo è il nucleo principale della agorafobia (dal greco agora`=piazza) che può o meno derivare da un preesistente disturbo da attacchi di panico e che, instaurandosi progressivamente, porta a una limitazione crescente delle usuali attività del soggetto.
Questi sviluppa una sorta di dipendenza nei confronti di persone care (parenti o amici) che vorrebbe sempre vicine al momento di affrontare situazioni da lui ritenute pericolose: andare in un ufficio, in un negozio, su di un mezzo pubblico.
Un'altra manifestazione fobica è costituita dalla fobia sociale nella quale il soggetto prova un timore persistente ed irrazionale (da lui stesso ritenuto eccessivo) di situazioni in cui possa trovarsi esposto al rischio di avvertire sentimenti di imbarazzo e di umiliazione a causa del giudizio degli altri .
Esistono poi delle fobie semplici caratterizzata da una paura irrazionale e persistente di specifici oggetti o animali, in presenza dei quali il soggetto prova un malessere fisico e psicologico che lo porta ad evitarne il contatto o addirittura la vista.
DSM IV - Criteri diagnostici per F40.2 Fobia Specifica
A. Paura marcata e persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall'attesa di un oggetto o situazione specifici (per es., volare, altezze, animali, ricevere un'iniezione, vedere il sangue).
B. L'esposizione allo stimolo fobico quasi invariabilmente provoca una risposta ansiosa immediata, che può prendere forma di Attacco di Panico situazionale o sensibile alla situazione. Nota Nei bambini l'ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, con l'irrigidimento, o con l'aggrapparsi a qualcuno.
C. La persona riconosce che la paura è eccessiva o irragionevole.
Nota Nei bambini questa caratteristica può essere assente.
D. La situazione (le situazioni) fobica viene evitata oppure sopportata con intensa ansia o disagio.
E. L'evitamento, l'ansia anticipatoria o il disagio nella situazione (situazioni) temuta interferiscono in modo significativo con la normale routine della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico), o con le attività o le relazioni sociali, oppure è presente disagio marcato per il fatto di avere la fobia.
F. Negli individui al di sotto dei 18 anni la durata è di almeno 6 mesi.
G. L'ansia, gli Attacchi di Panico o l'evitamento fobico associati con l'oggetto o situazione specifici non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale, come il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (per es., paura dello sporco in un individuo con ossessioni di contaminazione), Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., evitamento degli stimoli associati con un grave evento stressante), Disturbo d'Ansia di Separazione (per es., evitamento della scuola), Fobia Sociale (per es., evitamento di situazioni sociali per paura di rimanere imbarazzati), Disturbo di Panico con Agorafobia, o Agorafobia senza Anamnesi di Disturbo di Panico.
Specificare il tipo:
4.4 Disturbo ossessivo-compulsivo
Si tratta di un disturbo meno frequente tra la popolazione dei soggetti ansiosi, tuttavia può anch'esso divenire notevolmente invalidante. Il paziente che ne è affetto riferisce la presenza di ossessioni, cioè idee, pensieri e impulsi ricorrenti che egli sente come parassiti in quanto indesiderabili, ma che tendono ad invadere costantemente la sua coscienza costringendolo ad una lotta continua per scacciarli, senza mai accettarne il contenuto da lui ritenuto assurdo o ridicolo.
I pensieri in questione possono riguardare temi filosofici o religiosi sotto forma di domande cui è impossibile dare una risposta tipo: “chi ha creato Dio?” oppure “quanto dura l'eternità?”. Altre volte può trattarsi di dubbi continui che impongono continue verifiche tipo l'aver o meno chiuso una porta,(o il gas, o la luce) nell'uscire di casa; l'aver o meno toccato qualcosa di sporco o comunque contaminato, il che determina il bisogno nel paziente di lavarsi in continuazione le mani a volte fino a procurarsi delle lesioni dermatologiche. Altre volte ancora il soggetto può avvertire l'impulso irrefrenabile di dire o fare cose sconvenienti tipo il mettersi a bestemmiare in chiesa o denudarsi in pubblico.
Sotto il profilo della personalità i pazienti con un disturbo ossessivo sono spesso individui molto precisi, pignoli, parsimoniosi; non sopportano il disordine e tendono a imporre anche ai loro familiari rigide regole di comportamento.
DSM IV - Criteri diagnostici per F42.8 Disturbo Ossessivo-Compulsivo
A. Ossessioni o compulsioni.
Ossessioni come definite da 1), 2), 3) e 4):
1) pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti, in qualche momento nel corso del disturbo, come intrusivi o inappropriati, e che causano ansia o disagio marcati
2) i pensieri, gli impulsi, o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i problemi della vita reale
3) la persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni
4) la persona riconosce che i pensieri, gli impulsi, o le immagini ossessivi sono un prodotto della propria mente (e non imposti dall'esterno come nell'inserzione del pensiero).
Compulsioni come definite da 1) e 2):
1) comportamenti ripetitivi (per es., lavarsi le mani, riordinare, controllare), o azioni mentali (per es., pregare, contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si sente obbligata a mettere in atto in risposta ad un'ossessione, o secondo regole che devono essere applicate rigidamente
2) i comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o ridurre il disagio, o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; comunque questi comportamenti o azioni mentali non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.
B. In qualche momento nel corso del disturbo la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli. Nota Questo non si applica ai bambini.
C. Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo (più di 1 ora al giorno), o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo (o scolastico), o con le attività o relazioni sociali usuali.
D. Se è presente un altro disturbo di Asse I, il contenuto delle ossessioni o delle compulsioni non è limitato ad esso (per es., preoccupazione per il cibo in presenza di un Disturbo dell'Alimentazione; tirarsi i capelli in presenza di Tricotillomania; preoccupazione per il proprio aspetto nel Disturbo da Dismorfismo Corporeo; preoccupazione riguardante le sostanze nei Disturbi da Uso di Sostanze; preoccupazione di avere una grave malattia in presenza di Ipocondria; preoccupazione riguardante desideri o fantasie sessuali in presenza di una Parafilia; o ruminazioni di colpa in presenza di un Disturbo Depressivo Maggiore).
E. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale.
Specificare se:
Con Scarso Insight: se per la maggior parte del tempo, durante l'episodio attuale, la persona non riconosce che le ossessioni e compulsioni sono eccessive o irragionevoli.
4.5 Disturbo post-traumatico da stress
In questo caso l'ansia compare in un soggetto che ha vissuto un evento che è al di fuori dell'esperienza umana consueta che evocherebbe un grave malessere nella maggior parte delle persone: una seria minaccia per la vita propria o di persone care, un evento sismico, un evento bellico, ecc.
La caratteristica di questo disturbo è data dalla tendenza a rivivere in modo angoscioso l'avvenimento traumatico sia durante lo stato di veglia che, soprattutto, in sogno, la difficoltà ad affrontare situazioni simili, la sensazione di avere la vita “segnata”.
DSM IV - Criteri diagnostici per F43.1 Disturbo Post-traumatico da Stress
A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
1) la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all'integrità fisica propria o di altri
2) la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza, o di orrore. Nota Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato.
B. L'evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
1) ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. Nota Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma
2) sogni spiacevoli ricorrenti dell'evento. Nota Nei bambini possono essere presenti sogni
spaventosi senza un contenuto riconoscibile
3) agire o sentire come se l'evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l'esperienza, illusioni, allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione). Nota Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma
4) disagio psicologico intenso all'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico
5) reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico.
C. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
1) sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma
2) sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma
3) incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma
4) riduzione marcata dell'interesse o della partecipazione ad attività significative
5) sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri
6) affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore)
7) sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita).
D. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
1) difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno
2) irritabilità o scoppi di collera
3) difficoltà a concentrarsi
4) ipervigilanza
5) esagerate risposte di allarme.
E. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.
F. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Specificare se:
Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi
Cronico: se la durata dei sintomi è 3 mesi o più.
Specificare se:
Ad esordio ritardato: se l'esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi dopo l'evento stressante.
4.6. Disturbi somatoformi
Esistono alcune situazioni cliniche caratterizzate da molteplici e multiformi sintomi fisici che suggerirebbero la presenza di una malattia organica, senza peraltro la possibilità di un riscontro obiettivabile attraverso esami strumentali di un qualsivoglia meccanismo fisiopatologico noto. Accanto a tale sintomatologia fisica esiste è generalmente presente uno stato d'ansia che può essere di diversa entità.
Nel disturbo da somatizzazione è presente una storia di molteplici fastidi fisici che inizia prima dei 30 anni e che persiste per parecchi anni. I sintomi non si sono manifestati solo durante attacchi di panico ed hanno costretto il paziente a far uso di farmaci, a farsi vedere dal medico o a modificare il proprio stile di vita. I disturbi più frequentemente lamentati sono: vomito, dolori alle estremità, respiro corto anche senza essere sotto sforzo, amnesia, difficoltà di deglutizione, bruciori spontanei agli organi genitali, mestruazioni dolorose.
DSM IV - Criteri diagnostici per F45.0 Disturbo di Somatizzazione
A. Una storia di molteplici lamentele fisiche, cominciata prima dei 30 anni, che si manifestano lungo un periodo di numerosi anni, e che conducono alla ricerca di trattamento o portano a significative menomazioni nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
B. Tutti i criteri seguenti debbono essere riscontrabili, nel senso che i singoli sintomi debbono comparire in qualche momento nel corso del disturbo:
1) quattro sintomi dolorosi: una storia di dolore riferita ad almeno quattro localizzazioni o funzioni (per es. testa, addome, schiena, articolazioni, arti, torace, retto, dolori mestruali, dolore nel rapporto sessuale o durante la minzione);
2) due sintomi gastro-intestinali: una storia di almeno due sintomi gastro-intestinali in aggiunta al dolore (per es. nausea, meteorismo, vomito al di fuori della gravidanza, diarrea, oppure intolleranza a numerosi cibi diversi);
3) un sintomo sessuale: una storia di almeno un sintomo sessuale o riproduttivo in aggiunta al dolore (per es. indifferenza sessuale, disfunzioni dell'erezione o della eiaculazione, cicli mestruali irregolari, eccessivo sanguinamento mestruale, vomito durante la gravidanza);
4) un sintomo pseudo-neurologico: una storia di almeno un sintomo o deficit che fa pensare ad una condizione neurologica non limitata al dolore (sintomi di conversione, come alterazioni della coordinazione o dell'equilibrio, paralisi o ipostenia localizzate, difficoltà a deglutire o nodo alla gola, mancamenti, afonia, ritenzione urinaria, allucinazioni, perdita della sensibilità tattile o dolorifica, diplopia, cecità, sordità, convulsioni, sintomi dissociativi come amnesia, oppure perdita di coscienza con modalità diverse dai mancamenti).
C. L'uno o l'altro di 1) e 2):
1) dopo le appropriate indagini, ciascuno dei sintomi del Criterio B non può essere esaurientemente spiegato con una condizione medica generale conosciuta o con gli effetti diretti di una sostanza (per es. una droga di abuso, o un medicinale);
2) quando vi è una condizione medica generale collegata, le lamentele fisiche o la menomazione sociale o lavorativa che ne deriva risultano sproporzionate rispetto a quanto ci si dovrebbe aspettare dalla storia, dall'esame fisico e dai reperti di laboratorio.
D. I sintomi non sono prodotti intenzionalmente o simulati (come nel Disturbo Fittizio o nella Simulazione).
Nell'ipocondria il paziente teme o è convinto di avere una grave malattia interpretando come patologici segni o sensazioni fisiche peraltro privi di significato clinico Tale paura o convinzione, che però non giunge mai al vero delirio, persiste nonostante le rassicurazioni e spinge il paziente a moltiplicare gli accertamenti peregrinando da un medico all'altro.
DSM IV - Criteri diagnostici per F45.2 Ipocondria
A. La preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una malattia grave, basate sulla erronea interpretazione di sintomi somatici da parte del soggetto.
B. La preoccupazione persiste nonostante la valutazione e la rassicurazione medica appropriate.
C. La convinzione di cui al Criterio A non risulta di intensità delirante (come nel Disturbo Delirante, Tipo Somatico) e non è limitata a una preoccupazione circoscritta all'aspetto fisico (come nel Disturbo di Dismorfismo Corporeo).
D. La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
E. La durata della alterazione è di almeno 6 mesi.
F. La preoccupazione non è meglio attribuibile a Disturbo d'Ansia Generalizzato, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo di Panico, Episodio Depressivo Maggiore, Ansia di Separazione, o un altro Disturbo Somatoforme.
Specificare se:
Con Scarso Insight: se, per la maggior parte del tempo durante l'episodio in atto, la persona non è in grado di riconoscere che la preoccupazione di avere una malattia grave è eccessiva o irragionevole.
Nel disturbo da conversione si ha una perdita di funzione o comunque una sintomatologia che suggeriscono un disturbo fisico. Il sintomo generalmente acuto si verifica in stretta prossimità di uno stress psico-sociale che è apparentemente legato a un bisogno o ad un conflitto psicologico Il soggetto non appare consapevole di produrre intenzionalmente il sintomo che determina un cosiddetto “vantaggio primario” cioè impedisce che la sofferenza legata al conflitto psicologico sia direttamente percepita; consente al soggetto di evitare decisioni o comportamenti troppo impegnativi per la sua struttura emotiva. In questo caso l'ansia derivante da tale conflitto viene in qualche modo evitata e “convertita” in un sintomo fisico.
Ad esempio può succedere che una giovane donna, il giorno prima del matrimonio presenti una improvvisa paralisi alle gambe. Sottoposta a visita medica, non si riscontrano alterazioni neurofunzionali specifiche, tuttavia la paziente sembra che non riesca proprio a camminare (mentre magari è perfettamente capace di muovere le gambe a letto!). Valutando la sua storia, emerge che il suo è un matrimonio di interesse che potrebbe risolvere una grave situazione economica della sua famiglia. In questo caso il conflitto psicologico che la giovane non riesce a risolvere si pone tra il desiderio di aiutare i propri genitori e la repulsione verso il promesso sposo. Ecco che una “provvidenziale” paralisi può aiutare la giovane quanto meno a prendere tempo.
