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Sigmund Freud (1856 – 1939)
la psiche complessa
per introdurre
Che fine ha fatto la psicanalisi ? «Oggi la psicoanalisi ha un grave limite: si occupa quasi esclusivamente dei problemi clinici e tecnici legati alla cura dei pazienti. Ma questa è una regressione rispetto alle idee di Freud, e anche di Jung. Ben altro è stata infatti la psicoanalisi nel ventesimo secolo, una rivoluzione della visione dell’uomo che ha plasmato la cultura, dalla letteratura al cinema, dalla musica all’arte... Negli ultimi anni invece prevale la pratica terapeutica: gli analisti non tematizzano più le grandi questioni culturali, si rinchiudono nelle loro “stanze”, in un mondo sempre più autoreferenziale e marginale. La psicoanalisi dovrebbe tornare ad essere quella che è sempre stata: una griglia di lettura della realtà, una terapia della cultura». Così il bilancio di Luigi Zoja, 2009 Contro Ismene, Bollati Boringhieri (intervista in La Repubblica 30 maggio 2009).
La concezione della vita psichica maturata da Freud nel corso della sua intensa attività di studioso e di medico psicoterapeuta presenta un respiro, e un’ambizione, molto più vasto: mette progressivamente in crisi una serie di schemi e modelli tradizionali di spiegazione della natura dell’essere umano, dell’origine dei suoi comportamenti, dei suoi desideri e bisogni, dei suoi valori, indaga la civiltà contemporanea e le forme storiche del suo disagio. Freud lo dichiara esplicitamente nelle lezioni di introduzione alla psicanalisi. «Nel corso del lavoro psicoanalitico si stabiliscono rapporti con numerosissime altre discipline; ebbene, esplorando questi rapporti si ottengono preziosissimi chiarimenti: sono i rapporti con la mitologia, con la linguistica, con i1 folklore, con la psicologia sociale e con la filosofia della religione. […] In essi la psicoanalisi ha essenzialmente la parte di chi dà, raramente di chi riceve. Certo, la psicoanalisi trae il vantaggio che, per il fatto di ritrovarli in altri campi, gli esiti peregrini della sua indagine ci diventano più familiari; ma, tutto sommato, è essa a fornire i metodi tecnici e i punti di vista la cui applicazione si dimostrerà feconda negli altri campi. Grazie all’indagine psicoanalitica la vita psichica dell’individuo singolo fornisce le delucidazioni atte a risolvere, o almeno a mettere in giusta luce, parecchi enigmi che si presentano nelle grandi comunità umane. (Freud Sigmund 1917,1932 Introduzione alla psicanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 1978, p. 153). Sono nate in un contesto extra-filosofico (Freud ha una formazione scientifica, è medico di professione e nega con una certa irritazione che le sue teorie abbiano natura filosofica), ma le ricerche di Freud hanno influito in modo decisivo, oltre che sulla storia della medicina e in particolare della psichiatria, sui più diversi campi della cultura, dall’antropologia alla letteratura, dalla psicologia all’arte, alla filosofia, alle teorie morali. La concezione dell’uomo che la psicoanalisi di Freud è venuta elaborando rivela, infatti, profonde implicazioni filosofiche ed etiche: non riguarda solo campi d’indagine come la psiche, gli affetti, i comportamenti, per tradizione oggetto specifico della riflessione filosofica, ma modifica profondamente le nozioni di coscienza, ragione, libertà, salute elaborate nel corso dei secoli dai filosofi. L’impostazione che principalmente viene posta in discussione e liquidazione è quella che ricorrendo ai facili dualismi che assolutizzano in estremi opposti gli aspetti della realtà ne annulla in semplificazioni banali e dicotomiche la ricchezza, rendendo la vita incomprensibile e non avvertita.
1. la scoperta e l’ipotesi dell’inconscio, il quadro della psiche complessa
1.1. le tappe dell’emergere della ipotesi e della metodologia diagnostica e terapeutica psicanalitica.
1.1.1. Freud si occupa di malati dal quadro clinico vasto e incerto, in transito continuo da medico a medico, le cui disfunzioni comportamentali anche gravi (non solo tic, manie, ma paralisi, cecità…) non erano riconducibili ad alterazioni fisiologico o in generale anatomico.
1.1.2. Con Charcot, a Parigi, in parallelo con gli studi sull’isteria, applica la suggestione ipnotica ottenendo la scomparsa momentanea delle disfunzioni e blocchi; alcuni bilanci: a. se l’ipnosi rimuove il disturbo la causa va cercata nella psiche, b. nella psiche ma non a livello di coscienza: il paziente non ne è consapevole, c. se i disturbi tornano a fine ipnosi questa agisce sui sintomi ma lascia immutate le cause, d. l’ipnosi è una terapia che condanna il paziente alla dipendenza.
1.1.3. Con Breuer applica l’ipnosi con catarsi: il paziente posto in stato di ipnosi veniva guidato a ricordare e far riemergere alla coscienza episodi dimenticati, supposti all’origine dei disturbi; risultati: a. viene rafforzata l’eziologia psichica delle disfunzioni, b. il metodo catartico mette in luce un mondo dimenticato ma attivo che, in condizioni particolari, poteva essere recuperato alla coscienza, c. anche l’ipnosi con catarsi annulla la partecipazione cosciente del soggetto e lo pone in stato di dipendenza assoluta nei confronti del medico.
1.1.4. La psicanalisi nasce quando Freud compie il passaggio dal metodo ipnotico catartico al metodo delle “libere associazioni” (talking cure: Anna O.) come tecnica di esplorazione, analisi e lettura della psiche, della sua componente inconscia. L’attenzione analitica e terapeutica e la diagnosi psicologica formulate come causa e terapia di disfunzioni comportamentali, gravi (come paralisi, cecità, afasie ecc.) o momentanee (dimenticanze, lapsus ecc.), fanno emergere un aspetto centrale della psiche, sino a quel momento ignorato o emarginato come irrazionale: l’inconscio. Ad esso Freud attribuisce grandissima importanza: la psicanalisi è soprattutto analisi dell’inconscio; alla propria psicologia medico-scientifica (non filosofica) darà il nome di «psicologia del profondo» e affiderà il compito di fornire un flessibile strumento di conoscenza del comportamento umano e di cura delle forme patologiche della vita mentale (nevrosi) proprio a partire dall’indagine dell’inconscio, del profondo.
L’ipotesi di Freud è che all’origine degli stati di disagio dei suoi pazienti vi sia uno spontaneo e inconsapevole meccanismo di difesa che «distacca» nuclei della psiche (pulsioni e istinti) e li «rimuove» dalla sfera della coscienza, sospingendoli in una zona inconscia da dove apparentemente cessano di influire sugli stati e sulle scelte del paziente, in realtà esercitano un influsso continuo, imprevedibile, resistente alla consapevolezza, a fatica controllabile e gestibile a livello di mente e di corporeità.
«A questo riguardo, si sorvola abitualmente sul seguente punto essenziale: che il conflitto patogeno dei nevrotici non va scambiato per una normale lotta tra impulsi psichici che si trovano sullo stesso terreno psicologico. Èun contrasto di forze, una delle quali è giunta al gradino del preconscio e del conscio, mentre l’altra è stata trattenuta al gradino dell’inconscio. È per questo che il conflitto non può giungere a conclusione: i contendenti non hanno nulla da spartire tra di loro, come l’orso polare e la balena. Una decisione vera e propria può aver luogo soltanto quando i due s’incontrano sullo stesso terreno. Rendere ciò possibile è secondo me l’unico compito della terapia.» (Freud, Introduzione o.c. p. 390)
1.2. le tecniche (i metodi) di lettura dell’inconscio
L’indagine dell’inconscio è realizzata con il concorso di diverse tecniche puntualmente presentate da Freud, nelle sue opere, nella funzione, nei metodi e negli esiti diagnostici e terapeutici attuati: ipnosi con metodo catartico, libere associazioni, transfert affettivo, interpretazione dei sogni, analisi della psicopatologia della vita quotidiana (paraprassie, lapsus, dimenticanze, piccole manie…) …
1.2.1. ipnosi: importanza dell’ipnotismo nella cura delle malattie mentali (F.Anton Mesmer, Charcot: ipnosi e la scomparsa, momentanea dei sintomi): scoperta delle eziologia psichica delle alterazioni o disfunzioni funzionali individuate, di conseguenza, come nevrosi (paralisi, cecità, afasia… paraprassie…)
1.2.2. ipnosi con catarsi (Breuer: nell’ipnosi far riemergere, con libere associazioni, elementi dimenticati, non presenti alla coscienza, ma attivi e che il soggetto, posto in condizioni particolari, di assenza di controllo cosciente, mostra di possedere e poter richiamare, pur in condizioni di passività della coscienza, in stato ipnotico e quindi di dipendenza del paziente dal terapeuta (ostacolo al coinvolgimento attivo del paziente nel processo di cura. Nelle libere associazioni in stato di ipnosi compare il nucleo del futuro metodo psicanalitico)
1.2.3. le libere associazioni (“talking cure” [Anna O.]) condotte per lo più con il metodo, la situazione e la teoria del setting: «Freud (1913a, p.343): «Insisto nella raccomandazione di far stendere il malato su un divano mentre prendiamo posto dietro di lui, in modo che egli non possa vederci.» […] Uno splendido esempio di com'è ulteriormente arricchita questa visione delle cose e dell’uso della metafora archeologica, lo troviamo nello scritto del 1906 Il delirio e i sogni nella "Gradiva" di Wilhelm Jensen. La metafora suppone una concezione stratificata dell’inconscio e del rimosso che va ad abitarlo, ma che nel transfert torna alla luce assieme alla sua drammaticità, come un reperto vivente. Questa condizione richiede la creazione di una situazione analitica capace di produrre una regressione del paziente che faciliti il suo riemergere, il ritrovamento di una verità traumatica sepolta e la conseguente risoluzione del conflitto.
