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CAPITOLO 11: " CONCORSO APPARENTE DI NORME E CONCORSO DI REATI "
1. Il problema.
Uno dei problemi più controversi della teoria e della prassi del diritto penale riguarda i casi in cui con una sola azione od omissione o con una pluralità di azioni od omissioni si integrino gli estremi di più figure legali di reato: si tratta di stabilire in quale rapporto si trovino fra loro le norme che prevedono quelle figure di reato. Può darsi che la natura di quel rapporto comporti l'applicazione di una soltanto di tali norme, escludendo l'applicazione delle altre, in questo caso si parlerà di concorso apparente di norme. Può darsi invece che tutte quelle norme reclamino la loro applicazione e si avrà un concorso di reati: si tratterà di concorso formale di reati se i reati sono stati commessi con una sola azione od omissione; di concorso materiale di reati, se sono stati commessi con più azioni od omissioni.
A prima vista l'unico criterio per individuare un concorso apparente di norme (e non un concorso di reati) è quello del rapporto di specialità tra le norme incriminatrici, che trova un'espressa enunciazione nella parte generale del codice penale all'art. 15: quando tra le norme incriminatrici non intercorre un rapporto di specialità, si ha sempre concorso di reati, con la conseguente applicazione o delle sanzioni previste per ogni singolo reato, sommate l'una all'altra, (è quanto si prevede di regola per il concorso materiale di reati) o della pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo (come si prevede per il concorso formale di reati). In realtà, il legislatore ha espressamente usato altri criteri che individuano ipotesi di concorso apparente di norme, cioè ipotesi nelle quali una sola è la norma da applicare quando o con una sola azione o con più azioni sono stati integrati gli estremi di più figure di reato. Ad esempio le norme contenenti clausole di riserva, come "se il fatto non costituisce altro reato", o "se il fatto non costituisce un più grave reato", o "fuori del caso indicato nell'art. X" o "fuori dei casi di concorso nel reato X".
A) Il concorso apparente di norme.
2. Le due ipotesi di concorso apparente di norme: unità o pluralità di fatti concreti penalmente rilevanti.
Il concorso apparente di norme può profilarsi in due gruppi di casi:
A) quando un unico fatto concreto (un'azione od omissione) sia riconducibile ad una pluralità di norme incriminatrici, una sola delle quali applicabile;
B) quando si realizzino più fatti concreti cronologicamente separati (più azioni od omissioni), ciascuno dei quali sia riconducibile ad una norma incriminatrice, ed una sola di tali norme sia applicabile: con la conseguente impunità o del fatto antecedente o del fatto susseguente a quello che viene punito.
3. Unico fatto concreto: La specialità come primo criterio per individuare un concorso apparente di norme.
Per risolvere i problemi posti dal primo gruppo di ipotesi, il legislatore enuncia innanzitutto il criterio di specialità, stabilendo all'art. 15 c.p. che quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito. Da questa disposizione consegue che quando tra due norme incriminatrici sussiste un rapporto di specialità si ha un concorso apparente di norme (e non un concorso di reati) e al fatto concreto è applicabile la sola norma speciale, che estromette la norma generale. Una norma è speciale rispetto ad un'altra quando descrive un fatto che presenta tutti gli elementi del fatto contemplato dall'altra - la norma generale - ed inoltre uno o più elementi specializzanti.
Specializzante può essere:
A) un elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla norma generale;
B) un elemento che si aggiunge a quelli espressamente previsti nella norma generale.
Si parla nel primo caso di specialità per specificazione, nel secondo di specialità per aggiunta.
Ad esempio un rapporto di specialità intercorre tra i delitti di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 d.p.r. 309 del 1990). Queste due figure hanno in comune l'associarsi allo scopo di commettere più delitti, mentre si differenziano per il fatto che nell'una lo scopo dell'associazione può essere la commissione di delitti di qualsiasi tipo, mentre nell'altra deve trattarsi solo dei delitti previsti nell'art. 73 del d.p.r. (coltivazione, produzione, fabbricazione di sostanze stupefacenti o psicotrope). Quindi la norma dell'art. 74 è speciale rispetto a quella dell'art. 416 c.p., e lo è nella forma della specialità per specificazione. Un altro caso riguarda i rapporti tra le norme incriminatrici dell'omicidio doloso comune (art. 575 c.p.) e dell'infanticidio (art. 578 c.p.). Queste due figure hanno in comune il cagionare con dolo la morte di un uomo, mentre si differenziano sotto diversi profili: soggetto attivo dell'omicidio è chiunque, mentre nell'infanticidio è la madre; nel reato di omicidio l'oggetto materiale è l'elemento "uomo" che, nella descrizione legale dell'infanticidio si specifica negli elementi "neonato" e "feto"; inoltre nell'infanticidio agli elementi presenti nell'omicidio si aggiungono elementi ulteriori: quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto e immediatamente dopo il parto o durante il parto, si tratta di elementi già compresi nella norma generale dell'omicidio doloso comune, infatti se quest'ultima norma incriminatrice non esistesse i fatti di infanticidio sarebbero puniti come fatti di omicidio. Quindi la norma prevista all'art. 578 è speciale rispetto a quella prevista nell'art. 575, per un verso si tratta di specialità per specificazione (per quanto riguarda i soggetti attivi e gli oggetti materiali), per altro verso si tratta di specialità per aggiunta (per quanto riguarda i limiti temporali delle circostanze concomitanti all'azione che hanno importanza nell'art. 578).
L'elemento specializzante oltre che come elemento costitutivo può rilevare anche come circostanza aggravante o attenuante di un dato reato. In questo caso il legislatore ritaglia una porzione della norma generale non per elevarla ad autonoma figura di reato, ma per farne oggetto, quale circostanza del reato, di un trattamento sanzionatorio più o meno rigoroso di quello previsto dalla figura semplice; in questo caso il rapporto di specialità intercorre tra quest'ultima e la figura circostanziata alla quale in base all'art. 15 c.p. è assegnata la prevalenza (ad esempio sono elementi specializzanti del delitto di furto le circostanze aggravanti previste nell'art. 625 c.p. (come il furto commesso con destrezza, con violenza sulle cose, portando indosso armi, ecc.).
Se il legislatore non avesse previsto questa o quella ipotesi speciale di reato, o cessasse di prevederla a seguito di abrogazione, troverebbe sempre applicazione la norma generale. Nella prima eventualità, i membri di un'associazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti risponderebbero di associazione per delinquere comune, della maggiore gravità di questa forma di associazione criminale il giudice terrebbe conto in sede di commisurazione della pena, in base all'art. 133 c.p. Nella seconda eventualità, a seguito dell'abrogazione della norma che prevedeva l'oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 c.p., abrogato dalla legge 205/1999), l'offesa all'onore del pubblico ufficiale viene oggi ricondotta alla figura generale dell'ingiuria (art. 594 c.p.), e la maggior gravita di un'offesa all'onore recata ad un pubblico ufficiale non come ad un qualunque privato cittadino, ma, secondo quanto recitava il 341, a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, potrà essere valorizzata dal giudice in sede di commisurazione della pena prevista dal 594, nonché applicando la circostanza aggravante dell'art. 61 n. 10 c.p. (aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale).
Una più ampia nozione di legge speciale viene proposta da una parte della dottrina, che riferisce il principio enunciato nell'art. 15 c.p. anche alle ipotesi di specialità in concreto o a quelle di specialità reciproca (o bilaterale).
Con la formula specialità in concreto si fa riferimento ad un rapporto tra norme che, pur descrivendo modelli legali di reato tra i quali non intercorre un rapporto strutturale di specialità, ricomprendono entrambe un medesimo fatto concreto in ragione delle particolari modalità con le quali quel fatto è stato realizzato (ad esempio il caso della falsificazione di un atto pubblico che venga utilizzato come mezzo per commettere una truffa; la norma sul falso in atto pubblico (art. 476, 1 comma c.p.) dovrebbe trovare applicazione esclusiva a scapito di quella sulla truffa (art. 640 c.p.), per la sola ragione che quella norma prevede la reclusione da uno a sei anni, mentre per la truffa la reclusione è da sei mesi a tre anni). Altrettanto fallace appare la pretesa di ricondurre alla disciplina dell'art.15 c.p. le ipotesi di specialità reciproca (o bilaterale) , cioè i casi in cui due norme descrivono fatti di reato che, accanto ad un nucleo di elementi comuni, presentano elementi specifici ed elementi generici rispetto ai corrispondenti elementi dell'altra (ad esempio le norme incriminatrici della violenza privata, art. 610 c.p., e della violenza o minaccia per costringere o commettere un reato, art. 611 c.p. La prima norma è speciale rispetto alla seconda perché dà rilievo ad una fisionomia particolare del comportamento oggetto di costrizione: "commettere un fatto costituente reato", mentre la norma dell'art.610 si riferisce genericamente ad un "fare, tollerare o omettere qualche cosa". Risulta pressoché impossibile individuare un criterio plausibile per stabilire quale sia la norma speciale che deve prevalere sull'altra. Una parte della giurisprudenza interpreta la formula "stessa materia" nell'art.15 come sinonimo di "stesso bene giuridico '', limitando così il campo di applicazione del criterio di specialità alle sole ipotesi in cui la norma speciale tuteli lo stesso bene giuridico protetto dalla norma generale.
A questo orientamento si obietta in primo luogo che la formula "stessa materia '' non evoca minimamente l'idea di un identico bene giuridico tutelato, stando piuttosto ad indicare l'esigenza che uno stesso fatto sia riconducibile sia alla norma generale che alla norma speciale; in secondo luogo si sottolinea che nessuna ragione di tipo logico si oppone al fatto che si consideri norma speciale una norma che tutela, accanto al bene tutelato dalla norma generale, anche un bene diverso (come nel caso della norma incriminatrice dell'oltraggio a un magistrato in udienza, prevista dall'art. 343 c.p., che si considera norma speciale rispetto a quella che incrimina l'ingiuria, prevista dall'art. 594 c.p., pur essendo posta a tutela sia dell'onore individuale, sia del prestigio dell'amministrazione della giustizia).
Alla regola della prevalenza della norma speciale potrà derogarsi solo nel senso della congiunta applicabilità di entrambe le norme concorrenti: sia di quella speciale, sia di quella generale. Si avrà perciò un concorso formale di reati, e non un concorso apparente di norme.
Con la clausola di riserva prevista all'art.15, il legislatore anticipa la possibilità che singole norme incriminatrici contemplino, a loro volta, clausole del tipo "ferme restando le sanzioni previste ", "senza pregiudizio per le sanzioni previste" da questo o quel testo normativo, ecc. , cioè queste sanzioni si cumuleranno con quelle comminate dalla disposizione che contiene la clausola di riserva, secondo la disciplina del concorso formale di reati.
4. La sussidiarietà come secondo criterio per individuare un concorso apparente di norme.
Il principio di specialità non esaurisce il concorso apparente di norme penali: ulteriori ipotesi possono individuarsi attraverso il principio di sussidiarietà. Quando un unico fatto concreto sia riconducibile a due o più norme incriminatrici, c'è concorso apparente di norme, ed è quindi applicabile una sola delle norme concorrenti, anche nei casi in cui fra le norme sussista un rapporto di rango: la norma di minor rango, come norma sussidiaria, cede il passo alla norma principale. E questo rapporto di rango tra le norme concorrenti è reso visibile dalla sanzione più grave comminata nella norma principale.
Una norma è sussidiaria rispetto ad un'altra (norma principale), quando quest'ultima tutela, accanto al bene giuridico protetto dalla prima norma, uno o più beni ulteriori o reprime un grado di offesa più grave allo stesso bene.
La logica della sussidiarietà guida il legislatore quando inserisce nel testo di una norma incriminatrice clausole del tipo "qualora il fatto non costituisca un più grave reato", "se il fatto non è preveduto come più grave reato da altra disposizione di legge", ecc. : queste clausole connotano espressamente la norma come sussidiaria (ad esempio nel caso in cui qualcuno distrugga un documento che riguarda la sicurezza dello Stato, custodito presso un pubblico ufficio, il fatto concreto è riconducibile sia alla previsione dell'art. 351 c.p., che per la violazione della pubblica custodia di cose commina la reclusione da uno a cinque anni, sia alla previsione dell'art. 255 c.p., che punisce la soppressione di documenti riguardanti la sicurezza dello Stato con la reclusione non inferiore a otto anni. La prima norma incriminatrice tutela il bene dell'inviolabilità delle cose sottoposte a pubblica custodia, qualunque sia la forma in cui si realizzi la violazione. Invece la seconda norma da un lato reprime un grado di offesa più grave a quello stesso bene, dando rilievo alla soppressione dei documenti, dall'altro lato proteggere l'ulteriore bene della sicurezza dello Stato, reprimendo le aggressioni ai documenti che la riguardano).
Un rapporto di sussidiarietà sussiste anche quando una norma contenga in sé una clausola del tipo "fuori del caso indicato nell'art x", "fuori dei casi di concorso nel reato x", ecc.: se il fatto concreto, oltre ad integrare gli estremi del reato descritto dalla norma contenente la clausola di riserva, realizza anche gli estremi dell'altro reato, troverà applicazione solo la norma alla quale fa rinvio la clausola di riserva, come norma il cui rango più elevato è messo in evidenza dalla pena più severa qui comminata (ad esempio chi aiuti qualcuno ad assicurarsi, occultandolo, il denaro proveniente da un delitto, questo fatto integra sia gli estremi del favoreggiamento reale, previsto dall'art. 379 c.p., sia quelli della ricetta azione, previsto dall'art. 648 c.p.. Tra le relative norme incriminatrici non intercorre un rapporto di specialità, ma nella prima è presente la clausola "fuori dei casi previsti dall'art. 648", che è norma principale in quanto posta a tutela sia dell'amministrazione della giustizia, sia del patrimonio: e la maggiore gravità del delitto di ricettazione è espressa dalla comminatoria della reclusione da due a otto anni (mentre nell'art. 379 c.p. si prevede la reclusione da 15 giorni a cinque anni).
Il numero delle norme incriminatrici che contengono clausole di sussidiarietà espressa, è così rilevante che non sono espressione di incerti criteri di opportunità, ma obbediscono a un criterio di sistema, dando importanza ad un principio di portata generale in grado di operare non solo nei casi di sussidiarietà espressa, ma anche nei casi di sussidiarietà tacita. L'ipotesi della sussidiarietà tacita ricorre quando due norme incriminatrici, alle quali sia contemporaneamente riconducibile il fatto concreto, si pongano tra loro in un rapporto di rango, individuando due figure di reato di diversa gravità, delle quali l'una offenda, oltre al bene offeso dall'altra, anche un bene ulteriore o rappresenti uno stadio di offesa più intensa allo stesso bene giuridico. In un rapporto di sussidiarietà tacita si pongono ad es. la norma che configura il delitto di strage (art. 422 c.p) ed una serie di norme che configurano altri delitti contro la pubblica incolumità, come l'incendio (art. 423 c.p), l'inondazione, frana o valanga (art. 426 c.p), il naufragio o sommersione (art. 428 c.p).
La sussidiarietà, in forma espressa o tacita, può delinearsi anche fra norme incriminatrici che descrivano stadi diversi di offesa allo stesso bene giuridico, come nei rapporti tra reati di pericolo concreto e corrispondenti reati di danno (ad esempio una persona preposta al controllo di un passaggio a livello che omette per colpa di abbassare le sbarre nel tempo prescritto dai regolamenti ferroviari nell'imminenza del passaggio di un treno, creando così il pericolo di un disastro ferroviario, che poi in effetti si verifica, mettendo a repentaglio la vita di un numero indeterminato di persone. Questo fatto è riconducibile sia al delitto di pericolo colposo di disastro ferroviario previsto dall'art. 450, 1 comma c.p., punito con la pena della reclusione fino a due anni, sia al delitto di disastro ferroviario colposo previsto dall'art. 449, 2 comma c.p, punito con la pena della reclusione da due a 10 anni. Delle due norme incriminatrici troverà applicazione però solo la seconda che descrive un grado più intenso di offesa al bene della pubblica incolumità).
5. La consumazione come criterio per individuare un concorso apparente di norme.
Parte della dottrina, per descrivere un rapporto fra norme che comporta l'applicazione in via esclusiva di una di esse, affianca ai criteri della specialità e della sussidiarietà l'ulteriore criterio della consunzione. Il criterio della consunzione individua i casi in cui la commissione di un reato è strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, la cui previsione consuma ed assorbe in sé l'intero disvalore del fatto concreto. L'idea della consunzione sta alla base della disciplina del reato complesso delineata nell'art.84 c.p, il quale dispone che le disposizioni degli articoli precedenti [cioè quelle relative al concorso di reati] non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostante aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi reato. La commissione di un reato che sia strettamente funzionale ad un altro e più grave reato comporta l'assorbimento del primo reato nel reato più grave.
Il principio di consunzione impone in primo luogo un'interpretazione restrittiva di quelle figure astratte di reato che sono costruite dal legislatore come il risultato del combinarsi di più reati: così è integrato il reato complesso, in quanto nel singolo fatto concreto sia presente il nesso strumentale e funzionale che è alla base dell'unificazione legislativa di quei reati (ad esempio il furto in abitazione è integrato, con estromissione sia del furto semplice che della violazione di domicilio, solo nei casi in cui l'agente, fin dal momento in cui si introduce arbitrariamente nell'abitazione altrui, agisce allo scopo di rubare. Invece la giurisprudenza esclude l'assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di furto in abitazione, e quindi ravvisa un concorso di reati, quando ci sia stata l'introduzione abusiva nell'abitazione altrui per commettere fatti penalmente irrilevanti, come il prendere oggetti di proprietà dell'agente).
Il principio di consunzione trova anche applicazione quando, pur in assenza di una figura astratta di reato complesso, la commissione di un reato sia in concreto strettamente funzionale alla commissione di un altro e più grave reato: si tratta delle ipotesi che parte della dottrina designa con la formula reato eventualmente complesso. Dato che l'art. 84 c.p. viene interpretato come espressione del principio di consunzione, il delitto di simulazione di reato, previsto dall'art. 376 c.p, si deve considerare assorbito nel delitto di calunnia, previsto dall'art. 368 c.p, quando la simulazione delle tracce di un reato inesistente sia diretta a rendere più attendibile la falsa incolpazione. Invece ci sarà concorso di reati quando i due fatti siano espressione di attività indipendenti e distinte. Secondo questa logica la Corte di cassazione ha escluso l'assorbimento della simulazione di reato nel delitto di autocalunnia in un caso in cui l'agente aveva simulato le tracce di un furto allo scopo di far conseguire al presunto derubato un indennizzo da parte dell'assicurazione e solo successivamente, perché sorpreso dalla polizia, si era autoincolpato dell'immaginario furto.
La figura del reato eventualmente complesso, non essendo espressamente prevista dal legislatore, dà adito inevitabilmente ad incertezze applicative, accentuate dalla presenza nell'ordinamento della circostanza aggravante comune del nesso teleologico, che in base all'art. 61 n. 2 c.p. ricorre se un reato (chiamato reato mezzo) sia commesso allo scopo di eseguirne un altro(chiamato reato scopo), con la conseguenza che il giudice, quando escluda la sussistenza di un reato eventualmente complesso, ravvisando un concorso di reati, dovrà ritenere il reato-mezzo aggravato ex art.61 n. 2. Ad esempio il caso di chi si introduca arbitrariamente nell'altrui domicilio per sottrarre dei gioielli ed entri munito di una pistola per costringere il proprietario ad aprire la cassaforte in cui sono riposti i preziosi. Il giudice, applicando i criteri utilizzati dalla corte di cassazione, dovrebbe ritenere integrato il solo reato di rapina e considerare assorbita la violazione di domicilio. Però è plausibile che invece decida nel senso del concorso di reati.
6. Più fatti concreti: le ipotesi di antefatto e di postfatto non punibile.
Di fronte ad un unico fatto concreto riconducibile sotto due o più norme incriminataci l'alternativa che si profila è quella dell'applicabilità di tutte le norme incriminatrici (concorso formale di reati) o di una sola di quelle norme (concorso apparente di norme), che prevale o perché è speciale o perché è principale o perché è norma che contiene e consuma l'altra o le altre.
L'alternativa fra concorso di reati e concorso apparente di norme si prospetta anche quando vengono commessi più fatti concreti cronologicamente separati, ciascuno dei quali integra gli estremi di una figura di reato. In quest'eventualità, ad escludere il concorso (materiale) di reati e a far propendere per il concorso apparente di norme spesso è il legislatore, sancendo espressamente ora l'inapplicabilità della norma o delle norme violate coi fatti concreti cronologicamente antecedenti (antefatto non punibile), ora invece l'inapplicabilità della norma o delle norme violate coi fatti concreti cronologicamente posteriori (postfatto non punibile).
Un esempio di un antefatto non punibile si trova nella sfera delle falsità in monete: l'art. 461 c.p. dice che è punito con la reclusione da uno a cinque anni, oltre che con una multa, chiunque fabbrica filigrane (cioè delle forme o lettere che servono per fabbricare le carte filigranate); mentre l'art. 460 c.p. dice che è punito con la reclusione da due a sei anni, oltre che con una multa, chi contraffà carta filigranata. Si tratta di attività preparatorie di ulteriori, più gravi reati, e le due disposizioni si applicano solo se il fatto non costituisce un più grave reato. Così chi ha fabbricato le filigrane e successivamente se ne avvale per commettere una contraffazione di carta filigranata, risponderà solo di quest'ultimo delitto; se poi dopo aver contraffatto la carta filigranata adopera quella carta per contraffare monete, integrando così il più grave reato previsto dall'art. 453 n. 1 c.p., che commina oltre ad una multa anche la reclusione da tre a 12 anni, anche la contraffazione di carta filigranata assumerà i connotati di un antefatto non punibile: tra le norme che incriminano la fabbricazione di filigrane e quella di monete si profila quindi un concorso apparente, e la sola norma applicabile è quella che reprime la falsificazione di monete.
La logica sottostante alle ipotesi espresse di antefatto non punibile è quella della sussidiarietà: tra più norme che prevedono stadi e gradi diversi di offesa dello stesso bene giuridico prevale, come norma principale, e trova applicazione in via esclusiva, la norma che descrive Io stadio più avanzato ed il grado più intenso di offesa al bene, escludendo l'applicabilità della norma sussidiaria (o delle norme sussidiarie) ai fatti concreti antecedenti. Così, è norma principale quella che incrimina la falsificazione di monete, come forma più intensa e più grave di offesa alla fiducia pubblica nella genuinità delle monete nazionali o estere, la cui applicabilità preclude quella delle norme sussidiarie, che puniscono le precedenti condotte della contraffazione di carta filigranata e della fabbricazione di filigrane.
Accanto alle ipotesi espresse, si possono individuare ipotesi tacite di antefatto non punibile: anche in questo caso la non punibilità dell'antefatto deriva dalla considerazione che si tratta di uno stadio anteriore e meno grave di offesa allo stesso bene o ad un bene meno importante, ricompreso nel bene offeso dal fatto susseguente (ad esempio l'integrità fisica e la vita). Queste ipotesi a volte vengono inquadrate dalla dottrina nella categoria della progressione criminosa (ad esempio se Tizio prima percuote Caio e poi in seguito lo ferisce, magari procurandogli una malattia che dura più di 20 giorni, risponderà solo di lesioni in base all'art. 582, 1 comma c.p., rimanendo esclusa l'applicazione della norma sulle percosse).
Previsioni espresse di un postfatto non punibile sono assai numerose: si tratta, in primo luogo, dei casi in cui il legislatore sancisce la punibilità di questo o quel fatto "fuori dei casi di concorso" in un fatto delittuoso antecedente. Un esempio è presente nelle norme sui delitti di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) e favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) che, per espressa indicazione legislativa, si applicano fuori dei casi di concorso nel reato antecedente (ad esempio se una persona commette, come autore o partecipe,un determinato delitto e poi aiuta un complice a sottrarsi alle investigazioni o alle ricerche dell'autorità, risponderà solo del primo delitto, mentre la condotta di favoreggiamento personale assumerà il ruolo di postfatto non punibile; in questo caso c'è un concorso apparente di norme.
Altre volte il legislatore sancisce la punibilità di un determinato fatto fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti o dall'articolo precedente, e cioè a condizione che l'agente non sia stato autore o partecipe nella realizzazione del fatto o dei fatti preveduti in quell'articolo o in quegli articoli. Un esempio è presente nella disciplina delle falsità in monete: l'art. 455 c.p. dice che è punito chi spende o mette altrimenti in circolazione monete falsificate; per espressa previsione legislativa questa norma si applica fuori dei casi preveduti dai due articoli precedenti, e cioè a condizione che l'agente non sia stato autore o partecipe della falsificazione, non abbia introdotto la moneta falsa nel territorio dello Stato insieme con l'autore della falsificazione. Nei confronti di colui che prima contraffà monete aventi corso legale nello Stato, e successivamente le mette in circolazione, quest'ultima condotta assume i connotati del postfatto non punibile; quindi tra i due reati si configura un concorso apparente.
Alla base delle norme che sanciscono la non punibilità di questo o quel fatto nei confronti di chi, come autore o partecipe, abbia realizzato un reato cronologicamente precedente, sta una logica riconducibile all'idea di consunzione: la repressione del fatto antecedente esaurisce infatti il disvalore complessivo e il relativo bisogno di punizione, posto che il fatto successivo rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, attraverso il quale l'agente o consegue i vantaggi perseguiti attraverso il primo fatto (chi falsifica le monete non lo fa per mettere alla prova la propria abilità ma per spenderle o farle spendere) o ne mette al sicuro i risultati (chi ha commesso questo o quel fatto si assicura l'impunità depistando gli organi inquirenti impegnati nelle ricerche dei complici che, se catturati, potrebbero fare il suo nome).
Le ipotesi di postfatto non punibile non si esauriscono in quelle espressamente individuate dal legislatore; tacitamente le riserve "fuori dei casi di concorso nel reato" antecedente o "fuori dei casi preveduti nell'articolo o negli articoli precedenti", che comportano la non punibilità del reato susseguente, operano tutte le volte in cui quest'ultimo reato rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente (ad esempio si ritiene che l'autore di un furto sia adeguatamente punito attraverso la sanzione prevista per questo reato anche se, comportandosi da proprietario, successivamente vende la cosa sottratta o la distrugge, nei suoi confronti perciò saranno inapplicabili le norme che incriminano l'appropriazione indebita e il danneggiamento. Invece saranno punibili in concorso con il precedente reato di furto fatti con i quali l'autore del furto non si limiti a consolidare l'offesa già prodotta, ma offenda un ulteriore bene giuridico di un terzo o della stessa vittima. Ad esempio risponderà anche di truffa chi abbia prima rubato un dipinto e poi lo abbia venduto ad altri, inducendo in errore l'acquirente attraverso false documentazioni che facessero apparire quel quadro come legittimamente acquistato in una galleria d'arte. Quindi tra furto e truffa ci sarà un concorso materiale di reati).
7. Le cosiddette norme a più fattispecie.
Può accadere che una sola disposizione di legge preveda una serie di fatti ai quali ricollega la stessa pena (ad esempio l'art. 635 c.p, descrivendo il delitto di danneggiamento, commina la pena della reclusione fino a un anno nei confronti di chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui).
E' sorta la domanda se in casi del genere la norma preveda un unico reato, realizzabile con diverse modalità considerate equivalenti, o una pluralità di reati, che possono concorrere fra loro: si parla nel primo caso di norme a più fattispecie (o di norme miste alternative) e nel secondo caso di disposizioni a più norme (o norme miste cumulative). L'interpretazione dovrebbe sempre condurre a ravvisare un unico reato, trattandosi della violazione di un'unica norma incriminatrice.
I vari fatti descritti all'interno dell'unica disposizione rappresentano, sul piano sostanziale, o altrettanti gradi di offesa ad uno stesso bene giuridico (come nei rapporti tra i fatti di deterioramento, dispersione e distruzione della cosa all'interno della norma che incrimina il danneggiamento), o modalità diverse di offesa a quel bene (come nei rapporti tra i vari fatti di bancarotta patrimoniale o documentale).
La molteplicità dei fatti eventualmente commessi dall'agente non sarà priva di qualsiasi rilevanza perché, ferma rimanendo l'unicità del reato, il giudice terrà conto del numero o della gravità dei fatti concreti nella commisurazione della pena all'interno della cornice edittale. Eccezionalmente, se la legge lo dispone espressamente, la pluralità dei fatti concreti potrà integrare una circostanza aggravante (come nel caso della bancarotta fraudolenta, art. 216 l.fall., bancarotta semplice, art. 217 l.fall., e del ricorso abusivo al credito, art. 218 l.fall.: infatti l'art. 219, 2 comma n.1 l. fall. dice che "le pene stabilite negli articoli suddetti sono aumentate se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti in ciascuno degli articoli indicati); anche in materia di stupefacenti ad esempio la legge prevede una serie di condotte che, se realizzate in successione temporale, integrano un unico reato (come stabilisce l'art. 73, 1 comma e 1 bis comma d.p.r. 309 del 1990). In particolare viene assoggettata ad un'unica pena sia la commissione di fatti appartenenti al primo ciclo della droga (dalla coltivazione alla raffinazione e alla vendita all'ingrosso), sia alla commissione di fatti riconducibili al secondo ciclo (importazione, esportazione, acquisto, detenzione, cioè la sostanza stupefacente per la sua quantità sembra destinata ad un uso non esclusivamente personale). La corte di cassazione ha stabilito che il fatto di importazione dall'estero e di successivo trasporto e detenzione nel territorio dello Stato della stessa sostanza stupefacente costituisce un unicum inscindibile e quindi una sola violazione della norma incriminatrice.
B) Il concorso di reati
8. Unità o pluralità di reati.
Di fronte ad un comportamento umano che realizzi gli estremi di più figure legali di reato, per stabilire che si è in presenza di un concorso di reati non basta escludere che si tratti di un concorso apparente di norme: bisogna ulteriormente verificare se davvero ci si trova in presenza di più reati. Di concorso di reati potrà parlarsi solo quando si sciolga l'alternativa unità-pluralità di reati a favore del secondo termine; per sciogliere tale alternativa non basta guardare alla presenza o meno di una molteplicità di atti sul piano fenomenico-naturalistico. La soluzione va cercata, invece, sul terreno normativo.
Può accadere che la figura di reato descritta dalla norma incriminatrice esiga il compimento di più azioni, che dunque daranno vita ad un unico reato (ad esempio nel reato di falsità in scrittura privata, previsto dall'art. 485 c.p, la legge richiede la formazione di una scrittura privata falsa seguita dall'uso del documento falsificato). Inoltre di reati con più azioni può parlarsi anche a proposito dei reati abituali, che esigono la reiterazione, anche ad apprezzabile distanza di tempo, di una pluralità di atti (ad esempio il delitto di maltrattamenti in famiglia comporta un'offesa al bene della dignità della vittima che prende forma solo a seguito del compimento usuale e ripetitivo di una pluralità di atti, come le percosse o le minacce). Vi sono figure legali di reato che non devono, ma possono essere integrate attraverso una pluralità di atti: con la conseguenza che anche in questo secondo caso si è in presenza di un unico reato: ad es., si realizza un unico fatto di corruzione di minorenni (come stabilisce l'art.609 quinquies c.p), sia che venga compiuto un unico atto sessuale, sia che vengano compiuti più atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere. Inoltre, possono essere integrati con più atti i reati permanenti (ad esempio c'è un unico reato di sequestro di persona, previsto dall'art. 605 c.p, anche se la privazione di libertà viene realizzata e mantenuta in vita attraverso una serie di attività dell'agente, ad esempio dopo l'iniziale trasporto della vittima in una casa di campagna, l'agente la preleva e la sposta in altre prigioni).
Un unico reato si ha infine nel caso in cui più azioni, ciascuna integrante il modello legale di un medesimo reato, vengano poste in essere contestualmente (cioè l'una immediatamente dopo l'altra o comunque a breve intervallo di tempo) e con un'unica persona offesa. Ad esempio si avrà un unico reato di ingiuria (art. 594 c.p.) sia nel caso in cui Tizio rivolga a Caio una pesante espressione lesiva del suo onore, sia che riversi su di lui, in un breve lasso di tempo, una serie di insulti. È unico anche il reato di percosse (art. 581 c.p)sia nel caso in cui Tizio dia uno schiaffo a Caio, sia che lo investa con una serie ininterrotta di schiaffi, pugni e calci.
Invece, si avrà una pluralità di reati quando manchi o il requisito della contestualità delle azioni o il requisito dell'unicità della persona offesa (ad esempio si avrà una pluralità di reati nel caso in cui Tizio in un primo momento sottragga dalla casa di Caio denaro e gioielli e, il giorno successivo, sottragga altri beni).
9. Il concorso di reati: cumulo giuridico e cumulo materiale delle pene.
Dato che ci si trova di fronte, nel caso concreto, non ad un unico reato, ma ad una pluralità di reati, bisogna distinguere - come distingue la legge - a seconda che i reati siano stati commessi con una sola azione od omissione (art.81 1 comma c.p) o con più azioni od omissioni (artt.71 ss. c.p): nel primo caso si parla di concorso formale di reati, nel secondo di concorso materiale di reati.
E' una distinzione a cui la legge ricollega importanti conseguenze sul piano del trattamento sanzionatorio. Più mite è il trattamento riservato al concorso formale di reati, per il quale il nostro ordinamento adotta attualmente il cumulo giuridico delle pene ed in particolare prevede che si applichi la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata sino al triplo (come stabilisce l'art. 81, 1 comma c.p.). Più severo è invece il trattamento sanzionarono del concorso materiale di reati: secondo lo schema del cumulo materiale delle pene, di regola si applicano le pene previste per ogni singolo reato sommate l'una all'altra (come stabiliscono gli artt. 71 ss. c.p). La scelta tra il cumulo materiale, quello giuridico e quello dell'assorbimento (cioè l'applicazione della sola pena prevista per il reato più grave fra quelli in concorso) viene compiuta dal legislatore sulla base di considerazioni politico-criminali, che riflettono anche la visione politica complessiva che ispira l'azione dello Stato in un determinato momento storico.
