Ansia e traumi

Ansia e traumi

 

 

 

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Ansia e traumi

Peter Levine, Ph. D.

 

Dare al corpo ciò che gli spetta

 

Il Corpo come Guaritore

Una revisione del trauma e dell'ansia

 

Percezione del proprio corpo

Un branco di impala sta pascolando tranquillamente, ma sempre all'erta, in un uadi dalla lussureggiante vegetazione. All'improvviso il vento gira, portando un odore nuovo ma familiare. Gli impala percepiscono il pericolo nell'aria e diventano subito tesi, pronti a reagire all'attacco del predatore. Per qualche istante annusano, osservano e ascoltano attentamente; se la minaccia non si materializza riprenderanno a pascolare, rilassati e vigili. Allo stesso istante però un ghepardo furtivamente appostato coglie l'occasione per balzare fuori dal suo nascondiglio. Il branco scatta compatto, come un unico essere, per fuggire al riparo nella boscaglia.
Ma un cucciolo, separato dagli altri, inciampa, prontamente tenta di rialzarsi, ma l'ombra incombente del ghepardo è su di lui. Il piccolo impala cade nuovamente e rimane a terra come un corpo morto. Attenzione: non è ferito, né sta fingendosi morto: ma ha subito un cambiamento improvviso della sua fisiologia, che lo fa rimanere immobile, come bloccato in uno stato di grave incoscienza. Se la belva non è troppo affamata o non ha i suoi piccoli da nutrire, la vita dell'impala può essere temporaneamente risparmiata: può infatti darsi che il ghepardo si trascini a casa la preda, che può riuscire a scappare approfittando di una momentanea distrazione. E se invece la divora subito, alla giovane antilope, grazie al suo stato alterato, analgesico, sarà almeno risparmiato, dalla natura misericordiosa, lo strazio di essere sbranata viva.
Un'indagine sul rapporto fra l’attività di fuga e di irrigidimento nelle strategie di sopravvivenza degli animali mette in luce una chiave finora trascurata per la comprensione e il  trattamento di svariate risposte di ansia come anche di certe condizioni psicosomatiche depressive. In particolare, risposte "post-traumatiche" e altre reazioni di panico e di dissociazione presentano significative somiglianze con il comportamento e la fisiologia degli animali-preda quando si accorgono di essere aggrediti senza scampo dai predatori. Normalmente per gli animali selvatici queste risposte di "congelamento" sono acute, durano appena qualche ora o soltanto qualche minuto: l'animale si salva o è divorato. Negli uomini invece la paura rinforza l'immobilizzazione e questi effetti di rinforzo possono essere persistenti, spesso anche per anni, o diventare addirittura permanenti se non sono adeguatamente trattati. Il veterano del Vietnam o chi ha subito molestie che si limita a rivivere, o a capire, o a ri-esaminare, oppure esprime la propria rabbia, paura o angoscia per quegli eventi senza al tempo stesso porre fine alle residue reazioni di immobilizzazione, rimane ancorato a questi retaggi primitivi, evolutivi. Incapaci di completare queste risposte, gli esseri umani diventano bloccati in uno stato di parziale immobilizzazione.
Continuano a orbitargli intorno, come moscerini intorno a una fiamma. L'alterazione dei loro comportamenti e della loro fisiologia e il disturbo dato dalle emozioni, l'umore e le sensazioni percepite continuano a riflettere queste ataviche risposte compulsive alla minaccia senza scampo.
Somatic Experiencing®  è un approccio biologico, orientato al corpo, che modifica queste reazioni di immobilizzazione fissata. Si basa sullo studio di normali comportamenti istintivi come modello per il trattamento di molteplici sintomi e sindromi di ansietà di origine traumatica. Somatic Experiencing® facilita la risoluzione di reazioni umane di panico e post-traumatche neutralizzando il congelamento rinforzato dalla paura. Riesce a ottenere questi risultati sganciando la risposta di immobilizzazione dell'individuo dalla paura generata internamente. Ciò consente alle reazioni post-traumatiche di immobilizzazione di completarsi come  normalmente avviene per gli animali selvatici.
Come approccio esperienziale/didattico "corpo-mente"  Somatic Experiencing®  utilizza il valore trasformativo della consapevolezza corporea  (la sensazione sentita) nella cura dell'indebolimento post-traumatico e nella risoluzione di svariate reazioni ansiose. Essa esamina la storia dello sviluppo dell'individuo nell’adattamento a eventi senza scampo che lo sopraffanno psicofisiologicamente.
Somatic Experiencing®  “traccia" le risorse neuromuscolari, autonome e percettive che sono necessarie per far fronte a situazioni che minacciano potenzialmente la sopravvivenza. In particolare considera gli schemi di sopravvivenza a disposizione dell'individuo come un riflesso delle risorse che sono venute a mancare al momento dell'attivazione traumatica.
Somatic Experiencing® si basa sulla rinegoziazione delle risposte traumatiche da paralizzanti-disadattative a attive-adattative. Ottiene ciò ripristinando quelle risorse (biologiche) di orientamento e difesa, che avevano fatto difetto nel momento dell'attivazione della minaccia di morte, portando all'immobilizzazione post-traumatica. Queste risposte esistono ancora, latenti, sotto forma di "potenziale genetico". Le risposte  di orientamento interessano quei meccanismi senso-motori che consentono agli animali di localizzare e identificare "novità" (e pertanto fonti potenziali di pericoli o vantaggi) che si presentano nelle vicinanze. Le risposte difensive includono i meccanismi di sopravvivenza: combattere o fuggire, di rannicchiarsi, zigzagare, ritrarsi, irrigidirsi, contrarsi, e così via. Il "potenziale genetico" rappresenta quegli schemi di orientamento e difesa che esistono, strutturalmente, sotto forma di organizzazione neuromuscolare.

