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Il termine psicoanalisi viene utilizzato solitamente con due diverse accezioni:
Sigmund Freud (Freiberg, Moravia 1856; Londra 1939) studiò medicina a Vienna e si specializzò nella cura delle nevrosi. In quel periodo non si disponeva di teorie soddisfacenti per risolvere questi problemi e per “curare” i pazienti venivano utilizzate tecniche di dubbia efficacia, come l’immersione in acqua fredda (idroterapia) e la stimolazione elettrica delle terminazioni nervose (elettroterapia). In particolare, la psichiatria ottocentesca si rivelava impotente nei confronti delle cosiddette “patologie isteriche”. L’isteria, che si credeva colpisse solo le donne (Isteria, dal greco hysteron, “utero”), è una malattia in cui i disturbi psicologici convivono con manifestazioni patologiche a carico del fisico (come una paralisi temporanea del corpo senza che il soggetto soffra di lesioni cerebrali) e le cui cause non sono riscontrabili in qualche alterazione organica.
Jean-Martin Charcot (1825-1893) sperimentò l’ipnosi nella cura di alcuni pazienti affetti da queste tipologie di nevrosi, ottenendo in molti casi una remissione dei sintomi. Si trattava di portare il soggetto a uno stato di incoscienza simile a quello dello sonno, in modo da indurlo ad accettare passivamente le istruzioni dell’ipnotizzatore.
Anche Freud adottò all’inizio questa tecnica, insieme allo psichiatra Joseph Breuer (1824-1925), intuendo come questo metodo poteva aprire una strada a un’interpretazione del tutto nuova delle patologie isteriche. Infatti, in stato di ipnosi, il paziente poteva rievocare ricordi della sua vita che credeva di aver dimenticato e spesso poteva guarire dai suoi sintomi patologici proprio rivivendo le esperienze che li avevano causati. Famoso il caso di Anna O., giovane donna curata da Freud, che insieme ad altri sintomi (paresi, afasia, ecc.), accusava una strana repulsione per l’acqua (idrofobia). Sotto ipnosi la paziente riuscì a descrivere il fatto biografico traumatico che diede origine alla fobia (aveva visto il cane della sua governante, persona a lei non gradita, bere da un bicchiere) e a rivivere (catarsi = purificazione) la sensazione di disgusto che aveva provato in quella circostanza, ma che non aveva espresso.
Da qui Freud capì che i sintomi di malattie psichiche non sono altro che la manifestazione esteriore di una causa collocata in una dimensione che il pensiero cosciente non può né raggiungere, né richiamare a sé con un semplice sforzo della riflessione e della memoria. Freud chiamò inconscio questo livello più profondo della psiche inaccessibile alla coscienza.
Altri pensatori prima di Freud avevano affermato l’esistenza di contenuti mentali inconsci, tuttavia egli introdusse due novità a riguardo:
1) l’idea che i contenuti coscienti siano solo una piccola parte del nostro territorio psichico (paragonato dallo stesso Freud alla punta emersa di un icerberg);
2) l’idea che esista un legame tra inconscio e rimozione. All’interno della nostra mente, secondo Freud, opera un meccanismo automatico, detto rimozione, che allontana dalla soglia della coscienza i pensieri sgraditi o intollerabili. Questo stesso meccanismo fa sì che si instauri poi un sistema duraturo di difese contro tali pensieri, che impedisce loro di riaffiorare alla coscienza. Inconsapevolmente, tendiamo ad allontanare i pensieri sgraditi dalla coscienza, spostandoli nell’inconscio; inoltre, sempre senza che ce ne rendiamo conto, la nostra mente vigila con attenzione per impedire una loro ulteriore ricomparsa nella sfera cosciente.
Il sintomo psichico costituisce una sorta di mistificazione, di “maschera” che il pensiero inconscio adotta per invadere nuovamente lo spazio mentale conscio. Per far sì che il paziente possa intraprendere la via della guarigione è necessario individuare e smascherare questo contenuto sgradevole, attraverso una specifica pratica terapeutica. Una volta che tale contenuto venga “smascherato”, la ragion d’essere del sintomo viene meno e il paziente può intraprendere la via della guarigione.
