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IV. Lo statuto dell’imprenditore commerciale
V. L’azienda
VI. I segni distintivi
VII. Opere dell’ingegno. Invenzioni industriali.
VIII. La disciplina della concorrenza.
IX. I consorzi tra imprenditori.
1. Nozione e tipologia
2. Il contratto di consorzio
3. I consorzi con attività interna. L’organizzazione consortile
4. I consorzi con attività esterna.
5. Le società consortili
X. Il gruppo europeo di interesse economico.
XI. Le associazioni temporanee di imprese.
Introduzione:
Costituzione Italiana à art. 41 e 42.
Si riconosce la PROPRIETA’ PRIVATA E LA LIBERA INIZIATIVA ECONOMICA.
Si riconosce dunque un modello di sviluppo economico basato sull’economia di mercato che presuppone:
Il fenomeno imprenditoriale è quindi l’asse portante dello sviluppo economico, obiettivo perseguito dal nostro ordinamento attraverso una normativa che riguarda sia i singoli rapporti economici ( disciplina dei singoli atti di autonomia privata a contenuto patrimoniale. Celerità e sicurezza alla circolazione dei beni e tutela del credito) sia l’attività di impresa (statuto professionale
à Diritto commerciale: sezione del diritto privato che disciplina l’attività e gli atti dell’impresa.
Caratteri fondamentali qualificanti:
I. L’IMPRENDITORE
1. Il sistema legislativo. Imprenditore e imprenditore commerciale.
L’imprenditore à Art. 2082 c.c.: è imprenditore colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.
TIPOLOGIA delle IMPRESE: divise secondo tre criteri di selezione
Tutto ciò viene regolato da:
Requisiti minimi necessari e sufficienti che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto alla disciplina dell’imprenditore:
L’imprenditore à Art.2082 c.c.: è imprenditore colui che esercita
Sussistono altri requisiti non direttamente menzionati ma comunque di rilevante importanza:
L’impresa è attività (serie di atti coordinati) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. à attività produttiva. E’ in funzione di un determinato obiettivo.
NOTA: La definizione generale d’ imprenditore è anche definizione generale d’ impresa, in quanto usiamo la parola “impresa” nell’attimo in cui si definisce il momento d’acquisto o cessazione della qualità d’imprenditore. La realtà globale dell’impresa è la risultante dell’unione d’aspetti:
Attività di godimento e impresa à
Attività di investimento e di finanziamento à
Impiego coordinato di fattori produttivi (capitale e lavoro) propri ed altrui. Apparato produttivo formato da persone e da beni strumentali. E’ imprenditore anche chi opera utilizzando solo il fattore capitale ed il proprio lavoro senza dar vita ad alcuna organizzazione intermediatrice del lavoro.
Non è necessario inoltre che l’attività organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione di un apparato strumentale fisicamente percepibile. Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzazione di fattori produttivi ed il loro coordinamento da parte dell’imprenditore per un fine produttivo.
Un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è pur sempre necessaria per aversi impresa sia pure piccola. In mancanza sia avrà semplice lavoro autonomo non imprenditoriale. In mancanza di un coefficiente minimo di “eteroorganizzazione” deve negarsi l’esistenza di impresa, sia pure piccola.
Es. lustrascarpe, investitore del proprio risparmio…
L’impresa è “attività economica”. L’attività produttiva può dirsi condotta con metodo economico quando è tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi. Deve essere esercitata con modalità che consentano almeno la copertura dei costi sostenuti con i ricavi conseguiti.
Carattere professionale dell’attività. Esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. Possono essere però attività stagionali o pluralità di attività (medico con impresa). La professionalità va accertata in base ad indici esteriori ed oggettivi.
ELEMENTI qualificanti non richiamati su cui si discende sulla loro importanza o meno a determinare la qualifica di imprenditore sono:
A.
Lo scopo di lucro è essenziale per l’attività di impresa? Distinguiamo lo scopo di lucro in:
L’attività d’impresa però, di fatto, è solo quella condotta con metodo economico.
Il REQUISITO MINIMO ESSENZIALE dell’attività di impresa è l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro.
B.
E’ imprenditore anche chi produce beni o servizi destinati ad uso e consumo personale (impresa per conto proprio)? La destinazione del mercato non è richiesta da alcun dato legislativo. E’ imprenditore anche chi lo è per conto proprio anche se vi sono tesi discordanti.
La verità è che l’applicazione della disciplina dell’impresa non si può far dipendere dalle mutevoli intenzioni di chi produce ma deve fondarsi esclusivamente sui caratteri oggettivi fissati dall’art. 2082 codice civile.
C.
La qualità di imprenditore può essere riconosciuta quando l’attività svolta è illecita, cioè contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume?
Es. impresa che fabbrica droga à reato
Contrabbando sigarette à reato
E’ da ritenersi che l’illiceità dell’attività precluda l’esistenza di impresa e l’applicazione della relativa disciplina? L’illecito va represso e sanzionato. Ci può essere un’attività di impresa illecita che da luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi. L’illiceità dell’impresa è determinata dalla violazione di norme imperative che ne subordinano l’esercizio a concessione o autorizzazione amministrativa (impresa illegale). Tale tipo di illecito non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore (commerciale) e con pienezza di effetti. Il titolare di un’impresa illegale è esposto al fallimento.
Se illecito è l’oggetto stesso dell’attività (attività immorale) ne deriva che da un comportamento illecito non potranno mai derivare effetti favorevoli per l’autore dell’illecito o per chi ne è stato parte.
Esistono delle attività produttive per le quali la qualifica imprenditoriale è esclusa in via di principio dal legislatore à professionisti intellettuali: liberi professionisti come medici, ingegneri, avvocati, commercialisti, notai… Essi non sono mai imprenditori.
Art. 2238 c.c. à le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa”. Essi diventano imprenditori solo se ed in quanto la professioni intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabile come impresa. (es. medico che gestisce clinica privata). Dunque in linea generale non essendo sottoposti alla disciplina dell’imprenditore commerciale non sono soggetti nemmeno al fallimento. La loro disciplina viene separata volontariamente per queste fattispecie: esame ed iscrizione all’albo per assicurare il carattere personale nel rapporto tra professionista intellettuale e cliente.
II. LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI
Distinzione effettuata secondo l’oggetto dell’attività:
E’ sottoposto ad una disciplina più leggera perché normalmente è più debole. Le attività agricole possono essere distinte in due grandi categorie:
La nozione originaria (art 2135 c.c.: chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse) oggi vede una visione più moderna a causa del progresso tecnologico che da semplice sfruttamento della produttività naturale della terra ha portato ad un’agricoltura industrializzata (coltivazioni artificiali o fuori terra/ allevamenti in batteria).
L’attuale formulazione dell’art 2135 cita: “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, sevicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.. intendendo le “ attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.
Rientrano dunque: orticoltura, coltivazione in serra o in vivai, floricoltura, acquicoltura..
Seconda categoria di attività agricole. Significativo ampliamento:
CONDIZIONI NECESSARIEà
E’ imprenditore commerciale chi esercita una o più delle seguenti categorie di attività: art. 2195 – 1°comma:
Carattere industriale dell’attività di produzione di beni e servizi + carattere intermediario delle attività di scambio.
Non è prevista da alcun dato legislativo
La dimensione dell’impresa è il secondo criterio di differenziazione della disciplina degli imprenditori. Il PICCOLO IMPRENDITORE è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore. E’ invece esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili (art. 2214, 3°comma) e dall’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali (art. 2221 e 1 legge Fall.), mentre l’iscrizione nel registro delle imprese originariamente esclusa (art. 2202) ha di regola solo funzione di pubblicità notizia (art.8 legge 29/12/1993, N. 580). Anche la nozione di piccolo imprenditore ha perciò nel sistema del codice civile rilievo essenzialmente negativo.
“Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano una attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei loro componenti della famiglia (art. 2083)”.
Può fallire solo l’imprenditore commerciale purché non sia pubblico ne piccolo (questo ultimo si sottrae alla disciplina del fallimento). In nessun caso sarà esonerata dal fallimento l’impresa che venisse esercitata in forma di società commerciale.
Fra i piccoli imprenditori rientra anche l’impresa artigiana. La legge 860 del 1956 la definiva con una serie di criteri al fine di individuare i destinatari di una disciplina di favore sotto il profilo creditizio, lavoristico e tributario. La c.d. legge quadro sull’artigianato (l. n. 443 del 1985) ha modificato la nozione di impresa artigiana ma, soprattutto, non è più dettata “ a tutti gli effetti di legge”. Perciò il riconoscimento della qualifica artigiana in base alla legge sull’artigianato non basta per escludere il fallimento: occorrerà valutare se sia rispettato il requisito della prevalenza dettato dall’art. 2083.
E’ impresa familiare l’impresa in cui lavorano e collaborano il coniuge, i parenti entro il 3° grado e gli affini entro il 2° grado dell’imprenditore: FAMIGLIA NUCLEARE. Il legislatore riconosce e tutela determinati diritti patrimoniali e amministrativi:
Sul piano gestorio poi è previsto che le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e talune altre decisioni di particolare rilievo “sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa”.