Generalmente le persone che presentano un disturbo da conversione vengono anche definite isteriche o affette da un disturbo istrionico di personalità. Il termine isterico o isteria o nevrosi isterica deriva da utero (in greco isteron) e si ricollega all'antica convinzione che le donne prive di rapporti sessuali potessero andare incontro a svariati disturbi provocati dalla migrazione dell'utero all'interno del corpo. In realtà nei soggetti, sia di sesso femminile che maschile, che presentano questo tipo di personalità, è facile riscontrare disturbi psicosessuali che però non sono la causa di tale condizione ma il risultato di una immaturità psicologica. Nella vita quotidiana queste persone si distinguono per il loro bisogno di essere sempre al centro dell'attenzione di piacere agli altri non sopportano la mediocrità, sono iperemotive, capricciose suggestionabili e tendono a fare scenate quando le cose non vanno secondo i loro desideri.
DSM IV - Criteri diagnostici per F44.x Disturbo di Conversione
A. Uno o più sintomi o deficit riguardanti funzioni motorie volontarie o sensitive, che suggeriscono una condizione neurologica o medica generale.
B. Si valuta che qualche fattore psicologico sia associato col sintomo o col deficit, in quanto l'esordio o l'esacerbazione del sintomo o del deficit è preceduto da qualche conflitto o altro tipo di fattore stressante.
C. Il sintomo o deficit non è intenzionalmente prodotto o simulato (come nei Disturbi Fittizi o nella Simulazione).
D. Il sintomo o deficit non può, dopo le appropriate indagini, essere pienamente spiegato con una condizione medica generale, o con gli effetti diretti di una sostanza, o con una esperienza o comportamento culturalmente determinati.
E. Il sintomo o deficit causa disagio clinicamente significativo, o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti, oppure richiede attenzione medica.
F. Il sintomo o deficit non è limitato a dolore o disfunzioni sessuali, non si manifesta esclusivamente in corso di Disturbo di Somatizzazione, e non è meglio spiegabile con qualche altro disturbo mentale.
Codificare tipo di sintomo o deficit:
.4 Con Sintomi o Deficit Motori
.5 Con Attacchi Epilettiformi o Convulsioni
.6 Con Sintomi o Deficit Sensitivi
.7 Con Sintomatologia Mista.
4.7 Approcci terapeutici
I disturbi d'ansia o nevrosi sono molto diffusi tra la popolazione generale ed è pertanto molto probabile che si venga richiesti di prestare assistenza a persone con tale problema.
Da un punto di vista sintomatico è possibile ridurre notevolmente i disturbi psichici e somatici dell'ansia mediante l'uso di farmaci ansiolitici, prevalentemente della classe delle benzodiazepine.
Un discorso a parte è quello del disturbo da attacchi di panico nel quale gli ansiolitici classici non hanno efficacia, mentre sembrerebbero più indicati, specie a livello preventivo, dei farmaci appartenenti alla classe degli antidepressivi.
Il trattamento non farmacologico dei disturbi d'ansia si avvale fondamentalmente della psicoterapia il cui “ingrediente” principale è costituito dal porsi come punto di riferimento e di ascolto per il paziente.
5. Disturbi dell’Umore (o disturbi affettivi)
Questo capitolo riguarda un gruppo di disturbi molto diffusi che coinvolgono quella componente della vita emotiva che viene definita affettività o umore.
Si tratta di alterazioni patologiche di stati d'animo che normalmente vanno dalla gioia al dolore e che, attraverso innumerevoli sfumature, contribuiscono a dare una risonanza piacevole o spiacevole alle diverse esperienze della vita di ogni giorno.
Se dunque l'individuo sano può sperimentare normalmente tutta una serie di stati d'animo in sintonia con le sue vicende personali, possiamo parlare di disturbi affettivi in senso psichiatrico quando l'entità dell'alterazione dell'umore e, soprattutto la sua durata siano tali da modificare stabilmente il comportamento ed influenzare negativamente le normali attività e relazioni con le persone.
Esistono numerose classificazioni dei disturbi affettivi tuttavia per semplicità riporteremo le forme cliniche più frequenti utilizzando la nomenclatura tradizionale e quella della DSM IV.
In primo luogo va ricordato che a seconda della polarità principale dell'umore, i disturbi affettivi vengono denominati depressivi quando si ha un abbassamento del tono dell'umore e maniacali quando si ha una elevazione dello stesso.
I disturbi depressivi sono molto frequenti e possono colpire un'ampia gamma di persone dall'età infantile a quella senile, tanto che secondo alcune ricerche la loro frequenza giungono fino al 20% della popolazione generale. Si tratta di condizioni che hanno in comune un abbassamento stabile del tono dell'umore, una sorta di tristezza patologica che può indurre la persona al suicidio. È perciò molto importante riconoscere precocemente questa forma di sofferenza psichica anche perché è possibile oggi risolverla con adeguati strumenti terapeutici.
Da un punto di vista clinico è possibile distinguere le seguenti forme principali:
5.1 La depressione maggiore
La depressione maggiore è una psicosi che, specie nella sua forma più grave, detta melancolia, presenta delle caratteristiche che la fanno avvicinare maggiormente ad altre condizioni morbose non necessariamente di natura psichiatrica. Infatti in essa si ravvisano una etiologia (o meglio delle ipotesi etiologiche), una fase prodromica (o iniziale), una fase di stato ed una risoluzione.
Intanto si tratta di un disturbo piuttosto frequente, che interessa con maggior frequenza il sesso femminile e che inizia generalmente nell'età adulta (tra i 30 e i 50 anni) Dal punto di vista etiologico si ritiene allo stato attuale delle conoscenze che esista una base biologica caratterizzata da uno squilibrio neuro-chimico del cervello che coinvolge i neurotrasmettitori (sostanze che permettono la trasmissione dell'impulso nervoso da una cellula all'altra a livello della sinapsi). La noradrenalina e la serotonina sarebbero i neuromediatori maggiormente coinvolti, anche se non se ne possono escludere altri.
Un'altra caratteristica di queste forme di depressione è la loro tendenza a presentarsi con maggior frequenza in alcune famiglie per cui si è avanzata l'ipotesi di una possibile trasmissione genetica. Anche in questo caso però mancano evidenze circa un preciso meccanismo ereditario che s'ipotizza in qualche modo legato al sesso data la prevalenza della malattia tra le donne.
Esistono comunque altre ipotesi etiologiche che si basano su fattori di tipo psicologico che valorizzano soprattutto l'ambiente educativo dei futuri depressi e delle perdite parentali precoci che sembrano più frequenti in questa categoria di malati.
La fase iniziale della malattia che ricordiamo è particolarmente pericolosa per il possibile rischio di suicidio, può passare quasi inosservata ed è costituita da lamentele generiche di stanchezza o facile stancabilità che, provenendo in genere da persone precedentemente normali ed abitualmente inserite in una attività lavorativa, vengono attribuite ad un periodo di eccessivo lavoro o stress.
Gradualmente può comparire insonnia con risveglio verso le prime ore del mattino, calo dell'appetito e dell'interesse sessuale, stitichezza: A questo punto il paziente può essersi già rivolto al medico curante che prescrive in genere riposo e qualche cura ricostituente; tuttavia con il passare del tempo i disturbi peggiorano nel senso che il malato appare sempre più stanco e soprattutto sfiduciato. I familiari notano un cambiamento nel suo modo di parlare e di comportarsi. Prevale la chiusura, la scarsa energia, la poca voglia di parlare; la voce è diventata monotona e incolore. I discorsi ruotano per lo più attorno a lamentele circa la condizione fisica oppure esprimono preoccupazioni per errori o colpe commesse generalmente di poca importanza.
Nella fase di stato la sintomatologia su esposta è ulteriormente accentuata e, nella forma melancolica comprende i seguenti sintomi:
1. perdita di interesse per tutte o quasi le attività
2. mancanza di reattività a stimoli solitamente piacevoli
3. depressione regolarmente peggiore al mattino
4. risveglio precoce mattutino
5. rallentamento o agitazione psicomotoria
6. significativa anoressia o perdita di peso
Dal punto di vista ideativo possono essere presenti pensieri deliranti di colpa di rovina o di indegnità In preda a questa tormentosa sofferenza, il paziente può cominciare a pensare al suicidio che viene visto come l'unica via di uscita o come “giusta” punizione per improbabili colpe. In genere questo tipo di pazienti attuano direttamente il suicidio con mezzi sicuri come l'impiccagione, la precipitazione o l'uso di armi. Tuttavia non sono infrequenti dei precedenti tentativi di suicidio con mezzi meno pericolosi come i farmaci, comunque questi gesti non vanno sottovalutati perché possono costituire una specie di “prova generale” per un suicidio vero e proprio.
Se, come fortunatamente spesso succede lo stato depressivo viene diagnosticato in tempo e vengono adottati gli opportuni strumenti terapeutici, si assiste ad una progressiva remissione della sintomatologia; il paziente diviene meno cupo e più accessibile al dialogo, appare più attivo dal punto di vista motorio, ha più appetito e riesce a dormire meglio: In linea di massima con una adeguata terapia psicotropa, oggi costituita da vari tipi di farmaci antidepressivi, nell'arco di due, tre settimane il quadro clinico si modifica notevolmente per risolversi nell'arco di quattro, sei settimane.
Nella depressione endogena la psicoterapia ha una efficacia limitata in quanto il malato a volte non è neppure in grado di sostenere un colloquio; è comunque importante affiancare alla cura farmacologica un atteggiamento psicoterapico fatto di incoraggiamento, sostegno nei pericolosi momenti di rifiuto alle cure, rinuncia a sollecitazioni brusche o di richiamo alla “forza di volontà” che sono perfettamente inutili, se non controproducenti.
Una volta risolto il quadro clinico di cui sopra, la persona ritorna alla sua vita di prima con in più il ricordo di un brutto periodo ormai superato. Va in ogni caso ricordato che la depressione endogena è abitualmente una malattia periodica che può ripresentarsi con varia frequenza per cui è importante che la persona che ha avuto un episodio o i suoi familiari siano informati della opportunità di una verifica specialistica qualora si ripresentino alcuni dei sintomi di esordio.
Un'altra possibilità è quella rappresentata dal passaggio dallo stato depressivo a quello di eccitamento maniacale; quando ciò si verifica, si realizza il quadro del disturbo bipolare (DSM IV), precedentemente definito psicosi maniaco-depressiva.
Nel DSM IV la sezione dei Disturbi dell'Umore è organizzata come segue:
• Disturbi Depressivi
F3x.x Disturbo Depressivo Maggiore
F34.1 Disturbo Distimico
F32.9 Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato
• Disturbi Bipolari
F3x.x Disturbo Bipolare I
F31.8 Disturbo Bipolare II
F34.0 Disturbo Ciclotimico
F31.9 Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato
• Altri Disturbi dell'Umore
F06.xx Disturbo dell'Umore dovuto a ... [Indicare la Condizione Medica Generale]
F1x.8 Disturbo dell'Umore Indotto da Sostanze
F39 Disturbo dell'Umore Non Altrimenti Specificato
DSM IV - Criteri per l'Episodio Depressivo Maggiore
A. Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è costituito da 1) umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere.
1) umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (per es., si sente triste o vuoto) o come osservato dagli altri (per es., appare lamentoso). Nota Nei bambini e negli adolescenti l'umore può essere irritabile
2) marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o come osservato dagli altri)
3) significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso (per es., un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese), oppure diminuzione o aumento dell'appetito quasi ogni giorno. Nota Nei bambini, considerare l'incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali
4) insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
5) agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non
semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato)
6) faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno
7) sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi ogni giorno (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato)
8) ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (come impressione soggettiva o osservata dagli altri)
9) pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico, o un tentativo di suicidio, o l'ideazione di un piano specifico per commettere suicidio.
B. I sintomi non soddisfano i criteri per un Episodio Misto.
C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti.
D. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un medicamento) o di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
E. I sintomi non sono meglio giustificati da Lutto, cioè, dopo la perdita di una persona amata, i sintomi persistono per più di 2 mesi, o sono caratterizzati da una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio.
Criteri per l'Episodio Maniacale
A. Un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo, o irritabile, della durata di almeno una settimana (o di qualsiasi durata se è necessaria l'ospedalizzazione).
B. Durante il periodo di alterazione dell'umore, tre (o più) dei seguenti sintomi sono stati persistenti e presenti a un livello significativo (quattro se l'umore è solo irritabile):
1) autostima ipertrofica o grandiosità
2) diminuito bisogno di sonno (per es., si sente riposato dopo solo 3 ore di sonno)
3) maggiore loquacità del solito, oppure spinta continua a parlare
4) fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente
5) distraibilità (cioè, l'attenzione è troppo facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti)
6) aumento dell'attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale), oppure agitazione psicomotoria
7) eccessivo coinvolgimento in attività ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati).
C. I sintomi non soddisfano i criteri per l'Episodio Misto
D. L'alterazione dell'umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o delle attività sociali abituali o delle relazioni interpersonali, o da richiedere l'ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche.
E. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco o altro trattamento), o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).
DSM IV - Criteri diagnostici per F34.1 Disturbo Distimico
A. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riferito dal soggetto ed osservato dagli altri, per almeno 2 anni. Nota Nei bambini e negli adolescenti l'umore può essere irritabile, e la durata deve essere di almeno 1 anno.
B. Presenza, quando depresso, di due (o più) dei seguenti sintomi:
1) scarso appetito o iperfagia
2) insonnia o ipersonnia
3) scarsa energia o astenia
4) bassa autostima
5) difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni
6) sentimenti di disperazione
C. Durante i 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e negli adolescenti) la persona non è mai stata priva dei sintomi di cui ai Criteri A e B per più di 2 mesi alla volta.
D. Durante i primi 2 anni di malattia (1 anno nei bambini e negli adolescenti) non è stato presente un Episodio Depressivo Maggiore (pag. 364); cioè il disturbo non è meglio inquadrabile come Disturbo Depressivo Maggiore Cronico, o Disturbo Depressivo Maggiore, In Remissione Parziale.
E. Non è mai stato presente un Episodio Maniacale, Misto o Ipomaniacale, né sono stati mai risultati soddisfatti i criteri per il Disturbo Ciclotimico.
F. La malattia non si manifesta esclusivamente durante il corso di un Disturbo Psicotico cronico, come Schizofrenia o Disturbo Delirante.
G. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo).
H. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Specificare se:
Ad Esordio Precoce: esordio prima dei 21 anni
Ad Esordio Tardivo: esordio a 21 anni o più tardi.
Specificare (per i 2 ultimi anni di Disturbo Distimico):
Con Manifestazioni Atipiche (pag. 426).
5.2 Depressione reattiva
Questa forma di depressione definita anche disturbo dell'adattamento con umore depresso (DSM-IV), insorge in seguito ad un evento negativo per il soggetto del quale rappresenta la reazione.
Si tratta generalmente di un evento di perdita come ad esempio: la morte di un familiare, la perdita del posto di lavoro, il pensionamento, la perdita del partner, un tracollo finanziario. A volte la perdita subita può sembrare insignificante, però ciò che conta è l'attaccamento e l'investimento emotivo che il soggetto aveva nei confronti di quello che ha perduto.
I sintomi della depressione reattiva insorgono nei tre mesi successivi al fatto e sono costituiti da una flessione del tono dell'umore con pianto frequente, insonnia, calo dell'appetito e conseguente dimagrimento, incapacità di svolgere le abituali occupazioni, tendenza al rimpianto con polarizzazione del pensiero su ciò che si è perso.
Frequentemente, specie nei casi di un lutto complicato da una depressione reattiva, il soggetto prova intensi sentimenti di colpa rispetto ai quali non riesce a trovare consolazione.
Anche questa forma di depressione può culminare in un suicidio, tuttavia i sintomi sono abitualmente un po’ meno gravi della forma endogena e tendono a risolversi con un lento processo di adattamento che può essere accelerato da una opportuna terapia antidepressiva. A differenza della forma precedente, la depressione reattiva non tende a ripresentarsi, quando ciò si verifica, il soggetto è in genere portatore di un disturbo dipendente di personalità.
DSM IV - Criteri diagnostici per il Disturbo dell'Adattamento
A. Lo sviluppo di sintomi emotivi o comportamentali in risposta ad uno o più fattori stressanti identificabili che si manifesta entro 3 mesi dell'insorgenza del fattore, o dei fattori stressanti.
B. Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi come evidenziato da uno dei seguenti:
1) marcato disagio che va al di là di quanto prevedibile in base all'esposizione al fattore stressante
2) compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo (scolastico).
C. L'anomalia correlata allo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo specifico in Asse I, e non rappresenta solo un aggravamento di un preesistente disturbo in Asse I o in Asse II.
D. I sintomi non corrispondono a un Lutto.
E. Una volta che il fattore stressante (o le sue conseguenze) sono superati, i sintomi non persistono per più di altri 6 mesi.
Specificare se:
Acuto: se l'alterazione dura per meno di 6 mesi
Cronico: se l'alterazione dura per 6 mesi o più.
I Disturbi dell'Adattamento sono codificati in base al sottotipo, che è scelto secondo i sintomi predominanti. Il fattore, o i fattori stressanti specifici possono essere specificati in Asse IV.
F43.20 Con Umore Depresso [309.0]
F43.28 Con Ansia [309.24]
F43.22 Con Ansia e Umore Depresso Misti [309.28]
F43.24 Con Alterazione della Condotta [309.3]
F43.25 Con Alterazione Mista dell'Emotività e della Condotta [309.4]
F43.9 Non Specificato [309.9]
5.3 Depressione secondaria
In questo caso il disturbo depressivo insorge a causa di un'altra condizione di malattia senza la quale non si sarebbe verificato. La malattia in questione può essere fisica o psichica; tra le prime si incontrano soprattutto malattie croniche o invalidanti come: cardiopatie, neoplasie, gravi artropatie, tubercolosi, AIDS, insufficienza renale, ecc.; nel secondo caso si possono avere disturbi d'ansia e in particolare quello da attacchi di panico, schizofrenia, alcolismo, tossicodipendenze, psicosi organiche.
A volte i sintomi depressivi possono passare inosservati in quanto essi vengono attribuiti alla malattia principale, tuttavia è importante rilevarli in quanto, controllandoli con opportune terapie, si osservano vantaggi rispetto al quadro clinico globale. A questo proposito bisogna tener presente che specie nei soggetti più anziani la depressione secondaria a malattie somatiche è una delle più importanti cause di suicidio. Quest'ultimo può realizzarsi anche in modo indiretto nel senso che il paziente collabora poco o addirittura può rifiutare di sottoporsi agli accertamenti e alle cure richieste dalla malattia di base.
DSM IV - Criteri diagnostici per il Disturbo dell'Umore Dovuto a ... [Indicare la Condizione Medica Generale]
A. Un'alterazione dell'umore rilevante e persistente predomina il quadro clinico, ed è caratterizzata da uno (o entrambi) dei seguenti:
1) umore depresso o riduzione marcata degli interessi o del piacere per tutte, o quasi tutte, le attività
2) umore elevato, espanso o irritabile.
B. È evidente da anamnesi, esame fisico o dati di laboratorio che l'alterazione è la conseguenza fisiologica diretta di una condizione medica generale.
C. L'alterazione non è meglio inquadrabile in un altro disturbo mentale (per es., Disturbo
dell'Adattamento con Umore Depresso in risposta all'evento stressante rappresentato dall'essere affetti da una condizione medica generale).
D. L'alterazione non si verifica esclusivamente durante il decorso di un delirium.
E. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
5.4 Terapia dei disturbi dell’umore
Come si è detto, è importante riconoscere precocemente le diverse condizioni depressive sia per il potenziale rischio di suicidio che presentano i pazienti che ne sono affetti, sia per la concreta possibilità attuale di recuperare rapidamente alla vita attiva persone che in diversa misura hanno subito una sorta di interruzione della loro linearità esistenziale.
La terapia farmacologica con psicofarmaci antidepressivi riesce particolarmente utile nelle depressioni maggiori ed in quelle secondarie; meno evidente il loro vantaggio nelle depressioni reattive e nelle depressioni secondarie ad un disturbo di personalità.
L'atteggiamento da mantenere con i soggetti depressi deve essere improntato a sostegno affettuoso, limitando il ricorso a brusche sollecitazioni che sono spesso controproducenti.
È importante ricordare che il paziente depresso tende ad essere poco osservante delle prescrizioni mediche e che a volte può simulare un miglioramento solo per porre in atto con maggior sicurezza il suicidio. È quindi importante sottoporre a discreta sorveglianza questi pazienti, specie nei momenti iniziali della terapia farmacologica che, per agire, richiede a volte due o tre settimane.
5.5 La mania
Con questo termine si usa indicare un disturbo caratterizzato da una elevazione abnorme dell'umore, uno stato di euforia patologica che può comparire improvvisamente in una persona senza precedenti psichiatrici oppure al seguito di un precedente episodio di depressione maggiore. In questo caso si usa parlare di una distimia o disturbo bipolare. L'episodio maniacale inizia in genere con una rapida riduzione del sonno notturno (che però non comporta sofferenza come nella depressione), cui si associa uno stato di eccitamento psico-motorio durante il giorno caratterizzato da:
1. megalomania o aumentata stima di se
2. maggiore loquacità del solito con tendenza alla logorrea
3. sensazione che i propri pensieri si succedano rapidamente
4. fuga delle idee
5. estrema distraibilità da parte di stimoli esterni non importanti
6. iperattività o agitazione psicomotoria
7. tendenza ad esagerare nel lavoro, nello spendere, nel fare affari avventati, nel gioco, nel bere, nel sesso ecc.
Tali sintomi vengono sottovalutati o addirittura negati dal paziente che avverte al contrario una sensazione di estremo benessere. È perciò evidente che sono in genere i familiari o i vicini di casa che richiedono prima o poi l'intervento medico per un crescendo di comportamenti strani o comunque disturbanti. Il rischio principale cui va incontro il soggetto in stato maniacale è quello di provocare incidenti per la sua imprudenza e superficialità, complice spesso un abuso temporaneo di alcool, di arrecare un grave danno economico a sè e alla sua famiglia, di incorrere in problemi giudiziari per aggressioni o eccessiva disinibizione sessuale .
L'episodio maniacale tende a risolversi nell'arco di alcune settimane o prima se si instaura una adeguata terapia, cosa questa resa difficile dalla scarsa collaborazione del paziente.
5.6 Terapia dello stato maniacale
Al fine di impostare un iniziale progetto terapeutico può esser utile approfittare della tendenza espansiva e scherzosa che mostra questo tipo di paziente puntando, magari per scommessa, sulla sua capacità di sopportare qualcosa che altri non riescono a tollerare. È inoltre importante utilizzare al meglio la collaborazione dei familiari, spesso sconvolti e resi esausti dall'incredibile vitalità del loro congiunto. In casi particolarmente gravi può essere necessario far ricorso ad un trattamento sanitario obbligatorio che consente anche di limitare la eccessiva mobilità e l'esaurimento psico-fisico cui possono andare incontro questi pazienti, specie se non più giovani. Il trattamento farmacologico si basa sulla somministrazione di neurolettici e sull'uso del litio che si impiega sia nella fase acuta che come terapia di mantenimento volta a prevenire le ricadute di questa forma di psicosi.
6. La schizofrenia
La schizofrenia è una delle malattie psichiatriche più note ed una delle meno conosciute. Descritta inizialmente dallo psichiatra tedesco Kraepelin con il nome di demenza precoce, ricevette in seguito il nome attuale da Bleuler che lo creò a partire da due parole greche: schizo che vuol dire dividere e fren che vuol dire mente. Questo termine indica una delle caratteristiche principali di questa grave forma di psicosi cioè la frammentazione delle varie funzioni della vita psichica.
In passato questa malattia veniva considerata inguaribile e coloro a cui veniva diagnosticata, erano destinati a trascorrere gran parte della loro vita nell'ospedale psichiatrico. Successivamente all'introduzione di nuove forme di terapia farmacologica e riabilitativa, si è visto che molte delle manifestazioni che venivano attribuite alla psicosi, erano in realtà legate alla privazione di rapporti umani normali, tipica dei ricoveri prolungati.
Oggi, pur riconoscendo alla schizofrenia una possibile evoluzione negativa, si è constatato che essa può guarire o comunque attenuarsi nella sua sintomatologia, consentendo all'individuo di condurre una vita quasi normale.
Nonostante il quadro clinico della malattia sia ben conosciuto e diffuso, con piccole variazioni in diversi paesi, non è stata ancora identificata una sua causa precisa.
Esistono numerose ipotesi eziologiche, nessuna delle quali è però sufficiente a spiegare le complesse manifestazioni che si possono osservare.
Secondo un'ipotesi biologica la schizofrenia sarebbe legata ad un'alterazione del sistema dopaminergico cerebrale vista la somiglianza dei sintomi che si possono avere spontaneamente con quelli che si osservano dopo la somministrazione di alcune sostanze stupefacenti. Inoltre vi sono evidenze che indicherebbero un'alterazione dei ventricoli cerebrali nei soggetti schizofrenici alla TAC.
L'osservazione che la schizofrenia si incontra con maggior frequenza in alcune famiglie ha favorito l'ipotesi genetica, ma anche in questo caso non ci sono dimostrazioni del tutto convincenti.
Secondo un punto di vista psicodinamico, la schizofrenia sarebbe il risultato di alterazioni e distorsioni precoci dei rapporti familiari che influirebbero su uno dei membri che assumerebbe così il ruolo di capro espiatorio. Pertanto secondo l'approccio cosiddetto sistemico, non esisterebbero soggetti schizofrenici, ma famiglie schizofreniche.
Gli studi epidemiologici, sempre molto difficili in psichiatria, indicano che un individuo su cento può ammalarsi di schizofrenia, considerando che la fascia di età a rischio si estende dai 18 ai 40 anni.
Aspetti clinici
In linea di massima i primi sintomi compaiono precocemente e consistono in alterazioni del comportamento in soggetti precedentemente normali, spesso intelligenti, talora un po’ chiusi o timidi. L'insuccesso scolastico, il fallimento delle prime esperienze lavorative o problemi di scompenso emotivo durante il servizio militare possono costituirne l'inizio. Molte volte i familiari di questi giovani tendono ad attribuire a tali eventi la causa del “periodo di esaurimento” che osservano nel loro congiunto. Qualche volta i sintomi possono esordire dopo una delusione sentimentale, fatto peraltro estremamente comune durante l'età giovanile.
Sta di fatto che un po’ alla volta il giovane comincia a chiudersi in sé stesso, tende a rifiutare le compagnie e a trascorrere molto tempo da solo facendo lunghe passeggiate o chiudendosi nella sua camera a leggere o ad ascoltare musica per ore intere. I genitori preoccupati, alla richiesta di chiarimenti, si sentono dire che lui (o lei) non ha voglia di parlare, che non vuole essere disturbato. Gradualmente il giovane può mostrare un interesse marcato per la religione, la filosofia o altre cose lontane dalla vita pratica e nello stesso tempo, può cominciare a manifestare prima la sensazione e poi la certezza che il mondo o il suo corpo stanno cambiando. Queste sensazioni si accompagnano in genere ad una forte angoscia che può manifestarsi acutamente.
A volte l'esordio della malattia può essere contrassegnato da un'improvvisa esplosione di violenza verbale o fisica verso i genitori o il partner cui vengono imputate colpe o responsabilità del tutto inesistenti.
Ecco così che può esplodere il delirio una delle più tipiche manifestazioni della schizofrenia. Si tratta di una convinzione assoluta e irriducibile di un fatto assurdo o impossibile. I temi del delirio possono essere molteplici: da quello mistico a quello sessuale, a quello di grandezza. Ciò che è quasi sempre presente è il delirio di persecuzione costituito dalla convinzione di essere oggetto di intenzioni malevole da parte di qualcuno, a volte non ben definito, a volte identificato come: la polizia, i vicini di casa, i preti, ecc.
Un'altra manifestazione molto frequente nella schizofrenia sono le allucinazioni, cioè delle percezioni senza oggetto da percepire; esse possono essere visive, uditive, olfattive o comunque possono riguardare tutti gli organi di senso. Le allucinazioni più frequenti sono quelle uditive, costituita da voci dialoganti o commentanti che il paziente sente nello spazio intorno a lui o dentro la sua testa. Le voci possono deridere, insultare, adulare, dare ordini, e contribuiscono pertanto ad alimentare i deliri del paziente.