Freud abbandonò l’utilizzo dell’ipnosi per introdurre il metodo delle associazioni libere, ritenuto attualmente il nucleo terapeutico della psicoanalisi. Tale sistema consiste nel lasciar esprimere al paziente, in stato vigile, ogni suo pensiero senza esercitare alcuna forma di censura o controllo, in modo tale da permettere allo psicoanalista di ricostruire il flusso reale dei processi psichici inconsci del soggetto. Ciò è possibile solo nel caso in cui tra paziente e analista si instauri un particolare rapporto di collaborazione, detto transfert. Con questo termine si intende lo spostamento da parte del paziente di sentimenti e atteggiamenti legati a figure significative (come ad esempio, genitori, fratelli, ecc.) sulla persona dell’analista. Lo “sfruttamento” del transfert si rivela uno strumento prezioso per l’analista, perché grazie ad esso è possibile ricostruire la storia psichica del soggetto e delinearne più precisamente la situazione attuale.
Procedendo nella ricerca di segni, o “tracce”, utili per la ricostruzione dei contenuti psichici rimossi, Freud si imbatte in due classi di fenomeni che gli appaiono particolarmente significativi: i cosiddetti “atti mancati” e i sogni.
Con l’espressione “atti mancati” Freud designa il complesso di quelle situazioni quotidiane in cui il soggetto incorre in sviste, lapsus ed errori apparentemente insignificanti, ma in realtà interpretabili come conseguenza di meccanismi di rimozione. Tutti questi fenomeni possono essere riassunti nella dicitura “psicopatologia della vita quotidiana”. Pensiamo a quando incontriamo una persona a noi nota e, inspiegabilmente, non ricordiamo come si chiami. Può darsi che abbiamo scordato quel nome perché, per una serie di associazioni legate al nostro vissuto, ci richiama alla mente qualcosa (una persona, un luogo, un evento) che desta in noi sensazioni spiacevoli o inquietanti. Ci sono poi altri curiosi “incidenti” dell’agire quotidiano (come smarrire frequentemente le chiavi o i lapsus linguae, cioè gli errori involontari nel parlare) che rivelerebbero, secondo Freud, la rimozione, a volte solo parziale, di qualche contenuto psichico.
Freud considera i sogni la “via maestra per la conoscenza dell’inconscio”. Da un punto di vista percettivo, il sogno è un’allucinazione, cioè una percezione che avviene in assenza di un reale stimolo fisico. È da sempre la tradizione popolare ad attribuire ai sogni la caratteristica di poter essere interpretati, cioè di racchiudere al loro interno un significato profondo che deve essere scoperto. La cultura popolare tuttavia ha una visione prescientifica del sogno: gli assegna un valore profetico, oppure vi è la convezione che ogni elemento del sogno abbia un significato univoco decifrabile una volta per tutte. Per Freud, invece, le cose sono più complesse. Interpretare un sogno significa risalire dalla situazione onirica ricordata e riferita dal sognatore (il contenuto onirico manifesto) al complesso di pensieri e sentimenti inconsci che l’hanno generata (il contenuto onirico latente). L’interpretazione dei sogni consisterebbe dunque nel ripercorrere a ritroso quel processo, da Freud ha chiamato lavoro onirico (dal greco òneiros, “sogno”), mediante il quale contenuti altrimenti interdetti alla coscienza vengono “travestiti” per potervi accedere in forma di immagini oniriche, grazie anche alla minore resistenza opposta dal soggetto che dorme. Una volta compiuto questo “smascheramento” il sogno si svela per quello che è, ossia l’appagamento di un desiderio.
Il materiale rimosso presenta due caratteristiche fondamentali: affonda le sue radici nell'infanzia del soggetto; è di natura prevalentemente sessuale.