Il terzo criterio di differenziazione della disciplina delle imprese è rappresentato dalla NATURA GIURIDICA DEL SOGGETTO TITOLARE. Tre sono le figure contemplate dal legislatore:
Le società diverse dalle società semplici si definiscono tradizionalmente società commerciali.
L’attività di impresa può essere anche svolta dallo Stato e dagli altri enti pubblici. Vi sono tre forme di intervento possibili per lo Stato:
Se un’associazione o fondazione esercita professionalmente, accanto alla sua attività istituzionale, un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, acquista la qualifica di imprenditore e quindi, ricorrendone gli ulteriori presupposti, può fallire?
à Ad associazioni e fondazioni può applicarsi lo statuto dell’imprenditore commerciale.
Per poter affermare che un dato soggetto è diventato imprenditore è necessario che l’esercizio dell’attività d9i impresa sia a lui giuridicamente riferibile , sia a lui imputabile.
La qualità di imprenditore è acquistata - con pienezza di effetti – dal soggetto e solo dal soggetto il cui nome è stato speso nel compimento dei singoli atti di impresa. Diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in proprio nome gli atti relativi. Non diventa invece imprenditore il soggetto che gestisce l’altrui impresa quando operi spendendo il nome dell’imprenditore, per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall’interessato o riconosciutogli dalla legge.
Perciò quando gli atti di impresa sono compiuti tramite rappresentante (volontario o legale), imprenditore diventa il rappresentato e non il rappresentante. L’attività di impresa è sostanzialmente esercitata dal rappresentante. (ad esempio , il genitore che gestisce l’impresa quale rappresentante legale del figlio minore, in seguito ad autorizzazione del tribunale. Gli atti di impresa sono decisi e compiuti dal genitore, ma imprenditore è il minore e solo il minore è esposto a fallimento).
Fenomeno
Ritroviamo una situazione in cui esistono due soggetti: Il soggetto (persona fisica o giuridica) che compie in proprio nome i singoli atti di impresa:cosiddetto imprenditore palese o prestanome. Il soggetto (persona fisica o giuridica) che somministra al primo i necessari mezzi finanziari, dirige in fatto l’impresa e fa propri tutti i guadagni senza palesandosi come imprenditore di fronte a terzi è il cosiddetto imprenditore occulto o indiretto.
Pericoli per i creditori
Questo modo di operare non solleva particolari problemi quando gli affari prosperano e i creditori sono regolarmente pagati dall’imprenditore palese. I problemi gravi sorgono quando gli affari vanno male ed il soggetto utilizzato dal dominus sia una persona nullatenente o una società per azioni con capitale irrisorio (cosiddetta società di comodo o etichetta).
E’ fuori dubbio che i creditori potranno provocare il fallimento del prestanome;questi ha agito in nome proprio ed ha perciò acquistato la qualità di imprenditore commerciale.
Il dubbio sorge nel momento in cui il patrimonio dell’imprenditore palese non è sufficiente a ricoprire i bisogni del creditore. Quindi se si ammette che l’obbligato nei confronti del creditore sia solo l’imprenditore palese, il risultato sarà che il rischio dell’impresa non ricadrà sul dominus ma bensì sui creditori .
Dunque , quali possono essere i rimedi?
Esistono due tesi:
La prima tesi è quella della teoria del potere di impresa: la responsabilità cumulativa dell’imprenditore palese e del dominus – con l’esclusione però del fallimento per quest’ultimo - è stata affermata muovendo dall’idea che nel nostro ordinamento giuridico è espressamente sanzionata la inscindibilità del rapporto potere- responsabilità. Quindi il prestanome avendo acquistato la qualità di imprenditore è esposto al fallimento dato che solo il suo nome è stato speso nel traffico giuridico.
La seconda tesi riguarda la teoria dell’imprenditore occulto. Secondo tale teoria il dominus di un’impresa formalmente altrui non solo risponderà insieme a questi, ma fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome. (legge fallimentare art.147, 2° comma applicabile sia per il socio occulto di società palese; due soci palesi e uno occulto; sia per società occulta; un socio palese e uno occulto).Quindi se fallisce la società occulta è inevitabile che fallisca anche l’imprenditore occulto. Così è affermata la responsabilità del socio tiranno di una società per azioni, che non è titolare dell’intero pacchetto azionario ma utilizza il patrimonio della società per scopi personali.
Esistono due criteri di imputazione della responsabilità per debiti di impresa:
a) il criterio formale della spendita del nome, in base al quale acquista la qualità di imprenditore , con pienezza di effetti, la persona fisica o la società nel cui nome l’attività di impresa è svolta;
b) il criterio sostanziale del potere di direzione , in base al quale risponderebbe o risponderebbe e fallirebbe anche il reale interessato.
Nel fallimento del socio occulto di società palese ciò che è stato occultato è solo il reale numero dei soci ed il socio occulto risponde e fallisce esattamente per lo stesso motivo per cui rispondono e falliscono i soci palesi, perché fa parte della società. Dall’ art.147, 2°comma si può desumere il principio che ci è socio di una società a responsabilità illimitata risponde verso i terzi anche e la sua partecipazione alla società non è stata esteriorizzata. Ma nella fattispecie imprenditore occulto- imprenditore palese nessuna società esiste, in quanto mancano tutti gli elementi costitutivi del contratto di società (art. 2247 fondo comune, esercizio comune dell’attività, divisione degli utili).Il prestanome è infatti mandatario (senza rappresentanza )del dominus e non il suo socio. Quindi si può desumere ce la situazione giuridica è qualitativamente diversa da quella prevista dall’art. 147. Perciò anche se si accetta il primo passaggio dal fallimento del socio occulto al fallimento della società occulta, non è consentito affermare , per ulteriore analogia, la responsabilità illimitata del dominus.
In conclusione è vero che la spenditi del nome non è il solo criterio di imputazione dei debiti di impresa, ma non è meno vero che tale imputazione è pur sempre retta da indici esclusivamente formali ed oggettivi.
Il socio o i soci che hanno abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di un’autonoma impresa commerciale individuale o societaria per le obbligazioni da loro contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitali ed in quanto tali potranno fallire sempre che si accerti l’insolvenza della loro impresa.
Per le persone fisiche ed enti pubblici o privati, la qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa. Non è sufficiente l’intenzione di dare inizio all’attività .
L’effettivo inizio fa acquistare la qualità di imprenditore indipendentemente dalle intenzioni del soggetto agente ed anche se l’attività è esercitata in violazione delle norme amministrative abilitanti.La stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione né necessaria né sufficiente per l’attribuzione della qualità di imprenditore commerciale.
Anche per le società, il cui scopo tipico è l’esercizio di attività di impresa, il principio dell’effettività può e deve trovare applicazione.
Quando si ha l’effettivo inizio dell’attività di impresa ? è necessario al riguardo distinguere a seconda che il compimento di atti tipici di impresa sia o meno preceduta da una fase organizzativa oggettivamente percepibile (esempio affitto di locali, acquisto di macchinari, di attrezzature, assunzione di lavoratori, ecc…-).
In mancanza di tale fase preparatoria , solo la ripetizione nel tempo di atti di impresa omogenei e funzionalmente coordinati renderà certo che non si tratta di atti occasionali, bensì di attività professionalmente esercitata.
Quando invece venga preventivamente creata una stabile organizzazione ,anche un solo di esercizio sarà sufficiente per affermare che l’attività è iniziata. Né è necessario che sia portato a compimento il primo ciclo operativo con la vendita a terzi dei beni prodotti o con la rivendita delle menci acquistate.
Quindi anche gli atti di organizzazione determineranno l’acquisto della qualità di imprenditore e l’esposizione al fallimento quando manifestano in modo non equivoco lo stabile orientamento dell’attualità verso un determinato fine produttivo, sia pure non ancora realizzato (professionalità). Questi atti di organizzazione per divenire efficaci devono essere particolarmente qualificati per affermare che un’attività di impresa è iniziata.
L’imprenditore commerciale. Ciò in quanto l’art. 10 legge fall. prevede che lo stesso può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’attività.
La fine dell’impresa è di regola preceduta da una fase di liquidazione. Perciò la qualità di imprenditore si perde solo con la chiusura della liquidazione. La fase liquidativi potrà ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale. Non è necessario che siano stati riscossi tutti i crediti e siano stati pagati tutti i debiti relativi.
Per le società l’anno per la dichiarazione di fallimento decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese.
La capacità all’ esercizio di attività di impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi al compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito ad interdizione o inabilitazione.
Così il minore che con raggiri ha occultato la sua minore età non diventa imprenditore anche se i contratti conclusi non sono annullabili (art. 1426).
No impedisce l’acquisto o il riacquisto della qualità di imprenditore commerciale l’inabilitazione temporanea all’esercizio di attività commerciale.
E’ possibile l’esercizio di attività di impresa per conto e nell’interesse di un incapace (minore e interdetto) o da parte di soggetti limitatamente capaci di agire (inabilitato e minore emancipato) , con l’osservanza delle disposizioni al riguardo dettate.
L’amministrazione del patrimonio degli incapaci è regolata in modo da garantirne la conservazione e l’integrità. Il rappresentante legale del minore o dell’interdetto è legittimato a compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione possono essere compiuti solo in caso di necessità o di utilità evidente. Principi identici reggono il compimento i atti giuridici da parte dell’inabilitato o del minore emancipato che agiscono personalmente , ma con òl0assistenza di un curatore.
Il legislatore pone un divieto assoluto di inizio di impresa commerciale per il minore , l0’’interdetto e l’inabilitato. Salvo che per il minore emancipato, al quale è consentita solo la continuazione dell’esercizio di una impresa commerciale preesistente, purché la continuazione sia autorizzata dal tribunale.
In nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del minore Quando questi acquista una preesistente azienda commerciale, può essere autorizzato dal tribunale a continuare l’esercizio dell’impresa, sia pure con procedure e cautele diverse a seconda che il minore sia sottoposto a potestà familiare o a tutela (art. 320, 5°comma, 371, 2°comma). Intervenuta l’autorizzazione definitiva, il genitore o il tutore è legittimato a compiere tutti gli atti che rientrano nell’esercizio dell’impresa, siano essi di ordinaria o di straordinaria amministrazione.
Valgono le stesse regole dettate per il minore sottoposto a tutela. L’autorizzazione ala continuazione può riguardare anche l’impresa iniziata dallo stesso interdetto prima dell’interdizione.
E’ un soggetto la cui capacità di agire è limitata agli atti di ordinaria amministrazione. La sua posizione è tuttavia parificata a quella degli incapaci assoluti per quanto concerne l’esercizio di impresa commerciale: è possibile solo la continuazione di un’impresa preesistente, non l’ inizio ex novo. Intervenuta l’autorizzazione alla continuazione , l’inabilitato eserciterà personalmente l’impresa , sia pure con l’assistenza del curatore e con il consenso di questi per gli atti di impresa che eccedono l’ordinaria amministrazione.Il tribunale può tuttavia subordinare l’autorizzazione alla nomina di un direttore generale ;nomina che sarà fatta dallo stesso inabilitato col consenso del curatore.
Può essere autorizzato dal tribunale anche ad iniziare una nuova impresa commerciale. Con l’autorizzazione il minore emancipato acquista la piena capacità di agire, senza l’assistenza di un curatore.
L’esercizio autorizzato dell’impresa determina l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale da parte dell’incapace. Acquistando tale qualità all’incapace ricadranno gli effetti patrimoniali del fallimento; al minore imprenditore non possono invece essere reputati reati commessi da altri e che egli non poteva impedire. D’altro canto, nei confronti del genitore o del tutore è (probabilmente) applicabile l’art. 277 legge fallimentare che punisce i reati fallimentari dell’institore in qualità di legale rappresentante.
IV. LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE
L’imprenditore commerciale è destinatario di una peculiare disciplina che ha carattere essenzialmente pubblicistico in quanto finalizzata alla tutela degli interessi generali della collettività direttamente toccati da tali attività.
Necessaria per disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili su atti e situazioni delle imprese con cui si entra in contatto. La pubblicità legale rende di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa, secondo forme e modalità predeterminate per legge.
Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali previsto dal codice civile del 1942. Per oltre cinquant’ anni il nuovo istituto è però restato lettera morta. L’entrata in funzione del registro delle imprese era infatti subordinata all’emanazione del relativo regolamento di attuazione.
Durante i lunghi anni dell’attesa ha tuttavia trovato applicazione il regime transitorio. Regime imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria presso il tribunale e soprattutto caratterizzato dall’esonero temporaneo dall’iscrizione, salvo che per alcuni atti, degli imprenditori commerciali individuali e degli enti pubblici economici. Per le società di capitali era inoltre previsto, oltre all’iscrizione nel registro delle imprese anche la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata (busarl). Così pure per le cooperative in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese la pubblicazione nel bollettino ufficiale delle società cooperative e dei consorzi di cooperative (busc).
Ne risultava da tutto ciò un sistema di pubblicità delle imprese particolarmente disorganico e complesso.
La situazione finalmente si sblocca con la legge 29-12-1993 n. 580 contenente norme per il riordino delle camere di commercio. L’art. 8 di tale legge ed il relativo regolamento di attuazione hanno finalmente istituito il registro delle imprese, che è divenuto pienamente operante agli inizi del 1997.
Novità:
- fine del regime transitorio.
- soppressi il busarl e il busc.
- il registro delle imprese non è più solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali ma anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese (imprenditori agricoli,piccoli imprenditori, società semplici,ecc…).
- la tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio non più alle cancellerie dei tribunali.
- Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso le camere di commercio ed è retto da un conservatore (segretario generale o altro dirigente della camera di commercio) nominato dalla giunta. L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia.
Il registro è diviso in due sezioni: la sezione ordinaria e la sezione straordinaria.
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese era originariamente prevista dal codice civile:
- gli imprenditori individuali commerciali non piccoli
- tutte le società tranne la società semplice, anche se non svolgono attività commerciale
- consorzi
- gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale.
- le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale della loro attività
Nella sezione speciale ci sono due sezioni:
- gli imprenditori che secondo il codice civile ne erano esonerati e per i quali l’iscrizione, introdotta con la riforma del 1993, aveva originariamente solo funzione di pubblicità notizia; vale a dire gli imprenditori agricoli individuali, i piccoli imprenditori, le società semplici, sono inoltre annotati gli imprenditori artigiani già iscritti nel relativo albo.
- le società fra professionisti. Istituita dall’art. 16 del d.lgs. 2-2-2001 si iscrivono attualmente le sole società tra avvocati.
Gli atti da registrare sono diversi a seconda della struttura soggettiva dell’impresa. Riguardano essenzialmente gli elementi di individuazione dell’impresa e dell’imprenditore (ex dati anagrafici, ditta, oggetto, sede principale,ecc..) e la struttura e l’organizzazione della società (atto costitutivo, nomina e revoca amministratori, ecc…).
Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha la sede e, per agevolare le ricerche da parte dei terzi, negli atti e nella corrispondenza deve essere indicato il registro presso il quale l’iscrizione è avvenuta.. L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma può avvenire anche di ufficio se l’iscrizione è obbligatoria e l’interessato non vi provvede. E di ufficio può anche essere disposta la cancellazione di un’iscrizione. In ogni caso prima di procedere all’iscrizione l’ufficio del registro deve controllare che il fatto o l’atto è soggetto a iscrizione e che la documentazione è formalmente regolare.
L’iscrizione deve essere eseguita entro dieci giorni dalla data di protocollazione della domanda, mediante inserimento dei dati nella memoria dell’elaboratore elettronico. Contro il provvedimento motivato di rifiuto dell’iscrizione, il richiedente può ricorrere entro otto giorni al giudice del registro, che provvederà con un decreto. L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni amministrative pecuniarie.
L’iscrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di pubblicità legale;serve cioè non solo a rendere conoscibili i dati pubblicati, ma anche, a seconda dei casi, efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa.
Di regola l’iscrizione nella sezione ordinaria ha efficacia semplicemente dichiarativa. I fatti e gli atti soggetti ad iscrizioni ed iscritti sono opponibili a chiunque e lo sono dal momento stesso della loro registrazione. (per le sole società capitali; s. per azioni, s. a responsabilità limitata l’opponibilità diviene piena solo dopo il decorso di 15 giorni di iscrizione).
In alcune ipotesi l’iscrizione produce effetti ulteriori e più rilevanti. E’ anche presupposto perché l’atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti che per i terzi (efficacia costitutiva totale), o solo nei confronti dei terzi (efficacia costitutiva parziale).
In altri casi, l’iscrizione nella sezione ordinaria è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico. E’ questo il caso della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice.
L’iscrizione nelle sezioni speciali del registro ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia.
Eccezione:con il d.lgs 228/2001 per l’imprenditore agricolo l’iscrizione nella sezione speciale ha oltre che efficacia di pubblicità notizia, anche di pubblicità legale.
Eliminazione del busarl e del busc. Quindi unico strumento di pubblicità legale è il registro delle imprese.
Per alcuni atti delle società di capitali e/o delle società cooperative è prevista la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale anziché nel registro delle imprese (ex. convocazione dell’assemblea di s.p.a. o di società cooperativa).
Le scritture contabili sono appunto i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta.
La tenuta delle scritture contabili è tuttavia elevata ad obbligo ed è legislativamente disciplinata per gli imprenditori che esercitano attività commerciale (art.2214)
La disciplina elle scritture contabili prevista dal codice civile non si applica ai piccoli imprenditori e quindi anche i piccoli imprenditori che esercitano attività commerciale.
Le società commerciali devono ritenersi obbligate alla tenuta delle scritture contabili anche non esercitano attività commerciale.
Art. 2214 à L’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. In ogni caso devono essere tenuti determinati libri contabili:il libro giornale ed il libro degli inventari. Infine , devono essere ordinariamente conservati, per ciascun affare gli originali della corrispondenza commerciale (lettere, fatture, telegrammi) ricevuta e le copie di quella spedita.
Il libro giornale è un registro cronologico- analitico. Giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa devono essere indicate. Può essere anche eventualmente articolato in libri parziali in relazione alle articolazioni dell’impresa.
Il libro degli inventari è invece un registro periodico- sistematico. Deve essere redatto all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno. Deve perciò contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività dell’imprenditore, anche estranee all’impresa.
L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite .Il bilancio è un prospetto contabile riassuntivo dal quale devono risultare con evidenza e verità la situazione complessiva del patrimonio.
Il libro giornale ed il libro degli inventari devono essere solo enumerati progressivamente in ogni pagina e vidimati e bollati prima di essere messi in uso.
- Tutte le scritture contabili devono essere tenute secondo norme di una ordinaria contabilità (art. 2219) e in particolare senza spazi bianchi, senza interlinee, senza abrasioni.
- Oggi è consentita la tenuta delle scritture contabili con sistemi informatici.
- La corrispondenza commerciale e le scritture contabili devono essere tenute per dieci anni .
- Le scritture contabili non sono di regola soggette ad alcuna forma di controllo esterno. Dal 1975 la contabilità delle società con azioni quotate in borsa è sottoposta al controllo esterno di apposite società di revisione.
- L’obbligo di tenuta delle scritture contabili non è assistito da alcuna sanzione generale e diretta, salvo quelle previste dalla legislazione tributaria.
Ritroviamo tra le scritture contabili anche altre scritture quali per esempio il libro mastro, nel quale le singole operazioni sono registrate non cronologicamente ma sistematicamente (esempio per cliente); libro cassa, che contiene le entrate e le uscite di denaro;il libro magazzino , che registra le entrate e le uscite delle merci.
Le informazioni sulla vita dell’impresa non sono accessibili ai terzi. Le eccezioni sussistono per il bilancio delle società di capitali e delle società cooperative (ma non quelle degli imprenditori individuali e delle società di persone) deve essere reso pubblico mediante deposito presso l’ufficio del registro delle imprese.
L’ipotesi più significativa di rilevanza esterna delle scritture contabili si ha tuttavia sul piano processuale. Potendo le stesse essere utilizzate come mezzo di prova sia a favore, sia contro l’imprenditore.
L’imprenditore può avvalersi e di regola si avvale della collaborazione di altri soggetti.:c.d. ausiliari interni o subordinati e c.d. ausiliari esterni o autonomi.
In entrambi i casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome e o per conto dell’imprenditore con un agire in rappresentanza dell’imprenditore con specifica dichiarazione di volontà di quest’ultimo attraverso la procura.
Il terzo che decide di contrattare con chi dichiara di agire in veste di rappresentante è tenuto perciò ad accertare l’esistenza della procura. Il contratto concluso dal falsus procurator è infatti improduttivo di effetti ed il terzo non potrà vantare alcun diritto nei confronti del preteso rappresentato. L’art. 1398 gli riconosce solo la possibilità di chiedere al falsus procurator il risarcimento del danno che ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Queste regole cedono invece il passo ad altre, parzialmente diverse, quando si è in presenza di determinate figure tipiche di ausiliari interni (institori, procuratori e commessi), che, per la posizione loro assegnata nell’impresa , sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi ed a concludere affari per l’imprenditore.
E’ institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di un ramo particolare della stessa. E’ nel linguaggio comune, il direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo. L’institore è al vertice della gerarchia del personale , in virtù di un atto di preposizione dell’imprenditore. Vertice assoluto se l’institore è preposto all’intera impresa ed in tal caso dipenderà solo dall’imprenditore ; solo da lui riceverà direttive .Vertice relativo se è preposto ad una filiale o a un ramo dell’impresa;ed in tal caso potrà eventualmente trovarsi in posizione subordinata anche rispetto ad un altro institore (ad esempio, il direttore generale dell’intera impresa).
La delineata posizione comporta innanzitutto che l’institore è tenuto ,congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede cui è preposto. Ed in caso di fallimento dell’imprenditore troveranno applicazione nei confronti dell’institore le sanzioni penali a carico del fallito;fermo restando che solo l’imprenditore
potrà essere dichiarato fallito e solo l’imprenditore sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del fallimento.
Anche in mancanza di espressa procura ,l’institore può compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa (rappresentanza sostanziale). E’ comunque certo che l’institore non è legittimato a compiere atti che esorbitano dall’esercizio (gestione) dell’impresa quali, la vendita o l’affitto dell’azienda, il cambiamento dell’oggetto dell’attività. Inoltre gli è vietato alienare o ipotecare i beni immobili del proponente, se non è stato a ciò espressamente autorizzato.
Caratterizza l’institore anche una eventuale rappresentanza processuale, in quanto l’institore può stare in giudizio, sia come attore (rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa a cui è preposto.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore. Le limitazioni saranno però opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese. Mancando tale pubblicità legale, la rappresentanza si reputa generale.
Infine dobbiamo ricordare che l’institore deve rendere palese al terzo con cui contratta tale veste, affinché l’atto compiuto e i relativi effetti ricadano direttamente sul rappresentato; e deve renderla palese spendendo il nome del rappresentato. Il rappresentante che non osservi tale regola obbliga solo se stesso ed il terzo non si può rivolgere al rappresentato.
I procuratori sono coloro che in base ad un rapporto continuativo abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa , pur non essendo preposti ad esso (art. 2209).I procuratori non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria; il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo (ad esempio il direttore del settore acquisti, il dirigente del personale, il direttore nel settore pubblicità). I procuratori sono investi di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore; generale, però, rispetto alla specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale(ad esempio il dirigente del settore acquisti potrà compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti tipicamente rientrano in tale funzione, ma non ha né potere decisionale né potere di rappresentanza.
Per quanto riguarda il settore pubblicità o il settore del personale.
Il procuratore non ha la rappresentanza processuale; non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e l’imprenditore non risponde per gli atti, pur pertinenti all’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.
Ai commessi sono affidate mansioni esecutive e materiali;a loro è riconosciuto potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento;potere però più limitato rispetto a quello degli institori e dei procuratori.
I commessi non possono esige il prezzo delle merci delle quali non facciano parte la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso; non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte dall’imprenditore;non possono esigere il prezzo fuori dei locali stessi né dentro l’impresa. A tutti i commessi è riconosciuta la legittimazione a ricevere per conto dell’imprenditore l dichiarazioni che riguardano l’esecuzione dei contratti ed i reclami relativi alle inadempienze contrattuali. L’imprenditore può limitare o ampliare i poteri. Non è tuttavia previsto un sistema di pubblicità legale;perciò le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei (ad esempio avvisi affissi nei locali di vendita ), o se si prova l’effettiva conoscenza.
V. L’AZIENDA
< L’azienda è il complesso ei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa > (art. 2555).
Esiste perciò una rapporto di mezzo a fine tra azienda e impresa. L’azienda costituisce l’apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento della propria attività.
L’azienda è un insieme di beni eterogenei (mobili e immobili, materiali e immateriali, fungibili e infungibili) ,che subisce modificazioni qualitative e quantitative nel corso dell’attività. E’ e resta però un complesso caratterizzato da unità di tipo funzionale.
Il rapporto di strumentalità e di complementarietà fra i singoli elementi costitutivi l’azienda, fa sì che il complesso unitario acquisti di regola un valore di scambio maggiore della somma dei singoli beni che in un dato momento lo costituiscono. Tale maggior valore si definisce avviamento.
L’avviamento per un’azienda è in sostanza rappresentato dall’ attitudine a consentire la realizzazione di un profitto; non è né un bene né un diritto, ma una semplice qualità dell’azienda, sia matrimonialmente sia giuridicamente tutelata.
Elementi costitutivi dell’azienda sono tutti i beni, di qualsiasi natura organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555).
Per qualificare un dato bene come bene aziendale rilevante è perciò solo la destinazione funzionale impressagli dall’imprenditore (ad esempio sono beni aziendali anche i beni di proprietà di terzi di cui l’imprenditore può disporre in base ad un contratto come il leasing). Irrilevante è invece il titolo giuridico (reale o obbligatorio) che legittima l’imprenditore ad utilizzare un dato bene nel processo produttivo.
Bon possono essere perciò considerati beni aziendali i beni di proprietà dell’imprenditore che non siano da questi effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività di impresa (ad esempio l’abitazione di proprietà dell’imprenditore).
L’azienda essendo un complesso di soli beni ,il trasferimento di azienda si potrà effettuare anche quando le parti hanno escluso espressamente dal trasferimento i contratti ,i debiti, i crediti.