Possono inoltre essere presenti disturbi linguaggio che appare talora strano, molto elaborato, ricco di parole nuove a volte incomprensibili. In stretto rapporto con questo disturbo, si incontrano alterazioni del pensiero con perdita delle normali concatenazioni logiche tra un concetto e l'altro da cui il termine di dissociazione o di sindrome dissociativa con il quale si definisce a volte la schizofrenia. Alla dissociazione si unisce la discordanza affettiva a causa della quale si osservano risposte emotive inadeguate come lo scoppiare a ridere davanti ad un fatto tragico. Sempre sul piano dell'affettività, questa appare spesso appiattita, ottusa oppure fatua; altre volte si osserva la cosiddetta ambivalenza, cioè la presenza contemporanea di sentimenti opposti come la gioia e il dolore, l'amore e l'odio.
Un altro gruppo di disturbi riguarda l'attività motoria che viene a perdere la sua fluidità e spontaneità per assumere un carattere artificioso, caricato, manierato. La forma più grave è rappresentata dalla catatonia nella quale il paziente appare del tutto immobile, come pietrificato in posizioni a volte scomode; in questi casi è presente un rifiuto totale alla collaborazione con mutismo totale che viene definito negativismo.
Da quanto sopra esposto, appare chiaro come la schizofrenia rappresenta una tipica psicosi che comporta, per chi ne è affetto, un distacco più o meno totale dalla realtà esterna. La perdita di contatto vitale con il mondo la estrema chiusura ed introversione costituiscono il nucleo di quel sintomo fondamentale della malattia che è definito autismo.
Sottotipi della Schizofrenia secondo il DSM IV
I sottotipi della Schizofrenia sono definiti dalla sintomatologia predominante al momento della valutazione. Benché le implicazioni prognostiche e di trattamento dei sottotipi siano variabili, i Tipi Paranoide e Disorganizzato tendono ad essere rispettivamente il meno e il più grave. La diagnosi di un particolare sottotipo si basa sul quadro clinico che ha determinato la più recente valutazione clinica e richiesta di trattamento, e pertanto può variare nel tempo. Non di rado, il modo di presentarsi può includere sintomi che sono caratteristici di più di un sottotipo.
• F20.0x Tipo Paranoide [295.30]
• F20.1x Tipo Disorganizzato [295.10]
• F20.2x Tipo Catatonico [295.20]
• F20.3x Tipo Indifferenziato [295.90]
• F20.5x Tipo Residuo [295.60]
• F20.8 Disturbo Schizofreniforme [295.40]
• F25.x Disturbo Schizoaffettivo [295.70]
• F22.0 Disturbo Delirante [297.1]
• F23.8x Disturbo Psicotico Breve [298.8]
• F24 Disturbo Psicotico Condiviso (Folie à Deux) [297.3]
• Disturbo Psicotico Dovuto a una Condizione Medica Generale
• Disturbo Psicotico Indotto da Sostanze
• F29 Disturbo Psicotico Non Altrimenti Specificato [298.9]
DSM IV - Criteri diagnostici per la Schizofrenia
A. Sintomi caratteristici: due (o più) dei sintomi seguenti, ciascuno presente per un periodo di tempo significativo durante un periodo di un mese (o meno se trattati con successo):
1) deliri
2) allucinazioni
3) eloquio disorganizzato (per es., frequenti deragliamenti o incoerenza)
4) comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico
5) sintomi negativi, cioè appiattimento dell'affettività, alogia, abulia.
B. Disfunzione sociale/lavorativa: per un periodo significativo di tempo dall'esordio del disturbo, una o più delle principali aree di funzionamento come il lavoro, le relazioni interpersonali, o la cura di sé si trovano notevolmente al di sotto del livello raggiunto prima della malattia (oppure, quando l'esordio è nell'infanzia o nell'adolescenza, si manifesta un'incapacità di raggiungere il livello di funzionamento interpersonale, scolastico o lavorativo prevedibile).
C. Durata: segni continuativi del disturbo persistono per almeno 6 mesi. Questo periodo di 6 mesi deve includere almeno 1 mese di sintomi (o meno se trattati con successo) che soddisfino il Criterio A (cioè, sintomi della fase attiva), e può includere periodi di sintomi prodromici o residui. Durante questi periodi prodromici o residui, i segni del disturbo possono essere manifestati soltanto da sintomi negativi o da due o più sintomi elencati nel Criterio A presenti in forma attenuata (per es., convinzioni strane, esperienze percettive inusuali).
D. Esclusione dei Disturbi Schizoaffettivo e dell'Umore: il Disturbo Schizoaffettivo e il Disturbo dell'Umore Con Manifestazioni Psicotiche sono stati esclusi poiché: (1) nessun Episodio Depressivo Maggiore, Maniacale o Misto si è verificato in concomitanza con i sintomi della fase attiva; (2) oppure, se si sono verificati episodi di alterazioni dell'umore durante la fase di sintomi attivi, la loro durata totale risulta breve relativamente alla durata complessiva dei periodi attivo e residuo.
E. Esclusione di sostanze e di una condizione medica generale: il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una sostanza di abuso, un farmaco) o a una condizione medica generale.
F. Relazione con un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo: se c'è una storia di Disturbo Autistico o di altro Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, la diagnosi addizionale di Schizofrenia si fa soltanto se sono pure presenti deliri o allucinazioni rilevanti per almeno un mese (o meno se trattati con successo).
L'andamento della schizofrenia può essere quanto mai vario, esistono infatti episodi acuti (generalmente a prognosi migliore) e sviluppi lenti e progressivi con riacutizzazioni intermedie.
A volte, risoltasi spontaneamente o dopo trattamento specifico, una fase delirante acuta, può subentrare una depressione secondaria ad elevato rischio suicidario
Un'altra complicazione della schizofrenia è rappresentato dall'alcolismo o dall'abuso di droghe.
Aspetti terapeutici
Non esiste una terapia causale in quanto non esiste una causa riconosciuta o quanto meno unica di questa malattia, pertanto il trattamento deve essere di tipo integrato.
Le fasi acute deliranti o allucinatorie vanno trattate in ambiente specialistico, vuoi ospedaliero che ambulatoriale principalmente mediante l'uso di farmaci sedativi e incisivi di tipo neurolettico.
I periodi di ritirata autistica o comunque di tendenza all'introversione vanno gradualmente contrastati con l'uso di farmaci disinibenti e con l'adozione di misure riabilitative che favoriscano la ripresa di un maggior contatto vitale con la realtà.
Le fasi depressive possono beneficiare di un prudente trattamento con farmaci antidepressivi.
In linea di massima è importante associare alla cura farmacologica un supporto psicoterapeutico flessibile sia nei confronti del paziente che dei familiari, spesso pesantemente coinvolti sotto il profilo emotivo.
7. I disturbi deliranti
Si tratta di un gruppo di disturbi psichiatrici maggiori a lento sviluppo che, a differenza della schizofrenia, non alterano globalmente la personalità del paziente, inoltre insorgono prevalentemente nell'età adulta in entrambi i sessi e si fondano essenzialmente sul delirio.
L'idea delirante è un'alterazione del pensiero che presenta alcune precise caratteristiche assoluta certezza irriducibilità alla confutazione assurdità o impossibilità del contenuto. In questo senso l'idea delirante si differenzia dall'idea ossessiva in quanto quest'ultima, per quanto assurda, viene in qualche modo ritenuta tale dal paziente che si sforza di cacciarla dalla sua mente. Il paziente delirante invece, oltre ad essere completamente convinto di quanto va affermando, vuole convincere tutti a pensarla come lui. Il delirio può irrompere bruscamente nello psichismo del paziente dando luogo alla cosiddetta intuizione delirante ed è questo il caso di persone che ad esempio si svegliano al mattino, scendono per strada proclamando pubblicamente di essere il nuovo messia. Altre volte il delirio può essere il frutto di una percezione delirante, come il caso di un paziente che, vedendo tre semafori rossi, era convinto che stesse per scoppiare una guerra.
La tematica del delirio tende ad essere costante in ogni soggetto, possiamo così incontrare:
I disturbi deliranti tendono a svilupparsi in soggetti che possiedono alcune caratteristiche della personalità di base come:
DSM IV - Criteri diagnostici per F22.0 Disturbo Delirante
A. Deliri non bizzarri (cioè, concernenti situazioni che ricorrono nella vita reale, come essere inseguito, avvelenato, infettato, amato a distanza, tradito dal coniuge o dall'amante, o di avere una malattia) che durano almeno un mese.
B. Il Criterio A per la Schizofrenia non è risultato soddisfatto.
C. Il funzionamento, a parte per quanto consegue al (ai) delirio (i), non risulta compromesso in modo rilevante, e il comportamento non è eccessivamente stravagante o bizzarro.
D. Se gli episodi di alterazione dell'umore si sono verificati in concomitanza ai deliri, la loro durata totale è stata breve relativamente alla durata dei periodi deliranti.
E. Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una sostanza di abuso, un farmaco), o a una condizione medica generale.
Specificare il tipo:
Aspetti terapeutici
Si tratta in genere di disturbi molto resistenti alla terapia. Per le caratteristiche implicite alla malattia, i soggetti che presentano una sindrome delirante molto di rado consultano un medico o uno psichiatra in particolare. Ciò può avvenire o in seguito a forti pressioni dei familiari o a causa di una temporanea depressione secondaria.
È molto importante guadagnarsi la fiducia di questi pazienti che a causa del loro modo di essere,tendono ad alienarsi amicizie o simpatia.
Da un punto di vista farmacologico i disturbi deliranti possono essere ridotti dai neurolettici incisivi come il Serenase (Haldol), Orap, Trilafon. Sono però necessari dosaggi piuttosto elevati da cui il rischio di effetti collaterali.
Nei casi migliori si può avere una scomparsa del disturbo nel senso che il soggetto può criticare la tematica stessa del suo precedente delirio. Altre volte il soggetto pur non rinnegando l'essenza dei suoi convincimenti, può lasciarli da parte e divenire un pò più malleabile nei rapporti interpersonali.
8. Disturbi mentali organici
Si tratta di una serie di disturbi psichici a carattere acuto o cronico per i quali è possibile individuare una causa organica mediante l'impiego di opportune tecniche diagnostiche.
Tra i disturbi cronici troviamo fondamentalmente le insufficienze mentali o oligofrenie e le demenze, mentre i disturbi acuti prevedono fondamentalmente la confusione mentale che verrà qui trattata più diffusamente.
8.1 La confusione mentale
La confusione mentale (o sindrome confusionale) può essere definita come una destrutturazione più o meno profonda della coscienza che si accompagna ad alterazioni somatiche e che ha frequentemente una evoluzione acuta.
Per coscienza si intende quella funzione attiva della vita psichica che organizza, all'interno di precisi parametri di spazio e di tempo, l'esperienza sensibile quale ci proviene attraverso gli organi di senso, fornendoci inoltre la consapevolezza della nostra identità personale.
DSM IV - Criteri diagnostici per F05.0 Delirium Dovuto a ...
A. Alterazione della coscienza (cioè, riduzione della lucidità della percezione dell'ambiente), con ridotta Capacità di focalizzare, mantenere o spostare l'attenzione.
B. Una modificazione cognitiva (quale deficit di memoria, disorientamento, alterazioni del linguaggio), o lo sviluppo di una alterazione percettiva che non risulta meglio giustificata da una preesistente demenza, stabilizzata o in evoluzione.
C. L'alterazione si sviluppa in un breve periodo di tempo (generalmente di ore o giorni), e tende a presentare fluttuazioni giornaliere.
D. Vi è la dimostrazione, fondata sulla storia, sull'esame fisico, o sugli esami di laboratorio che il disturbo è causato dalle conseguenze fisiologiche dirette di una condizione medica generale.
Aspetti etiologici
Aspetti clinici
Esistono vari gradi di confusione mentale che sono per lo più in relazione con la gravità della sua causa primitiva l'età e le precedenti condizioni psicofisiche del paziente.
Ogni paziente che presenta uno stato confusionale va immediatamente sottoposto ad accertamenti in ambiente ospedaliero o comunque protetto.
Sintomi psichici:
Sintomi fisici.
Il malato confuso presenta, prima o poi segni di compromissione fisica generale che comprendono:
Se è presente una base infettiva, non manca la febbre che può essere molto elevata. Possono essere presenti, specie nelle sindromi confusionali di origine tossico-carenziale dei violenti tremori (delirium tremens).
Aspetti terapeutici
La confusione mentale è un'emergenza medica e psichiatrica al tempo stesso per cui è importante che il paziente venga accolto in ambiente ospedaliero dove potrà essere seguito sotto entrambi gli aspetti.
Fondamentali, ai fini di una evoluzione favorevole sono le cure infermieristiche che devono tener conto in modo particolare delle necessità primarie di questo tipo di paziente. Vanno pertanto curate l'alimentazione e l'idratazione in particolare. La pulizia degli orifizi e degli sfinteri deve essere attenta e scrupolosa, come pure la protezione da possibili incidenti che il paziente può provocare a causa del frequente stato di agitazione i cui si trova.
Di norma è opportuno tenere il paziente in un ambiente tranquillo e leggermente illuminato (anche di notte). In considerazione dello stato di disorientamento e dei disturbi della memoria, andrebbero mantenuti, ove non pericolosi, gli effetti personali più familiari.
L'unica forma di contenzione ammessa è quella manuale, riservandosi l'uso di contenzione meccanica alla sola fase di somministrazione di farmaci o soluzioni parenterali.
Sotto il profilo farmacologico, va trattata, appena possibile, la patologia di base, riservando a tutti i casi provvedimenti generali quali la reidratazione, la correzione degli squilibri elettrolitici,il supporto cardiovascolare, l'apporto polivitaminico ed eventualmente, antibiotici.
L'evoluzione dello stato confusionale è generalmente di qualche giorno, dopodiché si ha la guarigione, preceduta spesso da un lungo periodo di sonno.
Al risveglio il paziente, spesso non ricorda quanto gli è successo o rammenta al massimo qualche vaga sensazione, per lo più spiacevole.
In alcuni casi lo stato confusionale può non regredire e costituire l'inizio di una sindrome demenziale.