Strategie di trattamento

 

Le diverse posizioni adottate per il trattamento psicologico del trauma riflettono cinque diversi punti di vista.
(1) Si ritiene che l'individuo sia "marchiato" a vita: il danno è irreparabile e il meglio che si può fare consiste nell'offrirgli sostegno, rassicurarlo, fornirgli farmaci e suggerirgli comportamenti adatti a far fronte alla situazione.
(2) Traumi inconsci possono essere rivelati da metodi analitici e rimossi con il rivivere, con la catarsi e con l’abreazione ( improvvisa comparsa di sentimenti inconsci a lungo repressi)
(3) Il paziente è esposto e desensibilizzato a elementi dell'esperienza traumatica con approccio comportamentale. Si possono usare tecniche di rilassamento e "biofeedback".
(4) Il lavoro di far uscire dal trauma è un processo psicodinamico che dura tutta la vita.
(5) Si può provocare la guarigione mediante la trasformazione del "significato" dell'evento traumatico; in questo approccio di tipo Eriksoniano   sono stimolate le risorse (inconsce) del cliente.
La prima posizione, praticamente di rassegnazione alla minorazione provocata dal trauma, riconosce l'importanza del sostegno, o delle relazioni sociali, e l'utilità di farmaci psicoattivi per il controllo dei sintomi. In ultima analisi si ammette che le conseguenze delle lesioni post-traumatiche siano permanenti. Il meglio che si può sperare è un calo dei sintomi nel corso del tempo e un graduale ripristino funzionale. Questo approccio è purtroppo assai spesso l'ultima risorsa di chi ha esaurito ogni risorsa.
Il secondo punto di vista, quello della scoperta dei traumi inconsci e della catarsi, implica un approccio che ha le sue radici storiche nei primi lavori di Freud e nei lavori pre-Freudiani di Josef Breuer, Jean-Martin Charcot, Franz Mesmer, e addirittura, nell'antichità, nelle opere di Aristotele. Si riteneva che i traumi fossero collocati nel profondo della mente "inconscia" ed esercitassero i loro dannosi effetti perché erano repressi. Si cercava perciò di curarli scoprendo e liberando queste energie represse e accumulate mediante il "riviverli" e la catarsi. Nonostante che queste tecniche di abreazione, di "scarica idraulica" abbiano perso favore, sono tuttora significative nel trattamento del trauma. Nel "rivivere” eventi traumatici, tuttavia, ai pazienti avviene spesso di scoprire altri episodi traumatici o di essere trascinati in un perenne "rivissuto" di un certo evento. Così, invece di vedere i loro traumi estirpati "chirurgicamente", i pazienti possono precipitare in pozzi senza fondo di terrore e disperazione.
Gli approcci comportamentali al trauma sono in generale più miti delle tecniche precedenti del rivivere e trattano più specificamente fobie e stimoli. Nei trattamenti per esposizione, ad esempio, il paziente è messo in rapporto con situazioni spiacevoli fino a che le sue risposte si siano "abituate" o "estinte". Si punta meno sull’abreazione , anche se possono verificarsi forti scariche autonome e catarsi. Per aiutare a disattivare l'esplosione di risposte incontrollabili del paziente sono anche usati altri metodi comportamentali quali "biofeedback" e “addestramento a rilasciare”.
Per il fatto di puntare soprattutto sulla scoperta di risorse biologiche innate e sulla "rinegoziazione" di risposte abituali per il passaggio dal congelamento paralizzante alla difesa attiva, Somatic Experiencing®  è del tutto differente dagli altri approcci sia di comportamento/esposizione sia catartiche. Somatic Experiencing®  offre inoltre valide intuizioni sulle ragioni per cui alcuni paradigmi e trattamenti di esposizione sono più efficaci di altri. E suggerisce fra l'altro che l'esposizione è efficace nella misura in cui promuove la ristrutturazione di risorse psicofisiologiche non disponibili al momento dell'episodio traumatico. Inoltre, considerando che i sistemi di sopravvivenza e di controllo agiscono in  modo complesso mediante inter-reazioni, le risposte traumatiche sono indirizzate soltanto indirettamente mediante metodologie lineari quali la desensibilizzazione, il biofeedback e il rilascio. La male adattata organizzazione (biologica) del congelamento paralizzante rimane essenzialmente immutata per effetto delle procedure di rilascio, anche se gli effetti benefici di queste ultime possono essere significativi.
Somatic Experiencing®  differisce dagli approcci catartici e comportamentali soprattutto perché esamina in modo specifico come la reazione al trauma fosse in origine configurata nel corpo e nei sistemi di percezione. Piuttosto che mediante il "rivivere" e la liberazione di sentimenti e desideri repressi, Somatic Experiencing® cerca di rinegoziare le risposte male adattate della persona a minacce che lo travolgono. E lo fa destrutturando gradualmente e progressivamente una risposta traumatica  specifica quale il congelamento cronico, e poi ristrutturando gli schemi neuromuscolari difettosi sotto forma di risposte flessibili di difesa e di orientamento.
Nei confronti di tutte le posizioni sopra accennate l'approccio di Somatic Experiencing®  per il trattamento di ansietà e risposte post-traumatiche si avvicina piuttosto al punto di vista di Erikson di "guarigione mediante trasformazione" (punto 5).
Somatic Experiencing®  offre peraltro un apprezzamento molto più ampio, sotto l'aspetto dello sviluppo, della funzione catalizzante esercitata dalle risposte motorie e dalle sensazioni corporee come potenziale latente.
Somatic Experiencing®  rappresenta un approccio naturalistico che traccia il copione funzionale interpretato dall'esperienza corporea nell'organizzare il comportamento e gli affetti. Essa riconosce nel comportamento e nelle sensazioni istintive le sorgenti della capacità degli organismi di autoregolarsi e guarirsi.
Il tipo di reazioni traumatiche trattate da Somatic Experiencing®  comprende, ma si estende ben oltre, quelle normalmente considerate dagli psicoterapeuti. Le cause sensibilizzanti e rivelatrici dello stress sottostanti al trauma comprendono la violenza emozionale, fisica e sessuale; i disastri, i disturbi intrauterini (della madre e del feto), il parto difficile, casi gravi di abbandono e di trascuratezza, la chirurgia, il rischiato annegamento, la malattia, l'avvelenamento, l'immobilizzazione prolungata, le lesioni fisiche (ad es. per incidenti d'auto), le aggressioni fisiche, i rapimenti, estreme sofferenze fisiche, mutilazioni subite o inflitte ad altri.  Somatic Experiencing®  studia anche gli effetti dello stress cronico. Tutti questi episodi sono suscettibili di far sorgere, sensibilizzare o aumentare le reazioni di shock post-traumatico. Le minorazioni traumatiche hanno origine quando le risorse di sviluppo biologico di un individuo non sono in grado di risolvere con successo una situazione minacciosa rimuovendo la minaccia o di sfuggirle attivamente.