L’abbandono del modello traumatico, ossia del valore biografico del trauma, da parte di Freud, sblocca nuovi sviluppi per la psicoanalisi capaci di tenere in conto le fantasie inconsce, un mondo influenzato non soltanto da eventi della vita reale ma anche da eventi del mondo interno. La psicoanalisi ricerca i contenuti, fatti reali o vissuti emotivi che devono emergere dalle profondità a raccontarci cosa è avvenuto nella vita e/o nella mente di quel paziente. In questo setting l'analista è ancora l’analista specchio, la voce fuori campo, qualcuno che deve essere molto attento a rimanere fuori da ogni coinvolgimento, immaginato come potenziale inquinante del materiale emergente e del transfert, e che ha un compito investigativo. L'analista cerca indizi, li organizza nella sua mente e ne rimanda il senso attraverso la sua interpretazione, magari dopo lunghi silenzi. […]
Donald Winnicott concepisce il setting come un sistema analista- ambiente che può modificarsi per andate incontro alle necessita del paziente, diventando in alcuni casi il vero fattore terapeutico che assicura continuità e stabilità al legame. In questo senso Winnicott arriva ad affermare che il setting, in alcune patologie e in alcune fasi del trattamento, assume un valore terapeutico maggiore rispetto all’interpretazione.» (Collovà Maurizio, Il setting come luogo delle trasformazioni possibili, in Ferro Antonino (a cura di) 2013 Psicoanalisi oggi, Carocci editore, Roma, 26, 29, 33) «Fondamentalmente esso consiste in una progressiva riannessione alla coscienza di elementi che, in seguito a un processo di automatica difesa, ne erano stati espulsi. Una volta effettuata questa riannessione, quegli elementi cessano di agire automaticamente producendo i sintomi morbosi, ma sono invece soggetti alla normale elaborazione di tutto ciò che si svolge nella nostra coscienza. Non esistono infatti sul piano della coscienza problemi irrisolvibili, conflitti non componibili.» Musatti Cesare, Freud. Antologia freudiana, Boringhieri (poi Einaudi) 1970, p. 17. I problemi generanti nevrosi sono irrisolvibili quando e perché le loro dinamiche non si incontrano, sono infatti dislocate in aree diverse della psiche, coscienza, inconscio, non facilmente comunicanti, visti i meccanismi di rimozione per difesa.(cfr. Collovà Maurizio, Il setting come luogo delle trasformazioni possibili, in Ferro Antonino (a cura di) 2013 Psicoanalisi oggi, Carocci editore, Roma)
1.2.4. transfert affettivo (“spina dorsale del trattamento psicanalitico” Melanie Klein): una traslazione amorevole o ostile, di carattere rozzamente sessuale, che si presenta durante ogni trattamento di nevrosi, pur non desiderata o suscitata da nessuna delle parti. Situazione che sembrava portare al fallimento la terapia per libere associazioni, ma si rivela poi essere strumento che rendere possibile la relazione terapeutica finalizzata all’esplorazione dell’inconscio. Per padroneggiare questo strumento si rende indispensabile l’autoanalisi da parte del terapeuta.
1.2.5. interpretazione dei sogni: la tradizione ebraica (cui Freud culturalmente appartiene) presenta i sogni come contesto, dono e grado di profezia [ove si dice non “ho fatto un sogno”, ma “mi è capitato”, “mi è venuto a trovare” un sogno]; l’attenuarsi della coscienza nel sonno rende il sogno stato favorevole per la riemersione dell’inconscio; il frequente intersecarsi dei sogni nelle libere associazioni dei pazienti; sono questi alcuni elementi che spingono Freud all’interpretazione dei sogni come tecnica psicanalitica. Poiché il sogno analizzato è il sogno raccontato (in stato di veglia cioè di vigilanza, controllo e rimozione da parte della coscienza) occorre saper distinguere tra il significato manifesto (il racconto e il suo significato talora suggerito dallo stesso paziente che racconta, seleziona, interpreta il sogno: elaborazione secondaria) e il significato latente (che compare nelle interruzioni del racconto, nei nonsense riportati, nelle incongruenze…). Freud individua le logiche difensive che compaiono nel racconto del sogno e che guidano a coglierne il significato latente: condensazione, spostamento, drammatizzazione del quotidiano, simbolizzazione…). La psicanalisi si applica qui a produzioni normali, non patologiche e cessa, anche per questa strada, «di essere soltanto una dottrina e un metodo appartenente alla psicologia patologica per divenire invece una dottrina e un metodo della psicologia generale.» (Musatti 1970, 34)
1.2.6. psicopatologia della vita quotidiana, gli atti mancati, le paraprassie, i motti di spirito: esame di una serie di disfunzioni momentanee e quotidiane, di poco conto, ove si dimostra che anch’esse esprimono impulsi e intenzioni rimosse ma che sfuggono alle strette del controllo e di censura dell’Io. Hanno lo stesso valore di funzioni sostitutive che i sintomi hanno per i nevrotici; derivano da due tendenze opposte, l’una tesa all’appagamento istintuale immediato, l’altra tesa al controllo. (vedi poi: analisi degli atti mancati 3.1.). «Il principio metodologico generale che poteva essere tratto da questa impostazione della terapia psicanalitica è il seguente: nella vita psichica nulla vi è di insensato e di accidentale. Tutto ha un significato e tutto è motivato (Musatti 1970, 30)
Conclusione. Il compito del terapeuta consiste nel trasformare i conflitti inconsci che hanno generato nevrosi, cioè alterazioni funzionali comportamentali privi di causa fisiologica anatomica, in conflitti coscienti, noti e quindi gestiti; lo psicanalista guida all’autocura avviando il paziente ad una partecipazione attiva e gestione progressivamente autonoma di quei conflitti la cui latenza generava una conversione somatica del rimosso, cioè una nevrosi.
1.3. l’inconscio ha una propria logica
Precisando (e correggendo): la grande scoperta di Freud non è l’inconscio; se ne parlava già da tempo ed era caro soprattutto ai romantici. «La vera scoperta è l’idea che l’inconscio abbia un suo linguaggio, una sua logica, e possa essere oggetto di interpretazione nonostante l’apparente assurdità delle sue manifestazioni.» (Fusillo Massimo 2009 Estetica della letteratura, il Mulino, Bologna p.64) Afferma Freud nella lezione 13 pubblicata nella Introduzione alla psicanalisi (Bollati Boringhieri, Torino 1978 p.191): «“Inconscio” non è più un nome che indica ciò che è latente in un determinato momento; l’inconscio è un particolare regno della psiche con impulsi di desiderio propri, con una propria forma espressiva e con propri caratteristici meccanismi psichici che non valgono altrove».
Dalle sue analisi emerge una doppia presentazione, una doppia mappa di orientamento (presentata in passaggio successivo) e una doppia ipotesi di nascita e formazione dell’inconscio.
1.3.1. L’inconscio è luogo delle pulsioni originarie che spingono ad una loro immediata soddisfazione secondo una logica definita “principio del piacere” (da “Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico” 1911); come centro pulsionale è perennemente attivo, un potenziale energetico in costante direzione di soddisfazione; a garantire l’esito del soddisfacimento di fronte a censure e divieti, mette in azione la “logica dello spostamento” (e del soddisfacimento deviato), sintesi e compromesso tra la pulsione (retta dal principio del piacere: urgenza della immediata soddisfazione) e il divieto (definito secondo il “principio della realtà”: impone censure, proibizioni e freni) delle pulsioni (la libido è, per Freud, la pulsione dominante e determinante l’intera vita psichica del soggetto).
1.3.2. L’inconscio è luogo della psiche incrementato dai processi di rimozione dell’immediato soddisfacimento delle pulsioni libidiche sotto l’influsso di istanze sociali e di un mondo di norme e regole, soprattutto non scritte, imposte secondo l’implacabile logica definita “principio della realtà”; principi di “contenimento” che prendono la forma di processi di adattamento educativo, inserimento sociale, hanno a che vedere con la formazione di una “coscienza morale”, sono in linea di continuità (anche se a livello fisiologico e psicologico) con le misure estreme presenti nella forma di “letto di contenimento” (“camicie di forza” fisiche o chimiche [psicofarmaci]) per contenere (creare !) le patologie psichiche.
Nei due casi, si tratta di presentazioni che sottolineano la natura perennemente attiva dell’inconscio. A partire da questi aspetti e dalla sua dinamica è possibile spiegare sia i comportamenti solitamente qualificati come patologici, sia quelli degli individui «sani». Dietro le nostre scelte «razionali», «consapevoli» si cela una sfera di natura «extra-razionale», «inconsapevole» sede delle pulsioni più profonde, luogo dei desideri, degli istinti, dell’energia vitale. Assumendo questo nuovo punto di vista, Freud ritiene di poter disegnare una nuova mappa della psiche che gli consenta di spiegare la complessità della psiche stessa e dei comportamenti umani.
