I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Le Emozioni
Nella filosofia razionalista del XVII secolo l’emozione viene considerata, fondamentalmente, come fonte di disturbo del comportamento razionale. Infatti, i primi studi davano un'accezione negativa delle emozioni, intese come disturbo al normale funzionamento dell'organismo ed erano soprattutto considerate come connesse alla parte animale e irrazionale dell'uomo, contrapposte quindi alla razionalità, considerata alla base del comportamento intelligente
Darwin, in un ottica evoluzionistica, riconosce alle emozioni un elevato valore adattivo, nella misura in cui, lungi dall’essere fenomeni meramente disturbanti, la loro funzione è di centrale importanza nella determinazione del comportamento e delle sue espressioni.
Successivamente un grande contributo alla rivalutazione delle emozioni fu fornito da Freud che descriveva le emozioni come non contrapposte alla razionalità, ma anzi come componente inscindibile del funzionamento della mente, in quanto fondanti la personalità dell'individuo. Secondo Freud lo studio delle emozioni forniva la chiave per aprire la porta del profondo.
In un ottica comportamentista l’attenzione è focalizzata sul comportamento emotivo. Tale approccio, da un lato ha avuto il pregio di fornire informazioni dettagliate e un gran numero di osservazioni sull’azione emotiva. Dall’altro, lascia in ombra la componente soggettiva delle manifestazioni emotive.
Le interpretazioni teoriche di come si articolano e producono le emozioni sono state numerose, ciascuna dando un peso differente alle diverse componenti neurofisiologiche, comportamentali e soggettive.
Teorie sulle emozioni
Teoria periferica di James-Lange
Nel 1884 James e Lange fornirono due teorie molto simili tra loro, definibili come teorie viscerali o periferiche delle emozioni. La prima teoria chiara e coerente sull’emozione è quella elaborata da James; nella visione di James l’emozione è vista come il risultato di una pregressa modificazione di parametri fisiologici. Gli elementi valutativi-cognitivi non precedono le risposte espressivo-motorie ma, al contrario, queste ultime determinano i primi. In altri termini, l’esperienza emotiva sarebbe elicitata dalla lettura soggettiva di modificazioni somatiche. Il punto di partenza dell'esperienza emotiva quindi è periferico, corrisponde alla componente espressivo-motoria, che esprime risposte riflesse a stimoli esterni mediate dal SNA. Un dato relativamente più recente ottenuto da Hohmann nel 1966 a supporto di questa teoria, è il fatto che i pazienti con estese aree del corpo paralizzate mostrano una diminuita capacità di provare emozioni intense.
Teoria centrale di Cannon-Bard
Una teoria contrapposta a quella di James-Lange è la teoria centrale proposta da Cannon (1927) ed elaborata poi da Bard (1934) che sostiene una contemporanea e simultanea attivazione tanto delle risposte espressivo-motorie quanto quelle relative a rappresentazioni mentali, dal momento che entrambe dipendono dalla stimolazione dei nuclei ipotalamici. Questa teoria era nata per spiegare delle particolari situazioni sperimentali osservate sui gatti. Era stato infatti notato che se privati di corteccia cerebrale, i gatti reagivano a degli stimoli dolorosi non con la fuga o l'evitamento (come succede normalmente) ma con un comportamento di rabbia, definita pseudorabbia, che si distingue dalla rabbia normale perché l'animale attacca qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro e si estingue immediatamente con il cessare dello stimolo.
Altre argomentazioni a favore di questa teoria riguardano il fatto che i cambiamenti nelle risposte fisiologiche sono troppo lenti per essere considerati come causa di vissuti emozionali. Secondo gli autori, inoltre, stesse risposte fisiologiche e stessi cambiamenti nell'arousal possono occorrere in stati emotivi diversi e in stati non emotivi e l'induzione artificiale, mediante sostanze chimiche, di risposte fisiologiche tipiche di emozioni estreme, non produce l'esperienza di quelle stesse emozioni.