         Somatic Experiencing® completa ed estende il trattamento psicologico della violenza e degli altri traumi mediante un uso ben calibrato dell'autocoscienza corporea; essa depotenzia le disfunzioni post- traumatiche identificando con precisione e ristrutturando gli schemi motori e psicofisiologici che sottostanno a una grande varietà di risposte traumatiche. 

La tigre sostitutiva

 

Il mio interesse per l'influenza essenziale delle risposte corporee e degli schemi motori nella genesi e nel trattamento dell'ansia è nato quasi per caso circa vent'anni fa quando una giovane mi fu indirizzata da uno psichiatra. Da due anni Nancy stava soffrendo di attacchi di panico. Non aveva risposto alla psicoterapia: tranquillanti e farmaci antidepressivi le davano soltanto un minimo sollievo. Lo psichiatra mi aveva chiesto di tentare una cura con massaggi e "relaxation training". Ma neanche i miei tentativi ebbero il minimo successo. Più lei resisteva, più io insistevo. Non approdammo a nulla. Poiché io non avevo allora alcuna esperienza di attacchi di panico e agorafobia, al colmo della frustrazione le chiesi di descrivermi in ogni dettaglio gli attacchi che subiva. Mi disse che l'innesco del suo primo attacco era avvenuto quando, con un gruppo di altri studenti, stava  facendo degli esami di ammissione all'università. Improvvisamente colta da terrore, si era sforzata di portare a termine la prova ed era uscita di corsa, camminando freneticamente a casaccio per ore, terrorizzata all'idea di prendere un autobus o un taxi. Per fortuna incontrò un amico che la accompagnò a casa. Nei due anni seguenti questi sintomi si aggravarono e divennero sempre più frequenti. Non si sentiva di uscire sola di casa, e non continuò gli studi nonostante che avesse superato gli esami e fosse stata ammessa a una delle più importanti università.
Nancy ricostruì per me la sequenza degli eventi. Sull'autobus per andare agli esami si sentiva ansiosa ma sicura di sé. (Quando riferì questo fatto, mi sorprese notare che il suo seno si sollevava e si dilatava rispetto alla sua abituale postura abbassata, "sgonfia".) Arrivata in anticipo, andò alla "caffeteria" a prendere un caffè e fumare una sigaretta. Trovò là un gruppo di altri studenti che fra loro commentavano la grande difficoltà dell'esame. Nancy si agitò, accese un'altra sigaretta e prese un altro caffè. Ricorda distintamente che quasi tremava all'idea di entrare nell'aula. (Notai un leggero aumento delle pulsazioni alla gola mentre descriveva questa sensazione.) Ricordava che ricevette il questionario della prova e che scrisse con molta facilità. (A questo punto si interruppe per un momento e divenne perfettamente immobile. Notai che il ritmo cardiaco alla gola stava rapidamente accelerando. Il seno ricadde. Le chiesi di stendersi e tentare di rilassarsi. Il ritmo cardiaco accelerò ancora fin quasi a 130. Avevamo purtroppo scoperto, con anni di anticipo rispetto a quando entrò nella letteratura medica, la "sindrome del panico indotto dalla rilassatezza.) La seduta continuò così:
Nancy risponde: "Non so... non riesco a ricordare... Io... Io non so!"
Nei suoi occhi compare uno sguardo fisso, come stupito, sfuggente. Per richiamare la sua attenzione, le chiedo se stava scrivendo con una penna o con una matita.
"Con una matita mi pare .... sì, è una matita."
"Riesci a sentirla fra le dita?"
"Sì, ecco... è una matita blu... voglio dire, lascia dei segni blu sulla carta..."
La respirazione e il cuore cominciano a rallentare. Mi sento sollevato, ma soltanto per un momento. La pulsazione continua a calare a precipizio fino a circa cinquanta battiti al minuto. Impallidisce, le tremano le mani: "Sono terrorizzata... tutta rigida... Mi sento morire... Non riesco a muovermi... non voglio morire... aiutami... "
Continua a irrigidirsi, la gola diventa così stretta che riesce a  malapena a parlare. Si sforza: "Ma perché non riesco a spiegarmi... mi sento così inferiore, come se mi stessero punendo...Devo avere un grave difetto di carattere... Mi sento come se mi stessero uccidendo ma non c'è niente... non si vede niente... "
"Senti la matita" suggerisco, non so perché. Risponde:
"Ora mi ricordo. Ricordo cosa ho pensato... che la mia vita dipende da questo esame."
Il ritmo cardiaco ricomincia a crescere, intorno a 80 pulsazioni, e accelera sempre più precipitosamente.
A questo punto per un attimo vedo, come in sogno, l'immagine di una tigre che scatta  all'assalto uscendo dalla boscaglia africana. Rimango attonito. Un lampo attraversa la mia mente: un recente articolo di zoologia che parlava di comportamenti di "immobilità tonica" o di "finzione di morte" da parte di animali-preda aggrediti da predatori mi fa esclamare ad alta voce: "Ti sta attaccando un'enorme tigre. Vedi la tigre che balza su di te! Corri ad arrampicarti su quell'albero, mettiti in salvo!"
Nancy emette un urlo straziante, da agghiacciare il sangue - urlo che fa accorrere un solerte poliziotto che passava per caso (il mio socio di studio si è incaricato di tranquillizzarlo). Nancy comincia a tremare, ad agitarsi e a singhiozzare in preda a ondate di convulsioni su tutto il corpo. La trattengo per circa un'ora mentre continua a tremare. Si è ricordata di un'esperienza terrificante della sua infanzia: l'anestesia con etere per un'operazione di tonsillectomia. Questa esperienza viene a galla attraverso immagini e sensazioni.
Ne abbiamo parlato, e quando è andata via si sentiva "come se fosse ritornata in se stessa". Ancora per alcune sedute abbiamo continuato l'addestramento alla rilassatezza, compresa l'affermazione. Smise la terapia, entrò all'università e conquistò il dottorato senza ricadute.
Spinto da miei propri processi di immagine, avevo indotto Nancy a identificare in una tigre-sostitutiva lo stimolo specifico e ben localizzato responsabile dell'ansia che l'assaliva in continuazione, il cui primo inspiegabile insorgere (favorito dalla caffeina, la nicotina e l'eccitazione per l'esame che si accingeva ad affrontare) era stato da lei associato alla sensazione della propria incapacità a sopravvivere a una situazione "di vita o di morte" (derivante dall'effettiva esperienza di una situazione di vita o di morte da lei provata, la tonsillectomia). Trovarsi presa come in trappola in una stanza chiusa aveva innescato la sua intensa reazione di panico. Durante la nostra seduta il richiamo alla fuga per salvarsi, a un esaltato livello di attivazione, aveva permesso di portare a compimento la risposta di fuga precedentemente fallita (nell'aula dell'esame e nella sala operatoria). Orchestrando tempestivamente e in modo adeguato quella simulazione di fuga difensiva Nancy aveva imparato una forma appropriata di risposta che le aveva consentito di modificare la sua primitiva risposta di congelamento. Questo apprendimento non è un apprendimento nell'usuale significato cognitivo, ma piuttosto nel senso della percezione corporea della ristrutturazione delle primitive risposte "del cervello corporeo" per tutto l'arco dal congelamento (l'antilope braccata) alla fuga attiva (sfuggire alla tigre sostitutiva).