1.4. la complessità dello psichismo; la doppia mappa della psiche e le relazioni tra le rispettive componenti.
prima topica tre qualità, fasi, modi di “coscienza” |
seconda topica |
le logiche di comportamento |
inconscio
preconscio
coscienza |
Es / Id
Io / Ego
Super Io / Super Ego |
principio del piacere (libido)
principio della realtà |
Freud presenta una doppia mappa di orientamento nella psiche; un doppio che si integra a presentare la complessità della psiche. Freud ne precisa la natura. Non si tratta di zone della psiche materialmente esistenti, né, tanto meno, fisiologicamente localizzabili. Sono schemi di orientamento per la lettura e la diagnosi dei comportamenti. Anzi, in modo più preciso, nelle sue seconde lezioni di introduzione e bilancio sulla psicanalisi, tenute tra il 1915 e il 1917, occupandosi del tema «La scomposizione della personalità psichica» (lezione 31), definisce le componenti della prima mappa (conscio, preconscio, inconscio) «le tre qualità della consapevolezza», modalità della psiche, mentre definisce i tre elementi della seconda mappa (Es, Io, Super-Io) «le tre province dell’apparato psichico», le aree. Si tratta di una presentazione che mette da subito in chiaro la funzione delle due mappe e la loro relazione interna. Le tre «province, regni, territori» (Es, Io, Super-Io) sono aree di cui Freud studia la formazione e i “contenuti”; invece le tre “qualità” (conscio, preconscio, inconscio) indicano i modi diversi in cui quelle tre aree si presentano e operano. Le aree, cioè, si presentano, operano, si manifestano e si riscontrano, psicologicamente e qualitativamente secondo diverse accentuazioni, secondo diverse modalità, quelle indicate dalla prima mappa: possono operare, in modo diverso, nella situazione o nello stato di coscienza, preconscio e inconscio. Il diverso porsi qualitativamente (in situazioni di inconscio, preconscio o coscienza) di ciascuna delle tre zone della psiche (Es, Io, Super-Io) mette in rilievo la funzione, la dinamica, le possibilità e la complessità di ciascuna area e dell’intero psichismo. (Freud, Introduzione o.c. p. 129 e 464-485)
1.4.1. La seconda (la più nota) mappa della psiche si articola secondo Freud in tre «province, regni, territori»: «Es» (o «Id»), «Super-Io» (o «Super-Ego») e «Io» (o «Ego»).
1.4.1.1. Il primo (l’Es) costituisce «la parte più oscura, inaccessibile della personalità»: prevalentemente inconscio, l’Es è il regno delle pulsioni istintuali che funge da serbatoio dell’energia psichica.
1.4.1.2. Il Super-Io, anch’esso prevalentemente inconscio, è una sorta di antagonista dell’Es: dando voce alle esigenze esterne, sociali, mira al controllo delle pulsioni che censura, suscitando in chi gli disobbedisce un senso di colpa che può culminare nella depressione.
1.4.1.3. L’Io, originariamente parte dell’Es (nell’indistinzione che caratterizza originariamente la psiche, sotto l’influsso del mondo esterno (da cui riceve stimoli e istanze) si trova a mediare, in forme di perenne evoluzione, tra le esigenze contraddittorie delle altre due istanze, Es e Super-Io.
1.4.2. La prima mappa della psiche (formulata prima da Freud e fondamento di comprensione della dinamica della seconda topica: Es, Io, Super-Io) presenta tre qualità, modi di essere, situazioni: coscienza (ciò che è presente ora alla coscienza), pre-coscienza (non presente alla coscienza ma facilmente richiamabile in base alla utilità), inconscio (contenuti assenti alla coscienza, tenuti esclusi; elementi che oppongono resistenza al loro richiamo alla coscienza). Servendosi di questa (prima) ripartizione Freud dà forma e spiega la natura attiva della relazione Es, Io, Super-Io. La dinamica pulsionale dell’Es e delle istanze del Super-Io si spiegano in forza della loro natura prevalentemente inconscia: dell’inconscio condividono i tratti dell’essere perennemente attivi, continui e alla ricerca di soddisfacimento immediato (secondo il principio del piacere) o per spostamenti e alterazioni. L’Io (e i richiami possibili alla coscienza di aspetti dell’Es e del Super-Io) fa riferimento alla psiche della coscienza e del pre-conscio e trova così spiegazione la sua naturale discontinuità.
Come conclusione provvisoria: «La psicoanalisi insegna che l’Io non è una sostanza, né una semplice presenza e che quando dico «Io» nomino non tanto una realtà di fatto, ma una credenza immaginaria. Io penso di essere quell'Io che altri dicono che sono o che Io mi rappresento narcisisticamente. Ma chi sono davvero «Io»? Risposta di Lacan: un aggregato di tracce e di sedimentazioni mnestiche, di iscrizioni (« leggi, riti, norme, strutture sociali ed educative»). Io sono sempre e solo il risultato singolare di una molteplicità di identificazioni. Io non sono mai il vero Io perché la realtà psichica non si esaurisce nell’Io; l’innovazione di Freud è proprio quella di disgiungere la vita psichica dall’attributo della coscienza di cui l’Io è il promotore.» (Recalcati Massimo, Il sonno della realtà e il trauma del reale, in De Caro Mario e Ferraris Maurizio (a cura) 2012 Bentornata realtà. Il nuovo realismo in discussione, Einaudi, Torino, 198)
«Per i sostenitori del punto di vista che per semplicità chiameremo culturalista, «l’uomo [...] sembra avere un corpo solo per averne un’immagine, sembra appartenere a una specie animale solo per poterne trasmutare la realtà biologica nei più variegati miti etnici, e sembra avere un cervello solo per potervi seppellire il più fecondo degli elaboratori di miti, l’inconscio.» (Marconi Diego, Filosofia e scienza cognitiva, Laterza, Roma-Bari 2001, 126)» (citato da Di Francesco Michele, Realismo mentale, naturalismo e scienza cognitiva, in De Caro Mario e Ferraris Maurizio (a cura) 2012 Bentornata realtà. Il nuovo realismo in discussione, Einaudi, Torino, 212-213).
2. Psicanalisi in azione: passaggi analitici strutturali
2.1. la teoria della libido, il coinvolgimento totale e differenziato della corporeità nel comportamento e nella formazione della persona.
2.1.1. dall’analisi delle nevrosi (alterazioni comportamentali con eziologia psichica) Freud ricava una diagnosi per lo più costante: la centralità della pulsione libidica nella sfera dell’inconscio. Gli attuali conflitti, che si manifestano come nevrosi, riproducono conflitti verificatisi nell’età prepuberale (anni 0-6) e sono essenzialmente di carattere libidico, relativi cioè ad una sessualità indifferenziata originaria, potente , presente fin dai primi anni dell’infanzia e quindi in situazioni di debolezza della coscienza.
2.1.2. la teoria della libido e le fasi. Proprio alla sessualità la psicologia del profondo dedica particolare interesse, convinta della sua centralità nella vita dell’individuo. Affrontando questo tema nei Tre saggi sulla sessualità, Freud abbatte alcuni tradizionali e radicati luoghi comuni: «Cerco di mostrare che la pulsione sessuale dell’uomo è molto complessa e che risulta dagli apporti di molteplici componenti e pulsioni parziali» (Tre saggi sulla teoria sessuale). Contro una tradizionale concezione della sessualità a carattere univoco Freud segnala la complessità delle motivazioni sessuali e ne mette in luce la funzione indispensabile nel processo di formazione della personalità; si tratta di una funzione corporale di tutto l’uomo, di un processo altamente composito e storicamente variabile (nella storia dell’individuo e della società), tutto da organizzare secondo coordinate sociali (istanze di valore) e individuali (verso il concetto di genere).
2.1.2.1. Innanzitutto allarga la nozione di sessualità, comunemente circoscritta alla genitalità, estendendola alle attività che procurano un piacere non puramente fisiologico: un impulso sessuale è certamente all’origine dell’attrazione fisica tra individui, ma anche del piacere che producono il cibo, il divertimento e persino attività in apparenza «puramente spirituali» come la creazione artistica, scientifica o letteraria.
2.1.2.2. La sessualità non è esclusiva degli adulti (come si credeva tradizionalmente); anche i bambini hanno un’attività sessuale: essa attraversa tre fasi (orale, anale, fallica), ciascuna caratterizzata dall’organo e alle funzioni a cui è legato il piacere (la bocca, nella suzione del latte materno; gli sfinteri, nel controllo della espulsione e della ritenzione; i genitali per il piacere sessuale inteso in senso stretto).
