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Tale disturbo è caratterizzato da uno stato emotivo molto spiacevole, gravato da tensione e nervosismo e accompagnato da sintomi fisiologici più o meno accentuati come palpitazioni cardiache, tremore, nausea, vertigini, cefalee (mal di testa), spasmi addominali e sudorazione fredda.
I termini ansia e paura vengono spesso usati indifferentemente per denotare un medesimo stato psicofisiologico. Ma l'ansia riguarda la sfera emotiva e la paura quella cognitiva. La paura cioè si riferisce alla valutazione (ipervalutazione) di uno stimolo minaccioso considerato tale soggettivamente mentre l'ansia riguarda la risposta emotiva a quella valutazione.
La paura entra in azione quando il soggetto è esposto fisicamente o psicologicamente allo stimolo esterno o interno che considera pericoloso (minaccioso) e l'attivazione della paura genera l'ansia. Ad esempio: se entro in ascensore potrei rimanere bloccato, se sono già in ascensore mi assale la tensione; se tento un approccio con quella ragazza potrei essere rifiutato, quando le parlo lei sembra non ascoltarmi con interesse ed io mi agito.
Se il fenomeno dell'ansia è visto dal punto di vista cognitivo, cioè dal punto di vista della testa che valuta lo stimolo minaccioso prima che si verifichi la reazione di ansia, diviene possibile poter gestire in tempi molto più brevi la cura del disturbo mediante interventi centrati sul problema senza dover far ricorso a lunghe e costose terapie tradizionali che sono per lo più rivolte alla ristrutturazione globale della personalità.
Può accadere che il soggetto ansioso si chieda se il suo stato emotivo sia irrazionale. L'argomento è complesso, ma è illogico denotare l'emozione o lo stato emotivo razionale o irrazionale, qualificazioni che sono invece da applicare ai pensieri o ai concetti.
La paura al contrario è possibile definirla realistica o irrealistica, razionale o irrazionale.
Una paura è realistica quando si basa su assunzioni logiche e sull'osservazione oggettiva, è irrealistica quando si basa su assunzioni false e/o su un ragionamento difettoso oltre ad essere in contrasto con l'osservazione.
L'ansia non è né reale né irreale poiché si riferisce ad una risposta affettiva e non ad un processo di valutazione della realtà.
A volte può accadere che la persona possa avvertire la reazione di paura solo parlando o rappresentandosi (visivamente, auditivamente o cenestesicamente, mediante la sensazioni cioè) la situazione minacciosa, soffermarsi su quest'ultimo aspetto rende concreto e presente un pericolo distante e futuro.
Le reazioni di una persona tra la previsione di un confronto con la situazione di pericolo e l'effettivo confronto con la stessa sono molto diverse, cioè non appena la persona entra nella situazione "pericolosa" vengono attivati i modelli dell'emergenza costituiti dalla fuga, dall'inibizione o dallo svenimento. Ad esempio un soggetto che deve sostenere un esame, fuori dalla sala è relativamente calmo poi a mano a mano che si avvicina il suo turno gli sembra di non ricordarsi più niente e sente il bisogno di uscire all'aperto; un altro soggetto in attesa di un prelievo di sangue per delle analisi visualizza l'ago che gli penetra la vena e sente di stare per svenire; un altro ancora che dovendo parlare con il suo capoufficio in presenza dello stesso sente che le parole che deve dire gli "muoiono in gola" provando una penosissima sensazione d'inibizione.
L'ansia è una esperienza drammatica che ognuno cerca di evitare compiendo passi per la riduzione dell'emozione e per prevenirne il ritorno. Ma l'ansia in sè non costituisce il processo patologico nei disturbi ansiosi proprio come il dolore non costituisce il processo patologico in una infezione.
Funzione dell'ansia è quella di innescare strategie di cambiamento per ridurre il "pericolo" o la "minaccia". I pensieri e le azioni che hanno successo nella riduzione del pericolo, riducono generalmente l'ansia, diversamente l'ansia persiste.
Nei disturbi di ansia, la continua produzione di reazioni ansiose spinge il soggetto alla riduzione del supposto pericolo che è attivato dalla risposta ansiosa. Ma quando il pericolo non è reale o se ne ha una percezione sbagliata oppure viene ipervalutato, la reazione ansiosa impedisce di porre in essere un comportamento adeguato: il soggetto non ha la possibilità cioè di fermare un pericolo che non esiste o che è esagerato. Quindi il problema principale nei disturbi ansiosi non è costituito dalla reazione ansiosa ma dagli schemi di valutazione cognitiva che non sono adatti ad affrontare il pericolo e che costituiscono l'organizzazione esperenziale interna del soggetto in termini di pericoli e minacce.
Se hai una cattiva opinione delle persone ansiose non ti puoi aspettare che valutazioni negative da parte degli altri.
Quando pensi che gli altri potrebbero evitarti se si accorgono della tua ansia, pensa che un ladro teme sempre che tutti lo riconoscano!
Partendo dall'assunto che i sintomi da ansia sono espressioni di funzioni psicologiche, si può affermare che l'apparato cognitivo; - in presenza di una minaccia o di un "pericolo" - emette valutazioni delle situazioni, delle persone, degli eventi e delle risorse di cui il soggetto dispone per fronteggiare i problemi. Egli prefigura in tal modo un "pericolo" e sottovalutando le sue risorse attiva le componenti affettive, comportamentali e fisiologiche disturbanti.