Da quest'ultimo punto partì anche lo studio di Shachter e Singer (1962) che, in un famoso esperimento, indussero mediante iniezioni di adrenalina specifici mutamenti nelle risposte fisiologiche di un certo numero di soggetti. Le variabili furono manipolate in modo da ottenere diverse condizioni sperimentali:
- soggetti informati che avrebbero sperimentato dei cambiamenti corporei (palpitazione, tremori, rossore…)
- soggetti non informati
- soggetti informati in modo sbagliato
I risultati indicarono che i soggetti nelle ultime due condizioni si lasciarono più facilmente coinvolgere, da un collaboratore degli sperimentatori, in attività emotive e ad attribuire a tali attività la causa delle modificazioni nell'arousal.
Al di là delle differenze tra arousal spontaneo e indotto e della metodologia intrusiva utilizzata, il valore del tentativo degli autori è stato di capire quanto, nell'emozione, entrambi gli aspetti, quelli cognitivi e quelli comportamentali-motori siano rilevanti, e come l'arousal possa essere fonte di feedback cognitivo, confermando sostanzialmente quanto sia Darwin, sia James avevano sostenuto contro il senso comune.
Teoria di Common e Bard
I due autori propongono una teoria antiteetica a quella di James-lange, in cui le emozioni non sono viste più come effetto ma come causa di modificazioni somatiche. In altri termini, la percezione di una determinata situazione-stimolo determinerebbe, sulla scorta di una mediazione ipotalamica, l’insorgere di un vissuto emotivo che precede, e causa, le successive modificazioni somatiche. È chiaro che una tale interpretazione mette in primo piano il ruolo dell’esperienza e dell’apprendimento. Infatti, se si ipotizza che l’emozione dipende dall’analisi di determinate situazioni-stimolo mediata dall’ipotalamo, nel corso di tale analisi accanto a stimoli emotigeni filogeneticamente ereditati, è plausibile ipotizzare, vista la grande varietà di situazioni che suscitano in noi emozioni, che una buona parte di queste siano ontogeneticamente apprese.
Teoria comportamentista
La scuola comportamentista ha spostato l’attenzione dall’emozione intesa come vissuto soggettivo al versante fenomenologico della stessa: il comportamento emotivo (da considerarsi ereditario). Watson propone una teoria comportamentale nella quale lo studio dell'emozione parte dall'osservazione e dall'isolamento di soli tre comportamenti emotivi neonatali: paura (reazione di fuga), ira (attacco) e amore (riproduzione). Queste tre risposte si diversificano con lo sviluppo a seguito di apprendimento condizionato. Esse comparivano a seguito di specifiche situazioni-stimolo, rispettivamente: rumore improvviso, immobilizzazione e carezze sulle zone erogene. Il “vizio dell’esperimento di Watson stava nel fatto che lo sperimentatore, conoscendo lo stimolo applicato, poteva interpretare il comportamento da esso suscitato sulla base delle proprie aspettative.
La Teoria di mastro Lindsley
Lindsley propone una teoria dell’attivazione aspecifica. Perchè lo fa? Muovendo dall’osservazione della difficoltà di discriminare tra diversi stati emotivi, sia a livello comportamentale che neurofisiologico e dal ruolo di variabili contestuali nella lettura di una modificazione somatica “Shachter e Singer”. L’autore ritiene plausibile ipotizzare che a fronte di una intensa stimolazione si produrrebbe, con la mediazione della Formazione Reticolare Attivante, una attivazione corticale aspecifica, consistente in una scomparsa del ritmo alfa e da un attività di fondo di alta frequenza e basso voltaggio. Attivazione che assumerebbe una determinata connotazione emotiva piuttosto che un'altra in relazione al contesto in cui è stata provocata.
La teoria di Lazarus
Lazarus ci propone una teoria che, da un ottica cognitivo fenomenologica, cerca di cogliere i diversi aspetti dell’emozione.
Dopo aver definito le emozioni come “Stati organizzati complessi”, ci dice che tali stati constano di tre componenti: una valutazione cognitiva, un impulso all’azione e una reazione somatica concomitante. La schematizzazione, si sa, ha solo valore illustrativo, che poi i tre aspetti verrebbero esperiti unitariamente. È importante sottolineare che nella teoria di Lazzaro il ruolo di causa, nella genesi di un emozione, è attribuito alla valutazione cognitiva di una determinata situazione stimolo.
L’emozione, questa è bella!, nasce dal modo in cui l’individuo costruisce l’esito di una transazione con il suo ambiente. Da come, in altri termini, sulla scorta di apprendimento, memoria e pensiero, l’individuo interpreta e risponde attivamente agli stimoli che lo sollecitano.
