Riassunto antropologia

Riassunto antropologia

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Riassunto antropologia


Riassunti

Nascita dell’antropologia

Antropologia

Una delle prime dichiarazioni sull’antropologia fu fatta a Parigi da “La societé des Observateurs de l’hommes”. Qui si diceva che la cosa migliore da fare per rendere chiari alcuni punti oscuri della storia di popoli primitivi era quello di mettere a confronto le usanze e le abitudini di allora con quelle moderne Ancor prima, però, della nascita della società degli osservatori, si era parlato di selvaggi. Selvaggi, intesi come  persone  facenti parte  di società  primitive.  Illustri scrittori,  come  Rousseau e Montagne,                                                                                                                 hanno parlato di loro vedendoli come un conforto per l’uomo civilizzato, e sono quindi rimasti sempre in  secondo piano.
Gli osservatori dell’uomo avevano già una base su cui lavorare, infatti molti missionari, scrittori e soldati avevano parlato di popoli primitivi, ma il loro obiettivo era quello di ampliare il discorso facendo un confronto con differenze.
Uno dei primi osservatori dell’uomo, Gérando, poneva in primo piano lo studio dei selvaggi al fine di conoscere le tappe della storia trascorsa dall’umanità e quindi conoscere la natura umana. Per fare questo, dice Gérando, è necessario che il filosofo inizi a viaggiare e a conoscere in prima persona questi popoli. Nasce così la figura del “Viaggiatore filosofo” che ricorda la figura dell’antropologo moderno.
Nel 1805 tutto questo finisce. La società degli osservatori si divide a causa dell’Istituto nazionale francese che fa chiudere quella sezione. Nei successivi 50 anni il selvaggio ritornerà ad avere un ruolo marginale forse ancor di più di quanto lo era prima.
Joseph de Maistre, noto intellettuale del tempo, andava proponendo la sua radicale idea sui selvaggi come “teoria della degenerazione dell’uomo”. De Maistre diceva che i selvaggi erano tali perché si trovavano in uno stato di condanna a causa del peccato originale e l’uomo non poteva civilizzarsi da solo, in quanto la civiltà veniva donata in grazia da un’entità superiore. Su questo filone si trova d’accordo anche il vescovo Wathely che dice, l’uomo non può progredire autonomamente, ma solo grazie ad un aiuto divino, o ad un’altra civiltà civilizzata.
Verso la fine degli 1850 si vennero a creare due correnti di pensiero sulla storia umana. Da un lato c’era il creazionismo, che diceva che ogni variazione fosse il frutto di un evento estraneo all’uomo; dall’altro c’era l’evoluzionismo che diceva che nel corso del tempo sono avvenute delle mutazioni causate dall’influenza dell’uomo sull’ambiente.
L’ottocento rappresenta il secolo della rivoluzione scientifica e l’avvento della nuova borghesia. In questo stesso secolo si va affermando una nuova disciplina, la sociologia con il suo massimo esponente in Comte.
Il progresso della scienza e l’avvento di discipline come la biologia e l’archeologia,  fecero  cambiare alcuni metodi, infatti i reperti archeologici non venivano considerati come testimonianze del passato, ma venivano usate per confrontare il progresso. L’assunto degli evoluzionisti era che avendo facoltà mentali simili, gli uomini, ad un pari livello intellettuale, anche se in luoghi diversi, si sviluppano  in  maniera molto simile. Quanto più un popolo è sviluppato, tanto più è avanti nella scala che porta dal selvaggio alla civiltà.

L’antropologia evoluzionista dell’età vittoriana

L’Inghilterra, negli anni della Regina Vittoria era considerata come la patria dell’antropologia moderna. Questa fu definita da Tylor, uno dei fondatori della disciplina, “la scienza del riformatore” per indicare il contributo che l’antropologia poteva dare all’umanità.
Nell’opera più celebre di Tylor, Cultura primitiva, viene data una definizione di cultura secondo la quale essa è l’insieme delle credenze e usanze di una persona in una società. Da questa affermazione si può notare che la cultura è ovunque, è un insieme complesso, è acquisita ed è varia in quanto esistono numerose culture.
La cultura anche se è un insieme complesso può essere scomposta. Gli antropologi evoluzionisti partono da questo presupposto, dicevano che estraendo un dato elemento da varie culture si poteva capire l’evoluzione di quell’elemento. Anche Tylor pensava che esistessero popoli inferiori e popoli superiori. Secondo lui, infatti, i selvaggi rappresentavano i primitivi.
Gli antropologi evoluzionisti sono sempre stai attenti alle religioni, ed anche Tylor dedicò spazio a questo argomento. Proprio Tylor iniziò a parlare di animismo, ovvero la credenza nell’anima e negli esseri spirituali in genere. Questo, secondo Tylor, nacque dai sogni e successivamente l’uomo diede un anima a tutti gli essere e oggetti, fino ad arrivare al concetto di spirito. Con questo termini quindi, si indicava tutto ciò che si contrapponeva alla razionalità e al sapere scientifico. Secondo Tylor, infine, l’animismo si è andato evolvendo grazie all’accumularsi delle conoscenze, fino a riguardare solo il cristiano civilizzato.
Tylor introduce anche il concetto di sopravvivenze, ovvero il perpetuarsi di credenze o usanze antiche anche in culture nuove. Questo si spiegava poiché era esistito in precedenza, e proprio per questo continuava ad esistere. Le sopravvivenze sono dunque fossili sociali.
Gli evoluzionisti, furono gli antropologi che più si avvicinarono ed usarono il metodo comparativo. Questo, consisteva nel confrontare diverse culture sotto tutti i punti di vista.
Dopo aver analizzato questi aspetti, Tylor, volle dare a tutto un sapere scientifico, utilizzando il metodo delle variazioni concomitanti o delle correlazioni statistiche, con i quali volle calcolare le frequenze statistiche di certe usanze nelle discendenze marilineari e patrilineari, come ad esempio la frequenza delle couvade1.
Un altro famoso antropologo, Smith, si concentrò sulla religione e formulò una teoria secondo la quale, il dato primario di ogni esperienza religiosa, non era uno sforzo dell’intelletto primitivo a comprendere la realtà, bensì i simboli e riti religiosi. Secondo Smith la religione era connessa alla vita politica e sociale; infatti il praticare riti pubblici era un segno del rapporto degli individui con la società. Smith, per avallare la sua teoria, studiò a fondo il significato del sacrificio, che secondo lui consisteva, non tanto nel ingraziarsi una divinità, quanto una comunione tra la società e la divinità che rappresentava  l’unità della stessa società. La religione quindi rafforzava il senso di appartenenza ad un unico gruppo, quindi non risultava essere utile per la salvezza dell’anima, quanto per il benessere della società.
Probabilmente l’ultimo antropologo dell’età vittoriana fu Frazer, che si occupò di accostare il pensiero magico a quello religioso e a quello scientifico. Nel suo famoso libro, “Il ramo d’oro”, la sua ipotesi era quella che gli uomini inizialmente si accostarono alla magia nel tentativo di controllare la natura; successivamente tentarono di accattivarsi il favore della natura, con la religione; quando poi l’uomo capì che gli dei non potevano risolvere i loro problemi, iniziarono a conoscere in modo scientifico la natura e a risolvere praticamente i loro problemi.

 

Le origini dell’antropologia americana e Lewis H. Morgan

Negli Stati Uniti l’antropologia si affermò nell’800 ed ebbe come maggiore esponente Morgan. Il suo lavoro si concentrò sugli indiani grazie anche ad una sua amicizia con un pellerossa della nazione di Senéca.  Morgan studiò  sei nazioni,  tutte poste sulla  sponda  meridionale del lago  Ontario  e si soffermò

1 Comportamento atto al rispetto di tabù ed alla simulazione da parte dell’uomo, del parto o del post-parto.


molto sul concetto di parentela e notò che il modo in cui venivano designati i parenti era molto diverso da quello dei popoli civilizzati.
Le sei nazioni erano connesse in una stretta rete di rapporti ed erano divise in tribù. Le stesse tribù si trovavano in nazioni diverse e tutti si consideravano fratelli, in quando discendenti da  un  antenato comune. Morgan notò che le sei nazioni vivevano in modo politicamente democratico.
Morgan da sempre interessato agli indiani, sosteneva la teoria secondo la quale gli indiani d’america avevano origini asiatiche. Trovare quindi tribù asiatiche con sistema di parentela simili agli indiani d’america era un forte segnale a sostegno della teoria. Per questo motivo, iniziò a studiare personalmente vari popolo di indiani d’america e spedì questionari nel resto del mondo.
I risultati delle sue ricerche lo portarono a distinguere due sistemi per designare i gradi di parentela dei consanguinei, sistemi classificatori e descrittivi.
Morgan assegnò agli indiani Irochesi (popoli da lui studiati) i sistemi classificatori, in quando non si facevano distinzioni terminologiche tra i parenti consanguinei e quelli in linea diretta; mentre hai popoli europei, Morgan assegnò il sistema descrittivo, in quanto i consanguinei venivano distinti dai parenti in linea diretta.
Morgan spiegò la nascita di questi sistemi completamente differenti dicendo che i sistemi classificatori nacquero in una società basata su rapporti di parentela, i sistemi descrittivi invece, nacquero in società basate su rapporti di tipo politico.
Morgna spiegava, secondo un punto di vista evoluzionista, che con l’evolversi della società si evolvevano i sistemi di parentela; infatti i sistemi classificatori erano originari del periodo delle barbarie, mentre i sistemi descrittivi sono tipici delle società civilizzate.
La terminologia, nel sistema classificatorio, assumeva per Morgan lo stesso significato delle  sopravvivenze per Tylor e quindi poteva essere usata per la ricostruzione delle fasi dello sviluppo.
Morgan, negli ultimi suoi lavori, si occupò dell’evoluzione della società ed identifico tre periodi, che chiamò etnici, selvaggio-barbaro-civilizzato, e nelle prime due individuò tre sottoperiodi inferiore- intermedio-superiorie. Questi etnici venivano definiti in base alle scoperte e alle invenzioni che diventavano quindi indice di progresso.

 

Lo sviluppo dell’antropologia negli Stati Uniti e la “scuola” di Boas

Il 1800 si era distinto come il secolo che aveva prodotto un cospicuo aumento delle conoscenze sui nativi americani. Alla fine di questo stesso secolo un istituto britannico promosse una ricerca, che aveva come etnografo Franz Boas. Boas introdusse subito un nuovo metodo di ricerca, ovvero quello di occuparsi di aree culturali delimitate e specifiche, dando quindi vita al particolarismo.
Boas critica l’antropologia evoluzionista, in quanto non crede che ci sia un sistema superiore che abbia fatto sviluppare l’umanità ovunque, bensì un origine storica comune che abbia prodotto tratti culturali simili anche in popoli distanti tra loro.
Per Boas l’obiettivo principale dell’etnologia doveva essere la conoscenza delle cause storiche che avevano determinato quei tratti in quel popolo. Questo tipo di studio era possibile grazie al metodo storico, ovvero tenere in considerazione i costumi del popolo in relazione alla  luogo geografico e alle  tribù limitrofe.
Negli ultimi anni dell’800 Boas studiò una tribù indiana i Kwakiutl, e notò un istituzione molto particolare, il potlatch. Questa pratica consisteva nella distruzione di grandi quantità di beni, considerati  di prestigio. Attraverso il potlatch si affermava pubblicamente il proprio rango, quindi più si distruggevano beni, più si acquistava prestigio. Il potlatch serviva inoltre per rendere stabile la struttura economica della popolazione, infatti veniva distrutti beni come coperte o oggetti di rame che potevano alterare i rapporti di potere.


Per Boas, l’etnologia doveva anche saper cogliere i processi psicologici che operavano sullo sviluppo dei fenomeni culturali. Questo poteva essere fatto analizzando i comportamenti degli individui sulla società e le relative reazioni, ma la maggior difficoltà di quest’analisi risiedeva nell’etnologo, ovvero nella sua capacità di riportare tutto con la massima fedeltà.
Il primo studente laureatosi sotto la guida di Boas, fu Kroeber. Kroeber criticò subito alcune teorie tra cui quelle sul mito, dicendo che questo non poteva essere causato da una sola causa ma era l’insieme di tendenze inseparabili che davano origine al mito.
Uno dei più importanti lavori di Kroeber, è la critica hai sistemi di parentela di Morgan. Il tema centrale della critica era che non esisteva una distinzione tra sistemi classificatori e descrittivi, in quanto ogni popolo le possedeva entrambi, e non esistendo una distinzione tra i sistemi, veniva anche a cadere la relazioni sociali ad essi accostate. In questa critica però, Kroeber non ha tenuto conto di alcuni aspetti, tra cui il fatto che Morgan era consapevole che alcuni popoli usavano entrambi i sistemi, ma la differenza tra i sistemi risiedeva proprio nella tendenza del sistema classificatorio ad identificare con lo stesso termine sia parenti consanguinei che non.
La critica a Morgan, nasceva da un modo completamente diverso di vedere i termini di parentela, che per Kroeber rispecchiavano la psicologia. Kroeber, in un suo lavoro, identificò otto principi fondamentali che regolano la costituzione di tutti i sistemi terminologici e notò che alcuni popoli, come i britannici, tengono conto solo di alcuni, altri invece, come gli indiani li considerano tutti e otto.
Kroeber nel libro “Il superorganico” considerava l’oggetto dell’antropologia come Tylor considerava la cultura, ovvero un insieme complesso, e tale insieme non poteva essere messo sullo stesso piano della biologia in quanto la cultura non viene trasmessa con il patrimonio genetico. Kroeber porterà la sua antropologia ad estreme conseguenze dicendo che la cultura non è determinata dall’operare storico dell’individuo, in quanto l’individuo è sottoposto alla cultura.

 

Sociologia e Filosofia: la riflessione francese sulle società e la mentalità primitive

In Francia, lo studio delle società primitive, non si sviluppò fino alla fine del ‘800.
Comte fu uno dei principali autori nel genere, e focalizzò la sua attenzione sull’idea di un equilibrio e ordine sociale tutto come frutto di un sapere positivo. La guerra civile però aveva inclinato la sua concezione, in quanto non era in grado di sostenere la nuova mentalità delle masse.
Lo sforzo più significativo per cercare di risolvere i nuovi problemi fu fatto da Durkheim,
Durkheim individuò la soluzione hai problemi nella coscienza collettiva, ovvero l’insieme delle credenze dei membri di una società. La coscienza collettiva è presente in tutte le società ed è comparabile, e proprio da questa comparabilità Durkheim si avvicina all’etnologia.
Durkheim diceva che l’intensità della coscienza collettiva dipendeva dal tipo di solidarietà che esisteva tra i membri di essa. Se la vita sociale occupava ogni spazio della vita dell’individuo si parlava di solidarietà meccanica, se invece la vita sociale non occupava spazio nell’individuo, ma bensì era l’individuo che con atti intenzionali si occupava della società, si parlava di solidarietà organica. Le  società  civilizzate, precisa Durkheim, avevano una solidarietà organica, mentre le società primitive, usavano una solidarietà meccanica. Negli studi su alcuni popoli del Nordafrica, Durkheim identificò un tipo di organizzazione sociale segmentaria, dove ogni gruppo era diviso in piccoli gruppo, ed usavano un tipo di solidarietà meccanica.
In uno dei sui più importanti lavori, Durkheim, volle individuare le forme elementari che erano alla base della religione; questo gli fu possibile in quanto partì dal presupposto che tutte le religioni, dalle più semplici alle più complesse hanno delle rappresentazioni fondamentali.
Durkheim elaborò una teoria, il totemismo (considerato la religione più semplice), dove gruppi di persone adoravano  un simbolo, un totem. Con questo metodo, secondo Durkheim, si operavo  uno    spostamento,


ovvero si adorava il totem ma in realtà essi adoravano la società. Ciò che viene venerato attraverso un rito, non è un simbolo, ma la società stessa in quanto dotata di forza soprannaturale.
Durkheim, introdusse il concetto di fatti sociali, ovvero l’insieme di azioni che esercitano un potere sull’individuo (credenze, rito, ecc.).
Uno degli autori che sviluppò le idee di Durkheim, fu Lévy-Bruhl. Uno dei primi lavori di quest’autore, riguardò la morale, prima sotto un punto di vista filosofico e poi etnologico.
Lévy-Bruhl diceva che chiunque avesse l’idea che la morale fosse oggettiva, allo stesso tempo assumeva che la natura umana è sempre identica a se stessa; Lévy-Bruhl aggiunse che la morale va solo studiata, ovvero cercare di capire il diverso significato che essa può assumere in diversi contesti sociali.
Nei suoi successivi lavori, Lévy-Bruhl criticò il punto di vista, sulle rappresentazioni collettive, degli evoluzionisti inglesi. Egli infatti diceva che le rappresentazioni collettive, non erano fondate sulla base di operazioni individuali, ma erano imposte dalla pratica sociale, quindi erano dei veri e proprio fatti sociali. In base a questa considerazione, i rituali collettivi non erano più considerati incomprensibili, ma venivano analizzati tenendo presenta la società.
Lévy-Bruhl introdusse il concetto di partecipazione e pre-logica. La partecipazione era la tendenza mentale a stabilire delle relazioni tra varie rappresentazioni mistiche, mentre la pre-logica (non inferiore alla logica) è il tipo di logica dal quale dipende la partecipazione.

 

Tradizioni popolari ed etnologi in Italia

Studi antropologici in Italia, emersero in ritardo rispetto ad altre nazioni europee, questo perché in Italia si svolsero studi domologici, ovvero sulle tradizioni popolari.
Uno dei maggiori studiosi fu Costantino Nigra, che alla fine dell’ottocento, formulò la teoria del sostrato etnico. Nigra, studiando la produzione lirica popolare, divise l’Italia in due aree, una superiore, che comprendeva le regioni a nord dell’Appennino toscano, ed una inferiore che comprendeva tutte le regioni  a sud. Nell’area superiore, si trovavano liriche di tipo storico-romanzesco,  mentre nell’area  inferiore di tipo lirico-amoroso.
L’autore che effettivamente studiò demologia in Italia fu Giuseppe Pitré, in quanto non si limitò a studiare le tradizioni popolari, ma frequentò personalmente i ceti popolari. Pitré trascrisse tutte le  tradizioni siciliane, in “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”.
La figura più rilevante negli studi etnografici fu Lamberto Loria, che nel 1911 organizzò una Mostra di Etnografia Italiana, dove vennero esposti costumi tradizionali di tutte le regioni. La mostra si divideva in due concetti, finzione e autenticità, questo perché Loria e i suoi collaboratori si dedicarono alla ricostruzione dei costumi che ormai erano trasandati. Nello stesso anno Loria, organizzo il Congresso della Società Etnografica Italiana che portò una ventata di novità destinata però ad affievolirsi con la morte dell’autore e l’avvento del conflitto mondiale.
Se ci si domanda quali siano state le cause che hanno portato un ritardo nello studio etnografico e antropologico, le risposte possono essere molteplici, tra cui la breve durata della dominazione coloniale e  il fascismo che considerava alcune categorie di italiani non sufficientemente ariani.

 

L’etno-sociologia francese

Durkheim e i suoi allievi avevano lasciato in Francia una grossa eredità e molti autori che li seguirono svilupparono alcuni dei concetti da loro introdotti.
Robert Hertz, si dedicò, nei suoi primi lavori, allo studio delle rappresentazioni collettive. Per Hertz le credenze dei primitivi relative alla morte, non erano delle spiegazioni all’origine del pensiero religioso, bensì delle rappresentazioni collettive condivise da tutti i membri della società.


Nei lavori successivi, Hertz¸ si dedicò allo studio della morte, non come aspetto biologico, ma sociale. Hertz diceva che la morte produceva nella società degli squilibri, in quanto la morte distruggeva il  rapporto tra l’individuo e la società, e questi squilibri dovevano essere eliminati attraverso dei riti, i riti funebri, che distaccavano l’individuo dalla società e ristabilivano l’equilibrio in essa.
Hertz individuò il carattere fondamentale che assume la morte nelle società, ovvero quello di transizione  da uno stato all’altro della comunità. La perdita di un membro della società non può che tramutarsi nella reincarnazione della comunità dai defunti.
Hertz nel testo “La permanenza della mano destra. Studio sulla polarità religiosa”, dice che l’asimmetria organica per cui la destra prevale sulla sinistra non poteva spigare le rappresentazioni collettive legate alla destra. Per Hertz la supremazia della destra era un istituzione sociale. Nelle società si ritrovano quasi sempre delle opposizioni destra/sinistra, sacro/profano, e questo, secondo Hertz, è regolato da un principio di opposizione fondamentale nelle forme di classificazione, che si traduce in catene di opposizione.
Negli stessi anni, un altro autore, Van Gennep, lavorava sui riti di passaggio. Secondo Van  Gennep la vita di ogni individuo è scandita da riti di passaggio, che scandiscono il passaggio da una condizione sociale all’altra, e più la società è semplice, più riti ci sono.
Van Gennep distinse tre passaggi fondamentali in un rito di passaggio: la separazione(riti preliminari), marginale(riti liminari) e aggregazione(rito postliminari). La fase marginale era quella più importante in quanto consisteva nel passaggio da una vecchia condizione ad una nuova. Questo lavoro fu criticato da altri autori, in quanto dicevano che era troppo generale e non, secondo la visione etnologica, ristretta ad un’area specifica. Van Gennep disse che non era importante considerare l’aspetto contestuale, quanto le connessioni logiche. Secondo Van Gennep, i riti di passaggio, servivano anche come artificio sociale per gli uomini, per comprendere meglio il passaggio da uno ad un altro status sociale, e quindi un sistema classificatorio.
Marcel Mauss fu uno degli ultimi autori a non aver compiuto ricerche sul campo. Uno dei primi lavori di Mauss fu quello sullo studio dei sistemi di classificazione. Secondo Mauss, gli esseri umani non sono in grado di classificare secondo delle immagini mentali, come somiglianze, classificano invece secondo una ripartizione già esistete, quella in gruppi sociali. Quindi il mondo era ordinato in un modo direttamente proporzionale alla suddivisione della società, infatti se cambiava quest’ultima, cambiava il tipo di classificazione. Questo fenomeno venne individuato come omologia strutturale.
Proprio grazie a questo fenomeno, Mauss, arrivò ala spiegazione dei fatti sociali totali. Studiando alcuni gruppi di eschimesi, Mauss notò che alcuni aspetti della loro vita non dovevano essere spiegati perché permettevano di spiegare altri aspetti.
Il lavoro più importante di Mauss fu il “Saggio sul Dono”, un lavoro nel quale basandosi su lavori etnografici di Boas e Malowski, analizzava fenomeni come tipici esempi di fatti sociali totali.
Mauss studiò la teoria del dono, che aveva alla base tre regole: dare, ricevere e ricambiare; attraverso queste regole si instaurava il principio di reciprocità, secondo il quale ogni oggetto aveva una qualità intrinseca. Se una persona non restituiva il dono sarebbe stato classificato come trasgressore e avrebbe dovuto subire la vendetta dell’oggetto.
Mauss nella spiegazione di questo principio fu influenzato dalla teoria dello hau dei Maori, ovvero  lo spirito della cosa donata, che pone chi riceve il dono in una posizione di debito e lo obbliga quindi a sdebitarsi per ristabilire un equilibrio.
Secondo Levi-Strauss l’aver assunto una teoria indigena era un passo avanti in quanto non si era tentato di spiegare un fenomeno con una teoria occidentale, ma allo stesso tempo era un punto debole in quanto lo hau non era la ragione dello scambio.

 

Diffusione di culture: Kulturkreis, aree culturali e migrazioni


Verso la fine del XIX secolo ci fu un declino dell’evoluzionismo, ed in Germania, Austria e Stati Uniti, si andò formando il diffusionismo.
In Germania, parte centrale del diffusionismo divenne la teoria dei cicli culturali. La storia qui era intesa come un processo di crescita delle singole società, ed insieme ad una dimensione geografica-etnologica, era possibile individuare aspetti in diversi popoli della Terra.
Un geografo, Ratzel, aveva elaborato un criterio della forma o qualità, secondo il quale era possibile individuare aspetti comuni di simboli o manufatti di popoli diversi. Per trovare queste analogie non si dovevano tener conto di analogie per materiali o per funzioni. Ma la semplice analogia per forma, non avrebbe potuto accertare un origine in comune, quindi Frobenius, introdusse un secondo criterio, ovvero  la presenza di ornamenti, che non avendo una funzione specifica, potevano avere delle analogie solo se avevano un origine comune.
Prendendo in considerazione molti reperti si poteva accertare la presenza di cerchi culturali.
Frobenius elaborò anche la teoria degli strati culturali, ovvero processi culturali in forma di ondate. Lo scopo dei diffusionisti tedeschi diventava quindi quello di trovare una linea temporale delle stratificazioni.
Un autore che contribuì ad elaborare la teoria dei cicli culturali fu Graebner, che parlò di questi come complessi di tratti compresenti in una determinata area. Il limite, però, di questa teoria risiedeva nel fatto che gli elementi non avevano una connessione funzionale, ma solo nella compresenza  di tratti eterogenei, cioè era la sola ricorrenza di elementi a stabilire un ciclo.
Graebner riteneva che lo scopo degli studi doveva essere quello di individuare le migrazioni e le diffusioni dei circoli e quindi l’influenza di una cultura su un’altra.
Questa teoria fu criticata in quanto pensava al complesso come compresenza di soli tratti eterogenei, e anche perché l’analisi geografica era fatta su aree limitate.
Un altro autore che sviluppò queste teorie fu Schmidt, che pensava che lo sviluppo cultura fosse iniziato da due forme culturali primitive, una dedita al culto della madre-terra e l’altra al culto di padre-cielo. Il diffusionismo austro-tedesco, poneva l’accento sul degenerazionismo in quanto le culture venendo a contatto con tratti di altre culture andavano soggette ad alterazioni.
Schmidt aggiunse anche la degenerazione dell’idea di Dio nell’uomo. Secondo Schmidt infatti, tutti gli uomini inizialmente avevano l’idea di un unico Dio, che con il passare del tempo e con il contatto con  altre culture degenerò nella concezione di un entità superiore. Il compito morale degli etnologi diveniva quello di riportare l’uomo alla naturale concezione di Dio.
Negli stessi anche in cui si affermava Boas, negli Stati Uniti, si consolidava una ricerca che poneva al centro le culture indiane.
Importante qui, è la nozione di area culturale, ovvero l’area geografica entra la quale erano presenti determinati tratti.
Wissler  fu uno degli autori che si dedicò alla classificazione delle culture indiane in  bassa  alla loro relazione con l’ambiente. Wissler in questi anni, elaborò una teoria secondo la quale, esiste una diffusione della cultura a partire da un centro. In questo centro sono presenti tutti i tratti culturali di una determinata area che vengono distribuiti in modo irregolare ai popoli vicini. Questo spiegava perché  popoli vicini avessero tratti culturali diversi. Wissler introdusse anche il concetto di area cronologica, ovvero la distribuzione dei tratti, a partire dal centro, nel tempo.
Edward Sapir criticò questa teoria dicendo che non era possibile individuare un ordine temporale in quanto la diffusione non avviene in modo uniforme e in tempi sempre uguali. Un ulteriore critica alla teoria di Wissler fu che il centro poteva migrare o mutare in maniera considerevole.
In Gran Bretagna il diffusionismo si diffuse soprattutto come “iperdiffusionismo”. Gli autori più autorevoli di questo movimento furono Smith e Perry che ipotizzarono in un unico centro diffusore di  una cultura, l’Egitto. A sostegno di questa tesi c’erano le tecniche di mummificazione in America molto simili a quelle tipiche dell’Egitto.

 

Il tramonto dell’evoluzionismo e lo sviluppo della ricerca sul campo in Gran Bretagna

Tra la fine dell’800 e la prima guerra mondiale, l’evoluzionismo vide la sua fine e si sviluppò in maniera decisa la ricerca sul campo. In Gran Bretagna gli ultimi anni della Regina Vittoria furono costernati da una presa di potere da parte di altre nazioni europee e dall’entrata prepotente dell’America nella politica mondiale. La Gran Bretagna viveva un memento di incertezza sia dal punto di vista sociale, dove non aveva più un predominio netto, sia da quello antropologico, dove le ricerche sul campo e le nuove ideologie misero in crisi tutto ciò in cui fino ad allora si era creduto.
Gli antropologi si differenziavano dagli etnologi in quanto non effettuavano ricerche sul campo e si affidavano a corrispondenti che le facevano per loro. Un metodo usato era quello dei questionari, anche se spesso aveva forti limiti. Fison e Howitt, come Spencer e Gillen, erano missionari che collaboravano con i più famosi antropologi in modo impeccabile, appassionandosi agli studi, tanto da pubblicare opere ormai cardini dell’antropologia.
Negli ultimissimi anni dell’800 si andarono sviluppando le survey ovvero delle ricognizioni di breve durata dove si raccoglievano dei dati in modo però, superficiale. Queste erano usate da persone che combinavano lo studio teorico con quello pratico.
Nei primi anni del 900 le università divennero le promotrici di campagne di ricerca, e i ricercatori non erano più dei missionari ma degli scienziati con i loro metodi più accurati. Uno dei primi fu Haddon che partecipò ad una ricerca nello stretto di Torres. Il suo primo lavoro fu così ben riuscito che vi ritorno più di una volta per raccogliere sempre più dati e pubblicare il teso “La Spedizione allo stretto di Torres”.
Questi nuovi etnografi abbandonarono vecchi metodi di ricerca, come il metodo comparativo, per utilizzarne di nuovi come la monografia etnografica, ovvero lavori dedicati allo studio di svariati aspetti della vita sociale di una cultura.
Nel loro lavoro, gli antropologi, avevano molti concorrenti, come i missionari, che sulla scia del colonialismo, andavano nei nuovi paesi per convertirli. Vi erano alcuni missionari, come i già citati Fison  e Howitt che soggiornando per diversi anni, avevano raggiunto delle ottime conoscenze su questi popoli. Gli antropologi però, erano ormai degli scienziati e richiedevano metodologie specifiche. D’altro canto non avevano possibilità di studiare per lunghi periodi nuove culture, quindi introdussero nuovi metodi di ricerca.
Tra gli autori più importanti che si occuparono di questo problema vi fu, Rivers, che si  interessò  allo studio dei sistemi di parentela, avvicinandosi alla teoria di Morgan. Lui però era interessato a connettere i termini di parentela con la vita sociale, andava quindi contro Kroeber, che considerava i termini di parentela come fatti psicologici e linguistici.
Nei suoi lavori Rivers sviluppò il metodo genealogico che era un metodo molto efficace per raccogliere dati sull’organizzazione dei popoli selvaggi. Questo metodo consisteva nel chiedere a un individuo il nome dei suoi parenti più prossimi e il termine di parentela, fino a quelli meno prossimi. Questo metodo, secondo Rivers, eliminava le differenze e le difficoltà che si creavano tra l’individuo intervistato e l’intervistatore.

 

La rivoluzione etnografica e il funzionalismo di Bronislaw Malinowski

Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, l’antropologia visse momenti di stagnazione. Il 1922 però, fu un anno importantissimo per l’antropologia, in quanto veniva pubblicato il libro “Argonauti del Pacifico occidentale” da Malinowski cardine dell’antropologia del novecento.
Malinowski studiò in particolare le isole Trobriand in Malesia.
Sia la figura dell’uomo che dell’antropologo sono state fatte oggetto di culto, in quanto Malinowski era dotato  di capacità  che  gli permettevano  di entrare  nella  vita  degli  individui da  lui studiati.  Proprio  a


Malinowski, infatti, si deve l’introduzione della tecnica “osservazione partecipante”, dove lo studioso entrava a far parte della vita dei nativi per cercare di capire il loro punto di vista.
Successivamente alla sua morte, furono pubblicati i diari personali di Malinowski che abbatterono quel  che nel corso degli anni era diventato un mito. In questi diari, infatti, Malinowski dimostrava disprezzo  per i nativi e spesso non voleva fare quello che faceva.
I suoi diari comunque, hanno contribuito a sollevare un enorme problema per l’antropologia, quello dell’epistemologia, ovvero di come e quanto l’antropologo sia in grado di cogliere il vero punto di vista dell’indigeno. L’osservazione partecipante introduceva un nuovo modo di vedere cultura e società, cioè reciprocamente correlati.
Il testo più famoso pubblicato da Malinowski, “Argonauti nel Pacifico occidentale” partiva da un aspetto particolare, i kula, per poi analizzarne altri. I kula era un fenomeno molto complesso che consisteva nello scambiare, tra le isole vicine, degli oggetti e in particolare collane di conchiglie rosse e bracciali di conchiglie bianche. Le prime venivano scambiate in senso orario e le seconde in senso contrario. Questi oggetti circolavano in continuazione e ogni spostamento veniva accompagnato da cerimoniali e da uno scambio di oggetti profani, gimwali.
Malinowski intuì il significato che il kula aveva, ovvero quello di rafforzare i legami tra gli individui e tra  i gruppi.
L’analisi del kula aveva evidenziato l’esistenza di una rete di rapporti tra i vai individui e gruppi, che risultavano fondati su un principio di reciprocità, ovvero tutte le operazioni che si effettuavano erano regolate da una logica che tendeva ad aumentare la solidarietà e l’organicità culturale e sociale. Questo principio aveva il compito di attribuire coerenza a pratiche che spesso venivano svalutate. Da questo principio Malinowski disse che il diritto era per l’indigeno una configurazione di obblighi dai quali era impossibile sottrarsi senza subirne le conseguenze
In lavori successivi Malinowski confutò l’ipotesi della promiscuità originaria, introducendo il concetto di famiglia elementare. La famiglia risultava essere sia il luogo della riproduzione biologica che sociale, all’interno della quale era proibito l’incesto2 in quanto disgregherebbe la famiglia. Malinowski dice che la proibizione dell’incesto previene la disgregazione dei legami familiari, mentre l’esogamia risolve la proibizione.
In “Una teoria scientifica della cultura” Malinowski elabora un immagine della società e della cultura come l’insieme di pratiche e comportamenti tra loro integrati, volti a mantenere l’equilibrio all’interno della società. Questa visione sarà definita come il funzionalismo ristretto di Malinowski. Dopo aver definito la cultura come un insieme integrato Malinowski dice che la cultura è anche l’insieme materiale, umano e spirituale con cui l’uomo può risolvere i suoi problemi. Questo è il funzionalismo allargato di Malinowski.
Dalla concezione del funzionalismo allargato deriva quella della magia che per Malinowski è un processo primordiale attraverso cui l’uomo cerca i fini da lui desiderati. La magia quindi tende a sopperire l’incapacità dell’uomo a controllare aspetti della sua vita.

 

L’antropologia psicoanalitica e lo studio della cultura

Con l’espressione antropologia psicoanalitica si indicano tutti i tentavi di applicare la psicoanalisi all’antropologia e alla sfera culturale.
Sigmund Freud fu il padre di tutta la psicanalisi e nel 1913 si avvicinò con il libro “Totem e tabù” allo studio dell’origine e dello sviluppo della cultura. Questo libro aveva l’obiettivo di rispondere a domande come, cos’è il totemismo, e che relazione esiste tra totemismo ed esogamia.
L’origine di questi, per Freud avvenne in questo modo. Nelle società primitive il padre detiene il potere sulle donne, in questo modo si sviluppa un conflitto tra padre e figlio, risolto nell’uccisione del padre da


2  La proibizione dell’incesto era un mezzo per unirsi sessualmente o in matrimonio con determinati individui


parte del figlio e dal suo divoramento. Lo scopo di Freud era quello di collocare all’origine dell’uomo come essere culturale il complesso di Edipo. Dopo l’uccisione e il pasto del padre, i figli sarebbero stati colpiti da rimorso, e come autopunizione si sarebbero vietati le femmine del gruppo (esogamia) e la proibizione di uccidere e di cibarsi dell’animale totemico (totemismo).
Nello stesso libro Freud affrontò, ciò che egli stesso definì ambivalenza emotiva collegata ai tabù. La parola tabù indica una proibizione di qualcuno o qualcosa. Freud vede un ambivalenza nel rigore usato dai nevrotici e dai selvaggi nell’osservare i tabù. Il tabù però, inibisce solo la pulsione e non la elimina, si ha quindi quella che Freud chiama fissazione psichica. A sostegno di questa ipotesi Freud analizza tre tabù presi dalla letteratura di Frazer: nemici uccisi, sovrani e morti. Per quanto riguarda i nemici uccisi, l’uccisore viene considerato un tabù, mentre il defunto viene ricoperto di beni, e solo dopo vari riti di purificazione l’uccisore sarà reintegrato nella società. Per i sovrani, questi venivano investiti da grande venerazione e di tabù proprio perché venivano investiti da un ostilità inconscia da parte dei sudditi, che potevano ucciderli se non rispettavano le loro aspettative.
Sui tabù della morte, Freud non accettava l’ipotesi secondo la quale le proibizioni  nei  confronti del defunto venissero soltanto dalla paura del morto. Qui il tabù del morto è visto come un contrasto tra la soddisfazione della morte e la pena.
Malinowski volle verificare alcune teorie psicoanalitiche in un contesto differente da quello occidentale ed analizzando la famiglia trobriandese vide che la società conferiva maggiori poteri alla discendenza matrilineare, e quindi l’autorità veniva esercitata dal fratello della madre. Malinowski aveva notato che il complesso di Edipo era diverso, ovvero si aveva un desiderio di unirsi alla sorella e di avversione per lo zio materno. Con questo Malinowski volle dimostrare che non era possibile considerare il complesso di Edipo come l’origine culturale di tutte le società, ma bisognava tenere sempre conto della società e dei rapporti che in essa esistevano.
Un autore che riprese le posizioni di Freud riguardo al problema culturale fu Roheim che  interpretò la cultura come nevrosi collettiva. Roheim cercò di dimostrare come le culture primitive potessero essere considerate elaborazioni di risposte ai pericoli psichici generati durante l’infanzia. Punto cardine in questa dimostrazione è il concetto di sublimazione, ovvero, secondo Roheim, ciò che consente  di edificare la cultura. Roheim dice che le attività produttive possono essere ricondotte a motivazioni presenti nell’inconscio, infatti qualsiasi professione un uomo decida di fare, c’è sempre qualcosa in essa che lo lega alla sua situazione infantile.
La sublimazione assume però un duplice scopo, oltre a realizzare i sogni infantili, assicura che questi non si realizzino subito, in modo da non far cadere l’uomo in uno stato di solitudine.
Layard fu un antropologo che decise di accostarsi alla psicoanalisi da un punto di vista diverso da quello di Freud. Layard si avvicino alle teorie di Jung, il quale si differenziava da Freud per alcuni aspetti come, la concezione del libido, la concezione delle nevrosi, ecc.
Nei suoi lavori Layard analizzò il maki, un rito attraverso il quale un uomo sacrificava dei maiali acquistando la loro forza. Questo rito veniva ripetuto diverse volte nella vita di una persona, ed ogni sacrifico comportava una rinascita da parte dell’interessato che assumeva ogni volta un nuovo nome. Il  rito si componeva di due parti, nella prima veniva eretto un monumento alto e lungo (che Layard associò al sesso maschile), nella seconda veniva eretto un monumento piatto (che Layard associò al sesso femminile). Secondo Layard il maki era un processo di individuazione attraverso il quale l’individuo raggiungeva un equilibrio tra la propria vita e il proprio inconscio.

 

Gli studi etnologici in Italia

Il periodo post-bellico vide in Conti-Rossini e Cerulli, i rappresentati più autorevoli dell’etnologia nello  studio  delle  popolazioni  dell’Africa  orientale  italiana.  Il  primo  autore,  però,  che  pubblicò una


monografia fu Grottanelli, con il testo “I Mao”, all’interno del quale si trova un resoconto completo della cultura e della società dei mao.
Ciò che maggiormente frenò lo sviluppo dell’etnologia in Italia fu l’avvento del fascismo. Infatti  il fascismo andava promuovendo la sua politica di schiavitù e la sua tesi di superiorità. Nel convegno di Volta del 1938, si vide decadere e arrestare tutto ciò che di buono si era fatto fino ad  allora.  In quel periodo infatti fu pubblicato il manifesto della razza, che costituiva la base ideologica della politica razzista. In questi anni, però, molti autori si distaccarono dal fascismo, tra questi vi fu Ernesto  De Martino che rappresenta la figura di maggiore rilievo nell’etnografia italiana.
Nella sua opera “Naturalismo e storicismo nell’etnologia”, de Martino voleva intraprendere una riforma del sapere etnologico, con la quale voleva ricondurre la storia dei popoli lontani nel filone della storia  dello spirito di tradizione crociana.
Nel 1930 a Milano, si costituì, sotto la guida di Antonio Banfi, un gruppo  di giovani studiosi che  costituiva un’alternativa alla filosofia di Croce.
Nello stesso anno in cui de Martino pubblicò il suo libro, Remo Cantoni, pubblicava “Il pensiero dei primitivi”. I due libri affrontavano argomenti simili sotto punti di vista differenti e questo portò ad un dibattito tra i due autori su una rivista dell’epoca.

 

L’etologia francese tra le due Guerre

Nei primi anni del novecento, in Francia, l’etnografia veniva praticata soprattutto da funzionari e amministratori nelle colonie. In questi anni però, la conoscenza delle culture primitive divenne una questione di stato, tanto che il parlamento francese avviò una spedizione, chiama “Missione Dakar- Gibuti” coordinata da Griaule. Durante questa missione Griaule venne a contatto con i dogon una popolazione che studierà molto. Griaule formulò una concezione di sistemi cosmologici delle culture primitive basato su l’interconnessione tra riti, simbologia e mito che notò tra i dogon. Nel 1948 pubblicò il suo testo più famoso, “Dio d’acqua”, resoconto della cosmogonia dogon. Con questo lavoro Griaule voleva dimostrare la capacità di una società primitiva ad avere una cosmologia stratificata e complessa. In seguito Griaule dirà che bisogna studiare il mito e la cosmologia di un popolo per comprenderne l’organizzazione.
Nel libro, Il metodo dell’etnografia, Griaule considerava l’inchiesta etnografica come un operazione strategica, dove il ricercatore doveva essere in grado di gestire le difficili relazioni tra l’etnologo e l’indigeno.
Un’altra figura di rilievo all’inizi del novecento fu quella di Leenhardt, un missionario protestante in Nuova Caledonia, che aveva il compito di evangelizzare la popolazione locale, ma lo fece stabilendo un ponte con al cultura dei canaki, ovvero traducendo la bibbia nella loro lingua d’origine. Con l’intenso studio della lingua canaki, Leenhardt venne a conoscenza di tutta la loro cultura e si soffermò in  particolare sull’idea del mito e della persona.
Leenhardt notò che i canaki erano molto religiosi e l’idea del mito la trovò strettamente legata all’idea di persona. Il mito infatti, era qualcosa che dava una senso sia alla persona stessa, che al tempo. Il mito divenne quindi uno spazio dove il primitivo costruiva il proprio mondo.
Lo studio che Leenhardt effettuò era più come un sistema di pensiero che come aspetti simbolici collegati alla struttura sociale.
Negli stessi anni, la sociologia francese, vide l’entrata in scena di un innesto orientalistico. Studiosi francesi si dedicarono allo studio delle culture del Maghreb (sociologia maghrebina), ovvero di aree ad  alta e complessa civilizzazione. Lo studio di queste culture però non interesso molti studiosi, in quanto in quel periodo si preferiva studiare popoli primitivi.
Robert Montagne fu uno dei maggiori esponenti dello studio orientalistico, ed il suo libro “I berberi e il Makhzen”fu  una  delle  monografie  più  rilevanti  del  novecento.  Questo,  riguarda  alcune  popolazioni


marocchine e il loro rapporto con il sultano, infatti i berberi erano da sempre in lotta con il sultano per affermare e proteggere la lori indipendenza.
I berberi avevano una politica democratica con un capo eletto tra il popolo. Quando questi capi riuscivano ad eliminare i concorrenti, essi acquistavano maggiore potere, che spesso finiva in tirannia. Lo stato tirannico veniva a cadere o con la morte del sultano, o con la ribellione del popolo. La regione oscillava così dallo stato di democrazia a quello di tirannia e viceversa.

 

L’individuo nella sua società: cultura, carattere, personalità

 

Agli inizi degli anni ’20 l’antropologia iniziò ad interrogarsi sui i rapporti tra individuo e società, ovvero come l’evolversi della società moderna influiva sulla personalità dell’individuo.
Nasce così una prospettiva, il configurazionismo, un’idea secondo la quale ogni cultura è costituita dall’interazione di più modelli culturali i quali sono segmenti espressivi.
Su questa concezione di cultura iniziò i suoi lavori Ruth Benedict. Ella rilevò che lo studio  della diffusione dei tratti culturali avveniva sulla base di una concezione della cultura come aggregazione di elementi isolati, mentre i tratti culturali potevano variare a seconda se erano presenti o meno altri tratti, cioè il modo in cui questi tratti si collegavano facendo parte di una stessa configurazione. La cultura, quindi, appare come una configurazione all’interno della quale vari elementi interagiscono producendo modelli significativi.
Il primo studio della Benedict fu sul significato dello spirito guardiano. Questo, era un entità soprannaturale che proteggeva l’individuo nelle attività come la caccia e si rivelava a lui attraverso sogni e visioni. La Benedict notò che la credenza nello spirito guardiano cambiava leggermente da una società all’altra. Ciò veniva spiegato dalla Benedict secondo una modellizzazione, ovvero un determinato tratto, come lo spirito guardiano, doveva entrare in un modello specifico, questo modello aveva la funzione di integrare i vari rati. L’idea della modellizzazione venne approfondito nel libro “Modelli di cultura”, dove la Benedict definisce la cultura come complessi integrati, concezione simile a quella dei funzionalisti, ma differente per l’idea di integrazione, che secondo la Benedict aveva il potere d produrre un modello culturale che si rifletteva nell’individuo.
Un altro antropologo che si è occupato dei rapporti tra l’individuo e la società fu Bateson. Il libro più celebre da lui pubblicato fu “Naven”, dove partendo dallo studio di questa cerimonia, analizzava altri aspetti della vita degli Iatamul.
Il naven era un rituale di travestimento, che si effettuava quando un giovane compiva un azione meritevole per la società. A travestirsi erano il fratello della madre, chiamato wau, la madre e altre donne, che si travestivano del sesso opposto. Questo comportamento veniva fatto per esprimere ciò che andava contro il loro tono emotivo cioè l’ethos, che era una manifestazione dell’eidos, ovvero l’espressione cognitiva della personalità. Infatti gli uomini, in pubblico, dovevano ostentare fierezza e aggressività, mentre le donne dovevano essere sottomesse e modeste. Con il travestimento però, il wau poteva esprimere il proprio affetto per il nipote, mentre la madre poteva essere orgogliosa e fiera del proprio figlio. Per Bateson i concetti di ethos ed eidos formavano la realtà complessa della cultura.
Bateson introdusse anche il concetto di schismogenesi ovvero le differenze che nel corso del tempo si andavano creando tra l’ethos maschile e quello femminile. Infatti più gli uomini si comportavano con fierezza più le donne si sottomettevano. Tutti gli individui però possiedono dei meccanismi frenanti, grazie ai quali è possibile contenere la schismogenesi. Grazie a questi meccanismi si raggiunge un equilibrio dinamico tra ethos ed eidos.
Abram Kardiner fu l’antropologo che rappresentò nel modo migliore l’incontro tra antropologia e psicologia. Kardiner nel corso degli anni elaborò una teoria, la personalità di base. Questa  è  una struttura,  cioè un  complesso  di tratti culturali,  alla cui costituzione concorrono  le  istituzioni primarie  e

12


secondare. Le istituzioni primarie, è tutto ciò che contribuisce a plasmare la personalità nell’età infantile. Le istituzioni secondarie sono tutto ciò che giustifica l’ordine della società, come la religione, i miti e le leggende. In questa teoria è centrale il concetto di proiezione. Infatti l’individuo nel corso dell’età infantile elabora immagini delle figure parentali, per poi proiettarle nella sfera mitico-religiosa. Kardiner si è distanziato sia dai funzionalisti che dai configurazionisti, la sua teoria assumeva il carattere di un costrutto ipotetico non elaborato da singoli casi.
Dopo gli anni ’20 gli antropologi statunitensi iniziarono a studiare anche popolazioni non americane. Margaret Mead fu la prima ad iniziare uno studio nelle isole Samoa. Mead si dedicò in particolare allo studio sulla socializzazione e sull’adolescenza. Il primo lavoro “L’adolescente in una società primitiva”si focalizzava sul periodo adolescenziale della donna somoana. In questo lavoro la Mead mostrò la  differenza dei metodi educativi e l’alto grado di socializzazione che questo produceva. La Mead notò anche che il periodo adolescenziale era molto meno traumatico, perché non c’erano modelli concorrenziali inviati dalla società e perché non c’era una pluralità di scelte per la donna samoana. Nei lavori successivi la Mead dimostrò come le differenze tra maschio e femmina erano generate più dalla cultura che dalle predisposizioni naturali.
La Benedict e la Mead contribuirono ad introdurre il concetto di relativismo culturale, secondo il quale un azione o un valore per poter essere compreso, deve essere considerato all’interno del contesto in cui quest’azione o valore si manifesta.

 

Il funzionalismo strutturale britannico da Radcliffe-Brown a Evans-Pritchard

 

Nel 1938, con la partenza di Malinowski, Radcliffe-Brown divenne la figura più importante nell’antropologia britannica.
La prima cosa che Radcliffe-Brown fece, fu quella di definire l’oggetto dell’antropologia, e disse che essa è lo studio dei fenomeni sociali in quanto tali, senza cioè essere riducibili ad altre realtà. Per affermare ciò utilizzò un metodo che consisteva nell’identificazione dei meccanismi che operano in una società, e se possibile nella loro generalizzazione a livello di leggi.
Grazie a questa definizione, introdusse il concetto di antropologia sociale, ovvero un antropologia con un approccio scientifico. L’antropologia, quindi, era una scienza naturale della società, che indaga fenomeni della realtà non riducibili ad altre.
Radcliffe-Brown, si differenziò subito dagli antropologi americani, in quanto allo studio della cultura, oppose lo studio dei rapporti sociali intesi come struttura sociale.
La struttura sociale è appunto, l’insieme dei rapporti realmente esistenti tra gli individui. Questo concetto va considerato in relazione al processo sociale (l’insieme delle azioni e dell’interazione di esse tra gli individui) e alla funzione sociale (il rapporto tra struttura sociale e processo vitale).
Radcliffe-Brown considerava inoltre la struttura sociale continuativa, in quanto non si trasformava, ma si conservava.
Il settore di studi a cui Radcliffe-Brown a dato il suo contributo maggiore è stato quello dei sistemi di parentela. Radcliffe-Brown analizzò un sistema matrimoniale, il kariera, che prevedeva una divisione in quattro sezioni, e l’individuo veniva assegnato ad una sezione diversa sia da quella della madre che da quella del padre. Inoltre l’individuo era obbligato a sposarsi con una persona appartenente ad una sezione diversa dalla sua, da quella della madre e da quella del padre.
Radcliffe-Brown si differenziò subito anche dagli evoluzionisti, e in particolare sull’interpretazione di alcune caratteristiche del sistema omaha. Questo sistema ha la caratteristica di chiamare la cugina madre. Gli evoluzionisti spiegavano questo dicendo che era un istituzione che in passato consentiva ad un uomo  di sposare la figlia del fratello della moglie. Radcliffe-Brown invece, spiegò l’esistenza di questa terminologia, come un modo per rendere coerenti questi tipi di unione.

13


Radcliffe-Brown cercò di definire il significato delle terminologie di parentela a livello di struttura sociale ed enunciò dei principi strutturali, che coprivano mancanze nei sistemi classificatori sia di Kroeber che degli evoluzionisti.
Il primo principio fu dell’unità del gruppo dei fratelli, cioè ‘insieme dei figli dello stesso padre e della stessa madre senza distinzione di sesso. Ogni individui, esterno a questa unità, si riferiva agli individui dell’unità con lo stesso termine. Questo principio spiegava perché un individuo poteva chiamare sia il fratello che la sorella del proprio padre, padre.
Un altro principio era dell’unità di lignaggio. Questo principio si riferiva al fatto che un individuo poteva rivolgersi a tutti gli individui appartenenti alla line di discendenza di uno dei genitori con lo stesso  termine. Infatti gli individui venivano differenziati per il sesso ma non per le differenze generazionali.
In un lavoro del 1929 Radcliffe-Brown formulò una teoria del totemismo che si contrapponeva a quella di Durkheim per alcuni aspetti.
Radcliffe-Brown diceva che l’adozione di un determinato totem era già presente nella società, infatti il simbolo scelto, quale animale o vegetale, veniva scelto in quanto era già molto importante per l’economia della società. Questa concezione però era debole in quanto diverse società utilizzavano simboli che non erano importanti per la loro società.
Anni dopo Radcliffe-Brown contrappose ad una concezione economia una concezione di totemismo strutturale.
Un altro autore di rilevante importanza per l’antropologia sociale britannica fu Evans-Pritchard. In uno dei suoi testi più famosi, “Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande”, Evans-Pritchard studia il popolo degli Azande e la loro concezione di stregoneria, oracoli e magia.
Evans-Pritchard dice che la stregoneria, gli oracoli e la magia costituiscono un complesso di riti che acquistano un senso solo se visti come parti dipendenti in un unico complesso. Il pensiero degli azande, è quindi coerente e logicamente esatto. Con questo concetto Evans-Pritchard si trova ad analizzare il problema della razionalità, già analizzato da autori precedenti, e lo risolve dicendo che bisogna considerarlo necessariamente sotto il punto di vista di coerenza, una coerenza interna al sistema di credenze.
In un lavoro successivo, “I Nuer” Evans-Pritchard, approfondiva il concetto di razionalità, analizzando le dinamiche delle alleanze e dei conflitti nella società dei Neur del Sudan.
Evans-Pritchard notò che in questo popolo non esisteva un capo, ma esistevano segmenti, che a volte  erano in conflitto altre in alleanza, anche per combattere altri segmenti. Evans-Pritchard spiegò queste dinamiche con il modello segmentarlo. Questo modello dimostrava che poteva esistere una vita politica complessa anche senza la presenza di un capo.
Con questo concetto di segmentarietà, Evans-Pritchard respinse la concezione di solidarietà meccanica e organica proposte in precedenza da Durkheim, infatti con Evans-Pritchard la nozione di segmentazione acquista un carattere dinamico.
Il carattere del pensiero logico e coerente, aveva comunque il problema di essere tradotto per la logica culturale dell’occidente, ed Evans-Pritchard in alcuni suoi libri cercò di rendere coerente frasi e concezioni apparentemente irrazionali. Tutto questo portò aspre critiche a Evans-Pritchard, le quali dicevano che egli cercava sempre di stabilire un carattere coerente anche se questo non esisteva.
Evans-Pritchard criticò duramente il metodo comparativo e propose un metodo comparativo ridotto, dove si prendevano i considerazione società definite sulla base della loro organizzazione o comunque sulla base di scelte tematiche ristrette.

Etnologia e antropologia in Italia nel secondo dopoguerra

 

Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale furono difficili per gli studi etno-antropologici. Ernesto de Martino, fu uno degli autori che con le sue opere e i suoi studi rilanciò queste discipline. Con la pubblicazione del libro “Mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo”, de Martino    intendeva


ricostruire la struttura del mondo magico per recuperarlo alla storia. La filosofia crociata infatti, si riferiva  a quattro categorie dello spirito umano: estetica, concettuale, economica e etica. Queste categorie però non includevano la religione, che per Croce era solo un aggregazione di istanze. de Martino nella sua opera si occupa del problema della realtà del mondo magico, ma anche del concetto che si ha della realtà. Con questo de Martino si distacca dalla filosofia crociata dicendo che realtà storiche di popoli non occidentali vanno visti dall’interno e non dall’esterno.
De Martino, analizzo anche il concetto di presenza, fondamentale nella costruzione della realtà magica.  Lui disse che la presenza è uno stato etico che l’uomo si sforza di costruire per sfuggire all’idea di non esserci. Il magismo era quindi, da parte dell’uomo, un modo per affermare la proprio presenza nel mondo. La conquista della presenza, però, non si risolveva mai, in quanto questa poteva sempre essere messa in discussione.
Nel 1949, de Martino si avvicina, con la pubblicazione di una sua opera, alle teorie del marxismo d Gramsci. Questo avvicinamento fu utile per l’avvicinamento di de Martino alle problematiche meridionali. In questo contesto, de Martino, analizza il concetto di destorificazione culturale secondo il quale ogni forma di riscatto magico-religioso, consentirebbe di stare nella storia come se non ci si stesse. De Martino inaugura un’antropologia del negativo, un antropologia delle masse che non fanno la storia,ma che irrompono nella storia. La destorificazione riguarda l’esclusione dei soggetti umani dalla storia.
Con lo studio delle problematiche del mezzogiorno, de Martino analizza il problema del rapporto tra etnologo e oggetto della conoscenza. De Martino era consapevole del fatto che questo rapporto non era neutro, in quanto l’etnologo aveva le sue categorie e strutture che inevitabilmente usava per studiare il nativo, non è possibile infatti per l’etnologo fare a meno di queste categorie , e l’etnocentrismo critico si configura come una continua ridiscussione delle proprie categorie analitiche. De Martino, comunque, non si è mai posto il problema del punto di vista del nativo, questo per la sua concezione del relativismo culturale, secondo cui solo l’occidente ha avuto un interesse di confrontarsi con altre culture, e questo confronto è giusto che abbia come unità di misura la cultura occidentale.
Giuseppe Cocchiera, fu uno degli autori che continuò in Italia gli studi domologici. Influenzato da Marret, Cocchiera si concentrò sull’analisi delle sopravvivenze, dicendo che questo non sono dei semplici fossili sociali, ma sono in continue rielaborazioni da parte della società.

 

L’antropologia americana a e la “rinascita nomotetica”

Verso la metà del novecento, l’antropologia americana conobbe la rinascita della nomotetica, ovvero la predisposizione a cercare leggi generali come obiettivo della scienza. La nomotetica si avvicina quindi più alla visione evoluzionista e rinnega tutto ciò che Boas e la sua scuola nel corso degli anni idealizzarono.
Uno dei maggiori esponenti fu Lesile White che per primo riprese le teorie di Morgan e si riavvicino all’evoluzionismo. L’impegno di White nel rivalutare Morgan derivò da un suo viaggio nell’unione sovietica, dove conobbe le teorie di Marx. White, però, ridusse la teoria Marxista all’assunto secondo il quale sono le condizioni tecnico-economiche a determinare la vita delle società umane; e nel considerare Morgan sviluppò alcune sue teorie dicendo che la storia del genere umano era contrassegnata da un accumulo di tecnologie.
In uno dei suoi libri più famosi, “La scienza della cultura”, White dice che la teoria dell’evoluzione culturale deve avere un sistema di misurazione, che lui identifica con la capacità dell’individuo nell’utilizzare e ricercare nuove fonti di energia.
White considerò sempre la cultura come un apparato strumentale atto a rendere sicura e durevole la vita della specie, e coniò il termine culturologia per identificare il campo di riflessione relativo ai fenomeni materiali e sociali caratteristici della cultura.


Un’alta importante figura nell’antropologia nomotetica fu Julian Steward che pose l’accento sull’effetto dell’ambiente sulla cultura.
Steward aveva l’idea di un antropologia come scienza naturale e diceva che la realtà era costituita da fenomeni interconnessi. Steward definì la propria prospettiva come evoluzionismo multilineare, cioè una metodologia basata sul presupposto che nel cambiamento culturale si danno regolarità significative, ma il suo interesse va a quelle cultura particolari e si occupa dei parallelismi empirici.
Steward riteneva che lo sviluppo culturale doveva anche essere inteso come l’emergere di successivi  livelli di integrazione socioculturale. Questi livelli corrispondo a segmenti di evoluzione limitata, infatti nell’evoluzione culturale forme semplici non vengono eliminate, ma modificate in maniera graduale.
Ulteriore sviluppo alle teorie precedentemente illustrate lo diede Marvin Harris con il materialismo culturale. Questo, indicava come compito dell’antropologia il fornire spiegazioni causali alle differenze e somiglianze negli schemi di pensiero e nel comportamento della comunità umana. Questo compito può essere assolto solo considerando le costrizioni a cui sono soggetti gli individui, tali  costrizioni vengono definite materiali.
Harris nei suoi lavori ha sottolineato la necessità di guardare ai fenomeni culturali da un punto di vista esterno.
In questo contesto, dove l’antropologia come sapere generalizzante prende sempre più forma, è importante considerare l’antropologia economia. Questa, è stata prevalsa fino a questo periodo, dal modello formalista, che prevedeva che i comportamenti dell’uomo mirassero a raggiungere fini con determinati mezzi.
Robbins, celebre economista del tempo, basò la sua idea sul principio di massimizzazione dell’utile e disse che questo principio era alla base di ogni comportamento del genere umano.
Karl Polanyi fu uno degli autori che per primo si dedicò alla prospettiva sostantivista. Per i sostantivisti, il termine economia sta ad indicare il rapporto esistente tra l’uomo e la natura per poter sopravvivere, mentre per i formalisti è un insieme di assunti che ha come fine quello di massimizzare gli utili. La novità introdotta da Polanyi è che l’economico è un processo istituzionalizzato, cioè esso dipende dalla variabilità delle strutture sociali in cui si trova.

 

L’antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss

Claude Levi-Strauss è stato uno dei maggiori antropologi del novecento. Principalmente  si occupò dei sistemi di parentela e dei miti, ma fu anche l’ispiratore, grazie a suoi libri, per molti antropologi.
Nella prima opera di rilievo, “Le strutture elementari della parentela”, Levi-Strauss parla del divieto dell’incesto dicendo che è una regola universale, in quanto presente in tutte le società. Tuttavia Levi- Strauss vede nell’aspetto positivo di questa regola il vero significato. L’esogamia infatti, è una visione allargata dell’incesto, che obbligando gli individui a ricercare il partner al di fuori del proprio gruppo, crea rapporti di comunicazione basati sullo scambio. Su questa idea Levi-Strauss introduce il concetto di “atomo di parentela”, ovvero la più piccola parte di unità parentale. Questo atomo è sempre costituito da madre, padre, figlio/a e fratello della madre. Lo zio ha un autorità inversamente proporzionale a quella del padre, infatti, più il padre è affettuoso verso moglie e figli, più lo zio è autoritario e viceversa. Questa è la teoria generale della parentela, ma accanto a questa va collocata anche la teoria ristretta che coincide con l’analisi delle strutture elementari.
Nello stesso libro sopra citato, Levi-Strauss, parla di strutture elementari di parentela come quei sistemi  che hanno una nomenclautara che permette di individuare subito i parenti consanguinei e quelli acquisiti, e parla di strutture complesse, dove non si capisce la differenza se non da aspetti economici o psicologici.
Secondo Levi-Strauss la struttura più elementare di unione è rappresentata dal matrimonio tra cugini incrociati, infatti questo matrimonio è quello che definisce meglio con quale persona è lecito sposarsi, meglio anche del sistema dualista (sistema che divide il popolo in due gruppi). Levi-Strauss riteneva che


tutti i fenomeni sopra descritti, erano esempi della ricorrenza di una struttura fondamentale, ovvero una struttura di scambio fondata sulla reciprocità, che è alla base di tutti i fenomeni di parentela. La nozione di reciprocità è derivata dalla proibizione dell’incesto quindi dall’esogamia, ed è una struttura mentale alla base degli scambi.
Per Levi-Strauss il concetto di struttura è completamente differente da quello di Radcliffe-Brown, infatti lui definisce la struttura come una categoria dello spirito umano e dice che i modelli sono alla base delle strutture, e un bravo etnologo deve cogliere i modelli inconsci e rivelare le strutture. Esiste un inconscio strutturale, ovvero delle leggi che sono uguali sia nel selvaggio che nell’antropologo. Levi-Strauss dice anche che il pensiero funziona grazie all’opposizione tra termini, e l’attitudine a pensare le relazioni biologiche come sistemi di opposizione, rappresenta il passaggio da natura a cultura.
Levi-Strauss nel 1962 pubblicò “Il totemismo oggi”un libro dove viene data una concezione nuova al totemismo. Infatti secondo Levi-Strauss il totemismo è un sistema di classificazione. La presenza di animali o vegetali come simboli non è dovuta al fatto che sono buoni o utili per la società, ma dal fatto che sono buoni da pensare. Gli animali e i vegetali offrono all’uomo spunti sui sistemi di classificazione, sulle relazioni; il pensiero primitivo non è diverso da quello civilizzato, la sola differenza è che esso si esercita su cose concrete invece che astratte.
Per Levi-Strauss, quindi, il pensiero del selvaggio e del civilizzato sono simili, e grazie a sistemi di trasformazione è possibili convertire un codice nel proprio. Infatti questi sistemi individuano le analogie che rappresentano i sistemi di classificazione e la possibilità di convertirli da un codice ad un altro.
Levi-Strauss si dedicò anche allo studio dei miti, ed individuò che i mitemi, grandi unità costitutive del mito, se isolati non davano alcun significato, cioè se un mitema viene isolato, questo non ha nessun significato. Il mito è una parte del pensiero del selvaggio che non ha come scopo il mondo  sensibile a scopi pratici, ma se stesso.

 

La parabola del funzionalismo britannico: conflitti e mutazioni strutturali

Nel secondo dopoguerra, si andarono sviluppando nuove metodologie e nacque la “Scuola di Manchester”. Il fondatore della suola fu Gluckman, che anche essendo influenzato da Radcliffe-Brown, disse che l’equilibrio delle strutture sociali non è il risultato di un adattamento reciproco,  bensì un continuo aggiustamento di fenomeni conflittuali e contradditori.
Partendo da questa definizione, Gluckman analizzò la dimensione del conflitto e dell’autorità definendo alcuni concetti. Gluckman identifica con il termine competizione le contrapposizioni individuali; con il termine lotta i contrasti ricorrenti; con il termine conflitto opposizioni interne alla struttura; con il termine contraddizione indica le relazioni tra i processi e i principi che sono discrepanti e che portano a un cambiamento radicale.
Gluckman analizzo successivamente i rituali come espressione del conflitto, che risultava comunque il risolutore di esso. Infatti il rituale era un atto liberatorio e rendeva esplicito ciò che Gluckman chiamò i principi inerenti alla struttura.
Un altro studioso della scuola di Manchester fu Turner che inaugurò una ricerca chiamata antropologia teatrale.
Turner studiò per lungo tempo in africa la popolazione dei ndembu, ed individuò in questa la dimensione conflittuale nei principi della discendenza matrimoniale e nella residenza virilocale. Attraverso  questi studi, Turner voleva dimostrare che, seguendo il filone di Gluckman, anche i conflitti erano utilizzati per rendere il gruppo più unito. Turner però si differenzia da autori precedenti, mettendo in primo luogo l’individuo e le sue scelte.
Turner analizzò i simboli e i rituali dicendo che questi mettono in luce aspetti oscuri ma importanti per capire alcune strutture.


Nello studio del simbolismo Turner tenne conto di tre aspetti. Turner studiò sia l’interpretazione locale del significato dei simboli, sia la connessione tra simboli e significati (aspetto esegetico). Turner poi disse che per studiare i simboli l’antropologo deve osservare come vengono usati dai membri della società (aspetto operazionale). Infine Turner disse che i simboli possono avere dei significati diversi in relazione al contesto in cui vengono usati (aspetto posizionale).
Con Edmund Leach si ebbero i primi studi su civiltà considerate complesse e in particolare quelle del Asia.
Negli studi che Leach aveva effettuato sui kurdi notò che la società era un sistema costituito da interessi conflittuali e da attitudini divergenti. Fino a quel momento, le società venivano viste come chiuse, circoscritte, le comunità kachin, invece, avevano lingua e cultura in continuo contatto.
Sotto l’aspetto sociopolitico, la struttura dei kachin risultava sottoposta a continui collassi strutturali.  Infatti questa consisteva nel passaggio continuo da un organizzazione aristocratica ad una egualitaria. Questo passaggio era sempre generato da una contraddizione integrata in un complicato meccanismo matrimoniale. Leach notò che quando si era in un sistema aristocratico, nascevano delle rivolte, che riportavano al sistema egualitario, che però mancava di strumenti per mantenere l’ugualità e si ritornava  ad un sistema aristocratico.
In questa società, Leach vide che gli individui non si conformavano alle norme in quanto partecipavano a riti solo se si trovavano in uno dei due stati. Leach ne deduce che la norma deve essere valutata in base agli interessi degli individui.
Tra le novità di questo periodo, ci fu l’introduzione di nozioni come rete e analisi di rete.
Con la crisi dello struttural-funzionalismo, veniva considerato il mutamento in modo maggiore, come la deviazione delle norme. Lo studio delle reti sociali considerava nelle diverse relazioni che in maniera informale connettevano individui indipendentemente dalla loro appartenenza.
Da questa prospettiva nacque l’esigenza di ricercare termini più precisi come struttura sociale e organizzazione sociale da parte dell’antropologo Firth.
Firth indicava con il termine struttura sociale le relazioni normative di una società, mentre con il termine organizzazione sociale si indicavano i processi di coordinamento delle azioni e delle relazioni in riferimento a determinati fini sociali ed il frutto di strategie che producono integrazione.
Va ricordato un altro antropologo su questo filone che ha ridefinito i concetti di gruppi e confini etnici, Fredrik Barth. Per gruppi etnici si intende solitamente un insieme di individui aventi origine storica comune. Secondo Barth questo è sbagliato, in quanto un gruppo etnico è definibile in base a interessi che accomunano e differenziano persone.
I confini etnici, invece, non impediscono il cambiamento, infatti un gruppo che interagisce con altri deve autoidentificarsi in modo da interagire con gli altri senza perdere la loro identità.

 

L’etnoscienza negli Stati Uniti

Nella metà del Novecento venne sviluppandosi in America l’etnoscienza, che prevedeva la ricostruzione del modo in cui una cultura organizza la conoscenza del mondo, e dei meccanismi cognitivi che determinano il modo in cui individui entrano in rapporto con la realtà.
Il termine etnoscienza viene inteso come lo studio della categorizzazione del mondo di una determinata etnia.
Nella prima metà del novecento, Sapir e Whorf avevano analizzato la relazione tra le strutture grammaticali e la visione del mondo, ed avevano dedotto che la struttura linguistica deriva dall’esperienza ed è responsabile della visione del mondo.
Boas si differenziava dai due autori per la concezione del pensiero. Boas diceva che la mentalità del selvaggio e del civilizzato si differiscono per la capacità dell’ultimo di mettere per iscritto le riflessioni astratte.


L’etnoscienza diviene il tentativo di conoscere i principi di organizzazione che sono alla base dei comportamenti. I termini etico ed emico stanno ad indicare due diverse prospettive. Il termine etico da particolare valore alle teorie dell’osservatore, mentre ignora quelle dell’osservato, viceversa il termine emico indica la maggiore attenzione che si dedica al punto di vista dell’osservato.
L’etnoscienza privilegia la prospettiva emica, che prevede uno studio dei campi semantici della determinata cultura in esame.
La prospettiva emica è stata criticata da Harris che diceva che non era possibile giungere ad una conoscenza obbiettiva prendendo riferimento alle idee dei selvaggi. Solo le idee formulate dagli antropologi hanno valore.
Una tecnica utilizzata per analizzare i campi semantici è l’analisi componenziale, che parte dalla considerazione che le terminologie di parentela formano dei domini semantici al cui interno i termini acquistano significati particolari in base alla relazione che hanno con altri termini, e possono avere una relazione contrastava o gerarchica.
L’etnoscienza è un sapere relativistico che fonda la propria scienza su campi semantici interni alla cultura, ma ci sono stati anche studi generalizzanti, in particolare prendendo in considerazione la  terminologia usata per i colori, ipotesi avanzata da Berlin e Kay. Questi identificarono dei colori di base, che si riconoscevano senza l’aiuto di altri aggettivi, che variavano da due a undici in base allo sviluppo delle società, più la società era semplice e meno termini aveva.
Altri autori diversificarono la teoria mettendo in relazione i termini con i diversi ambienti in cui vivevano le società. Molte critiche ricevettero queste teorie soprattutto da culuralisti che dicevano che la percezione e la terminologia usata per i colori dipendevano anche dai significati che i colori possedevano nelle varie società.

Prospettive critiche nell’antropologia francese: dinamista, marxista, primitivista

Tra il 1950 e il 1970 l’antropologia francese ha conosciuto nuove prospettive di ricerca che hanno messo in discussione alcuni metodi tradizionali.
Agli inizi del 1950 si andò affermando l’antropologia dinamista con la quale si cominciò a considerare le società in una prospettiva dinamica, capaci cioè di cogliere le dimensioni della storia e delle trasformazioni.
Georges Balandier, punto di riferimento per lo studio delle trasformazioni sociali, introdusse il termine “situazione coloniale” che stava ad indicare il dominio imposto da una minoranza straniera, in nome di  una superiorità razziale. Balandier sottolinea che tutte le società sono sottoposte a due tipi di dinamiche, una interna ed una estera. Con il termine dinamica interna intendeva indicare la capacità delle società di autotrasformarsi sulla spinta delle contraddizioni interne; con il termine dinamiche esterne intendeva indicare come una società dovesse modificare le proprie istituzioni sulla spinta di pressioni sociali esterne. Per Roger Bastide la causalità esterna può anche essere la pressione che il passato può esercitare sul presente di una società, quindi la ricerca antropologica non potrà concentrarsi solo sul passato, bensì in  una situazione globale con passato presente e futuro.
Studiando alcune comunità africane, Bastide, inaugurò una sociologia della malattia mentale, che si incentrava sulle nevrosi culturali. Questa nevrosi consisteva nell’attaccamento esasperato alla religione ancestrale per cercare di difendersi e conservare la propria identità. Bastide spiega il sincretismo in brasile, in quanto la religione è praticata da gruppi di individui con origini diverse che tendono a  prendere elementi di altre religioni dove hanno delle lacune attribuendo loro un nuovo significato.
Nell’ambito di studi africanistica si sviluppò in Francia una corrente marxista in antropologia.
Riprendendo le idee di Marx, un modo di produzione risulta essere una forma storica di esistenza sociale caratterizzata da mezzi di produzione manodopera e i rapporti di produzione. I mezzi di produzione sono le risorse di una società, la manodopera è l’energia umana e i rapporti di produzione sono la relazione sociale tra i mezzi di produzione e la manodopera.


Uno dei primi autori che compì ricerche su questo filone fu Meillassoux il quale studiò la popolazione dei Gouro in Costa d’avorio. Meillassoux definì lignatico il loro modo di produzione, in quanto nella società i rapporti di produzione sono in possesso degli anziani che hanno un predominio sui giovani.
Meillassoux intese studiare l’avvento del capitalismo nei Gouro e la coesistenza che si venne a creare tra i due sistemi di produzione.
Meillassoux individua nel modo di produzione domestico, la base di tutte le società agricole africane precoloniali, ed indica questo modo come antecedente a quello lignatico. In questo modo di produzione la società soddisfa interamente ai propri bisogni, e pone al centro di questo modo, la riproduzione di manodopera. Nella comunità domestica esisteva un controllo solo sui mezzi di produzione come  la sementa e soprattutto le donne. Infatti una volta che i giovani avevano  prestato  servizio  agli anziani, veniva data loro una moglie che avrebbe prodotto manodopera a disposizione degli ex-giovani.
Nei suoi lavori Meillassoux ha messo in evidenzia il carattere contraddittorio del contatto di diversi modi di produzione e in particolare quello domestico con quello lignatico. Il modo lignatico si istaura quando   gli anziani giungono a sfruttare i giovani, vendendoli ad altri anziani. La comunità domestica culmina con l’avvento del capitalismo che mina le basi dell’esistenza stessa della società.
L’antropologia marxista è stata critica nei confronti della tradizione ed anche intervenuta sul problema della parentela. Godelier è stato il primo autore a dedicarsi a questo argomento e si pose il problema di conciliare economia e parentela sotto forma di un riesame del rapporto infrastruttura e sovrastruttura.
Godelier disse che i rapporti di parentela funzionano come rapporti di produzione e quindi fungono da regolatori della sfera politica e religiosa. Godelier considerava la religione come la sovrastruttura per eccellenza, ma sostiene anche che sarebbe errato non considerarli nella costituzione dei rapporti di produzione. Infatti la religione può assumere un carattere infrastutturale in alcuni popoli.
Nel 1960 in Francia prese vigore un ideologia primitivistica, che introdotta in un filone intellettuale più ampio mirava alla denuncia dello sterminio degli indiani e allo sfruttamento della foresta amazzonica. Nel discorso etnografico divenne centrale il termine etnocidio con il quale si indica la distruzione di una cultura più debole da parte di una più forte.
Pierre Clastres è stato uno degli autori che per primi ha seguito questo filone, incentrando la sua analisi sulla natura del potere nelle società amazzoniche.
In queste società il capo è designato in base a meriti come la generosità o la saggezza, ma  non ha un  potere sulla società, ma solo il beneficio della poliginia che lo  pone automaticamente  fuori dalla  sfera della cultura in quanto il potere, sostiene Clastres, è negazione della cultura.
Queste società non hanno uno stato, ed è ciò che le rende libere, infatti producono solo il necessario dedicando nel restante tempo a ciò che preferiscono.

 

Antropologia interpretativa e antropologia della contemporaneità

Negli anni ’70, l’antropologia ha attraversato una crisi della rappresentazione etnografica, ovvero gli antropologi si iniziavano a porre il problema di come avevano fino ad allora rappresentato gli altri e come invece dovevano essere rappresentati.
Su queste premesse, nel ’73 con la pubblicazione del libro “Interpretazione di culture” nasce l’antropologia interpretativa. Questa, si soffermava a riflettere su alcuni punti, come la considerazione del punto di vista del nativo, il modo di comunicare tra il nativo e l’antropologo e come questa esperienza possa essere trascritta.
Il cardine dell’antropologia interpretativa è che alla base dell’incontro tra nativo e antropologo c’è il fatto che ogni comportamento fa parte di un sistema di più ampio significato e che per essere compreso deve essere considerato in una rappresentazione più ampia. Un altro punto di questa antropologia è  considerare


la vita socio-culturale come un sistema aperto in quanto una cultura non può essere studiata in laboratorio e tra l’antropologo e il nativo non ci può essere un netto distacco perché sono calati nella stessa situazione. L’autore del libro Interpretazione di culture e fondatore di questa antropologia fu Clifford Geertz.
Il primo problema che l’autore affronta è quello di definire l’oggetto dell’antropologia e del metodo attraverso il quale poter aver accesso al mondo concettuale. Questo per Geertz lo si ottiene sfogliando i significati stratificati per arrivare a leggere la trama, ovvero il testo della cultura.
La cultura quindi, costituita da azioni simboliche e significati, si configura come un testo che l’antropologo tenta di leggere.
Geertz in alcuni suoi lavori successivi dirà che in antropologia il processo conoscitivo è composto da due concetti, quelli vicini e quelli lontani dall’esperienza del nativo. La conoscenza antropologica, quindi, oscilla tra questi due poli nella continua traduzione dei primi nei secondi e dei secondi nei primi.
L’antropologia della contemporaneità è un altro aspetto dell’antropologia che si è sviluppato negli anni più recenti e considera lo studio delle culture come uno studio dell’oggi ma in un ambiente globale, ovvero nel rapporto che la cultura ha con il proprio passato.
Uno dei maggiori esponenti di questa antropologia è Marc Augé che parla di un antropologia dei mondo contemporanei, ponendo in risalto il ruolo cosmopolita dell’antropologia attuale.

 

Fonte: http://clip2net.com/clip/m5192/1277295832-0a8a6-539kb.pdf?nocache=1

Sito web da visitare: http://clip2net.com

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Riassunto antropologia

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Riassunto antropologia

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Riassunto antropologia