(Bisogna però anche sottolineare il fatto che per parte della dottrina l’azienda è organizzazione non solo di beni ma anche di servizi ;ed elementi costitutivi dell’azienda sono considerati anche i crediti verso la clientela, i debiti,ecc…e dunque non solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore si avvale.)
Teorie unitarie
Considerano l’azienda come un bene unico, un bene immateriale e la qualificano come una universalità di beni. Ritengono perciò che il titolare dell’azienda abbia un vero proprio diritto di proprietà unitario, destinato a coesistere con i diritti che vanta sui singoli beni.
Teoria atomistica
Considera l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro funzionalmente collegati e sui quali l’imprenditore può vantare diritti diversi ( proprietà, diritti reali limitati, diritti personali di godimento).
La disciplina dettata per le universalità di mobili ( ex. azienda equiparata alle universalità di beni dall’art. 67 c.p.c. che prevede il sequestro giudiziario di aziende o di altre universalità di beni; norme specifiche sull’universalità di mobili definite dall’art. 816 c.c. ;oppure ancora l’universalità di mobili diversamente dagli immobili possono costituire oggetto di pegno) è applicabile all’azienda?
L’applicabilità diretta è da escludere. L’azienda è di regola costituita da beni eterogenei e può comprendere anche beni (immobili e mobili) che non sono di proprietà dell’imprenditore.
Può però ammettersi al pari delle universalità di mobili che:
- l’insieme dei beni mobili aziendali di proprietà dell’imprenditore sia sottratto all’applicazione della regola possesso di buona fede vale titolo ,valida per i singoli beni mobili (art. 1156)
- il complesso mobiliare aziendale possa essere acquistato per usucapione solo in virtù del possesso continuato per vent’ anni (art. 1160)
- il titolare di un’azienda possa avvalersi dell’azione di manutenzione, oltre che per gli immobili, anche per tutelare il possesso dell’insieme dei beni mobili aziendali.
L’azienda può essere venduta, conferita in società, donata e sulla stessa possono essere costituiti diritti reali (usufrutto) o personali (affitto) di godimento a favore di terzi.
E’ importante stabilire se un determinato atto è da qualificare come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali. La distinzione non sempre è agevole, perché può verificarsi che le parti ricorrano ad espedienti quale il frazionamento del trasferimento dell’azienda in più atti separati.
Il trasferimento di azienda (complesso di beni organizzati) o il trasferimento di singoli beni aziendali deve essere operato secondo criteri oggettivi e non rifacendosi al nomen dato al contratto dalle parti o alla loro intenzione soggettiva, perché il trasferimento di azienda può produrre effetti che incidono su terzi (ex. Art . 2560 responsabilità dell’acquirente per i debiti). Quindi per avere il trasferimento pacifico di azienda, non è necessario che l’atto di disposizione comprenda l’intero complesso aziendale;mentre è necessario e sufficiente che sia trasferito un insieme di beni di per sé potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizi di una determinata attività di impresa purché i beni esclusi non alterino l’unità economica e funzionale di quella data azienda (ex. trasferimento del brevetto su cui si fonda l’attività di impresa).
Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’art. 2556:
- validità
I contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione in godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
Così per il trasferimento in proprietà all’acquirente degli immobili aziendali di proprietà dell’alienante sarà necessaria la forma scritta a pena di nullità (art. 1350).
- prova
Solo per le imprese soggette a registrazione è previsto che ogni atto di disposizione dell’azienda deve essere provato per iscritto (art. 2556).La scrittura e la sua mancanza comporterà come unico effetto che le parti (ma non i terzi) non potranno avvalersi della prova per testimoni per dimostrare l’esistenza del contratto (art. 2725).
- pubblicità
Sempre per le imprese soggette a registrazione, nel nuovo testo introdotto dalla legge 310/1993, il contratto di trasferimento deve essere sempre redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve essere depositato a cura del notaio nel termine di trenta giorni.
Chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque sviare la clientela dall’azienda ceduta (art. 2557, 1°comma ). Se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per le attività ad essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile sviamento della clientela (art. 2557, 4°comma ).
La norma unisce due esigenze:
- quella dell’acquirente di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento (soggettivo)
- quella dell’alienante a non vedere compressa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela.
Il divieto di concorrenza è derogabile ed ha carattere relativo. Le parti possono anche ampliare la portata dell’obbligo di astensione, massimo cinque anni in più si può prolungare.
Il divieto è applicabile non solo alla vendita volontaria ma bensì anche quando la vendita è coattiva (però per ex è escluso dalla violazione dell’art. 2557 chi vende un panificio e poi apra nella stessa zona un negozio di altri generi alimentari).
Il divieto di concorrenza ha per oggetto l’inizio di una nuova impresa concorrente. Esso però non sempre è puntualmente rispettato dall’alienante. (ad esempio si vende un’azienda e si inizia attività concorrente avvalendosi di un prestanome o costituendo una società di comodo ,oppure si aliena l’azienda e si entra come dirigente in un’impresa concorrente o ridiventa amministratore unico di una società concorrente).
Il legislatore muove dalla premessa che l’acquirente dell’azienda ha interesse a subentrare in contratti relativi all’azienda e tale interesse il legislatore lo tutela introducendo significative deroghe alla disciplina generale della cessione dei contratti. Infatti secondo l’art. 2558, se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa ,salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante;il recesso determina i non l ritorno del contratto in testa all’alienante bensì la definitiva estinzione dello stesso.
Il sub-ingresso dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione prescinde da un’esplicita manifestazione di volontà nell’atto di alienazione dell’azienda.
Per diritto comune la cessione del contratto non può avvenire senza il consenso del contraente ceduto e un’espressa pattuizione fra alienante ed acquirente (art. 1406) se si tratta di prestazioni di carattere personale; se invece l’oggetto delle prestazioni non è personale, il consenso del terzo contraente non è più necessario e l’effetto successorio si produce dal momento stesso in cui diventa efficace il trasferimento dell’azienda.
In sede di vendita l’azienda troverà applicazione dalla disciplina degli art. 2559 e 2560 per i crediti e i debiti aziendali e non quella prevista dall’art. 2558 (successione nei contratti).
Per i debiti non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore. Infatti l’alienante non è liberato da tali debiti se no risulta che i creditori vi hanno consentito. Consenso che deve riguardare specificamente la liberazione dell’alienante e non genericamente il trasferimento dell’azienda.
Per le sole aziende commerciali nel trasferimento risponde dei debiti aziendali anche l’acquirente dell’azienda , se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori (art. 2560).
L’azienda può essere costituita in usufrutto o può essere concessa in affitto.
L’art. 2561 dispone che l’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue. Dispone inoltre che lo stesso deve condurre l’azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. La violazione di tali obblighi o la cessazione arbitraria dalla gestione dell’ azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario.
L’usufruttuario non solo può godere dei beni aziendali, ma ha anche il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione. Tale potere di disposizione sussiste non solo rispetto alle scorte e più in generale rispetto al cosiddetto capitale circolante, ma anche rispetto al capitale fisso (immobili, impianti, macchinari), purché tali atti di disposizione non alterino l’identità e l’efficienza dell’azienda. L’usufruttuario potrà acquistare ed immettere nell’azienda nuovi beni; beni che diventano di proprietà del nudo proprietario e sui quali l’usufruttuario avrà diritto di godimento e potere di disposizione.
E’ previsto anche un probabile inventario all’inizio ed alla fine dell’usufrutto.
L’affitto di azienda è contratto affatto diverso dalla locazione di un immobile destinato all’ esercizio di attività di impresa:nel primo caso, oggetto del contratto è un complesso di beni organizzati, eventualmente comprensivo dell’immobile; nel secondo caso, il contratto ha per oggetto il locale in quanto tale.
Sia per l’usufrutto e sai per l’affitto si applicano gli art. 2557 (divieto di concorrenza) e l’art. 2558 (successione nei contratti aziendali). Il nudo proprietario ed il locatore sono perciò tenuti a non iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela per la durata dell’usufrutto e dell’affitto. Inoltre l’usufruttuario o l’affittuario subentrano automaticamente nei contratti aziendali per la durata dell’usufrutto o dell’affitto. Per i debiti aziendali anteriori alla costituzione dell’usufrutto o dell’affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore, salvo che per i debiti di lavoro espressamente accollati anche al titolare del diritto di godimento.
VI. I SEGNI DISTINTIVI
I principali segni distintivi dell’imprenditore sono:
Tali segni distintivi sono fondamentali nella formazione e mantenimento della clientela a favore dell’imprenditore, oltre che svolgere un ruolo di garanzia per quanti entrino in contatto con essi per non essere tratti in inganno sull’identità dell’imprenditore o sulla provenienza dei prodotti.
Princìpi comuni:
La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore e in mancanza di scelta diversa, esso coincide con il nome civile dell’imprenditore.
Limiti specifici nella scelta della propria ditta:
La ditta è trasferibile ma solo insieme all’azienda, con il consenso dell’alienante se il trasferimento avviene per atto tra vivi. A causa di morte, la ditta si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria. Chi ha trasferito l’azienda è responsabile in solido con l’acquirente per i debiti da questo contratti spendendo la ditta derivata à si addossa all’alienante l’onere di portare a conoscenza dei terzi l’avvenuto trasferimento dell’azienda e della ditta se si tratta di impresa non commerciale.
Ditta individuale e nome civile assolvono ad una diversa funzione e sono diversamente disciplinati.
Nome civile: attribuito per legge, ha struttura fissa, è unico e non liberamente modificabile.
Ditta: princìpi opposti rispetto a quella del nome civile.
L’imprenditore, se ha un solo nome civile, può avere più ditte; ditta e nome civile sono diversamente tutelate. Non è consentita omonimia tra ditte di imprenditori in rapporto di concorrenza (opposto per nome civile); il nome civile è indisponibile e intrasmissibile (opposto per la ditta).
La distinzione tra nome civile e nome commerciale (ditta) dell’imprenditore è da ritenersi valida anche per le società.
Art. 2567: la ragione sociale delle società di persone e la denominazione sociale delle società di capitali e delle cooperative sono regolate dalle norme specificamente dettate in sede di disciplina dei singoli tipi di società.
Ragione sociale e denominazione sociale non vanno identificate con la ditta, perché vanno poste sullo stesso piano del nome civile della persona fisica. Regime valevole per le società: art. 2564 le società devono avere una ragione sociale o una denominazione sociale; il nome della società non può essere uguale o simile a quello prescelto da altra società concorrente e non è trasferibile. Le società possono inoltre avere anche una ditta originaria , formata rispettando le norme sulla ditta, nonché una o più ditte derivate.
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. Esistono tre tipi di marchio: marchio nazionale, marchio comunitario e marchio internazionale, disciplinati da diverse normative imperniate sull’istituto della registrazione che riconoscono al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello stesso.
Il marchio ha la funzione di differenziare i prodotti di un certo imprenditore da quelli della concorrenza, è indicatore della provenienza del prodotto da una fonte unitaria di produzione, tuttavia non garantisce la qualità dei prodotti.
Diversi tipi di marchio:
MARCHIO DI FABBRICA E DI COMMERCIO: in particolare i beni che subiscono successive fasi di lavorazione o risultano da assemblaggio di parti distintamente prodotte, possono essere contraddistinte da più marchi coesistenti sullo stesso prodotto. Il rivenditore può apporre il proprio marchio a questi prodotti, non potendo però sopprimere il marchio del produttore.
MARCHIO DI SERVIZIO: utilizzato da imprese che producono servizi, ad es. la forma pubblicitaria.
MARCHIO GENERALE E MARCHIO SPECIALE: l’imprenditore può usare un solo marchio per i propri prodotti (marchio generale) o servirsi di più marchi per differenziare prodotti in relazione a diversità qualitative (marchi speciali).
Il marchio può essere costituito:
Non possono essere registrate come marchi forme della natura o quelle che danno un valore sostanziale al prodotto (ad es. la forma di una bottiglia).
MARCHIO COLLETTIVO: titolare di questo marchio è un soggetto che svolge la “funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”. Tale marchio è concesso in uso solo a produttori o commercianti consociati (es. “Pura lana vergine” o “Prosciutto di Parma”).
Il marchio, per essere tutelato giuridicamente, deve rispondere a requisiti di liceità, verità, originalità e novità.
Liceità: il marchio non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume, stemmi o altri segni prodotti da convenzioni internazionali. Per l’uso del nome di una persona o del suo pseudonimo è necessario il consenso dell’interessato o anche dei suoi eredi.
Verità: non deve contenere segni che ingannino il pubblico su provenienza geografica, natura, qualità dei prodotti o servizi.
Originalità: deve essere originale e distinguibile; il legislatore predetermina segni privi di capacità distintiva:
Possiamo poi distinguere marchi deboli, facilmente confondibili con altri marchi, e marchi forti, dotati di accentuata capacità distintiva.
Novità: il marchio non deve essere usato da altri imprenditori generando confusione fra i consumatori. Possiamo poi distinguere tra marchi ordinari e marchi celebri.
Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità indicati sopra ha diritto all’uso esclusivo del marchio prescelto, e la disciplina si differenzia se il marchio è stato registrato oppure no.
Il marchio registrato può essere usato direttamente dal l’imprenditore o da chi lo usi in altre imprese di cui abbia il controllo e con il suo consenso. La registrazione attribuisce il diritto all’uso esclusivo su tutto il territorio nazionale. Il titolare può impedire a terzi di mettere in commercio, esportare o importare prodotti col proprio marchio o di usarlo nella pubblicità. Il diritto di esclusiva copre anche i prodotti affini (non solo quelli identici), con conseguenze particolarmente gravi quando si tratta di marchi celebri o di alta rinomanza. Il diritto di esclusiva decorre dalla data di presentazione della relativa domanda all’Ufficio brevetti; la registrazione nazionale è presupposto per estendere la tutela ad ambito internazionale. La registrazione nazionale, comunitaria e internazionale dura 10 anni, è rinnovabile per un numero illimitato di volte.
Dal marchio si decade per volgarizzazione (quando ad esempio lo stesso è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto: Nylon, Cellophane), ingannevolezza o mancata utilizzazione entro 5 anni dalla registrazione. Il marchio è tutelato civilmente e penalmente; il titolare del marchio può promuovere l’azione di contraffazione.
È tutelato anche il marchio non registrato, sebbene meno sensibilmente. Il titolare di un marchio non registrato diventato noto su tutto il territorio nazionale potrà impedire che altri usi in fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti, ma non per prodotti affini. Il titolare di un marchio non registrato con notorietà locale non potrà impedire che altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi prodotti un'altra zona del territorio nazionale. Potrà continuare ad usare il suo marchio solo nella diffusione locale.
Il marchio di fatto gode di una tutela penale più limitata.
Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo sia a titolo temporaneo (c.d. licenza di marchio). Il marchio oggi può essere trasferito tutto o in parte senza necessario trasferimento dell’azienda. È possibile la contitolarità del marchio. Lo stesso marchio può essere utilizzato contemporaneamente dal titolare originario e da uno o più concessionari (licenza di marchio non esclusiva); da questa però non deve derivare inganno nei caratteri dei prodotti o servizi essenziali nell’apprezzamento del pubblico.
C. L’INSEGNA
L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale. Essa non potrà essere uguale o simile a quella già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con conseguente obbligo di differenziazione. L’insegna dovrà essere lecita, veritiera e originale.
Nulla è disposto per il trasferimento dell’insegna, ma è pacifico che il diritto può essere trasferito.
VII. OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI
Le opere dell’ingegno (campo culturale) e le invenzioni industriali (campo della tecnica) sono le creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento.
Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore, mentre le invenzioni industriali possono formare oggetto del brevetto per invenzioni industriali, del brevetto per modelli di utilità o della registrazione per disegni e modelli.
2. Princìpi ispiratori della disciplina
Il diritto riconosciuto all’autore o inventore è quello di sfruttamento economico dell’opera o dell’invenzione (diritto di privativa). La brevettazione nelle invenzioni industriali serve a rendere di pubblico dominio il contenuto dell’invenzione stessa. Il diritto di esclusiva è limitato a 70 anni dopo la morte dell’autore per le opere dell’ingegno; 20, 10 o 5 anni dalla domanda di brevetto per invenzioni industriali, modelli di utilità e per i disegni e modelli. Decorsi questi periodi, l’opera è liberamente riproducibile e l’invenzione liberamente sfruttabile. L’invenzione deve essere attuata nel territorio dello Stato.
A. IL DIRITTO D’AUTORE
Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie, musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il modo e la forma di espressione.
Tali opere sono protette indipendentemente dal loro pregio, tuttavia devono avere “carattere creativo”: originalità oggettiva. Fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera, non deve essere stata necessariamente divulgata fra il pubblico. La tutela è sia morale, sia patrimoniale.
Diritto morale: rivendica nei confronti di chiunque la paternità dell’opera: pubblicazione, modifiche varie etc.. Diritto irrinunciabile, inalienabile, non si perde con la cessione dei diritti patrimoniali e possono essere esercitati anche dopo la morte.
Diritto patrimoniale: diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera in ogni forma e modo, originale o derivato. Ha durata limitata, di 70 anni dopo la morte dell’autore.
Opera collettiva: l’opera può essere costituita da più contributi autonomi e separabili. Ai singoli autori è riconosciuto il diritto d’autore sulla propria parte.
Opera in collaborazione: composta da contributi omogenei e non distinguibili e non divisibili. Regime di comunione fra i coautori.
Opera composta: composta da contributi eterogenei e distinti ma che danno vita a opera funzionalmente unitaria e indivisibile.
Diritti connessi o affini al diritto d’autore sono poi riconosciuti a determinate categorie di soggetti.
Il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è liberamente trasferibile, sia unitariamente che nelle sue singole manifestazioni, sia fra vivi, sia a causa di morte.
Contratti previsti per lo sfruttamento economico:
Il diritto d’autore è protetto con sanzioni civili, amministrative pecuniarie e penali. Le opere dell’ingegno godono di una protezione circoscritta al territorio nazionale e sono esposte alla concorrente utilizzazione abusiva da parte di terzi in altri Stati. Ci sono delle Convenzioni per estendere in ambito territoriale la tutela del diritto d’autore.
B. LE INVENZIONI INDUSTRIALI
Le invenzioni industriali appartengono al campo della tecnica. Sono la soluzione originale di un problema tecnico. Il diritto si acquista tramite la concessione del brevetto da parte dell’Ufficio Italiano brevetti e marchi. Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale:
Non possono essere oggetto di brevetto ciò che già esiste in natura e l’uomo si limita a percepire oppure una nuova teoria.
I trovati devono avere determinati requisiti:
L’inventore ha diritto al brevetto, oltre ad avere il diritto morale all’invenzione. Il lavoratore ha sempre diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro. L’attribuzione dei diritti patrimoniali derivanti è regolata secondo una triplice tipologia:
Lo svolgimento di attività di ricerca può anche essere affidato a lavoratori autonomi o a gruppi organizzati di ricercatori tramite appositi contratti di ricerca.
Il brevetto per invenzione industriale è emesso dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, sulla base di una domanda corredata dalla descrizione accurata dell’invenzione.
Il brevetto per invenzioni industriali dura 20 anni dalla data di deposito della domanda e non c’è possibilità di rinnovo. Il diritto di esclusività si può perdere per nullità del brevetto o decadenza dello stesso. Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e trarne profitto nel territorio dello Stato. L’esclusiva di commercio si esaurisce con la prima immissione in circolazione del prodotto brevettato. Se l’invenzione riguarda un nuovo metodo o processo di produzione (invenzione di procedimento), l’esclusiva copre solo la messa in commercio del prodotto identico a quello direttamente ottenuto con il nuovo metodo o processo.
Il brevetto è liberamente trasferibile sia fra vivi sia mortis causa; il titolare del brevetto può concedere licenza d’uso dello stesso.
L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali e possono essere esercitate azioni di contraffazione nei confronti di chi sfrutti abusivamente l’invenzione.
Il rilascio del brevetto per invenzione attribuisce diritto di esclusiva solo sul territorio nazionale. Per i paesi esteri, l’inventore deve presentare distinte domande per ogni paese (quelli che hanno aderito alla convenzione di Monaco del 1973), ma la novità dell’invenzione è valutata con riferimento alla data del primo deposito nazionale.
L’inventore può anche conseguire il brevetto europeo, che non è autonomo ed unitario perché regolato dalle singole legislazioni nazionali dei paesi in cui il brevetto ha efficacia, ma è equivalente a un fascio di brevetti nazionali.
Brevetto autonomo e unitario è il brevetto comunitario, rilasciato dall’Ufficio europeo di Monaco.
L’inventore può anche non brevettare il proprio trovato, e anche per le invenzioni non brevettate è riconosciuta una sia pur limitata tutela.
C. I MODELLI INDUSTRIALI
I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali. I modelli sono distinti in a) modelli di utilità e b) disegni e modelli.
I modelli di utilità sono nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità a macchine, strumenti, utensili e oggetti d’uso.
I disegni e modelli sono invece nuove idee destinate a migliorare l’aspetto dei prodotti industriali (industrial design).
I modelli industriali riguardano la foggia funzionale o estetica dei prodotti.
La tutela dei modelli industriali continua a fondarsi sull’istituto della brevettazione. Il brevetto per i modelli di utilità dura 10 anni, rispetto ai 20 delle invenzioni industriali.
La durata del brevetto per i disegni e modelli è di 5 anni dalla domanda, ma può essere prorogata fino a 25 anni. Disegni e modelli sono anche tutelati dal diritto d’autore quando presentino carattere creativo e valore artistico.
Modello ideale del funzionamento del mercato sarebbe quello di concorrenza perfetta, ma irrealizzabile. Altra ipotesi sarebbe la situazione di oligopolio; ancora, un altro modello è il monopolio di fatto, in cui una sola impresa controlla tutta l’offerta di un dato prodotto.
La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale; il legislatore italiano:
Nel 1990 è stata introdotta una normativa antimonopolistica nazionale, norme per la tutela della concorrenza e del mercato.
La norma europea che disciplini la concorrenza è nata appena dopo la II guerra mondiale In Italia è in vigore dal 1/5/1999.
Si applica per la concorrenza effettuata tra due o più stati membri. La normativa europea ha comunque posizione preminente rispetto alla disciplina italiana, che si trova ad avere carattere residuale.
Fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria sono tre:
a) intese restrittive della concorrenza à comportamenti concordati fra imprese per limitare la prorpia libertà di azione sul mercato. Sono considerati in particolare intese:
Non tutte le intese anticoncorrenziali sono però vietate, ma solo quelle che falsino in maniera consistente il gioco della concorrenza. Sono lecite le c.d. intese minori. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.
b) abuso di posizione dominante da parte di una o più imprese à è vietato lo sfruttamento abusivo della posizione dominante raggiunta da un’impresa, con comportamenti lesivi dei concorrenti e dei consumatori, capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva.
Ad un’impresa in posizione dominante è particolarmente vietato di:
Le sanzioni sono emesse dall’Autorità garante, che può anche disporre la sospensione dell’attività d’impresa fino a 30 giorni.
È oggi anche vietato l’abuso dello stato di dipendenza economica col quale s’intende la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi. Il patto col quale si realizza l’abuso di dipendenza economica è nullo.
c) Si ha concentrazione quando:
Le concentrazioni costituiscono uno strumento utile di ristrutturazione e non sono di per sé vietate in quanto rispondono all’esigenza di accrescere la competitività delle imprese. Diventano illecite e vietate quando diano luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato (solo per quelle di maggior dimensione).
Concentrazioni che superino un determinato livello di fatturato devono essere preventivamente comunicate.
L’Autorità può vietare la concentrazione o può autorizzarla, può infliggere sanzioni pecuniarie. Diversamente dalle intese, le concentrazioni vietate comunque eseguite non sono nulle ma soggette a sanzioni.
Interventi del legislatore per limitare la concorrenza:
L’art. 43 della Costituzione pone una serie di limiti al riconosciuto potere statale di creare monopoli pubblici. È necessario che la riserva di attività sia disposta con legge ordinaria e che il sacrificio della libertà di iniziativa risponda ai fini di utilità generale.
La normativa antitrust non trova applicazione quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale. Il legislatore tuttavia tutela gli utenti contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista. Il monopolista ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano l’oggetto dell’impresa e l’obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti.
L’obbligo di contrarre del monopolista e il corrispondente diritto soggettivo dell’utente sussistono per le richieste compatibili con in mezzi ordinari dell’impresa.
Il rispetto del principio della parità di trattamento comporta che il monopolista debba predeterminare e rendere note al pubblico le proprie condizioni contrattuali che sono in larga parte fissate in via legislativa o sottoposte a preventiva approvazione amministrativa.
Quello sopra detto valeva per il monopolio legale. Per il monopolista di fatto, che ha una posizione dominante seppur non goda di un regime di esclusiva. Questi deve stare attento a non abusare della sua posizione dominante verso gli utenti.
Limitazioni, oltre che di natura pubblicistica, anche da parte del legislatore per la tutela di interessi patrimoniali e privati. Rientrano fra i divieti legali di concorrenza:
Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto ed è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o a un determinato tipo di attività. Limite di durata: max 5 anni.
Si distinguono due diverse categorie di patti anticoncorrenziali: autonomi e accessori.
à Come patti autonomi, possiamo identificare quei contratti che hanno come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di concorrenza. Gli obblighi di non concorrenza possono essere a carico di una parte (restrizioni unilaterali) o di entrambe (restrizioni reciproche). Questi ultimi si definiscono solitamente cartelli o intese e possono essere di contingentamento, di zona, di prezzo…
Per le restrizioni reciproche di concorrenza invece le finalità di un cartello possono essere realizzate anche attraverso la stipulazione di un contratto di consorzio, tipico e specificamente regolato. Il contratto ha validità per 10 anni.
à I patti accessori, invece, sono anche clausole accessorie di un contratto e possono intercorrere sia fra imprenditori in diretta concorrenza sia operanti a livelli diversi.
Alcuni di tali patti accessori (patti innominati) sono sottoposti a determinata disciplina:
La disciplina dell’art. 2596 è applicabile solo ai patti accessori innominati.
10. Libertà di concorrenza e disciplina della concorrenza sleale
E’ interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto e leale à necessità di distinguere comportamenti leciti e leali da comportamenti sleali e vietati.