La componente affettiva (l'ansia cioè) accelera il processo rendendo urgente atti risolutori.
La componente comportamentale riguarda sia l'attivazione che l'inibizione.
La componente fisiologica mobilizza l'organismo.
Bisogna poi tenere presente che la flessibilità di passaggio da un pensiero ad un altro o da una azione ad un'altra è gravemente inficiata dalla presenza dei sintomi per cui i comportamenti difensivi di fuga, evitamento, inibizione e blocco perdurano anche quando il "pericolo" è trascorso facendo reagire inappropriatamente il soggetto a nuove situazioni e impedendo al soggetto stesso di uscire dalla modalità di pericolo. Si instaura così una modalità omeostatica di automantenimento altamente stressante.
I sintomi che riguardano il disturbo da ansia appartengono alle seguenti quattro sfere funzionali: cognitiva, affettiva, comportamentale e fisiologica, che possono - ognuna - iperfunzionare ovvero interferire reciprocamente disadattando il soggetto nella risposta al "pericolo".
I sintomi cognitivi riguardano la percezione interna o dell'ambiente e in tal caso il funzionamento mentale sembra confuso, oscurato, stordito; aumenta la consapevolezza di sé e la vigilanza mentre l'ambiente sembra diverso, irreale e gli oggetti sono percepiti come offuscati e distanti. Quando invece è intaccato il pensiero si possono verificare: difficoltà di concentrazione, incapacità di controllo del pensiero stesso, confusione, affievolimento del ricordo, distraibilità, difficoltà nel ragionamento con perdita di obiettività e prospettiva.
I sintomi della sfera cognitiva sono anche di natura concettuale quando esiste paura: di perdere il controllo, di non essere in grado di far fronte alle situazioni, di ferite fisiche o di morte, di disturbi mentali; possono essere presenti immagini visive minacciose e produzione ripetitiva di pensieri spaventosi.
I sintomi della sfera affettiva sono quelli che colpiscono di più l'osservatore. Quando il problema che provoca gli stati affettivi disturbanti è urgente e improcrastinabile vi può essere panico, altrimenti si verifica una cronicizzazione dello stato disagevole.
Gli stati affettivi si esprimono con: irritabilità, impazienza, nervosismo, tensione, suscettibilità, terrore, allarme, eccitazione.
I sintomi della sfera comportamentale si esprimono mediante: inibizione, immobilità del tono muscolare, fuga, evitamento, linguaggio e coordinazione difficoltosi, agitazione motoria, collasso e iperventilazione (eccessiva immissione di ossigeno nei polmoni).
La sfera fisiologica presenta una ampia gamma di sintomi, distinti però a seconda dei due rami del sistema nervoso centrale: il simpatico e il parasimpatico. Il ramo simpatico opera per il fronteggiamento della situazione ed allora si possono avere le seguenti reazioni fisiologiche: palpitazioni, tachicardia, aumento della pressione sanguigna, respirazione rapida o difficoltosa o superficiale o insufficiente o affannosa, pressione al torace, nodo alla gola, sensazione di soffocamento, incremento di riflessi, reazione d'allarme, palpebra contratta, insonnia, spasmi, tremori, rigidità, agitazione, espressione contratta, vacillamento, debolezza generalizzata, gambe traballanti e movimenti goffi, perdita dell'appetito o repulsione per il cibo, disturbi addominali, rossore o pallore del volto, efidrosi (sudorazione palmare), iperidrosi (sudorazione generalizzata), momenti di caldo e freddo, prurito.
Il ramo parasimpatico agevola la strategia del collasso cioè quella per cui il soggetto è impotente e senza difese nel far fronte ad una minaccia. In tal caso i sintomi sono i seguenti: debolezza, svenimento, calo della pressione sanguigna e del ritmo cardiaco, spasmi bronchiali, dolori addominali, nausea, bruciore di stomaco, vomito impulso e/o frequenza nell'orinare.
I sintomi che appaiono come reazione (ora inadeguata) di autoprotezione dell'organismo nella sua completezza psicofisiologica trovano la loro ragione d'essere se esaminati alla luce dell'evoluzione della specie umana che ha dovuto sviluppare una serie di reazioni, sino dalla sua prima apparizione, per fronteggiare l'ostilità e i pericoli degli altri esseri umani e animali nonché dell'ambiente.
Chi voglia approfondire tale argomento può far riferimento all'esemplare e innovativo lavoro del biologo Laborit e a quello dell'etologo Lorenz.
Se diventi consapevole di quando menti, imparerai molto di più su di te.
Se pensi di dover essere sempre sereno, corri il rischio di doverti arrabbiare spesso!
Due sono sostanzialmente i criteri per distinguere l'ansia compatibile con la propria soglia individuale di contenimento da quella patologica: uno riguarda il livello d'ansia assolutamente sproporzionato rispetto al rischio e che eventualmente si mantiene oltre la propria soglia anche quando il possibile rischio e pericolo sono terminati e un altro che concerne la valutazione dell'impatto della reazione ansiosa sul funzionamento dell'individuo nella sua vita.
Senza ricorrere a casi eclatanti si può citare, al riguardo, l'esempio di un soggetto che soffre molto e presenta degli effetti psicosomatici come coliti o dermatiti oppure di un altro soggetto le cui funzioni intellettuali o l'adattamento sociale e/o professionale sono pervasivamente danneggiati.
