Sabine Spielrein biografia

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Sabine Spielrein biografia

BIOGRAFIA

Sabine Spielrein è stata una delle prime donne a teorizzare e praticare come terapeuta le malattie psichiche. Si tratta di una “pioniera” come Tony Wolf, Marie Bonaparte ed Anna Freud.
Sabine Spielrein era una ragazza ebrea, ricca e di buona famiglia nata a Rostow, in Russia nel 1885.
Sua sorella Emilia morì di febbre tifica nel 1901. Può essere questa una delle cause della sua malattia. Isterica e gravemente psicotica, poco più che adolescente era stata ricoverata (su richiesta dei genitori) all’ospedale psichiatrico Burghölzli di Zurigo nel 1904; Venne curata con un trattamento di psicoanalisi freudiana dell’allora giovane psichiatra C.G. Jung. Da questo tipo di terapia Sabine non solo ne uscì guarita dopo un solo anno (1905), ma vogliosa di contribuire con la sua intelligenza allo sviluppo ed alla ricerca psicoanalitica.
Jung, a quel tempo, era in strettissimo rapporto epistolare con Freud: questi era un professore ultraquarantenne agli inizi di una geniale ascesa ma al contempo assai contestato nel suo ambiente. Solo molto tempo dopo, la scienza gli riconoscerà i meriti del suo lavoro.
Sabine, dopo esser stata per Jung solo un difficile “caso clinico”, assunse per lo psicoanalista un importanza del tutto particolare sul piano più strettamente personale, grazie anche all’intenso corteggiamento affettivo ed intellettuale nel quale si trovò inaspettatamente calata insieme allo stesso Jung. In questi emergeva la drammatica consapevolezza di una spaccatura insanabile tra i presupposti teorici ai quali voleva con grande sforzo tener fede, ossia la teoria freudiana, e la sua visione del mondo che lo spingeva a prendere man mano le distanze dagli schemi “logico - scientifici” per addentrarsi sempre più nei cosiddetti “luoghi dell’anima” (mitologia, alchimia, religiosità e filosofia).
Nei numerosi dialoghi ed incontri amorosi (dei quali siamo a conoscenza grazie al diario ed alle lettere, che i due iniziarono ad inviarsi a partire dal 1906, conservate da Sabine, raccolte da Aldo Carotenuto, psicanalista junghiano, in “Diario di una segreta simmetria”) essi amplificavano la loro affinità culturale e spirituale, nutrendosi de eventi sincronici e telepatici, lasciandosi andare a fantasie di tipo “mitologico” e cominciando a cogliere il nesso che unisce tutti gli eventi.
Questo rapporto sentimentale, consumatosi negli anni in cui Sabine aveva lasciato l’ospedale, fu con ogni probabilità interrotto da una lettera anonima. Tale lettera fu probabilmente scritta dalla moglie di Jung, Emma, la quale invita la madre di Sabine a prestare più attenzione alla figlia.
Jung non aveva nessuna intenzione di essere al centro di uno scandalo e prova a scusarsi con la Spielrein, spigando innanzi tutto che se c’erano state tutte quelle cure e quelle attenzioni da parte sua era solo perché tante, troppe volte Sabine non aveva pagato le prestazioni ricevute. Fu per questo che la frequentò così assiduamente e, a tempo stesso, fu per questa ragione che volle riportare il rapporto terapeutico su un piano non così eccessivamente equivocabile. A tale proposito Jung chiese a Freud un parere come maestro, considerandolo per di più il “padre” del caso della giovane Sabine; un caso del quali gli aveva già parlato all’inizio dell’intenso rapporto terapeutico. Così Freud cercò di giustificare Jung, spigandogli il concetto di “transfert”, idea che alcune donne non vogliono accettare sotto il profilo della pura finzione.