Allo psichiatra, sbalordito dalla drammatica guarigione di Nancy, che mi chiedeva che tipo di cura avessi adottato, non sono riuscito a fornire una spiegazione. Non ero allora in grado di comprendere la critica e unitaria importanza della ristrutturazione delle risposte di attivazione per portare a compimento le rispose difensive inizialmente frustrate. Il trasferire stati di risorse somatiche da atteggiamenti abituali di collasso e congelamento ad altri aperti, sostenuti, in espansione è stata la chiave essenziale del successo, che continuò a rivelarsi valida in un grande numero di casi nella mia pratica di lavoro col corpo nei primi anni '70. In seguito, durante alcuni anni, mi sono stati indirizzati parecchi altri clienti che presentavano sintomi di ansietà e panico. Cominciai a comprendere che l'asse portante per la risoluzione di risposte ad angosce post- traumatiche e di altre origini è il trasferimento di atti motori inizialmente umiliati a risposte di difesa e orientamento. Si tratta di riadattare il corpo/mente biologico a modi di rispondere meno limitati.
Le situazioni di disadattamento sono identificabili osservando le posture abituali e gli  schemi di movimento del cliente, e forniscono indizi per la scelta di strategie di lavoro. Il riemergere del ricordo verificatasi per Nancy non era, come ben presto arrivai a convincermi, un componente essenziale né addirittura desiderabile per la risoluzione di stati ansiosi. Mentre il ricordo del trauma e la catarsi possono talvolta manifestarsi, il catalizzatore critico per il successo terapeutico è l'insorgere del potenziale genetico sotto forma di schemi specifici di attivazione delle difese.

Dare al corpo ciò che gli spetta

 