L'attenzione del soggetto ansioso non è così distratta come si può a prima vista osservare, ma è concentrata, quantunque inconsapevolmente, sui concetti di pericolo o di minaccia.
L'eccessiva vigilanza su tali concetti lo inducono ad una continua esplorazione diretta alla ricerca di segnali di disastri o danni personali incombenti. Poiché l'investimento di energia è massimo in tale ricerca, ben poche forze rimangono al soggetto ansioso per concentrarsi sui compiti specifici o nel pensiero riflessivo che rimangono entrambi in secondo piano rispetto all'attenzione agli stimoli che possono indicare l'imminenza di disastri o danni.
Lo stato di continua allerta produce numerosi "falsi allarmi" che tengono il soggetto in una condizione costante di emotività frustrante e di agitazione, ad esempio il lancinante suono di una sirena dell'ambulanza può innescare il pensiero che un proprio caro abbia avuto un incidente stradale e non c'è tranquillità sino alla verifica.
Lo stato di continuo allarme per il "pericolo" si manifesta attraverso pensieri automatici inconsapevoli e persistenti di possibili danni fisici e/o mentali che hanno la caratteristica della rapidità intrusiva, della ripetizione e della completa plausibilità quando si presentano. Tali pensieri sono talmente rapidi che il soggetto è consapevole solo dell'ansia generata dal pensiero stesso che ha elaborato l'informazione interna o esterna producente l'ansia.
Il soggetto può anche riconoscere che i pensieri sono illogici e in tal caso sarà necessario "addestrarlo" al riconoscimento del pensiero mediante il richiamo dello stesso con la tecnica dell' "immediata ripetizione". Ad esempio un soggetto terrorizzato dall'idea di avere un cancro, viene invitato a ripetere il "terrore" e a trovare il pensiero immediatamente precedente che glielo ha evocato (un racconto, immagini televisive, un articolo sul giornale, ecc...)
La gamma dei pensieri difettosi è molto ampia, e ad essi è stato fatto riferimento più volte nella trattazione dei vari argomenti pertanto mi limiterò qui a citarne tre molto comuni, frequenti anche nelle persone che non presentano marcate reazioni ansiose o che presentano un leggero tratto depressivo.
Uno è la tendenza a catastrofizzare, cioè a insistere sul peggior risultato e sui risultati negativi delle situazioni che non necessariamente potrebbero esitare in peggio. Un altro è la tendenza a riferirsi nella propria esperienza solo a situazioni negative o ad elementi negativi della situazione che pur ne presentava alcuni positivi. Un altro ancora è costruito dalla tendenza, in presenza di un "pericolo" interno o esterno, a valutare la situazione in termini opposti e assoluti così che se essa non è assolutamente sicura significa che è insicura. Ad esempio per una persona in cerca di lavoro i pensieri possono essere i seguenti: sicuramente non mi assumeranno; non mi hanno assunto prima non lo faranno neanche adesso; se non mi assumono rimarrò disoccupato per sempre.
Puoi evitare la gente e i posti, ma non i tuoi pensieri: se consenti loro di essere negativi, sarai negativo. Però è vero anche il contrario.
Quando non sai cosa dire a qualcuno arrabbiato con te, ricordati che hai quattro scelte: star zitto, essere d'accordo, non essere d'accordo, cambiare argomento.
Se ti senti rifiutato dagli altri per i tuoi chili di troppo e qualcuno invece ti fa dei complimenti per il tuo aspetto, non festeggiare l'evento mangiando cibi ipercalorici!
Un soggetto che sente di non avere il controllo oppure che ha un controllo minimo sugli esiti delle situazioni interne ed esterne valutate disfunzionalmente pericolose presenta un alto set di vulnerabilità che induce ad un decremento di fiducia in sé, poca fiducia in sé crea sfiducia e quest'ultima decrementa vieppiù la fiducia residua.
La fiducia in sé riguarda la valutazione positiva che un soggetto ha delle proprie risorse personali nell'affrontare i problemi. Ma quando per esempio il pensiero è difettoso a causa dell'inclinazione: a considerare minime le proprie risorse, a considerarsi debole o inadatto o incompetente, ad esagerare i problemi oppure ad incolparsi perché non può permettersi di sbagliare; allora c'è il rischio che la fiducia in sé venga talmente minata e corrosa da rendere il soggetto assolutamente vulnerabile.
Anche se in passato ha conseguito risultati positivi, il soggetto vulnerabile crede che in futuro potrà sempre sbagliare e che le conseguenze degli errori saranno molto più gravi.
Sembra che la sua memoria faccia riferimento solo agli insuccessi. Tale è il caso per esempio di uno studente con un buon curriculum generale e pochissime votazioni sotto la media che dovendo sostenere un esame impegnativo, si sente assolutamente insicuro poiché gli pervengono in mente flussi di pensieri negativi come: "...se questa volta non mi ricordo tal argomento" o "...e se il professore percepisce che sono insicuro", ecc.; l'attenzione dello studente si incentra sulla sua incapacità e ciò determina l'abbassamento del suo livello di prestazione.
Le conseguenze dell'indebolimento della fiducia in sé intaccano globalmente la vita della persona sia nel campo delle relazioni sociali che in quello individuale.