Quando parla di impulso all’azione Lazarus non si riferisce necessariamente al comportamento manifesto, nella misura in cui, l’azione messa in moto internamente, non necessariamente deve tradursi in un atto concreto. Inoltre quando parla di impulso all’azione Lazarus si riferisce anche agli aspetti espressivi dell’emozione ( Mimica, postura, tono di voce etc), sottolineando come questi consistano in un ampio repertorio in cui trovano posto pattern filogeneticamente ereditati ed ontogeneticamente appresi. Infine, contrariamente alle teorie dell’attivazione aspecifica, ad esempio quella di Lindsley. Ritiene che le diverse emozioni siano caratterizzate anche sul piano neurofisiologico, da pattern altamente specifici e qualitativamente diversi tra di loro.
La teoria di Plutchik
Io la lascerei perdere, tu che dici!!!
Ontogenesi delle emozioni
Parlare di ontogenesi delle emozioni implica rispondere ad alcune domande fondamentali:
esistono stati emotivi primari già differenziati, o si ha a che fare, ab inizio, con uno stato emotivo generalizzato non differenziato? In entrambi i casi, sia che si parta da stati primari differenziati che da uno stato indifferenziato, quali sono i fattori che determinano, nel corso dello svilippo, la complessa e raffinata articolazione dei vissuti emotivi che ritroviamo nell’adulto.
Sherman, ripetendo l’esperimento in ceco! Osservo che la mancata conoscenza degli stimoli a monte del comportamento osservato si traduceva, nei soggetti giudicanti, in una bassa concordanza e in una sostanziale incapacità di differenziare significativamente tra stati emotivi differenti. Tali dati deponevano quindi a favore di uno stato di eccitazione generalizzato e non differenziato.
La Bridges è stata la prima autrice ad occuparsi della differenziazione delle emozioni a partire da questo stato. Secondo l’autrice i fattori che incidono sullo sviluppo emotivo sono da un lato la maturazione delle strutture nervose e dall’altro l’apprendimento.
Secondo L’autrice all’età di due anni sono ravvisabili, nel bambino, tutti gli schemi emotivi che è dato di trovare nell’adulto. La successiva differenziazione consiste in un aumento del numero e del tipo di situazioni in grado di suscitare emozioni, e in tale differenziazione un ruolo centrale sarebbe giocato dall’apprendimento.
Altro contributo fondamentale dell’autrice sta nell’aver rilevato come, in un ambiente adeguatamente stimolante, il procedere dello sviluppo emotivo segue tappe ben precise e che , la chiave di tale sviluppo sta nell’incontro tra potenzialità messe a disposizione dal processo maturativo ed un ambiente adeguatamente stimolante.
Gli esperimenti di Melzack su cuccioli di cane, inerenti l’effetto di ambienti scarsamente stimolanti sulla possibilità di sviluppare adeguate reazioni di anticipazione a stimoli dolorosi, sembrano andare nella direzione ipotizzata dalla Bridges, confermando l’esistenza di una stretta relazione tra potenzialità e fattori ambientali.
Canestrari, in un’elegante analisi, illustra come lo sviluppo emotivo sia legato a livelli di complessità crescente della consapevolezza di sé e della rappresentazione del mondo esterno.
Ad un primo livello, le interazioni tra il neonato e l’ambiente esterno, si fondano in larga misura sulle modificazioni interocettive che l’ambiente esterno suscita nel neonato. A questo livello, che l’autore definisce sensoriale-affettivo, le emozioni avrebbero da un lato una funzione di sopravvivenza, consentendo al neonato di comunicare uno stato di disagio inducendo un intervento regolatore; dall’altro, proporio in quanto mobiliterebbero una risposta, contribuirebbero a far emergere una prima, embrionale, consapevolezza di sé come agente causale e alla differenziazione tra il sé e ciò che è altro da sé.
Ad un secondo livello, che Canestrari definisce percettivo-affettivo, le mutate condizioni maturative, inerenti la capacità di percepire aspetti distinti della realtà, consentirebbero il sorgere di esperienze emotive in risposta ad aspetti differenziati della realtà. Intorno al terzo mese di vita il neonato sorride a qualsiasi sagoma presentata frontalmente che riproduce le caratteristiche del volto umano, tendendo ad orientarsi e a spingersi verso di essa. Evidentemente abbiamo a che fare con un emozione che non è più legata alla sensazione interocettiva di uno stato ma ad un oggetto che possiede una sua realtà fenomenica.