Aaron Beck e Gary Emery, nel loro importante libro, Disturbi da Ansia e Fobie, affermano che la cosa più importante per capire la paura, l'ansia ed il panico di una persona è la sua valutazione della situazione. Gli autori, nel capitolo "Capovolgere l'ansia" (Turning Anxiety on its Head), ritengono che nelle reazioni ansiose, la valutazione cognitivarappresenti il fulcro critico. Essi ritengono che, poiché l'ansia ha una forte componente somatico-emozionale, l'elaborazione cognitiva meno appariscente può essere trascurata sia nella teoria, sia nella pratica clinica. Concentrando l'attenzione sugli aspetti cognitivi dell'ansia si rischia di trascurare il fondamentale contributo delle risposte e sensazioni corporee. Proprio perché l'ansia ha una componente somatica così forte e preponderante, spesso la sottigliezza e la estesa gamma delle  sensazioni corporee sono adombrate dall'urgenza e dal significato dell'esperienza. Lo studio sistematico delle reazioni corporee, delle sensazioni e dell'esperienza sensoriale non soltanto è importante, essa è essenziale. Lo studio deve comprendere l'identificazione e l'analisi dei fattori sia cognitivi che percettivi. La valutazione dell'esperienza corporea consente una migliore visione di quella rete complessa che chiamiamo "ansia", riannodandone molti fili per la comprensione e il riassetto della sua base fisiologica ed esperienziale. Oltre a capovolgere  l'ansia alla sua percezione, dobbiamo riportare anche il corpo alla percezione di se. Verrebbe altrimenti a compromettersi l'intrinseca unità psicofisiologica che unisce strettamente il corpo e la mente.
I teorici della cognizione ritengono che l'ansia serva principalmente a segnalare al cervello la necessità di attivare una risposta fisica per  neutralizzare la fonte dell'ansia; avrebbe una funzione analoga a quella del dolore fisico. La sofferenza ci spinge a fare qualcosa per eliminarne la causa. La sofferenza non è la malattia: ne è soltanto un sintomo (di una lesione o di un'appendicite). Analogamente, secondo Beck, l'ansia non è il disturbo, ma soltanto un segnale del disturbo: "Noi esseri umani siamo fatti in modo da dare un grande significato alla percezione dell'ansia, così da essere costretti a prendere provvedimenti per cercare di sopprimerla." "La creazione di spiacevoli sensazioni soggettive promuovono una azione volitiva intenzionale diretta alla riduzione del pericolo."   Beck cita come esempi, lo scatenarsi dell'ansia quando un guidatore sente che sta perdendo il controllo del veicolo, e questo lo induce a ridurre la velocità fino a recuperare il controllo. Analogamente chi si sta avvicinando a un tratto di strada ripido tende a rallentare. Ma qual'è il vantaggio di una risposta del sistema cerebro-spinale involontaria, primitiva, globale, somatica e spesso immobilizzante? Serve soltanto a richiamare l'attenzione del soggetto a adottare certe specifiche risposte volontarie? Un ripiego così inefficiente non appare molto verosimile.
Tipica dell'approccio conoscitivo è una certa imprecisione nel valutare le sfumature essenziali delle sensazioni e delle risposte corporee alle strutture e all'esperienza dell'ansia. Ad esempio Beck afferma semplicemente che "per la fuga sarà adottata una specifica combinazione di schemi autonomi e motori, per il congelamento un'altra, e per lo svenimento un'altra ancora. Ma la sensazione soggettiva, l'ansia, sarà circa la stessa per le diverse strategie." E nel successivo paragrafo dello stesso articolo aggiunge: "Un atteggiamento attivo adatto a far fronte alla minaccia è in genere associato al sistema nervoso simpatico, mentre un atteggiamento passivo, reattivo al sentire una minaccia incombente, è associato al parasimpatico... (come in una fobia per il sangue).  In entrambi i casi il soggetto prova un'analoga esperienza d’ ansietà."
Queste afferrmazioni di Beck rivelano una incongruenza significativa nella fenomenologia dell'ansia e ne mette in evidenza la natura paradossale. Secondo il ragionamento di Beck, per tutte le forme di minaccia lo stesso segnale corporeo è trasmesso alle strutture cognitive del cervello. Ci si aspetta quindi che le strutture "capitali" siano in qualche modo in grado di scegliere lo schema di azione da adottare per ogni evenienza. Questo residuo di una esagerata logica Cartesiana cozza con i requisiti biologici fondamentali di una risposta alla minaccia immediata, precisa e non equivoca. E’  un modo di vedere che crea molta confusione, perché pretende che un feedback autonomo e propriocettivo decisamente diverso sia sperimentato come un medesimo segnale. In una visione Cartesiana del mondo abbiamo a tal punto preteso di identificarci con la mente razionale da ignorare totalmente la ben più estesa influenza delle risposte corporee istintive nell'orchestrazione e nella promozione del comportamento e della consapevolezza.
Gli animali possiedono una tale varietà di risposte di orientamento e difesa che sono in grado di rispondere automaticamente in modo rapido e "scorrevole" alle differenti situazioni di pericolo potenziale. Le sensazioni che portano alla fuga sono profondamente differenti da quelle che provocano il congelamento o il collasso. Beck spiega però correttamente come gli stati di panico e d’ansia post-traumatica hanno in comune l'esperienza della paura accompagnata dalla percezione della mancanza di scampo. La singolare esperienza d’ansietà di cui parla Beck si verifica soltanto quando è fallito il tentativo delle diverse risposte difensive attive, ossia quando la situazione è risultata sia pericolosa sia senza scampo. L'ansia nella sua forma patologica del panico (distinta dalla cosiddetta ansia da allarme) rappresenta la totale incapacità delle strutture difensive innate dell'organismo a mobilitarsi per consentire al soggetto di riuscire a sfuggire attivamente alle situazioni di rischio.
Quando la fuga è possibile l'organismo risponde con uno schema attivo adeguato alla situazione, ricorrendo alla consueta sequenza: pericolo, fuga e scampo. Quando la salvezza si è completata con successo non si verifica ansia, ma si sperimenta una fluida sensazione di competenza biologica. Se invece, nel processo attivato per risolvere una seria minaccia, il comportamento difensivo fallisce: si crea l'ansia. Dove forme attive di risposta difensiva abortiscono o non vanno a buon fine subentra uno stato ansioso. L'esperienza monolitica dell'ansia sottende una varietà di risposte corporee incomplete, sensazioni e percezioni corporee (sottostanti) identificabili. L’esperienza dell’ansia  è nel potenziale genetico dell'individuo fra le sue risorse difensive. La consapevolezza che questi comportamenti istintivi di orientamento e di difesa sono schemi motori organizzati, ossia atti motori predisposti, aiuta a "rimettere in piedi" il corpo. Perché in definitiva l'ansia deriva dall'incapacità di compiere con successo degli atti motori. Jean Genet, nel suo romanzo autobiografico Diario di un ladro (Thief' s Journal), afferma schiettamente nella premessa: "Ogni azione dev'essere sempre portata a termine. Qualunque sia il suo punto di partenza, la conclusione è sempre bellissima. Qualsiasi azione è riprovevole quando non è giunta a buon fine."
Se i comportamenti di orientamento e difesa si svolgono senza intoppi ed efficacemente, non si produce ansia. Si prova invece un insieme di sensazioni fluide, che possono essere percepite come curiosità, attrazione o ripugnanza. Soltanto quando queste risorse istintive sono ostacolate  interviene un'esperienza di ansietà: "Non temo serpenti o ragni velenosi, ma la mia incapacità a reagire con efficacia a queste creature.... In definitiva, io ho soltanto una paura, la paura di non essere in grado di farcela, e di riconoscere questa mia non capacità.” Senza risposte attive di difesa, siamo incapaci di lottare efficacemente contro i pericoli e così ci coglie l'ansia.