Quando la persona vulnerabile diviene disperata, a causa dell'instaurarsi di una modalità di insicurezza permanente, può "decidere" di lasciarsi andare e abbandonare completamente il raggiungimento di qualsiasi obiettivo.
In tal caso il set di vulnerabilità evolve in stato depressivo. Nella depressione il soggetto si autocritica totalmente, le sue valutazioni negative sono globalmente pervasive, non ha futuro, i suoi sbagli non potranno mai più essere rimediati, si sente sempre e comunque inadatto, non potrà mai più sentirsi gratificato, nessuno si interesserà mai più di lui e non sarà mai più capace di affrontare le avversità o di migliorarsi.
Diversamente, il soggetto con disturbo d'ansia conserva una "scorta" di fiducia in sé che gli consente una certa selettività, pertanto la sua vita non presenta i termini di irrevocabilità e assolutezza dello stato depressivo.
Spesso accade però che disturbo d'ansia e stato depressivo si intersechino o si sovrappongono per cui il soggetto ansioso a volte è depresso, mentre il soggetto con tratto depressivo è quasi sempre ansioso.
Chi desiderasse approfondire il tema della depressione può utilmente consultare il testo di Beck sull'argomento.
Hai mai pensato che puoi riprendere il controllo di una situazione interpersonale "scegliendo" di lasciar perdere il tuo desiderio di voler controllare: il tuo interlocutore avrà l'illusione di controllarti, ma tu sai che così non è!
Qualche volta puoi anche fare a meno di denigrarti accettando di essere quello che sei: non è rassegnazione ma constatazione di realtà.
La vergogna è come il vaccino contro una malattia virale: devi esporti a piccole dosi di vergogna per allenarti alla stessa, così come si assumono piccole dosi di virus attenuato per evitare la grande infezione.
La sindrome agorafobica è il risultato di un insieme di componenti sostanzialmente riconducibili:
Benchè etimologicamente agorafobia significhi paura di spazi aperti, quelli chiusi come le banche a chiusura controllata, gli ascensori o altri spazi ristretti come docce, bagni ecc. possono provocare pari i sintomi dell'agorafobia.
La possibilità di collassare, di rimanere intrappolato o umiliato dalla gente scatena automaticamente una serie di pensieri negativi collegati con disturbi interni gravi sentiti come assolutamente reali e riguardanti l'infarto, il collasso, la pazzia e perfino la morte. Da tali attacchi interni sembra possibile difendersi.
L'individuo sente che non funziona bene e che non è in grado di affrontare ciò che altri fanno quotidianamente senza nemmeno pensarci (guidare un'auto, avere contatti sociali senza bloccarsi, mantenere l'equilibrio in piedi o camminando, ecc.): ciò non fa che rinforzare il flusso di pensieri negativi i quali insistono sul sentire di essere in preda di forze interne ed esterne su cui non si ha nessun controllo.
Non trovando alcuna soluzione al suo problema, l'agorafobico si rivolge allora ad una figura protettiva per ottenere aiuto (genitore, partner, ecc.) che aiuta si il soggetto, ma nel contempo così agendo, conferma anche il suo disturbo e la sua "diversità".
Il disagio intenso provato nelle situazioni minacciose può sfociare in attacco da panico e in ogni caso spinge la persona a fuggire dalla situazione ansiogena per cercare un rifugio sicuro (di solito a casa propria), Poiché la casa rappresenta la sicurezza, il soggetto avrà sempre più paura ad avventurarsi fuori e se dovesse farlo, lo farebbe con molta ansia.
Il sentirsi inadeguati, il bisogno di una figura protettrice e la tendenze svalutative delle proprie capacità minano alla radice la fiducia in sé e spingono ad una ulteriore senso di inadeguatezza consistente sostanzialmente in rapporti personali di sottomissione e alla sensazione di non avere nessuna via d'uscita.
I rapporti personali di sottomissione riguardano per lo più il coniuge o il partner e sono vissuti in modo ambivalente. Da una parte l'agorafobico ha bisogno del partner a cui chiedere aiuto quando è necessario, dall'altra si ribella a tale dipendenza specie quando il partner usa la sua posizione per dominare.
Interrogato su quali siano i suoi più grandi desideri, l'agorafobico si riferisce ad un non ben chiarito concetto di libertà, all'autonomia e al tenere tutto sotto controllo. Quest'ultimo aspetto in particolare unitamente alla paura di non riuscirvi, potrebbe concernere un desiderio represso di rompere le regole sociali che gli stanno "strette". Genitori e familiari significativi eccessivamente criticanti e/o severi possono preparare il terreno all'insorgere dell'agorafobia circondando il soggetto con regole di comportamento e/o morali da cui il soggetto stesso non può fuggire e che vive ambivalentemente fra accondiscendenza e ribellione.
Non può sfuggire come l'ambivalenza rispecchi gli spazi stretti (luoghi con molta gente, ascensore, aereo, doccia, ecc.) quando è più o meno consciamente rammemorata l'accondiscendenza e la compiacenza vissuta costrittivamente e gli spazi larghi (centri commerciali, supermercati, pianure, ecc.) quando più o meno consciamente viene rammemorata la ribellione vissuta come desiderio di libertà in cui però ci si perde in quanto si è soli, senza l'approvazione cioè delle figure protettrici (genitori, familiari significativi).