Per quanto riguarda la storia della disciplina del concorso di reati nel nostro paese: il regime dell'assorbimento non ha mai trovato accoglienza nei codici preunitari, i quali invece prevedevano il cumulo giuridico delle pene, attribuendo spazi residuali al cumulo materiale. Il codice Zanardelli adottava invece il cumulo giuridico delle pene e, nel caso del concorso formale eterogeneo, il principio di assorbimento. Con l'avvento della dittatura fascista è stato abbandonato il criterio del cumulo giuridico a favore del cumulo materiale, conservando però il cumulo giuridico per il reato continuato. Quasi trent'anni dopo la caduta del fascismo, il legislatore è intervenuto ripristinando il regime del cumulo giuridico per il concorso formale di reati e ampliando la portata della figura del reato continuato. Comunque un ritorno generalizzato al cumulo giuridico delle pene è auspicato dalla maggioranza della dottrina ed è stato proposto in due recenti progetti di riforma del codice penale: il Progetto Pagliaro del 1992 e il Progetto Grosso del 2000.
10. Il concorso formale di reati: la struttura.
La commissione di più reati con una sola azione od omissione integra, in base all'art.81 comma 1 c.p, un concorso formale di reati. Il concorso formale di reati è omogeneo se quell'unica azione viola più volte la stessa norma, eterogeneo se quell'unica azione viola due o più norme incriminatrici. Un'unica azione può constare, oltre che di un unico atto, anche di una pluralità di atti: in questo caso ciò che consente di parlare di unica azione è l'unicità del contesto spazio-temporale in cui vengono compiuti.
Parte della dottrina e della giurisprudenza richiedono l'ulteriore requisito dell'unicità dello scopo che dovrebbe sorreggere il compimento degli atti.Questa tesi, però, non persuade: il requisito dell'unico scopo è infatti riferibile ai soli reati dolosi, mentre è pacifico che il concorso formale può intercorrere anche tra reati colposi.
Per stabilire se ci si trovi in presenza di un concorso formale omogeneo, e non di un unico reato, il criterio fondamentale è quello della molteplicità delle offese al bene giuridico tutelato (o ai beni giuridici tutelati) dalla norma incriminatrice (ad esempio se Tizio, nello stesso contesto spaziale e temporale, rivolge una o più offese a varie persone, commette una pluralità di ingiurie in concorso formale tra loro, avendo realizzato tante offese quante sono le persone il cui onore è stato messo in pericolo).
Ciò che caratterizza il concorso formale eterogeneo di reati è un'unica azione con la quale un soggetto esegue due (o più) distinte figure di reato (ad esempio se un agente di polizia, abusando delle sue qualità e delle sue funzioni, costringe una prostituta a corrispondergli del denaro in cambio della sua protezione, c'è concorso formale tra il reato di sfruttamento della prostituzione e quello di concussione.
L'art. 81 c.p. contempla anche l'ipotesi del concorso formale di reati omissivi, si parla anche infatti di una sola omissione, con la quale si integra più volte lo stesso reato (concorso formale omogeneo) o si integrano più reati diversi (concorso formale eterogeneo).Il presupposto comune ad entrambe le ipotesi di concorso formale è l'unicità del contesto spaziotemporale nel quale si aveva l'obbligo di compiere le azioni che sono state omesse.
Per quanto riguarda i reati omissivi impropri, si profilerà ad es. un concorso formale omogeneo di omicidi colposi mediante omissione (artt.40 e 589, 3 comma c.p.) se il datore di lavoro ha colposamente omesso di predisporre misure di sicurezza che, se attuate, avrebbero impedito che due operai cadessero da un'impalcatura riportando lesioni gravissime, sfociate in tempi diversi nella morte di entrambi.Si avrà invece un concorso formale eterogeneo fra il delitto di incendio colposo mediante omissione e quello di omicidio colposo mediante omissione nel caso di un incendio che si è sviluppato in un deposito di carburanti, che è sfociato nella morte di un operaio: risponderà dei due reati il preposto che abbia omesso per incuria di eseguire i controlli doverosi sul funzionamento degli apparati antincendio che, se efficienti, avrebbero spento sul nascere le fiamme, impedendo sia l'incendio che la morte.
Inoltre può esserci un concorso formale tra reati omissivi propri (ad esempio ci sarà un concorso formale omogeneo di delitti di omissione di soccorso, previsti all'art. 593, 1 e 2 comma c.p., nel caso in cui una persona, in un parco, pur vedendo un bambino di tre anni che piange e che è privo di accompagnatore, e vedendo nei pressi del bambino una donna riversa al suolo gravemente ferita, probabilmente la madre, per non avere fastidi decide di non avvisare l'autorità perché prenda in custodia il bambino e di non chiamare un'ambulanza che soccorra la donna ferita. Invece nel caso in cui un poliziotto che, pattugliando una via cittadina, scorga una persona gravemente ferita con un pugnale ancora conficcato in una spalla, incurante dei suoi doveri, omette sia di prestare soccorso chiamando l'ambulanza, sia di riferire l'accaduto ai suoi superiori; in questo caso sarà integrato un concorso formale eterogeneo tra il delitto di omissione di soccorso e il diritto di omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale, previsto dall'art. 361 c.p.).
11. Il trattamento sanzionatorio.
Il concorso formale di reati è sottoposto ad un trattamento più mite di quello riservato al concorso materiale: il giudice deve operare il cumulo giuridico delle pene, individuando il più grave fra i reati in concorso ed applicando la pena che infliggerebbe per questo reato aumentata fino al triplo. E infatti l'art. 81, 1 comma c.p. stabilisce che l'autore di più reati in concorso formale tra loro è punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo. Lo stesso art.81 al 3 comma stabilisce che nei casi preveduti da questo articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti, cioè alla pena che sarebbe applicabile in base al cumulo materiale.
Un primo problema prospettato riguarda l'individuazione della violazione più grave rispetto alla quale va fissata la pena-base, da aumentarsi poi fino al triplo. È' controverso se la violazione più grave debba individuarsi in astratto o in concreto: secondo il primo orientamento, prevalente in giurisprudenza, la violazione più grave sarebbe quel reato per il quale la legge prevede il massimo di pena più elevato, e, in caso di pene massime identiche, quello per il quale la legge prevede il minimo più elevato; secondo l'altro orientamento, prevalente in dottrina, la violazione più grave sarebbe invece quella per la quale il giudice, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, infliggerebbe la pena più elevata. La formula legislativa "violazione più grave" soffre di un così alto grado di ambiguità da esporsi a seri dubbi di illegittimità costituzionale per violazione del principio di legalità della pena (art. 25, 2 comma Cost). Sul piano sistematico, un argomento a favore della determinazione in concreto della violazione più grave può trarsi dall'art.187 disp. att. c.p.p., che disciplina l'applicazione del concorso formale di reati e del reato continuato da parte del giudice dell'esecuzione: regolando espressamente la determinazione del reato più grave, la norma citata stabilisce che si considera violazione più grave quella per la quale è stata infitta la pena più grave.
Una volta individuato il reato più grave e quantificata la relativa pena, che fungerà da pena-base per la formazione della pena complessiva secondo lo schema del cumulo giuridico, il giudice deve procedere all'aumento previsto dall'art.81: a tale scopo dovrà indicare un quantum di pena per ciascuno dei reati meno gravi (reati-satellite). Ad esempio nel caso di concorso formale tra falsità in testamento olografo e truffa, per i quali la legge prevede rispettivamente la reclusione da uno a sei anni. La reclusione da sei mesi e un giorno a quattro anni, nonostante la minore pena edittale, il giudice individua nella truffa la violazione in concreto più grave, a causa dell'enormità del danno e del profitto conseguito dall'agente con l'uso del testamento falsificato. Quantificata la pena per la truffa ad esempio in quattro anni di reclusione, a quella pena il giudice aggiunge, in base a una valutazione discrezionale, un anno di reclusione per l'altro reato).
L'aumento minimo di pena che il giudice deve operare per le pene detentive è pari a un giorno, per le pene pecuniarie è pari a un euro (come stabilisce l'art. 134 c.p.). In via di eccezione è previsto un minimo più elevato per le ipotesi in cui i reati in concorso formale siano stati commessi da un soggetto al quale è stata applicata la recidiva reiterata, in base all'art. 99, 4 comma c.p: in questo caso l'aumento non può essere inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave. Inoltre l'aumento di pena dev'essere contenuto entro un doppio limite massimo: la pena finale non può superare né il triplo della pena-base, né, in ogni caso, l'ammontare della pena che verrebbe applicata se si procedesse al cumulo materiale, cioè alla somma delle pene commisurate per ciascuno dei reati in corso.
Si pone il problema se la disciplina del cumulo giuridico sia applicabile anche in caso di concorso fra reati puniti con pene eterogenee, cioè con pene diverse o per specie (reclusione/arresto, multa/ammenda) o per genere (pene detentive/pene pecuniarie).Per la prima ipotesi - pene diverse per specie - sembra ormai definitivamente affermata la soluzione dell'applicabilità del cumulo giuridico (ad esempio se concorrono un reato punito con la reclusione e uno punito con arresto, e il primo reato viene considerato dal giudice violazione più grave, alla pena-base della reclusione si aggiungerà per l'altro reato un ulteriore quantum di reclusione, dato che si considera irrilevante la diversità di specie tra le due pene detentive.
Più dibattuto è il quesito relativo ai reati puniti con pene diverse per genere: se si possa procedere al cumulo giuridico delle pene qualora concorrano ex art 81,1 comma due reati puniti l'uno con pena detentiva e l'altro con pena pecuniaria; la giurisprudenza oggi prevalente accoglie la soluzione affermativa.
Si pone a questo punto un ulteriore interrogativo: come vada operato il cumulo giuridico tra pene di genere diverso.
La giurisprudenza maggioritaria opta per il cumulo giuridico per assimilazione, ritiene cioè che ai fini dell'aumento di pena ex art.81 si debba infliggere per i reati-satellite, anche se puniti ex legge con pena pecuniaria, una quota di pena detentiva, e cioè una pena dello stesso genere di quella prevista per la violazione più grave; il giudice dovrebbe commutare in pena detentiva la pena pecuniaria prevista per il reato meno grave, secondo il criterio di ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive fissato dall'art.135 c.p (trentotto euro = un giorno di reclusione o arresto). In base ad un diverso orientamento, commutare la pena pecuniaria in pena detentiva significa però violare l'art.81,3 comma, infliggendosi una pena qualitativamente più grave di quella che risulterebbe dal cumulo materiale: secondo questo orientamento, la disciplina dell'art.81 resta comunque operante: il cumulo giuridico va operato non per assimilazione, ma per addizione. Per determinare la pena complessiva, il giudice deve cioè aggiungere alla pena detentiva quantificata per il reato più grave una pena pecuniaria per il reato-satellite, la cui misura non potrà superare il limite del triplo della pena-base imposto dall'art.81, 1 comma; alle informazioni presenti nell'art. art.135 il giudice farà ricorso al solo scopo di verificare il rispetto di tale limite (ad esempio nel caso in cui il giudice abbia fissato in 20 giorni di reclusione la pena-base per la violazione più grave, in concorso formale con un altro reato punito dal legislatore con la multa fino a € 5.000, l'aumento di pena per il reato-satellite dovrà consistere non in X. giorni di reclusione, ma in Y. euro di multa, che si aggiungeranno ai 20 giorni di reclusione, questo Y. non potrà superare il limite di € 1520, cioè l'equivalente ex art. 135 c.p di 40 giorni di reclusione).
12. Il concorso materiale di reati: la struttura.
Il concorso materiale di reati si caratterizza per la presenza di una pluralità di azioni o di omissioni, e sotto questo profilo rileva ancora una volta l'esistenza di una cesura temporale tra le plurime violazioni della stessa norma (concorso materiale omogeneo) o tra le violazioni di diverse disposizioni di legge (concorso materiale eterogeneo). Un esempio di concorso materiale di reati commissivi si ha nel caso in cui Tizio spara a Caio con l'intenzione di ucciderlo, ma i colpi vanno a vuoto, ed alcuni giorni dopo gli spara di nuovo, ma ancora senza successo (si tratta di un concorso materiale di tentativi di omicidi). Per quanto riguarda invece il concorso materiale di reati omissivi, un caso è ad esempio quello di un datore di lavoro che, omettendo per colpa di far riparare un dispositivo di sicurezza di una macchina, cagioni una lesione personale ad un operaio; quel datore di lavoro continua a violare il suo dovere di garanzia, cosicché, nei giorni successivi, altri operai vengono feriti, ed anzi si verifica un incidente mortale: si configurerà in questo caso un concorso materiale tra delitti di lesioni colpose mediante omissione e di omicidio colposo mediante omissione.
13. Il trattamento sanzionatorio.
Il concorso materiale di reati è assoggettato al cumulo materiale delle pene, anche se temperato in base agli artt. 78 ss. c.p. dalla fissazione di limiti massimi per ciascuna specie di pena (trent’anni per la reclusione, sei anni per l'arresto, ecc.): in ogni caso, la pena complessiva non può essere superiore al quintuplo della più grave delle pene concorrenti. Quindi al responsabile di più reati in concorso materiale fra loro, puniti con pene della stessa specie, il giudice applicherà di regola la somma aritmetica delle pene stabilite per ciascun reato (ad esempio chi con più azioni ha commesso un furto, punito dal giudice con due anni di reclusione, una truffa, punita con un anno di reclusione, e una violenza privata, punita con sei mesi di reclusione, verrà inflitta la pena complessiva di tre anni e sei mesi di reclusione). Se si tratta invece di reati puniti con pene di specie diversa (reclusione ed arresto, multa ed ammenda) o di genere diverso (reclusione e multa, reclusione ed ammenda, arresto e multa, etc.), le varie pene si applicano tutte indistintamente e per intero (in base agli artt. 74,1 comma e 75,1 comma c.p.): pene detentive di specie diversa (reclusione ed arresto) concorrenti fra loro non si applicano però per intero se la durata complessiva delle varie pene supererebbe gli anni trenta (in base all'art.78, 2 comma c.p.). Il cumulo materiale delle pene va eseguito sia nel caso in cui una persona venga condannata per più reati con una sola sentenza o decreto (in base all'art.71 c.p), sia nel caso in cui una persona, dopo una prima condanna, venga giudicata e condannata per un altro reato, commesso anteriormente o posteriormente (in base all'art.80 pt. I c.p.), sia infine nel caso in cui contro la stessa persona si debbano eseguire più sentenze o più decreti di condanna (in base all'art.80 pt.II c.p. e art.663 c.p.p.).
14. Il reato continuato.
Nozione e fondamento.
L'art.81.2 c.p. delinea e disciplina la figura del reato continuato, che si realizza quando taluno con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge, si tratta quindi di una pluralità di reati, e più precisamente di un concorso materiale di reati, unificati dallo stesso disegno criminoso. L'art. 81, 2 comma c.p. prevede per il reato continuato il cumulo giuridico delle pene nela stessa forma stabilita nell'art.81, 1 comma per il concorso formale di reati: prevede cioè che l'agente soggiaccia alla pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo. La ratio storica dell'istituto risiede nell'attenuazione delle pesanti conseguenze derivanti dal cumulo materiale delle pene; per quanto riguarda invece il fondamento politico-criminale dell'istituto, il trattamento sanzionatorio più mite riservato al reato continuato riflette la minore riprovevolezza di chi cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando cioè concepisce il disegno criminoso.
Il medesimo disegno criminoso: nozione.
Al centro della struttura del reato continuato sta il disegno criminoso del quale i singoli reati devono rappresentare l'esecuzione. Il disegno criminoso è una cosa diversa dal dolo che deve sorreggere la commissione dei singoli reati: non si tratta infatti della consapevole decisione di realizzare ogni singolo reato, ma di un programma che deve formarsi nella mente dell'agente prima dell'inizio dell'esecuzione del primo dei reati in concorso, cioè il disegno criminoso rappresenta l'ideazione di più reati, accompagnata dalla deliberazione generica di realizzarli, alla quale seguirà di volta in volta la concreta decisione di commettere il singolo reato.
Si discute sul contenuto di quel programma: se basti la generica prefigurazione di una futura attività delinquenziale (ad esempio si programma di effettuare ogni sorta di aggressione al patrimonio) o, magari, all'opposto, se sia necessaria la rappresentazione anticipata non solo dei tipi di reato che verranno commessi, ma anche delle concrete modalità della loro realizzazione (ad esempio una rapina all'agenzia X della banca Y, un furto nell'abitazione di Caio, ecc.). L'orientamento prevalente è per una soluzione intermedia: basta cioè la programmazione dei tipi di reato da commettere, magari lasciandosi aperte eventuali alternative (rapine o eventualmente furti). Va esclusa l'unicità del disegno criminoso per quei tipi di reato che, non essendo stati preventivati inizialmente, sono il risultato di decisioni assunte solo nel corso dell'esecuzione del programma (è ad esempio il caso di una persona che, avendo programmato una serie di furti, nell'esecuzione di uno di essi incontra la presenza e la resistenza della vittima, che egli vince usando violenza per sottrarre la cosa. Così commette un reato di rapina, non legato dal vincolo della continuazione con i furti commessi in precedenza o successivamente).La giurisprudenza giustamente ritiene che più reati non possono dirsi commessi in esecuzione di un unico disegno criminoso solo perché frutto di uno stesso impulso o motivo.
L'unità del disegno criminoso non viene interrotta dall'intervento di una sentenza definitiva di condanna in relazione ad una parte dei reati in concorso, dopo la quale l'agente realizza uno o più fra gli altri reati programmati. Questa soluzione trova oggi la sua base normativa nell'art.671 c.p.p., il quale attribuisce anche al giudice dell'esecuzione l'applicazione della disciplina del reato continuato nel caso dell'intervento di sentenze irrevocabili di condanna. Il giudice deve accertare caso per caso se per effetto della precedente sentenza di condanna si sia o meno verificata l'interruzione dell'originario programma criminoso.Le difficoltà della prova spiegano la tendenza dei giudici di merito a presumere l'esistenza di un medesimo disegno criminoso tutte le volte in cui si procede contro taluno per una pluralità di reati commessi in tempi diversi.
L'orientamento della giurisprudenza si ribalta se si chiede l'applicazione della disciplina del reato continuato ai reati commessi dopo che sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna relativa ad uno o più dei reati oggetto della programmazione. La prevalente giurisprudenza esige che il richiedente precisi tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersi la prova dell'unicità del disegno criminoso.
I reati oggetto del medesimo disegno criminoso.
I reati che formano oggetto del disegno criminoso possono consistere sia in più violazioni della stessa disposizione di legge, sia nella violazione di diverse disposizioni di legge. Quindi sembra contra legem il tentativo di una parte della dottrina di far riemergere il vecchio limite alla configurabilità del reato continuato, affermando che un medesimo disegno criminoso potrebbe profilarsi solo in relazione a reati omogenei fra loro.
Le disposizioni di legge la cui violazione dà vita al reato continuato devono necessariamente prevedere reati dolosi (delitti o contravvenzioni), lo impone il requisito del disegno criminoso, comportando una rappresentazione preventiva di tutti gli elementi costitutivi dei vari reati, nonché la deliberazione di commetterli. Il reato continuato appare dunque incompatibile sia con la colpa, sia con la responsabilità oggettiva (ad esempio nel quadro del concorso di persone nel reato, se viene commesso un reato diverso da quello voluto da uno dei concorrenti, come nel caso in cui era stata programmata una serie di rapine e durante una di esse è stato commesso un omicidio, in base all'art. 116 c.p., tutti i concorrenti risponderanno anche dell'omicidio se l'uccisione di un uomo era concretamente prevedibile al momento della realizzazione della rapina. Però l'omicidio può non considerarsi abbracciato dal vincolo della continuazione, se non nell'ipotesi in cui l'evento morte fosse stato preveduto e voluto almeno nella forma del dolo eventuale: in questo caso si applicherà la disciplina generale del concorso di persone nel reato prevista dagli artt. 110 ss. c.p.).
La disciplina del reato continuato.
In passato era controverso se il reato continuato dovesse considerarsi come un unico reato, o se le singole violazioni conservassero la loro autonomia tranne che per alcuni effetti espressamente disciplinati dal legislatore. Oggi, a seguito della riforma del 1974, il testo dell’art.81,2 comma c.p. non reca più la formula "le diverse violazioni si considerano come un solo reato": da ciò deriva che i reati legati dal vincolo della continuazione devono considerarsi unificati solo ai fini della pena principale, ai fini della decorrenza del termine per la prescrizione del reato (che, a norma dell'art.158 c.p, decorre dal giorno in cui è stato commesso l'ultimo dei reati abbracciati dal disegno criminoso), ai fini dell'applicabilità della sospensione condizionale della pena, nonché ad altri limitati effetti (dichiarazione di abitualità nel reato, dichiarazione di professionalità nel reato) per i quali la considerazione unitaria del reato continuato torna a favore dell'agente, secondo la logica propria della continuazione.
Ai fini della determinazione della pena principale, il legislatore ha disposto l'assoggettamento dei vari reati ad un'unica pena, formata secondo il meccanismo del cumulo giuridico.
A proposito dei rapporti tra sospensione condizionale della pena e reato continuato, la disciplina della sospensione condizionale fa espresso riferimento alla pena inflitta in concreto dal giudice, che non deve superare i limiti massimi fissati dall'art.163 c.p; ne deriva che, essendo unica la pena da infliggersi nelle ipotesi di continuazione, il giudice deciderà della concedibilità della sospensione condizionale avendo riguardo alla pena considerata unitariamente. Questa conclusione è ribadita dall'art.671, 3 comma c.p.p., il quale prevede che anche il giudice dell'esecuzione ridetermini la pena quando accerti che tra i vari reati sussiste il vincolo della continuazione e ne sospenda condizionalmente l'esecuzione se il suo ammontare rientra nei limiti fissati dalla legge e se sussistono gli altri presupposti per l'applicazione dell'istituto.
Al di fuori di queste limitata sfera di istituti, i reati uniti dal vincolo della continuazione conservano invece la loro autonomia: si considerano cioè come reati distinti: ciò vale ai fini dell'amnistia, dell'indulto, delle pene accessorie, delle misure di sicurezza, dell'imputabilità, del concorso di persone nel reato e delle circostanze del reato.
Il termine per la prescrizione del reato andrà computato per ogni singolo reato commesso in esecuzione di uno stesso disegno criminoso. Secondo la versione originaria dell'art. 158, 1 comma c.p., il termine della prescrizione decorreva, per il reato continuato dal giorno in cui è cessata la continuazione, cioè dal giorno della commissione dell'ultimo reato esecutivo del disegno criminoso; però il riferimento al reato continuato nell'art. 158 è stato eliminato dalla legge "ex Cirielli", con la conseguenza che se ad esempio in esecuzione di uno stesso disegno criminoso vengono commessi a distanza di tempo una serie di furti o di violazioni di domicilio o di falsi in bilancio, i furti o le violazioni di domicilio o i falsi in bilancio più lontani nel tempo potranno ora essere premiati con la prescrizione, anche se l'autore ha reiterato le sue attività delittuose, essendo stato demolito dal legislatore, ai fini della prescrizione, il vincolo della continuazione che sottraeva quei reati all'effetto estintivo. Anche l'applicabilità dell'amnistia propria e impropria, e dell'indulto andrà verificata in relazione a ciascun singolo reato (ad esempio se un'amnistia abbraccia i reati puniti con la reclusione non superiore a tre anni, tra i vari reati commessi in continuazione, l'amnistia sarà applicabile ai soli reati la cui pena edittale non superi quel limite).
Anche per determinare le pene accessorie si ha riguardo alle pene principali relative a ciascuno dei reati in continuazione (pena-base per il reato più grave, quote di pena per ciascuno dei reati-satellite). Ad esempio se viene inflitta una pena complessiva pari a cinque anni di reclusione, ciò non comporterà in base all'art. 29, 1 comma c.p. l'applicazione dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, posto che ai cinque anni si è giunti per effetto del cumulo giuridico delle pene: per stabilire se sia applicabile l'interdizione perpetua dai pubblici uffici si deve tener conto della pena-base inflitta per il reato più grave; in questo caso quindi alla condanna seguirà non l'interdizione perpetua, ma l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, posto che la pena-base fosse pari o superiore a tre anni.
Capitolo 12
LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTI
Il legislatore italiano ha dato espresso rilievo a talune situazioni, inerenti al reato e alla persona del colpevole, che presuppongono l'esistenza nel caso concreto di una responsabilità penale e comportano soltanto una modificazione della pena, aggravandola o attenuandola: si tratta pertanto non di un elemento costitutivo del reato, bensì nel linguaggio del legislatore, di circostanze del reato, cioè elementi che stanno intorno a un reato già perfetto.
Le circostanze del reato si caratterizzano per un triplice ordine di requisiti.
a) non sono elementi costitutivi del reato, come viene indicato dallo stesso legislatore negli articoli 61 e 62 c.p.: elencando le circostanze aggravanti e attenuanti comuni, le norme citate precisano che le varie situazioni ivi descritte aggravano o attenuano il reato quando non ne sono elementi costitutivi.
b) la figura del reato circostanziato, cioè del reato commesso in presenza di una circostanza aggravante o attenuante, è speciale rispetto alla figura del reato semplice: presuppone infatti l'esistenza nel caso concreto di tutti gli elementi costitutivi del reato semplice, salvo specificare uno di tali elementi o aggiungervi un elemento ulteriore.
c) l'effetto della circostanza è l'aggravamento o l'attenuazione della pena commisurata dal giudice per il reato semplice. Di regola l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di pena che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.
L'identificazione delle circostanze
La rilevanza del problema
Il problema dell'identificazione delle circostanze del reato è carico di implicazioni, infatti è necessario stabilire se una determinata disposizione descriva un elemento costitutivo di un autonoma figura di reato, ovvero descriva una mera circostanza aggravante o attenuante, comporta una serie di importanti conseguenze.
In primo luogo, mentre la rilevanza degli elementi costitutivi è indefettibile, le circostanze del reato possono in un certo senso scomparire nel caso concreto: quando infatti concorrono circostanze eterogenee il giudice deve procedere al loro bilanciamento ex articolo 69 c.p.; tale giudizio può concludersi nel senso della prevalenza delle une sulle altre, nel qual caso si applicheranno soltanto le circostanze prevalenti, ovvero nel senso dell'equivalenza, nel qual caso non si applicheranno né le aggravanti ne le attenuanti.
Quanto ai criteri di imputazione della responsabilità, si tratta di un elemento costitutivo di una autonoma figura di delitto doloso, dovrà essere abbracciato dal dolo, al pari di ogni altro elemento costitutivo del fatto; se invece si tratta di una circostanza aggravante, in base all'articolo 59 di regola sarà sufficiente la colpa.
Ulteriori conseguenze della qualificazione come circostanza o come elemento costitutivo di un autonoma figura di reato riguardano, tra l'altro, il momento consumativo del reato, il concorso di persone e l'applicabilità della legge penale italiana. Quanto al primo profilo il momento consumativo coincide o meno con il verificarsi della situazione descritta in una certa norma solo se quella situazione integra un elemento costitutivo del reato, e non se integra una circostanza. Quanto al concorso di persone qualora si qualifichi l'elemento di dubbio come circostanza potrà trovare applicazione l'articolo 118 c.p. che esclude la comunicabilità di talune circostanze ai concorrenti nel reato, mentre se vi si ravvisa un elemento costitutivo di un autonoma figura di reato troverà applicazione la disciplina generale del concorso di persone in quel diverso reato, ed eventualmente la disciplina dettata dagli articoli 116 e 117 c.p. . Se infine l'elemento dubbio si verifica nel territorio dello Stato mentre gli altri elementi si realizzano all'estero,la legge italiana può trovare applicazione solo se quella situazione viene inquadrata come elemento costitutivo, integrando una parte dell'azione o l'evento.
I criteri discretivi.
Nel silenzio della legge, incombe sull’ interprete il compito di individuare i criteri discretivi tra elementi costitutivi e circostanze del reato.
Di circostanza del reato può parlarsi solo in presenza di un rapporto di specialità con la figura del reato semplice; d'altra parte un rapporto di specialità è perfettamente compatibile anche con i caratteri di una figura autonoma di reato. Il rapporto di specialità è quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente per individuare una circostanza del reato.
Un primo criterio formale di identificazione delle circostanze è offerto dall'espressa qualificazione di un elemento come circostanza del reato operato del legislatore nella rubrica o nel testo di una data disposizione(esempio: articolo 339 c.p. nella cui rubrica si legge: circostanze aggravanti, con riferimento ai delitti di violenza a un pubblico ufficiale, resistenza un pubblico ufficiale e violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario).
Nel caso in cui la rubrica di una disposizione parli di circostanze, ma descriva ipotesi che non sono speciali rispetto un dato reato semplice, ci si troverà in presenza di un autonoma figura del reato, difettando per l’appunto una condizione necessaria perché possa parlarsi di reato circostanziato.
Talora, all’espressa qualificazione di un dato elemento, nel testo di una norma, come circostanza aggravante o attenuante si accompagna un ulteriore dato formale, rappresentato dal riferimento alla disciplina del giudizio di bilanciamento delle circostanze, operato al fine di apportarvi una deroga.
Ancora, parla univocamente nel senso della natura di circostanza, aggravante o attenuante, la presenza nel testo della legge di formule quali “la pena diminuita” o “la pena è aumentata”, non accompagnate da ulteriori indicazioni. Disposizioni di questo tenore devono essere necessariamente correlate agli articoli 64 e 65 c.p, che disciplinano la misura dell'aumento o della diminuzione della pena conseguente ad una circostanza aggravante attenuante per la quale la legge non disponga diversamente. Le disposizioni citate sono infatti le uniche in grado di stabilire la misura dell'aumento o della diminuzione di pena, salvando quelle clausole dalla illegittimità costituzionale per violazione del principio di legalità della pena.
Un criterio formale che parla in senso opposto, cioè parla a favore della natura di elemento costitutivo di un autonoma figura di reato, è invece offerto, talora, dalla presenza di un apposito nomen iuris nella rubrica della norma.
I delitti aggravati dall'evento.
Non sempre questi criteri consentono di stabilire con certezza se ci si trovi in presenza di un reato circostanziato ovvero di una figura autonoma di reato: è necessario chiarire se nei casi dubbi il sistema imponga di dare la preferenza all'una o all'altra soluzione.
I maggiori problemi si pongono nella sfera dei delitti aggravati dall'evento: spesso infatti è controverso se l'evento aggravante debba essere considerato circostanza del reato ovvero elemento costitutivo di un autonoma figura di reato, la cui peculiarità starebbe nel fatto che l'evento, secondo l'originaria intenzione del legislatore del 1930, doveva essere imputato all’agente a titolo di responsabilità oggettiva, mentre dopo la sentenza della corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale forma di responsabilità deve essere dovuto almeno a colpa dell'agente.
A questo riguardo il sistema del codice sembra orientato in linea di principio nel senso dell'inquadramento dell'evento come elemento costitutivo di un autonoma figura delittuosa. Il legislatore infatti aveva dinanzi agli occhi ,proprio i delitti aggravati dall'evento come autonome figure di reato quando all'articolo 42 comma 3 c.p. ha previsto la responsabilità obiettiva come forma sia pur eccezionale di responsabilità penale. Un mondo a sé invece era quello delle circostanze aggravanti regolato dall'articolo 59 e seguenti c.p.
Questa netta cesura rispecchiava d 'altra parte, la logica sottostante ai delitti aggravati dall'evento, caratterizzati da un fatto base punito per la sua oggettiva pericolosità nei confronti di un dato bene giuridico, mentre l'evento aggravante esprime la traduzione di quel pericolo nella lesione dello stesso bene. Emblematici i delitti nei quali il verificarsi di eventi di lesioni o di morte aggravano notevolmente,la pena, per i fatti pericolosi per l'integrità e per la vita repressi come reati-base.
Ben diversa è la normale fisionomia delle circostanze aggravanti, e solo eccezionalmente si riferiscono ad un evento: in tal caso si tratta dello stesso evento costitutivo del reato base, del quale acquista rilievo un particolare connotato di gravità.
Questa differenza strutturale tra delitti aggravati dall'evento e circostanze aggravanti viene calpestato dal legislatore in alcune sporadiche ipotesi, nelle quali etichetta espressamente o implicitamente come circostanze aggravanti,eventi che, pure esprimono il tradursi in danno del pericolo immanente al reato base: sono i casi, per esempio, della condanna conseguente a taluni delitti contro l'amministrazione della giustizia e delle lesioni o della morte conseguenti all'omissione di soccorso. Al di fuori di questi casi, gli eventi che esprimono la traduzione in danno del pericolo immanente al reato base sono elementi costitutivi di altrettante figure autonome di reato.
Questo ordine sistematico è stato però alterato dalla prassi e da una parte della dottrina, dopo che la riforma del 1984 ha riscritto l'articolo 69 c.p. abbattendo ogni limite alla possibilità di bilanciare le circostanze eterogenee concorrenti tra loro. In particolare, ha incluso nell'area applicativa del giudizio di bilanciamento anche le circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella prevista per il reato base o determina la misura della pena in modo indipendente da quella del reato base: e proprio con l'una o con l'altra di queste tecniche la legge prevede normalmente la pena per i delitti aggravati dall'evento.
Prima della riforma dell'articolo 69 c.p. nessuno si sognava di inquadrare i delitti aggravati dall'evento fra i reati circostanziati e anche se ciò che ha spinto la prassi in quella direzione era una condivisibile esigenza di mitigazione dell'asprezza di alcune previsioni di pena contenute nel codice penale vigente, non si può nascondere che gli esiti di questo orientamento giurisprudenziale sono peraltro verso inaccettabili.
Una tale bagatellizzazione di un reato offensivo del bene della vita è con tutta evidenza incompatibile con ogni esigenza di proporzione tra gravità del reato e misura della pena, suscitando il biasimo di gran parte della dottrina, che auspica si in una mitigazione dell'attuale dosaggio sanzionatorio, ma ad opera del legislatore e non di arbitrari interventi giurisprudenziali.
La classificazione delle circostanze
circostanze comuni: quelle previste per un numero indeterminato di reati, cioè per tutti i reati con i quali non siano incompatibili;
circostanze speciali: quelle previste per uno o più reati determinati.