Questa esperienza contribuisce a rafforzare la percezione di sé come agente causale, nella misura in cui l’espressione emotiva induce non più e non solo, come nello stato precedente, un intervento regolatore su di uno stato di disagio, ma evoca una risposta emotiva percepibile “sorriso dell’adulto”.
Ad un ulteriore livello di integrazione, che Canestrari definisce cognitivo, l’emozione si libera dal fondamento esclusivo dei dati percettivi esterni e dei dati sensoriali interni, e, le risposte emotive possono persistere o sorgere indipendentemente dalla presenza di dati percettivi e sensoriali.
Comunicazione ed espressione delle Emozioni
Iniziamo con alcune domande:
Cosa è una espressione emotiva? Le epressioni emotive sono universali e innate o culturalmente determinate?
Riguardo la natura delle espressioni emotive è possibile notare, sulla scorta di un gra numero di studi etologici, che l’espressione emotiva sia da considerarsi come un comportamento ritualizzato, dove, quelle che erano le caratteristiche modificazioni della fase preparatoria di un comportamento “ad esempio l’attacco”, vengono amplificate ed utilizzate come segnale. In altri termini quello che era un comportamento che preludeva alla fase consumatoria acquista valore di segnale. Lungo la scala tassonomica è possibile rilevare, parallelamente ad una complessità crescente della muscolatura facciale, una gamma sempre più ampia di espressioni emotive.
Altra questione fondamentale è quella inerente l’universalità delle espressioni emotive e il ruolo giocato da fattori culturali nelle modulazione delle stesse.
Darwin, riteneva che le epressioni emotive fossero universali e innate. In effetti, numerosi rilievi sperimentale sembrano confermare, almeno parzialmente l’ipotesi Darwiniana. La maggior parte di codesti esperimenti a mirato a verificare la concordanza di giudizio di diversi soggetti rispetto a riproduzioni “foto, videotapes etc.” di espressioni emotive. Alcuni di questi esperimenti, superando alcuni “vizi di forma” in cui era caduto lo stesso Darwin “conoscenza delle ipotesi sperimentali, contesto culturale condiviso” sembrano confermare con ragionevole certezzail carattere universale dell’espressione delle emozioni di base. Un esperimento particolarmente significativo fu condotto da Ekman. Ai sui soggetti ( Indigeni Fore della Nuova Guinea”, mai venuti a contatto con popolazioni caucasiche, chiese di “recitare” con il viso emozioni relative ad alcune situazioni da lui proposte: gioia per l’arrivo di un amico lontano, dolre per la morte di un figlio etc.
In un secondo tempo le foto vennero mostrate a soggetti Europei e Nord Americani; il risultato fu un elevato riconoscimento pertinente delle diverse emozioni espresse e una elevata concordanza di giudizio tra diversi soggetti, specie sulle emozioni di base.
La “forza” dell’esperimento sta nel fatto che chi “recita” un’emozione senza provarla presumibilmente ricorre ad una immagine stereotipa della stessa. Ora, se tale immagine stereotipa fosse culturalmente determinata, risulterebbe difficile spiegare l’elevata concordanza emersa.
Con questo non si vuole dire che cultura e apprendimento non abbiano alcuna importanza. Come osserva Canestrari, a fronte di una dotazione universale, inerente l’espressione delle emozioni di base. I fattori propri di un contesto culturale agirebbero sulle regole che governano la modulazione degli stati emotivi e la loro connotazione.
Per cui, a fronte dell’universalità dell’espressione di una data emozione, ad esempio la rabbia, la manifestazione della stessa potrebbe essere consentita in circostanze diverse in diversi contesti culturali e , parimenti, essere connotata più o meno negativamente.