Orientarsi, difendersi, e fuggire

 

Una scena in un pascolo alpino spiega il concetto di atto motorio. Stiamo passeggiando a nostro agio in un grande pascolo. Improvvisamente vediamo muoversi un'ombra al limite del nostro campo visivo. Istintivamente ogni nostro movimento si blocca, e per riflesso ci chiniamo in una posizione raccolta: il nostro sistema nervoso si è spontaneamente attivato. Dopo questa momentanea risposta di blocco, spalanchiamo gli occhi girandoci automaticamente verso l'ombra, o la provenienza del rumore, per cercare di localizzarla e identificarla. I muscoli del collo, della schiena, delle gambe e dei piedi si coordinano per far girare e poi estendersi tutto il corpo. Gli occhi si aguzzano, mentre il bacino e il capo si spostano orizzontalmente per consentirci di avere una buona visione panoramica dei dintorni. Questo schema iniziale in due tempi di azione istintiva di orientamento ci prepara a rispondere prontamente a diverse possibili eventualità. La manovra iniziale alt/accucciarsi riduce la possibilità di avvistamento da parte di eventuali predatori e fornisce una certa protezione contro oggetti che cadono dall'alto. Ma per prima cosa provoca uno scatto convulsivo che interrompe ogni schema di movimento in corso di eventuale esecuzione e ci prepara a esaminare la situazione per scegliere il più appropriato comportamento di accertamento della situazione o di difesa.
Se l'ombra era proiettata da un'aquila in decollo, si passa  a un atteggiamento di localizzazione e inseguimento. L'adattamento della muscolatura di posizione e facciale avviene automaticamente. Questo nuovo "atteggiamento di interessamento", se integrato dalla sagoma dell'aquila che si innalza nel cielo, risulta in una sensazione di eccitazione. Questa sensazione di godimento estetico, che significa piacere, deriva da passate esperienze - può però anche trattarsi di una delle numerose potenti predisposizioni archetipe o correnti sotterranee che ogni specie ha sviluppato durante millenni di evoluzione. Molti Amerindi, ad esempio, hanno con l'Aquila un particolare rapporto mitico. Si tratta di una coincidenza, o c'è qualcosa, un profondo imprint entro le strutture del cervello, del corpo e dell'anima della specie umana che risponde intrinsecamente all'immagine dell'Aquila associata a eccitazione e sacro timore? Tutti gli organismi hanno una predisposizione, se non addirittura risposte specifiche di attrazione/repulsione, per le sagome che si muovono. Un pulcino, senza essere stato istruito da sua madre, fugge vedendo l'ombra di un falco in movimento. Ma se la direzione del moto di quest'ombra è invertita, fino a sembrare quella di un'oca, il pulcino non accenna ad avere una risposta di fuga.
Se l'ombra inizialmente apparsa nel pascolo fosse stata quella di un grizzly infuriato anziché di un'aquila che spicca il volo, avrebbe suscitato una reazione preventiva molto differente: quella di prepararsi alla fuga. Ciò non perché "pensiamo orso" e lo valutiamo pericoloso, e quindi ci prepariamo alla fuga: ma perché la sagoma indistinta e l'aspetto dell'enorme animale in avvicinamento proiettano sulla retina dei nostri occhi un certo particolare insieme di segnali luminosi. Ciò stimola nel sistema nervoso uno schema di impulsi o un accendersi  registrato nelle regioni di primitiva filogenesi del cervello. E il riconoscimento di questi schemi innesca risposte difensive, che possono derivare sia da predisposizioni genetiche che dal ricordo di precedenti esperienze con animali di grande mole. Si attivano circuiti nell'inconscio, che fanno scattare schemi predisposti o tendenze ad assumere pose difensive. I muscoli, i visceri e la spontanea attivazione del sistema nervoso collaborano alla preparazione della fuga. Questa preparazione è sentita cinesteticamente ed è correlata internamente come gestalt all'immagine dell'orso. Movimento e immagine sono fuse e registrate insieme in una sensazione di pericolo. Spinti da questa situazione continuiamo a esplorare in giro in cerca di maggiore informazione - un boschetto, qualche roccia - da portare a confronto con i nostri banchi di memoria personali e ancestrali. Calcoliamo inconsciamente le probabilità basandoci sul ricordo di simili incontri durante milioni di anni di evoluzione storica, oltre che su nostre esperienze personali. Ci prepariamo per la prossima fase di questo dramma in pieno svolgimento. Senza neanche pensarci, ci dirigiamo verso un grande albero con rami fino a terra. Proviamo un bisogno impellente di fuggire arrampicandoci. Se ci mettiamo a correre dritto verso l'albero abbiamo l'impressione di una corsa pilotata. L'urgenza di correre coincide con la sensazione di pericolo, e il buon esito della corsa è sentito come salvezza (e senza ansia!). Se d'altra parte ci imbattiamo in un orso affamato o ferito, e magari anche ci accorgiamo di essere circondati da pareti scoscese di roccia, ossia siamo in trappola, allora la preparazione difensiva alla fuga accompagnata dalla sensazione del pericolo è "demolita" e si trasforma brutalmente in uno stato emozionale forzato di ansietà. L'impressionante dipinto di Edward Munch, Angst, è una rappresentazione grafica dell'ansia. Tutta la nostra fisiologia e la nostra psiche sono precipitosamente costrette nell'ansia. La risposta consiste soltanto in un tentativo disperato di fuga a casaccio, rabbia, contrattacchi o in congelamento-collasso. Quest'ultimo offre la possibilità di attenuare la voglia di aggressione dell'orso. (Dal punto di vista dell'orso, e contrariamente all'opinione corrente, se non è ferito o perseguito, ed è in grado di riconoscere con chiarezza l'essere umano che si sta avvicinando, l'orso abitualmente non attacca l'intruso. Può perfino restare sul posto e continuare con le sue faccende come se niente fosse.)
Riassumendo, quando le normali risorse di orientamento e difesa non arrivano a risolvere favorevolmente la situazione, la vita rimane sospesa nel dilemma fra la fuga a casaccio, la rabbia, il congelamento o il collasso. La rabbia e il timor panico sono stati di ansietà secondari suscitati dall'insuccesso dei processi orientativi preparatori (sensazioni) di affrontare il pericolo e accingersi a fuggire, che sono bloccati o impediti. é questo blocco che si traduce in congelamento e timor panico.