Circostanze aggravanti attenuanti
circostanze aggravanti: quelle che comportano un inasprimento della pena commisurata dal giudice per il reato semplice;
circostanze attenuanti: quelle che comportano una mitigazione della pena commisurata dal giudice per il reato semplice.
L'aumento o la diminuzione della pena possono essere quantitativi e qualitativi:
- sono di tipo quantitativo, quando per esempio, alla pena inflitta per il reato semplice deve aggiungersi, per effetto della circostanza,un quantum di pena della stessa specie ovvero la legge prevede per il reato circostanziato un'autonoma cornice edittale di pena;
- sono di tipo qualitativo quando per effetto della circostanza cambia la specie della pena.
Circostanze a efficacia comune e a efficacia speciale
circostanze a efficacia comune: quelle che comportano un aumento o una diminuzione fino ad un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato semplice.
Quando la legge non precisa l'ammontare dell'aumento di pena per una circostanza aggravante o quello della diminuzione per un'attenuante, a norma dell'articolo 64 comma 1 c.p. la pena deve essere aumentata fino ad un terzo ovvero, a norma dell'articolo 65 n. 3 c.p. deve essere diminuita fino ad un terzo.
Circostanze efficacia speciale sono:
a) quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa rispetto a quella prevista per il reato semplice, in dottrina si parla di circostanze autonome;
b) quelle per le quali la legge prevede una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato semplice, nel linguaggio della dottrina circostanze indipendenti;
c) quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo , nel linguaggio della dottrina circostanze a effetto speciale.
Circostanze definite e indefinite
circostanze definite: quelle i cui elementi costitutivi sono completamente descritti dalla legge. Tra le circostanze comuni si inquadrano sia le aggravanti di cui all'articolo 61 c.p. sia le attenuanti di cui all'articolo 62 c.p.
circostanze indefinite: quelle la cui individuazione, in assenza di ogni tipizzazione legislativa o comunque di una compiuta tipizzazione legislativa, è rimessa alla discrezione del giudice.
Quanto alle circostanze attenuanti, è il caso fra l'altro, delle attenuanti generiche di cui all'articolo 62 bis c.p. . Nella parte speciale del codice penale, si pensi inoltre: alla lieve entità del fatto, circostanza attenuante dei delitti contro la personalità dello Stato; alla particolare tenuità del fatto, circostanza attenuante della ricettazione; ai casi di minore gravità, ai quali fa riferimento alla disciplina della violenza sessuale.
Circostanze oggettive e soggettive
circostanze oggettive: quelle che concernono la natura,la specie, i mezzi,l'oggetto,il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione, la gravità del danno o del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità personali dell'offeso.
Circostanze soggettive: quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l'offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole. L'articolo 70 comma 2 c.p. precisa che le circostanze inerenti alla persona del colpevole riguardano la imputabilità e la recidiva.
Questa distinzione era originariamente funzionale alla valutazione delle circostanze nell'ambito del concorso di persone nel reato. Prima della riforma del 1990, l'articolo 118 c.p. stabiliva che si estendevano ai concorrenti le circostanze oggettive aggravanti o attenuanti, nonché le circostanze soggettive aggravanti quando avevano agevolato l'esecuzione del reato. L'attuale formulazione dell'articolo 118 c.p. non contiene invece alcun riferimento alla categorie delle circostanze oggettive e soggettive, limitandosi a elencare alcune circostanze che vanno applicate soltanto alla persona cui si riferiscono.
A questo punto, la sola rilevanza normativa della disciplina dettata dall'articolo 70 c.p. riguarda in definitiva l'univoca inclusione della recidiva è una delle cause che diminuiscono o aumentano l'imputabilità, come circostanze inerenti alla persona del colpevole, tra le circostanze del reato.
L'imputazione delle circostanze
La disciplina originariamente prevista nel codice del 1930
Secondo l'originario dettato dell'articolo 59 c.p. le circostanze sia aggravanti sia attenuanti rilevavano di regola obiettivamente: si applicavano cioè anche se non conosciute dell'agente o per errore ritenute inesistenti.
La disciplina vigente
Per effetto della legge 7 febbraio 1990 n. 19, la disciplina dell'imputazione delle circostanze ha conosciuto importanti modificazioni.
A. E’ rimasta ferma la irrilevanza delle circostanze aggravanti o attenuanti erroneamente supposte dall'agente: infatti stabilisce 0.
l'articolo 59 comma 3 c.p. stabilisce che se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
B. Del pari è rimasta ferma la rilevanza oggettiva delle circostanze attenuanti. Stabilisce infatti il comma 1 dell'articolo 59 c.p. che le circostanze che attenuano la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti
C. E’ mutata invece radicalmente la disciplina delle circostanze aggravanti: abbandonando la logica del versari in re illecita, alla base della rilevanza obiettiva prevista dal codice del 1930, il legislatore del 1990 ha armonizzato l'imputazione delle circostanze aggravanti al principio di colpevolezza, stabilendo che tali circostanze possono essere poste a carico dell’agente solo se gli si può muovere almeno un rimprovero di colpa: cioè soltanto se erano da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Ieri come oggi peraltro, vi sono alcune circostanze aggravanti che rilevano solo se i dati di fatto che l'integrano sono conosciuti dall'agente.
L'errore sulla persona dell'offeso.
L'articolo 60 c.p. introduce alcune deroghe alla disciplina generale dell'imputazione delle circostanze per l'ipotesi di errore sulla persona dell'offeso. Si tratta in primo luogo dell'ipotesi in cui l'agente versi in errore sull’identità della persona offesa(l'agente crede che la persona che vuol uccidere e uccide sia Tizio anche se realtà era Caio,il padre dell’agente).
D'altra parte, per effetto del rinvio espresso contenuto nell'articolo 82 c.p., l'articolo 60 c.p è applicabile anche all’aberratio ictus ,(Tizio volendo cedere Caio, uccide invece Sempronio, per un errore di mira determinato da colpa o per non essersi colposamente reso conto del rischio che lungo la traiettoria del proiettile si potesse trovare una persona diversa).
Dalla relazione del guardasigilli che accompagna il codice penale del 1930, si ricava inoltre che il legislatore storico ha inteso ricomprendere nella disciplina l'esame anche l'ipotesi in cui l’agente si rappresenta esattamente l'identità della persona offesa, ma ignori rapporti che intercorrono tra lui della vittima: Tizio vuole uccidere Caio e l'uccide, e solo successivamente viene a sapere che la persona uccisa era suo padre.
In tutti questi casi, se la legge contempla una o più circostanze aggravanti che riguardano alcune condizioni o qualità della vittima reale o , i suoi rapporti con il colpevole, l'articolo 60 dispone che tali aggravanti non vengano mai poste a carico dell’agente: infatti stabilisce che nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti, che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole. L'errore sulla persona dell'offeso in tutti i casi riconducibile sotto l'articolo 60, rileva anche se si tratta di errore o ignoranza dovuta a colpa, cioè che potevano essere evitati con la dovuta diligenza. L'articolo 60 contempla poi le ipotesi in cui, a seguito di un errore sulla persona offesa, l'agente supponga di trovarsi in presenza di una situazione che integrerebbe una circostanza attenuante relativa alle qualità o condizioni personali dell'offeso ovvero ai rapporti tra colpevole ed offeso: in deroga alla generale irrilevanza del putativo nella sfera delle circostanze, le circostanza attenuanti erroneamente supposta viene valutata a favore del colpevole.
Dalla categoria delle circostanze attenuanti o aggravanti, relative alle condizioni o qualità della persona offesa, l'articolo 60 comma 3 c.p. enuclea infine le circostanze relative all'età e quelle relative alle condizioni o qualità fisiche o psichiche della stessa persona offesa, disponendo che per tali circostanze, in caso di errore sulla persona dell'offeso, non opera la disciplina di favore dettata dai commi 1 e 2 dello stesso articolo 60. Per questo gruppo di circostanze troverà applicazione la disciplina generale dettata dall'articolo 59. Ai sensi di questo articolo co. 1, le attenuanti si applicheranno dunque solo se oggettivamente esistenti, mentre ai sensi dell'articolo 59 comma 2 le aggravanti potranno essere a carico dell’ agente a condizione che l'errore in cui è caduto l'agente sia dovuto a colpa.
L'applicazione degli aumenti o delle diminuzione di pena: una sola circostanza
Se è presente nel caso concreto una sola circostanza aggravante o attenuante, l'articolo 63 comma 1, impone al giudice di procedere come segue: quando la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l'aumento o la diminuzione si opera sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe il colpevole, qualora non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire. La determinazione della pena dovrà perciò avvenire con un giudizio bifasico: nella prima fase il giudice deve quantificare la pena per il reato semplice, secondo i criteri di commisurazione indicati all'articolo 133, nella seconda fase procederà all'aumento o alla diminuzione di pena conseguente alla circostanza. Queste due fase dovranno emergere nella sentenza, dove dovrà essere indicata sia la pena per il reato semplice, sia la misura dell'aumento o della diminuzione operati per effetto della circostanza, attenuante o aggravante.
All'interno del procedimento bifasico per la determinazione della pena per il reato circostanziato, si pone il problema dei rapporti tra circostanze del reato e criteri di commisurazione della pena in senso stretto. Va sottolineato che le circostanze aggravanti o attenuanti attribuiscono una particolare rilevanza a connotazioni del reato o della personalità del suo autore già di per sé riconducibile a questo o a quel criterio di commisurazione della pena ex articolo 133.
Ne segue che la circostanza aggravante o attenuante, in ragione del rapporto di specialità che intercorre con il corrispondente criterio di commisurazione della pena ex articolo 133, mette fuorigioco tale criterio, nel senso che il criterio potrà essere applicato solo per aspetti diversi da quelli isolati del legislatore e assunte ad oggetto della circostanza.
Il giudice non potrà dunque fare una doppia valutazione dello stesso elemento, sia nella determinazione della pena base, sia ai fini dell'aumento o diminuzione di quella pena.
Nel caso in cui la norma di legge che prevede la singola circostanza non specifichi la misura dell'aumento o della diminuzione di pena,la pena per il reato semplice dovrà essere aumentata o diminuita fino a un terzo, si parla in questo caso di circostanze a efficacia comune.
Al fine di determinare in concreto la misura dell'aumento o della diminuzione da apportare alla pena per il reato semplice, il giudice deve scomporre la fattispecie astratta della circostanza aggravante o attenuante in una scala continua di sotto fattispecie, individuando una serie di ipotesi tutte riconducibili a quella circostanza, graduate secondo la loro gravità se si tratta di circostanza aggravante ovvero secondo la loro tenuità se si tratta di circostanza attenuante; all'interno di tale scala il giudice collocherà la circostanza del caso concreto per stabilire il suo grado d'intensità.
La pena della reclusione da applicarsi per effetto dell'aumento determinato da una sola circostanza aggravante ha un limite massimo: non può superare di anni 30. Nel caso di una sola circostanza attenuante alla pena dell'ergastolo è sostituita la reclusione da 20 a 24 anni.
Qualora, infine, la circostanza presente nel caso concreto sia una circostanza autonoma o una circostanza indipendente il giudice sceglierà la pena all'interno del nuovo spazio edittale utilizzando i criteri generali di commisurazione della pena fissati dall'articolo 133: in questo caso, la commisurazione della pena per il reato circostanziato si svolgerà nn in due fasi bensì in un'unica fase, nella quale il giudice valuterà complessivamente sia la gravità del reato, sia la capacità a delinquere del colpevole.
Il concorso omogeneo di circostanze
Se concorrono più circostanze tutte aggravanti o tutte attenuanti, per ciascuna di esse è previsto un aumento o, rispettivamente,una diminuzione di pena fino ad un terzo, l'aumento o la diminuzione di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente. In altre parole,una volta calcolato l'aumento o la diminuzione di pena per una sola circostanza, sulla pena così determinata il giudice effettuerà l'ulteriore aumento o l'ulteriore diminuzione, e così via.
La pena risultante dagli aumenti o dalle diminuzioni conseguenti al concorso di più circostanze aggravanti o di più circostanze attenuanti a efficacia comune soggiace ad una serie di limiti fissati rispettivamente agli articoli 66 a 67 c.p.
L'applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena in caso di concorso omogeneo di circostanze alcune delle quali a efficacia speciale è disciplinata rispettivamente nell’articolo 67 comma 3 nell'articolo 63 comma 4 e 5.
Nel caso in cui una circostanza a efficacia speciale concorra con una o più circostanze a efficacia comune e dell'articolo 63 comma 3 il giudice applicherà per prima la circostanza a efficacia speciale: dapprima determinerà cioè la pena che applicherebbe se il reato fosse corredato dalla sola circostanza a efficacia speciale. Sulla pena così determinata, il giudice procederà successivamente all'aumento o alla diminuzione fino ad un terzo della circostanze a efficacia comune.
Nell'articolo 63 comma 4 e 5 il legislatore disciplina l'ipotesi in cui concorrano fra loro più circostanze efficacia speciale, tutte aggravanti ho tutte attenuanti. In tale ipotesi vige il principio di sussidiarietà: si tratta di circostanze aggravanti si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; se invece si tratta di circostanze attenuanti, si applica soltanto la pena meno grave stabilita per le predette circostanze.
Analogamente, tra più circostanze attenuanti a efficacia speciale si applica soltanto quella che comporta la pena meno grave;e la pena così determinata può essere ulteriormente diminuita fino a un terzo.
Il concorso eterogeneo di circostanze
Si parla di concorso eterogeneo di circostanze allorché un reato sia corredato in concreto,da due o più circostanze,una o alcune delle quali aggravanti e l'altra, o le altre, attenuanti. In tal caso il giudice deve procedere al bilanciamento delle circostanze concorrenti che può avere un triplice esito:
- la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti
- la prevalenza delle aggravanti sulle attenuanti
- l'equivalenza delle une con le altre.
Se il giudice ritiene prevalente le attenuanti, applica soltanto le relative diminuzioni di pena, non tenendo conto delle aggravanti. Se viceversa il giudice ritiene prevalente le aggravanti, non tiene conto delle attenuanti e opera solo gli aumenti di pena per le aggravanti. Infine se il giudice ritiene prevalenti le aggravanti e le attenuanti, applicherà la pena che avrebbe inflitto se non fosse stata presente alcuna circostanza.
Al giudizio di bilanciamento partecipano tutte le circostanze aggravanti e attenuanti. L'articolo 69 comma 4 nella versione introdotta dalla legge Cirielli del 2005, stabilisce infatti che le disposizioni precedenti si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.
Nella sfera delle circostanze inerenti alla persona del colpevole,una disciplina speciale è dettata per tre circostanze aggravanti:
In relazione a tale aggravante, l'articolo 69 comma 4 stabilisce il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti. L'esito del giudizio di bilanciamento potrà dunque essere la prevalenza delle aggravanti o, al più, l'equivalenza tra aggravanti e attenuanti.
Ulteriori eccezioni espresse alla disciplina dettata dall'articolo 69 sono previste per alcune circostanze aggravanti. Talora il legislatore non esclude che l'aggravante partecipi al giudizio di bilanciamento, ma si limita a vietare la prevalenza delle attenuanti; altre volte invece, il legislatore estromette senz'altro la circostanza aggravante dal giudizio di bilanciamento, stabilendo che il relativo aumento di pena debba essere sempre applicato.
La legge non fornisce nessun criterio per orientare il giudice nella valutazione comparativa delle circostanze concorrenti. Tale criterio non può essere fornito dal numero delle circostanze da bilanciare: al limite una sola circostanza aggravante o attenuante può essere considerata prevalente su più circostanze di segno opposto: le circostanze in concorso non vanno contate, ma pesate.
Rimane pertanto il problema di stabilire come il giudice debba procedere al bilanciamento delle circostanze. Da una parte sembra del tutto estranea al giudizio di bilanciamento una valutazione complessiva della gravità del reato semplice e della capacità a delinquere dell'agente, il bilanciamento va operato soltanto fra le circostanze, aggravanti o attenuanti.
D'altra parte la totale eterogeneità delle circostanze rende per lo più impraticabile una comparazione diretta, in dottrina si è proposto di far riferimento alla loro intensità, da accertarsi in concreto. Tale criterio può comunque soccorrere solo in alcuni casi limitati: fondamentalmente, quelli in cui concorrono circostanze a efficacia comune. Di regola il giudizio di bilanciamento risulta dunque affidato alla libera e incontrollata discrezionalità del giudice ovvero, alla sua capacità di intuizione: Di qui le critiche unanimi mosse dalla dottrina ad un legislatore che anziché procedere a una doverosa revisione delle comminatorie legali di pena, ha cercato di umanizzare il sistema penale attraverso una delega in bianco al giudice.
Gli effetti del giudizio di bilanciamento delle circostanze si producono, oltre che sulla misura della pena da infliggere in concreto, anche su altri istituti la cui applicabilità è correlata alla misura della pena inflitta: è il caso per esempio dell'amnistia impropria o dell'indulto concessi per reati puniti in concreto con una pena che non supera un certo limite. Per contro il bilanciamento delle circostanze non influisce su istituti che non si ricollegano al quantum di pena inflitta: le circostanze soccombenti o ritenute equivalenti ex articolo 69 continuano a produrre gli effetti previsti dalla legge. Del pari l'esclusione dall’ indulto di un certo tipo di reato in quanto corredato da una circostanza aggravante resta ferma anche se, nel caso concreto,una concorrente circostanza attenuante è stata ritenuta prevalente o equivalente all'aggravante. Ancora nei casi in cui la legge ricollega una pena accessoria alla condanna per i delitti commessi in presenza di una determinata circostanza aggravante, quella accessoria si applicherà al condannato anche se la circostanza aggravante è stata elisa nel giudizio di bilanciamento.
Per quanto riguarda il rapporto tra concorso eterogeneo di circostanze e tempo necessario per la prescrizione del reato l'articolo 157 comma 3 c.p. stabilisce che non si applicano le disposizioni dell'articolo 69: il tempo necessario per scrivere si determina dunque in base alla pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, secondo la disciplina di cui all'articolo 157 comma 2 c.p.
Il concorso apparente di circostanze.
Quando una determinata situazione è riconducibile sotto più norme che prevedono circostanze del reato, può profilarsi o un concorso effettivo di circostanze, omogeneo e eterogeneo, ovvero concorso apparente delle norme che prevedono quelle circostanze, con la conseguenza che applicabile sarà un'altra di tali norme.
Quest'ultima eventualità è disciplinato dall'articolo 68 c.p. il quale individua un concorso apparente di circostanze in due distinte ipotesi.
1) La prima è quella in cui una data circostanza è in rapporto di specialità rispetto ad un'altra. Per esempio: la circostanza aggravante dell’ aver agito in seguito a intelligenze col nemico, prevista per i diritti di disfattismo politico e di disfattismo economico, è speciale rispetto all'aggravante relativa agli stessi reati dell’ aver agito in seguito a intelligenza con lo straniero.
In caso di questo tipo il giudice applicherà la sua la circostanza speciale, secondo la regola dettata dall'articolo 15.
2) la seconda ipotesi dei contorni più incerti, è quella in cui, non sussistendo tra le norme un rapporto di specialità,1 circostanza aggravante o attenuante comprende in sé un'altra aggravante o un'altra attenuante. Per esempio: la circostanza aggravante dell'articolo 577, l'aver commesso un fatto di omicidio doloso contro l'ascendente o il discendente, e quella dell'articolo 61, l'aver commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche o con abuso di relazioni di coabitazione. Tra queste due norme non sussista un rapporto di specialità, ma è possibile che l'agente commetta un parricidio sfruttando in concreto le relazioni domestiche o di coabitazione con la vittima. In tal caso la presenza di una situazione che integra la seconda circostanza è in concreto strettamente funzionale all'uccisione dell'ascendente o del discendente: l'aggravante dell'articolo 577 è dunque circostanze eventualmente complessa rispetto all'aggravante comune dell'articolo 61, ovvero nel linguaggio della legge, è una circostanza che comprende in sé quest'ultimo aggravante.
Secondo quanto dispone l'articolo 68 comma 1, in caso di questo tipo si applica soltanto la circostanza che importa il maggior aumento di pena, se si tratta di circostanza aggravante, o soltanto la circostanza che importa la maggiore diminuzioni di pena,se si tratta di circostanza attenuante. Se poi le diverse circostanze importano tutte il medesimo aumento o la medesima diminuzione di pena, si applica un solo aumento o una sola diminuzione.
Le circostanze aggravanti comuni previste nel codice penale
L’articolo 61 del codice penale prevede un elenco di circostanze aggravanti comuni, cioè circostanze aggravanti che possano accompagnarsi ad un numero indeterminato di reati, ossia tutti i reati con i quali non siano incompatibili,si tratta di 11 circostanze.
Per motivo si intende la causa psichica della condotta, cioè l'impulso che induce il soggetto ad agire o ad omettere di agire. Il carattere abbietto o futile del motivo va accertato secondo le valutazioni medie della collettività in un certo momento storico. Il motivo è abbietto quando secondo quel metro di giudizio, appare turpe, ignobile, totalmente spregevole, tale da suscitare una diffusa ripugnanza.
Il motivo è futile quando appare del tutto sproporzionato rispetto al reato al quale ha dato origine.
Quest'aggravante non è applicabile a chi sia affetto da vizio parziale di mente, se l'impulso ad agire trova la propria origine nell'anomalia psichica del soggetto. Trattandosi di una circostanza soggettiva concernente i motivi a delinquere, nel quadro del concorso di persone è applicabile, ai sensi dell'articolo 118, soltanto alla persona animata da quel motivo.
2)L'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il profitto o il prezzo, ovvero l'impunità di un altro reato.
La norma individua tre distinte circostanze gravanti:
1. la prima ricorre allorché un reato viene posto in essere come mezzo per la commissione di un successivo reato (reato-fine)
2. La seconda è integrato allorché il reato viene commesso con lo scopo di occultarne un altro, commesso in precedenza
3. La terza circostanza aggravante si profila quando l'agente commette un reato come mezzo per conseguire o per assicurare a sé o ad altri il profitto o il prezzo o l'impunità di un altro reato.
A proposito della prima aggravante in dottrina si parla di aggravante teleologica, a proposito della seconda e della terza,si parla di aggravante consequenziale. Per la sussistenza di ciascuna di queste aggravanti è necessario e sufficiente che l'agente commetta un reato per uno degli scopi suddetti, non rileva che poi l’agente non commetta il reato-fine o non consegua lo scopo prefisso. Le aggravanti consequenziali presuppongono la commissione di un precedente reato. L'aggravante è configurabile anche nel caso in cui il reato presupposto sia, per una qualunque causa, estinto. Anche queste circostanze aggravanti di carattere soggettivo, concernono i motivi a delinquere: pertanto, nel quadro del concorso di persone nel reato sono applicabili, ai sensi dell'articolo 118, soltanto alle persone che agiscano con quelle finalità.
3)L'avere,nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento.
Questa circostanza aggravante dà rilievo alla cosiddetta colpa cosciente, si configura quando l’ agente si rappresenta come seriamente possibile il verificarsi dell'evento, ma ritiene per colpa, che quell'evento non si realizzerà nel caso concreto, è ciò in quanto, per leggerezza, sottovaluta la probabilità del suo verificarsi ovvero sopravvaluta le proprie o altrui capacità di evitarlo.
La circostanza è applicabile ai soli delitti. Quanto alle contravvenzioni, della colpa cosciente il giudice terrà conto sotto il profilo del grado della colpa nel commisurare la pena all'interno della cornice edittale. L'aggravante della colpa cosciente è applicabile anche ai casi di eccesso colposo nelle cause di giustificazione, quando l’agente si renda conto per esempio, che la sua difesa potrebbe provocare un evento lesivo sproporzionato all'aggressione è ritenga per leggerezza che quella previsione non si avvererà. Sembra inoltre applicabile alle ipotesi di erronea supposizione di commettere il fatto in presenza di una causa di giustificazione, quando l’agente abbia previsto la possibilità, per esempio, dell'inesistenza di un'aggressione da cui difendersi, ma per leggerezza abbia concluso che l'aggressione era reale.
A norma dell'articolo 118, trattandosi di circostanza soggettiva concernente il grado della colpa, nel concorso di persone è valutata soltanto nei confronti della persona cui si riferisce.
4) L'avere adoperato sevizie, o l'avere agito con crudeltà verso le persone.
Sevizia: ogni sofferenza fisica inferta alla vittima che non è necessaria per la commissione del reato, ma esprime una scelta da parte dell'agente.
Agisce con crudeltà verso le persone che infligge la vittima o un terzo una sofferenza morale, rivelatrice di mancanza di umanità: anche in questo caso deve essere una sofferenza non necessaria per la commissione del reato.
5) l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tale da ostacolare la pubblica o la privata difesa.
L'aggravante della cosiddetta minorata difesa si riferisce ad una serie di situazioni, legate a fattori ambientali o personali, per effetto delle quali la vittima non può adeguatamente difendere né essere difesa. Fra le circostanze di tempo che possono rilevare si annoverano una pubblica calamità o un'interruzione dell'energia elettrica; tra le circostanze di luogo, nell'assenza di tutti gli abitanti di un palazzo a Ferragosto; tra le circostanze di persona,uno stato di particolare inferiorità della vittima, dovuto per esempio ad ubriachezza, a deficienza psichica o a decadenza senile, oppure le eccezionali capacità fisiche o di persuasione dell'autore del reato.
6) l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente all'esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato.
La disposizione da rilievo ad alcune situazioni di fatto che possono stare a fondamento della dichiarazione di latitanza, a norma dell'articolo 296 c.p.p.: non facendo propria la nozione di latitanza, non è invece applicabile all'evaso, ancorché quest'ultimo, ad altri effetti, sia equiparato al latitante. L'articolo 61 c.p. non abbraccia neppure la situazione di chi si sottrae ad un provvedimento che abbia disposto agli arresti domiciliari, e il divieto di espatrio o l'obbligo di dimora. L'eventuale riempimento di tali lacune potrà essere compiuto soltanto dal legislatore: non vi può procedere il giudice, pena la violazione del divieto di analogia a favore del reo. È necessario che l'agente si sottragga volontariamente all'esecuzione dei provvedimenti restrittivi.
7) l'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità.
La circostanza può applicarsi a tre gruppi di delitti:
- delitti contro il patrimonio;
- delitti determinati da motivo di lucro;
- delitti che comunque offendono il patrimonio. I contorni di quest'ultima categoria sono controversi: vi rientrano certamente reati plurimi offensivi che offendano accanto ad un altro bene, anche un bene patrimoniale. La formula legislativa data la sua latitudine, abbraccia anche i reati nei quali l'offesa al patrimonio non è sempre presente, ma può esserlo nel caso concreto, in quanto sviluppo potenzialmente insito in quella figura del reato.
La rilevante gravità del danno patrimoniale deve essere valutata in primo luogo secondo il criterio oggettivo, offerto dal valore intrinseco della cosa, indipendentemente da ogni considerazione delle condizioni economiche della persona offesa.
Circa il momento in relazione al quale va valutata l'entità del danno patrimoniale, decisivo è il momento consumativo del reato, mentre non rilevano le vicende intervenute successivamente. La giurisprudenza prevalente ritiene applicabile l'aggravante anche al delitto tentato, nel caso in cui il reato fosse giunto a consumazione avrebbe prodotto un danno patrimoniale di rilevante gravità.
Questa soluzione urta però frontalmente contro la legge, che richiede un danno di rilevante gravità cagionato alla persona offesa dal reato: non lascia dunque nessuno spazio per una considerazione del danno potenziale.
8) l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso.
Questa circostanza aggravante presuppone la commissione di un qualsivoglia delitto, doloso o colposo, consumato o tentato, e consiste in una condotta successiva con la quale l’agente volontariamente aggravi o cerchi di aggravare le conseguenze del precedente delitto. Conseguenze del reato è una formula ampia in grado di comprendere anche effetti diversi e ulteriori rispetto all'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice: per esempio le sofferenze morali che un omicidio produce ai familiari della vittima.
9) l'aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di Ministro di un culto.
Questa disposizione fa riferimento a tre categorie di soggetti:
- pubblici ufficiali;
- l'incaricato di pubblico servizio;
- ministri di culto.
Non basta che il reato venga commesso da chi possiede una di queste qualità. E’necessario l'abuso dei poteri o la violazione dei doveri inerenti a quella qualifica: l'agente deve aver fatto uso dei propri poteri per finalità diverse da quelle per le quali gli sono stati conferiti ovvero deve aver violato uno specifico dovere concernente l'attività del suo ufficio, servizio o ministero. Si tratta di una precisa scelta del legislatore, il quale ha escluso espressamente l'abuso della qualità inerte, ossia senza esercizio della funzione.
Occorre inoltre che tra la commissione del reato e l'abuso dei poteri o la violazione dei doveri e esista almeno un nesso occasionale, nel senso che l'esecuzione del reato deve essere stata resa possibile o quantomeno agevolata dalle attribuzioni dell'agente.
Sia l'abuso dei poteri, sia la violazione dei doveri devono essere realizzati consapevolmente. La circostanza aggravante non è applicabile a quei reati nei quali l'abuso di poteri o la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, a un pubblico servizio o alla qualità di ministro del culto è elemento costitutivo del fatto.(è il caso per il pubblico ufficiale o per l'incaricato di un pubblico servizio, del delitto di concussione).
10) l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di Ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello stato, ovvero contro l'agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni e del servizio.
Questa circostanza appresta una tutela rafforzata ad alcune categorie di soggetti in considerazione della loro funzione:
- il pubblico ufficiale;
- l'incaricato di pubblico servizio;
- il ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello stato;
- l'agente diplomatico o consolare.
Non basta peraltro che reato venga commesso contro chi riveste una di quelle qualifiche, ma è necessario altresì che venga commesso o in un momento in cui la vittima sta esercitando le proprie funzioni , ovvero un momento diverso, ma per una causa inerente alle funzioni. La giurisprudenza sottolinea che questa aggravante esige in deroga la consapevolezza da parte dell'agente della qualità personale del soggetto passivo.
Per l'applicabilità della circostanza l'aggressione a uno dei soggetti in questione non deve essere elemento costitutivo di un autonoma figura di reato, come nel caso della violenza un pubblico ufficiale, o dell'oltraggio a un magistrato in udienza.
11) l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d'ufficio, di prestazioni d'opera, di coabitazione o di ospitalità.
L'aggravante del rilievo situazioni di particolare vulnerabilità del bene giuridico, derivanti da relazioni interpersonali che possono facilitare la commissione del reato.
L'abuso di autorità evoca lo sfruttamento di una situazione di preminenza, in ambito di un rapporto privatistico, come nel caso del direttore di stabilimento che commetta molestie sessuali.
Relazione domestica: quelle interne alla famiglia in senso lato, anche in assenza di un rapporto di parentela o di coabitazione.
Relazioni di ufficio: rapporti che intercorrono tra chi opera in uno stesso ambiente di lavoro, pubblico o privato.
Relazioni di prestazioni d'opera: non solo l'ipotesi del rapporto contratto di lavoro, ma tutti quei rapporti giuridici che, in una più vasta e larga accezione, comportano l'obbligo di un facere. Coabitazione: qualsiasi forma di permanenza non momentanea di più persone in uno stesso luogo, come nel caso in cui un reato venga commesso da un detenuto a danno di un altro detenuto all'interno di un istituto penitenziario.
Ospitalità: ipotesi di permanenza occasionale di breve durata in un determinato luogo con il consenso del proprietario o del possessore, (il caso di un furto commesso a danno di altri ospiti o dello stesso ospitante.)
Le circostanze aggravanti comuni previste in leggi speciali
In tempi diversi, per fronteggiare gravi fenomeni di criminalità, il legislatore ha previsto per tutti i reati, salvo limite della incompatibilità, altri tre gruppi di circostanze aggravanti comuni.
1) l'articolo 1 della legge del 6 febbraio 1980, 15 stabilisce che per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico punibili con pena diversa dall'ergastolo, la pena è aumentata della metà, salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato.
2) l'articolo 7 della legge del 12 luglio 1991, 203 prevede che per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, alla pena aumentata da un terzo alla metà.
3) l'articolo 3 della legge del 25 giugno 1993, 205 prevede che per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, la pena è aumentata fino alla metà.
Si tratta in tutti i casi di circostanze a effetto speciale, con aumenti di pena di diversa entità. Tali circostanze sono escluse dal giudice di bilanciamento ex articolo 69: i relativi aumenti di pena devono essere sempre applicati; successivamente una pena così determinata, il giudice procederà agli ulteriori aumenti di pena correlate ad eventuali circostanze aggravanti concorrenti, oppure le diminuzioni dovute all'eventuale presenza di una o più attenuanti.
Le circostanze attenuanti comuni
L’art. 62 c.p. elenca sei circostanze attenuanti comuni:
Il reato è per definizione un fatto illecito è tendenzialmente anche immorale e antisociale. Nel commetterlo, però l’agente, può essere animato da motivi di per sé apprezzabili, che non scalfiscono l'oggettiva illiceità del reato, ma gettano una luce favorevole sull’autore, rendendo meno riprovevole il suo comportamento. Spesso questa distinzione viene però offuscato dalla giurisprudenza, che fa leva sulla oggettiva gravità del reato per negare che l’agente possa considerarsi mosso da motivi di particolare valore morale o sociale.
Da tale arbitraria confusione deriva l'applicazione rara di questa circostanza attenuante.
Motivi di particolare valore morale: motivi che ricevono un apprezzamento pienamente positivo dell'intero gruppo sociale o da una parte di esso. Per esempio il caso del sentimento di pietà verso una persona cara affetta da un tumore in fase terminale, che provoca dolori lancinanti e porta l'agente a cagionare volontariamente la morte del malato, con lo scopo di anticipare la fine delle sue sofferenze.
Motivi di particolare valore sociale: motivi rispondenti, in un certo momento storico, agli obiettivi propri della società nel suo insieme. Non deve trattarsi necessariamente di obiettivi valutati positivamente da tutti consociati in quel momento storico. Il metro unificante di giudizio si individua invece nei principi e valori sociali accolti e cristallizzati in costituzione.
La stessa costituzione disegna un assetto giuridico sociale imperniato sul metro democratico, sul pluralismo dei partiti, sul riconoscimento dell'iniziativa economica privata. Non può pertanto riconoscersi un particolare valore sociale alla commissione di reati di terrorismo con l'obiettivo di rovesciare l'ordine costituzionale in alcuni tra i suoi principi-cardine: cioè con l'intento di eliminare gli avversari politici, sopprimere la proprietà privata dei mezzi di produzione, instaurare la dittatura di un immaginario proletariato. D'altra parte un motivo a delinquere può assumere un particolare valore sociale anche in assenza di un riconoscimento costituzionale del valore sottostante, nel caso in cui si tratti di valori emersi dopo l'avvento della costituzione, ma che abbiano trovato riconoscimento o protezione nella legislazione ordinaria, magari attuativa di normative internazionali. Trattandosi di una circostanza soggettiva concernente i motivi a delinquere, nel quadro di concorso di persone è applicabile, ai sensi dell'articolo 118 soltanto alla persona animata da quel motivo.
2) l'avere agito in stato d'ira, determinato da un fatto ingiusto altrui.
Questa circostanza attenuante designata normalmente come provocazione, da rilievo ad uno stato motivo che incide sulla volontà di commettere il fatto di reato e quindi comporta una minore intensità del dolo: ai sensi dell'articolo 118 la circostanza non si comunica ai concorrenti nel reato. In quest'attenuante possono individuarsi tre elementi:
1. Il primo è rappresentato da un fatto ingiusto altrui: può trattarsi di un comportamento in contrasto sia con norme giuridiche di qualsiasi fonte o natura, sia con regole elementari della convivenza sociale. L'ingiustizia potrà ravvisarsi anche in comportamenti in sé legittimi, ma realizzati con modalità vessatorie, ispirate da iattanza o da finalità emulative.
2. Il secondo elemento è integrato da uno stato d'ira cioè da una emozione che genera impulsi aggressivi non comprimibili con i normali freni inibitori. Lo stato ira è ovviamente compatibile con un preesistente stato di risentimento, rancore o un odio, purché vi si innesti un nuovo e autonomo fatto ingiusto, come fattore scatenante dell'esplosione d'ira.
3. Quale terzo elemento viene in considerazione il rapporto di causalità che deve intercorrere tra lo stato d'ira e la commissione del reato. Questo rapporto di causalità non sussiste quando il fatto ingiusto altrui è stato un mero pretesto di cui l’agente ha approfittato per dar sfogo alle e prepotente, violenze, aggressività o altro: bisogna cioè che alle circostanze del caso concreto emerga che solo perché accecato dall'ira provocata dal fatto ingiusto altrui, quel soggetto ha potuto commettere il fatto di reato.
inaccettabile è l'idea che il fatto di reato debba essere in un rapporto di proporzione con il fatto ingiusto che ha prodotto lo stato d'ira. Si tratta di un limite che non è richiesto dalla legge, né si lascia desumere dal requisito del rapporto di causalità; d'altra parte, i più elementari dettami della psicologia insegnano che è caratteristico dell’ira cagionare reazioni non solo incontrollabili, ma anche spesso, sproporzionate.
Non è necessario che la commissione del reato segue immediatamente il fatto ingiusto altrui. In base a disposizione dell'articolo 72 l'attenuante può ritenersi ben integrata, quando l’ira segue ad una prolungata fase depressiva o di accoramento, per poi esplodere ad un gesto dell'aggressore oppure a qualunque altra circostanza che rinverdisca il ricordo del torto patito. Altrettanto opportunamente la giurisprudenza sottolinea che l'attenuante in esame può sussistere anche nel caso di una serie di comportamenti ingiusti, di scarsa entità e considerati uno ad uno, ma che nel loro insieme, provochino,per accumulo, lo scoppio dell'ira.
Dell'attenuante può giovarsi anche una persona diversa da colui che ha subito il torto purché quel torto abbia cagionato in lui una reazione d'ira sfociato nella commissione del reato.
3) l'avere agito per suggestione d'una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o di assembramenti vietati dalla legge o dall'autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale, professionale, o delinquente per tendenza.
Questa disposizione valorizza risultati di indagini psicologiche anche risalenti dando rilievo all'alterazione dei freni inibitori che una folla di persone può esercitare sulla condotta dei singoli, in particolare se quella folle agitata da intense passioni, che si manifestano tumultuosamente con grida, invettive, slogan minacciosi. L'influenza emotiva lasciata dalla folla in tumulto, indebolendo i processi volitivi che hanno portato la commissione del fatto, si traduce in una minore intensità del dolo: ai sensi dell'articolo 118 la circostanza non si comunica al concorrente nel reato. Per l'applicabilità dell'attenuante è necessario che la commissione del reato sia conseguenza della suggestione della folla in tumulto: cioè deve sussistere un nesso di causalità psichica tra la suggestione che emana dalla folla tumultuante e il reato commesso in concreto. Non ricorrerà pertanto l'attenuante, quando l'agente si sia determinato a commettere il reato già prima di entrare in contatto con la folla, magari ripromettendosi di approfittare del tumulto per realizzare più facilmente il proprio intento criminoso. Per contro, l'influenza causale della folla in tumulto può sussistere anche nei confronti di chi si inserisca per sua scelta in un assembramento di persone già in tumulto, a condizione che la decisione di commettere il reato si sia formata successivamente. La legge impone un duplice limite l'applicabilità della circostanza. Un primo limite ispirato all'esigenza di non riconoscere una attenuazione di pena che agisca all'interno di una situazione di legalità: la riunione o l’ assembramento non devono essere vietati dalla legge o dall'autorità. Il secondo limite riflette una logica di prevenzione speciale nei confronti di chi, è già incline a delinquere, e può trovare ulteriori spinte criminogene nella folla in tumulto: non può giovarsi dell'attenuante chi sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza.
4. L'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di specialità tenuità, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro , l'avere agito per conseguire o l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità.
Una parte della disposizione descrive la circostanza attenuante speculare all'aggravante di cui all'articolo 61: l'aggravante è imperniata su un danno patrimoniale di rilevante gravità, l'attenuante su un danno patrimoniale di speciale tenuità.
La speciale tenuità del danno patrimoniale deve essere valutata in primo luogo secondo un criterio oggettivo, offerto dal valore intrinseco della raccolta, indipendentemente da ogni considerazione delle condizioni economiche della persona offesa.
L'ambito applicativo della disposizione in esame, è individuato dalla legge nei delitti contro il patrimonio, i delitti che comunque offendono il patrimonio, i delitti determinati da motivi di lucro. La giurisprudenza maggioritaria ritiene applicabile l'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità anche all'ipotesi di delitto tentato, cioè nei casi in cui, se il delitto fosse giunto a consumazione, avrebbe cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità. Si tratta però di una soluzione contro la legge, per le stesse ragioni che rendono inapplicabile al tentativo la corrispondente aggravante dell'articolo 61: il tenore letterale dell'articolo 61 esige infatti che un danno di speciale tenuità sia stato cagionato e non anche che potesse cagionarsi.
Quanto all'attenuante prevista per i delitti determinati da motivi di lucro, la speciale tenuità attiene sia il vantaggio patrimoniale che l'agente ha conseguito o intendeva conseguire attraverso il diritto, sia l'evento dannoso pericoloso inerente al delitto commesso per motivi di lucro. Premesso che è l'offesa evocata dalla formula evento dannoso pericoloso riguarda un bene diverso dal patrimonio, è controverso se la speciale tenuità di quell'offesa vada stabilita in astratto o in concreto: secondo il primo orientamento, l'attenuante sarebbe applicabile solo ai delitti bagatellari, che siano cioè di per se stessi di speciale tenuità, mentre secondo l'altra tesi l'attenuante sarebbe applicabile a qualsiasi tipo di delitto, purché in concreto l'offesa del bene tutelato dalla norma incriminatrice risulti particolarmente tenue.
Il tenore letterale della disposizione laddove fa riferimento al aver comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, autorizza l'applicazione dell'attenuante anche a chi abbia commesso un delitto per conseguire un lucro rilevante, ma in concreto ne abbia ottenuto soltanto uno di speciale tenuità.
5. L'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa.
Il reato agli occhi del legislatore, risulta meno grave quando alla sua realizzazione abbia contribuito volontariamente con la propria condotta la vittima del reato. Per integrare questa circostanza attenuante occorre in primo luogo, che la persona offesa, con la sua condotta, abbia contribuito a realizzare il fatto di reato: benché la legge parli di evento, si ritiene che l'attenuante sia applicabile anche ai reati di mera condotta, dovendosi interpretare l'espressione evento come sinonimo di fatto di reato.
In secondo luogo va chiarito che anche la formula doloso con la quale la legge qualifica il fatto della persona offesa non può essere presa alla lettera: il dolo è un criterio di attribuzione della responsabilità e l'oggetto del dolo è l'intero fatto, mentre ciò a cui la legge fa riferimento in questo caso è soltanto il carattere volontario della condotta della vittima. Benché astrattamente applicabile sia reati di evento sia reati di mera condotta, l'attenuante in esame non è compatibile con quelle figure di reato nelle quali una condotta volontaria della vittima è elemento costitutivo del fatto: è per esempio il caso tra i reati di evento, dell'omicidio del consenziente, e tra i reati di mera condotta, degli atti sessuali con un minorenne, dell'usura, e così via. Il campo di applicazione di questa attenuante è estremamente ridotto.
6. L’avere,prima del giudizio,riparato interamente il danno,mediante il risarcimento di esso e quando,sia possibile,mediante le restituzioni;o l’essersi,prima del giudizio e fuori del caso preveduto dall’ultimo capoverso dell’art. 56,adoperato spontaneamente ed efficacemente x elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Questa disposizione prevede una prima ipotesi,imperniata sull’integrale e tempestiva reintegrazione patrimoniale conseguente alla commissione di un reato,nella forma del risarcimento del danno e ,quando sia possibile,anche in quella della restituzione dei beni di cui è stata privata la vittima.
La ratio di questa attenuante è stata a lungo identificata nell'espressione tangibile della resipiscenza dell’autore del reato, con il corollario che sia il risarcimento sia la restituzione dovrebbero essere realizzati personalmente dall'autore, con esclusione di ogni intervento di terzi, a cominciare dalle società di assicurazione. Questa ricostruzione è stata però censurato dalla corte costituzionale, che ha sottolineato da un lato l'esigenza di armonizzare la norma con il principio di eguaglianza, che verrebbe violato dell'attenuante fosse riservata agli abbienti, e d'altro lato l'irrazionalità di una lettura che estrometta dalla sfera applicativa dell'attenuante i risarcimenti effettuati da terzi, e in particolare dalle società di assicurazione, sottraendo al danneggiato l'opportunità di un risarcimenti integrale e rapido del danno sofferto. Secondo la corte costituzionale l'attenuante va letta in chiave oggettiva, cioè come espressione dell'esigenza di incentivare la reintegrazione del patrimonio del danneggiato dal reato, a condizione che l'intervento risarcitorio sia a qualsiasi titolo riferibile all'imputato.
Per espressa indicazione della legge la riparazione del danno deve essere integrale. In caso di rifiuto della parte lesa, il risarcimento può essere effettuato nella forma dell'offerta reale ai sensi dell'articolo 1209 del codice civile, sempre che il giudice ritenga adeguata a coprire il danno la somma offerta dall'autore del reato.
Qualora sia possibile, oltre al risarcimento del danno l'agente deve provvedere alla restituzione delle cose provenienti da reato.
Sia il risarcimento sia le restituzioni devono avvenire prima del giudizio, vale a dire prima dell'apertura del dibattimento.
La seconda ipotesi prevista dall'articolo 62 consiste in un attività spontanea di efficacia diretta ad elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Quest'ultima formula allude all'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
La giurisprudenza ritiene che, di per sé,un aiuto offerto dal colpevole le indagini di polizia o a quelle dell'autorità giudiziaria, non sia sufficiente ad integrare la circostanza attenuante: la soluzione potrebbe essere diversa, tuttavia, se per effetto della collaborazione si sia ottenuto il risultato per esempio di far cessare del tutto all'attività delittuosa di una struttura delinquere.
La disposizione dell'articolo 62 non è riferibile al danno risarcibile derivante da reato, previsto nella prima parte della disposizione: un risarcimento parziale del danno da reato non può quindi assumere rilievo attenuante ai sensi della seconda parte della stessa disposizione.
L'attività di eliminazione o di attenuazione delle conseguenze del reato deve essere spontanea. Quanto ai rapporti tra questa circostanza attenuante il tentativo, la clausola fuori del caso preveduto dall'ultimo capoverso dell'articolo 56 preclude che questa circostanza attenuante possa accumularsi con quella del volontario impedimento dell'evento previsto nell'articolo 56. La circostanza attenuante in esame resta invece applicabile ai casi in cui il delitto tentato abbia prodotto conseguenze dannose o pericolose diversa dall'evento che il soggetto volontariamente impedito.
Anche l'elisione o attenuazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato deve avvenire prima del giudizio cioè prima dell'apertura del dibattimento.
In materia di stupefacenti, l'attività di eliminazione o di attenuazione delle conseguenze del reati previste dall'articolo 73 del d.p.r. 309 del 1990 è oggetto di una previsione ad hoc, che comporta una più consistente diminuzione di pena: tale disposizione si applicherà in via esclusiva per esempio nel caso in cui si sia consentito il ritrovamento da parte della polizia di una consistente quantità di stupefacenti.
Le circostanze attenuanti generiche
L'articolo 62 bis stabilisce che il giudice indipendentemente dalle circostanze prevedute dall'articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell'applicazione di questo capo con una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62.
Questa attenuante presente nel codice Zanardelli ed esclusa dal codice del 1930 è stata introdotta nel 1944 per temperare l'asprezza del dosaggio sanzionatorio del codice Rocco; viene comunemente designata con la formula circostanze attenuanti generiche, benché non compaia nella disposizioni citata.
Quanto al contenuto delle attenuanti generiche il legislatore rinuncia totalmente ad individuarlo. L'articolo 62 bis richiedendo che si tratti di circostanze diverse da quelle preveduto dall'articolo 62, che il giudice ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena, individua soltanto un duplice limite al campo di applicazione del attenuanti generiche.
In primo luogo il giudice non potrà tenere conto di situazioni che già integrano una circostanza attenuante tipica sia che si tratti di circostanza attenuante comune ex articolo 62 sia che si tratti di una circostanza attenuante speciale, cioè prevista per uno o più reati determinati.
In secondo luogo, non potrà considerare come attenuanti generiche situazioni che siano incompatibili con il tenore di una norma che prevede la circostanza attenuante tipica.
L'individuazione in positivo del contenuto delle circostanze attenuanti generiche è invece rimessa al giudice, il quale può far leva su un qualsiasi dato del caso concreto, inerente al reato o al suo autore, che mediti una attenuazione della pena. In quest'opera la discrezionalità del giudice non è però libera, bensì vincolata al rispetto di criteri desumibili dell'ordinamento.
Il giudice farà riferimento ai criteri elencate nell'articolo 133: applicherà alle attenuanti generiche qualora uno di tali criteri assume nel caso concreto uno spiccato significato attenuante.
La concessione del attenuanti generiche deve considerarsi del tutto svincolata da una valutazione complessiva della gravità del reato e della capacità a delinquere della gente, conseguendo esclusivamente alle individuazione nel caso concreto di un singolo dato attenuante.
Oltre che sui criteri dell'articolo 133, il giudice può fondare la concessione delle attenuanti generiche, tra l'altro, su situazioni che realizzino parzialmente il modello legale di una circostanza attenuante tipica. In ragione della loro natura di vere e proprie circostanze attenuanti, le attenuanti generiche sono assoggettate alla disciplina che la legge detta in genere per le circostanze del reato e in particolare per le circostanze attenuanti.
Al pari di ogni altra circostanza del reato,le attenuanti generiche dovranno essere applicate secondo lo schema del giudizio bifasico imposto dall'articolo 63. In primo luogo il giudice fisserà dunque la pena-base alla stregua dei criteri indicati all'articolo 133 in secondo luogo sulla pena così determinata, procederà alla diminuzione fino ad un terzo in ragione delle attenuanti generiche.
Sempre in ragione della loro natura di vere e proprie circostanze del reato, le attenuanti generiche incidono sulla determinazione del tempo necessario per la prescrizione del reato ai sensi dell'articolo 157, in caso di concorso con circostanze aggravanti, entrano in giudizio di bilanciamento delle circostanze eterogenee di quell'articolo 69.
Un ulteriore corollario della natura di circostanze in senso tecnico è quello esplicitato dall'articolo 62 bis, quando sottolinea che la circostanza attenuante generica può anche concorrere con uno o più delle circostanze indicate nell'articolo 62 del codice penale, secondo le regole del concorso omogeneo di circostanze. D'altra parte anche le attenuanti generiche possono concorrere anche con circostanze attenuanti diverse da quelle elencate all'articolo 62.
Le circostanze aggravanti attenuanti inerenti alla persona del colpevole
La recidiva.
La recidiva è inquadrata dal legislatore tra le circostanze inerenti alla persona del colpevole, e consta di due elementi.
Il primo elemento è rappresentato dalla commissione di un delitto non colposo dopo che il soggetto è stato condannato con sentenza definitiva per un precedente delitto non colposo. L'istituto della recidiva è stato interessato da un'importante riforma nel 2005,n. 251, legge Cirielli, che, correggendo largamente le scelte operate con la precedente riforma del 1974, ha irrigidito e inasprito il trattamento della recidiva. Per altro verso, il legislatore delle 2005 ha estromesso dalla sfera applicativa dell'istituto i delitti colposi nelle contravvenzioni.
Per il configurarsi della recidiva non basta che si commette un delitto non colposo dopo averne commesso un altro, ma è necessario che la commissione del primo delitto sia stata trattata con una sentenza di condanna passata in giudicato, e il giudicato deve essersi formato prima della commissione del nuovo delitto. Non è necessario che alla condanna sia seguita l'esecuzione, totale o parziale, della pena.
L'articolo 99 da rilievo ai fini della recidiva, anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, cosiddette sentenza di patteggiamento pronunciata ex articolo 444 c.p.p.; ai sensi dell'articolo 106 alle condanne per le quali è intervenuta la causa di estinzione della pena, come ad esempio, l'amnistia impropria, l'indulto ,la grazia; nonché alle condanne riportate all'estero, riconosciuta in Italia.
Il nuovo delitto deve inoltre denotare insensibilità all'ammonimento derivante dalla precedente condanna e una accentuata capacità a delinquere: secondo la cassazione il che non si verifica quando il nuovo delitto tragga origine da situazioni contingenti ed eccezionali, ovvero sia stato commesso dopo un lungo intervallo di tempo dal delitto precedente,o abbia natura totalmente diversa.
Perché la commissione del nuovo delitto possa denotare nel caso concreto insensibilità all'ammonimento derivante dalla precedente condanna è necessario, che l'agente sia conoscenza di quella condanna.
L'accertamento del secondo elemento della recidiva è affidato alla discrezionalità del giudice: si parla in questo caso di facoltatività della recidiva. Anche con la riforma del 2005 la recidiva ha largamente conservato il carattere facoltativo attribuito all'istituto del legislatore del 1974: ipotesi di recidiva obbligatoria sono ora previste soltanto dall'articolo 99 comma 5.c.p., limitatamente ad una gamma di delitti di particolare gravità. Per i restanti delitti non colposi, la volontà del legislatore del 2005 di attribuire spazi più ristretti la discrezionalità del giudice nell'applicazione della recidiva si è manifestata soltanto nella previsione degli aumenti di pena.
Il potere discrezionale del giudice nell'applicazione della recidiva ha carattere giuridicamente vincolato, dovendo esercitare secondo i criteri precedentemente enunciati che si desumono non dà un'indicazione espressa della legge, bensi dal fondamento stesso dell'istituto: l'aumento di pena per la recidiva si legittima in ragione sia dalla maggiore colpevolezza che connota il nuovo delitto, sia dalla maggiore capacità a delinquere dell'agente.
Natura giuridica.
La recidiva è una circostanza del reato: si tratta in particolare di una circostanza aggravante soggettiva, inerente alla persona del colpevole.
Al pari di ogni altra circostanza, la recidiva partecipa al giudizio di bilanciamento. Lo stabilisce espressamente l'articolo 69 comma 4, ove si prevede inoltre,un regime speciale per la recidiva reiterata ex articolo 99 comma 4: anche questa forma di recidiva partecipa al giudizio di bilanciamento, ma non può soccombere alle circostanze attenuanti concorrenti. Il giudice dovrà cioè considerare la recidiva reiterata prevalente o, al più, equivalente rispetto alle attenuanti. A norma dell'articolo 63 comma 3, la recidiva aggravata e la recidiva reiterata comportando un aumento della pena superiore ad un terzo, sono circostanze ad effetto speciale.
Ai sensi dell'articolo 118, la recidiva è una di quelle circostanze soggettive che non si comunicano ai concorrente nel reato.
Forme.
in relazione alle diverse forme di recidiva previste nell'articolo 99, la dottrina parla di recidiva semplice, recidiva aggravata e recidiva reiterata.
a. se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole di quello precedente, recidiva specifica;
b. se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente, recidiva infraquinquennale;
c. se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente l'esecuzione della pena.
3. recidiva monoaggravata: ricorre una sola delle circostanze ore enunciate. Se ricorre più di una di quelle circostanze si parla di recidiva pluriaggravata, in tal caso l'aumento di pene della metà. Quanto all'ipotesi di recidiva monoaggravata sub a. a norma dell'articolo 101, reati della stessa indole sono non soltanto quelli che violano la stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo pervenute da disposizioni diverse, nondimeno,per la natura di fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinano, presentano nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni. La giurisprudenza inoltre spesso considera reati della stessa indole quelli che sono sorretti dallo stesso motivo è in concreto ledono o pongono in pericolo beni giuridici omogenei così da risultare episodi non occasionali ma proiezioni specifiche della personalità dell'imputato.
Quanto alle ipotesi di recidiva monoaggravata sub. c, l'aggravante di cui all'articolo 99, trova il suo fondamento nell'accentuata in sensibilità al rispetto della legge manifestata da chi non si è lasciato ammonire né dalla precedente condanna ne dall'esecuzione della pena.
4. recidiva reiterata: qualora chi è già recidivo commetta un nuovo delitto non colposo. Presupposto della recidiva reiterata è una precedente condanna con la quale il soggetto sia stato sottoposto all'aumento di pena previsto per una qualsiasi forma di recidiva: non basta che il soggetto potesse essere considerato recidivo, se non lo è stato in concreto. Ai fini della recidiva reiterata rileva anche una precedente condanna nel quale l'aumento di pena disposto dal giudice sia stato in concreto neutralizzato nell'ambito del giudizio di bilanciamento delle circostanze.
La misura dell'aumento di pena per la recidiva reiterata varia a seconda della forma di recidiva ritenuta nella prima condanna: se si tratta di recidiva semplice, l'aumento è della metà; che se si tratta di recidiva aggravata, l'aumento è di due terzi.
A dispetto dei dubbi avanzati da alcuni tra i primi commentatori della riforma del 2005, anche la recidiva pluriaggravata e la recidiva reiterata hanno tuttora carattere facoltativo. La struttura della recidiva infatti è quella delineata dal primo comma dell'articolo 99, mentre i commi successivi si limitano a derogare alla disciplina dettata dal primo comma in relazione all'entità degli obblighi di pena. Soltanto in relazione all'ipotesi di recidiva contemplate all'articolo 99 comma 5, il legislatore afferma che l'aumento della pena per la recidiva è obbligatorio: a decisiva conferma dunque che nei casi di cui ai commi Precedenti, l'aumento di pene è invece facoltativo.
Una serie di ipotesi di recidiva obbligatoria è infine contemplata nell'articolo 99 comma 5, il quale dispone che se si tratta di uno dei delitti indicati all'articolo 407 comma 2 lettera a. del codice di procedura penale, l'aumento di pena per la recidiva è obbligatorio.
I delitti in questione sono quelli ricompresi in un catalogo tassativo fornito da una norma del codice di procedura penale che fissa termini di durata massima delle indagini preliminari. Si tratta di delitti gravi, tra i quali per esempio associazione mafiosa e delitti degli associati, strage, omicidio doloso, sfruttamento sessuale dei minori, associazione sovversiva e banda armata.
A ciascuna delle forme di recidiva facoltativa contemplate nei primi quattro commi dell'articolo 99, la disposizione del comma 5 affianca altrettante forme di recidiva obbligatoria, sottoposte, agli stessi aumenti di pena previsti per le corrispondenti ipotesi di recidiva facoltativa; quanto alla misura dell'aumento di pena,una deroga è stabilita soltanto per la recidiva obbligatoria monoaggravata, per la quale l'aumento di pena spazia da un terzo alla metà, mentre la corrispondente ipotesi di recidiva facoltativa prevede un aumento di pena fino alla metà.
Effetti.
Il più importante effetto della recidiva è rappresentato da un aumento della pena principale che il giudice infliggerebbe per il reato semplice. L'entità della pena per la recidiva è stata in generale innalzata dalla riforma del 2005. Sempre per effetto di tale riforma, gli aumenti di pena sono ora previsti in misura fissa dalla legge. Solo per la recidiva monoaggravata la misura dell'aumento tuttora discrezionale. Un rilevante limite agli aumenti di pena è previsto nell'articolo 99 comma 6, a norma del quale in nessun caso l'aumento di pena, per effetto della recidiva,può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo reato. Ne segue che se il cumulo delle pene inflitte con la precedente condanna è inferiore all'aumento che dovrebbe essere apportato per la recidiva secondo le regole ordinarie, l'aumento andrà contenuto entro il limite segnato dalla pena o delle pene precedentemente inflitte.
la recidiva può comportare per il condannato conseguenze sanzionatorie ulteriori rispetto all'aumento di pena, che si inquadrano tra gli effetti penali della condanna. Chi sia stato condannato con l'aggravante della recidiva non può fruire della forma di detenzione domiciliare previste dall'articolo 47 ter comma 1 dell'ordinamento penitenziario a favore di colui che al momento dell'inizio dell'esecuzione della pena, o dopo l'inizio della stessa, abbia compiuto i 70 anni di età.
Altre effetti penali conseguono alla recidiva aggravata e alla recidiva reiterata: tra l’altro al recidivo aggravato e al recidivo reiterato non si applicano l'amnistia, l'indulto, la prescrizione della pena; mentre la liberazione condizionale è la riabilitazione sono sottoposte a condizioni più restrittive di quelle comuni.
La gamma degli effetti penali della sola recidiva reiterata è stato fortemente ampliata con la riforma ex Cirielli del 2005 è percorrere ora una serie di istituti del diritto penale sostanziale, del diritto penitenziario e del diritto processuale penale. Quanto al diritto sostanziale,al recidivo reiterato si applica un trattamento meno favorevole, nel quadro del concorso di circostanze, del concorso formale di reati e del reato continuato, delle circostanze attenuanti generiche e della prescrizione del reato. Quanto al diritto penitenziario e processuale penale, il regime deteriore riguarda i permessi premio, alla semilibertà, la detenzione domiciliare: inoltre a norma dell'articolo 58 quater dell'ordinamento penitenziario, l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta; infine, il recidivo reiterato non può essere ammesso la sospensione dell'ordine di esecuzione della condanna ex articolo 656 comma 5 c.p.p.: con la conseguenza che per il recidivo reiterato l'accesso alle misure alternative presuppone necessariamente il passaggio attraverso il carcere.
Complessivamente al recidivo reiterato si riserva oggi uno statuto penale di estrema è spesso ragionevole severità. Tanto accanimento nei confronti del recidivo destano perplessità ancora maggiore se si considera che nella prassi, la parte più consistente di recidivi non sono autori di reati gravissimi, ma tossicodipendenti, autori di spaccio e|o di piccoli reati contro il patrimonio.
Le circostanze che riguardano l'imputabilità.
Altre circostanze inerenti alla persona del colpevole sono quelle che riguardano la imputabilità.
Si tratta sia di circostanze attenuanti, sia di circostanze aggravanti: tutte a efficacia comune, comportando rispettivamente una diminuzione o un aumento fino a un terzo della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato semplice. Al pari di ogni altra circostanza, partecipano al giudizio di bilanciamento ai sensi dell'articolo 99.
È prevista una circostanza attenuante per chi, nel momento in cui commesso il fatto:
1. era affetto da vizio parziale di mente;
2. era affetto da sordomutismo, quando il sordomutismo comporti una capacità di intendere e di volere grandemente scemata;
3. aveva un'età compresa fra i 14 e i 18 anni, ed è stato riconosciuto imputabile;
4. Si trovava in uno stato di ubriachezza o sotto l'azione di sostanze stupefacenti derivate da caso fortuito o da forza maggiore, e tali da scemare grandemente la capacità di intendere o di volere;
5. Era affetto da cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti tali da scemare grandemente la capacità di intendere o di volere.
È prevista una circostanza aggravante per chi, nel momento in cui ha commesso il fatto:
1. Si trovava in stato di ubriachezza ovvero sotto l'azione di stupefacenti preordinate al fine di commettere il reato di prepararsi una scusa.
2. Si trovava in stato di ubriachezza abituale o era dedito all'uso di sostanze stupefacenti.
CAPITOLO 13
LE PENE: TIPOLOGIA, COMMISURAZIONE, ESECUZIONE, ESTINZIONE
La sistematica delle pene nell'ordinamento italiano.
All'interno della categoria delle pene, si possa individuare quattro sottocategorie:
1. Pene principali;
2. Pene sostitutive delle pene detentive;
3. Pene derivanti dalla conversione delle pene pecuniarie;
4. Pene accessorie.
A queste classi di pene si aggiunge una serie di altre conseguenze giuridiche della condanna, che legislatore designa come effetti penali della condanna. Centrale e preliminare all'analisi del sistema sanzionatorio, è l'individuazione delle funzioni della pena, cioè delle funzioni che la pena può legittimamente assolvere nel nostro ordinamento.
Le pene principali: tipologia e caratteri.
Pene principali sono l'ergastolo, la reclusione, la multa, all'arresto e l'ammenda, alle quali si aggiungeva la pena di morte, è eliminata definitivamente anche dal diritto penale militare di guerra nel 1994. Ulteriori pene principali sono la reclusione militare per i reati militari, e per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace la permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità.
La scelta di abolire la pena di morte è stata compiuta dal legislatore italiano tra il 1944 e il 1948, e successivamente ribadita nel 1994, interessando le leggi militari di guerra. Due anni dopo la totale estromissione della pena di morte del diritto italiano interno si registra inoltre un'importante sentenza della corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità di una norma del codice di procedura penale dove lasciava aperta la possibilità per l'Italia di concedere l'estradizione per i reati per i quali l'ordinamento dello Stato richiedente prevede la pena di morte: tale possibilità era subordinata alla condizione che lo Stato richiedente o offrisse sufficienti garanzie che la pena di morte non sarebbe stata eseguita. L'opzione abolizionistica dell'Italia si inquadra in un panorama internazionale nel quale la pena di morte vede progressivamente restringer i propri spazi. All'inizio del nuovo millennio o, oltre la metà dei paesi del mondo ha abolito la pena di morte, di diritto o di fatto. Una decisiva spinta verso l'abolizione della pena di morte nell'ordinamento per lei è venuta dal sesto protocollo della convenzione europea sui diritti dell'uomo, che prevedeva la possibilità di conservare la pena di morte del sono tempo di guerra o di imminente pericolo di guerra. L'arco di tempo nel quale i paesi europei hanno optato per l'abolizione della pena di morte è assai di ampio. La grande maggioranza delle esecuzioni avviene in Cina, seguita da Iran e Iraq e infine dagli Stati Uniti d'America. Alle spalle di tre Stati autoritari,un civilissimo stato di democrazia liberale, che si propone per altri versi come portabandiera dei diritti umani, è caratterizzato, da una storia sulla pena di morte complessa e carica di contraddizioni. Dopo una fase in cui il movimento abolizionista, sembrava destinata prevalere,1 tendenza s'inverte nel 1976 con la ripresa dell'esecuzione della pena di morte e la sua reintroduzione in una serie di ordinamenti statali da quel momento il numero delle esecuzioni capitali cresce a dismisura. Anche se più recenti sondaggi registrano una lieve flessione tra i fautori della pena capitale, il favore dell'opinione pubblica americana per la pena di morte rimane un fattore di grande rilievo nelle competizioni politiche che si svolgono in quel paese, ad ogni livello. non meno significativo, d'altra parte, delle esecuzioni capitali siano spesso accompagnate da manifestazioni pubbliche, che, all'esterno dell'istituto, esprimono entusiastico assenso. Simili atteggiamenti dell'opinione pubblica non sono minimamente scalfiti da quanto segnala da tempo la dottrina pluralistica, a proposito dell'assenza di qualsiasi verifica empirica per l'ipotesi che assume la pena di morte come il più efficace strumento per la prevenzione generale del reati più gravi. Aveva visto giusto, dunque, Cesare Beccaria, quando contestando l'inutilità della pena di morte, osservava che meglio di una pena terribile ma istantanea agisce come deterrente una pena che duri nel tempo; mettendo in evidenza come la pena di morte possa suscitare compassione per il condannato è facilmente generi la percezione di una giustizia ingiusta; aggiungeva che la minaccia della pena di morte, anziché sensibilizzare il rispetto del bene della vita, lo svaluta, per la contraddizione che intercorre tra il divieto di uccidere e la minaccia della pena di morte; infine mettere in guardia contro il pericolo che la pena di morte potesse essere inflitta nei confronti di un innocente.
Le pene principali si caratterizzano per essere inflitta dal giudice con la sentenza di condanna. Le pene principali, ad eccezione di quelle previste per i reati di competenza del giudice di pace, assolvono alla funzione di identificare i reati, distinguendoli da ogni altra categoria di illeciti. Descrivendo la tipologia delle pene principali, il legislatore fornisce inoltre il criterio per distinguere tra delitti e contravvenzioni: ergastolo, reclusione, multa sono le pene principali per i delitti; arresto e ammenda per le contravvenzioni.
Quanto al bene sul quale incidono, libertà personale patrimonio, si distingue tra pene detentive o restrittive della libertà personale, e pene pecuniarie. Sul bene libertà personale incidono anche le nuove pene principali della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità: si tratta di pene sono limitative, e non privati, della libertà personale.
LE PENE DETENTIVE
1. L’ERGASTOLO.
L'ergastolo è previsto per alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro l'incolumità pubblica e contro la vita; e si ambito di applicazione si è dilatato per effetto della progressiva sostituzione alla pena di morte. In caso di concorso di reati ex articolo 73 comma 2, l'ergastolo si applica anche quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a 24 anni.
Contenuti.
La pena dell'ergastolo, secondo l'articolo 22, è perpetua. Il carattere di perpetuità della privazione della libertà personale risulta tuttavia profondamente eroso, dall'articolo 176 nell'attuale versione, introdotta dalla legge 10 ottobre 1986,n. 663, che prevede infatti che li condannato all'ergastolo la possibilità di essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 di anni di pena.
Tale termine può essere ulteriormente abbreviato per effetto delle riduzioni di pena (45 giorni per ogni semestre di pena scontata) previste dall'articolo 54 dell'ordinamento penitenziario quale riconoscimento della partecipazione prestata dal condannato all'opera di rieducazione.
d'altro canto la riforma penitenziaria del 1986 enti ha contribuito a rimodellare contenuti dell'ergastolo anche al di là dei profili che attengono alla liberazione condizionale: ha infatti consentito che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso, dopo l'espiazione di almeno 10 anni di pena, è permessi premio, nonché dopo vent'anni alla semilibertà. Anche nel computo di questi termini si terrà conto delle eventuali riduzioni di pena: ne consegue che, nel caso in cui riduzioni di pena siano accordate per l'intero periodo dell'esecuzione, il condannato potrà anche essere ammesso alla semilibertà dopo 16 anni e 20 giorni ed ai permessi premio dopo otto anni e 10 giorni.
Allorché la condanna all'ergastolo sia stata pronunciata per i delitti di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione o di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbiano cagionato la morte della vittima, il termine per l'ammissione del condannato alla semilibertà è elevato a 26 anni effettivi.
Nel complesso si può affermare che anche la pena dell'ergastolo si ispira oggi all'idea della esecuzione progressiva, secondo la quale le modificazioni che intervengono negli atteggiamenti sociali del condannato possono tradursi in un regime gradualmente sempre più aperto. Per quanto riguarda il lavoro da prestarsi da parte del condannato all'ergastolo, l'articolo 22 nel sottolineare carattere obbligatorio. Questa indicazione è ribadita dall'ordinamento penitenziario in relazione alla generalità di condannati a pena detentiva; nel contempo, negando lavoro qualsiasi carattere afflittivo e assumendo invece quale elemento portante del trattamento, il legislatore si impegna attraverso l'amministrazione penitenziaria ad assicurare il lavoro al condannato. La possibilità poi di prestare lavoro all'aperto e ribadita dall'articolo 10 dell'ordinamento penitenziario. Quanto al lavoro all'esterno, lavoro che si svolge cioè fuori dall'istituto di pena, alle dipendenze di imprese pubbliche o private, ovvero nell'ambito di attività organizzata dalla stessa amministrazione penitenziaria, o anche sotto forma di lavoro autonomo, il condannato all'ergastolo vi può essere ammesso solo dopo che abbia scontato almeno 10 anni di pena. Dopo la riforma penitenziaria del 1985 gli stabilimenti destinati all'esecuzione della pena, non sono più di ergastoli, bensì le cause di reclusione.
Problemi di legittimità costituzionale.
L'ergastolo è da tempo oggetto di seri dubbi di legittimità costituzionale:per il suo carattere di perpetuità, escluderebbe a priori il ritorno del condannato nella società entrando in aperto contrasto con il principio sancito dall'articolo 27 della costituzione.
La corte costituzionale però ha ripetutamente respinto questioni di legittimità di questo tenore. Nella sentenza 264 del 1974, la corte costituzionale ha infatti affermato la legittimità dell'ergastolo in relazione all'articolo 27, sulla base di un duplice ordine di considerazioni: da un lato, negando che la funzione è fine della pena se solo riadattamento delinquenti, dall'altro rilevando che l'istituto della liberazione condizionale, ex articolo 176, consente il reinserimento dell'ergastolano nel consorzio civile. Successivamente, nella sentenza 168 del 1994, la corte ha ribadito il proprio orientamento, affermando che la pena dell'ergastolo attualmente non riveste più caratteri della perpetuità. Nella stessa occasione la corte costituzionale ha invece dichiarato l'illegittimità degli articoli 17 e 22 del codice penale per violazione dell'articolo 31 comma 2 della costituzione in relazione all'articolo 27 cost.,nella parte in cui non escludono l'applicabilità della pena dell'ergastolo al minore imputabile.
Problema di legittimità costituzionale è stato da tempo profilato dalla dottrina in relazione al carattere fisso dell'ergastolo, che si porrebbe in contrasto con principi costituzionali di eguaglianza, colpevolezza, e della rieducazione del condannato. La corte costituzionale avrà negato che dall'articolo 27 comma 1 e comma 3 delitti l'esigenza di individualizzazione della pena, tale da rendere perciò solo illegittime le comminatorie fisse. Successivamente ha modificato il proprio orientamento, riconoscendo che in linea di principio, previsioni sanzionatorie fisse non appaiono in armonia con il volto costituzionale del sistema penale. Secondo la corte e il dovere di legittimità costituzionale potrà essere superato solo a condizione che, per la natura dell'illecito sanzionate la misura della sanzione prevista, quest'ultima appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato. Questo principio sembra aprire uno spiraglio, proprio nella direzione da tempo additato dalla dottrina: una combinatoria rigida dell'ergastolo parrebbe legittima soltanto in casi che, oltre a essere gravi oggettivamente, corrisponda un tipo è una costante criminologica univoca.
La reclusione e l’arresto: rilevanza della distinzione.
Reclusione (articolo 23)e arresto (articolo 25) sono le pene detentive temporanee, previste rispettivamente per i delitti e per le contravvenzioni. Le differenze di contenuto fra i due tipi di pena riguardano la possibilità per il condannato di accedere ad alcune misure alternative, detenzione domiciliare semilibertà, nonché permessi premio, ma sono differenze marginalissime. Un aspetto più significativo riguarda invece la ripartizione dei detenuti. Il principio della separazione dei condannati alla reclusione dai condannati all'arresto e sancito dal codice penale e dall'ordinamento penitenziario. In attuazione del principio l'articolo 61 dell'ordinamento penitenziario distingue l'esito di tale esecuzione delle pene in caso di arresto e case di reclusione. Anche questo elemento di differenziazione però si annulla nella realtà: il sovraffollamento degli istituti penitenziari comporta infatti che le pene della reclusione dell'arresto si scontino, di fatto, negli stessi stabilimenti. In definitiva la presenza nell'ordinamento di due tipi di pene detentive temporanee assolvere una funzione di qualificare l'illecito come delitto o come contravvenzione, e quindi di individuare il complesso delle disposizioni di parte generale applicabile ciascuna figura del reato.
Limiti minimi e massimi
Le pena della reclusione e dell’arresto,secondo il disposto degli artt. 23 e 25 c.p. hanno limiti minimi e massimi diversi:la reclusione si estende da 15 giorni a 24 anni,l’arresto si estende da 5 giorni a 3 anni.
Tali minimi e massimi nn vincolano il legislatore,che rimane libero di prevedere minimi più bassi o massimi più elevati x singole figure di reato. La comminatoria della reclusione in misura superiore a 24 anni non era la, in particolare nella cosiddetta legislazione d'emergenza. Per esempio sia per sequestro di persona a scopo di estorsione, sia per il sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione è prevista per il reato semplice, la reclusione da 25 a 30 anni: lo stesso minimo speciale è dunque superiore al massimo generale previsto dall'articolo 23 c.p.
per contro i limiti previsti nell'articolo 25 per l'arresto non risultano mai derogato in singole norme incriminatrici, nemmeno nell'ambito della legislazione complementare.
La previsione di limiti minimi e massimi per la reclusione e per l'arresto ha invece la funzione di integrare le comminatorie in determinate di pena contenute nelle norme incriminatrici: per esempio le comminatorie relative al delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all'articolo 74 d.p.r. 309 del 1990. Per tale diritto alla pena massima coinciderà con il massimo generale di 24 anni di reclusione fissato dall'articolo 23.
Gli articoli 23 e 25 fissano inoltre dei limiti invalicabili dal giudice essere di commisurazione della pena. Si pensi, ad esempio, ad una ipotesi delittuosa per la quale la norma incriminatrice preveda un minimo di 15 giorni di reclusione: qualora il giudice ritenga di applicare per il reato-base 15 giorni di reclusione, l'eventuale concessione delle attenuanti generiche non potrà comportare alcuna ulteriore riduzione di pena. Nei casi espressamente determinati dalla legge, in cui, intero all'articolo 23, è consentito al giudice superare il massimo di 24 anni, la reclusione non può comunque eccedere i trent'anni. Nei casi in cui è esplicitamente consentito al giudice superare il limite massimo di tre anni, l'arresto può arrivare fino a cinque anni, per concorso di più aggravanti, ovvero fino a sei anni, nelle ipotesi di concorso di reati.
Le pene limitative della libertà personale: la permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica utilità applicabili dal giudice di pace.
Nel 2000 il legislatore ha attribuito al giudice di pace la competenza relativa ad una serie di reati previsti dal codice penale è un leggi speciali: tra l'altro alla guida in stato di ebbrezza, le percosse, le lesioni dolose brevi, alcune ipotesi di lesioni colpose lievi, all'omissione di soccorso semplice, l'ingiuria, la diffamazione, la minaccia semplice e il danneggiamento.
Duplice è l'obbiettivo perseguito dal legislatore con questa innovazione: alleggerire carico gravante sull'autorità giudiziaria ordinaria e ridurre lo spazio delle pene detentive in relazione a reati numericamente frequenti, ma di gravità modesta. Per raggiungere il secondo obiettivo si sono modificate le pene di tali per queste reati, prevedendo pene pecuniarie o pene limitative della libertà personale (permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità) in luogo delle originarie pene della reclusione dell'arresto.
Ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 274 del 2000, le pene per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace diversi da quelli per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda sono così modificate:
Il trattamento sanzionatorio troverà applicazione anche nel caso in cui il reato di competenza del giudice di pace sia giudicato dal giudice ordinario trovandosi in connessione con altro reato di competenza di quest'ultimo giudice.
Al catalogo contenuta nell'articolo 17 vanno dunque aggiunte, le pene principali nuove della permanenza domiciliare del lavoro di pubblica utilità. Si tratta di tipologia di pene applicabili ai delitti alle contravvenzioni. Il criterio distintivo tra le due categorie di reati rimane comunque salvo, per effetto delle comminatorie originaria.
La pena della permanenza domiciliare ha contenuti largamente modellate quelli della misura alternativa della detenzione domiciliare: comporta l'obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura e assistenza o accoglienza. E’ una pena che si esegue normalmente nei giorni di sabato e domenica,ma su richiesta del condannato può essere eseguita continuativamente e ha una durata compresa tra 6 e 45 gg;si può aggiungere anche il divieto di accedere a specifici luoghi in cui il condannato nn è obbligato alla permanenza domiciliare.
Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività consiste nella prestazione di attività nn retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo stato,le regioni,le province,i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato:è applicabile esclusivamente su richiesta dell’imputato. Qnd l’imputato chiede che gli venga applicato il lavoro di pubblica utilità,si instaura un processo di irrogazione della pena bifasico,che comporta x il giudice di pace,oltre alle funzioni proprio del giudice di cognizione,anche ampi poteri in tema di modalità esecutive della sanzione,all’interni di previsioni dettate dal ministro della giustizia. La norma in base al suo tenore letterale conferisce la giudice un potere discrezionale,che deve cmq ritenersi limitato ad una prognosi di effettiva prestazione del lavoro di pubblica utilità. La formulazione legislativa incontra infatti l'eventualità che tale sanzione trovi ostacoli di varia nature in sede attuativa.
L'autonomia di nuovi tipi di pena trova conferma nella disciplina della violazione degli obblighi ad essi inerenti: l'articolo 56 del decreto legislativo 274\ 2000 prevede infatti in tal caso una nuova fattispecie di reato, diversamente dall'ipotesi di violazione degli obblighi inerenti alle sanzioni sostitutive, che comporta la mera reviviscenza della pena principale.
Le pene pecuniarie.
La multa e l'ammenda.
La multa (articolo 24) e l'ammenda (articolo 26), soli nomi con i quali legislatore designa alla sanzione penale pecuniaria, distinguendo in questo modo anche dalla sanzione amministrativa di analogo contenuto. Circa ruolo della multa è dell'ammenda nel nostro sistema penale, il legislatore italiano è stato a lungo e giustamente criticato per aver attribuito a queste pene uno spazio ridotto, manifestando una spiccata predilezione per la pena detentiva. A partire dal 1981, questa linea di tendenza ha trovato parziale correttivo nella progressiva valorizzazione della multa e dell'ammenda quali sanzioni sostitutive della pena detentiva: il limite per la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria della specie corrispondente è salito progressivamente dal mese originario sino agli attuali sei mesi. Nel contempo, la sfera di applicazione della multa e dell'ammenda si è ridotto a favore della sanzione pecuniaria amministrativa, soprattutto per effetto della depenalizzazione, cioè della trasformazione in illeciti amministrativi di un'ampia gamma di delitti e di contravvenzioni.
per quanto attiene alle funzioni delle pene pecuniarie, la corte costituzionale ha negato qualsiasi contrasto fra tali sanzioni e il principio enunciato nell'articolo 27 della costituzione, secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato: ad avviso della corte non si potrebbe infatti escludere che la pena pecuniaria possa adempier ad una funzione educativa. In effetti, se la pena pecuniaria è intrinsecamente inidonea a risocializzare il condannato, appare invece in grado di propiziare peraltro verso la rieducazione, nella forma della intimidazione-ammonimento. Tale finalità assume esplicito rilievo nell'articolo 133 bis, dove si prevede che il giudice possa aumentare la multa o all'ammenda stabilite dalla legge fino al triplo quando, per le condizioni economiche del Reno, ritenga che la misura massima sia inefficace.
Ha dell'articolo 17 la multa è la pena pecuniaria per i delitti, l'ammenda la pena pecuniaria per le contravvenzioni. L'importo di molte ammenda, a decorrere dal 1º gennaio è espresso in euro con eliminazione dei decimali. A norma dell'articolo 24 la multa può spaziare da un minimo di € 5 a un massimo di € 5.164, mentre l'articolo 26 prevede per l'ammenda un minimo di € 2 è un massimo di € 1032.
Al pari delle corrispondenti disposizioni relative alla reclusione e all'arresto, le disposizioni degli articoli 24 al 26 valgono integrare eventuali comminatorie indeterminate nel massimo o nel minimo, nonché comminatorie indeterminate nel minimo e nel massimo: impongono inoltre al giudice limiti invalicabili in sede di commisurazione della pena.il minimo e massimo stabilite degli articoli 24.26 possono essere derogata dal giudice nei soli casi espressamente determinate dalla legge.
Per la protezione del codice penale è prevista la possibilità per il giudice di spingersi oltre i limiti massimi previsti per la multa è per l'ammenda nei casi di concorso di più circostanze aggravanti e di concorso di reati, nonché nel caso in cui il giudice si avvalga della facoltà di aumento della misura della pena conferitagli dall'articolo 133 bis, in relazione le condizioni economiche del reo. Nell'ambito della parte generale del codice penale, il minimo fissato per la multa o per l'ammenda può essere derogato solo nell'esercizio da parte del giudice, della facoltà di diminuzione della pena di cui all'articolo 133 bis.
i limiti minimi e massimi fissati dal codice penale per la multa per l'ammenda non vincola invece legislatore:e della facoltà di deroga verso l'alto la legislazione speciale salvare ampiamente prevedendo per le singole figure di reato multe o a mente spesso assai superiori ai massimi generali previste dal codice penale.
L'articolo 24 comma 2 stabilisce è per i delitti determinati da motivi di Lucca, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da € 5 a € 2065.
L'articolo 24 comma 2 di qua del trattamento sanzionatorio dei delitti determinati da motivi di lucro, individuati il riferimento alla loro concreta realizzazione: anzi, quando ai fini di lucro si è assunto quale elemento costitutivo del reato o comunque reato non poté realizzati se non per finalità di lucro, l'articolo 24 deve ritenersi inapplicabile.
Secondo l'opinione prevalente in dottrina i motivi di lucro al pari delle condizioni economiche non integra una vera e propria circostanza aggravante e di conseguenza esclusa dal giudizio di bilanciamento ex articolo 69, ne devono essere contestate giudizio.
La multa l'ammenda possono essere pagate in rate mensili: in relazione alle condizioni economiche del condannato. Il rateizzo della pena pecuniaria potrà essere accordata sia da chi si trovi in temporanee difficoltà di pagamento, anche l'abbiente in temporanea crisi di liquidità a fronte della pena pecuniaria particolarmente elevata, sia al non abbiente che conti sul proprio reddito da lavoro per eseguire contempo, la pena pecuniaria. Il provvedimento può essere adottato non sono in situazioni di totale impossibilità a pagare in un'unica soluzione, ma anche situazioni in cui il mancato frazionamento prenderebbe la pena eccessivamente gravosa. La scelta di ammettere il condannato al pagamento rateale della pena o di escluderlo da tale facilitazione deve essere operata sulla base di una valutazione relativa, che coinvolge sia le condizioni economiche del soggetto e sia l'ammontare della pena inflitta. Le rate hanno cadenza mensile, il loro numero deve essere compreso tra 3 e 30 e l'ammontare di ciascuna rata non può essere inferiore a € 15: una scelta suggerita dal legislatore per evitare l'eccessiva frammentazione del pagamento, con un aggravio di adempimenti delle cancellerie cui non corrisponderebbe un particolare beneficio del condannato. Quanto al numero delle rate la durata dell'esecuzione risulterà compresa fra tre mesi e due anni e sei mesi. Nel caso in cui l'ammontare della multa o dell'ammenda sia inferiore a € 45 si esclude la possibilità di rateizzare la pena pecuniaria.
Sia pure come eccezioni rispetto alla regola rappresentato dalle pene pecuniarie comminate dalla legge tra un minimo massimo, sono presenti nell'ordinamento anche pene pecuniarie fisse e pene pecuniarie proporzionali.
Pene pecuniarie fisse: quelle indicate dalla legge, nella singola norma incriminatrice, in una misura unica, espressa in termini puntuali.
Pene pecuniarie proporzionali: la dottrina della giurisprudenza hanno da tempo individuato due sottotipi tra loro distinti sotto il profilo strutturale.
- pene proporzionali proprie: ogni qualvolta legislatore stabilisce un coefficiente fisso o articolato fra un minimo e un massimo, edittalmente prefissati, destinato a combinarsi in un'operazione di moltiplica con entità variabili che costituiscono la base del calcolo e sono fornite dalla fattispecie concreta.
- pene proporzionali improprie: le sanzioni caratterizzate da uno schema nel quale la base del calcolo di proporzionalità è fissa, o al più, determinabile dal giudice tra un minimo massimo prefissati ex lege, mentre la fattispecie concreta alla funzione di individuare il coefficiente di moltiplicazione della pena-fase stabilita dalla legge. A norma dell'articolo 27 le pene pecuniarie di e proporzionali non soggiacciono i limiti massimi generali, individuate negli articoli 24 e 26.
La conversione delle pene pecuniarie.
Un problema connaturato alla pena pecuniaria è quello dell'insolvibilità del condannato, intesa come situazione oggettiva permanente di assoluta impossibilità di adempiere da parte del condannato, ed eventualmente del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Può risolvere questo problema, l'ordinamento italiano prevede l'istituto della conversione della pena pecuniaria. In particolare il codice del 1930 prevedeva che la pena pecuniaria ineseguita per insolvibilità del condannato si convertisse nella pena detentiva della specie corrispondente: una disciplina che comporta un'evidente irragionevole discriminazione a danno dei non abbienti, in chiaro contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza.
A partire dal 1981 pena da conversione della pena pecuniaria sono non più la reclusione o l'arresto, bensì la libertà controllata del lavoro sostitutivo. A norma dell'articolo102 della legge 689/1981 , € 25 di pena pecuniaria si convertono, su richiesta del condannato, in un giorno del lavoro sostitutivo, mentre € 38 di pena pecuniaria si convertono in un giorno di libertà controllata.
alla corte costituzionale inoltre, si deve l'abbattimento di un limite quantitativo apposto dall'articolo 102 della legge 689 del 1981 all’ applicabilità del lavoro sostitutivo quale sanzione da conversione della pena pecuniaria: a seguito della sentenza 206\96 anche una pena pecuniaria superiore a € 516, in caso di insolvibilità del condannato, può essere ora convertita in lavoro sostitutivo. La corte ha rilevato che lavoro sostitutivo riduce al minimo l'aggravio di affettività connesse alla conversione e inoltre tale sanzione è in grado di sortire positivi effetti di rieducazione:nel quadro nella conversione, al lavoro sostitutivo deve essere assegnato un ruolo centrale, mentre alla libertà controllata dovrebbe farsi ricorso solo quando il condannato abbia scelto di non avvalersi della conversione lavoro sostitutivo.
L'articolo 103 della l. 689\1981 fissa limiti massimi di durata per le sanzioni di conversione. La durata della libertà controllata non può eccedere un anno e sei mesi, se la pena convertita è quella della multa, ne può eccedere nove mesi se la pena convertita è quella dell'ammenda; la durata del lavoro sostitutivo non può superare in ogni caso i 60 giorni.
Il provvedimento di conversione della pena pecuniaria è adottato ai sensi dell'articolo 660 c.p.p. dal magistrato di sorveglianza. In caso di violazione delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata e al lavoro sostitutivo, la parte residua di tali pene si converte ulteriormente (vedi conversione di secondo grado) in un uguale periodo di reclusione o di arresto.
A norma dell'articolo 105 del1a l. 689\1981 il lavoro sostitutivo consiste nella prestazione di un attività non retribuita, a favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, o presso enti, organizzazioni o centri di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela dell'ambiente naturale o di incremento del patrimonio forestale, previa stipulazione, ove occorra, i speciali convenzioni da parte del ministero della giustizia, che può delegare il magistrato di sorveglianza. Tale attività si svolge nell'ambito della provincia in cui il condannato ha la residenza, per una giornata lavorativa per settimana, salvo che sia il condannato a chiedere di essere ammesso ad una maggiore frequenza settimanale.
Tra i caratteri della prestazione da eseguirsi quale contenuto di tale sanzione, in anzitutto la gratuità, che assicura al lavoro sostitutivo la massima omogeneità con la pena pecuniaria originariamente inflitta, configurando la sanzione da conversione come una sorta di prelievo forzoso della retribuzione corrispondente all'attività svolta. L'attività svolta dal condannato avrà carattere solidaristico in conformità alla tradizione storica e alle esperienze straniere. Stabilendo che lavoro debba svolgersi della provincia in cui il condannato ha la residenza, e almeno di regola, per un giorno la settimana, il legislatore si è preoccupato di contenere il più possibile gli effetti di desocializzazione nei confronti del condannato. La scelta di subordinare alla richiesta dell'interessato l'ammissione al lavoro sostitutivo tende ad attenuare i delicati problemi relative all'attuazione dell'istituto, nonché i possibili profili di contrasto con alcune convenzioni internazionali. L'esperienza maturata dell'entrata in vigore delle modifiche al sistema penale ad oggi, da un lato confermano la riluttanza di giudice a dare concreta applicazione lavoro sostitutivo. Dall'altro però può dirsi smentita la tesi che, considerato inattuabile qualsiasi forma di pena-lavoro: e invece dimostrato che lavoro il sostitutivo non solo può vivere nella prassi, ma altresì produrre esiti soddisfacenti con costi limitati.
Per i reati di competenza del giudice di pace, la conversione della pena pecuniaria è oggetto di una disciplina peculiare. Accanto al lavoro sostitutivo, come pena da conversione è prevista la permanenza domiciliare. Se in sede di conversione della pena pecuniaria viene applicato il lavoro sostitutivo e il condannato non ottempera ai relativi obblighi, la parte residua di lavoro sostitutivo si converte in permanenza domiciliare. La violazione degli obblighi inerenti alla permanenza domiciliare,è applicata a seguito di violazione degli obblighi relativi al lavoro sostitutivo ovvero applicata fin dall'inizio come pena da conversione della molto dell'ammenda integra infine un'autonoma figura di delitto punito con la pena della reclusione. Competente a disporre la conversione è lo stesso giudice di pace.
Il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive.
A norma dell'articolo 135, quando, per qualsiasi effetto giuridico, se si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando € 38, o frazione di € 38, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva.
Dal 1930 ad oggi sostanziali modifiche sono state apportate alla sfera di applicazione di questa disposizione :è cioè mutata, la gamma delle ipotesi in cui, per un qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive. Nel 1989 è stato soppresso l'istituto della conversione della pena pecuniaria in pena detentiva; contemporaneamente, peraltro, la stessa legge di modifiche al sistema penale ha introdotto l'istituto in un certo senso simmetrico alla conversione della pena pecuniaria pena detentiva: la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria.
Rinvii espressi all'articolo 135 sono inoltre contenuti negli articoli 163 e 175, in tema di sospensione condizionale della pena e di non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Casi ulteriori in cui deve eseguirsi un ragguaglio ai sensi di quella norma fra pena pecuniaria e pena detentiva sono poi delineati nell'articolo 37 (quando, estende inflitta come pena principale una multa o un'ammenda, si debba quantificare una pena accessoria temporanea la cui durata non si espressamente determinata dalla legge), nell'articolo 137 (quando, pronunciandosi condanna pena pecuniaria, si debba detrarre un periodo di custodia cautelare sofferta dal soggetto).
Rientrano poi nella sfera di applicazione dell'articolo 135 il concorso formale di reati e il reato continuato. Le impostazioni dottrinali e giurisprudenziali che fanno spazio a tali istituti anche rispetto a reati puniti con pene eterogenee rinviano infatti all'articolo 135, allorché si debba verificare il rispetto del limite imposto all'aumento di pena dall'articolo 81.
Le pene sostitutive delle pene detentive. La lotta alla pena detentiva breve.
Almeno dalla fine dell'800 si ha consapevolezza degli effetti criminogeni delle pene detentive brevi. I destinatari di queste pene sono gli autori di reati lievi, per lo più delinquenti primari, per i quali l'ingresso in carcere non solo segna la rottura dei rapporti di lavoro e familiari, ma può propiziare altresì il contatto con professionisti del crimine, dai quali il condannato apprende più sofisticate tecniche delittuose, spesso maturando scelte di vita definitivamente orientate verso la criminalità.
Per combattere gli effetti dannosi delle pene detentive brevi, diversi ordinamenti hanno fatto ricorso ad una pluralità di strumenti.
1. In primo luogo, anche in ordine di tempo, si è attribuita il giudice la facoltà di sospendere per un certo lasso di tempo l'esecuzione della pena inflitta senza sottoporre il condannato a obblighi e divieti né a controlli di sorta (nel nostro ordinamento si tratta dell'istituto della sospensione condizionale della pena).
2. In secondo luogo, in tempi diversi, sono stati creati istituti sospensivi dell'esecuzione della pena detentiva breve accompagnate da forme più o meno intense di controllo in libertà. Nell'ordinamento italiano questo modello si è tradotto con l'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale, al quale sono state affiancate altre tipologie di misure alternative alla detenzione (detenzione domiciliare e semilibertà.
3. In terzo luogo, i legislatori di vari paesi hanno previsto una più o meno ampia facoltà per il giudice di sostituire la pena detentiva comminata nelle norme incriminatrici con una pena pecuniaria. La peculiarità del nostro ordinamento consiste nell'aver previsto una più ampia gamma di pene sostitutive, affiancando alla pena pecuniaria due tipi di pena sconosciuta nel panorama internazionale: la semi detenzione e la libertà controllata.
La tipologia delle pene sostitutive.
La categoria delle pene sostitutive delle pene detentive, ignoto al codice penale, fa la sua comparsa nel nostro ordinamento con la legge di modifica sistema penale e 689 del 1981: a norma dell'articolo 53 di tale legge della versione del 2003 il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, può sostituire tale pena con quella della semi detenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro i limiti di sei mesi, può sostituirla con la pena pecuniaria della specie corrispondente.
Pene sostitutive delle pene detentive brevi sono dunque, accanto alla multa e all'ammenda (sostitutive delle pene detentive fino a sei mesi), la libertà controllata e la semi detenzione ( sostitutive, rispettivamente, della pena detentiva fino a un anno e fino a due anni).
Diversi limiti di pena concreta per la sostituzione sono previsti in relazione alle ipotesi di concorso di reati. In particolare si ricava dell'articolo 53 della legge 689\ 1981 che nei casi di concorso formale di reati e di reato continuato i limiti previsti nel primo comma sono triplicati: in altri termini, la pena pecuniaria potrà sostituire pene detentive fino ad un anno e mezzo, la libertà controllata pene detentive fino a tre anni e la semi detenzione, addirittura, pene detentive fino a sei anni. L'unica condizione perché possa procedere è che la pena che il giudice ritiene di dover infliggere per il reato più grave rientri nei limiti previsti nell'articolo 53 della legge 689\1981.
Accanto ai limiti di pena concreta ,la legge 689 prevede alcuni limiti soggettivi all’applicabilità delle pene sostitutive: tra l'altro, esclude dalla sostituzione chi è stato condannato a oltre tre anni di reclusione nei cinque anni precedenti alla nuova condanna. Nel processo minorile il giudice quando ritiene di dover applicare una pena detentiva non superiore a due anni, può sostituirla con la sanzione della semi detenzione o della libertà controllata, tenuto conto della personalità e delle esigenze di lavoro,di studio del minorenne,nonché delle sue condizioni familiari, sociali e ambientali.
La semidetenzione si configura, come una misura privativa della libertà personale: comporta in ogni caso l'obbligo di trascorrere almeno 10 h al giorno in un apposito istituto penitenziario. A questo nucleo si aggiungono alcune componenti accessorie: sospensione della patente di guida, il ritiro del passaporto la sospensione della validità degli altri documenti utilizzabili per l'espatrio, il divieto assoluto di detenere armi, munizioni ed esplosivi, l'obbligo di conservare e di esibire a richiesta della polizia l'ordinanza che determina le modalità di esecuzione della pena.
L’essenza della libertà controllata risiede in una limitazione della libertà di circolazione del soggetto: tale sanzione comporta infatti in ogni caso il divieto di allontanarsi dal comune di residenza e l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale nell’ufficio di pubblica sicurezza.
Le due sanzioni sono provviste di connotazioni afflittive e come tali parrebbero idonee a condizione di svolgere un'efficace azione di prevenzione speciale mediante intimidazione-ammonimento. D'altro canto sia la semi detenzione sia la libertà controllata perseguono finalità di non desocializzazione del condannato, mirando a sottrarlo a disastrosi effetti caratteristici delle pene detentive brevi.
Al norma della legge di modifica sistema penale per ogni effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllatasi considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita. La pena pecuniaria si considera sempre come tale anche se sostitutiva della pena detentiva.
Ogni riferimento alla reclusione e all'arresto deve essere esteso anche alla semidetenzione e alla libertà controllata, rispettivamente sostitutive della reclusione, dell'arresto ovvero di entrambe le sanzioni. La disciplina della pena pecuniaria originariamente comminata ex legge si applica anche alla pena pecuniaria sostituita dal giudice alla pena detentiva a norma dell'articolo 53 della legge 689\ 1981.
Dall'articolo 57 deriva anche la sospendibilità delle pene sostitutive sia applicate d'ufficio sia applicate su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 c.p.p. , nell'ambito del cosiddetto patteggiamento.
La tipologia delle pene sostitutive è stata ampliata ad opera del decreto legislativo 286\ 1998, che all'articolo 16 ha previsto quale sanzione sostitutiva della detenzione l'espulsione dello straniero. Questa forma di espulsione coesiste dunque con quella contemplata nel codice penale quale misura di sicurezza personale non detentiva.
Il legislatore del 1998 ha proposito dell'espulsione dello straniero, si è astenuto dal fare qualsiasi riferimento alla pena detentiva breve, in quanto ha considerato l'aggettivo breve incompatibile con il limite dei due anni prevista per la sostituzione della reclusione o dell'arresto con l'espulsione. Oggi questa distinzione terminologica ha perso ogni fondamento dal momento che la legge 134 del 2003 ha ulteriormente innalzato portandolo a due anni, l'ammontare massimo della pena detentiva ammessa alla sostituzione.
Il procedimento per l'applicazione delle pene sostitutive.
Le pene sostitutive, al pari delle pene principali, sono inflitte dal giudice nella sentenza di condanna: il giudice di cognizione determina la pena detentiva adeguata al caso concreto, contestualmente, ne dispone la sostituzione con la semi detenzione, con la libertà controllata o con la pena pecuniaria.
A proposito del potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva, l'articolo 58 della legge 689\ 1981 dispone che il giudice nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale, può sostituire la pena detentiva,e tra le pene sostitutive scelga quella più idonea a reinserimento sociale del condannato. Il legislatore opera una netta distinzione tra il momento in cui il giudice deve decidere se sostituire la pena detentiva e il momento in cui deve decidere come sostituirla.
Quanto al primo momento, i criteri fattuali di commisurazione della pena indicati nell'articolo 133 dovranno essere valutati in relazione alle finalità di intimidazione-ammonimento e di desocializzazione propria delle sanzioni sostitutive: il giudice dovrà domandarsi se in base alla gravità del reato e alla capacità a delinquere dell’agente, la pena sostitutiva possa risultare meno desocializzante, al contempo sufficiente ad ammonire il condannato.
2. Quanto al secondo momento,quando il giudice ritenga di dover determinare la pena detentiva entro il limite di sei mesi, può sostituirla sia con la pena pecuniaria ,sia con la libertà controllata,sia con la semidetenzione;solo nell’ipotesi in cui la pena detentiva ,in concreto abbia un ammontare compreso fra un anno e un giorno e due anni,la sostituzione andrà operata con la semidetenzione.
Benché l'articolo 58 della legge 689\ 1981 inviti il giudice ad applicare la sanzione sostitutiva più idonea al reinserimento sociale del condannato, non sembra che tali sanzioni siano in grado di produrre un effetto di questo tipo, piuttosto, contemperando esigenze di intimidazione-ammonimento e esigenze di non desocializzazione, il giudice dovrà innanzitutto individuare le sanzioni provviste del necessario grado di afflittività, per poi scegliere, all'interno di questa gamma, la meno desocializzante per il condannato.
Tra i criteri sui quali il giudice può fondarsi nell'esercizio della discrezionalità ex articolo 58 della legge 689\ 81 non possono annoverarsi considerazioni di prevenzione generale. Questa tesi appare suffragata dal tenore della disposizione citata, ove si prevedono esplicitamente criteri fieristici che devono orientare il giudice , tra i quali non compare la prevenzione generale.
Il secondo comma dell'articolo 58 preclude poi dal giudice la sostituzione della pena detentiva quando vi sia motivo di ritenere che le prescrizioni inerenti alla sanzione sostitutiva rimarrebbero adempiute: si mira così ad evitare un complesso procedimento di sostituzione e revoca, allorché sia a priori riconoscibile che si finirebbe comunque con l’approdare di nuovo alla pena detentiva. Secondo la corte di cassazione, la sostituzione della pena detentiva ex articolo 53 legge 689\ 81 e deve anzi ritenersi subordinata ad una prognosi positiva circa l'adempimento delle prescrizioni formulate dal giudice. L'ultimo comma dell'articolo 58 (il giudice deve in ogni caso specificamente indicare i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena erogata) esprime l'intento infine, di prevenire l’instaurarsi, di una prassi caratterizzata da motivazioni non sono sintetiche, ma anzi nella sostanza prive di qualsiasi significato.
Quanto ai criteri di ragguaglio tra pene detentive e pene sostitutive,1 giorno di reclusione o di arresto equivale a un giorno di semi detenzione o a due giorni di libertà controllata. Quando invece la pena detentiva venga sostituita con la pena pecuniaria, il giudice in primo luogo deve determinare la somma giornaliera, compresa fra un minimo di € 38 e un massimo di € 380, il cui pagamento può essere imposta l'imputato, tenendo conto della condizione economica complessiva di quest'ultimo e del suo nucleo familiare; in secondo luogo tale somma deve essere moltiplicata per il numero dei giorni di pena detentiva inflitta. Questo meccanismo per la determinazione della pena pecuniaria sostitutiva, ricalca il modello della pena pecuniaria per tassi giornalieri, che ha trovato spazio crescente negli ordinamenti di vari paesi europei.
Nei casi in cui la pena detentiva sia sostituita con la semidetenzione e con la libertà controllata, la sostituzione soggetta a revoca con conversione della parte residua di pena nell'originaria pena detentiva sostituita. La revoca può essere disposta qualora siano state violate un occhio prescrizioni inerenti alla pena sostitutiva, nonché il una serie di casi in cui sopravvengono nuova condanna a pena detentiva per un altro reato, commesso prima o dopo la condanna con la quale è stata applicata la pena sostitutiva. Qualora la pena detentiva sia stata sostituita con la pena pecuniaria, il mancato pagamento della somma dovuta per insolvibilità del condannato comporta non il ritorno alla pena detentiva sostituita, bensì la conversione della pena pecuniaria in libertà controllata o in lavoro sostitutivo, ai sensi dell'articolo 136 c.p.: parlano in questo senso l'articolo 57 della legge 689\ 81, che equipara la pena pecuniaria sostitutiva la pena pecuniaria comminata nella norma incriminatrice come pena principale, nonché l'articolo 71 della legge 689\ 81, che esplicita l'applicabilità della pena pecuniaria sostitutiva della disciplina generale dettata nel codice di procedura penale per l'esecuzione delle pene pecuniarie.
Un presidio ad hoc è poi disposto per i casi in cui la sostituzione della pena detentiva venga disposta in sede di patteggiamento. A norma dell'articolo 83 l. 689\81, chi viola gli obblighi inerenti alla pena sostitutiva integra un autonoma figura di diritto, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La dottrina lamenta la scarsa applicazione delle sanzioni sostitutive. La poca fortuna delle pene sostitutive nella prassi è imputabile ad una serie di fattori, tra cui l'insoddisfacente coordinamento con la disciplina della sospensione condizionale della pena. Il legislatore in questi ultimi anni ha ampliato notevolmente l'area applicativa delle pene sostitutive, e si attende dunque ora una più estesa applicazione di tali sanzioni.
Le pene accessorie.
Le pene accessorie si caratterizzano per potersi applicare solo in aggiunta ad una pena principale: non possono che accedere ad una pena principale. Un elenco di pene accessorie e fornito dall'articolo 19 c.p. dove si distingue tra:
pene accessorie per i delitti:
pene accessorie per le contravvenzioni:
pena accessoria ai delitti e le contravvenzioni:
La maggior parte delle pene accessorie ha un contenuto interdittivo:cioè comportano il divieto di svolgere determinate attività,di rivestire determinati uffici,di esercitare facoltà o diritti,o la cessazione di alcuni rapporti.
Le pene accessorie a contenuto interdittivo hanno una funzione di prevenzione generale e speciale: mirano a prevenire situazioni,che per un determinato soggetto potrebbero essere criminogene. Alcune pene accessorie,svolgono una funzione stigmatizzante,residuo storico delle pene infamanti del diritto penale preilluministico:in qst caso ,le pene accessorie pongono seri problemi di legittimità costituzionale,in relazione al principio della rieducazione del condannato sancito dall’art. 27 Cost.
Modalità di applicazione.
Le pene accessorie di regola,conseguono di diritto alla condanna ,senza che sia necessaria un’espressa dichiarazione in sentenza. Oltre che ad una sentenza di condanna ,le pene accessorie possono conseguire anche ad una sentenza di patteggiamento,purché la pena principale irrogata sia una pena detentiva superiore ai due anni;al di sotto di tale soglia ,la sentenza di patteggiamento non comporta l’applicazione di pene accessorie.
Esistono,come eccezione al carattere automatico delle pene accessorie,alcune pene accessorie che comportano un certo margine di discrezionalità x il giudice:in relazione all’applicazione stessa della pena accessoria,(la pronuncia espressa del giudice serve x escludere la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori normalmente conseguente alla condanna)in relazione alla sua durata,in relazione alle modalità esecutive(in questi due casi la pena accessoria deve essere oggetto di una statuizione espressa del giudice nella sentenza di condanna).
Quando la pena è integralmente predeterminata dalla legge ,può essere applicata dal giudice dell’esecuzione su richiesta del p.m.
Nel caso in cui con la sentenza di condanna o di patteggiamento sia applicata la sospensione condizionale della pena ,oltre all’esecuzione della pena principale è sospesa anche l’esecuzione della pena accessoria.
Durata.
Le pene accessorie possono essere perpetue o temporanee.
Nel caso delle temporanee la loro durata può essere determinata espressamente dalla legge ,ovvero è pari a quella della pena principale inflitta,secondo il principio di equivalenza. Ove la pena principale inflitta sia la multa o l’ammenda,la durata della pena accessoria si determina ragguagliando la pena pecuniaria alla corrispondente pena detentiva secondo i criteri di cui all’art. 135 c.p. In ogni caso la durata della pena accessoria temporanea determinata secondo il principio di equivalenza non può superare i limiti minimo e massimo stabiliti dalla legge per ciascun tipo di pena accessoria.
In base all’art. 139 nel computo delle pene accessorie temporanee non si tiene conto del tempo in cui il condannato sconta la pena detentiva,o è sottoposto a misura di sicurezza detentiva,ne del tempo in cui egli si è sottratto volontariamente all’esecuzione della pena o della misura di sicurezza:gli effetti delle pene accessorie si determinano solo quando è esaurita l’esecuzione della pena principale o della misura di sicurezza. Questa regola conosce alcune eccezioni :l’interdizione legale e la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori che si eseguono durante l’esecuzione della pena principale.
Nel caso di concorso di reati dai quali conseguano pene accessorie temporanee,la legge fissa dei limiti massimi di durata per alcune di queste pene:10 anni per l’interdizione dai pubblici uffici e per l’interdizione da una professione o da un’arte,5 anni per la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte.
L'inosservanza delle pene accessorie.
Per garantire effettività agli obblighi e divieti che ineriscono alle pene accessorie, il legislatore ha creato l'autonoma figura delittuosa della inosservanza di pene accessorie,punendo con la reclusione da due a sei mesi chi viola quegli obblighi o quei divieti.
Pene accessorie e delitto tentato.
Si discute sull'applicabilità delle pene accessorie, quando siano previste con riferimento a un determinato tipo di reato, anche in caso di condanna per delitto tentato. È il caso, per esempio della tentata violenza sessuale aggravata dalla qualità dei genitori, per la quale si pone il problema se è applicabile la pena accessoria della perdita della potestà dei genitori prevista dall'articolo 609 monies c.p.
Secondo la costante giurisprudenza della corte di cassazione, le pene accessorie possono conseguire sia alla condanna per delitto consumato, sia alla condanna per delitto tentato: la corte infatti ritiene che quando la legge indica una specie di reato, per farne dipendere determinati effetti giuridici, l'indicazione debba riferirsi alla specie,al tipo, alla figura generale del reato, che ne comprende le diverse gradazioni in tutta la manifestazione del disegno criminoso, dal tentativo punibile al conseguimento del fine.
In effetti, il delitto tentato non costituisce un tipo a se, ma un modo di essere,una particolare forma di manifestazione della figura primaria. Le forme di manifestazione restano nell'ambito della figura primaria: è sempre la figura primaria che, in una norma o nell'altra, si realizza.
A favore della tesi che estende al tentativo l'applicabilità delle pene accessorie, parlano anche considerazioni relative alle finalità politico-criminali di tali pene, nonché l'identità del bene offeso, sia che il delitto giunga a consumazione, sia che si arresti allo stadio del tentativo.
Le singole pene accessorie ex articolo 19 c.p.
a. L'interdizione dai pubblici uffici:priva il condannato: del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro diritto politico; degli uffici ricoperti a seguito di nomina o incarico da parte dello Stato odi un altro ente pubblico e della relativa qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; degli incarichi di tutela dei minori interdetti, di cura pena di minori emancipati e di inabilitati; dei gradi e delle dignità accademiche; dei titoli cavallereschi, delle decorazioni e delle altre pubbliche insegne onorifiche.
La privazione di stipendi, assegni,o pensione a carico dello stato o di un altro ente pubblico, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla corte costituzionale. L'interdizione può essere perpetua o temporanea:
- l'interdizione perpetua consegue alla condanna all'ergastolo o alla reclusione non inferiore ai cinque anni, nonché alla dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto o di tendenza a delinquere.
- l'interdizione temporanea consegue la condanna alla reclusione non inferiore a tre anni, nel qual caso ha una durata pari a cinque anni, nonché alla condanna per un delitto realizzato un abuso di potere o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o un pubblico servizio.
b. L'interdizione una professione o da un'arte priva il condannato della capacità di esercitare, durante l'interdizione,una professione, arte, industria ,commercio o mestiere per cui è richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell'autorità e comporta la decadenza dal permesso dall'abilitazione, autorizzazione o licenza.
Questa pena accessoria, oltre che nei casi previsti, dalle norme incriminatrici, consegue la condanna per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all'esercizio della professione, arte, industria, commercio e mestiere. Di regola la sua durata non può essere inferiore ad un mese, ne superiore ai cinque anni e si determina in base ai principi di equivalenza.
c. La sospensione dell'esercizio di una professione o di un'arte comporta la temporanea incapacità di esercitare la professione, arte, industria, al cui esercizio il condannato era stato autorizzato, ovvero gli preclude la possibilità di ottenere il titolo che lo legittimerebbe ad esercitare un'attività. A differenza dell'interdizione professionale di cui all'articolo 30 c.p. la pena accessoria in esame non comporta la decadenza dal titolo; ne segue che il condannato, eseguita la pena, riacquista automaticamente la titolarità del diritto ad esercitare la professione, l'arte, ovvero l'interesse legittimo a richiedere l'autorizzazione, la licenza.
Presupposto di questa pena accessoria è la condanna per una contravvenzione commessa con abuso di poteri ovvero con violazione dei doveri inerenti alla professione, arte ecc. Quanto alla durata della sospensione, deve essere compresa fra 15 giorni e due anni e si determina in base al principio di equivalenza.
d. L'interdizione legale priva il condannato dalla capacità di agire, limitatamente ai diritti patrimoniali: il soggetto conserva la titolarità di tali diritti, ma può esercitarli o disporne solo attraverso un tutore. Questa pena accessoria consegue di diritto alla condanna all'ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni pronunciata può delitto non colposo. L'interdizione legale è eseguita contemporaneamente alla pena principale e ha durata pari a quest'ultima.
e. L'interdizione temporanea degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese comporta la perdita temporanea della capacità di esercitare uffici direttivi o di rappresentanza delle persone giuridiche delle imprese. L'articolo 32 bis, chiarisce che gli uffici direttivi interessati dell'interdizione sono quelli di amministratore, sindaco, liquidatore e direttore generale. Quanto agli altri uffici che comportano poteri di rappresentanza, vi rientrano fra gli altri l'institore, il consigliere delegato e il procuratore generale. Secondo l'opinione prevalente, destinatario della pena può anche essere chi eserciti di fatto compiti di amministratore, mentre non può esserlo l'imprenditore individuale.
Presupposto per l'applicazione di questa pena accessoria è la condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi con abuso di poteri o violazione dei doveri dell’ufficio, sia che l'abuso di potere e la violazione dei doveri siano elementi costitutivi del delitto oggetto della condanna, sia che connotino il singolo fatto concreto; è applicabile anche al condannato per un delitto colposo. La durata di questa interdizione si determina in base al principio di equivalenza senza che sia previsto alcun limite minimo o massimo.
f. La sospensione dell'esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese comporta la sospensione dell'esercizio degli stessi uffici direttivi o di rappresentanza delle persone giuridiche e delle imprese interessate alla pena accessoria di cui all'articolo 32 bis: Trattandosi di una sospensione,una volta eseguita la pena, il condannato automaticamente esercita i poteri e le funzioni connesse all'ufficio. Questa pena accessoria consegue alla condanna all'arresto per contravvenzioni commesse con abuso di potere o violazione di doveri inerenti all'ufficio. Quanto alla durata,si determina in base al principio di equivalenza all'interno del limite minimo di 15 giorni e al limite massimo di due anni.
g. l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione priva temporaneamente il condannato della capacità di stipulare con la pubblica amministrazione contratti sia di diritto privato, sia di diritto pubblico. Per espressa indicazione della legge, l'incapacità non si estende ai contratti che abbiano per oggetto la prestazione di un pubblico servizio, ad esempio prestazioni sanitarie, trasporti ferroviari. Presupposto per l'applicazione della accessoria è la condanna per uno dei delitti compresi in un elenco tassativo fornito dall'articolo 32 quater: associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso, alcuni delitti contro la pubblica amministrazione contro l'economia e contro il patrimonio. Il delitto deve essere stato commesso in danno o a vantaggio di un'attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa. Destinatario della sanzione può essere sia chi esercita un'attività imprenditoriale, sia il pubblico funzionario. La durata di questa pena accessoria si determina in base al principio di equivalenza all'interno del minimo di un anno e del massimo di tre anni.
h. L'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego produce la cessazione del rapporto nei confronti del dipendente di amministrazioni o di enti pubblici o di enti a prevalente partecipazione pubblica. Presuppone la condanna alla reclusione non inferiore a tre anni per i delitti di peculato, concussione o corruzione.
i. La decadenza dalla potestà dei genitori comporta la perdita definitiva dei poteri conferiti dalla legge ai genitori nei confronti dei figli: il genitore viene privato della titolarità dei diritti e delle facoltà di carattere personale nei confronti dei figli, nonché dei diritti sui beni del figlio attribuitogli dal codice civile.
La sospensione dell'esercizio della potestà dei genitori comporta la perdita temporanea della capacità di esercitare le stesse facoltà o diritti. La decadenza dalla potestà dei genitori consegue la condanna all'ergastolo e alla condanna per alcuni delitti espressamente individuate dalla legge: tra l'altro, l'incesto, l'alterazione di stato e i reati sessuali nei quali la qualità di genitore è elemento costitutivo del fatto.
La sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori consegue invece la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore al cinque anni, nonché alla condanna per un qualsiasi delitto commesso con abuso della potestà dei genitori. Quanto alla durata, la decadenza ha carattere perpetuo, mentre la sospensione ha carattere temporaneo: deriva dalla condanna alla reclusione non inferiore ai cinque anni, ha durata pari a quella della pena principale e si esegue contemporaneamente ad essa, se deriva invece della condanna per un delitto commesso con abuso della potestà dei genitori, la pena accessoria ha durata doppia di quella della pena principale.
l. La pubblicazione della sentenza di condanna si esegue in uno o più giornali definiti dal giudice: di regola ha luogo per estratto, salvo che il giudice disponga la pubblicazione per intero. Quando si tratti di sentenza di condanna all'ergastolo, la pena accessoria comporta la pubblicazione mediante affissione all'albo del comune in cui è stata pronunciata, in quello in cui delitto fu commesso e in quello in cui il condannato ha l'ultima residenza. Questa pena accessoria è comune ai delitti e alle contravvenzioni. Consegue la condanna all'ergastolo e alla condanna per alcuni specifici titoli di reato.
Gli effetti penali della condanna.
Accanto alle pene, il codice fa riferimento agli effetti penali della condanna, come ulteriori conseguenze sanzionatorie che si ricollegano alla pronuncia della sentenza di condanna. Per esempio l'articolo due fa discendere dall'abolizione del reato, per il quale sia stata pronunciata condanna definitiva, non solo la cessazione dell'esecuzione della pena principale e delle pene accessorie, ma anche il venir meno degli effetti penali della condanna.
si ricava che gli effetti penali della condanna sono un genere, nel quale si inquadrano come specie, le pene accessorie; se ne ricava che il carattere comune all'intera categoria degli effetti penali e il loro prodursi come conseguenza automatica della condanna. Rimane tuttavia aperto, il problema dell'individuazione degli ulteriori tratti caratteristici degli effetti penali, nonché in particolare, quello della distinzione tra pene accessorie altre effetti penali della condanna.
Molteplici sono le ripercussioni prodotte dall’inclusione di una conseguenza sfavorevole della condanna nel novero degli effetti penali . In generale,gli effetti penali hanno una particolare resistenza alle cause estintive delle pena,ben superiore a quella delle pene accessorie. Ad es. la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie,mentre lascia sussistere gli effetti penali della condanna ;l’indulto può estinguere le pene accessorie,semprechè il decreto che lo concede lo preveda espressamente,ma non estingue in nessun caso gli altri effetti penali della condanna;l’amnistia c.d. impropria,cioè l’amnistia che intervenga dopo la pronuncia della sentenza di condanna,fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie ,lasciando invece sopravvivere gli effetti penali.
Secondo la giurisprudenza di cassazione a sezioni unite,gli effetti penali della condanna si caratterizzano x essere conseguenza solo di una sentenza irrevocabile di condanna,per essere conseguenza che deriva direttamente dalla sentenza di condanna e nn da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione,ancorché aventi la condanna come necessario presupposto;per la natura sanzionatoria dell’effetto,ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale.
Su quest'ultimo profilo si registrano opinioni diverse sia in giurisprudenza sia in dottrina. Più plausibile sembra la tesi restrittiva: la legge non parla infatti di effetti della condanna penale, bensì di effetti penali della condanna. Quanto ai rapporti tra pene accessorie e effetti penali della condanna, il discrimine può essere così individuato: le pene accessorie conseguono la condanna in modo certo e indefettibile, mentre gli effetti penali danno vita ad uno status che si tradurrà in un effettivo pregiudizio per il condannato solo in via eventuale, a condizione cioè che nei suoi confronti si apra un nuovo procedimento penale, per un altro reato.
Gli effetti penali della condanna in definitiva, sono conseguenze sanzionatorie automatiche di una sentenza definitiva di condanna incidente sulla sfera giuridico-penale del condannato, e la cui operatività è subordinata alla commissione di nuovo reato da parte del condannato e all' instaurarsi di un nuovo procedimento penale. Alcuni esempi di effetti penali della condanna possono individuarsi nell'ambito della disciplina della sospensione condizionale della pena, del perdono giudiziale, della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, della sostituzione della pena detentiva, della recidiva e del abitualità nel reato.
La commisurazione della pena.
È del tutto eccezionale nel nostro ordinamento la previsione di pene fisse, cioè pena integralmente predeterminate dalla legge nella specie e nell'ammontare. Di regola, le pene sono invece comminate tra un minimo e un massimo, che individuano la cosiddetta cornice edittale di pena, e anzi non è raro che e la norma incriminatrice preveda alternativamente due diversi tipi di pena. Talora il giudice può sostituire alla pena detentiva prevista dalla legge una pena sostitutiva e che, nel caso in cui venga inflitta la pena detentiva, gli si offrono ampie possibilità di disporre che tale pena sia eseguita, in una forma peculiare, ammettendo il condannato ad una misura alternativa alla detenzione. Alla pena finale si arriva dunque attraverso un complesso processo che vede protagonista il giudice: a questo processo si da il nome di commisurazione della pena, distinguendosi tra commisurazione in senso stretto, che riguarda la determinazione della specie e dell'ammontare della pena all'interno della cornice edittale, e commisurazione in senso lato che abbraccia tutti gli ulteriori momenti in cui il potere discrezionale del giudice, del giudice di cognizione o di un altro giudice, concorre a determinare la pena da eseguirsi in concreto. La disciplina della commisurazione della pena in senso stretto e contenuta nel codice penale agli articoli 132 e 133, che interessano sia le pene detentive, sia le pene pecuniarie. Quanto a quest'ultima, la disciplina di commisurazione si completa con l'articolo 133 bis.
Il carattere giuridicamente vincolato del potere discrezionale del giudice nell'applicazione della pena.
Il legislatore qualifica come discrezionali i poteri del giudice nella commisurazione della pena. La discrezionalità consiste della rinuncia da parte del legislatore a delineare tipi generali e ed astratti e nel conseguente rinvio al caso concreto, perché esso esprima, nella sua multiforme varietà, la significazione di valore più idonea a produrre un certo trattamento penale. Attraverso la normativa contenuta negli articoli 132 e 133 e il legislatore prende altresì posizione sul problema relativo al carattere libero o vincolato della discrezionalità penale, optando per la seconda alternativa: impone infatti alle scelte del giudice non soltanto un sistema di limiti esterni, segnati dai tipi di pena comminate nella norma incriminatrice e dall'ammontare minimo e massimo previsto per ciascuna specie di pena, ma un sistema di limiti interni delineati dell'articolo 133 e destinate a riflettersi nelle motivazioni ex articolo 132. Il codice del 30 ha dunque configurato la discrezionalità nella commisurazione della pena come realizzazione nel caso concreto di giudizi di valore di espressa dalla legge, dettando direttive che il giudice tentando di assoggettare le sue scelte un controllo di legittimità.
In questa logica la fattispecie legale va intesa come una scala continua di sottofattispecie, all'interno della quale il giudice deve collocare il caso concreto: in caso di comminatoria alternative di pena il giudice applicherà la pena pecuniaria qualora il fatto concreto si collochi al di sotto della soglia media di gravità all'interno della cornice edittale di pena, punto di partenza per la commisurazione della pena dovrebbe essere il medio edittale, dal quale discostarsi solo in quanto la fattispecie concreta presenti particolari connotazioni, positive e negative.
La giurisprudenza ha peraltro respinto, di regola, queste indicazioni; solo in alcune isolate sentenze la corte di cassazione ha affermato che quando la pene comminata fra un minimo e un massimo, il giudice deve attenersi ad una misura media. La giurisprudenza invece appare in generale propensa ad applicare la pena nel minimo,o in misura prossima al minimo.
La motivazione sulla specie e sulla misura della pena.
La corte di cassazione fornisce di solito interpretazione assai riduttive dell'obbligo di motivazione ex articolo 132. La tendenza giurisprudenziale a svuotare di contenuti l'obbligo di motivazione sulla misura della pena si manifesta soprattutto nell'utilizzo da parte dei giudici di merito di formule quali " pena congrua, pena adeguata, pena equa", ovvero di motivazioni che si esauriscono in un generico e apodittico richiamo ai criteri dell'articolo 133. La corte di cassazione considera spesso affermazione di questo tenore sufficienti a soddisfare l'obbligo posto dall'articolo 132. Solo sporadicamente afferma la necessità di motivazioni specifiche e rifiuta il ricorso a formule stereotipate. D'altra parte anche la giurisprudenza più rigorosa non si spinge a richiedere che la motivazione faccia riferimento a tutti i criteri indicati all'articolo 133, ma considera sufficiente un richiamo all'elemento o agli elementi che hanno avuto un ruolo determinante nella decisione.
Secondo la giurisprudenza l'obbligo di motivazione diventa più incisivo nel giudizio d'appello. Peraltro anche quest'ultima tesi risulta spesso contraddetta dalla stessa corte di cassazione.
La corte di cassazione spesso attribuisce contenuti diversi all'obbligo di motivazione ex articolo 132 a seconda dell'entità della pena inflitta in concreto, o più precisamente a seconda della sua collocazione all'interno della cornice edittale. Quando la pena viene applicata nel minimo o in misura prossima al minimo, la corte di cassazione non soltanto considera sufficienti le tradizionali formule sintetiche, ma talora afferma il venir meno dello stesso obbligo di motivazione; quando invece il giudice nel quantificare la pena supera in modo vistoso il minimo edittale, è tenuto a motivare esplicitamente sulle ragioni che lo hanno determinato tale conclusione.
E frequente, la corte contrappone l'ipotesi in cui la pena sia irrogata in misura intermedia alle ipotesi in cui si applicata in misura superiore al medio edittale. Soltanto in quest'ultimo caso si riconosce l'imputato l'interesse a chiedere una particolare motivazione in ordine ai criteri seguiti. Questo orientamento giurisprudenziale stato sintetizzato in modo emblematico della corte di cassazione, quando ha affermato che in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intende discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del potere discrezionale.
un'interpretazione rigorosa dell'obbligo di motivazione parrebbe trovare spazio soltanto in relazione alle ipotesi in cui la pena venga applicata in misura compresa fra il medio il massimo edittale: la corte di cassazione ha affermato che il giudice qualora reputi di irrogare una pena molto elevata e prossima al massimo edittale, deve indicare esplicitamente e dettagliatamente i motivi della sua decisione, con specifico riferimento alle modalità del fatto, alla gravità del danno o del pericolo e ad ogni altra circostanza relativa alla capacità a delinquere del reo. Una diversa configurazione dell'obbligo di motivazione ex articolo 132 a seconda del livello sanzionatorio prescelto dal giudice non trova nessun fondamento nella legge.
Criteri fattuali e criteri finalistici di commisurazione della pena.
L'articolo 133 integra, la disciplina dei potere discrezionali del giudice nell'applicazione della pena dettate dall'articolo 132. Con l'intento di orientare il giudice della scelta dell'ammontare della pena, ed eventualmente della sua specie, la norma in esame enumera una serie di criteri fattuali di commisurazione, raggruppati all’interno delle categorie generali “gravità del reato” e “capacità a delinquere” del colpevole; tace invece su criteri finalistici , ossia sui fini della pena nel momento dell'irrogazione. La dottrina da tempo ha messo in evidenza, la fondamentale importanza della funzione propria di ciascun istituto a struttura discrezionale per un corretto esercizio di poteri del giudice. In particolare, al fine di garantire razionalità nella commisurazione della pena sarebbe indispensabile chiarire preliminarmente quali finalità la pena possa legittimamente perseguire in questa fase, giacché le conseguenze che il giudice deve trarre da ciascun aspetto del reato e dalla personalità del reo possono risultare diverse, a seconda dei criteri finalistici ai quali vengano correlati i criteri fattuali di commisurazione. Tra i diversi scopi della pena possono in effetti delinearsi vere e propria antinomie, tendendo le esigenze della prevenzione speciale, della prevenzione generale e della retribuzione verso quantità di pena differenziate tra loro: problemi di questo tipo potrebbero trovare soluzione ad opera del legislatore, anziché essere rimesse alle discordanti vedute di politica criminale manifestate dal singolo giudice in relazione un caso concreto.
I criteri fattuali di commisurazione della pena: la gravità del reato.
Secondo il disposto dell'articolo 133 ai fini della commisurazione della pena, in primo luogo il giudice deve tener conto della gravità del reato desunta:
1. Dalla natura, della specie, dei mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;
2. Della gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3. Dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
La norma in esame fa riferimento al singolo episodio concreto desumibile dalla figura astratta di reato:si tratta per il giudice di stabilire se, all'interno della scala continua di sotto fattispecie comprese nella norma,quell'episodio si collochi in una fascia alta, media o bassa. Il giudice deve tener conto sia di componenti oggettive, sia di componenti soggettive del reato.
Innanzitutto vengono in considerazione le modalità dell'azione, delle quali il giudice dovrà valutare la pericolosità e la riprovevolezza, in relazione alla gamma di condotte riconducibili alla norma incriminatrice. Dovrà tener conto delle circostanze di tempo e di luogo quando siano state diverse, da quelle normali per quel tipo di reato, e abbiano conferito al fatto una connotazione particolare. Nel reato permanente per esempio, rileverà ex articolo 133 tra l'altro,la durata della condotta tipica.
Quanto alla gravità del danno del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, la formula legislativa si riferisce alla gravità dell'offesa prodotta al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, e non all'entità del danno il senso civilistico.
Richiamandosi all'intensità del dolo, l'articolo 133 implicitamente, invita il giudice a prendere in considerazione:
a) il grado di complessità della deliberazione che ha portato la condotta illecita, valutato in primo luogo in base al lasso di tempo in cui si è perfezionato il processo volitivo;
b.) il ruolo che la rappresentazione dell'evento ha avuto nella determinazione ad agire o ad omettere;
c) la consapevolezza, da parte dell'agente dell'antigiuridicità e \ o dell'antisocialità del fatto.
Il giudizio sul grado della colpa, verterà innanzitutto, sulla misura in cui il soggetto si è discostato dal modello di comportamento richiesto in generale dell'ordinamento per quel determinato tipo di attività. Si dovrà inoltre considerare se una determinata posizione sociale o professionale, o altre caratteristiche individuali, valgano ad iniziare nell'agente particolari capacità, rispetto ad un soggetto medio, nel prevedere o prevenire eventi del tipo verificatosi. In tale ipotesi, a parità di divergenza tra la diligenza dimostrata e quella obiettivamente doverosa, varia il grado della colpa. Inoltre, nel valutare il grado della colpa, la giurisprudenza correttamente valorizza il concorso di colpa della vittima, che può attenuare la colpa dell'agente.
La capacità a delinquere del reo.
L'articolo 133 soggiunge che il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole desunta:
1. Dei motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2. Dei precedenti penali giudiziari, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedente al reato;
3. Dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4. Dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Il concetto di capacità a delinquere è al centro di un ampio dibattito. Secondo alcuni autori, la capacità a delinquere si proietterebbe nel passato, esprimendo cioè l'attitudine del soggetto al fatto commesso, ossia il grado di rispondenza dell'episodio criminoso alla personalità dell'agente. Secondo la diversa opinione, si proietterebbe nel futuro esprimendo l'attitudine del soggetto a commettere nuovi reati. Tale dialettica non è estranea alla giurisprudenza. Lo scioglimento di questa alternativa passa necessariamente attraverso un'interpretazione secondo costituzione della disciplina codicistica della commisurazione della pena, in particolare della formula “capacità delinquere”: secondo questa linea interpretativa il giudizio di capacità a delinquere si proietta nel futuro, e quindi tutti gli indici legislativi di capacità delinquere devono essere utilizzati dal giudice ai fini di una prognosi sui futuri comportamenti dell'agente. Ai fini del giudice prognostico di capacità a delinquere vengono in primo luogo in considerazione i motivi e il carattere del reo. I motivi a delinquere dovranno essere valutato sotto il profilo della intensità, idoneità a permanere nel tempo, nonché del valore etico sociale.
Attraverso il richiamo al carattere del reo, l'articolo 133 in vita il giudice ad una valutazione complessiva della personalità dell'agente: in particolare parrebbe, dalle sue componenti innate, in quanto idonea ad orientare il futuro comportamento del soggetto in senso conforme o difforme rispetto alla legge penale. Sotto il profilo del carattere v'erano in considerazione le capacità di autocontrollo del soggetto, la sua stabilità emotiva, il senso della realtà...
I fattori socio-ambientali di criminogenesi hanno invece ingresso nella commisurazione della terra, e più precisamente nella valutazione della capacità delinquere, attraverso il criterio delle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Anche in considerazione delle modeste possibilità per il giudice, di procedere ad un serio vaglio degli elementi indicati è ragionevole ipotizzare che, fra i criteri enumerati dall'articolo 133, assumono un ruolo preponderante nella prassi la vita del reo antecedente al reato, e soprattutto precedenti penali giudiziari, desunto dal casellario giudiziale: si tratta, tra l'altro, delle sentenze di proscioglimento per perdono il giudiziale, per estinzione del reato a seguito di amnistia o di prescrizione, nonché dei provvedimenti di inabilitazione interdizione, delle dichiarazioni di fallimento e della sottoposizione a misure di prevenzione.
Tra le condotte susseguenti al reato l'attenzione della dottrina e della giurisprudenza si concentra il comportamento processuale dell'imputato. Il criterio della condotta contemporanea al reato, attribuisce rilevanza a qualsiasi comportamento, diverso dalla condotta tipica, tenuto dal soggetto nel periodo che intercorre fra l’inizio dell'esecuzione e la consumazione del reato, o nei reati permanenti durante il “periodo consumativo”.
I criteri finalistici di commisurazione della pena.
Nel silenzio della legge, parte della dottrina e la giurisprudenza prevalente ritengono che la pena assolva contemporaneamente, a una serie di funzioni:retribuzione,prevenzione generale e prevenzione speciale. Questa concezione polifunzionale della pena lascia però irrisolte tutte le antinomie sopradescritte, con la conseguenza che il giudice risulterebbe arbitro insindacabile della scelta del tipo e del quantum di pena all'interno della comminatoria legale. L'ordinamento non è però privo di indicazioni vincolanti per il giudice. Tali indicazioni si ricavano dalla costituzione e in particolare dall'articolo 27 della costituzione comma 3 "le pene devono tendere alla rieducazione del condannato", articolo 27 comma 1 "la responsabilità penale è personale" e comma 3 "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge".
Il giudice da tali principi deve assumere la rieducazione come criterio finalistico di commisurazione della pena, entro i limiti della colpevolezza per il singolo fatto concreto, nel rispetto della dignità della persona del condannato e del divieto della responsabilità per fatto altrui.
L'alternativa proposta all'interprete dalla formula “capacità delinquere” può essere risolto alla luce della costituzione: dal momento che l'articolo 27 fa spazio alla rieducazione tra i fini della pena anche nello stadio dell’ irrogazione giudiziale, tra le possibili interpretazioni della formula codicistica dovrà prevalere quella che, riferendo al futuro il giudizio sulla capacità delinquere, in attuazione del principio costituzionale chiami il giudice a prendere in considerazione le esigenze di intimidazione-ammonimento del reo, nonché l'opportunità di evitarli inutili rischi di desocializzazione e di aprirgli, nei limiti del possibile, prospettive di reinserimento nella società.
Un problema tradizionale, riguarda i rapporti fra il comma numero 1 e il comma 2 dell'articolo 133, e più in generale la possibilità di individuare un principio d'ordine fra i criteri fattuali di commisurazione della pena indicati nell'articolo 133.
Anche questo problema può trovare risposta nella costituzione. Dall'articolo 27 cost. infatti, può in primo luogo ricavarsi una gerarchia all'interno di criteri di commisurazione di cui all'articolo 133 c.p. Il principio costituzionale di colpevolezza vale infatti ad attribuire una posizione preminente, fra gli indici di gravità del reato, a quelli attinenti la colpevolezza. Gli indici della gravità oggettiva del reato di cui all'articolo 133 dovrebbero essere ricostruiti così da escludere la rilevanza di qualsiasi componente incolpevole del fatto: la gravità del reato dovrebbe essere valutata dal giudice all'interno dei limiti segnati dalla colpevolezza. D'altro canto dall'articolo 27 può trarsi l'indicazione a favore dell'esclusiva rilevanza in bonam partem delle considerazioni di prevenzione speciale: considerazioni relative alla capacità a delinquere del reo non potrebbero cioè fondare l'applicazione di pene eccedenti la misura corrispondente alla gravità del fatto colpevole, ma potrebbero suggerire l'applicazione di pene inferiori. In effetti,una pena inflitta in concreto in misura sproporzionata o sganciata dalla colpevolezza individuale non può favorire la collaborazione indispensabile per ogni sensato programma di desocializzazione, e sortisce anzi gli effetti desocializzanti propri di ogni giudizio sentito come ingiusto.
Un ulteriore, interrogativo verte sulla legittimità di includere la prevenzione generale fra i criteri finalistici di commisurazione della pena. Questo problema affiora raramente nella giurisprudenza della corte di cassazione. Accogliendo la tesi della legittimità di considerazioni di prevenzione generale, la corte ha comunque confermato una motivazione nella quale si faceva riferimento alla necessità di porre un argine all'impressionante ripetersi di alcuni tipi di reato; ha affermato la liceità per il giudice di tener conto di costumanze locali che impongano una repressione più o meno severa di alcune manifestazioni criminose.
Preziose indicazioni per la soluzione del problema in esame si possono ricavare dalla costituzione: dal principio della dignità dell'uomo e del divieto della responsabilità penale per fatto altrui. Dal principio della dignità dell'uomo discende infatti il divieto di ridurre l'uomo a semplice mezzo per il perseguimento di finalità politico-criminali: di qui l'illegittimità di autonome considerazioni di prevenzione generale ad opera del giudice. D'altro canto, già lo stesso divieto di qualsiasi forma di responsabilità per fatto altrui, sarebbe violato da un inasprimento di pena, rispetto alla misura della colpevolezza, ovvero rispetto al bisogno di rieducazione del soggetto, ispirato a considerazioni generalpreventive: il giudice così procedendo chiamerebbe il condannato a rispondere della circostanza che altri soggetti abbiano commesso reati dello stesso tipo in numero particolarmente elevato, e appaia quindi opportuno, per tenere a freno le inclinazioni criminose di terzi, statuire un esempio.
D'altro canto non solo la liceità, ma anche l'utilità di una strategia generalpreventiva nella commisurazione della pena è quantomeno dubbia. Le indagini empiriche relative ai diversi ordinamenti stranieri, mostrano che non esiste una correlazione negativa fra livelli sanzionatorie e tasso di criminalità. Nel contempo, si osserva come il processo penale non sia in grado di fornire al singolo giudice un'adeguata conoscenza di fattori empirici di una commisurazione generalpreventive della pena.
Le peculiarità della commisurazione delle pene pecuniarie.
La disciplina della commisurazione della pena pecuniaria è indicata agli articoli 132 e 133, ma è completata dalla riforma realizzata nel 1981 al sistema penale, con l'articolo 133 bis che fa spazio alle condizioni economiche del reo e ai criteri fattuali di commisurazione. Tale articolo interessa la commisurazione della multa e dell'ammenda comminata dalla legge come pene principali, e non anche la commisurazione delle pene pecuniarie sostitutive della pena detentiva. La disciplina contenuta nell'articolo 133 bis viene incontro ad esigenze di razionalizzazione della pena pecuniaria da tempo segnalate dalla dottrina.
Il tema della graduazione della pena pecuniaria secondo le condizioni economiche del reo era emerso con chiarezza già nella letteratura illuministica poi approfondito nell'ottocento e nel primo novecento ,nonché successivamente in relazione al moderno sistema dei tassi giornalieri adottato in alcuni ordinamenti stranieri:un modello che articola in due fasi la commisurazione della pena pecuniaria,nel senso che il numero dei tassi si determina in base ai criteri ordinari,comuni alla pena detentiva,mentre il loro ammontare si determina in base alle condizioni economiche del soggetto.
Per contro l’art. 133 bis si è mantenuto fedele al tradizionale modello della somma complessiva nel quale le condizioni economiche operano contemporaneamente e sullo stesso piano rispetto ai restanti criteri fattuali di commisurazione ,senza che sia possibile discernere quale incidenza assumano le condizioni economiche,da un lato, la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo dall’altro,nella determinazione dell’ammontare della pena pecuniaria.
La soluzione della somma complessiva è stata adottata dal legislatore del 1981,proprio per consentire al giudice di eludere taluni problemi di accertamento,che non sarebbero invece aggirabili in un sistema di tassi. Peraltro il giudice non sempre terrà conto della situazione economica del reo,anzi nella prassi l’adeguamento della pena pecuniaria alle condizioni economiche è rimasto lettera morta,o comunque si è realizzato in condizioni marginali.
L’art. 133 bis non fornisce alcuna definizione delle condizioni economiche del reo,rinunciando a individuare gli elementi che concorrono a costituirle.
Nessun dubbio d’altra parte, che il giudice debba innanzitutto riferirsi al reddito del soggetto al tempo della condanna. Nonostante qualche perplessità manifestata la dottrina, il giudice dovrà inoltre prendere in considerazione il patrimonio del reo:in questo senso si è pronunciata anche la corte di cassazione.
Tra le componenti passive delle condizioni economiche del reo, il giudice dovrà tener conto delle obbligazioni pecuniarie gravanti sul soggetto, in particolare degli obblighi derivanti dal reato, degli obblighi di alimenti confronti dei familiari, dei debiti d’imposta e dei debiti che il soggetto abbia assunto per esigenze essenziali, proprie o del suo nucleo familiare.
Delicati sono anche i problemi che riguardano l'accertamento di tali condizioni. Infatti è questo lo scontro contro il quale rischia di infrangersi qualsiasi tentativo volto ad adeguare la pena pecuniaria alla situazione economica del condannato, specie in un paese che non è dotato di un sistema fiscale trasparente. E contro le sue dichiarazioni rese dall'imputato, saranno relativamente agevoli nei confronti dei lavoratori dipendenti dei soggetti a reddito fisso, mentre per le altre categorie ci si potrebbe basare su valutazioni a stima da parte del giudice. Per quanto riguarda invece le obbligazioni pecuniarie gravanti sul soggetto, l'onere sostanziale di provarne l'esistenza incomberà comunque sull'imputato.
L'articolo 133 bis, dispone, che il giudice può aumentare la multa o all'ammenda stabilita dalla legge sino al triplo o diminuirle fino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia efficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa.
Oltre ad operare come generale criterio di commisurazione all'interno degli spazi edittali, le condizioni economiche del reo possono dunque determinare l'applicazione di una pena sia superiore ai massimi, sia inferiore ai minimi previsti dalla norma incriminatrice.
Le formule legislative "inefficace" e "eccessivamente gravosa" riferita la pena pecuniaria devono essere interpretate in relazione caratteri necessariamente afflittivi e alle finalità di intimidazione-ammonimento che sono proprie di queste pene.
Inefficace dovrà considerarsi pertanto una pena che non comporterebbe un apprezzabile sacrificio per il soggetto, reso insensibile da una situazione particolarmente agiata; eccessivamente gravosa sarà invece la sanzione che comporterebbe un sacrificio intollerabile, e sarebbe quindi avvertita come ingiusta e vessatoria. Perché la pena pecuniaria possa considerarsi eccessivamente gravosa deve ricorrere una situazione di vera e propria impossibilità o almeno di estrema difficoltà a darvi esecuzione.
Il giudizio sull'efficacia sul carattere eccessivamente gravoso della pena deve essere formulato in senso non assoluto, ma relativo, cioè tenendo conto dell'ammontare della pena di volta in volta comminata dalla legge, del reddito del soggetto.
Si pone il problema se le condizioni economiche del reo possono rilevare una prima volta nella commisurazione della pena all'interno della cornice di tale e una seconda volta in sede di aumento o diminuzione a norma del comma 2 dell'articolo 133 bis. La soluzione va risolta in questo senso: il giudice può cioè tener conto una sola volta delle condizioni economiche del reo, in particolare ai fini dell'aumento o della diminuzione. Dopo aver scelto la misura della pena entro la cornice edittale secondo i criteri dell'articolo 133, il giudice ricorrendo ai presupposti fissati all'articolo 133 bis comma 2, potrà adeguare la pena alle condizioni economiche del soggetto spingendosi fino ad un terzo del minimo o al triplo del massimo previsti nella norma incriminatrice.
La corte di cassazione ha più volte affrontato il problema dell'onere della prova di condizioni economiche tali da rendere la pena pecuniaria inefficace, o all'opposto, eccessivamente gravosa. Al fine di ottenere la riduzione della pena pecuniaria, correlata ad una disagiata situazione economica, la corte ritiene che gravi sull'imputato l'onere di delegare la relativa documentazione; ai fini della triplicazione del massimo invece accolla sull'accusa l'onere di fornire la prova della consistenza patrimoniale del reo.
A proposito della natura giuridica dell'aumento dei diminuzione di pena previsti dall'articolo 133 bis mormoro due si chiede se la modificazione della pena collegata alle condizioni economiche del reo configuri una circostanza in senso tecnico. Il problema viene risolto in senso negativo dalla cassazione. Ne segue l'estraneità delle condizioni economiche del soggetto al giudizio di bilanciamento delle circostanze, a norma dell'articolo 69. Anche secondo la prevalente dottrina le condizioni economiche del reo non integrano una circostanza in senso tecnico, bensì rappresentano il criterio per un atipico adeguamento della pena situazione particolari in cui soggetto venga a trovarsi al momento dell'inflizione della multa o dell'ammenda: un adeguamento reso necessario dalla peculiarità del bene su cui incidono tali sanzioni.
La commisurazione della pena nei procedimenti speciali.
Il codice di procedura penale del 1988 ha profondamente innovato il diritto sostanziale della commisurazione della pena. Per effetto dei nuovi riti si è prodotta un antinomia: il legislatore esalta a parole il dibattimento come luogo di formazione della prova, ma al tempo stesso predispone congegni atti ad evitarlo, perché la sua applicazione su larga scala finirebbe per soffocare il funzionamento pratico del sistema penale. Se dunque i riti alternativi rappresentano una condicio sine qua non per la stessa sopravvivenza di un processo di tipo accusatorio, enormi però sono i costi in termini di razionalità della pena dello stadio dell’inflizione giudiziale, che si debbono sopportare in conseguenza dell'opzione di fondo per i riti alternativi.
Il più vistoso stravolgimento dei meccanismi di commisurazione della pena si verifica nel cosiddetto patteggiamento. Due i problemi che vanno esaminati: la sfera di applicabilità di questo procedimento speciale e il ruolo riservato al giudice rispetto all'accordo sulla pena intervenuto fra le parti.
Quanto alla sfera di applicabilità dell'istituto, emerge con chiarezza dal disposto dell'articolo 444 c.p.p. come essa ricomprenda, tutti procedimenti nei quali potrebbe essere applicata ex ufficio una pena sostitutiva: la pena pecuniaria, la libertà controllata o anche la semidetenzione, nel rispetto di tutti i limiti fissati dalla legge 689\ 81 agli articoli 53 e 59: limiti oggettivi e soggettivi. Inoltre il patteggiamento può applicarsi ai reati punibili in concreto con una pena pecuniaria, di qualsiasi ammontare; ne la pena pecuniaria è di ostacolo all'applicazione di tale rito differenziato, qualora sia prevista congiuntamente ad una pena detentiva. La richiesta delle parti può infine avere per oggetto l'applicazione della pena detentiva; per tale ipotesi è previsto un limite quantitativo di cinque anni di reclusione o arresto, il cui rispetto deve verificarsi attraverso il seguente procedimento. Su un ammontare di pena prescelto all'interno della cornice edittale sa operano gli aumenti o le diminuzioni derivanti dall'eventuale circostanze aggravanti o attenuanti; la pena così determinata deve essere ulteriormente diminuita( fino ad un terzo).
Ancorché tale interpretazione eviti di dilatare a dismisura l'area di applicabilità dell'articolo 444 c.p.p. risulta evidente che quest'area non è mai stata circoscritta alle bagatelle, ma anzi ricomprende forme di criminalità decisamente gravi. In assenza di circostanze attenuanti, può procedersi ex articolo 444 per reati per i quali il giudice potrebbe applicare, in concreto,7 anni e sei mesi di reclusione; in presenza anche di una sola attenuante, la soglia di cinque anni potrebbe essere raggiunta partire da una pena di 11 anni e tre mesi. In definitiva questo rito speciale risulta utilizzabile per la maggior parte dei procedimenti penali, abbracciando anche quelli relativi a delitti come il tentato omicidio, rapina, l'estorsione.
L'imputato e il pubblico ministero sussistendo tali presupposti, possono presentare la richiesta di patteggiamento e indicando la specie l'ammontare della pena. La richiesta può essere subordinata alla concessione della sospensione condizionale se la misura della pena non eccede i limiti previsti per l'applicabilità di tale istituto.
Quanto al ruolo del giudice di fronte alla richiesta presentata dalle parti, il giudice deve innanzitutto vagliare, sulla base degli atti, se non debba pronunciare una sentenza di proscioglimento. Non ricorrendo tale situazione, il giudice verificherà la correttezza:
- della qualificazione giuridica del fatto;
- dell' applicazione delle circostanze;
- della loro comparazione.
Inoltre qualora sia stata richiesta la sospensione condizionale della pena, vaglierà se tale istituto sia applicabile nel caso concreto.
Soggiacciono al controllo del giudice,fra l’altro, alcuni momenti di commisurazione della pena in senso lato. Il giudice potrà rigettare la richiesta formulata delle parti in quanto ritenga scorretta l'applicazione che esse hanno operato di circostanza a struttura discrezionale (attenuanti generiche); ovvero in quanto non condivida le conclusioni tratte in sede di bilanciamento delle circostanze; o ancora in quanto non ritenga di poter formulare sull'imputato la prognosi favorevole alla quale l’articolo 164 c.p. subordina l'applicabilità della sospensione condizionale della pena. Il giudice a seguito della sentenza della corte costituzionale del 1990 n. 313, dovrà valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole valutazione. La corte costituzionale così ha restituito al giudice una funzione di controllo sul trattamento sanzionatorio concordato tra le parti, anche in relazione alla specie e all'ammontare della pena base e alla diminuzione fino ad un terzo di cui all'articolo 444 c.p.p.
Qualora l'accordo tra l'imputato il pubblico ministero abbia portato ad un trattamento sanzionatorio incoerente rispetto agli scopi della costituzione attribuisce la pena il giudice potrà rigettare la richiesta avanzata dalle parti e disporre che si proceda con rito ordinario.
La riduzione di pena fino ad un terzo prevista come corrispettivo per il consenso da parte dell'imputato ad un rito più rapido e mero garantito di quell'ordinario non cessa comunque di esporsi a censure radicali sul piano politico-legislativo. Si tratta infatti di un mero prezzo che il diritto penale sostanziale deve pagare ad esigenze di funzionalità del processo. In particolare la riduzione di pena non può trovare alcuna giustificazione nella funzione specialpreventiva della pena: fortemente incentivata dall'ordinamento, la scelta di strategia processuale riflette un calcolo di opportunità, del tutto inidoneo a proiettare una luce favorevole sulla prognosi relativa al futuro comportamento del soggetto.
Sul versante della prevenzione generale, il deficit di severità potrebbe risultare compensato da un incremento di prontezza e di certezza della punizione; non può però trascurarsi il ruolo centrale che nel quadro della prevenzione generale compete alla funzione di orientamento culturale. Sotto quest'ultimo profilo l'applicazione della pena su richiesta delle parti è destinata a produrre effetti gravemente negativi. E infatti non si comprende come i consociati possono interiorizzare giudizi di valore espressi dal legislatore attraverso le comminatorie di pena in un sistema nel quale la concreta misura della sanzione può risultare fortemente divaricata, per reati dello stesso tipo, a seconda del rito, e del quale, d'altro canto,una pena di eguale specie ed ammontare può essere inflitta per un reato grave o per un reato lieve alla sola condizione che per il primo si proceda con il patteggiamento e per il secondo nelle forme ordinarie. (Anche il procedimento speciale del rito abbreviato prevede la riduzione di pena nella misura fissa di un terzo. Nel procedimento per decreto riservato reati fruibili in concreto con pena pecuniaria su richiesta del pubblico ministero la pena può essere diminuita fino alla metà del minimo edittale).
Ordinamento penitenziario e di esecuzione delle pene detentive.
L'evoluzione della normativa penitenziaria.
La costituzione del 1948 impegna il legislatore a orientare la pena verso la finalità di rieducazione del condannato, verso l'obiettivo del suo reinserimento nella società. La legge sull'ordinamento penitenziario e il relativo regolamento di esecuzione si sono sforzati di dar vita ad un sistema penitenziario rispondente alle indicazioni costituzionali.. Il legislatore del 1985 in primo luogo si è preoccupato di arginare l'azione desocializzante del carcere, risparmiando a chi vi faccia ingresso brutali effetti di annientamento della personalità e rovinose forme di contagio criminale. In quest'ottica si prevede che il detenuto sia dotato di abiti propri, possa acquistare cibo, provvedere all'igiene personale e fruire di una sfera di riservatezza. In secondo luogo il legislatore ha cercato di salvaguardare alcuni rapporti tra il condannato e la società, aprendo il carcere verso l'esterno durante l'esecuzione attraverso colloqui telefonici, contatti riservati con i parenti, accesso ai giornali, radio e televisione.
La legge sull'ordinamento penitenziario delinea i principi di un positivo trattamento del condannato, volto a modificarne gli atteggiamenti che siano di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale. Infine fanno la loro comparsa nell'ordinamento gli istituti dell'affidamento in prova e della semilibertà, nei quali si sposta sensibilmente il tradizionale punto di equilibrio fra esigenze di neutralizzazione e istanze di non desocializzazione.
Una tappa nell'evoluzione dei contenuti della pena detentiva è segnata dalla legge del 10 ottobre 1986 n. 663, recante modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.(legge Gozzini). Tra le innovazioni più significative, nella sfera delle misure alternative, si pensi alla misura della detenzione domiciliare, con l'ampliamento dell'ambito applicativo dell'affidamento in prova e della semilibertà. In relazione al trattamento dei condannati a pena detentiva basterà pensare alla più piena adesione all’idea di esecuzione progressiva e ai permessi premio. Questi ultimi si dividono in due distinte forme: a) permessi ispirati ad esigenze di umanizzazione della pena, che possono essere accordati nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente ovvero eccezionalmente per altri eventi familiari di particolare gravità; b) permessi premio finalizzati a scongiurare gli effetti desocializzanti del carcere e a garantire l'ordine e disciplina al suo interno, che vengono concessi per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolosi. I permessi del primo tipo hanno carattere eccezionale, quelli del secondo rispondono all'idea dell'esecuzione progressiva della pena detentiva.
La legge del 27 maggio 1998 n. 165 (legge Simeone) riforma la disciplina delle misure alternative, proiettando gravissime incertezze sull'esecuzione delle pene detentive fino a tre anni. L'innovazione di maggior momento introdotto dalla legge Simeone riguarda la sospensione dell'esecuzione delle pene detentive fino a tre anni: a norma del nuovo articolo 656 comma 5 c.p.p., nel momento in cui la condanna diviene definitiva il pubblico ministero, contestualmente all'ordine di esecuzione della pena, deve disporre la sospensione dell'esecuzione, a meno che il condannato non si trovi in stato di custodia cautelare in carcere: l'esecuzione della pena rimane sospesa per 30 giorni durante i quali condannato può proporre istanza di ammissione a una misura alternativa. Ulteriori innovazioni concernono la generale estensione alle pene residue dei limiti previsti dalla legge con riferimento alle pene inflitte, ai fini dell'ammissione alle misure alternative; l'espressa previsione della possibilità di applicare l'affidamento in prova prescindendo dall'osservazione della personalità in istituto nei confronti di tutti i condannati; un vistoso ampliamento dell'area applicativa della detenzione domiciliare.
Le riforme succedutesi a partire dal 1998 ampliano notevolmente l'ambito applicativo delle misure alternative fino a ricomprendervi forme di criminalità medio-grave. Tale ampliamento non è accompagnato dal necessario rafforzamento degli organi di polizia e del servizio sociale deputati al controllo e al sostegno del condannato. Né d'altro canto le riforme più recenti sembrano aver raggiunto l'obiettivo perseguito dal legislatore, di facilitare la formazione delle misure alternative da parte di soggetti socialmente più svantaggiati. Tutte queste riforme spingono il legislatore a varare nel 2001 un nuovo regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative limitative della libertà. Tra gli elementi di novità si segnalano alcune disposizioni concernenti il trattamento dei detenuti stranieri, a proposito dei quali si prevede che si tenga conto delle difficoltà linguistiche e delle differenze culturali. In sintesi a partire dal 1985 la pena detentiva va lentamente e faticosamente avvicinandosi al modello proposto dalla costituzione.
MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
Esse rappresentano degli istituti introdotti nel nostro ordinamento x combattere gli effetti dannosi delle pene detentive brevi,e sono:
Esse nn sn tipi autonomi di pene,bensì modalità di esecuzione della pena detentiva. Parlano in qst senso due ordini di considerazioni.
- In primo luogo l’applicazione delle misure alternative nn è disposta dal giudice di cognizione ke pronuncia la condanna e infligge la pena ,bensì da un giudice diverso,il tribunale di sorveglianza,in un momento successivo alla condanna:il p.m. deve disporre la sospensione dell’esecuzione della pena x un periodo di 30 gg durante il quale il condannato può proporre istanza di ammissione ad una misura alternativa.
- In secondo luogo l’applicazione delle misure alternative presuppone di regole l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva ,anke se le eccezioni a qst regola si sn fatte sempre più numerose.
Inoltre l’accesso alle misure alternative alla detenzione è precluso agli autori di una serie di reati di particolare gravità,che mantengono collegamenti cn la criminalità organizzata o eversiva.
L’AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
(ART. 47 o.p.) comporta che il condannato venga sottoposto ad un periodo di prova della durata pari a quella della pena detentiva da scontare:durante tale periodo egli soggiace ad una serie di obblighi e divieti e nel contempo è affidato servizio sociale ,che svolge funzioni di controllo e aiuto. Se la prova ha esito positivo si estingue la pena e viene meno ogni effetto penale della condanna. Il tribunale,all’atto dell’affidamento,può dettare prescrizioni relative ai rapporti del condannato cn il servizio sociale ,al lavoro,alla libertà di circolazione,e in particolare alla dimora ,al soggiorno in determinato luogo,alla frequentazione di determinate persone o locali. Qst catalogo tuttavia nn è vincolante,poiché al condannato può essere imposta qualsiasi prescrizione che gli impedisca di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare alla commissione di ulteriori reati. Il tribunale di sorveglianza è invece tenuto a disporre che l’affidato si adoperi in qnt possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.
L’ambito operativo dell’affidamento in prova parrebbe circoscritto ai condannati ad una pena detentiva nn superiore a tre anni :infatti l’art. 47 o.p. dispone che la pena definitiva inflitta nn deve superare tre anni. Pena inflitta è la pena da espiare in concreto,al netto della parte già espiata o altrimenti estinta.
Per l’ammissione alla misura alternativa nn è più necessario che il condannato abbia trascorso un periodi in carcere x l’osservazione della sua personalità,così come ha stabilito la legge Simeone.
Per potere concedere l’affidamento in prova ,è necessario che il tribunale di sorveglianza ritenga che il provvedimento contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati,la discrezionalità del giudice in materia di affidamento in prova deve ,dunque , esercitarsi in base ad un esclusivo criterio di prevenzione speciale ,nella duplice forma della rieducazione e neutralizzazione.
Tale discrezionalità si manifesta anke in ordine alla revoca:un comportamento del condannato contrario alla legge o alle prescrizioni che gli sn state imposte può comportare la revoca ,qnd la violazione commessa dal condannato appaia incompatibile cn la prosecuzione della prova. In qst caso spetta al tribunale di sorveglianza determinare la residua pena detentiva da espiare tenuto conto della durata delle limitazioni patite dal condannato e dal suo comportamento durante il trascorso periodo di affidamento in prova.
L’affidamento in prova può assumere nella prassi connotati ben diversi a seconda della gamma di contenuti che gli vengono attribuiti dal magistrato di sorveglianza e soprattutto a seconda del ruolo effettivamente svolto dal servizio sociale. Infatti se il servizio nn è in grado ne di assicurare un effettivo controllo ,ne un aiuto reale ai fini del suo inserimento in società,la misura alternativa risulta una sorta di sospensione condizionale mascherata. Inoltre così come strutturato l’affidamento finisce cn il reclutare i propri destinatari nn tra gli emarginati,ma tra i soggetti perfettamente inseriti in società,imprenditori,dirigenti di società,uomini politici..
Forme speciali di affidamento in prova sn previste una x i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria e l’altra x i tossicodipendenti e gli alcoldipendenti. Tali istituti si caratterizzano x la più ampia sfera di applicabilità rispetto all’ affidamento in prova comune: x i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria nn è previsto alcun limite di pena concreta,mentre x i tossicodipendenti e alcoldipendenti il limite è fissato a 4 anni. Le due misure inoltre hanno carattere prevalentemente terapeutico.
LA DETENZIONE DOMICILIARE
(art. 47 o.p. ter) comporta l’espiazione della pena detentiva nell’abitazione del condannato,o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura ,assistenza o accoglienza.
Il condannato è sottoposto a prescrizioni fissate dal tribunale di sorveglianza:il condannato nn deve allontanarsi dal luogo in cui espia la pena e inoltre il giudice ove lo ritenga necessario nn deve comunicare cn persone diverse da quelle che cn lui coabitano o lo assistono.
Se si allontana dal luogo in cui sta espiando la pena,il condannato in regime di detenzione domiciliare risponde di una nuova forma di evasione punibile ai sensi dell’art. 385 c.p.,che comporterà anke la revoca della misura. (Qnt al controllo sul condannato la legge prevede la possibilità che si faccia ricorso a mezzi elettronici o ad altri strumenti tecnici:qualora le autorità dispongano di quegli strumenti e il condannato accetti di essere sorvegliato elettronicamente.)
Il campo di applicazione di qts misura si è progressivamente allargato ed è difficile individuare una logica comune alle varie ipotesi previste dalla legge.
In qst casi la detenzione può essere disposta a condizione ke la pena da espiare se si tratta della reclusione nn superi il limite di 4 anni;nessun limite è invece previsto x quella dell’arresto.
Può essere concessa alle medesime condizioni anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o assolutamente impossibilitata,e nn vi è altra probabilità di affidare la prole.
La specialità consiste nel fatto che nn è previsto un limite di pena residua da espiare,purché sia stato espiato almeno un terzo della pena inflitta ,oppure 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo. Inoltre è data al condannato la possibilità di trascorrere un certo periodo di tempo all’esterno del domicilio.
Nata come misura di carattere eccezionale ,la detenzione domiciliare ha cambiato pelle,e si è trasformata in un ulteriore strumento di deflazione della popolazione carceraria ,che x la vertiginosa crescita delle sue applicazioni ,prospetta oggi seri problemi di effettività. Anzi sembra tradursi in una totale rinuncia all’esecuzione della pena.
LA SEMILIBERTA’
(Art 48 o.p.)Il condannato deve trascorrere la maggior parte della sua giornata all’interno di un istituto di pena ,salvo uscirne il tempo necessario per partecipare ad attività lavorative o cmq utili al reinserimento sociale. In qst fase è sottoposto alle prescrizioni fissate dal tribunale di sorveglianza nel provvedimento che lo ammette alla semilibertà.
La semilibertà è fondamentalmente un correttivo agli effetti desocializzanti della pena detentiva ,che di regola interviene dopo l’espiazione in forma chiusa di una parte di pena,secondo il modello della c.d. esecuzione progressiva delle pene detentive. Infatti l’art. 50 o.p. dispone che l’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento,qnd vi sono le condizioni x un graduale reinserimento in società. La prospettiva dell’ammissione alla semilibertà può agire come stimolo x il condannato al rispetto delle regole di buona condotta carceraria,garantendo ordine all’interno dell’istituzione penitenziaria ,e nel contempo incentiva il detenuto ad assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti della proposta rieducativa che l’ordinamento gli rivolge.
Per il passaggio all’esecuzione chiusa della pena detentiva alla semilibertà,la legge richiede che il condannato alla reclusione in misura superiore ai sei mesi abbia espiato almeno metà della pena,mentre il condannato all’ergastolo richiede almeno 20 anni di pena. L’espiazione di metà della pena nn è però necessaria x i condannati fino a 3 anni,qnd il condannato abbai chiesto l’affidamento in prova al servizio sociale e il tribunale ritenga di nn accogliere quella richiesta ,ma di poter ammettere il condannato al regime di semilibertà.
In via d’eccezione la semilibertà può essere applicata fin dall’inizio qnd si tratti di condannato alla pena dell’arresto o della reclusione nn superiore ai 6 mesi.
La revoca può essere disposta in ogni tempo qnd il soggetto nn si appalesi idoneo al trattamento. Una formula che lascia ampia discrezionalità al tribunale di sorveglianza,che dovrà tener conto anke delle eventuali violazioni delle prescrizioni imposte al condannato.
Se il condannato nn fa ritorno in istituto senza giustificato motivo e l’assenza nn supera le 12 ore il condannato è punito in via disciplinare e può essere proposto x la revoca ,se invece l’assenza supera le 12 ore il condannato risponderà di evasione punibile ai sensi dell’art. 385 c.p. e la condanna x qst delitto comporterà la revoca del regime di semilibertà.
L'esecuzione della pena detentiva predisponente della criminalità organizzata.
Se l'evoluzione della pena detentiva nel nostro ordinamento può dirsi segnato da un cospicuo sforzo di attuazione dell’idea rieducativa, bisogna sottolineare che per una limitata fascia di destinatari, è andato progressivamente individuandosi, anche un modello di pena detentiva prevalentemente ispirato da una logica di neutralizzazione. L’insieme della normativa penitenziaria risulta così suddivise in due sottoinsiemi. Il primo riguarda i condannati per i reati di criminalità comune, che si è progressivamente avvicinato al modello proposto dalla costituzione all'articolo 27; il secondo sottoinsieme, formatosi per effetto della legislazione d'emergenza sul tipo del condannato per reati di criminalità organizzata privo dello status di collaborante, muove dalla considerazione che il condannato per reati di criminalità organizzata, che mantenga collegamenti con le organizzazioni criminali, è naturalmente incapace di essere aiutato dallo Stato, nel corso dell'esecuzione della pena, a reinserirsi in società nel rispetto della legge. Questa disciplina non confligge dunque, in linea di principio, con il precetto costituzionale dell'articolo 27 comma 3, ma ne esprime un limite logico: nei confronti dei destinatari di questa disciplina appare impraticabile ogni tentativo di recupero attraverso la pena.
Questa disciplina differenziata dell'esecuzione della pena detentiva è stata introdotta a partire degli anni 90 dalla legislazione d'emergenza: si è delineato in primo luogo il sistema di preclusioni che impediscono o ritardano l'accesso di determinate categorie di condannati all'ordinario sistema dei benefici penitenziari. Più precisamente l'accesso alle misure alternative, al lavoro all'esterno e ai permessi premio, risulta precluso:
1. ai detenuti o internati per alcuni reati di particolare gravità(associazione mafiosa, sequestro di persona a scopo di estorsione...) salvo che siano collaboratori di giustizia o ricorrano altri elementi che escludono l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata;
2. ai detenuto internati per altri gravi reati( omicidio doloso, rapina aggravata, estorsione aggravata...), qualora vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva;
3. ai detenuti o internati per delitti dolosi, quando il procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale comunica l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata: in questo caso la preclusione riguarda anche l'accesso alla liberazione anticipata.
Su questa linea si orienta il legislatore con la legge Simeone escludendo, fra l'altro i condannati per i delitti di cui all'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario dalla sospensione dell'esecuzione della pena detentiva a norma del nuovo articolo 656 c.p.p.
In secondo luogo, nei confronti degli autori dei reati di cui all'articolo 4 bis o.p. E se ricorrano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un associazione criminale, terroristica o eversiva, l'ordinamento penitenziario prevede penetranti limitazioni dei rapporti all'interno del carcere delle comunicazioni tra detenuti e società esterna: si tratta di quello che viene spesso designato come carcere duro.