Molti anni più tardi Shachter e Singer introducevano il concetto di etichettamento “labelling”, per cercare di rendere conto di come, l’emozione, si possa considerare come risultato di un processo di attribuzione causale, in cui, le cause di una determinata modificazione somatica vengono fondamentalmente rintracciate nel contesto in cui la stessa ha avuto luogo.Secondo la teoria di Shachter il vissuto emotivo è strettamente legato a uno stato di attivazione generalizzata del sistema nervoso ed è necessaria l'interpretazione sulla base della ricerca di stimoli esterni associati. Si verifica così un etichettamento cognitivo dello stato. Ne deriva che la valutazione cognitiva determina la qualità dell'emozione, mentre l'attivazione determina l'intensità dell'emozione. Gli ultimi due gruppi dell'esperimento prima citato ricercavano quindi nell'ambiente degli indizi per comprendere il loro stato di attivazione.
Altri studi in ambito psicofisiologico condotti da Reisenzein, con l'utilizzo dei betabloccanti, hanno mostrato come la riduzione di sensazioni cardiache non attutisce l'esperienza emotiva, come si dovrebbe prevedere in base alle teorie periferiche.
Sarebbe quindi sopravvalutato il ruolo delle sensazioni fisiologiche, in quanto non esistono prove certe che l'attivazione fisiologica sia indispensabile per l'emergere di un'emozione. Un'applicazione in questo senso in ambito terapeutico si ha nelle terapie cognitivo-razionaliste.
Si delinea così una contrapposizione tra coloro che sostengono il primato cognitivo, secondo i quali è la valutazione di una situazione come rischiosa che induce la paura, mentre per i sostenitori del primato delle emozioni è la paura che permette di vedere e valutare il pericolo.
Oggi il ruolo di queste contrapposizioni appare ridimensionato, non si può parlare in termini assoluti di un primato, cognitivo o espressivo-motorio, vi è un diverso rapporto a seconda delle caratteristiche dello stimolo che ha determinato una risposta emotiva. Esistono delle emozioni più complesse, come la vergogna, o il senso di colpa, che richiedono una maggiore attività cognitiva rispetto a risposte emotive più semplici, come la paura, il disgusto, la rabbia, ecc., che fanno riferimento a una valutazione "automatica", appresa nel corso dell'evoluzione della specie, degli eventi esterni e delle risorse interne. È opportuno quindi considerare le emozioni come degli insiemi dinamici, costituiti da molteplici componenti organizzati in una struttura gerarchica, ed esaminare dettagliatamente tali componenti seguendo la traccia indicata dal modello di Scherer. Inoltre è importante ricordare che non sempre gli aspetti emotivi espressi dalle diverse componenti devono essere tra loro concordanti; l'espressione facciale può non corrispondere al vissuto emotivo cosciente, o ancora, l'espressione facciale può essere inibita, mascherata e non in linea con l'arousal espresso dagli indicatori fisiologici (battito cardiaco, pressione sanguigna, conduttanza cutanea…). Si tratta quindi di una relativa autonomia delle singole componenti.
Il saper percepire le proprie emozioni, saperle controllare e regolare, il saperle leggere negli altri, il sapersi motivare e relazionare con gli altri, sono componenti che determinano il concetto di intelligenza emotiva, riproposto nel libro di Goleman (1995) a partire dalla teoria delle intelligenze multiple di Gardner (1993), pur con la critica di quest'ultimo sul valore morale attribuito da Goleman all'intelligenza emotiva.
Goleman infatti vede diversi ambiti applicativi dell' i.e., cita diversi programmi di prevenzione per lo sviluppo dell'apprendimento emozionale che mirano ad una riduzione dell'aggressività e della violenza nelle scuole, che possono poi, in forma diversa, essere applicati anche in ambito clinico e lavorativo.
Anche al fine di valutare la competenza emotiva, è importante distinguere le diverse componenti delle emozioni: cognitiva, fisiologica, motivazionale, motoria e soggettiva.
Modificazioni a carico del sistema neuroendocrino
Le Doux individua una via diretta senza mediazione corticale tra talamo e amigdala che viene utilizzata quando è necessaria una trasmissione rapida, immediata e non precisa in riferimento alla qualità dell'emozione.
Studi di neuroimmagine dimostrerebbero un ruolo della regione prefrontale destra nella generazione di emozioni negative, mentre il lobo sinistro avrebbe un ruolo di modulazione.