Di questa particolare relazione non si sapeva nulla. Nulla, addirittura, era mai trapelato neppure dagli annali della psicoanalisi sino a quando alcuni anni fa sono stati ritrovati nei seminterrati dell’ospedale di Zurigo alcuni quaderni e lettere attribuibili alla Spielrein. Si tratta di fogli e carte riguardanti la corrispondenza fra Jung e Sabine, ma a quest’intreccio si univa anche la figura di Freud (Jung gli chiedeva, infatti, come poter venire fuori da questa situazione, evitando di cadere nuovamente nell’errore e nello scandalo).
Lo psichiatra e scrittore Kerr, nel suo saggio “Un metodo molto pericoloso”, descrive in tono critico l’intreccio coinvolse i tre. Un intreccio assai delicato per gli elevati livelli di coinvolgimento: ciascuno si trovò travolto sia sul piano personale ed intimo ma al contempo anche su quello professionale, con inevitabili contraddizioni ed incoerenze. Kerr mostra come i due uomini, entrambi calati in un ruolo di potere rispetto ad una scienza nuova che chiedeva discrezione e tatto, rivelino la propria contraddizione e la poca libertà dinanzi ad una richiesta d’aiuto assolutamente legittima: davanti alle richieste di Sabine (ex paziente e poi allieva molto promettente) Jung mostrò tutta la propria ambivalenza e la propria incapacità di gestire il “controtransfert”. Una incapacità dovuta alla mancanza di una completa analisi (sarà lui stesso, infatti, a ribadire dopo molti anni il processo per il quale l’analista venga a sua volta analizzato) ma anche all’imbarazzo di chi, avanti ad una responsabilità troppo grande, cerca di liberarsi di un interlocutore scomodo.
Anche Freud, da parte sua, non seppe offrire un reale aiuto alla giovane, la quale, vedendosi rifiutata dal suo analista ed amante, si era rivolta a lui nella speranza dal potente transfert. Freud le risponde suggerendole di tenere fra sé e sé questo sentimento.
La giovane donna ebbe per anni ed anni un carteggio con Jung e Freud e da tanti fu definita una sorta di ninfa di questi due giganti. Due giganti che però, nella messa a fuoco di una relazione fatta di colpe, rivalità ed intrecci, escono dalla vicenda in maniera assolutamente negativa.
Sabine, dal canto suo, divenne poi una validissima studiosa di psicoanalisi e psicosomatica infantile, scrisse un saggio che Jung stesso leggerà e seguirà, partecipò a Vienna alle riunioni del mercoledì della “Società di Psicoanalisi” e tenne lei stessa una conferenza ricavata da un suo saggio.
Secondo il già citato Carotenuto, Jung avrebbe usato molte intuizioni di Sabine nelle sue teorie, fino a vedere nel concetto di ombra un particolare risvolto della relazione con lei, anche se nella letteratura junghiana non riconosciamo nulla che apertamente si riferisca alla Spielrein, né un tributo né una citazione. Sabine viene menzionata da Jung solo in un’occasione (trattatasi di una conferenza) ed in un particolare momento in cui si può valutare la piena efficacia della sua azione terapeutica; negli scritti di Freud, allo stesso modo, Sabine è citata una volta soltanto.
Ciononostante, essa mise in guardia Jung rispetto all’equivoco di cui era vittima, ribaltando per un attimo i ruoli dicendo che “può essere pericoloso prestare troppa attenzione al complesso sessuale”. Jung seppe, solo a posteriori, fare tesoro di tutto ciò.
Il travagliato incontro con Sabine, aprì le porte ad una ricerca che impegnò Jung per tutta la vita e che lo spinse forzatamente ad addentrarsi in quel viaggio interiore che lo portò alla formulazione del concetto di “archetipo” e di “inconscio collettivo”: è forse questo il maggior contributo che Sabine ha fornito al pensiero psicoanalitico: l’incontro con l’anima, con l’archetipo terrifico e sublime al tempo stesso.