2.1.2.3. teoria della libido e autoerotismo. L’auto-erogenità (e il narcisismo) è una componente che definisce le tre fasi della sessualità infantile ed è un tratto costante della sessualità in generale anche quando si manifesta in forme chiaramente eteroerogene. La pulsione sessuale è espressione del soggetto non è definita dall’oggetto di riferimento ma dalla funzione corporale che sostiene, attiva ed esprime; proprio queste caratteristiche (autoerotismo, indipendenza dall’oggetto, sostegno di funzioni vitali plurime) la rendono condizione di scoperta, rapporto, gestione coinvolgimento del corpo nell’agire complessivo; la corporeità si rivela come una necessaria componente affinché l’azione (anche quindi l’agire morale) possa realizzarsi come azione e comportamento (“virtù”) personale. «Fin dall’inizio si possono riconoscere le manifestazioni delle pulsioni sessuali, ma in un primo momento queste non sono rivolte ad un oggetto esterno. I vari elementi pulsionali della sessualità agiscono ognuno per sé, tendendo al piacere, e trovano sul corpo del soggetto il loro soddisfacimento. Questo è lo stadio dell’autoerotismo, cui subentra quello della scelta dell’oggetto. […] L’individuo agisce come se fosse innamorato di sé; ancora non si possono distinguere tra di loro, per analisi, le pulsioni dell’Io e i desideri libidici. Sebbene non possiamo ancora con esattezza definire le caratteristiche di questo stadio narcisistico, in cui le pulsioni sessuali sinora dissociate si compongono in unità e prendono l’Io come oggetto, tuttavia sospettiamo che l’organizzazione narcisistica non sarà mai completamente abbandonata.» (Totem e tabù 99-100) «La differenza più incisiva tra la vita amorosa del mondo antico e quella nostra risiede nel fatto che l’antichità sottolineava la pulsione, noi invece sottolineiamo il suo oggetto. Gli antichi esaltavano la pulsione ed erano disposti a nobilitare con essa anche un oggetto inferiore, mentre noi stimiamo poco l’attività pulsionale di per sé e la giustifichiamo soltanto per le qualità eminenti dell’oggetto […] Come risultato generalissimo di queste considerazioni, rileveremo tuttavia l’idea che, in un gran numero di condizioni e in una massa straordinaria di individui, la specie e il valore dell’oggetto sessuale passano in seconda linea. Nella pulsione sessuale l’elemento essenziale e costante è qualcos’altro.» (Tre saggi sulla teoria sessuale)
2.1.3. libido e complesso di Edipo. Freud si convince sempre più delle profonde tracce che talune esperienze infantili (rimosse dalla coscienza) lasciano nella vita psichica di ciascuno, della complessità della relazione che oppone il figlio al padre nel loro rapportarsi alla figura della madre e moglie (rapporto che Freud definisce con l’immagine della «costellazione edipica», riprendendo il caso classico di Edipo, la cui vita è totalmente segnata dal particolare rapporto con la madre-moglie). Il superamento del “conflitto di Edipo” determina la latenza della sessualità infantile e coincide con un processo di identificazione del bambino con figure di adulti che porta a compimento la formazione del Super-Io, trasforma la libido in specializzazioni funzionali ampie (dalla sessualità alla cultura), la sessualità stessa da autoerogena diviene eteroerogena e presiede alle relazioni affettive postpuberali.
2.1.4. le pulsioni eros e thanatos. Un’interessante revisione delle proprie posizioni riguarda la teoria delle pulsioni: nell’opera Al di là del principio del piacere (1920) Freud introduce e contrappone alle pulsioni di vita (desideri sessuali e di autoconservazione cui dà anche il nome di Eros)le pulsioni di morte, tendenze aggressive e distruttive che rivelano nell’uomo un desiderio di «ritornare ad uno stadio precedente», di annullarsi, connesso e opposto a quello di vita (a queste pulsioni Freud nelle sue conferenze dà il nome di Thànatos).Mediante questo dualismo Freud avvia una nuova rilettura di certi comportamenti “malinconici” (nei quali il Super-Io appare come «una cultura della pulsione di morte») o masochistici (nei quali la pulsione di morte si dirige verso il soggetto, che si compiace della propria distruzione). Si tratta di binomi che permettono l’analisi non dei soli comportamenti individuali, ma anche di quelli sociali dominanti in un periodo storico; la psicanalisi diventa così sguardo e lettura della contemporaneità. (Disagio della civiltà)
2.2. meccanismi di spostamento e ambivalenza. La rimozione e lo spostamento alla radice di una conseguente ambivalenza delle pulsioni e dei comportamenti che ne derivano.
2.2.1. La tendenza delle pulsioni al proprio soddisfacimento è la radice dei meccanismi di spostamento da una funzione all’altra, da un oggetto all’altro allo scopo di aggirare i divieti e raggiungere, pur in forma deviata o non immediata, un soddisfacimento. La dinamica dello spostamento costituisce la logica dell’inconscio e solo conoscendo questa logica è possibile avviarne una lettura, premessa per la terapia: «Nell’inconscio i processi psichici non sono affatto identici a quelli noti nella vita psichica conscia, ma godono di certe libertà che a questi ultimi sono negate. Un impulso inconscio non è necessariamente sorto proprio dove riscontriamo le sue espressioni; esso può essere provocato da cause diverse, può aver in origine riguardato altre persone e rapporti, e attraverso il meccanismo dello spostamento essere pervenuto dove lo abbiamo riscontrato. Posta poi l’indistruttibilità ed immutabilità dei processi psichici inconsci esso può essere sopravvissuto da tempi remotissimi ai quali era adeguato a tempi e rapporti successivi, nei quali le sue manifestazioni appaiono bizzarre e fuori posto. Queste sono solo delle indicazioni, ma una più approfondita indagine dei casi ci rivelerebbe quanto esse potrebbero dimostrarsi utili per comprendere l’evoluzione della civiltà.» (Totem e tabù, 83-83)
Freud più volte sottolinea «la tendenza propria della pulsione inconscia nelle nevrosi, di spostarsi, per associazione, verso oggetti sempre nuovi … i desideri proibiti vanno spostandosi nell’inconscio da un oggetto all’altro.» (Totem e tabù, 50, 51) «È caratteristica propria dei divieti ossessivi una facoltà molto ampia di spostarsi e di estendersi dall’uno all’altro oggetto, attraverso un qualunque nesso associativo, rendendo il nuovo oggetto «impossibile», secondo la calzante espressione di una mia ammalata, fino a che è il mondo intero a trovarsi sotto un embargo di «impossibilità». […] La forza del divieto, il suo carattere ossessivo, dipende dal rapporto che lo lega alla sua controparte inconscia, cioè al desiderio sempre vivo nell’inconscio di realizzare una necessità interiore inaccessibile al riconoscimento cosciente. La facoltà propria del divieto di spostarsi e di espandersi riflette un processo suscitato dal desiderio inconscio, il quale è in special modo secondato dalle condizioni psicologiche in cui l’inconscio si trova. Per evitare le barriere entro le quali si viene a trovare, il desiderio si sposta in continuazione e cerca di procacciarsi i surrogati dei divieti (oggetti e pratiche sostitutive). Nello stesso tempo però è anche il divieto a spostarsi e ad estendersi a tutti i nuovi scopi dell’impulso proibito. Ogni volta che di nuovo la libido rimossa urge, il divieto reagisce acuendosi ancora. L’ostacolo che vicendevolmente le due forze in lotta contrappongono fa nascere una necessità di sfogo, in maniera da diminuire la tensione.» (Freud, Totem e tabù, 44-5, 47)
Su questa convinzione poggia il rilievo e l’attenzione che Freud riserva ad atti irrilevanti, a prima vista e per il senso comune, della vita quotidiana (le paraprassie).
2.2.1.1. la funzione e il ruolo della censura nella logica di comportamento e gestione dell’inconscio. «La censura non è solo un’istanza che reprime, come si sarebbe portati a credere dato il parallelismo con l’istituzione politica: è un processo che permette il passaggio dei contenuti fra le varie zone della psiche. [ad esempio] L’arte si colloca in un’ampia sfera che va dall’espressione meccanica del desiderio, considerata rozza e poco interessante, all’eccesso di controllo e di deformazione, che inibirebbe del tutto il piacere estetico. Come si vede, siamo ben lontani dalla registrazione immediata delle fantasie inconsce che i surrealisti auspicavano proponendo la tecnica della scrittura automatica, ispirandosi proprio a Freud, il quale mostrò invece sempre scarsissima sintonia nei loro confronti, come nei confronti di tutte le avanguardie.» (Fusillo, Estetica della letteratura, o.c. p.65)
2.2.1.2. il modo e le forme dello spostamento. La rimozione, cioè l’estromissione dell’impulso pulsionale dalla coscienza, non impedisce quindi alla pulsione di persistere nell’inconscio, organizzarsi ed essere attiva e aprirsi la strada ad un soddisfacimento; a cogliere e indicare la successiva dinamica ricorrono i termini: traslazione, transfert, proiezione, sublimazione, compensazione, soddisfacimento sostitutivo … per indicare le situazioni emerse nelle esperienze dell’analisi e oggetto di analisi: transfert affettivo, paraprassie (psicopatologie, gli “atti mancati”) della vita quotidiana, attività onirica, totem e tabù e soprattutto, in generale, nevrosi (psiconevrosi), ecc.
2.2.1.3. compito e risultato della psicanalisi è il riconoscimento e l’analisi delle forme di spostamento a partire dalla scoperta e dalla descrizione degli atti non giustificati (atti mancati, non funzionali allo scopo, privi di evidente scopo), sia quelli propri della vita considerata “normale” (paraprassie della vita quotidiana) sia quelli considerati segno di patologia in atto (nevrosi più o meno ossessive).
