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L’autoconsapevolezza include la capacità di riconoscere noi stessi, il nostro carattere, le nostre forze e le nostre debolezze, i gusti e le avversioni. Sviluppare l'autoconsapevolezza può aiutarci a riconoscere quando siamo stressati o sotto pressione. Spesso è anche un prerequisito delle capacità di comunicare in modo efficace, e di sviluppare relazioni empatiche con gli altri.
La consapevolezza di sé rappresenta un obiettivo desiderabile e auspicabile per i raggiungimento della maturità individuale.
Riconoscimento delle proprie emozioni, sensazioni e bisogni, delle proprie capacità, delle peculiarità del proprio carattere e comportamento, delle proprie qualità e difetti. Riconoscimento che non significa approvazione. Se, infatti, è auspicabile l’accettazione della persona in quanto tale, è utile correggere i comportamenti e gli atteggiamenti che si giudicano sbagliati e controproducenti.
Se vi è una maggiore autoconsapevolezza, diventa possibile una scelta più informata, più libera, consapevole. Questa consapevolezza riguarda non soltanto gli stimoli esterni, ma anche le proprie idee, i sogni, il flusso continuo dei sentimenti, sensazioni ed emozioni. A sua volta, l’autostima ne riceve nutrimento.
L’autoconsapevolezza rappresenta uno dei principali aspetti di valutazione della maturità individuale. Un individuo consapevole di sé, dei propri bisogni, delle proprie idee e valori, dei propri punti di forza e dei propri limiti ha maggiori possibilità di compiere scelte come individuo autonomo e non sottoposto a inutili costrizioni. Se vi è una maggiore autoconsapevolezza, diventa possibile una scelta più informata, più libera e consapevole. La soddisfazione dei bisogni, la capacità di riconoscerli e impegnarsi affinchè siano gratificati, portano l’individuo a percepire sé stesso come essere efficace, in grado di affrontare sia gli ostacoli che le sfide poste dal mondo esterno.
Si possono distinguere 5 tipologie di consapevolezza:
Un buon livello di consapevolezza di ciò che l’individuo prova, a livello sensoriale e dei sentimenti, viene definito da Rogers “congruenza”. Essa può essere sia interna che esterna. La prima è riferita al mondo interno dell’individuo, vale a dire la corrispondenza tra i propri sentimenti e sensazioni e la loro corretta percezione a livello della coscienza, dei pensieri (ad esempio, se sono arrabbiato mi posso permettere di sentirlo, senza aver bisogno di negarlo perché ad esempio non va bene arraggiarsi). La seconda riguarda, invece, la corrispondenza tra il mondo interno dell’individuo e il suo comportamento, tra ciò che sente e ciò che fa.
La soddisfazione dei bisogni, la capacità di riconoscerli e impegnarsi affinchè siano gratificati, portano l’individuo a percepire sé stesso come un essere efficace, in grado di affrontare sia gli ostacoli che le sfide poste da mondo esterno. Questo senso di autoefficacia è alla base dell’autostima dell’individuo. L’accordo interno tra sentimenti e pensieri e la capacità di mettere in atto comportamenti utili alla soddisfazione dei propri bisogni sono strettamente legati all’idea che ognuno ha di sé, a quella che, in definitiva, possiamo chiamare autostima.
È necessario distinguere l’autostima dal concetto che ognuno ha di sé. Mentre quest’ultima è la costellazione di elementi a cui una persona fa riferimento per descrivere sé stessa, l’autostima è la valutazione circa le informazioni contenute nel concetto di sé e deriva dai sentimenti dell’individuo nei confronti di sé stesso inteso in senso globale. È la consapevolezza delle qualità che si possiedono, ma anche dei difetti. Ma la valutazione del nostro valore, oltre che dalle conferme o disconferme che arrivano dall’esterno, dipende anche dalle caratteristiche a cui noi stessi diamo valore. Possono essere molto variabili i valori e le preferenze di ogni individuo e come possano influenzare, in un senso o nell’altro, l’autostima. La valutazione di sé, in definitiva, dipende dallo scarto esistente tra Sé percepito (che equivale al concetto di sé: una visione oggettiva, ma soggetta a distorsioni e talvolta stravolta da preconcetti, di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presenti e assenti) e Sé ideale (l’immagine della persona che ci piacerebbe essere). Se esiste una discrepanza tra Sé percepito e Sé ideale si possono creare dei problemi di autostima.