Per colpa di questo rapporto proibito fra Sabine e Jung, si accesero notevoli incomprensioni; eppure Jung aveva guarito in brevissimo tempo la ragazza malata d’isteria e di una malattia poco conosciuta per l’epoca come l’anoressia, applicando le prime teorie freudiane sull’isteria, sull’analisi dei sogni e sulle libere associazioni.
Sabine, in una delle sue tante lettere inviate a Jung, scrisse: “Tu, esploratore dell’inconscio, hai avuto paura di andare a fondo nel tuo profondo inconscio e nel tuo legame con me!”.
Nonostante la malattia mentale che l’aveva afflitta, Sabine una volta guarita completamente studiò a Zurigo ed i genitori si aspettavano che lei diventasse una nuova Marie Curie. Sabine parlò del suo innamoramento con Jung in una lettera destinata alla madre, confidandosi apertamente e facendo trasparire una certa felicità; elementi che sottolineano come il rapporto con i genitori e con la mamma in particolare fossero tutt’altro che conflittuali o difficili.
Sabine è ora una studiosa molto impegnata, che pensa innanzi tutto a studiare, superare gli esami e raggiungere la laurea. Laurea (in medicina) raggiunta nel 1911 con una tesi sulla schizofrenia.
Nel 1912 sposò un giovane russo ed ebreo proprio come lei di nome Pawel Sheftel dal quale, un anno dopo, avrà una figlia (Renata). Sempre nel ’12 pubblicò “La distruzione come causa della nascita”.
Poi, sollecitata dai familiari, Sabine torna in Russia perché la Rivoluzione Sovietica le darà modo di sviluppare le sue ricerche e sperimentare nuove terapie. Creerà infatti “l’Asilo della Solidarietà Internazionale”, chiamato “Asilo Bianco” per via del colore delle pareti e dell’arredamento e continuerà a scrivere e pubblicare le sue esperienze con l’infanzia e la schizofrenia. Nell’“Asilo Bianco”, le sue collaboratrici sperimentavano sui bambini il significato della libertà; purtroppo questa struttura venne fatta chiudere tre anni dopo l’inizio del regime stalinista con l’infondata accusa di trasmettere perversioni sessuali ai bambini.
Dopo la chiusura, Sabine dovette spostarsi da Mosca a Rostow (la sua città natale). Nel 1926 nacque la sua seconda figlia: Eva.
Nel frattempo, si era consumata fra Jung e Freud una frattura insanabile su temi apparentemente teorici: Jung è convinto, al contrario di Freud, che la sessualità sia una manifestazione dell’animo umano, centrale ma non così determinante. Nel dichiarare l’un l’altro questa idea, si creò una spaccatura insormontabile nella loro relazione.
Sabine e Freud continuarono a scriversi (molte lettere sono tutt’ora conservate): i due si scrivono che la mediazione è il “Sogno di Sigfrido”, il figlio che Sabine ha fantasticato di avere con Jung durante l’innamoramento. Quest’idea verrà “tradotta” poi in un simbolo della sua forza creativa.
Negli anni di guerra il carteggio si affievolisce per poi interrompersi del tutto. Recuperare i fili interrotti della vita di Sabine non è stato un lavoro non facile, ma grazie ad alcune tenaci persone si è potuto riscrivere nella memoria collettiva una vicenda che il pudore degli “eredi” di Jung avevano voluto nascondere per anni ed anni.
Nel 1936 la psicoanalisi fu totalmente proibita da Stalin: ciò comportò innumerevoli per Sabine (che pochi anni prima aveva perso diversi componenti della sua famiglia, compreso il marito). Ella trovò la morte, per mano dell’esercito tedesco, che la trucidò insieme a tanti altri ebrei in una sinagoga di Rostow. Era il 1942.

 

Fonte: http://cmapspublic.ihmc.us/rid=1087944506406_580915134_1658/tesina%20BIOGRAFIA.doc

Sito web da visitare: http://cmapspublic.ihmc.us/

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