La paura della paura di entrare in una zona pericolosa o minacciosa instaura un circolo vizioso da cui è difficile uscire poiché si automantiene in vita omeostaticamente, in tal caso, l'attacco di panico può aver luogo quando il soggetto entra in una situazione dove c'è già stato un attacco, quando ci sono avvisaglie di uno stato interno spaventoso che indica il pericolo oppure quando il soggetto si separa dalla persona cui fa riferimento per la protezione e il soccorso ovvero si allontana da casa.
Più tenti di non pensare alle tue paure per non spaventarti e più ti spaventi perché i pensieri paurosi divengono più invadenti. Fai la prova delle mani: non pensare alle tue mani! e rimani ad osservare cosa ti viene in mente.
Per una volta sola smetti di pensare per estremi cioè o tutto bianco o tutto nero: fai con il pensiero la prova dell'incontro con la persona per te importante abbandonando gli estremi (rifiuto, ridicolizzazione/accettazione incondizionata) e dicendo a te stesso: "andrò e vedrò cosa succede".
Hai mai pensato che quando, in fila davanti ad uno sportello - mettiamo della posta - ti sei sentito male ed eri sul punto di svenire, avevi più paura di far brutta figura che di morire.
Il sistema migliore per liberarsi dalla paura di fare una certa cosa non è aspettare di non aver paura per agire, ma semplicemente agire con la paura in qualità di tua alleata.
L'ansia esprime ciò di cui hai paura: se temi di far brutta figura, la tua ansia te la farà fare - la profezia si autodetermina.
La sindrome ossessiva è caratterizzata da pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti invadenti e non desiderati che non hanno alcuna correlazione con l'oggetto dell'ossessione (ad esempio un padre o una madre che immaginano di uccidere il proprio figlio, oppure impulsi a desiderare atroci sofferenze per un amico, ecc.).
I tentativi messi in atto per evitare o neutralizzare l'ossessione mediante sostituzione con altri pensieri o azioni si rivelano del tutto inutili e conducono la persona alla sensazione di essere anormale; di non funzionare bene. D'altro canto il soggetto si rende conto che l'anormalità delle sue ideazioni provengono solo dalla sua mente senza alcuna imposizione esterna. Spesso ma non sempre la sindrome ossessiva è accompaganata da quella compulsiva.
La sindrome compulsiva riguarda azioni e comportamenti ripetitivi e/o rituali al fine di scaricare sugli oggetti (esorcizzare) paure che il soggetto non riesce ad arginare diversamente.
Come nella sindrome ossessiva, anche in quella compulsiva le azioni ripetute, i comportamenti insoliti e i rituali non hanno diretta relazione con la paura e l'angoscia che si vogliono evitare (ad esempio il ripetuto lavaggio delle mani potrebbe voler significare simbolicamente l'eliminazione di qualche cosa di "sporco" dalla propria mente oppure il portare i guanti bianchi potrebbe voler significare che il mondo contamina il soggetto oppure ancora il controllo ripetuto e irrefrenabile di letture o di conti potrebbe voler significare la ricerca della perfezione, ecc.).
Gli adulti e coloro che non sono fissati sulla superiorità delle loro ideazioni si rendono perfettamente conto che le loro azioni e i loro comportamenti sono sproporzionati e non razionali.
La diagnosi di sindrome ossessivo-compulsiva è posta allorquando le azioni e i comportamenti che provocano grave ansia interferiscono pervasivamente con la vita della persona in situazioni di relazione sociale, di lavoro o di quotidianità.
Ad esempio l'alzarsi più volte dal letto durante la notte per assicurarsi di aver chiuso il gas o le finestre, il camminare sulle mattonelle senza calpestare le righe di divisione delle stesse, il pulirsi le suole delle scarpe, mettiamo dieci volte sul tappetino di entrata, il contare qualsiasi serie di oggetti e decidersi per l'azione solo se sono pari o solo se sono dispari, ecc. sono tutti tentativi diretti ad esorcizzare paure e colmare l'ansia ma il sollievo è provvisorio ed allora ecco di nuovo la ripetizione. Quest'ultima diventa allora diventa il tormentoso disturbo cerebrale che provoca angoscia e fa "dimenticare" ciò che causa la ripetizione di azioni, comportamenti e ideazioni.
La sindrome ipocondriaca è stata inclusa in questo link poiché assume gli aspetti dell'ossessione unitamente a quelli della paura.
L'ipocondriaco teme fortemente di poter conseguire una grave malattia basandosi su segni e sensazioni del corpo interpretati per eccesso o erroneamente.
L'ossessività concerne la continua e costante ricerca di segni nel proprio corpo nonché il pervicace ascolto delle sensazioni offerte dalla propria mente, la paura riguarda l'eventualità di potersi ammalare gravemente.
Diversamente dall'attacco di panico in cui la paura di un disastro fisico interno favorisce la intensificazione dei sintomi che il soggetto tenta ma non riesce ad arginare confermandogli la convinzione di poter aver una grave malattia, nell'ipocondria è la ricerca ossessiva dei sintomi che porta all'acutizzazione degli stessi alimentando senza fine la convinzione di poter avere una grave malattia.
In più, tale convinzione venendo puntualmente disattesa dai medici interpellati e dalle analisi fatte, porta il soggetto a ritenere che la sua patologia sia così complessa che la scienza, con i mezzi di cui dispone, non sia in grado di diagnosticarla e di curarla. Non solo, ma continuando ad analizzare i segni del proprio corpo nonché rimanendo in apprensivo ascolto dello stesso, il soggetto è praticamente indotto ad una ricerca senza fine di soluzioni mediche e farmacologiche.