2.2.1.4. assenza di rigido confine tra normale e patologico. La vasta diffusione della logica dello spostamento e la varietà delle forme assunte richiamano la natura sia normale che patologica del processo di soddisfazione e rispetto del divieto; tra normale e patologico non è possibile tracciare un preciso confine, si può parlare solo di livelli di maggior o minor evidenza di soddisfacimento sostitutivo in base ai contesti di comportamento e al grado di apertura, tolleranza sociale generalizzato e condiviso.
2.2.1.5. la volontà di comprensione – spiegazione dei propri comportamenti (soprattutto atti mancati, sogni...) da parte del soggetto, di ogni persona collabora alle manovre dello spostamento e alle conseguenti ambivalenze. Freud stesso spiega questa volontà di capire, motivare, giustificare riferendosi (in forma di introduzione e esempio) a quanto emerge dall’analisi dei sogni e dalla rielaborazione secondaria fornita dal paziente sugli episodi della vita onirica da lui vissuti: «L’elaborazione secondaria del risultato del lavoro onirico costituisce il tipico esempio della natura di un sistema e di tutte le sue esigenze. C’è in noi una funzione intellettuale che esige da tutto il materiale che si offre alla percezione o al pensiero un minimo di unità, di connessione e d’intelligibilità e non esita a creare un nesso errato se, a causa di particolari circostanze, non può comprendere quello esatto. Conosciamo questi sistemi non soltanto dal sogno, ma anche dalle fobie, dai pensieri ossessivi e da alcune forme di delirio. Il sistema s’impone e domina il quadro clinico nelle malattie deliranti (paranoia); ma anche nelle altre forme di neuropsicosi esso non va trascurato. Siamo in grado di provare che in tutti questi casi c’è stato un riassestamento del materiale psichico in vista di un nuovo scopo, riassestamento spesso assai violento se il risultato deve apparire intellegibile dal punto di vista del sistema. Ciò che soprattutto contraddistingue la formazione di un sistema è il fatto che ogni suo risultato fa intravedere almeno due motivazioni, una che muove dalle premesse del sistema – quindi eventualmente di natura delirante - ed un’altra nascosta, che però dobbiamo riconoscere come quella effettivamente valida e reale.» (Totem e tabù 106). (Come se, nel caso specifico, venisse messo in atto un doppio percorso, in realtà convergente, di ricerca di una spiegazione che risponda a coerenza, di contenimento del disagio e del timore derivante da assenza di spiegazioni.)
2.2.2. ambivalenza in atto nel disagio (ambivalenza di atteggiamenti verso un’azione, un oggetto, un comando …): dalla logica dello spostamento l’ambivalenza e il suo ruolo nella vita psichica.
2.2.2.1. la dinamica narrata. «Ecco come procede la storia clinica, per quel che la riguarda, in un tipico caso di fobia del contatto. In origine si è manifestato, nella primissima infanzia, un intenso piacere di toccare, il quale tendeva ad uno scopo ben più definito di quanto si sarebbe disposti a supporre. A questo piacere si oppose, ben presto, una proibizione dall’esterno di quel particolare tipo di contatto. La proibizione fu accettata per il fatto che si trovava sorretta da grandi forze interne e perché si dimostrò più potente dell’impulso che induceva al contatto. Tuttavia, data la costituzione psichica originaria del bambino, il divieto non giunse fino ad eliminare del tutto la tendenza. Esso riuscì soltanto a rimuovere l’impulso, il desiderio del contatto; ed a confinarlo nell’inconscio. In questo modo divieto ed impulso continuarono ambedue ad esistere: l’impulso perché era stato solo rimosso e non eliminato, il divieto perché, se fosse venuto meno, avrebbe permesso il ritorno alla coscienza dell’impulso e la sua conseguente soddisfazione. In una situazione di questo genere, non risolta, si determina una fissazione psichica, e dal conflitto fra la proibizione e l’impulso, poi, scaturisce tutto il resto.
La caratteristica più importante dell’insieme dei fenomeni psichici che risultano in questo modo fissati, sta in quel che potrebbe definirsi l’atteggiamento ambivalente dell’individuo verso un particolare oggetto o, per meglio dire, verso un’azione connessa con quell’oggetto.
Egli desidera nello stesso tempo svolgere quest’azione (toccare) ed aborre da essa. Il conflitto fra le due tendenze non è facilmente risolvibile, perché la loro localizzazione psichica non è tale da permettere il loro incontro. Il divieto è perfettamente cosciente, mentre il piacere prepotente di toccare è inconscio. La loro diversa localizzazione determina inoltre (e queste rende ancor più difficile l’incontro) un comportamento (logico-dinamico) diverso perché ispirato e sorretto da diversi principi: del piacere (inconscio), della realtà (coscienza). Se non si realizzasse una situazione psicologica di questo genere, una ambivalenza non potrebbe resistere per un così lungo tempo, né comporterebbe tali conseguenze.
Noi abbiamo osservato quale fenomeno decisivo, nella storia clinica testé riassunta, l’imposizione del divieto nella primissima infanzia. Tutto il successivo meccanismo della nevrosi si deve far risalire alla rimozione che si è prodotta in questa età. La motivazione del divieto cosciente rimane ignota dal momento che è stata rimossa e connessa ad un’amnesia. Finisce per fallire qualsiasi tentativo di ricerca mentale, poiché tale tentativo non sarà mai in grado di raggiungere un punto al quale riallacciarsi.» (Freud, Totem e tabù, 46-7)
2.2.2.2. ambivalenza attiva in situazione antropologico sociale. «Questi popoli posseggono dunque atteggiamento ambivalente verso i precetti del tabù. Essi vorrebbero inconsciamente violarli, ma temono nel contempo di farlo: lo temono appunto perché lo desidererebbero, ma la paura è più forte del piacere. Questo piacere conserva però per ogni individuo che faccia parte della tribù, così come per il nevrotico, una vita inconscia. … in fondo al tabù c’è un’azione proibita, per la quale esiste nell’inconscio una attrazione nettissima.» (Freud, Totem e tabù, 48, 49)
2.2.2.3. ambivalenza attiva in situazione di nevrosi ossessiva, un quadro sintomatico. «Conosciamo a fondo la sua origine. Essa insorge nei casi in cui accanto all’affettuosità predominante sussiste un sentimento di inconscia ostilità, cioè quando si verifica il tipico caso di un atteggiamento affettivo ambivalente. L’ostilità viene allora soffocata da un smisurata tenerezza che si manifesta in forma angosciosa che diventa ossessiva perché altrimenti non basterebbe al suo compito, che consiste nel tenere rimosso il sentimento opposto. Non c’è psicoanalista che non abbia constatato con quanta certezza, nelle situazioni più inverosimili (per esempio, tra madre e figlio o tra coniugi molto uniti), questa spaventosa iperaffettuosità possa essere spiegata in questo modo.» (Totem e tabù 65) Il ricorrere più generale dell’ambivalenza degli impulsi affettivi: «In quasi tutti i casi di forte attaccamento ad una persona si riscontra questa avversione celata nell’inconscio dietro un tenero affetto: si tratta del tipico caso, del prototipo dell’ambivalenza degli impulsi affettivi. Questa ambivalenza, quando più quando meno, è insita nell’uomo; nei casi normali non ce n’è tanta che ne possano derivare i descritti autorimproveri ossessivi. Però, qualora sia presente in forma più accentuata, si rivela appunto nei rapporti con le persone più care, cioè proprio nei casi più impensati.» (Totem e tabù 74)
2.2.2.4. l’ambivalenza delle dinamiche pulsionali è attiva per la sua residenzialità in doppio contesto, in doppio luogo della psiche. «L’azione ossessiva è apparentemente un atto di difesa contro ciò che è proibito, ma in realtà ne è una riproduzione. L’apparenza si riferisce alla vita psichica conscia, la realtà alla vita inconscia.» (Totem e tabù 66). Si tratta di un processo difensivo che la psicanalisi indica con il termine “proiezione”, «diffuso nella vita psichica sia normale che patologica» (Totem e tabù 76,77), «serve alla soluzione di un conflitto affettivo; in parecchie situazioni psichiche che conducono alla nevrosi essa adempie alla stessa funzione.» (Totem e tabù 78)
[Si può concludere in relazione semplificata e schematica: conscio = apparenza; inconscio = realtà (anche l’apparenza è una realtà: l’apparire della realtà)].
2.3. psicanalisi e coscienza morale
Nelle lezioni del 1930, Freud riassume l’evolversi della psicanalisi, nata con primari intenti terapeutici: «La teoria ha nel frattempo compiuto dei progressi; parti importanti quali la scomposizione della personalità in un Io, un Super-Io e un Es, una profonda modificazione della dottrina delle pulsioni, ipotesi relative al sorgere della coscienza morale e del senso di colpa, si sono aggiunte ad essa.» (Freud, Introduzione o.c. p.16).
L’ambivalenza delle pulsioni affettive e la loro dinamica legata alla logica dell’inconscio e alla complessità della psiche diventano contesto obbligato per lo studio della nascita e della funzione dei comportamenti etici, degli aspetti normativi presenti in ogni sistema morale e, più ampiamente, di ogni sistema culturale. Freud concludeva (1913) gli studi di psicologia e psicanalisi antropologica presentati in Totem e tabù con queste parole: «Potrei dunque terminare e riassumere questa rapida ricerca rilevando che nel complesso di Edipo si ritrovano i principi insieme della religione, della morale, della società e dell’arte e ciò in piena conformità con i dati della psicoanalisi che vede in questo complesso la sostanza di tutte le nevrosi, per ciò che della loro natura siamo finora riusciti a penetrare.» (Totem e tabù 166)
2.3.1. l’analisi degli “atti mancati” e la complessità intenzionale generale dell’agire.
La psicanalisi è anche studio dei comportamenti interpretati come segni e sintomi per la lettura della psiche e la terapia delle nevrosi; da questo punto di vista ha una evidente connessione con la filosofia pratica che pone a tema l’agire dell’uomo con l’intento di sostenerne l’efficacia. La prospettiva di studio assolutamente nuova scelta dalla psicanalisi nel campo dell’azione è fornita dal tema che è posto come primo argomento di presentazione della psicanalisi nelle lezioni tenute da Freud dal 1915 al 1917 (Freud Sigmund, Introduzione alla psicanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 1978). È l’analisi degli “atti mancati”.
2.3.1.1. definizione e motivo degli atti mancati: «fenomeni che sono molto frequenti, molto noti e tenuti in assai poco conto, fenomeni che non hanno nulla a che vedere con le malattie, in quanto possono venir osservati in ogni persona sana. Si tratta dei cosiddetti “atti mancati” cui tutti vanno soggetti. Ciò accade per esempio quando si vuol dire una cosa e al suo posto se ne dice un’altra (lapsus verbale), o quando succede lo stesso nello scrivere, sia che ci se ne renda conto o no; oppure quando si legge in un foglio stampato o in un manoscritto qualcosa di diverso da quello che vi è scritto (lapsus di lettura); o, analogamente, quando si ode in modo errato qualcosa che viene detto (lapsusdi ascolto), ovviamente senza l’intervento di una perturbazione organica delle facoltà uditive. Un’altra serie di fenomeni di tal genere ha per base una dimenticanza, non permanente però, ma soltanto temporanea; per esempio, quando non si sa trovare un nome, che pure si conosce e si riconosce regolarmente, o quando si dimentica di attuare un proposito, di cui più tardi ci si ricorda e che quindi si era dimenticato solo per un determinato momento. … Non sottovalutiamo i piccoli indizi; forse a partire da essi, sarà possibile trovarsi sulle tracce di qualcosa di più grande. … Se lo si fa con scrupolo, senza ipotesi o aspettative preconcette, e se si ha fortuna, anche da un lavoro così privo di pretese può scaturire l’appiglio allo studio dei grandi problemi, grazie al nesso che lega tutto con il tutto, anche il piccolo col grande». (Freud, Introduzione p.27, 29)
Una riflessione sull’agire che parte dall’analisi degli atti mancati, dal “fallimento” dell’azione. Atti che difficilmente possono considerarsi morali perché privi di intenzionalità esplicita nella loro origine e di efficacia visibile nel loro risultato. A partire da loro Freud coglie lo specifico dell’azione umana, la dinamica e la funzione. Andando dietro quegli atti, con tecniche psicanalitiche, ricostruisce la struttura e il sistema della psiche dell’uomo e la dinamica che sorregge in generale ogni azione. Sono gli atti mancati, non ridotti a “inezie” irrilevanti, a impedire la riduzione della psiche alla sola superficie della coscienza, a rimandare ad una sua complessa profondità; «posso assicurarvi che, con l’ammissione di processi psichici inconsci, si è aperto un nuovo, decisivo orientamento nel mondo e nella scienza.» (Freud, Introduzione p. 23) Perciò «La psicologia dell’Io, alla quale aspiriamo, non deve essere fondata sui dati della nostra autopercezione, ma, come per la libido, sull’analisi dei disturbi e delle devastazioni dell’Io.» (Freud, Introduzione p. 381)
2.3.1.2. interpretazione e scoperta. L’esame degli atti mancati parte dalla constatazione di una sovrapposizione («ci sembra che talvolta l’atto mancato sia di per se stesso un’azione del tutto normale che si è messa al posto di un’altra azione attesa e progettata» Freud, Introduzione p.36) e mette poi in evidenza come in essi vi sia una intenzione (intenzionalità) e un effetto (esito) dotati di specifiche caratteristiche; esse mettono in evidenza la natura dinamica della psiche. In essi si intrecciano indistricabilmente inconscio e coscienza: apparentemente sono di ostacolo e disturbo, in realtà soddisfano pulsioni ed emozioni profonde (inconsce o non del tutto coscienti) della psiche di cui sono sintomo, cioè segno e soddisfacimento. Per comprendere tale loro esito è necessario evidenziarne l’ambivalenza sentita dal soggetto nei confronti dell’esito che determinano: ambivalenza nel soddisfacimento (rifiuto e desiderio) e ambivalenza per la doppia sede dell’atto (collocato appunto nell’intreccio e rimando tra coscienza e inconscio). «La mia interpretazione implica l’ipotesi che in colui che parla possano esternarsi intenzioni di cui egli stesso non sa nulla, ma che sono in grado di inferire sulla base di indizi … Possiamo ora affermare di aver fatto ulteriori progressi nella conoscenza degli atti mancati. Non solo sappiamo che essi sono atti psichici nei quali si può riconoscere un senso e un’intenzione, non solo che hanno origine dall’interferenza di due diverse intenzioni, ma anche che una di queste intenzioni, per giungere ad esprimersi attraverso la perturbazione dell’altra, dev’essere stata in certo modo trattenuta dall’attuarsi. Dev’essere stata perturbata essa stessa, prima di diventare perturbatrice» (Freud, Introduzione p. 61, 62; le lezioni di Freud si affidano a molte analisi di atti mancati e dei sogni: Freud, Introduzione lezioni 1-15).
2.3.1.3. una concezione dinamica dei fenomeni psichici: «Noi non vogliamo semplicemente descrivere e classificare i fenomeni, ma concepirli come indizi di un giuoco di forze che si svolge nella psiche, come l’espressione di tendenze orientate verso un fine, che operano insieme o l’una contro l’altra. Ciò che ci sforziamo di raggiungere è una concezione dinamica dei fenomeni psichici. Nella nostra concezione i fenomeni percepiti vanno posti in secondo piano rispetto alle tendenze, che pure sono soltanto ipotetiche.» (Freud, Introduzione o.c. p. 63) «Per raffigurarci concretamente questa eventualità supponiamo che ogni processo psichico esista dapprima in uno stadio o fase inconscia e che solo da questa passi alla fase conscia, pressappoco come un’immagine fotografica dapprima è una negativa e poi diventa una vera figura attraverso la riproduzione positiva. Non ogni negativa, tuttavia, deve necessariamente diventare una positiva; allo stesso modo non è necessario che ogni processo psichico inconscio si trasformi in un processo cosciente. Ci esprimeremo meglio dicendo che il singolo processo appartiene dapprima al sistema psichico dell’inconscio e poi, se si verificano certe condizioni, può passare nel sistema di ciò che è cosciente.» (Freud, Introduzione, o.c. p. 267)
2.3.1.4. una concezione generale dell’agire umano: per estensione generale della logica degli atti mancati, l’analisi si traduce in attenzione specifica a tutto l’agire dell’uomo. In generale, la natura dell’azione, la sua intenzione e i suoi effetti in termini di risultati storici e psicologici (di raggiungimento degli obiettivi e di soddisfazione piacevole), non si riducono a quanto emerge alla coscienza vigile di colui che agisce, ma risulta dal concorso dinamico di molte componenti. Prendere atto della dinamica complessa dell’azione, di ogni azione, è rendere possibile la scoperta e l’incontro con la persona, con noi stessi e con gli altri, nella sorprendente ricchezza delle componenti attive e delle potenzialità e porre le basi per una riflessione nuova e aperta sulla morale, sul suo metodo, sui suoi esiti. (È ricorrente in Freud l’invito a non opporre e nemmeno separare con netti confini le cosiddette situazioni del normale e del patologico)
2.3.2. la natura e il ruolo della coscienza morale in rapporto con la formazione del Super-Io
2.3.2.1. origine. Il Super-Io si costituisce attraverso l’accumulo di divieti, obblighi, censure, punizioni che nell’infanzia ogni individuo subisce dai genitori, dagli educatori e da ogni forma di condizionamento sociale; interiorizzati e organizzati, questi divieti e obblighi vengono a costituire uno specifico (per contenuti, logica di comportamento e funzione) nucleo della psiche, per livello e per dinamica è per lo più inconscio, e si comporta come un severo giudice; per questi ultimi tratti il Super-Io viene considerato (non del tutto erroneamente) come la versione psicoanalitica della cosiddetta “coscienza morale” individuale. Formatosi nel soggetto dietro un lungo processo di contatto e rapporto educativo con il mondo sociale organizzato (in atto soprattutto dopo il superamento del complesso di Edipo), il Super-Io diventa infatti la sede delle istanze morali, norme, principi, valori, stili di vita, modalità di giudizio e di relazione e comprende anche quella che suole appunto essere indicata come «coscienza morale» (la cui situazione dinamica è, in realtà, per lo più inconscia).