Emozioni primarie e secondarie
Le emozioni primarie sono quelle in cui, più che in altre, è possibile rintracciare l'originario, carattere di risposte emotive. Gli studiosi sono concordi nell'individuarne almeno cinque: rabbia, felicità, tristezza, paura, disgusto. È ancora controverso il dibattito sull'inclusione della sorpresa tra le emozioni primarie, i dubbi riguardano anzi proprio il carattere emozionale della sorpresa.
Ekman descrive le caratteristiche che definiscono le emozioni primarie rispetto a quelle secondarie (più complesse):
Riferendosi alla formazione del "Sé referenziale" nel bambini tra i 15 e i 18 mesi di vita, Lewis (1990) ha suggerito di individuare un gruppo di emozioni di tipo più complesso che non hanno le caratteristiche di universalità dell'espressione facciale, né hanno pattern di attivazione fisiologica specifici e distintivi. In particolare distingue tra "self conscious emotions" (emozioni dell'autoconsapevolezza, quali imbarazzo, empatia, invidia) e "self conscious evaluative emotions" (emozioni valutative dell'autoconsapevolezza, quali vergogna, colpa, soddisfazione, orgoglio). Queste emozioni risultano da un'introspezione e da un processo valutativo e possono essere considerate emozioni tipicamente umane.
Metodi di studio
Sviluppo delle emozioni
Esistono due ipotesi teoriche fondamentali sullo sviluppo delle emozioni: quella della differenziazione e quella differenziale. La prima sostiene che le specifiche emozioni si differenziano nel corso dell'età evolutiva da un iniziale stato emotivo indifferenziato di eccitazione (sia accorda alla teoria dell'attivazione di Lindsley e al suo complemento cognitivo di Scachter e Mandler), mentre la seconda ammette la presenza di alcune emozioni primarie differenziate già all'età neonatale (teoria della innatezza, universalità e specificità, es.: Ekman).
I primi dati in linea con la teoria della differenziazione sono quelli della Bridges (1932) che con il metodo dell'osservazione arrivò a sostenere che le diverse emozioni si sviluppano da uno stato emotivo indifferenziato di eccitazione e che le reazioni comportamentali ed espressive si modificano attraverso l'apprendimento.
Dallo stato iniziale si osserverebbe dapprima una distinzione tra stato positivo e negativo e successivamente prenderebbero forma le altre diverse espressioni emotive. Elaborazioni più recenti come quella di Strofe descrivono le emozioni negative come il risultato di una eccitazione troppo intensa e perdurante, mentre le emozioni positive dipendono dalla fluttuazione moderata del livello di eccitazione.
Lo sviluppo emotivo è in stretto legame con lo sviluppo cognitivo e sociale e riflette nuovi livelli di organizzazione, in particolare:
L'ipotesi differenziale è stata principalmente sostenuta da Izard ed afferma che:
Secondo Izard le emozioni sensibilizzano il bambino ad un nuovo aspetto dell'ambiente e lo induce ad apprendere nuove lezioni cognitive; lo sviluppo emotivo quindi precederebbe quello cognitivo, aprendogli la via. Secondo Piaget invece emozioni e processi cognitivi si sviluppano contemporaneamente e non c'è emozione senza pensiero e viceversa.
Disturbi emotivi
La sensibilità emotiva è la capacità di reagire con partecipazione emotiva agli eventi ed alle sensazioni. La percezione emotiva può trasformare gli eventi e può condurre a disturbi psichici.
Uno squilibrio emozionale può presentarsi principalmente sotto due forme: una sensibilità esacerbata o un'indifferenza emotiva o affettiva (atimia).
Nella prima forma i soggetti presentano una soglia bassa e raggiungono stati elevati di eccitazione anche per sollecitazioni modeste (tratto ansioso). Può essere il punto di partenza per un'evoluzione psicotica (paranoia di persecuzione).
Nella seconda forma si osserva uno stato di indifferenza o inerzia di fronte a stimolazioni emotive e ambientali (tratti depressivi).
Un altro tipo di disturbo emotivo è legato invece all'incapacità di interpretare ed comunicare le emozioni, questo disturbo è definito alessitimia ed è alla base di molte forme di disturbo psicosomatico.
Fonte: http://www.formazioneesicurezza.it/AA_UNIVERSITA/Dispense/Periodo%2004/Psicologia/Le%20Emozioni.doc
Sito web da visitare: http://www.formazioneesicurezza.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve