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In memoria della psicologia dell’inconscio
Nella prima delle due introduzioni al nostro Freud, Jung, Steiner, abbiamo riportato le seguenti affermazioni di Steiner:
1) “vi posso assicurare che questi psicanalisti sono conoscitori e indagatori dell’anima molto, ma molto superiori ai consueti psichiatri universitari, sono molto superiori alla psichiatria, alla psicologia delle università, e da un certo punto di vista hanno diritto a disprezzare la spaventosa cosiddetta scienza (…) Siamo già arrivati al punto che si riconosce non trattarsi qui di alterazioni fisiologiche o anatomiche. La gente ha superato il materialismo ottuso, la gente non si arrende al materialismo, parla dell’anima. E’ una via lungo la quale si cerca di uscire dal puro materialismo per arrivare a conoscere l’anima”;
2) gli psicanalisti, tuttavia, pur avendo fatto “osservare che le cose dell’anima vanno studiate come cose dell’anima, non si avvicinano alla realtà spirituale, né vogliono avvicinarvisi”. Ne consegue che “la psicanalisi, costringendo gli uomini a studiare determinati processi animici senza gli strumenti conoscitivi necessari può conquistare solo dei “quarti di verità”: dei quarti di verità che possono però a volte risultare “più pericolosi degli errori””;
3) “facendo presenti queste cose, non vorrei ora criticare questi ricercatori, che davvero stimo molto per il loro coraggio che deve sempre essere grande abbastanza nel mondo pieno di pregiudizi del presente, ma proprio perché i problemi investono settori della pratica va ricordato che occorre uscire dall’unilateralità (…) Io riconosco l’importanza e la migliore onestà e volontà dei ricercatori in questo settore, ma anche nel campo della psicologia analitica essi finiscono per arrivare a risultati errati e unilaterali, perché lavorano con mezzi inadeguati di conoscenza” (1).
Con queste parole, Steiner esprime dunque, da un lato, soddisfazione e speranza, dall’altro, rammarico e delusione.
Quale speranza? Quella che la psicologia dell’inconscio (la “psicoanalisi” di Freud e la “psicologia analitica” di Jung), quale moderno impulso per una più viva e profonda autocoscienza, aiutasse l’anima cosciente a “uscire dal puro materialismo per arrivare a conoscere l’anima”, a passare dalla sua prima fase di sviluppo scientifico-naturale alla seconda scientifico-spirituale e a realizzare, in tal modo, un radicale rinnovamento culturale ed esistenziale.
Si tratta di una speranza analoga a quella che Fausto Antonini esprime invece così: non in ciò “che Freud esplicitamente dichiara”, ma in ciò “che egli e i suoi seguaci hanno di implicito”, e di “implicito non tanto consapevolmente quanto piuttosto inconsapevolmente” (2), vi è “una rivoluzione, la più radicale che abbia sovvertito e sconvolto l’ordine del pensiero umano. Non posso capire se non vivo e non posso vivere se non capisco (…) Ormai non possiamo scorgere più nel discorso soltanto la coerenza formale: essa è tanto più completa quanto meno quel discorso rinvia all’inconscio (…) E tuttavia si continua a vivere come se tutto ciò non si sapesse: in effetti non si sa. I discorsi inautentici della realtà quotidiana, come i discorsi filosofici sui classici del pensiero, sembrano ignorare quel livello, quella dimensione, quella prospettiva, da cui unicamente, oggi, potrebbero, trasformandosi, prendere significato non illusorio e vigore di vita” (3); cui aggiunge: “I problemi fondamentali della filosofia morale, la libertà della volontà, la creatività del pensiero, l’esistenza d’una sostanza spirituale immortale sono direttamente investiti dalle nuove scoperte e si avverte diffusamente il bisogno di una nuova impostazione, di un radicale rinnovamento (…) Se si volessero trovare le origini della psicanalisi bisognerebbe risalire a quelle di tutta la scienza moderna da Leonardo e Galilei” (4).
Le origini della psicologia dell’inconscio, vale a dire di un pragma (5) risanante l’abituale contrasto tra “teoria” e “pratica” (interiore), dovrebbero essere dunque ricercate, non in quanti – come, poniamo, Leibniz, Schelling, Schopenhauer, Eduard von Hartmann o Bergson - hanno affrontato il problema dell’inconscio sul piano filosofico, e perciò al modo dell’anima razionale o affettiva, bensì in coloro che lo hanno affrontato – come Freud e Jung – sul piano scientifico, e perciò al modo dell’anima cosciente.
“Esplorare l’inconscio, - afferma ad esempio Bergson – lavorare nel sottosuolo dello spirito con metodi propri, questo sarà il compito principale della psicologia nel secolo che s’inizia. Non dubito che l’attendano ricche scoperte, la cui importanza, forse, non sarà minore di quelle delle scienze fisiche e naturali dei secoli precedenti” (6).
Ma l’essenza della “rivoluzione” cui allude Antonini sta nel fatto che l’indagine scientifica, grazie alla psicoanalisi e alla psicologia analitica, prende a varcare i confini della res extensa (della natura), per inoltrarsi in quel mondo della res cogitans (dell’anima), da sempre riservato dominio o monopolio della speculazione filosofica (o della fede religiosa).
Non è significativo, in effetti, che ciò avvenga verso la fine del XIX secolo: negli stessi anni, cioè, in cui s’inizia la nuova reggenza dell’Arcangelo Michele (1879), in cui vede la luce La filosofia della libertà di Steiner (1894) e nei quali termina il kaliyuga o la cosiddetta “età oscura” (1899)?
Ma perché allora la delusione? Perché tale rivoluzione è fallita sul nascere dal momento che Freud, suo fautore e promotore, anzichè portare l’indagine, superando l’intelletto, al di là del confine che divide la vita della natura da quella dell’anima ha preferito, conservando l’ordinario livello di coscienza, naturalizzare l’anima, trascinandola al di qua di quel confine.
Non a caso, lo stesso Antonini (che, a differenza di Steiner, appare deluso, più che dalla psicoanalisi, dall’accoglienza che il mondo le ha riservato) distingue – come si è visto – ciò che in Freud (magari “inconsapevolmente”) è “implicito” da ciò che è viceversa “esplicito”, ammette “il carattere “riduttivo” della psicanalisi freudiana” (7) e riconosce che “il mondo freudiano appare, se non propriamente e rigorosamente materialista, certo improntato dalla considerazione deterministica della realtà” (8).
Che ne è stato, infatti, nella psicologia dell’inconscio, della “libertà della volontà”, della “creatività del pensiero” e dell’”esistenza d’una sostanza spirituale immortale”? E che ne è stato, soprattutto, dell’Io?
Fatto sta che mai si soddisferà – come dice Antonini – “il bisogno di una nuova impostazione, di un radicale rinnovamento” se non si avrà il coraggio, senza venir meno al rigore scientifico dell’anima cosciente, di “avvicinarsi alla realtà spirituale”: di portare cioè l’indagine in quella sfera (definita, da Jung, “collettiva”) che l’uomo moderno ha invero “rimosso” e precipitato nell’inconscio.
Ma quanto nell’uomo moderno è diventato “inconscio”, non è diventato per ciò stesso “occulto”? E per quale ragione, allora, chi non si scandalizza di fronte alla psicodinamica e alla scienza dell’inconscio di Freud e Jung (di chi si scandalizza non vale la pena di parlare), si strappa invece le vesti di fronte alla logodinamica e alla scienza dell’occulto (o scienza occulta) di Steiner? Parte forse dal presupposto che una conoscenza di ciò che non si dà ai sensi fisici (come i pensieri, i sentimenti e gli impulsi della volontà) non possa essere che prava superstitio? Ma parte allora da un “presupposto” o da un “pregiudizio”?
“Tutta la scienza occulta – osserva a questo proposito Steiner – deriva da due pensieri (…) Questi due pensieri sono: che dietro il mondo visibile vi è un mondo invisibile, un mondo che si nasconde a tutta prima ai sensi e al pensiero legato ad essi; che l’uomo, sviluppando certe facoltà che dormono in lui, può penetrare in questo mondo nascosto” (9).
Ebbene, l’inconscio, “personale” (Freud) o “collettivo” (Jung) che sia, non è forse “un mondo invisibile, un mondo che si nasconde a tutta prima ai sensi”? E attraverso le “libere associazioni” (proprie della psicoanalisi) o l’interpretazione dei sogni (utilizzata anche dalla psicologia analitica), non ci si sforza appunto di penetrare in esso?
La vera e decisiva differenza sta pertanto nel fatto che Freud e Jung pensano che si possa penetrare direttamente in tale “mondo nascosto”(e scoprirne la vera natura), fornendo degli strumenti o delle tecniche alla coscienza ordinaria (al pensiero legato ai sensi), mentre Steiner è convinto che vi si debba penetrare indirettamente, fornendo alla coscienza ordinaria degli strumenti o delle tecniche per sviluppare se stessa (liberando il pensiero dai sensi) e risvegliare pian piano “certe” sue facoltà latenti (i suoi gradi superiori).
Quanto auspicato da Antonini e inattuato da Freud e Jung, che hanno posto e affrontato il problema dell’inconscio (del sentire e del volere) prima di quello del conscio (del pensare), è stato dunque attuato a un più elevato livello da Steiner, che ha posto e affrontato il problema del pensare (del conscio) prima di quelli del sentire e del volere (dell’inconscio).
“La scienza dello spirito – dichiara infatti - è qui per estrarre dalla sfera dell’inconscio e per innalzare alla sfera del cosciente questo elemento direttamente connesso con la natura umana, con l’eterno della natura umana. La scienza dello spirito vuol essere la manifestazione di questo spirituale inconscio della natura umana” (10); e aggiunge: “La scienza dello spirito vuol essere per la conoscenza del mondo spirituale ciò che la scienza naturale fu ed è per la conoscenza del mondo esteriore. Essa potrebbe perfino venir designata come una figlia del pensare scientifico, anche se questo viene messo in dubbio da molti” (11).
Magari proprio da quei “molti” che preferiscono oggigiorno parlare, in modo del tutto generico (se non fantasioso), di “centri emozionali del cervello” o di “intelligenza emotiva” (12) piuttosto che impegnarsi ad esempio a distinguere, con la necessaria e dovuta precisione, la costituzione dal temperamento, il temperamento dal carattere, il carattere dalla personalità; oppure, le rappresentazioni dalle percezioni, le percezioni dalle sensazioni, le sensazioni dalle emozioni, le emozioni dai sentimenti, i sentimenti dagli stati d’animo, e così via.
Il passaggio dell’anima cosciente dalla sua fase di sviluppo scientifico-naturale a quella scientifico-spirituale impone comunque un “discorso sul metodo”: quello stesso che s’impose, cioè, allorchè l’anima cosciente, grazie a figure quali quelle di Francesco Bacone (1561-1626), di Galilei (1564-1642) o di Cartesio (1596-1650), prese a differenziarsi dall’anima razionale o affettiva, consentendo così alla moderna scienza naturale di nascere e di affermarsi.
Ma cos’altro rappresenta, da questo punto di vista, un’opera come L’iniziazione di Steiner (sottotitolata: Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori) (13), se non appunto una sorta di nuovo e superiore “discorso sul metodo”? E l’intera antroposofia, quale “via” della conoscenza (14), non è forse un “metodo” della conoscenza (15)? Osserva in proposito Steiner: “Proprio quando ci si voglia porre di fronte allo spirito su una base metodica altrettanto sicura quanto lo è la scienza posta di fronte alla natura, occorre trasformare il pensare scientifico, coniarlo in modo che possa diventare uno strumento adatto per la conoscenza dello spirito” (16).
Come il lavoro scientifico di Goethe (1749-1832), ripreso, ampliato e approfondito da Steiner (17), avrebbe potuto dunque assecondare il passaggio, nell’ambito naturale, dalla coscienza “rappresentativa” (inorganica) a quella “immaginativa” (organica), così il lavoro di Freud (1856-1939) e di Jung (1875-1961) avrebbe potuto favorire il passaggio, nell’ambito animico, dalla coscienza “immaginativa” a quella “ispirativa” (indispensabile, ad esempio, per una corretta comprensione dei sogni) e dissodare in tal modo il terreno per una fruttuosa semina della scienza dello spirito (della coscienza “intuitiva”). Puntualizza appunto Steiner: “Il naturalista ha da fare col corpo, lo psicologo con l’anima, e lo scienziato dello spirito con lo spirito” (18).
Ciò però non è avvenuto, ed è molto improbabile che possa ancora avvenire. Salvo qualche estetizzante o misticheggiante (luciferica) eccezione, per lo più di stampo junghiano, gli odierni seguaci della psicologia dell’inconscio non solo hanno infatti rinunciato all’anima, ma hanno anche preso a frequentare, con ingenuo entusiasmo, le “cattive compagnie” (arimaniche) delle neuroscienze, delle scienze cognitive e della psichiatria biologica (19).
In un editoriale di Mente & Cervello, Enrico Bellone saluta appunto “il ritorno di Freud nel quadro della scienza” (20): proprio nel quadro, cioè, di quella “spaventosa cosiddetta scienza” – come dice Steiner - che i pionieri della psicologia dell’inconscio, “da un certo punto di vista”, avevano “diritto a disprezzare” (ma dalla quale – non si dimentichi – venivano ancor più “disprezzati”).
Un saluto del genere equivale perciò a un epitaffio posto sulla tomba di una disciplina che avrebbe dovuto contribuire a migliorare “questo” mondo, ma che da “questo” mondo (e già nella culla) è stata invece ghermita e soffocata (21).
Potrebbe risorgere, è vero, ma come sperare in questa grazia senza votarsi allo Spirito stesso della resurrezione?
Forse non tutti (soprattutto tra gli “antroposofi”) saranno d’accordo con noi, ma di certo lo sarà chiunque abbia realmente afferrato le dinamiche sottese a La filosofia della libertà, l’intimo carattere dell’anima cosciente e l’assoluta modernità e attualità della scienza dello spirito.
Note:
Lucio Russo
Roma, 1 febbraio 2005
Fonte: http://www.ospi.it/ospi/Tutti%20gli%20articoli/In%20memoria%20della%20psicologia%20dell.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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