8.2 Demenza (tratto dal DSM IV)
La caratteristica essenziale di una demenza è lo sviluppo di molteplici deficit cognitivi che comprendono compromissione della memoria e almeno una delle seguenti alterazioni cognitive: afasia, aprassia, agnosia, o un'alterazione del funzionamento esecutivo. I deficit cognitivi devono essere sufficientemente gravi da provocare una menomazione del funzionamento lavorativo o sociale, e devono rappresentare un deterioramento rispetto ad un precedente livello di funzionamento.
La Demenza può essere eziologicamente correlata a una condizione medica generale, agli effetti persistenti dell'uso di una sostanza (inclusa l'esposizione a tossine), o a una combinazione di questi fattori.
La compromissione della memoria è richiesta per fare diagnosi di demenza, ed è un sintomo precoce rilevante. I soggetti con demenza vanno incontro a compromissione della capacità di apprendere nuove informazioni, o dimenticano nozioni precedentemente apprese. Il deterioramento delle funzioni del linguaggio (afasia) può essere manifestato dalla difficoltà di ricordare i nomi di individui e oggetti. I soggetti con demenza possono presentare aprassia (cioè, incapacità ad eseguire attività motorie nonostante che siano preservate le capacità motorie, la funzione sensoriale e la comprensione della prova richiesta). I soggetti con demenza possono presentare agnosia (cioè, incapacità a riconoscere o a identificare oggetti nonostante le funzioni sensoriali siano preservate). Le alterazioni del funzionamento esecutivo sono una manifestazione comune della demenza e possono essere correlate in particolare ai disturbi del lobo frontale o delle vie sottocorticali associate. Le funzioni esecutive comportano la capacità di pensare in astratto e di pianificare, iniziare, ordinare in sequenza, monitorare, e interrompere comportamenti complessi.
Tali sintomi devono essere sufficientemente gravi da provocare una significativa menomazione del funzionamento sociale o lavorativo (per es., andare a scuola, lavorare, fare acquisti, vestirsi, fare il bagno, gestire il denaro, e altre attività della vita quotidiana) e devono rappresentare un deterioramento rispetto al livello di funzionamento precedente. La natura e il grado della compromissione sono variabili e spesso dipendono dal particolare ambiente sociale del soggetto.
I soggetti con demenza possono andare incontro a disorientamento nello spazio e presentare difficoltà nelle prove spaziali. Nella demenza comunemente la capacità critica e l'introspezione sono carenti. I soggetti possono essere consapevoli solo in piccola parte, o del tutto non consapevoli della perdita di memoria o delle altre alterazioni cognitive. Possono fare valutazioni non realistiche circa le loro capacità, e formulare piani che non sono congruenti con i loro deficit e la loro prognosi (per es., progettare di intraprendere qualche nuovo affare). Possono sottovalutare i rischi che comportano certe attività (per es., guidare). La demenza a volte è accompagnata da alterazioni motorie della deambulazione che possono provocare delle cadute a terra. Certi soggetti con demenza mostrano un comportamento disinibito, come fare scherzi inappropriati, trascurare l'igiene personale, esibire una familiarità non dovuta con estranei, o non rispettare le norme convenzionali del comportamento sociale.
I molteplici deficit cognitivi della demenza sono spesso associati ad ansia, turbe dell'umore e del sonno. Sono comuni i deliri, specialmente quelli che comportano temi di persecuzione (per es., la convinzione che oggetti personali messi in posti sbagliati siano stati rubati). Le allucinazioni possono verificarsi con tutte le modalità sensoriali, ma le più comuni sono quelle visive. Il delirium si sovrappone frequentemente alla demenza, poiché la malattia cerebrale sottostante può aumentare la suscettibilità agli stati confusionali che possono essere prodotti da farmaci o da altre condizioni mediche generali concomitanti. I soggetti con demenza possono essere particolarmente vulnerabili agli "stressor" fisici (per es., malattie o interventi di piccola chirurgia), e agli "stressor" psicosociali (per es., ricovero in ospedale, lutto), che possono esacerbare i loro deficit intellettivi e gli altri problemi associati.
La più comune causa di demenza è la malattia di Alzheimer, seguita dalla malattia vascolare, e poi da quella ad eziologia molteplice.
L'età di insorgenza della demenza dipende dalla eziologia, ma si situa generalmente nell'età avanzata, con la prevalenza più alta sopra gli 85 anni.
Gli studi epidemiologici riportano una prevalenza variabile a seconda delle età dei soggetti presi come campione, dei metodi di determinazione della presenza, della gravità, e del tipo di deficit cognitivo, e, infine, delle regioni o dei paesi studiati. Studi di comunità hanno stimato una prevalenza longitudinale riferita a un anno di quasi il 3% relativamente ai deficit cognitivi gravi nella popolazione adulta. Si stima che il 2-4% della popolazione sopra i 65 anni di età soffra di Demenza, Tipo Alzheimer; gli altri tipi di demenza sarebbero molto meno frequenti. La prevalenza della demenza, soprattutto della Demenza, Tipo Alzheimer e della Demenza Vascolare, aumenta con l'età, in particolare dopo i 75 anni, con una prevalenza del 20% o più sopra gli 85 anni di età.
DSM IV - Criteri diagnostici per la Demenza Tipo Alzheimer
A. Sviluppo di deficit cognitivi multipli, manifestati da entrambe le condizioni seguenti:
1) deficit della memoria (compromissione della capacità di apprendere nuove informazioni o di ricordare informazioni già acquisite)
2) una (o più) delle seguenti alterazioni cognitive:
a) afasia (alterazione del linguaggio)
b) aprassia (compromissione della capacità di eseguire attività motorie nonostante l'integrità della funzione motoria)
c) agnosia (incapacità di riconoscere o di identificare oggetti nonostante l'integrità della
funzione sensoriale)
d) disturbo delle funzioni esecutive (cioè, pianificare, organizzare, ordinare in sequenza,
astrarre).
B. Ciascuno dei deficit cognitivi dei Criteri A1 e A2 causa una compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo, e rappresenta un significativo declino rispetto ad un precedente livello di funzionamento.
C. Il decorso è caratterizzato da insorgenza graduale e declino continuo delle facoltà cognitive.
D. I deficit cognitivi dei Criteri A1 e A2 non sono dovuti ad alcuno dei seguenti fattori:
1) altre condizioni del sistema nervoso centrale che causano deficit progressivi della memoria e delle facoltà cognitive (per es., malattia cerebrovascolare, malattia di Parkinson, malattia di Huntington, ematoma sottodurale, idrocefalo normoteso, tumore cerebrale)
2) affezioni sistemiche che sono riconosciute come causa di demenza (per es., ipotiroidismo, deficienza di vitamina B12 o acido folico, deficienza di niacina, ipercalcemia, neurosifilide, infezione HIV)
3) affezioni indotte da sostanze.
E. I deficit non si presentano esclusivamente durante il decorso di un delirium.
F. Il disturbo non risulta meglio giustificato da un altro disturbo dell'Asse I (per es., Disturbo Depressivo Maggiore, Schizofrenia).
Codici basati sul tipo di insorgenza e di caratteristica dominante:
Con Insorgenza Precoce: se l'insorgenza è all'età di 65 anni o prima.
Con Insorgenza Tardiva: se l'insorgenza è dopo i 65 anni di età.
Specificare se:
Con Alterazioni Comportamentali.
DSM IV - Criteri diagnostici per F01.xx Demenza Vascolare
Come Demenza Tipo Alzheimer, ad eccezione del criterio:
C. Segni e sintomi neurologici focali (per es., accentuazione dei riflessi tendinei profondi, risposta estensoria plantare, paralisi pseudobulbare, anomalie della deambulazione, debolezza di un arto) o segni di laboratorio indicativi di malattia cerebrovascolare (per es., infarti multipli che interessano la corteccia e la sostanza bianca sottostante) che si ritengono eziologicamente correlati al disturbo.
D. I deficit non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un delirium.
Specificare se:
Con Alterazioni Comportamentali.
8.3 Ritardo Mentale (tratto dal DSM IV)
La caratteristica fondamentale del Ritardo Mentale è un funzionamento intellettivo generale significativamente al di sotto della media (Criterio A) che è accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno due delle seguenti aree delle capacità di prestazione: comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità sociali/interpersonali, uso delle risorse della comunità, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, e sicurezza (Criterio B). L'esordio deve avvenire prima dei 18 anni (Criterio C). Il Ritardo Mentale ha molte diverse etiologie e può essere visto come la via finale comune di vari processi patologici che agiscono sul funzionamento del sistema nervoso centrale.
Cause del ritardo mentale
Si calcola che circa il 3% della popolazione infantile presenti qualche forma di ritardo mentale. Nel 30-40 % non si conoscono le cause.
Nel restante settore:
5% Cause geniche o cromosomiche ( S. di Down, X fragile) :
30% Alterazioni embrionali o fetali in epoca prenatale ( alcolismo materno, rosolia, toxoplasmosi, deficit placentare, fenilchetonuria, ipotiroidismo)
10% Problemi perinatali ( sofferenza anossica)
5% Eventi postnatali ( infiammatori, traumatici, tossici)
15-20% Fattori psicosociali o psichiatrici
Il funzionamento intellettivo generale è definito dal quoziente di intelligenza (QI o equivalenti del QI) ottenuto tramite la valutazione con uno o più test di intelligenza standardizzati somministrati individualmente (per es., la Scala di Intelligenza Wechsler per i Bambini - Edizione Aggiornata, la Stanford Binet, la Batteria di Valutazione di Kaufman per i Bambini).
Un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media è definito da un QI di circa 70 o inferiore (circa 2 deviazioni standard al di sotto della media). Si dovrebbe notare che nella valutazione del QI esiste un errore di misurazione di circa 5 punti, che può tuttavia variare da strumento a strumento (per es., un QI di 70 al Wechsler viene considerato rappresentativo di un'estensione da 65 a 75). Quindi è possibile diagnosticare un Ritardo Mentale in soggetti con un QI tra 70 e 75 che mostrano deficit significativi del comportamento adattivo.
Al contrario, un Ritardo Mentale non dovrebbe essere diagnosticato ad un soggetto con un QI inferiore a 70 se non vi sono deficit significativi o compromissione del funzionamento adattivo.
La scelta degli strumenti di valutazione e l'interpretazione dei risultati dovrebbe tener conto di fattori che possono limitare la prestazione (per es., il retroterra socioculturale del soggetto, la lingua madre, e gli handicap di comunicazione, motori, e sensoriali associati).
Quando esiste una dispersione significativa nei punteggi delle diverse parti del test, sarà il profilo dei punti di tenuta e di caduta, piuttosto che il QI calcolato matematicamente su tutte le scale, a riflettere in modo più accurato le capacità di apprendimento del soggetto. Quando esiste una notevole discrepanza tra i punteggi verbali e quelli di performance, fare la media per ottenere un punteggio del QI globale può indurre in errore.
I soggetti con Ritardo Mentale giungono alla osservazione più per le compromissioni del funzionamento adattivo che per il QI basso. Il funzionamento adattivo fa riferimento all'efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze comuni della vita e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro particolare fascia di età, retroterra socioculturale, e contesto ambientale. Il funzionamento adattivo può essere influenzato da vari fattori, che includono l'istruzione, la motivazione, le caratteristiche di personalità, le prospettive sociali e professionali, e i disturbi mentali e le condizioni mediche generali che possono coesistere col Ritardo Mentale. I problemi di adattamento sono più suscettibili di miglioramento con tentativi di riabilitazione di quanto non sia il QI cognitivo, che tende a rimanere un attributo più stabile.
È utile evidenziare i deficit del funzionamento adattivo da una o più fonti indipendenti affidabili (per es. valutazione da parte degli insegnanti e storia scolastica, dello sviluppo e medica).
Sono state predisposte anche diverse scale per misurare il funzionamento o il comportamento adattivo (per es., le Scale Vineland per il Comportamento Adattivo, e la Scala per il Comportamento Adattivo dell'Associazione Americana per il Ritardo Mentale). Queste scale generalmente forniscono un punteggio clinico limite che tiene conto delle prestazioni in diversi ambiti di capacità adattive.
Si deve notare che alcuni di questi strumenti non misurano certe aree adattive, e che a loro volta i punteggi riguardanti le singole aree adattive variano considerevolmente per quanto riguarda l'attendibilità. Come nella valutazione del funzionamento intellettivo, si dovrebbe considerare l'adeguatezza dello strumento rispetto al retroterra socioculturale del soggetto, alla sua istruzione, agli handicap associati, alla motivazione e alla collaborazione. Per esempio, la presenza di handicap significativi invalida molti degli standard delle scale adattive. Inoltre, i comportamenti che normalmente potrebbero essere considerati di disadattamento (per es. dipendenza, passività) possono dar prova di buon adattamento nel contesto di una particolare situazione di vita del soggetto (per es., in alcuni ambienti istituzionali).
Spesso presenti in soggetti con RM lieve ( ansia, bassa autostima, condotte dipendenti)
Difficili da valutare nel RM grave. Si notano:
Spesso presenti nel RM grave.
Nei più piccoli si nota:
Negli adolescenti si nota:
Di base esiste nel RM scarsa capacità inibitoria degli impulsi e scarsa espressione verbale. Di qui rabbia agita più che pensata.
Gradi di gravità del Ritardo Mentale
Possono essere specificati 4 gradi di gravità, che riflettono il livello della compromissione intellettiva: Lieve, Moderato, Grave e Gravissimo.
Ritardo Mentale Lieve livello del QI da 50-55 a circa 70
Ritardo Moderato livello del QI da 35-40 a 50-55
Ritardo Mentale Grave livello del QI da 20-25 a 35-40
Ritardo Mentale Gravissimo livello del QI sotto 20 o 25.
Ritardo Mentale, Gravità Non Specificata può essere usato quando c'è forte motivo di supporre un Ritardo Mentale, ma l'intelligenza del soggetto non è valutabile con i test standard (per es., in soggetti troppo compromessi o non collaborativi, o nella prima infanzia).
Ritardo Mentale Lieve
Il Ritardo Mentale Lieve equivale all'incirca a ciò a cui si faceva riferimento con la categoria educazionale di "educabili". Questo gruppo costituisce la parte più ampia (circa l'85%) dei soggetti affetti da questo disturbo. Come categoria, i soggetti con questo livello di Ritardo Mentale tipicamente sviluppano capacità sociali e comunicative negli anni prescolastici (da 0 a 5 anni di età), hanno una compromissione minima nelle aree sensomotorie, e spesso non sono distinguibili dai bambini senza Ritardo Mentale fino ad un'età più avanzata.
Prima dei 20 anni, possono acquisire capacità scolastiche corrispondenti all'incirca alla quinta elementare. Durante l'età adulta, essi di solito acquisiscono capacità sociali e occupazionali adeguate per un livello minimo di autosostentamento, ma possono aver bisogno di appoggio, di guida, e di assistenza, specie quando sono sottoposti a stress sociali o economici inusuali. Con i sostegni adeguati, i soggetti con Ritardo Mentale Lieve possono di solito vivere con successo nella comunità, o da soli o in ambienti protetti .
Ritardo Mentale Moderato
Il Ritardo Mentale Moderato è all'incirca equivalente a ciò a cui si faceva riferimento con la categoria educazionale di "addestrabili". Questo termine ormai sorpassato non dovrebbe essere usato perché implica erroneamente che i soggetti con Ritardo Mentale Moderato non possono beneficiare di programmi educazionali. Questo gruppo costituisce circa il 10% dell'intera popolazione di soggetti con Ritardo Mentale. La maggior parte dei soggetti con questo livello di Ritardo Mentale acquisisce capacità comunicative durante la prima fanciullezza. Essi traggono beneficio dall'addestramento professionale e, con una moderata supervisione, possono provvedere alla cura della propria persona. Possono anche beneficiare dell'addestramento alle attività sociali e lavorative, ma difficilmente progrediscono oltre il livello della seconda elementare nelle materie scolastiche. Possono imparare a spostarsi da soli in luoghi familiari. Durante l'adolescenza, le loro difficoltà nel riconoscere le convenzioni sociali possono interferire nelle relazioni con i coetanei. Nell'età adulta, la maggior parte riesce a svolgere lavori non specializzati, o semispecializzati, sotto supervisione in ambienti di lavoro protetti o normali. Essi si adattano bene alla vita in comunità, di solito in ambienti protetti.
Ritardo Mentale Grave
Il gruppo con Ritardo Mentale Grave costituisce il 3-4% dei soggetti con Ritardo Mentale. Durante la prima fanciullezza essi acquisiscono un livello minimo di linguaggio comunicativo, o non lo acquisiscono affatto. Durante il periodo scolastico possono imparare a parlare e possono essere addestrati alle attività elementari di cura della propria persona. Essi traggono un beneficio limitato dall'insegnamento delle materie prescolastiche, come familiarizzarsi con l'alfabeto e svolgere semplici operazioni aritmetiche, ma possono acquisire capacità come l'imparare a riconoscere a vista alcune parole per le necessità elementari. Nell'età adulta, possono essere in grado di svolgere compiti semplici in ambienti altamente protetti. La maggior parte di essi si adatta bene alla vita in comunità, in comunità alloggio o con la propria famiglia, a meno che abbiano un handicap associato che richieda assistenza specializzata o altre cure.
Ritardo Mentale Gravissimo
Il gruppo con Ritardo Mentale Gravissimo costituisce circa un 1-2% dei soggetti con Ritardo Mentale. La maggior parte dei soggetti con questa diagnosi ha una condizione neurologica diagnosticata che spiega il Ritardo Mentale. Durante la prima infanzia, essi mostrano considerevole compromissione del funzionamento sensomotorio. Uno sviluppo ottimale può verificarsi in un ambiente altamente specializzato con assistenza e supervisione costanti, e con una relazione personalizzata con la figura che si occupa di loro. Lo sviluppo motorio e le capacità di cura della propria persona e di comunicazione possono migliorare se viene fornito un adeguato addestramento. Alcuni possono svolgere compiti semplici in ambienti altamente controllati e protetti.
9. I disturbi di personalità
Con questo termine si indicano quelle alterazioni della personalità o del carattere (da qui il termine più o meno analogo di caratteropatie) che tendono a manifestarsi precocemente nella storia di un individuo e che non sono legate a disfunzioni cerebrali o ad altri disturbi funzionali quali le nevrosi o le psicosi. A volte comunque è possibile che ad un disturbo di personalità si sovrapponga un altro disturbo psichico di natura organica o funzionale.
Le caratteristiche del comportamento a lungo termine dei soggetti con disturbo della personalità non si limitano ad episodi di malattia, ma causano un'alterazione significativa del comportamento sociale o lavorativo oppure una sofferenza soggettiva.
In questo senso troviamo raggruppate sotto questo termine persone che, a causa della loro abnormità psicologica, soffrono o fanno soffrire gli altri.
DSM IV - Criteri diagnostici generali per i Disturbi di Personalità
A. Un modello abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell'individuo. Questo modello si manifesta in due (o più) delle aree seguenti:
1) cognitività (cioè modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti)
2) affettività (cioè, la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva)
3) funzionamento interpersonale
4) controllo degli impulsi.
B. Il modello abituale risulta inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni personali e sociali.
C. Il modello abituale determina un disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre aree importanti.
D. Il modello è stabile e di lunga durata, e l'esordio può essere fatto risalire almeno all'adolescenza o alla prima età adulta.
E. Il modello abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale.
F. Il modello abituale non risulta collegato agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., un trauma cranico).
Esistono numerose classificazioni dei disturbi di personalità, secondo il DSM IV si distinguono:
Come tutte le classificazioni, anche questa trova di fatto scarso riscontro nella realtà clinica, nella quale è piuttosto raro trovare soggetti che rientrino in modo perfetto in una di queste categorie. Molto più facile è invece trovare persone che presentano disturbi polimorfi di personalità, o semplicemente dei tratti degli stessi.
Comunque, data la sua particolare frequenza, sarà qui descritto per sommi capi il disturbo antisociale.
Esso interessa soggetti di età superiore ai 18 anni e prevede almeno quattro dei seguenti aspetti:
Si tratta, al di là di quanto sopra descritto, di persone che possono anche apparire piacevoli in apparenza, e che tendono a suscitare sentimenti positivi specie nelle personalità dipendenti. tuttavia messi di fronte alle loro manchevolezze tendono a scaricare sugli altri o sulla sfortuna la responsabilità dei loro insuccessi. Quando comunque, messe alle strette, sono costrette ad ammettere i propri errori, sono solite pentirsi, salvo poi ricadere con estrema facilità negli stessi sbagli. Tendono spesso a manipolare gli altri per ottenere vantaggi e a rivolgersi alle istituzioni pubbliche per ottenere sussidi o in genere appoggi temporanei nei momenti di crisi.
Data la loro intrinseca fragilità, questi soggetti possono diventare facilmente, qualora ne insorgano i presupposti, alcolisti o tossicodipendenti, nella misura in cui tale condotta rifletta prevalentemente una tendenza all'impulsività.
10. L’alcolismo
Con questo termine si indicano tutte quelle patologie, fisiche, psichiche e sociali che derivano da un uso scorretto di bevande alcoliche. Nella nostra società l'alcool per uso alimentare e cioè quello etilico, ha sempre avuto un ruolo importante sia da un punto di vista economico, date le estese coltivazioni vitivinicole, sia da quello culturale che vede le bevande alcoliche strettamente legate ad avvenimenti festosi (ricorrenze, matrimoni, battesimi), o semplicemente quotidiani nei quali il vino, accompagna, nel pasto o fuori di esso, le comuni attività della gente.
Per tale motivo, a differenza per quanto avviene con altre sostanze di cui si può fare abuso, verso gli abusi alcolici c'è sempre stata una certa indulgenza, per lo meno in alcuni ambienti sociali. Di fatto però l'alcool etilico va considerato a tutti gli effetti una droga sostanza cioè capace di indurre in chi la assume per tempi e in quantità inadeguate una vera e propria dipendenza sia fisica che psicologica.
Tuttavia, se per droghe come l'eroina, la dipendenza si instaura in poche settimane, per gli alcolici essa si manifesta in tempi molto più lunghi e perciò più subdolamente.
Se in passato l'alcolismo riguardava in larga maggioranza il sesso maschile, oggi osserviamo una sua diffusione crescente anche tra le donne, e, cosa ancora più grave, un aumento di soggetti alcolisti in età molto giovanile.
Gli effetti tossici dell'alcool compaiono acutamente, nel caso dell'ebbrezza o ubriacatura il cui quadro clinico è troppo noto per essere descritto, quando si ha un'ingestione in tempo breve, di una bevanda alcolica in quantità variabile a seconda del grado alcolico e della tolleranza individuale.
A lungo termine invece gli effetti tossici compaiono gradualmente, tanto da passare quasi inosservati e da essere attribuiti a cause diverse quali l'affaticamento, la cattiva circolazione, lo stress , ecc.
A livello fisico le manifestazioni tossiche più comuni riguardano l'apparato digerente con gastriti, ulcere gastriche e duodenali, pancreatiti acute e croniche, epatopatie di vario grado fino alla cirrosi, e poi miopatie,
cardiopatie, alterazioni ormonali, impotenza sessuale.
A carico del sistema nervoso si osservano polineuriti, cerebellopatie, epilessia.
A livello psichico si osservano: irritabilità, litigiosità, disturbi della memoria, insonnia, depressione.
Se non trattata adeguatamente la dipendenza alcolica può determinare un deterioramento mentale progressivo che può giungere fino alla demenza.
Una possibile manifestazione dell'alcolismo cronico è la comparsa si un delirio lucido di gelosia nel quale il soggetto, spesso divenuto impotente a causa degli abusi alcoolici ritiene, a torto, di essere tradito dalla propria compagna e può comportarsi in modo aggressivo verso di lei.
Una manifestazione tipica dell'alcolismo, come del resto di tutte le forme di dipendenza da sostanze, è la sindrome d'astinenza che in questo caso è particolarmente grave e che va sotto il nome di Delirium tremens. Si tratta di una grave sindrome confusionale che compare in soggetti alcolisti che, il più delle volte per motivi accidentali (ricovero ospedaliero, carcerazione, malattie intercorrenti), siano costretti a smettere bruscamente l'assunzione di alcool.
I primi disturbi compaiono dopo 24 -48 ore e consistono in uno stato di agitazione psicomotoria con violenti tremori diffusi a tutto il corpo, febbre, sudorazione, allucinazioni visive tipiche (ragni, topi, scarafaggi). Con trattamento adeguato (ricovero, sedazione, idratazione, vitaminoterapia) tale sindrome può essere superata senza gravi conseguenze e può costituire a volte un utile indicatore per il soggetto della sua ormai stabile dipendenza dall'alcol ed un incentivo ad affrontare in modo serio una terapia che lo porti in tempi ragionevoli ad una astinenza totale e definitiva da ogni tipo di bevanda alcolica.
Accanto alle forme di dipendenza alcolica continua, esistono delle forme di abuso alcolico periodico nelle quali il soggetto, pur essendo in grado di mantenersi del tutto astinente dall'alcol per settimane o mesi, presenta periodi nei quali avverte un impulso irrefrenabile a bere in modo eccessivo giungendo fino ad assumere sostanze alcoliche di qualsiasi tipo compreso l'alcol denaturato o profumi. Tale disturbo è talora correlato ad una sindrome depressiva maggiore ricorrente o può essere associato ad epilessia.
DSM IV - Disturbi da Uso di Sostanze: Dipendenza da Sostanze - Abuso di Sostanze
Criteri per la Dipendenza da Sostanze (532)
Una modalità patologica d'uso della sostanza che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi, come manifestato da tre (o più) delle condizioni seguenti, che ricorrono in un qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi:
1) tolleranza, come definita da ciascuno dei seguenti:
a) il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l'intossicazione o l'effetto desiderato
b) un effetto notevolmente diminuito con l'uso continuativo della stessa quantità della sostanza
2) astinenza, come manifestata da ciascuno dei seguenti:
a) la caratteristica sindrome di astinenza per la sostanza (riferirsi ai Criteri A e B dei set di criteri per Astinenza dalle sostanze specifiche)
b) la stessa sostanza (o una strettamente correlata) è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza
3) la sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto
4) desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l'uso della sostanza
5) una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza (per es., recandosi in visita da più medici o guidando per lunghe distanze), ad assumerla (per es., fumando "in catena"), o a riprendersi dai suoi effetti
6) interruzione o riduzione di importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell'uso della sostanza
7) uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza (per es., il soggetto continua ad usare cocaina malgrado il riconoscimento di una depressione indotta da cocaina, oppure continua a bere malgrado il riconoscimento del peggioramento di un'ulcera a causa dell'assunzione di alcool).
Specificare se:
Con Dipendenza Fisica: prove evidenti di tolleranza o di astinenza
Senza Dipendenza Fisica: nessuna prova evidente di tolleranza o di astinenza
Criteri per l'Abuso di Sostanze (535)
A. Una modalità patologica d'uso di una sostanza, che porta a menomazione o a disagio clinicamente significativi, come manifestato da una (o più) delle condizioni seguenti, ricorrenti entro un periodo di 12 mesi:
1) uso ricorrente della sostanza risultante in una incapacità di adempiere ai principali compiti connessi con il ruolo sul lavoro, a scuola o a casa (per es., ripetute assenze o scarse prestazioni lavorative correlate all'uso delle sostanze; assenze, sospensioni o espulsioni da scuola correlate alle sostanze; trascuratezza nella cura dei bambini o della casa)
2) ricorrente uso della sostanza in situazioni fisicamente rischiose (per es., guidando un'automobile o facendo funzionare dei macchinari in uno stato di menomazione per l'uso della sostanza)
3) ricorrenti problemi legali correlati alle sostanze (per es., arresti per condotta molesta correlata alle sostanze)
4) uso continuativo della sostanza nonostante persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza (per es., discussioni coniugali sulle conseguenze dell'intossicazione, scontri fisici).
B. I sintomi non hanno mai soddisfatto i criteri per Dipendenza da Sostanze di questa classe di sostanze.
Aspetti terapeutici
In nessuna forma di disturbo come nell'alcolismo e negli altri disturbi da abuso di sostanze illecite, la prevenzione deve costituire il primo e più importante sforzo che devono attuare le strutture pubbliche, siano esse di tipo sanitario o meno. Da vari studi si è visto infatti che un'adeguata educazione sanitaria che informi la popolazione su quello che deve essere un corretto rapporto con le bevande alcoliche, rappresenta un modo efficace per prevenire i danni che l'alcolismo può provocare a livello individuale, familiare e sociale. Non bisogna infatti dimenticare che oltre ai danni fisici e psichici che l'alcol provoca nell'individuo, esistono delle gravi perturbazioni della sua famiglia la cui armonia viene inevitabilmente compromessa a breve o a lungo termine. A livello sociale i danni dell'alcolismo sono misurabili in termini di incidenti stradali, di incidenti sul lavoro, per non parlare di tutti i comportamenti illeciti o dei reati che vengono commessi da soggetti che abusano di alcol.
Da un punto di vista strettamente terapeutico, è importante in primo luogo istruire gli alcolisti sulla reale natura dei loro disturbi che spesso vengono da loro attribuiti a stanchezza, cattiva circolazione, arrabbiature sul lavoro o in famiglia. Solo a questo punto è infatti possibile ottenere una loro collaborazione ad un progetto terapeutico che può prevedere più fasi.
In primo luogo la disintossicazione, che andrebbe preferibilmente eseguita in ospedale e che consiste nel allontanare fisicamente il paziente dall'alcol prevenendo e trattando una eventuale sindrome da astinenza.
In secondo luogo il trattamento dei disturbi organici e psichici alcol-correlati mediante la somministrazione di farmaci e la presa in carico psicoterapeutica possibilmente in gruppo.
In terzo luogo il mantenimento dell'astinenza che prevede l'utilizzo di sostanze avversative come il disulfiram (Antabuse) che, se assunto insieme all'alcol, determina tutta una serie di disturbi al soggetto e ne rinforza così la
volontà a curarsi. Accanto a questo farmaco, da ritenersi comunque per lo più un sintomatico, è importante mantenere il paziente e la sua famiglia in rapporto terapeutico con una istituzione pubblica o privata che segue alcolisti fornendo nel contempo al paziente aiuto sul piano socio-lavorativo.
12. Le tossicodipendenze.
Si tratta di un argomento molto controverso che, nel linguaggio comune viene spesso definito come “il problema della droga”. Anche se oggi tale problema viene ritenuto in qualche modo emergente, bisogna ricordare che fin dall'antichità l'uomo ha fatto uso di sostanze naturali capaci di modificare l'umore e migliorare il rendimento fisico e questo anche al di fuori di una specifica indicazione di tipo medico.
Per chiarire meglio i termini usati possiamo definire come tossicodipendenza una condizione determinata dall'assunzione periodica o costante di una sostanza naturale o sintetica dotata di effetti farmacologici con le seguenti caratteristiche:
In linea generale dunque possiamo considerare la tossicodipendenza come una forma particolare del fenomeno psicologico più globale della dipendenza che implica l'incapacità di un soggetto a condurre una vita autonoma. Ciò può verificarsi normalmente nelle prime età della vita o può essere legato ad un evento patologico fortuito (diabete,insufficienza renale, paralisi ecc.). Esistono comunque altre forme di dipendenza come quelle legate ad un disturbo nel controllo dell'impulso e che possono interessare il cibo (bulimia), il gioco d'azzardo, ecc. Da un punto di vista pratico bisogna ricordare che sotto il termine generico di “drogato” si possono ritrovare persone che sono in una situazione molto differenziata come:
- assuntore occasionale : persona che ha magari un unico contatto con la sostanza, per lo più per curiosità;
- consumatore: persona che pur assumendo con un certa frequenza la sostanza, può smettere quando vuole e mantiene normali rapporti con la realtà socio-culturale di provenienza;
- tossicomane: persona che assume costantemente la sostanza, presenta una forte dipendenza dalla stessa, e mostra un deterioramento progressivo nei rapporti con la realtà socio-culturale di provenienza.
È noto che non tutte le sostanze di cui si fa abuso possiedono la medesima capacità di indurre una dipendenza pertanto è possibile distinguerle, in base ad un indice di capacità tossicomanica (I.C.T.), in:
Se dunque è possibile fare una graduatoria di rischio circa la sostanza usata, bisogna ricordare che nella pratica è molto diffuso l'impiego di più sostanze, magari associate a psicofarmaci. Le motivazioni che spingono un individuo a drogarsi sono molteplici e vanno dalla curiosità, al gusto del proibito, alla ricerca di sensazioni nuove. Altre volte l'uso della droga è legato a problemi psicologici o psichiatrici che si associano quasi sempre, data la maggior diffusione del fenomeno tra i giovani, a grosse difficoltà di relazione nell'ambito della propria famiglia.
In questa sede parleremo delle tossicodipendenze che determinano i problemi più gravi sotto il profilo sanitario e sociale.
11.1 L'eroina
La tossicodipendenza da oppiacei vede nell'eroina la sua forma più grave. In questi ultimi 20 anni si è avuto uno sviluppo notevole dell'uso di tale sostanza; solo recentemente questa tendenza è quanto meno rallentata per il problema AIDS ad essa fortemente correlato.
L'eroina viene in genere assunta per via venosa dopo essere stata sciolta a caldo in un veicolo acquoso; essa determina euforia, benessere, agilità di pensiero oltre a determinare come tutti gli oppiacei una analgesia. Dopo poche ore il soggetto accusa un malessere generale che lo spinge a ricercare una nuova dose. La dipendenza da eroina si manifesta dopo poche settimane e si associa ad una marcata tolleranza che porta il soggetto a centuplicare la dose per ottenere lo stesso effetto. C'è comunque da dire che se all'inizio l'eroina viene ricercata per i suoi effetti piacevoli, con il passare del tempo il suo impiego serve unicamente ad evitare gli effetti spiacevoli.
La sospensione brusca dell'assunzione della sostanza in un'eroinomane determina infatti una pesante sindrome da astinenza che si inizia dopo circa 8 ore con sbadigli, lacrimazione, rinorrea (goccia al naso). Con il passare del tempo compaiono: irrequietezza, dolori muscolari, pelle d'oca, insonnia. Al terzo giorno i disturbi raggiungono il massimo con agitazione, crampi addominali, tremori, nausea vomito, diarrea. Obiettivamente si riscontra midriasi (dilatazione delle pupille), tachicardia, ipertensione.
La sindrome d'astinenza diminuisce gradualmente nell'arco di una settimana e lascia l'individuo spossato, depresso e non elimina comunque la nostalgia della droga (espressione della dipendenza psicologica). L'eroinomane vive nel costante timore dell'astinenza, per cui è costretto a rifornirsi continuamente della droga il cui costo si aggira mediamente sulle 300.000 lire al giorno. Ciò lo porta a commettere vari reati e a divenire prima o poi spacciatore.
I rischi fisici principali per il tossicodipendente da eroina sono:
Trattamento.
La tossicodipendenza da oppiacei è una condizione di difficile trattamento in quanto, intorno ad essa, ruota un mercato finanziario estremamente potente che, puntando sui proventi della vendita illegale dell'eroina, ha sempre vanificato gli interventi pubblici fino ad ora condotti per arginare il fenomeno. Da un punto di vista pratico è importante chiarire il tipo di rapporto che un soggetto ha con l'eroina, ricordando che la condizione fondamentale per un successo terapeutico è la motivazione a smettere.
Attualmente l'assistenza medica e sociale ai tossicodipendenti viene attuata da apposite strutture del S.S.N. con varia denominazione presso le quali vengono erogate prestazioni gratuite e, a richiesta, in regime di anonimato. Una persona che voglia uscire dal circuito della droga può anche usufruire di un trattamento intensivo presso una comunità terapeutica dove la cura viene attuata in regimi più o meno rigidi a seconda del tipo di comunità.
La crisi di astinenza può venire controllata con la somministrazione a dosi decrescenti di un oppiaceo sintetico come il Metadone che è attivo per bocca ed ha una durata d'azione molto superiore all'eroina.
L'overdose da eroina è un'emergenza medica che richiede trattamento in una unità di cura intensiva e che si basa sulla somministrazione di un'antagonista dell'eroina: Narcan. Superata la crisi di astinenza fisica, il soggetto, se consenziente, può venir trattato con Naltrexone, una sostanza che blocca gli effetti piacevoli dell'eroina.
Oltre ai provvedimenti strettamente farmacologici, sono importanti la psicoterapia individuale e familiare, l'aiuto sociale e l'assistenza nelle carceri, dove una gran parte dei detenuti è costituita proprio da tossicodipendenti, che come si è detto compiono frequentemente reati per approvvigionarsi di droga.
11.2 La cocaina.
La cocaina è una sostanza che si ricava dalle foglie di una pianta: l'erytroxylon coca e che è stata a lungo impiegata in medicina come anestetico locale. Attualmente il suo utilizzo illegale sta rapidamente aumentando in tutto il mondo per le grosse spinte dei narcotrafficanti sudamericani.
La cocaina viene facilmente assorbita attraverso le mucose per cui viene fiutata (sniffata) come sostanza pura o, più recentemente, viene fumata come “crac” (miscela di cocaina e bicarbonato). Essa provoca rapidamente un effetto stimolante sul sistema nervoso inducendo una sensazione di forza e di benessere, sopprime il sonno, la fame ed il senso di fatica e determina una eccitazione sessuale. La cocaina genera rapidamente una forte assuefazione con dipendenza psichica anche superiore a quella dell'eroina, pur mancando una vera sindrome d'astinenza fisica, mentre da una punto di vista psicologico, la manifestazione più tipica è la depressione con sonnolenza.
In caso di overdose si osservano: agitazione, febbre, allucinazioni, convulsioni seguite da collasso e morte.
L’uso cronico di cocaina può provocare un quadro psicotico simile a quello della schizofrenia paranoide.
12. Disturbi dell’alimentazione (tratto dal DSM IV)
I Disturbi della Alimentazione sono caratterizzati dalla presenza di grossolane alterazioni del comportamento alimentare e comprendono due categorie specifiche, l'Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa.
Caratteristico dell'Anoressia Nervosa è il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale. La Bulimia Nervosa è caratterizzata da ricorrenti episodi di "abbuffate" seguiti dall'adozione di mezzi inappropriati per controllare il peso, come il vomito autoindotto, l'uso di lassativi, diuretici o altri farmaci; il digiuno o l'attività fisica praticata in maniera eccessiva. Caratteristica essenziale comune ad entrambi i disturbi, Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa, è la presenza di una alterata percezione del peso e della propria immagine corporea.
12.1 Anoressia Nervosa
Le manifestazioni essenziali dell'Anoressia Nervosa sono: rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale, intenso timore di acquistare peso, presenza di una alterazione dell'immagine corporea per ciò che riguarda forma e dimensioni corporee. Inoltre nel sesso femminile, in epoca post-puberale, vi è amenorrea (il termine anoressia è inappropriato poiché è rara la perdita di appetito).
La perdita di peso è primariamente ottenuta tramite la riduzione della quantità totale di cibo assunta. Sebbene la restrizione calorica possa essere inizialmente limitata all'esclusione di cibi considerati ipercalorici, nella maggior parte dei casi questi soggetti finiscono per avere una alimentazione rigidamente limitata a poche categorie di cibi. In aggiunta possono essere messe in atto condotte di eliminazione (es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi e diuretici) o la pratica eccessiva di attività fisica, allo scopo di perdere peso. L'intensa paura di "diventare grassi", presente nei soggetti con questo disturbo, non è solitamente mitigata dal decremento ponderale. Anzi, in molti casi la preoccupazione per il peso corporeo aumenta parallelamente alla perdita reale di peso. Nei soggetti con Anoressia Nervosa i livelli di autostima sono fortemente influenzati dalla forma fisica e dal peso corporeo. La perdita di peso viene considerata come una straordinaria conquista ed un segno di ferrea autodisciplina, mentre l'incremento ponderale viene esperito come una inaccettabile perdita delle capacità di controllo.
In base alla presenza o meno nell'episodio attuale di regolari abbuffate o di condotte di eliminazione, si utilizzano i seguenti sottotipi:
Sottotipo con Restrizioni
Sottotipo Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione
Quando sono marcatamente sottopeso, molti individui con Anoressia Nervosa possono presentare sintomi depressivi, come umore depresso, ritiro
sociale, irritabilità, insonnia, e diminuito interesse sessuale.
Altre manifestazioni che talora si associano all'Anoressia Nervosa sono: disagio nel mangiare in pubblico, sentimenti di inadeguatezza, bisogno di tenere sotto controllo l'ambiente circostante, rigidità mentale, ridotta spontaneità nei rapporti interpersonali, iniziativa ed espressività emotiva eccessivamente represse. In rapporto ai soggetti con Anoressia Nervosa, sottotipo con Restrizioni, quelli appartenenti al sottotipo Con Abbuffate/Condotte di Eliminazione presentano più frequentemente tendenza a problemi di controllo degli impulsi, abuso di alcoolici o di altre sostanze, labilità emotiva, oltre ad essere più attivi sul piano della sessualità.
La prevalenza dell'Anoressia Nervosa sembra essere di gran lunga maggiore nei paesi industrializzati, dove vi è abbondanza di cibo, ed in cui, specialmente per il sesso femminile, è enfatizzato il valore della magrezza.
L'Anoressia Nervosa raramente insorge prima della pubertà, ma sembra comunque che, nei casi ad esordio in epoca prepuberale, il quadro clinico sia più grave per i disturbi mentali associati. I dati disponibili evidenziano come la prognosi sia migliore quando il disturbo si manifesta nella prima adolescenza (tra i 13 ed i 18 anni). Più del 90% dei casi di Anoressia Nervosa si sviluppano nel sesso femminile.
Studi condotti su giovani donne nella tarda fase adolescenziale o nella giovane età adulta hanno riscontrato una prevalenza dello 0,5-1% di casi che soddisfano appieno i criteri per l'Anoressia Nervosa.
12.2 Bulimia Nervosa
Le manifestazioni essenziali della Bulimia Nervosa sono: presenza di abbuffate e di inappropriati metodi compensatori per prevenire il conseguente aumento di peso. Inoltre i livelli di autostima sono, nei soggetti con Bulimia Nervosa, eccessivamente condizionati dalla forma e dal peso corporeo. Per giustificare la diagnosi, il soggetto deve avere un minimo di due episodi di abbuffate e di comportamenti compensatori inappropriati alla settimana per almeno tre mesi.
Una abbuffata, o crisi bulimica, è definita come l'ingestione in un determinato periodo di tempo di una quantità di cibo più grande rispetto a quanto la maggioranza degli individui assumerebbe in circostanze simili.
Sebbene il tipo di cibo assunto durante l'abbuffata varii ampiamente, generalmente comprende cibi dolci, ipercalorici, come gelato o torte. Comunque, ciò che sembra caratterizzare l'abbuffata è soprattutto la anomalia nella quantità del cibo piuttosto che la compulsione verso un alimento specifico, ad esempio, i carboidrati.
I soggetti con Bulimia Nervosa tipicamente si vergognano delle loro abitudini alimentari patologiche e tentano di nasconderle. Le crisi bulimiche avvengono in solitudine: quanto più segretamente possibile. L'episodio può essere più o meno pianificato, ed è di solito caratterizzato (anche se non sempre) dalla rapidità dell'ingestione del cibo. L'abbuffata spesso continua finché l'individuo non si sente "così pieno da star male", ed è precipitata da stati di umore disforico, condizioni interpersonali di stress, intensa fame a seguito di una restrizione dietetica, oppure da sentimenti di insoddisfazione relativi al peso, la forma del corpo o il cibo. Durante l'abbuffata vi può essere una transitoria riduzione della disforia, ma spesso fanno seguito umore depresso e spietata autocritica.
Una crisi bulimica è inoltre accompagnata da sensazione di perdere il controllo. Un individuo può esperire un senso di estraneamento durante l'abbuffata specialmente nelle fasi precoci del disturbo: alcuni riferiscono l'abbuffata come una sorta di esperienza di derealizzazione.
Un'altra caratteristica essenziale della Bulimia Nervosa è il frequente ricorso a inappropriati comportamenti compensatori per prevenire l'incremento ponderale. Molte persone con Bulimia Nervosa mettono in atto diversi comportamenti tesi a neutralizzare gli effetti dell'abbuffata: tra i metodi, quello più frequentemente adottato è l'autoinduzione del vomito dopo l'abbuffata. Altre condotte di eliminazione sono rappresentate dall'uso inappropriato di lassativi e diuretici. Altre misure compensatorie per le abbuffate sono il digiuno nei giorni successivi o l'esercizio fisico eccessivo.
Gli individui con Bulimia Nervosa pongono una inappropriata enfasi sulla forma e sul peso del corpo per la valutazione di sé, e questi fattori condizionano decisamente i livelli di autostima. Il terrore di ingrassare, il desiderio di perdere peso, il livello di insoddisfazione per il proprio aspetto fisico sono sovrapponibili a quelli dei soggetti con Anoressia Nervosa.
In base alla presenza/assenza di regolari condotte di eliminazione per compensare l'abbuffata, possono essere utilizzati i seguente sottotipi:
Con Condotte di Eliminazione
Senza Condotte di Eliminazione
La prevalenza della Bulimia Nervosa tra i soggetti adolescenti e giovani adulti di sesso femminile è di circa l'1-3%. Il tasso di presentazione nel sesso maschile è circa un decimo rispetto a quello nel sesso femminile.
La Bulimia Nervosa di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta. Le abbuffate iniziano in genere durante o dopo un periodo di restrizioni dietetiche.
13. Terapia psichiatrica
La terapia dei disturbi mentali si è sempre dimostrata complessa e difficile in quanto, a differenza di altri tipi di disturbo, la malattia mentale perturba o addirittura impedisce la volontà stessa della guarigione. D'altra parte, l'ignorare la causa precisa di molte malattie mentali, non ha consentito di poter attuare una terapia etiologica, per cui, in molti casi, ci si deve accontentare di agire unicamente sui sintomi più disturbanti. Inoltre, date le diverse concezioni sulla natura stessa dei disturbi mentali che, come abbiamo detto, possono essere quella biologica, quella psicologica e quella sociale, sono stati elaborate strategie terapeutiche molto diverse nei confronti della stessa condizione patologica. Oggi comunque si assiste ad un tentativo di favorire un approccio terapeutico integrato che utilizzi tutte le risorse possibili.
Il modello biologico, in passato, era coinciso con la cosiddetta terapia fisica che cercava di modificare i disturbi mentali con mezzi fisici: il calore, il freddo, la produzione di shock metabolici (insulinoterapia) o elettrici (elettroschock). Sempre al modello biologico appartengono le tecniche di psicochirurgia, un tempo largamente impiegate nei confronti di gravi disturbi del comportamento, poi abbandonate in quanto finivano per annullare, talvolta del tutto, la vita psicoemotiva di chi la subiva. Oggi la forma di terapia biologica più diffusa è quella farmacologica che, nel suo tumultuoso sviluppo, ha consentito di ottenere importanti risultati nel trattamento di molti disturbi mentali.
13.1 La Psicofarmacologia
Anche se l'uso di farmaci in psichiatria è molto antico, è solo dal 1952 che, con la scoperta della cloropromazina, si sono gettate le basi della moderna psicofarmacologia. Da allora sono state sintetizzate ed introdotte nella pratica terapeutica moltissime molecole via via più specifiche, cioè attive solo sulle funzioni alterate.
13.1.1 Neurolettici
Si tratta di un gruppo di farmaci molto potenti che vengono impiegati per controllare le manifestazioni patologiche delle psicosi come i deliri, allucinazioni, eccitamento, aggressività.Questi farmaci vengono anche usati per ridurre i disturbi del comportamento nelle psicosi organiche come le oligofrenie, le demenze, ecc.
I neurolettici provocano in forma più o meno accentuata degli effetti collaterali di tipo neurologico costituiti da rigidità muscolare, tremori, riduzione della mimica, contratture del collo. Questi disturbi, che ricordano il morbo di Parkinson vengono definiti extrapiramidali. Esistono poi degli effetti collaterali di tipo endocrino che consistono prevalentemente in amenorrea, galattorrea, riduzione della libido. Da ricordare infine effetti di tipo cardiovascolare tra cui la tachicardia e l'ipotensione ortostatica. Questi farmaci agiscono rapidamente e consentono di rendere il paziente più disponibile al rapporto terapeutico quando esso sia inizialmente rifiutato.
Esistono comunque dei disturbi, soprattutto di tipo schizofrenico, nei quali è difficile garantirsi l'adesione regolare del paziente nei confronti della cura, sia per rifiuto, che per dimenticanza, in questi casi si possono impiegare dei neurolettici depot che vengono somministrati per via intramuscolare in dose singola e che garantiscono una copertura terapeutica che va dalle due alle quattro settimane.
Per contrastare gli effetti collaterali di tipo extrapiramidale, si usano dei farmaci antiparkinsoniani.
Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi antipsicotici che si distinguono da quelli tradizionali per la scarsa tendenza a causare sintomi extrapiramidali a breve e lungo termine, tra cui ricordiamo la clozapina e il risperidone. La prima ha un’efficacia antipsicotica superiore a quella degli antipsicotici tradizionali, ma presenta pure un elevato rischio di indurre effetti tossici come l’agranulocitosi e le convulsioni. Il risperidone, antagonista combinato dei recettori dopaminergici e serotoninergici, determina una riduzione di effetti extrapiramidali e un miglioramento specifico dei sintomi negativi della schizofrenia.
13.1.2 Antidepressivi.
Si tratta di una categoria di farmaci a struttura diversa, attivi nelle sindromi depressive di cui risolvono i sintomi agendo sul tono dell'umore, sull'inibizione psicomotoria, favorendo la ricomparsa dell'appetito e del sonno.
A seconda della loro struttura chimica e della loro azione, che si esplica a livello delle sinapsi del Sistema Nervoso Centrale, gli antidepressivi si distinguono in :
TRICICLICI
IMAO
SSRI
I Triciclici, largamente impiegati, sono attivi maggiormente nelle forme depressive endogene o secondarie; hanno una latenza d'azione di due o tre settimane, durante le quali è importante controllare il paziente depresso affinché l'effetto stimolante di tali farmaci non slatentizzi una tendenza suicidaria prima che si sia esplicato l'effetto positivo sull'umore. A causa dei loro effetti di tipo anticolinergico gli antidepressivi triciclici non vanno usati nei soggetti portatori di glaucoma, gravi cardiopatie, ipertrofia della prostata. Gli effetti collaterali più frequenti sono: la secchezza delle fauci, la tachicardia, l'ipotensione ortostatica, i tremori. Alcuni di questi farmaci possono essere somministrati in fleboclisi a goccia lenta in modo da favorire una risposta più rapida.
Gli IMAO inibitori delle monoaminoossidasi sono dei potenti antidepressivi, prevalentemente attivanti, che però a causa degli effetti collaterali e soprattutto per le interazioni farmacologiche e per le restrizioni dietetiche che il loro uso impone, sono considerati farmaci di seconda scelta. Infatti durante il trattamento con IMAO il soggetto non deve assumere numerose categorie di farmaci come i vasocostrittori, anestetici, ecc. e deve inoltre astenersi dall'ingerire cibi come il formaggio, il fegato, il vino, alimenti in salamoia, cioccolato, alcuni legumi, pena l'insorgenza di pericolose crisi ipertensive. Dopo la sospensione del trattamento, l'effetto del farmaco si mantiene per due settimane durante le quali bisogna mantenere le restrizioni dietetiche e farmacologiche.
Vi sono oggi in commercio composti il cui meccanismo d’azione è caratterizzato dall’inibizione selettiva della ricaptazione della serotonina dopo il rilascio dai terminali nervosi presinaptici (SSRI). Le proprietà antidepressive sono ben note in pazienti ambulatoriali e risultano anche efficaci nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo e nella sindrome panico-agorafobica. La maneggiabilità dei farmaci, dovuta alla maggior tollerabilità e alla minore presenza di effetti collaterali rispetto agli altri antidepressivi, rende la loro prescrizione sempre più diffusa e favorisce la compliance da parte dei pazienti.
Uno spazio a parte meritano i farmaci stabilizzanti dell'umore che possono essere a volte essere impiegati come coadiuvanti di un trattamento antidepressivo.
Il Litio è la sostanza più usata in tal senso. Si impiega in genere il CARBOLITHIUM 300 mg. in dosi da 2 a 4 cp. al dì in modo da raggiungere un livello stabile di litiemia oscillante tra 0,6 e 1,2 mEq/l.
Nei soggetti che non rispondono al litio, si può usare la carbamazepina monitorando i livelli ematici che devono rimanere tra i 6 e i 12 mcg/l.
13.1.3 Ansiolitici
Sono farmaci che si impiegano nei disturbi d'ansia e nelle loro manifestazioni somatiche. Appartengono nella maggior parte alla classe delle benzodiazepine e costituiscono i farmaci più largamente prescritti nel campo dei disturbi emotivi. Vengono anche definiti tranquillanti nel senso che contribuiscono a risolvere degli stati di tensione emotiva senza essere propriamente dei sedativi. Sono sostanze rapidamente attive per via orale ed esplicano la loro azione per tempi più o meno lunghi a seconda della loro struttura chimica.
Si possono impiegare anche per via iniettiva quando si ricerca un effetto più pronto ed efficace. Nel caso di somministrazione endovenosa, va seguita la funzione respiratoria in quanto possono verificarsi inconvenienti, specialmente negli anziani e negli alcolisti. Sono in genere farmaci sicuri in quanto la dose efficace è molto minore di quella letale, fatto questo confermato dalla estrema rarità di mortalità susseguente un ingestione accidentale o volontaria di benzodiazepine. Per la loro azione anticonvulsivante, gli ansiolitici si usano anche per controllare certe manifestazioni epilettiche. Data la loro particolare azione, gli ansiolitici sono spesso oggetto di abuso anche per il fatto che se assunti a dosi elevate e per lunghi periodi, determinano una dipendenza psicologica ed in parte fisica. Pertanto sarebbe buona regola evitare la somministrazione prolungata e, soprattutto la brusca sospensione dopo uso cronico. Gli ansiolitici sono efficaci nel disturbo da ansia generalizzata, mentre sono scarsamente utili nella prevenzione degli attacchi di panico .
Recentemente sono stati introdotti ansiolitici di tipo non benzodiazepinico come il Buspirone che darebbe una minore dipendenza ma che ha una latenza d'azione di circa due settimane.
13.2 La psicoterapia
Con questo termine si intendono tutte quelle tecniche terapeutiche che si avvalgono della parola ed in genere del rapporto tra terapeuta e paziente.
In psichiatria è infatti molto importante, forse di più che in altri campi della medicina, costituire una sorta di alleanza con il paziente per aiutarlo a riscoprire delle risorse che egli molte volte possiede, ma non è in grado di utilizzare, per vivere in modo più sereno. Generalmente la psicoterapia presuppone un rapporto privato tra medico e paziente, essa però può essere comunque esercitata all'interno di una istituzione pubblica e dovrebbe affiancare le altre forme di trattamento e può talora sostituirle.
La forma più conosciuta di psicoterapia è la psicoanalisi che ha quasi un secolo di vita, essendo stata introdotta per la prima volta nel primo decennio del '900 da Sigmund Freud per il trattamento delle nevrosi. Essa si basa nella forma classica, su di un prolungato rapporto tra paziente ed analista che si realizza nell'arco di alcuni anni con almeno tre sedute alla settimana, durante le quali, vengono ricostruite le tappe dello sviluppo psicoemotivo del paziente quali emergono gradualmente dal suo inconscio, attraverso le cosiddette libere associazioni e l'interpretazione dei sogni.
Accanto alla cura psicanalitica classica, sono state sviluppate delle psicoterapie brevi che non hanno l'obiettivo di restaurare globalmente la personalità del paziente, ma si propongono di affrontare alcuni suoi problemi specifici.
Esistono poi delle psicoterapie cosiddette comportamentistiche che non si rivolgono alla vita emotiva inconscia, ma che mirano a risolvere i disturbi dei paziente modificando progressivamente il suo comportamento patologico.
Vi sono inoltre forme di terapia basate sul rilassamento come il training autogeno o il bio-feedback attraverso le quali il paziente impara a controllare da solo o con l'ausilio di strumenti ottici o acustici, vari sintomi fisici o psichici per lo più correlati ad uno stato d'ansia.
Sempre nell'ambito delle psicoterapie individuali, è annoverabile l'ipnosi, che va considerato uno stato di coscienza alterato indotto dal terapeuta con metodi suggestivi, nel corso del quale vengono modificati sintomi disturbanti o rafforzate parti deboli della personalità.
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Autore del testo: E.Pascolo-Fabrici
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