Freud individuò un legame tra sessualità e infanzia, che scandalizzò l'ambiente scientifico del suo tempo. Secondo l'opinione comune la sessualità diventa parte integrante del soggetto solo quando quest'ultimo è biologicamente pronto a esercitare l'attività riproduttiva. Questi luoghi comuni vennero confutati da Freud, affermando che la sessualità è parte del soggetto sin dalla nascita e si presenta nei primi anni come una spinta verso la gratificazione legata all'esperienza del proprio corpo. Questa spinta è chiamata pulsione erotica e l'energia psichica che vi è connessa libido.
Lo sviluppo psicosessuale è legato alle diverse localizzazioni (zone erogene) assunte dalla libido:
Il complesso edipico fa riferimento al leggendario re di Tebe, che senza saperlo, uccise il padre e sposò la vedova, ossia sua madre (http://it.wikipedia.org/wiki/Edipo). Questo fenomeno appare verso i 3/5 anni, periodo in cui il bambino sviluppa un amore molto intenso verso il genitore del sesso opposto e un sentimento di paura verso il genitore dello stesso sesso, con delle differenze però tra il maschio e la femmina. Il maschio proverebbe un sentimento di paura nei confronti del padre perché teme di subire da quest'ultimo, come castigo per le sue fantasie, quella mutilazione genitale che egli, nella sua ingenua spiegazione dell’anatomia umana, attribuisce alle bambine, prive del pene (paura di castrazione). Anche per la femmina, come per il maschio, inizialmente l’oggetto d’amore è la madre; ma la precoce individuazione della propria diversità fisica rispetto al maschio (la scoperta, cioè, di non avere il pene – scoperta vissuta con un misto di umiliazione, vergogna e invidia) la induce a rivolgere il suo amore verso il padre. Tuttavia, la bambina rinuncia presto a desiderare il padre, non per il timore di una lesione fisica (come succede al maschio), ma per la paura di perdere l’amore della madre in seguito alla rivalità instauratasi. Secondo Freud, il complesso edipico è una tappa decisiva nello sviluppo psichico della persona: il modo in cui viene vissuto e risolto esercita un’influenza importante sul modo in cui l’individuo vivrà la propria sessualità adulta, e più in generale sulla formazione del suo carattere. .
La distinzione della psiche in tre livelli (o qualità), inconscio, preconscio e conscio, è chiamata “prima topica”, e si differenzia dalla seconda topica, che, invece, concepisce la psiche come contemporaneamente sollecitata da tre istanze (= richieste), Es, Io, Super-Io.
L'Es (o Id) è quella istanza che "rappresenta la voce della natura nell'animo dell'uomo". L'Es, infatti, contiene quelle spinte pulsionali di carattere erotico (Eros) e aggressive-autodistruttive (Thanatos, in greco significa morte) che caratterizzano la vita istintiva dell’uomo.
La fine dell’esperienza edipica fa sì che si strutturi una parte fondamentale della personalità, ovvero il Super-Io, inteso come quel codice di norme morali che nell’individuo svolge la funzione di censore su quei pensieri e quelle azioni considerate socialmente inaccettabili. Il super-io è inaccessibile alla consapevolezza della persona, che però ne avverte gli effetti, sotto forma di senso di colpa che sorge anche alla sola idea della sua trasgressione. Secondo Freud, la formazione del Super-Io dipende dall’interiorizzazione delle figure genitoriali e del loro sistema di premi e punizioni. Il Super-Io pertanto si oppone alle necessità dell’Es, e quindi della libido, ovvero alla componente istintuale e primitiva della psiche.
L’Es e il Super-Io sono in contrasto tra loro; vi è però una terza istanza della psiche che ha proprio la funzione di mediare fra essi, ovvero l’Io. L’Io, secondo Freud, è il complesso dei processi che svolgono una mediazione tra le esigenze dell’Es e del Super-Io, cercando così di mantenere la psiche in uno stato di equilibrio.
A volte le strategie di mediazione dell’io falliscono, portando l’individuo ad un disordine psichico che può anche sfociare in patologia.
Fonte: http://doceo.pbworks.com/w/file/fetch/65073533/psicoanalsi.doc
Sito web da visitare: http://doceo.pbworks.com
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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