Sei un essere umano. Puoi anche concederti di essere imperfetto!
Puoi darti il permesso di cambiare: continuando ad agire come hai sempre agito, vuol dire conseguire quello che hai sempre conseguito.
Dire: "mi sento come se stessi per svenire!" e poi star male, significa far diventare l'analogia una realtà!
Quando assumi il ruolo di vittima usando la tua ansia per manipolare e controllare gli altri, devi giocare continuamente al rialzo, devi cioè diventare sempre più drammatico ed emotivo per ottenere l'attenzione degli altri.
Quando stai sbagliando, sorprenditi facendo l'opposto di quello che hai sempre fatto: per liberarti dall'ansia devi provarla.
La fobia è costituita da una paura specifica ed intensa di un oggetto , di un animale, di una situazione, di un evento sociale o di uno naturale.
Il termine fobia tradotto dal greco significa terrore e fuga, ed infatti il soggetto tende a fuggire o a evitare ciò che teme, se non c'è né fuga né evitamento si instaura la reazione emotiva dell'ansia.
Lontano dalla situazione fobica il soggetto riconosce che la sua paura è esagerata, ma ciò nonostante non riesce né a eliminarla né a ridurla quando ne è in presenza.
Nella pratica clinica un paziente fobico cerca un aiuto psicoterapeutico poiché riconosce di soffrire in situazioni in cui altre persone provano non più che un modesto grado di apprensione e poi perché è stanco di dover subire delle limitazioni al proprio agire evitando costantemente le situazioni temute. Il problema poi si complica in presenza di fobie multiple dove evitare tutte le situazioni temute diventa difficile, defatigante e invalidante.
Il tentativo di classificare le fobie in base al nome dell'oggetto o dell'evento si è rivelata nel tempo impresa molto ardua poiché la fonte dell'ansia non è l'oggetto in sè, ma le conseguenze dannose cui il fobico potrebbe andare incontro in presenza dell'oggetto o quando si verifica l'evento.
Praticamente le fobie sono tante quanti sono gli oggetti o gli eventi che possono determinare paura. Inoltre è il vissuto esperenziale del fobico a determinare la paura delle conseguenze; ad esempio la claustrofobia da ascensore può determinare una o più di una delle seguenti conseguenze: paura che i cavi dell'ascensore si spezzino, paura di rimanere intrappolato con la porta chiusa fra un piano e l'altro, paura di rimanervi chiuso tanto a lungo da dover morire di sete o per mancanza d'aria, paura di svenire e provare vergogna o imbarazzo nei confronti degli altri occupanti, paura di perdere il controllo e sbottare in urla o comportamenti osceni, ecc.
Da un punto di vista generale le fobie gravitano per lo più su contenuti riguardanti il pericolo fisico e le difficoltà interpersonali in situazioni sociali. Ambedue i contenuti possono presentarsi insieme oppure essere separati.
Da un punto vista evolutivo le fobie possono essere di origine traumatica o da fissazione e per successivi passaggi evolversi in specificità, diffusione e molteplicità. Ad esempio un bambino che in conseguenza di una lisca di pesce conficcatasi in gola corse il rischio di soffocare, sviluppò in seguito la fobia del pesce, estesasi successivamente a tutto quel cibo che poteva nascondere qualcosa di aguzzo (il pollo, la selvaggina volatile, ecc.) e successivamente ancora per ogni oggetto che avesse riferimento con il cibo e si presentasse aguzzo come stuzzicadenti, spiedini, ecc. Sicchè quando quel bambino divenuto adulto prova senso di soffocamento in presenza mettiamo di un paio di forbici diventa problematico poter cogliere la relazione traumatica primaria con la lisca di pesce.
Le fobie da fissazione riguardano paure infantili o primordiali che il soggetto non ha avuto modo di elaborare successivamente o a causa di un processo di evitamento autonomo ovvero aiutato dai genitori. Imparare ad evitare l'oggetto o la situazione rinforza il sintomo così che la paura si instaura e si mantiene omeostaticamente.
Generalmente le paure infantili concernono danni fisici mentre quelle preadolescenziali riguardano possibili danni psicosociali. Ad esempio se il bambino ha imparato ad evitare tutti i luoghi alti perché sono pericolosi avendo provato paura intensa quando, poggiato mettiamo su di un tavolo o su un seggiolone, si muoveva per esplorare e i genitori avevano una reazione eccessiva di allarme per una eventuale caduta, è possibile che da adulto salendo su una scala o guardando verso il basso da un ponte sviluppi mancanza di equilibrio e vertigini.
I danni psicosociali possono riguardare la fobia degli esami, quella delle vacanze, il parlare in pubblico, ecc. Ad esempio le situazioni nelle quali un figlio è messo dai genitori a confronto con presunte qualità di altri fratelli o di altri ragazzi con l'intenzione di stimolarlo a far meglio possono sviluppare nel ragazzo stesso un senso di inadeguatezza a contatto con gli altri o per la loro competenza o il miglior aspetto fisico. Se in futuro le situazioni di confronto saranno evitate in quanto stimolatrici di inadeguatezza, non c'è da meravigliarsi se il soggetto svilupperà una fobia nel parlare in pubblico per il timore di venire giudicato oppure una fobia per le figure d'autorità per il timore del rimprovero oppure ancora per approcci con una persona di sesso diverso per timore del rifiuto.