Una buona autostima corrisponde a una visione sana di sé: riconoscere realisticamente carenze e difetti, senza essere ipocriti. Una persona con un’autostima positiva si valuta in modo positivo e si sente bene in virtù dei propri punti di forza, quali essi siano. Se un individuo è in gran parte soddisfatto di sé stesso, questo non implica che egli non desideri in alcun modo essere differente; al contrario, una persona che ha fiducia in sé stessa spesso lavora sodo per migliorare le sue aree di debolezza e tuttavia si perdona se talvolta manca il bersaglio o non riesce in un intento. Viceversa, persone con una bassa autostima valutano con particolare rigore e durezza i propri difetti e sottovalutano le proprie qualità, spesso ricorrendo nell’errore di notare esclusivamente ciò che non riescono ad essere. Una bassa autostima può essere poco dannosa se influisce negativamente solo su alcuni aspetti del sé, ma altamente deleteria se riguarda la valutazione di sé in modo globale.
L’autostima globale, vale a dire l’autovalutazione integrata in tutte le componenti della propria personalità, può essere suddivisa in diversi ambiti:
L’autostima positiva è connessa a un funzionamento personale più felice e più efficace.
La depressione e i pensieri negativi che l’accompagnano riguardano spesso un’errata percezione di sé e della realtà.
Una persona che si sente bene con sé stessa può fronteggiare meglio le difficoltà che incontra. Si sentirà più in grado di affrontare le sfide che si presentano.
La consapevolezza di sè, dei propri punti di forza, di quelli di debolezza, del proprio stile, sia un punto di partenza fondamentale nello sviluppo delle proprie capacità.
D’altra parte è anche uno dei risultati più difficili da raggiungere, e su di esso siamo sempre in cammino, c’è sempre qualcosa da scoprire con maggiore profondità o ampiezza.
E’ esperienza comune che ciascuno di noi ha i propri punti ciechi. Analogamente al fatto che quando guidiamo esistano punti della nostra auto che sfuggono ad ogni specchietto retrovisore, così nelle nostre relazioni ci sono elementi di noi stessi chiarissimi agli altri e totalmente ignoti a noi.
Questa considerazione è stata tra l’altro formalizzata nel modello della finestra di Johari, secondo cui ognuno di noi, nelle relazioni, possiede 4 parti:
I quattro quadranti sono in comunicazione tra loro, se uno si muove, si muovono tutti.
La scoperta che ci siano elementi della nostra personalità noti agli altri e non a noi è qualcosa che per molti di noi è stato sconvolgente.
Questo accade sia per punti di debolezza che per punti di forza. A volte dal confronto con gli altri emergono delle capacità distintive che abbiamo sempre sottovalutato e appunto per questo non sviluppate e non sempre valorizzate.
Si evince subito che quindi una delle risorse principali per addentrarsi nei propri punti ciechi è il confronto con gli altri. Questo confronto ci permette a volte di effettuare il “salto di paradigma” più significativo: vedere noi stessi con gli occhi degli altri.
Questo si riesce ad attuare nella misura in cui sono disposto a mettere in discussione l’immagine che mi sono fatto di me stesso.
Bibliografia
Fonte: http://www.folignano1.org/wp-content/Progetti/www.pereducareunbambino.it/wp-content/uploads/2012/05/001-CHI_SONO.doc
Sito web da visitare: http://www.folignano1.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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