Immobilizzazione totale - Congelamento

 

L'ansia è stata spesso messa in relazione con la fisiologia e l'esperienza della fuga o della lotta. Analisi etologiche dei comportamenti da grave turbamento (distress behaviors) suggeriscono che questa interpretazione può essere totalmente fuorviante. L'etologia ravvisa nella "repressione" della fuga l'origine dell’ansia. Quando un antilope al pascolo è assalita da una tigre, cercherà anzitutto di fuggire nella direzione più conveniente. Se però l'animale in fuga si vede circondato e capisce che le possibilità di scampo sono assai ridotte, comincerà a correre a casaccio, alla cieca, senza un orientamento ben definito, oppure si rivolterà a lottare disperatamente senza alcuna possibilità di scampo. Bruscamente, quando si vede in trappola, oppure al momento del contatto fisico con il predatore, spesso prima di aver subito qualsiasi lesione, l'antilope stramazza come morta. Non soltanto sembra morta, ma la sua fisiologia autonomica subisce una generale alterazione e riorganizzazione. L'animale è in realtà molto attivato internamente, anche se all'esterno rimane praticamente immobile. Gli animali-preda rimangono immobilizzati in uno schema ben marcato (catalettico-catatonico) di attività neuromuscolare e con intensa attività autonoma e di onde cerebrali. Al tempo stesso sono anche attivate le risposte del simpatico e del parasimpatico, che lavorano fra loro antagoniste, come freno e acceleratore. 
Nancy, quando aveva rivissuto l'esperienza dell'aula d'esame, aveva esibito questo schema quando la sua frequenza cardiaca era bruscamente aumentata per poi crollare altrettanto rapidamente. Nell'immobilizzazione tonica l'animale può congelarsi irrigidito in una accentuata contrazione dei gruppi di muscoli agonisti e antagonisti oppure piombare in uno stato muscolare ipnotico continuamente oscillante mostrando quella che è chiamata "flessibilità pastosa" (waxy flexibility). Nello stato ipnotico le posture del corpo possono essere modellate come creta, come accade negli schizofrenici catatonici. Può anche presentarsi un'insensibilità analgesica. Nancy ha descritto molti di questi comportamenti proprio mentre li viveva. Non era tuttavia consapevole delle sue sensazioni fisiche ma piuttosto dei propri giudizi di autocritica per le sensazioni. che provava. E’ come se uno dovesse per forza trovare una spiegazione per le forze profondamente disorganizzanti che sottolineano la percezione della propria inadeguatezza. Lo psicologo Paul G. Zimbardo è arrivato a proporre l'ipotesi che "la maggior parte delle malattie mentali non rappresenti una minorazione cognitiva, ma il tentativo di interpretare stati interni discontinui o incomprensibili." L'immobilità tonica, la furia omicida e la fuga disordinata ne sono esempi.
A queste risposte di immobilizzazione gli etologi attribuiscono importanti valori di adattabilità: il congelamento rende la preda meno visibile, e la preda che non si muove sembra costituisca anche per i predatori un potente fattore inibitorio dell'aggressione, arrivando spesso a far fallire totalmente le sue risposte di aggressione-uccisione. Le guardie dei parchi, ad esempio, consigliano ai campeggiatori che, se non riescono a sfuggire attivamente all'attacco di un orso (magari arrampicandosi su un robusto albero), dovrebbero stendersi sul ventre e restare immobili. Questo tipo di reazione è stato rappresentato drammaticamente nel recente bellissimo film, L'Orso.
Il gatto domestico, verosimilmente portato dalla sua natura a giocare, dà colpetti con le zampe al topo che si difende con l'immobilizzazione sperando di farlo uscire dallo stato di shock per poter continuare il gioco. L'immobilità può far guadagnare tempo alla preda. Può darsi che il predatore trascini la preda nella propria tana come in una dispensa dove tenerla in  serbo, dandole così una seconda speranza di salvezza. Oltre a questi accorgimenti per arrestare l'aggressione, il congelamento della preda in vicinanza del predatore. può costituire un segnale di allarme che dà il tempo di salvarsi agli altri animali del branco che si trovino a una certa distanza. La perdita di pressione arteriosa può anche evitare che esca sangue dalle ferite. L'animale-preda, rimanendo immobile, ha più probabilità di non esser visto o, se avvistato, di non essere attaccato; e, se è attaccato, di non essere immediatamente ucciso e divorato, aumentando così le sue possibilità di salvarsi e di potere ancora riprodursi. In un mondo in cui quasi tutti gli animali sono volta per volta prede e predatori, si tratta di un comportamento "umano" di adattamento biologico.
L'immobilizzazione totale dimostra che l'ansia può allo stesso tempo essere  un fattore di sopravvivenza e di autodistruzione. La risposta corporea di congelamento è l'ultima spiaggia, l'ultima via senza uscita che si adotta quando la fuga attiva è impraticabile. Quando la fuga e la lotta per sopravvivere si sono rivelate impossibili (o sono state percepite come tali), il sistema nervoso si riorganizza nell'immobilizzazione tonale. Sia fuggire/lottare che l'immobilizzazione sono risposte adattative. Quando sarebbe più opportuno fuggire o lottare, l'immobilizzazione sarebbe relativamente perdente, e analogamente quando l'immobilizzazione sarebbe la scelta più indicata, i tentativi di fuga o lotta sarebbero risposte male adattative. In casi estremi di impossibilità di salvezza attiva,  l'immobilizzazione rappresenta biologicamente una felice strategia. Se però diventa lo schema di risposta preferito in una situazione generale di attivazione, è profondamente debilitante. é l'esperienza deformante e paralizzante dell'ansia traumatica e panica. Ma immediatamente prima della risposta di congelamento sono state esercitate e consumate le preparazioni di difesa e orientamento per  la lotta o la fuga. Per “de-potenziare" l'ansia occorre ripristinare esattamente e nella giusta sequenza le risposte difensive latenti di lotta o fuga, che sono state attivate nei brevi momenti che hanno preceduto la chiusura delle vie di scampo.