Le fobie multiple riguardano diversi stimoli fobici apparentemente fra loro non collegati. Un esame più approfondito mostra come le conseguenze delle varie paure siano riconducibili ad una sola. Ad esempio una donna con la fobia del casco nel negozio della parrucchiera, con quella dell'ascensore, degli intasamenti stradali, dei mezzi di risalita in montagna (funivia, seggiovia), di assistere ad uno spettacolo teatrale, dei vestiti attillati, della puntualità e dei contratti di affitto a lunga scadenza, presentava come base comune la costrizione: sentirsi cioè come prigioniera di eventi o di oggetti. Ulteriori indagini cliniche misero in evidenza un'educazione cogente e inibente da parte della madre.
Da ultimo si vuole segnalare che l'indicazione di irrazionalità di una paura non è sufficiente a cambiarla. Siano più comprensivi i familiari e gli amici del fobico e non gli dicano che basta la volontà per cambiare poiché le fobie sono ascrivibili a cause che sono al di fuori del controllo del soggetto.
Volere l'assoluta certezza che ciò che temi non succederà significa mettersi al di sopra dei comuni mortali: considerare la possibilità che vada male non implica necessariamente che ciò accadrà, ma anche se sfortunatamente dovesse accadere potrai sempre rimediarvi realisticamente.
Spesso, se non quotidianamente, un soggetto ansioso può chiedersi: "…ma perché sono così?" "…da cosa dipende questo mio star sempre male?", adombrando la convinzione più o meno consapevole che se conoscesse l'origine del suo problema potrebbe risolverlo o quanto meno attenuarlo.
Individuare le cause che producono i disturbi ansiosi è alquanto problematico poiché presentano una concatenazione di effetti che a loro volta diventano cause che si intersecano e si sovrappongono con altri effetti e così di seguito; inoltre la radicalizzazione del disturbo ansioso o fobico permette di risalire all'origine solo induttivamente: possono cioè essere fatte delle inferenze, ma anche queste sono disturbate da ricordi sbiaditi o distorti dal tempo e dall'interpretazione a posteriori.
L'individuazione delle cause non dà comunque la garanzia della scomparsa del disturbo così come conoscere la causa poniamo del diabete mellito o di una infezione virale non dà la garanzia della scomparsa delle patologie relative. Non esistono scorciatoie: sono necessari impegno, tempo e un lavoro specifico con un esperto se gli sforzi autoterapeutici non danno risultati apprezzabili.
Inoltre ogni essere umano ha un suo vissuto esperenziale unico derivante dalle relazioni che ha con se stesso, con le altre persone e le situazioni o eventi; ciò complica il problema poiché le cause non possono essere seriate e catalogate come è possibile fare per il diabete, per recitare l'esempio precedente.
Quando poi alla questione dell'ereditarietà dei disturbi d'ansia e fobici - al di fuori dell'annosa polemica fra genetica e ambiente - c'è da notare che la letteratura corrente ha rilevato esistere la possibilità di una predisposizione ereditaria al disturbo che l'ambiente può o meno accentuare.
I fattori ambientali possono essere fatti risalire in sostanza:
L'uso di farmaci - da assumere sempre e comunque con la prescrizione e sotto il diretto controllo medico - può rivelarsi vantaggioso nelle prime fasi di gestione del disturbo e in ogni caso per un tempo circoscritto allorchè la sintomatologia ansiosa è così altamente invasiva da costituire un grave handicap nello svolgimento delle normali attività quotidiane e del lavoro.
Il tempo durante il quale si assumono dei farmaci - specie quelli ansiolitici - deve essere assolutamente breve per evitare che il farmaco vada a far parte del sistema omeostatico delle "tentate soluzioni" mantenendo e alimentando il sistema stesso nel tempo.
Come sottolinea opportunamente Nardone (1993): "…sembra che ciò che determina la costituzione della forte sintomatologia fobica, non sia l'evento iniziale, ma tutto ciò che il soggetto mette in atto per evitare la paura. Ciò sta a significare che le "tentate soluzioni" operate dalla persona per sfuggire alla paura dello scatenamento delle proprie reazioni emotive e somatiche, conducono all'aggravarsi della sintomatologia stessa, finendo per costituirla ad un livello superiore di gravità, quello della completa generalizzazione delle percezioni e reazioni fobiche nei confronti della realtà".
Prima di iniziare una cura farmacologica, bisognerà accertarsi con il medico del rapporto rischi/beneficio, per esempio, nel caso degli ansiolitici (meno per i beta bloccanti) è possibile una dipendenza psicologica e l'assuefazione (che implica la necessità dell'aumento del dosaggio per conseguire i medesimi benefici iniziali); in alcuni casi addirittura il farmaco può provocare (almeno inizialmente) l'incremento della sintomatologia che si vorrebbe evitare.
Sarà anche necessario accertarsi degli effetti collaterali e delle controindicazioni (sonnolenza, intorpidimento, nausea, ecc.) che potrebbero interferire con l'attività lavorativa, specie se questa prevede notevoli livelli di attenzione (come guida di autoveicoli o uso di macchinari per esempio).
Quando insieme con l'ansia è presente uno stato depressivo si può venir curati con farmaci antidepressivi in associazione con ansiolitici. I medicinali antidepressivi devono essere assunti per tempi lunghi (superiori in ogni caso a tre mesi), hanno parecchi effetti collaterali negativi, ma non danno dipendenza.