2.3.2.2. comportamento. Questi elementi, tuttavia, diventano fattori determinanti del comportamento, agendo in modo immediato e spontaneo come delle vere e proprie pulsioni, solo in quanto sono stati interiorizzati attraverso un processo di identificazione, diventando così componenti dell’inconscio e agendo, di conseguenza, secondo la logica dell’inconscio: il principio del piacere, la rivendicazione di un immediato soddisfacimento. Non sono quindi principio di comportamento adottati e attivi in forza della libera e cosciente scelta e adesione del soggetto a un sistema di valori; in tal caso la loro incidenza sull’agire risulterebbe fragile, facilmente travolta dalla forza delle pulsioni affettive originarie. Norme, divieti, istanze di valore, precetti agiscono nella persona quando, interiorizzate, si comportano come pulsioni dell’inconscio (della parte dell’inconscio denominata Super-Io); solo con lungo sforzo (riflessivo e analitico) possono acquisire anche la caratteristica, solitamente loro attribuita, di produzioni razionali e di convinzioni vagliate, deliberate e scelte dal soggetto che opera assumendole a guida, come se fossero prodotto della sua coscienza morale. La natura per lo più inconscia del Super-Io guida a avvertire la natura anch’essa per lo più inconscia della cosiddetta “coscienza morale” o del senso morale e permette di cogliere, di conseguenza, la logica del suo agire. Diventa altrimenti impossibile comprendere la dinamica di alcuni atteggiamenti morali ricorrenti e diffusi: atteggiamenti dogmatici, posizioni irrigidite, talora violente ed emotive, incontrollate, irragionevoli (incapaci di dare una propria plausibile ragione che non sia il generico appello alla propria coscienza o al “io son fatto cosí”), non disponibili al confronto; sia che tali affermazioni dei principi e dei giudizi morali vengano espressi a livello individuale (di intolleranza e implacabile giudizio emesso dall’individuo nei confronti di se stesso), sia che diventino orientamento e giudizio collettivo (di intolleranza e implacabile giudizio emesso dalla società [presentati spesso nei termini di senso comune, buon senso] nei confronti dei singoli individui). Mettere in discussione o sottoporre a verifica convinzioni morali e abitudini di giudizio è quindi sempre anche esercitare una forma di violenza nei confronti di pulsioni inconsce, cioè nei confronti della componente profonda, attiva, strettamente personale (Lacan) della psiche. Si comprendono le vivacità delle reazioni e delle resistenze che si manifestano quando tale obiettivo vorrebbe essere avviato e raggiunto.
2.3.2.3. la dinamica di mediazione. All’Io, regione “intermedia” della psiche, compete il ruolo di mediatore tra le contrapposte istanze dell’Es e del Super-Io: a seconda di come esso riesce a svolgere la sua funzione di raccordo tra istanze pulsionali e ragioni morali e sociali, la personalità del soggetto si presenterà con una sua propria fisionomia e, a giudizio sociale, verrà ritenuta più o meno equilibrata. Considerazione personale e giudizio sociale sono strettamente interdipendenti: «Chi si avvicini al problema del tabù dal punto di vista psicoanalitico, cioè dall’esame dell’inconscio nella vita psichica individuale, arriverà ben presto alla conclusione che fenomeni di questo genere non gli sono affatto estranei. Egli ha incontrato individui i quali si sono creati da se stessi i divieti dei tabù, e che li seguono con la stessa scrupolosità con la quale i selvaggi seguono quelli della loro tribù. Se non esistesse già una terminologia abituale secondo la quale queste persone sono degli «ossessivi», esse potrebbero ben esser chiamate «ammalati di tabù». Ma quando attraverso l’esame psicoanalitico egli riesce a chiarire questa malattia, la sua eziologia clinica e gli elementi fondamentali della sua struttura psicologica, non può che a gran fatica rinunciare ad applicare la nuova cognizione al fenomeno sociologico parallelo.» (Totem e tabù, 43)
2.3.3. ambivalenza e rimozione nella lettura dei comportamenti etici (azioni e virtù)
Lo studio dell’apporto specifico di Es (pulsioni e forza), Super-Io (valori, divieti, obblighi e censure), Io (strategia personale di gestione e mediazione) porta a sostenere la tesi che l’ambivalenza di fronte ad una azione, situazione, desiderio, oggetto… è il tratto specifico non solo del comportamento morale ma, più generalmente, della cosiddetta coscienza morale. Ambivalenza che si manifesta con particolare evidenza nel caso della condanna di comportamenti; o meglio, nel caso di una condanna “interiore”: il senso di colpa avvertito in occasione della realizzazione di particolari desideri, non necessariamente catalogati dal senso comune come riprovevoli (emblematico è l’analisi esposta da Freud nel breve racconto: Un disturbo della memoria sull’Acropoli). La riprovazione della coscienza, a livello cosciente quindi, si accompagna alla sensazione piacevole difficilmente sopprimibile (per lo più inconscia) derivata dal soddisfacimento che l’azione ha provocato. «La coscienza morale è l’interiore percezione di una condanna per qualche nostro particolare desiderio. L’accento però, viene posto sul fatto che questo rimprovero non ha bisogno di ricollegarsi a niente, che è sicuro di sé. Questo carattere ci appare con ancora maggiore evidenza nel senso di colpa, cioè nella percezione dell’interiore riprovazione per gli atti con cui abbiamo realizzato particolari desideri. In questo caso una motivazione appare superflua: tutti quelli che posseggono una coscienza avvertono in sé la ragione della condanna, il biasimo per l’azione compiuta. […] Probabilmente anche la coscienza morale sorge dunque, sul terreno dell’ambivalenza affettiva, da certi rapporti umani in cui è insita questa ambivalenza, e nelle condizioni che abbiamo stabilito per il tabù e la nevrosi ossessiva, cioè che un elemento dell’antitesi sia inconscio e costretto dall’altro in stato di rimozione. Vari dati ricavati dall’analisi della nevrosi concordano con questa conclusione. […] Si può quindi affermare che, se non riusciamo a scoprire l’origine del senso di colpa nei malati ossessivi, dobbiamo rinunciare a sperare in altre opportunità. Dunque, la soluzione del problema è facile nel caso di un singolo individuo nevrotico; così possiamo sperare di arrivare allo stesso risultato anche per quanto riguarda i popoli.» (Totem e tabù, 82)
2.3.4. ridefinizione dei concetti etici di intenzione, responsabilità, scelta, libertà, colpa, felicità … a partire dalle competenze della psicanalisi.
2.3.4.1. I concetti morali di libertà, scelta, intenzione, felicità, “sommo bene” ecc. vanno riscontrati nella gestione personale della relazione tra i vari aspetti della psiche, della irrinunciabile ambivalenza delle pulsioni-azioni, dei due principi del piacere e della realtà, della diversa logica che contraddistingue il comportamento spontaneo determinato dalle pulsioni e dalle norme, dei processi di traslazione (spostamento, nelle sue varie forme) attuati allo scopo di realizzare le originarie pulsioni affettiva in armonia (tollerata e condivisa) con istanze e regole già socialmente esistenti… nella consapevolezza di non poter più tracciare confini tra sano e malato, normale e anormale, naturale e innaturale sia con riferimento a situazioni individuali sia nel campo delle relazioni sociali.
Lo sviluppo armonico della personalità si fonda sulla capacità dell’Io di regolare, mediante il principio di realtà, le pulsioni dell’Es che esigono una soddisfazione immediata e diretta: nella maturazione dell’individuo il principio di piacere, che invoca la più rapida realizzazione degli impulsi libidici, verrà regolato dal principio di realtà che tiene opportunamente conto delle condizioni della realtà esterna e cerca di mediare, in tal modo, le conflittualità interiori. Là dove l’Es è troppo esigente o il Super-Io è troppo debole, può accadere che la mediazione dell’Io non si realizzi e che si manifestino comportamenti devianti; quando invece il Super-Io è troppo esigente e reprime con eccessivo rigore le pulsioni dell’Es, l’alterazione dell’equilibrio psichico può dar luogo a comportamenti nevrotici.
2.3.4.2. I concetti di bene e male e i paralleli dualismi [manichei] che li accompagnano. La psicanalisi annovera a proprio merito, e come condizione per risolvere conflitti fonte di nevrosi, il superamento di antichi dualismi e rigide contrapposizioni.
2.3.4.2.1. È più volte ribadita l’impossibilità di tracciare un netto confine tra patologico e normale; i due concetti tendono a perdere significato e rilevanza.
2.3.4.2.2. In campo etico, parallelamente, cade la possibilità di una netta e assoluta distinzione e contrapposizione tra bene e male. «Ci soffermiamo con maggior insistenza sulla malvagità dell’uomo solo perché gli altri non vogliono ammetterla, con il risultato non di rendere migliore la psiche umana, ma di renderla incomprensibile. Se rinunceremo alla valutazione unilateralmente etica, potremo certamente trovare una formula più corretta per quanto riguarda il rapporto tra il bene e il male nella natura umana.» (Freud, Introduzione o.c. p 134-135)
2.3.4.2.3. Più in generale gli antichi e tradizionali dualismi sono compresi e riletti come ambivalenze. E l’ambivalenza è l’aspetto specifico di ogni agire, e soprattutto dell’agire morale, così come risulta fin dall’analisi degli (innocui) atti mancati.
2.3.5. Finalità generale della psicanalisi. Costruzioni in analisi e Analisi terminabile e interminabile: il testamento del clinico Freud.
«Il passaggio dalla teoria topica a quella strutturale, la nuova teoria dell’angoscia e quelle delle pulsioni di vita e di morte non implicano modifiche sostanziali della tecnica psicoanalitica di Freud, ma permettono di coglierne meglio alcune implicazioni. A quello di rendere conscio l'inconscio, Freud (1932a, p. 190) sostituisce il motto per cui «dove era l'Es, deve subentrare l'Io. […] un'opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee». Con questa metafora, forse influenzata dalle riflessioni sociali condotte da Freud stesso in quegli anni (cfr. Parte terza), emerge in modo più chiaro come l'analisi miri ad aiutare le persone a riconoscere come proprio tutto ciò che è dentro di loro, ma che disconoscono, così che, una volta riconosciuta la propria alterità interiore come parte di sé, possano decidere del loro destino con maggiore cognizione di causa e libertà, organizzando quelle aree della loro mente che fino a quel momento erano disorganizzate e incontrollabili. In questo senso, l’analisi cerca di rendere le persone più consapevoli e libere, e di sostenere Eros nella sua lotta contro Thanatos: la capacità di amare, lavorare e guardare in faccia la realtà sono trai maggiori indicatori della riuscita di una terapia.
L’analisi cerca di sostituire l’agito impulsivo con un'azione o un'inazione mediata dal pensiero e da quanto si è appreso in base alla propria esperienza; a far tesoro di tutto quanto ci è accaduto inserendolo nel grande tessuto della nostra vita interiore; a utilizzare i nostri sentimenti spiacevoli, in primo luogo l'angoscia, come qualcosa che ci segnala il modo in cui stiamo vivendo, modulandoli cosi da impedirgli di “allagarci”.
In un’analisi ben condotta si apprende a imbrigliare le passioni selvagge, a pensare ciò che prima era impensabile, a cercare e perseguire la vita e il piacere senza perdere di vista né il mondo esterno né quello interno, a sostituire il giudizio morale aprioristico con considerazioni realistiche che tengano conto dei nostri limiti e delle esigenze degli altri; a modificare la realtà nella misura del possibile a favore della vita nostra, degli altri esseri umani e del mondo in cui viviamo, e ad accettare con consapevolezza e serena rassegnazione ciò che non possiamo cambiare.
E gli ultimi due scritti tecnici di Freud sono centrati proprio su ciò che non può essere ricordato e ciò che non può essere modificato. […] Con questo scritto [Analisi terminabile e interminabile 1937], Freud ridimensiona il potere terapeutico della psicoanalisi, in coerenza con un’opinione che nel corso degli anni si era via via rafforzata in lui, quella per cui il futuro e il valore della psicoanalisi sarebbero dipesi più dalla sua importanza per la cultura e la conoscenza umana che non per le sue virtù terapeutiche.» (Gazzillo Francesco, Ortu Francesca, 2013 Sigmund Freud. La costruzione di un sapere, Carocci editore, Roma, 295-296, 303)
« Del resto, la piena articolabilità non dovrebbe mai costituire il fine ultimo del lavoro psicoanalitico, dal momento che un simile obiettivo implicherebbe una totale padronanza linguistica ed egoica sulla materia inconscia, finendo così per trasformare l'inconscio stesso in una articolazione riflessiva consapevole — ideale impossibile, questo, che contraddice uno dei principi cardine della psicoanalisi. L’“io” non potrà mai recuperare in modo totalmente consapevole ciò che lo determina e lo vincola, nella misura in cui la sua stessa formazione resta qualcosa che precede l'elaborazione che ne può fare in quanto soggetto riflessivo e autocosciente. Ciò, a sua volta, ci induce a riflettere sul fatto che l'esperienza cosciente è solo una delle dimensioni della vita psichica, e che non potremo mai, attraverso la coscienza o il linguaggio, avere una totale padronanza di quelle relazioni primarie di dipendenza e impressionabilità che in modo imperscrutabile e oscuro ma comunque persistente ci formano e ci danno consistenza. […] Nessuno può vivere in un mondo radicalmente inenarrabile, o sopravvivere a una vita altrettanto radicalmente non narrabile. Ma occorre sempre tenere a mente che tutto ciò che si qualifica come “articolazione" ed "espressione" di una materia psichica eccede inesorabilmente la narrazione, e che ogni tipo di articolazione incontra sempre i suoi propri limiti, soprattutto se si considerano gli effetti strutturanti di tutto ciò che resta ostinatamente inarticolabile.» (Butler Judith 2005, Critica della violenza etica, Feltrinelli, Milano 2006, 81, 83)
2.4. psicanalisi e società: il disagio della civiltà, la civiltà del disagio
«… come, applicando il metodo psicoanalitico, i fatti della psicologia dei popoli possano essere visti sotto aspetti completamente nuovi». (Totem e tabù, 34)
2.4.1. le ipotesi e i campi dell’indagine
L’attenzione analitica di Freud, a partire soprattutto dal 1910, si allarga a questioni antropologiche e sociali. In Totem e tabù (1914) individua l’origine storico-antropologica del senso di colpa nella ribellione compiuta in età remota dai figli maschi contro il capo-padre cui hanno sottratto con il parricidio il monopolio dell’accoppiamento con le donne dell’orda. In Disagio della civiltà (1929) smaschera le limitazioni imposte alla libertà dell’individuo dal processo di civilizzazione indicando in quest’ultimo il responsabile del sacrificio delle pulsioni sessuali cui ciascun individuo è sottoposto nella società; imponendo agli uomini di deviare la propria libido verso attività socialmente utili (mentre la pratica sessuale tende essenzialmente al piacere), la civiltà li costringe a un sacrificio continuo. Il principio di realtà, che regola il soddisfacimento dei desideri tenendo conto delle condizioni imposte dalla realtà esterna, prevarica allora con eccessivo rigore sul principio di piacere, dando origine alle nevrosi: l’individuo paga con la malattia psichica il prezzo della civiltà.
2.4.2. storicità sociologica e psicologica della coscienza morale, considerata agire anche nelle manifestazioni reattive (nevrotiche) di fuga e di rifiuto.
«Già da quest’ultimo confronto tra il tabù e la nevrosi ossessiva si possono intuire i rapporti fra le nevrosi e le istituzioni culturali, e come un’estrema importanza per la comprensione dell’evoluzione della civiltà vada attribuita allo studio della psicologia delle nevrosi. Da un lato le nevrosi presentano chiare e profonde concordanze con le grandi istituzioni sociali inerenti l’arte, la religione e la filosofia; dall’altro ci appaiono come deformazioni delle istituzioni stesse. Potremmo quasi dire che l’isterismo è una deformazione di un’opera d’arte, la nevrosi ossessiva una deformazione della religione, il delirio paranoico una deformazione di un sistema filosofico. In definitiva questa diversità si spiega col fatto che le nevrosi sono formazioni asociali, che si sforzano di creare con mezzi privati ciò che la società ha creato col lavoro collettivo. Analizzando le tendenze che sono alla base delle nevrosi si comprende che in esse esercitano l’influsso decisivo forze istintuali d’origine sessuale, mentre le corrispondenti produzioni culturali sono basate su impulsi sociali, cioè su quelli che sono derivati dall’unione di elementi egoistici ed erotici. L’esigenza sessuale non è appunto in grado di tenere uniti gli uomini come lo fa l’istinto di conservazione; il soddisfacimento sessuale è in primo luogo faccenda privata dell’individuo. Dal punto di vista genetico, la natura asociale della nevrosi dipende dalla sua originaria tendenza a fuggire da una realtà insoddisfacente in un mondo immaginario pieno di attraenti promesse. Nel mondo reale, da cui il nevrotico rifugge, domina la società umana con le istituzioni create col lavoro collettivo; volgendo le spalle alla realtà il nevrotico si ritira dalla comunità umana. (Totem e tabù, 86)
3. per concludere e rispondere ottimisticamente alla domanda iniziale: che fine ha fatto la psicanalisi: che cos’è la psicanalisi.
La psicanalisi:
3.1. nasce come analisi e prassi terapeutica del disagio individuale (e sociale) che si manifesta nelle forme della nevrosi ed è praticata allo scopo di portare a risoluzione i conflitti da cui il disagio proviene (è dunque una terapia),
3.2. è una strategia di indagine della psiche attuata con una pluralità di tecniche (è dunque un metodo),
3.3. formula una mappa e una teoria complessiva della struttura della mente e dei modi di interrelazione degli elementi che la definiscono (è dunque un sistema),
3.4. si amplia in lettura e diagnosi della società contemporanea, dei suoi soggetti individuali e collettivi, “psicologia delle masse e analisi dell’io” (in formula globale diventa dunque analisi e interpretazione del “disagio della civiltà”), in tale direzione la psicanalisi diventa una attenzione analitica che si affianca sorregge e integra tutti i settori di studio e di osservazione che mettono in narrazione, descrivono fenomenologicamente, strutturano teoreticamente, predispongono in termini operativi e gestionali le relazioni nei confronti della realtà sociale ambientale e politica contemporanea.
Fonte: http://www.terzauniversita.it/corsi_13-14/dispense/corso77_lez3.doc
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