In generale, nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai principi della correttezza professionale. I fatti, gli atti e i comportamenti che violano tale regola sono atti di concorrenza sleale. Tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa e anche se non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti. Basta il cosiddetto danno potenziale. La disciplina della concorrenza sleale è una disciplina speciale rispetto a quella dell’illecito civile. I consumatori sono i soggetti che non devono essere tratti in inganno e perciò devono essere tutelati. Tuttavia, questi sono tutelati in maniera mediata e riflessa perché i soggetti legittimati a reagire contro atti di concorrenza sleale sono SOLO gli imprenditori concorrenti e le loro associazioni di categoria.
La disciplina della concorrenza sleale regola i rapporti di coesistenza sul mercato fra imprenditori concorrenti. Per la sua applicazione, sono necessari due presupposti:
12.Gli atti di concorrenza sleale. Le fattispecie tipiche
Art. 2598 definisce i comportamenti di concorrenza sleale:
Costituisce atto di concorrenza sleale ogni altro mezzo non conforme ai princìpi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
Tra gli altri atti di concorrenza sleale rientrano:
La repressione degli atti di concorrenza si fonda su due tipi di sanzioni:
L’azione per la repressione della concorrenza sleale può essere promossa dall’imprenditore o dagli imprenditori lesi. I singoli consumatori o le associazioni che li rappresentano NON sono legittimari a promuovere la repressione della concorrenza sleale.
Punti salienti della disciplina legislativa in tema di pubblicità ingannevole: la pubblicità deve essere palese, veritiera, corretta, nonché chiaramente riconoscibile come tale.
È ingannevole qualsiasi pubblicità che in qualunque modo indice in errore o può indurre in errore le persone alle quali è rivolta e possa pregiudicare il loro comportamento economico o ledere un concorrente.
Ogni interessato può chiedere che siano inibiti gli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta illecita e che ne siano eliminati gli effetti.
IX. I CONSORZI FRA IMPRENDITORI
“Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina e lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. (art. 2602)
La nuova ampia definizione legislativa comporta che il consorzio è oggi schema associativo tra imprenditori idoneo a comprendere 2 distinti fenomeni della realtà:
Consorzi e concorrenza: i consorzi anticoncorrenziali sollecitano controlli volti ad impedire che per loro tramite si instaurino situazioni di monopolio di fatto contrastanti con l’interesse generale. Quelli di cooperazione conservano e accrescono la competitività tra le imprese, favoriscono la sopravvivenza delle piccole e medie imprese. Sono guardati con favore dal legislatore che ne agevola la costituzione ed il funzionamento.
Divisione rilevante sul piano civilistico:
- Le parti: unico requisito richiesto è che sia stipulato tra imprenditori
- Forma e contenuto: è un contratto formale, deve essere formato per iscritto, a pena di nullità (art. 2603). Essenziale è la determinazione dell’oggetto del consorzio, degli obblighi assunti dai consorziati e degli (eventuali) contributi in danaro.
- Durata: è per sua natura un contratto di durata. Può essere liberamente fissata dalle parti, ma una previsione al riguardo non è necessaria. Nel silenzio il contratto è valido dieci anni.
- Ammissione di nuovi consorziati: contratto tendenzialmente aperto. E’ possibile la partecipazione di nuovi imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti gli attuali consorziati. Le condizioni di ammissione devono però essere predeterminate nel contratto. Indicazione non essenziale se il contratto nulla prevede al riguardo è da ritenersi che il consorzio abbia struttura chiusa. Nuovi imprenditori potranno aderire solo con il consenso di tutti i consorziati.
- Recesso ed esclusione: Il contratto può sciogliersi limitatamente ad un consorziato, per volontà di questi (recesso) o per decisione degli altri consorziati (esclusione). Le cause in entrambi i casi devono essere indicate nel contratto e causa tipica di esclusione può essere l’inadempimento agli obblighi consortili. Anche questa però non è clausola essenziale del contratto. Se nulla è pattuito opererà pur sempre la causa di esclusione prevista dall’art. 2610. L’esclusione potrà sempre essere deliberata in caso di gravi inadempienze.
- Liquidazione della quota: al consorziato receduto o escluso competerà la liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo patrimoniale consortile.
- Scioglimento del consorzio: le cause sono elencate nell’art. 2611 che consente lo scioglimento con delibera maggioritaria dei consorzi quando sussiste giusta causa. In mancanza da decidere all’unanimità.
Carattere strutturale essenziale è la creazione di un’organizzazione comune, cui è demandato il compito di attuare il contratto assumendo e portando ad esecuzione le decisioni a tal fine necessarie. Organizzazione che può avere rilievo solo interno o anche nei confronti dei terzi, ma che in ogni caso non può mancare. Bisogna dunque determinare quali siano gli organi preposti all’attuazione del contratto, nonché le rispettive funzioni e le modalità di funzionamento. Di regola: presenza di un organo con funzioni deliberative composto da tutti i consorziati (assemblea) e di un organo con funzioni gestorie ed esecutive (organo direttivo).
Hanno specifica disciplina integrativa rispetto ai precedenti. Essa prevede per i consorzi destinati a svolgere attività con i terzi un ufficio a tal fine istituito (art. 2612). Disciplina che trova fondamento sia nell’esigenza di regolare i rapporti patrimoniali consorzio-terzi, sia nel carattere tipicamente imprenditoriale dell’attività di tali consorzi.
Consorzi e società sono istituti nettamente diversi. Il consorzio svolge attività esclusivamente interna, manca l’esercizio in comune di un’attività economica (attività d’impresa) da parte dei consorziati che è elemento essenziale delle società. La distinzione è più sottile quando il consorzio svolge attività con i terzi. In questo caso si hanno fenomeni associativi comuni: carattere imprenditoriale e il fine di realizzare attraverso tale attività un interesse economico.
FUNZIONE TIPICA di un consorzio (con attività esterna) è quella di produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate. L’intento tipico non è ricavare un utile ma usufruire dei beni e servizi prodotti e messi a loro disposizione in modo da conseguire un vantaggio patrimoniale diretto sotto forma di minori costi sopportati o di maggiori ricavi conseguiti.
X. IL GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO
GEIE à Gruppo Europeo di Interesse Economico: nuovo istituto giuridico predisposto dall’Unione Europea per favorire la cooperazione fra imprese appartenenti a diversi stati membri, rimuovendo gli ostacoli delle diversità delle singole legislazioni nazionale.
XI. LE ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESE
Le associazioni temporanee o raggruppamenti temporanei di imprese “JOINT VENTURES” sono forme di cooperazione temporanea ed occasionale fra imprese poste in essere per realizzare congiuntamente un’opera o un affare complesso, che supera le capacità operative della singola impresa ma che presentano caratteristiche tali da consentire il consenso di più imprese distinte nella loro realizzazione. E’ un fenomeno largamente diffuso in campo internazionale.
Es. grandi opere pubbliche o private
Problema giuridico: la costituzione di tali organismi comporta spese preventive che potrebbero risultare del tutto inutili qualora la gara di appalto non venga vinta. Inoltre, se le imprese partecipano alla gara attraverso una società o un consorzio saranno tali organismi a risultare, giuridicamente, aggiudicatari dell’appalto.
Prassi contrattuale: accordi reciproci di cooperazione strutturati in modo da soddisfare le delineate esigenze operative evitando nel contempo di dare vita ad un rapporto societario. Le imprese si presentano così distinte ma collegate. Presentano un’offerta congiunta e si obbligano congiuntamente ad eseguire l’opera complessiva affidando ad una di esse (impresa capogruppo) il compito di gestire unitariamente i rapporti col committente e di coordinare i lavori nella fase esecutiva. Nel contempo ciascuna impresa conserva piena autonomia giuridica ed economica nel compimento della parte dell’opera. Questa forma di cooperazione si definisce con caratteri di originalità tali da rendere difficile il loro puntuale inquadramento. Costituiscono secondo giurisprudenza “contratti associativi innominati”.
Figure tipiche: la nostra legislazione regola solo taluni aspetti di alcune forme tipiche di cooperazione à
. accordi di cooperazione internazionale per la produzione di opere cinematografiche
. con titolarità della concessione per la ricerca e la coltivazione di giacimenti di idrocarburi
. …
Il raggruppamento temporaneo di imprese, oggi disciplinato dalla legge 109/1944 e dal d.p.r. 554/1999 si fonda su un MANDATO COLLETTIVO CON RAPPRESENTANZA conferito dalle imprese che intendono partecipare alla gara di appalto ad una di esse qualificata capogruppo. Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata ed è per legge gratuito.
Si avrà un unico interlocutore per tutta la durata dell’appalto. Il mandato è irrevocabile e la revoca, anche per giusta causa, non ha effetto nei confronti del soggetto appaltante. Il capogruppo ha la rappresentanza esclusiva, anche processuale delle imprese mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni.
Fonte: http://www.controcampus.it/wp-content/uploads/2012/02/Diritto-commerciale-Limpresa.doc
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