Particolare attenzione va poi posta alla diminuzione o alla interruzione del trattamento farmacologico in esame senza previa consultazione medica, sia quando è in atto la sola terapia farmacologica che in abbinamento a quella psicoterapeutica a causa della possibilità di ricadute e recidive.
E' necessario aggiungere che, nel controllo dei disturbi fobico ansiosi sono da evitare nel modo più assoluto quelle sostanze che possono provocare una sintomatologia simile a quella dell'ansia come per esempio alcuni inibitori della fame agenti a livello centrale o alcuni stimolanti di sintesi e alcaloidi naturali come la caffeina, la teina e la teobromina (presenti rispettivamente anche nel caffè, nel tè e nel cioccolato).
Sono inoltre da evitare diete o farmaci autoprescritti - eventualmente consigliati consigliati dai vari settimanali patinati alla moda o dall'amico di turno che ne esalta i miracolistici effetti.
Trattamento d'elezione per i disturbi ansiosi e fobici è la psicoterapia breve (non abbreviata) focalizzata sul problema/i riferito/i dal paziente.
Essa deve essere condotta da psicoterapeuti - preferibilmente esperti nel trattamento dei disturbi in esame - iscritti all'Albo, che è consultabile presso i Consigli regionali dell'Ordine professionale degli psicologi presente in ogni regione d'Italia. Presso il medesimo Ordine può essere presa visione della tariffa oraria di prestazione (da un minimo ad un massimo) stabilita del Consiglio nazionale dell'Ordine nonché delle norme deontologiche cui devono ispirarsi gli psicologi e gli psicoterapeuti nell'esercizio della professione.
E' molto importante che lo psicoterapeuta - scelto personalmente o consigliato dal medico curante o specialista - sia persona con cui il futuro paziente possa trovarsi a suo agio in un clima di fiducia e accettazione reciproca, clima che di per sé è già terapeutico con i soggetti ansiosi.
Indicativamente la psicoterapia breve consta di alcune fasi - non necessariamente in sequenza temporale - sostanzialmente riconducibili a:
Il tempo necessario per portare vantaggiosamente a termine una psicoterapia breve oscilla da cinque a più o meno trenta sedute in relazione alla entità del disturbo (da leggero a moderato a grave). Tempi più lunghi possono rendere il trattamento controproducente o non necessario poiché non incoraggiano l'autosufficienza, potrebbero stimolare la dipendenza dalla terapia o ingenerare la convinzione che il problema non è di facile soluzione con conseguenti abbandoni della terapia o assuefazione alla stessa.
All'inizio del trattamento è consigliabile suddividere gli incontri in ragione di due per settimana (alcuni di questi possono anche essere anche di due ore quando, per esempio, è necessario stimolare deliberatamente l'ansia nel corso della seduta per poi dimostrare in che modo è possibile alleviarla).
Alcune volte, per motivi di ordine geografico, gli incontri possono avvenire quotidianamente per tre o quattro settimane. Tale cadenza temporale, lungi dal costituire uno svantaggio, consente invece un riscontro giornaliero e subito correttivo nel trattamento dell'ansia.
La terapia può anche essere effettuata con gruppi di persone (da otto a dodici circa) i cui componenti presentano omogeneità nei disturbi. Tale modalità, oltre che costituire un abbattimento dei costi rispetto alla terapia individuale, ha l'indiscutibile vantaggio del criterio della solidarietà costruttiva e dell'autoterapia per imitazione.
Bisogna infine precisare - anche se l'affermazione può sembrare ovvia - che l'efficacia di una psicoterapia è in diretta relazione alla risoluzione o quanto meno alla attenuazione dei disturbi (problemi) presentati dal paziente al terapeuta.
Accade talvolta che, su iniziativa di qualcuno uscito dal tunnel della reazione ansiosa, sorgano spontaneamente dei piccoli gruppi con l'intento di giovarsi reciprocamente nello scambio di esperienze e comportamenti.
Ci sono poi organizzazioni di auto-aiuto no-profit, la più nota delle quali in Italia è la L.I.D.A.P. (Lega Italiana per i Disturbi da Attacchi di Panico) con sede in La Spezia, che svolgono un preziosissimo lavoro di informazione e decentramento nel territorio dei gruppi che si auto-gestiscono.
Al riguardo, va notato che, se lo scopo dei gruppi è nella reciproca informazione ed aiuto, possono dimostrarsi di una qualche efficacia nell'affrontare i disturbi ansiosi e fobici nella quotidianità, ma poiché all'interno dei gruppi non è prevista solitamente la presenza di uno psicoterapeuta esperto del problema, ben difficilmente possono determinarsi le condizioni per una cura risolutiva se non in casi di lieve entità.
Sono comunque da rifuggire quei gruppi che si costituiscono come occasione di incontro mondano o peggio ove l'incontro fra le persone si riduce allo scambio incompetente di informazioni sulle ultime novità nel campo dei farmaci e ove è possibile un incremento dell'atteggiamento depressivo nel reciproco compiangersi.
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Fonte: http://s197945d2108ca2d2.jimcontent.com/download/version/1280662072/module/4349279061/name/Disturbo%20da%20ansia.doc
Sito web da visitare: http://s197945d2108ca2d2.jimcontent.com/
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