Disassociare l'immobilizzazione suscitata dalla paura: un esempio

 

Il mezzo vincente per trattare le diverse reazioni di ansia post-traumatica è apparentemente molto semplice: dis-acoppiare (uncoupling) la risposta di congelamento dalla riattivazione della paura, che è normalmente acuta e limitata nel tempo. Ciò si realizza ripristinando progressivamente le risposte di difesa e orientamento, che erano in corso di esecuzione immediatamente prima dell'entrata nell’ immobilità. Esistono in pratica molte strategie che possono essere adottate per realizzare il dis-accopiamento della reazione di paura paralizzante o di panico.
(A titolo di esempio rimandiamo alle pagine 125-137 su Marius del libro di Peter Levine Traumi e Shok Emotivi di Macroedizioni  ]

 

Un passo successivo.

In tutta questa esperienza di guarigione somatica, io faccio la parte del tutore che conduce ogni ragionevole gestalt  a svolgersi al momento giusto: sono una guida, un maestro,  una levatrice piuttosto che un terapista. Spetta al cliente arrivare a identificarsi con il proprio senso corporeo di auto-rivelazione e controllo: la scelta del tempo è critica e determinante perché il suo sistema corpo-mente possa esprimersi come potenziale genetico.
"Sono convinto - scrive D. H. Lawrence - che la carne e il sangue siano più saggi dell'intelletto. L'inconscio corporeo è la sorgente da cui sprizza la vita dentro di noi. E’ ciò che fa sì che sappiamo di essere vivi, vivi nel profondo della nostra anima e in qualche modo in contatto con le più remote regioni dove c’è vita nel cosmo." Anche Eugene Gendlin parla di questa saggezza innata, nella tecnica psicoterapeutica "Focusing" (mettere a fuoco) di sua elaborazione.
In Somatic Experiencing® le risposte traumatiche sono affrontate con una vasta gamma di strategie, che vanno dal diretto contatto fisico e la gentile manipolazione all'uso di immagini, schemi di movimento e stati ipnotici. Ma ciò che unisce i vari trattamenti è che sono tutti intesi a destrutturare la risposta di ansia e ripristinare le risorse di difesa e di orientamento. Il quadro d'insieme fa vedere come i bisogni e le risorse di ogni individuo richiedano una specifica soluzione creativa e adattativa. Alcune strategie sono più lineari, altre ricorrono a fantasie mitiche. La risoluzione viene dall'intreccio creativo.
La trasformazione è un processo psicofisiologico integrato. Gli elementi dell'esperienza diventano coerenti e integrati in un processo di risoluzione. Tutti noi cresciamo e ci sviluppiamo al tempo stesso nella sfera mitico-somatica e nel mondo lineare-razionale. A Joseph Campbell, uno dei nostri saggi anziani, dobbiamo essere riconoscenti per averci fatto apprezzare questo dono della natura con i suoi libri e le sue stupende interviste televisive con Bill Moyers. Nel suo libro The Power of Mythe, Campbell ci inizia al vero mistero della realtà e dell'esistenza del corpo:

La gente dice che ciò che tutti cerchiamo è un significato per la vita. Non penso che sia questo ciò che realmente cerchiamo di conoscere. Penso invece che ciò che tutti realmente cerchiamo sia la percezione di essere vivi, così che le nostre esperienze di vita sul piano puramente fisico déstino risonanze nel nostro essere più intimo e possiamo sentire il sublime piacere di essere vivi nel nostro corpo.


Questa reazione, che si constata in quasi tutti gli animali-preda, varrà a impedire l'aggressione del predatore. Vedi G. Gordon Gallup & Jack Maser, Human Catalepsy and Catatonia, in Psychopatology: Experimental Models, ed. Jack D. Maser & Martin E. P. Seligman, (San Francisco: W. H. Freeman, 1977) 334-357. 

Stephen G. Gilligan, "Therapeutic Trances", in  The Cooperation Principle in Ericksonian Hypnotherapy (New York,: Bruner Mazel, Inc. 1987)

Aaron Beck e Gary Emery, Anxiety Disorders and Phobias: A Cognitive Perspective, (NY: Basic Books, 1985)

Aaron Beck, "Theoretical Perspectives On Clinical Anxiety", in Anxiety and the  Anxiety Disorders, ed. A. Hussain Tuma and Jack D. Maser, (New Jersey: Lawrence Erlbaum Associated Publishers, 1985), 188.

Ibidem.

Will Schutz, Profound Simplicity, 3a ed. (Muir Beach, CA.: Will Schutz Associates, WSA Publishers, 1988), 39.

Vedi Desmond Morris, Primate Ethology, (Londra:  Weidenfield and Nicholson, 1969) e A. Eric Salzen, "Social Attachment and a sense of security", Social Sciences Information 12,(1967): 555-627.

Gallup e Maser, "Catalepsy and catatonia", 345

Vedi Ernst Gelhorn, Autonomic-Somatic Integrations; Physiological basis and Clinical Implications, (Minneapolis: University fo Minnesota Presi, 1967);  vedi anche Pere Evine, "Stress" in Psychophysiology, ed. Michael G. H. Coles, Emanuel Donchin and Stephen Porges (New York: Guilford Press, 1986). 331-354.

Gallup e Maser, "Catalepsy and catatonia", 337.

Paul G. Zimbardo, "Understanding Madness: A Cognitive-Social Model of Psychopathology", relazione fatta su invito all'incontro annuale dell'Associazione Psicologica Canadese, Vancouver, B. C., giugno 1977.

Gallup e Maser, "Catalepsy and catatonia", pag. 350-354..

Ibidem, p. 354.

  I meccanismi di Titolazione, Espansione e Completamento  sono sviluppati in dettaglio dall'Autore come parametri terapeutici fondamentali nel libro The Body as Healer; Trasformare il trauma. pubblicato nel 1997 col titolo Waking the Tiger: healing Trauma, ,  tradotto e pubblicato da Macro Edizioni nell'ott. 2002 col titolo "Traumi e shock emotivi).  

- Eugene T. Gendlin, "On Emotion in Therapy", in Emotionals and the Process of Therapeutic Change,  ed. J. D. Safran e L. S. Greenberg, (New York: Academic Press, in corso di stampa - 1996).

 

Fonte: http://www.mentecibo.com/portale/images/trauma%20e%20ansia.doc

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