La relativa disciplina contenuta nell'articolo 41 bis o.p.. Il legislatore del 1992 prevedeva la cessazione della sua efficacia dopo tre anni ma il termine è stato a più riprese prorogato finché la disciplina è stata resa definitiva. Quanto alla durata del carcere duro può essere disposto per periodi compresi tra 1 e 2 anni con possibilità di proroghe annuali.
L'ipotesi di rinvio dell'esecuzione della pena.
Il codice penale prevede una serie tassativa di ipotesi nelle quali, eccezionalmente, il giudice deve rinviare l'esecuzione della pena (rinvio obbligatorio: articolo 146) ovvero può rinviarla (rinvio facoltativo: articolo 147). Assume particolare ed autonoma rilevanza l'ipotesi dell'infermità mentale sopravvenuta alla condanna che riceve un articolata disciplina ad hoc nell’art. 148 c.p.
Il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena.
L'ipotesi di rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena, a norma dell'articolo 146, riguardano:
- la donna incinta, senza limiti inerenti al periodo di gestazione;
- la madre di infante di età inferiore ad un anno;
- la persona affetta da aids conclamata, da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione, quando la persona si trovi in una fase della malattia tale da non rispondere più trattamenti disponibili e alle terapie curative.
Il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena.
Il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena, affidato alla discrezionalità del giudice, è previsto ex articolo 147 delle ipotesi in cui:
1- è stata presentata domanda di grazia;
2- la pena detentiva deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;
3- la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore ai 3 anni.
In tutte queste ipotesi,il provvedimento di rinvio non può essere adottato ,ovvero deve essere revocato ,qualora sussista il concreto pericolo della commissione di delitti.
Quanto all’ipotesi n. 1 che riguarda il caso in cui fu presentata domanda di grazia, interessa qualsiasi pena principale, anche pecuniaria.
La seconda ipotesi di rinvio riguarda il condannato a pena detentiva che si trova in condizioni di grave infermità fisica. Il relativo giudizio viene ancorato dalla corte di cassazione a due requisiti concorrenti. Il primo è costituito dalla gravità oggettiva della malattia, implica anche un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose. Il secondo requisito consiste nella possibilità di fruire, in stato di libertà, di cure trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci di quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente mediante ricovero in altri luoghi esterni di cura. Stabilisce infatti la disposizione dell'articolo 11 o.p. che ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestate dei servizi sanitari degli istituti,i condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del magistrato di sorveglianza,in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura.
La personalità del giudice nel valutare le condizioni di grave infermità fisica, si traduce in una varietà di decisioni prive di plausibili spiegazioni. In giurisprudenza il differimento dell'esecuzione della pena è stata infatti concesso tra l'altro, in un caso in cui coesistevano infermità cronicizzate dell'apparato respiratorio, ipertrofia prostatica, e algie al rachide lombosacrale. Il differimento è stata invece negato nei seguenti casi: detenuto colpito da triplice infarto e già sottoposta intervento chirurgico per l'applicazione di più by-pass; insufficienza cardiaca postinfartuale, ipertensione arteriosa.
Quanto alla terza ipotesi di rinvio facoltativo relativa alla madre di prole di età inferiore a tre anni, al rinvio dell'esecuzione sono connesse alcune ipotesi di revoca: il provvedimento di rinvio dell'esecuzione deve essere revocato nel caso in cui la madre decada dalla potestà sul figlio,un figlio muoia, sia abbandonato, ossia affidato ad altri che la madre. Al pari del rinvio facoltativo può applicarsi oltre che alle pene detentive, anche alla semidetenzione, alla libertà controllata, alla permanenza domiciliare e al lavoro di pubblica utilità.
Rinvio dell'esecuzione della pena detenzione domiciliare.
In tutti i casi in cui può essere disposto il rinvio dell'esecuzione della pena ex articolo 146 oppure ex articolo 147, il tribunale di sorveglianza ha ora l'ulteriore possibilità di ammettere il condannato alla misura alternativa della detenzione domiciliare. L'articolo 47 ter o.p., nella versione del 98, dispone: quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante l'esecuzione della detenzione domiciliare.
Infermità psichica sopravvenuta alla condanna.
Un ulteriore ipotesi di rinvio, (o di sospensione), dell'esecuzione della pena detentiva era prevista dall'articolo 148, il quale così dispone: se, prima dell'esecuzione della pena restrittiva della libertà personale o durante l'esecuzione, sopravviene al condannato una infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l'infermità sia tale da impedire l'esecuzione della pena, ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura e di custodia. Il giudice può disporre che il condannato, invece che in un ospedale psichiatrico giudiziario, sia ricoverato in un ospedale civile, se la pena inflittagli sia inferiore a tre anni di reclusione o di arresto, e non si tratti di delinquente o contravventore abituale professionale o di delinquente per tendenza.
Il provvedimento di ricovero è revocato e il condannato è sottoposto all'esecuzione della pena, quando sono venute meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento.
Con una scelta innovativa rispetto alle legislazione previgente,il codice penale del 1930 disciplina in modo autonomo l'ipotesi in cui l'infermità sopravvenuta al condannato sia di natura psichica. La previsione del rinvio e della sospensione ex articolo 148 sempre espiata la salvaguardia non tanto di esigenze terapeutiche del condannato, quanto dell'economia della funzionalità dell'esecuzione. Il ricovero in ospedale psichiatrico avviene non quando le strutture sanitarie del carcere siano inadeguate a curare il condannato, ma allorché l'infermità sia tale di impedire l'esecuzione della pena. Inoltre la scelta restituzioni giudiziaria o comune dipende, dal tipo di condanna subita e dal tipo d'autore coinvolto; infine il provvedimento di ricovero è revocato quando sono venute meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento.
La natura del provvedimento di cui all'articolo 148 è stata profondamente innovata ad opera della corte costituzionale. La corte ha infatti dichiarato l'illegittimità dell'articolo 148 nella parte in cui prevede che il giudice, nel disporre il ricovero dal condannato in un ospedale psichiatrico giudiziario, in una casa di cura e di custodia ovvero in un ospedale civile, ordini la sospensione della pena: tale disciplina,secondo la corte, viola il principio costituzione di eguaglianza, comportando un irragionevole disparità di trattamento tra il condannato e l'imputato colpito da infermità mentale sopravvenuta, a beneficio del quale la giurisprudenza prevalente ammettevano lo scomputo del periodo di ricovero dai termini massimi di custodia preventiva. Con tale decisione la corte, ha finalmente imposto lo scomputo del periodo di internamento: ha imposto che il periodo trascorso dal condannato nell’ospedale psichiatrico giudiziario, nella casa di cura e custodia o dell'ospedale civile, valga come esecuzione della pena. Con conseguenza che oggi può affermarsi che l'articolo 148 non prevede più un rinvio dell'esecuzione della pena, ma un mutamento del suo regime esecutivo.
LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA
Una volta che è assodato nel caso concreto,che sn assenti le condizioni che,in base alla legge,rendono inopportuno punire un fatto antigiuridico e colpevole,l’epilogo diventa obbligato:se il punire è acquisito irreversibilmente è necessario pronunciare sentenza di condanna ,cn il relativo corredo di pene che va eseguito.
Considerazioni di opportunità possono tuttavia trovare spazio nella valutazione legislativa anche dopo la pronuncia della condanna e l’inflizione delle pene,nel senso di impedire l’esecuzione ,in tutto o in parte,delle pene principali o talvolta anche delle pene accessorie ovvero,di rado ,nel senso di paralizzare gli effetti penali della condanna.
Con il nome di cause di estinzione della pena il legislatore designa una serie di istituti che,intervenendo dopo la pronuncia della condanna e ‘inflizione delle pene,ne impediscono in tutto o in parte l’esecuzione o precludono il prodursi di tutti gli effetti penali della condanna o di parte di essi.
Nel caso di concorso di cause estintive che intervengono contemporaneamente opera la causa più favorevole,cioè quella che ha un più ampio effetto estintivo,ma le eventuali sanzioni residue potranno essere estinte dalle altre cause in concorso.
Nel caso di concorso di cause estintive che intervengono in tempi diversi deve trovare applicazione la causa estintiva intervenuta x prima,si applicheranno anche quella o quelle successive,x far cessare l’esecuzione delle pene che nn sia ancora estinte in conseguenza della causa antecedente.
Si pone il problema che x lo più nn trova risposta espressa nella legge,dell’applicabilità al delitto tentato delle esclusioni di taluni tipi di reato dal campo di applicazione di cause di estinzione come l’amnistia propria e l’indulto. E’ un problema dibattuto in dottrina e in giurisprudenza da risolversi nel senso che le esclusioni abbracciano anche il delitto tentato ,vuoi xkè il tentativo nn è un tipo a se ,ma solo una particolare forma di manifestazione di una figura di reato ,che si realizza tanto nella forma consumata che tentata ,vuoi xkè la ratio politica criminale dell’esclusione di un determinato tipo di reato dal campo applicativo di una causa di estinzione risiede nel peculiare disvalore di quel tipo di reato,che è qualitativamente invariato sia che il delitto giunga a consumazione sia che si arresti allo stadio del tentativo.
Un ulteriore problema è quello se l’inclusione di un ipotesi aggravata di reato nell’area applicativa di cause di estinzione come l’amnistia propria o l’indulto venga meno qnd la circostanza aggravante risulti elisa nel giudizio di bilanciamento cn una o più circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 69 c.p. La giurisprudenza unanime risponde negativamente,e a ragione:l’esclusione permane,xkè il suo fondamento politico-criminale è l’oggettiva astratta gravità dell’ipotesi circostanziata,che nn viene intaccata dall’eventuale presenza di una o più circostanze attenuanti,che potranno incidere solo sulla misura della pena da infliggere nel caso concreto.
L’AMNISTIA IMPROPRIA(provvedimento generale di clemenza)
Essa interviene dopo la sentenza definitiva di condanna.
Qst differenza temporale spiega la più limitata efficacia di qst forma di amnistia:la sentenza definitiva di condanna comporta l’affermazione della responsabilità x un determinato reato e l’inflizione delle relative pene,cosicché l’intervento dell’amnistia in qst fase può solo impedire in misura più o meno ampia,l’esecuzione delle pene. L’amnistia impropria fa cessare l’esecuzione delle pene principali e delle pene accessorie,mentre nn estingue gli effetti penali della condanna.
Anche le figure di reato interessate dall’amnistia impropria vengono di regola individuate dalla legge cn riferimento al massimo della pena edittale. Possono essere previste esclusioni x tipo di reato,salvo diversa previsione contenuta nella singola legge di amnistia,il provvedimento nn si applica ai recidivi,nei casi di recidiva aggravata o reiterata,ne ai delinquenti abituali,professionali o x tendenza(art. 151 c.p.).
L’amnistia impropria è applicata dal giudice dell’esecuzione e può essere sottoposta ,ove lo preveda la singola legge,a condizioni o obblighi. Può trattarsi di condizioni sospensive ,nel qual caso il giudice dell’esecuzione deve sospendere l’applicazione dell’amnistia fino al verificarsi della condizione imposta,ovvero di condizioni risolutive ,nel qual caso al verificarsi della condizione il giudice dovrà revocare il provvedimento cn il quale ha applicato l’amnistia.
LA MORTE DEL REO
La morte del reo avvenuta dopo la condanna estingue la pena principale,le pene accessorie e ogni effetto penale della condanna:l’unica sanzione penale di cui può continuare l’esecuzione è la confisca,trattandosi di una misura di sicurezza che colpisce le cose e nn la persona del condannato.
La morte del reo nn comporta l’estinzione delle obbligazioni civili nascenti dal reato ad eccezione di quelle inerenti alle spese di mantenimento in carcere del condannato ,nonché dell’obbligo di rimborsare le spese del processo penale.
LA PRESCRIZIONE DELLA PENA
Il decorso di un certo lasso di tempo dalla condanna irrevocabile determina l’estinzione di tutte le pene principali,ad eccezione dell’ergastolo;nn si estinguono invece ne le pene accessorie,ne gli effetti penali della condanna. Nel caso sia iniziata l’esecuzione della pena,e l’esecuzione si interrompa x un fatto volontario del condannato,la prescrizione inizia a decorrere dal giorno successivo a quello in cui il condannato si è volontariamente sottratto all’esecuzione.
La pena della reclusione si estingue in un tempo pari al doppio della pena inflitta ,entro i limiti minimo e massimo di dieci e trent’anni;la pena della multa si estingue in 10 anni;se la multa è inflitta congiuntamente alla reclusione,la prescrizione matura x entrambe le pene nel tempo stabilito x la reclusione . Per pena inflitta si intende la pena da scontare in concreto,al netto delle eventuali diminuzioni derivanti da provvedimenti di clemenza. In caso di concorso di reati ,e di reato continuato,si deve far riferimento alla pena inflitta x i singoli reati.
Le pene dell’arresto e dell’ammenda si prescrivono in 5 anni .anche nell’ipotesi in cui siano applicate congiuntamente.
L’INDULTO
E’ un provvedimento di carattere generale,espressione del potere di clemenza originariamente attribuito al presidente della repubblica in forza di legge di delegazione del Parlamento,ma dal 1992,a seguito della riformulazione dell’art. 79 Cost. ,riservato in via esclusiva al Parlamento,che lo concede cn legge approvata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera.
La legge di concessione fissa il termine iniziale di applicazione dell’indulto,che nn può cmq essere applicato ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge; la legge individua inoltre i tipi di pena e la loro misura x l’applicabilità dell’indulto,eventualmente disponendo l’esclusione delle pene inflitte z alcune categorie di reati.
L’effetto dell’indulto è di condannare,in tutto o in parte,la pena principale inflitta cn la sentenza di condanna,ovvero di commutarla,cioè sostituirla cn un’altra pena meno grave.
Tutte le pene principali possono essere condannate o commutate:qnt alle pene accessorie,la regola fissata dal codice è nel senso che l’indulto nn si estende a qst tipologia di pene ,ma lo stesso codice fa salva la possibilità che il provvedimento di concessione dell’indulto disponga diversamente,come è spesso avvenuto nei provvedimenti di clemenza emanati nel dopoguerra. Per contro,l’indulto nn estingue gli effetti penali della condanna.
L’indulto è applicato dal giudice dell’esecuzione(indulto proprio).Qnd invece lo applica il giudice di cognizione al momento della pronuncia della condanna,gli effetti estintivi si verificano solo al momento del passaggio ingiudicato della sentenza(indulto improprio).In tal caso l’applicazione dell’indulto è provvisoria e condizionata alla formazione del giudicato.
Per impedire che ciascun condannato possa usufruire dell’indulto in misura superiore a quella fissata dalla legge ,l’art. 174 c.p. fissa anche x l’applicabilità dell’indulto una serie di preclusioni soggettive,che riguardano il recidivo aggravato o reiterato e che sia stato di8chiarato delinquente abituale professionale o x tendenza. Del pari anke l’indulto può essere revocato se la legge che lo concede prevede condizioni risolutive. Qualora invece,l’indulto venga sottoposto dalla legge che lo concede a condizioni sospensive,l giudice dell’esecuzione sospende l’applicazione dell’indulto finché la condizione nn sia stata adempiuta entro il termine fissato dalla legge.
LA GRAZIA
E’ un provvedimento di clemenza individuale che si rivolge cioè ad uno o più singoli condannati ,e la cui concessione è riservata ,ai sensi dell’art. 87 cost. al presidente della repubblica. La grazia oltre che essere richiesta dal condannato o da una cerchia di soggetti indicati dall’art. 681 c.p.p. può essere concessa dal presidente della repubblica anche in assenza di domanda. Si discute se la controfirma del ministro della giustizia,necessaria x la validità dell’atto ai sensi dell’art 89 cost. ,valga a subordinare la concezione della grazia all’assenso del ministro.
L’effetto estintivo della grazia può consistere sia nel condono totale o parziale della pena inflitta ,sia nella commutazione in un'altra e meno grave specie di pena. La grazia è limitata alle sole pene principale,mentre si estende alle pene accessorie solo se il singolo decreto del presidente disponga in qst senso. Invece nn estingue ,in ogni caso,gli effetti penali della condanna.
Il legislatore prevede che il provvedimento di grazia sia sottoposto a condizioni(es: risarcimento del danno causato dal reato…):l’inadempimento della condizione porta alla revoca della grazia;in tal caso il condannato dovrà espiare la pena o parte di essa a suo tempo condonata,ovvero dovrà espiare la pena originariamente inflitta al posto di quella sostituita cn il provvedimento di grazia.
LA NON MENZIONE DELLA CONDANNA NEL CERTIFICATO DEL CASELLARIO GIUDIZIALE.
Il casellario giudiziale permette di ricostruire la storia personale del condannato nei suoi rapporti cn la giustizia penale,indispensabile x la commisurazione della pena,x il giudizio sulla capacità e delinquere e x gli effetti penali della condanna.
La certificazione dei precedenti del soggetto però può anke avere l’effetto della stigmatizzazione ,qualora il certificato venga chiesto da un privato. Si comprende così la finalità dell’istituto della nn menzione della condanna nel certificato nel casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati:evitando che la condanna venga resa nota in un determinato ambiente sociale ,si evita il pregiudizio al buon nome della persona e in particolare nn si compromettono le sue possibilità di lavoro.
Qst istituto incide nn sulle pene principali o accessorie ,bensì su un effetto penale della condanna:la menzione nel certificato rilasciato a richiesta dei privati.
Perché il giudice la disponga sn necessari alcuni requisiti:
La nn menzione della condanna può altresì essere concessa qualora siano inflitte congiuntamente una pena detentiva nn superiore ai due anni e una pena pecuniaria che ragguagliata a norma dell’art 135 c.p. e cumulata alla pena detentiva priverebbe complessivamente il condannato della libertà personale x un tempo nn superiore a trenta mesi,cioè 2 anni e mezzo.
La nn menzione della condanna è soggetta a revoca,allorché il condannato il qualunque tempo ,commetta un nuovo delitto di qualsiasi specie o gravità. La revoca è disposta dal giudice che pronuncia la condanna x il nuovo delitto,anke nell’ipotesi in cui si proceda ex art. 444 c.c.p. ;qualora il giudice di cognizione nn vi abbia provveduto ,competente a disporre la revoca è il giudice dell’esecuzione.
LA LIBERAZIONE CONDIZIONALE
E’ l’espressione dell’idea dell’esecuzione progressiva. Può essere applicata solo alle pene di lunga durata,ossia a chi ha scontato almeno trenta mesi e cmq almeno metà della pena inflittagli,l’art. 176 c.p. esclude l’applicabilità di tale istituto alle pene detentive di ammontare inferiore ai 5 anni. In qst senso la relazione al progetto definitivo del codice penale parla della liberazione condizionale come di un opportuno correttivo x le pene di lunga durata.
La liberazione condizionale è inquadrata tra le cause estintive della pena. Si tratta di una causa sospensiva dell’esecuzione di una parte della pena principale inflitta,cui segue l’estinzione della pena nel caso in cui il liberato condizionalmente superi la prova alla quale è sottoposto:nel periodo corrispondente alla durata della pena residua o entro i 5 anni dal provvedimento di liberazione condizionale,nn deve commettere un ulteriore delitto o contravvenzione e nn deve violare gli obblighi impostigli cn la libertà vigilata.
Le condizioni necessarie xkè il condannato possa essere ammesso alla liberazione condizionale riguardano in primo luogo l’ammontare della pena già scontata:trattandosi della pena dell’ergastolo il condannato deve aver scontato almeno 26 anni di pena;trattandosi della pena della reclusione o dell’arresto ,il condannato deve aver scontato almeno 30 mesi e cmq almeno metà della pena inflittagli. Se poi si tratta di recidivo aggravato o reiterato le condizioni x l’ammissione alla liberazione condizionale sono più gravose:il condannato deve aver scontato almeno 4 anni di pena e nn meno di tre quarti della pena inflittagli.
Una seconda condizione che limita il campo applicativo della liberazione condizionale nei confronti del condannato a pena detentiva temporanea riguarda l’ammontare della pena residua,che nn deve superare i 5 anni.
Terza condizione x poter fruire della liberazione condizionale è l’aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato. Qst condizione nn opera, x espressa indicazione legislativa,qnd il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierla.
Quarta condizione è che il condannato durante il tempo di esecuzione della pena,abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. E’ una condizione che implica l’accertamento di un processo interiore di modificazione degli atteggiamenti del condannato. Il giudice si deve attenere ad indicatori esteriori tra i quali sembra doversi annoverare l’ammissione di colpevolezza del condannato(condizione necessaria ,ma nn sufficiente).
Alla concessione della liberazione condizionale consegue automaticamente la libertà vigilata.(art. 230 c.p.).Una volta che il giudice abbia disposto la liberazione condizionale,si aprono x il condannato due possibilità:
LA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA
E il più classico strumento a cui si è fatto ricorso nella lotta alla pena detentiva breve. Inizialmente era riservato a chi avesse riportato una condanna a pena nn superiore ai 6 mesi,successivamente i suoi limiti sn stai progressivamente aumentati fino a raggiungere il livello di 2 anni ,e di due anni e mezzo x i soggetti di età compresa tra i 18 e i 21 anni e x gli ultrasettantenni,e fino a 3 anni x chi era imputabile al momento della commissione del fatto ma minorenne. Tale ampliamento si giustifica sia cn finalità di deflazione processuale,sia x evitare gli effetti criminogeni ke potrebbe avere una pena detentiva nn propriamente breve.
L’effetto della sospensione condizionale delle pena è quello di sospendere l’esecuzione delle pene inflitte cn la sentenza di condanna;l’effetto estintivo è solo condizionato e eventuale producendosi solo se il condannato supera la prova nel periodo fissato dalla legge. Qst istituto rappresenta l’opportuna rinuncia condizionata all’esecuzione della pena ,dal momento che i danni prodotti dall’esecuzione potrebbero risultare superiori ai benefici,x la società e il singolo condannato.
A seguito di una riforma del 2004,le forme di sospensione condizionale sono due:
L’applicabilità della sospensione condizionale della pena è subordinata alla presenza di una serie di presupposti che riguardano:
può trattarsi della reclusione o dell’arresto di ammontare nn superiore a 2 anni,ove il condannato nn avesse compiuto i 18 anni al momento del fatto,la pena detentiva può raggiungere i 3 anni;nel caso infine in cui il reato sia stato commesso da persona di età superiore agli anni 18,ma inferiore degli anni 21, ovvero da chi ha compiuto gli anni 70,la pena detentiva soggiace al limite massimo di 2 anni e 6 mesi.
La sospensione condizionale della pena può applicarsi anke in caso di condanna alla multa o all’ammenda,applicata da sola o congiuntamente alla pena detentiva:in qst caso ,il rispetto dei limiti su indicati andrà verificato ragguagliando la pena pecuniaria alla pena detentiva ex art. 135 c.p.
La sospensione della pena può essere disposta anke in caso in cui la pena detentiva inflitta sia stata sostituita in sede di condanna cn una qualsiasi pena sostitutiva:la semidetenzione,la libertà controllata o la pena pecuniaria In tal caso il giudice sospende l’esecuzione della pena sostitutiva.
L’art 164 individua alcune preclusioni soggettive all’applicabilità della sospensione condizionale della pena che riguardano:
- chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva x delitto
- chi è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale
- chi ha già fruito una prima volta della sospensione condizionale della pena ,a meno che la pena inflitta in occasione della nuova condanna,cumulata cn quella precedentemente inflitta ,rientri nei limiti fissati dall’art 163 c.p. In ogni caso la sospensione condizionale nn può essere concessa più di due volte.
Infine è necessario che il giudice formuli una prognosi favorevole sul futuro comportamento del reo ,ritenendo che si asterrà dal commettere ulteriori reati . Nel formulare la prognosi,il giudice dovrà tener conto dei criteri indicati nell’art. 133 c.p. e in particolare di quelli relativi alla capacità a delinquere:l’applicazione della sospensione dovrebbe dunque essere riservata a chi presenti una minima capacità a delinquere.
La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento di alcuni obblighi:restituzioni,pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno ,pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno,eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato cn le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.
A qst gamma di obblighi cn la legge 145\2004 sn stati aggiunti quelli della prestazione di attività nn retribuita a favore della collettività ,x un tempo determinato,cmq nn superiore alla durata della pena sospesa. La sua imposizione è subordinata alla nn opposizione del condannato. Per le sue modalità di esecuzione si fa riferimento alla disciplina del lavora di pubblica utilità.
In caso di seconda concessione,la sospensione condizionale della pena deve essere subordinata all’adempimento di almeno di uno degli obblighi su indicati. Prima della riforma del 2004 l’art 165 faceva salvo nel caso di impossibilità di adempiere l’obbligo . Ora è in ogni caso possibile imporre la condannato il nuovo obbligo di prestare un attività socialmente utile .Il termine x l’adempimento deve essere indicato dal giudice nella sentenza di condanna.
La previsione di qts obblighi ha un duplice scopo:qnt agli obblighi di natura patrimoniale si tratta di attenuare la reattività della vittima,compensando la domanda di punizione frustata dalla mancata esecuzione della pena;qnt all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e la nuovo obbligo di prestare un attività socialmente utile,lo scopo è quello di placare la reattività collettiva,mostrando che la mancata esecuzione della pena nn significa disinteresse x i beni giuridici offesi dal reato e in genere x gli interessi della collettività.
Anche la sospensione condizionale della pena è soggetta a revoca. La sua disciplina contenuta nell’art. 168 c.p. a seguito dio stratificazioni legislative o manipolazioni della corte oggi presenta un certo grado di ambiguità.
La revoca è obbligatoria in 5 ipotesi:
Negli ultimi 3 casi la revoca è obbligatoria solo se la pena applicata x il nuovo reato cumulata cn la precedente supera i limiti previsti dall’art 163 c.p.
Se i limiti nn vengono superati ,allora la revoca è facoltativa. Qst sia nel caso in cui il condannato a pena sospesa riporti una precedente condanna x un reato commesso anteriormente ,sia nel caso in cui commetta un altro reato.(la sentenza di patteggiamento costituisce titola idoneo x la revoca della sospensione condizionale precedentemente concessa).
Se nn interviene la revoca la prova alla quale è stato sottoposto il condannato ha avuto esito positivo e pertanto si produce l’effetto estintivo previsto dall’art. 167 c.p,.
Si estinguono lo pene principali e le pene accessorie,che nn potranno essere più eseguite. Permangono invece gli effetti penali della condanna.
* Nel 2004 è stata introdotta la sospensione condizionale della pena breve in qnt è previsto che l’esecuzione della pena rimanga sospesa x il periodo di un anno indipendentemente dalla circostanza che la condanna abbia ad oggetto un delitto ovvero una contraddizione.
Rispetto al modello ordinario rilevanti differenze di disciplina riguardano alcuni presupposti x l’applicabilità dell’istituto,e in particolare:
LA RIABILITAZIONE
Il suo effetto estintivo nn interessa la pena principale:la pena principale dev’essere interamente eseguita o altrimenti estinta e da quel momento devono trascorrere almeno trent’anni prima che possa essere concessa la riabilitazione.
L’effetto estintivo invece interessa le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna,salvo che la legge disponga altrimenti:qst clausola di riserva apre la strada ad alcune eccezioni,cioè espresse limitazioni degli effetti della riabilitazione,che riguardano le preclusioni alla concessione della sospensione condizionale della pena e del perdono giudiziale. La giurisprudenza ritiene che il beneficio della nn menzione possa essere reiterato allorché alla prima condanna sia seguita la riabilitazione.
Dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che concede la riabilitazione le pene accessorie e gli effetti penali della condanna nn possono ancora dirsi estinti,ma sono solo sospesi: si estingueranno definitivamente una volta decorso il periodo di tempo in cui sarebbe potuta intervenire la revoca.
La funzione primaria dell’istituto della riabilitazione è il reinserimento sociale del condannato:la riabilitazione elimina infatti gli ostacoli alla vita di relazione e allo svolgimento di attività lavorative creati sia dalle pene accessorie,sia gli effetti penali della condanna.
Secondo qnt disposto dall’art. 683 c.p.p. il provvedimento di riabilitazione può essere adottato solo a seguito di una espressa richiesta dell’interessato. Competente a concedere la riabilitazione è il tribunale di sorveglianza,che procede nelle forme del procedimento di esecuzione.
La riabilitazione presuppone che siano decorsi almeno 3 anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta .Il termine è di almeno 8 anni nei casi di recidiva aggravata ,recidiva reiterata e in tutti i casi di recidiva obbligatoria . I termini previsti dall’art. 179 c.p. sono così stati ridotti,rispetto alla previsione originaria ad opera della legge 145/2004.
Se si tratta di delinquente abituale ,professionale o x tendenza,il termine x la riabilitazione è di 10 anni e decorre dal giorno in cui è stato revocato l’ordine di assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro.
La riabilitazione può essere ordinata anche cn riferimento a condanne con cui sia stata ordinata la sospensione condizionale della pena. Se si tratta di sospensione concessa nella forma ordinaria il termine di almeno 3 anni decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione dell’esecuzione della pena,cioè dalla data in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile. Se invece la sospensione è stata concessa nella forma breve,la riabilitazione può essere concessa allo scadere del termine di un anno di prova ,che decorre dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
A norma dell’art. 179 c.p. è inoltre necessario che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Tale requisito,si presta però a interpretazioni diverse. Si tratta dall’accertamento di un dato di fatto,e nn di una prognosi su futuri comportamenti del soggetto;ne merita consenso quell’orientamento giurisprudenziale che identifica la buona condotta cn il compimento di atti che denotino emenda morale:contro qst lettura parla la stessa formula legislativa “buona condotta”,ben diversa da quelle adottate in relazione ad altri istituti. Per buona condotta deve intendersi un comportamento che nn comporti significative violazioni della legge penale.
La legge individua due condizioni ostative alla concessione della riabilitazione.
Il provvedimento di riabilitazione è soggetto a revoca cn conseguente reviviscenza delle pene accessorie e degli effetti penali interessati dalla riabilitazione :in particolare ,ad es. la precedente condanna tornerà a valere come precedente ai fini della recidiva.
Presupposto della revoca è la commissione di un delitto nn colposo entro 7 anni dalla sentenza definitiva che ha disposto la riabilitazione ,purché x il nuovo reato venga inflitta la reclusione nn inferiore ai 2 anni ovvero l’ergastolo.
La revoca è disposta dallo stesso giudice che pronuncia la condanna x il nuovo reato,ovvero dal tribunale di sorveglianza:si tratta di un provvedimento di diritto,nel senso cioè che è escluso ogni potere discrezionale del giudice competente.
CAPITOLO 14
LE MISURE DI SICUREZZA
Accanto alle pene il codice penale del 1930 contempla le misure di sicurezza, imperniate sull'idea di pericolosità: delle cose e delle persone. Su questa base il codice distingue tra misure di sicurezza personali e misure di sicurezza patrimoniali.
Le misure di sicurezza personali incidono sulla libertà personale e si rivolgono sia soggetti imputabili o semimputabili pericolosi, sia a soggetti non imputabili pericolosi.
Ai sensi dell'articolo 215 c.p. le misure di sicurezza personali si distinguono, in misure personali detentive e non detentive.
Le misure di sicurezza patrimoniali che incidono invece sul patrimonio sono la cauzione di buona condotta e la confisca.
Le misure di sicurezza personali: disciplina generale.
Le finalità politico-criminali delle misure di sicurezza detentive.
L’introduzione delle misure di sicurezza è stata presentata dalla dottrina, come il risultato di un compromesso tra le varie scuole del diritto penale: secondo questa ricostruzione la pena doveva svolgere una funzione solo retributiva, mentre la finalità di prevenzione di nuovi reati poteva e doveva essere assolta da una nuova tipologia di sanzioni, imperniate sul pericolo della commissione di nuovi reati. Sotto l'apparenza di questo dibattito, viene in realtà una motivazione politico-criminale che aveva già sorretto i progetti di riforma dei codici penali in vari paesi europei: in una fase storica in cui si registravano un'impennata nelle forme più gravi di criminalità, si mirava ad aggiungere alla pena un ulteriore e più penetrante strumento di contrasto della criminalità dei plurirecidivi.
Nei confronti di tali soggetti si trattava di predisporre una sanzione svincolata dai limiti garantistici propri della pena: in particolare, i limiti di durata imposti dal principio di legalità, il divieto di applicazione retroattiva e l'ancoraggio dell'ammontare della pena alla colpevolezza individuale.
In effetti le misure di sicurezza personali, correlate alla pericolosità, si affiancavano alla pena come un ulteriore pena a tempo indeterminato, suscettibile di applicazione retroattiva. Questo disegno emerge chiaramente dalla relazione del guardasigilli al progetto definitivo del codice penale, nella quale si legge che la necessità di predisporre nuovi, in ogni caso più adeguati mezzi di lotta contro le aggressioni all'ordine giuridico, da operarsi quando le pene siano da sole impari allo scopo, è ormai, universalmente riconosciuta.
È in definitiva corrente con questo disegno che le misure di sicurezza detentive riservate agli imputabili abbiano assunto nella prassi, i connotati di un ulteriore pena detentiva, che si cumula, a tempo indeterminato con la reclusione o con l'arresto (il sistema del doppio binario). Coglie nel segno, la critica radicale mossa alle misure di sicurezza detentive da parte di chi ha parlato in proposito di frode delle etichette, sottolineando che chi era stato privato della libertà personale a titolo di pena entrava in un altro stabilimento penitenziario con la stessa fisionomia a titolo di misura di sicurezza. Poi nel nostro paese, questa fronde del etichette ha coinvolto anche le misura di sicurezza detentive riservate semimputabili e ai non imputabili, sia adulti che minori. Tutte le relative istituzioni hanno assunto nella sostanza, i connotati di un carcere a tempo indeterminato.
La dubbia legittimità costituzionale delle misure di sicurezza detentive.
La costituzione dedica un'apposita previsione alle misure di sicurezza, sottoponendole al principio di legalità: riservando cioè al legislatore l'individuazione dei casi nei quali può essere applicata la misura di sicurezza. Questa disposizione non vincola il legislatore a prevedere, accanto alle pene, anche le misure di sicurezza, ma comporta soltanto che l'eventuale inserimento delle misure di sicurezza nel sistema delle sanzioni penali avvenga nel rispetto dei principi di legalità, così come stabilito nel codice penale all'articolo 199.
La costituzione attribuisce alla pena una preminente finalità di prevenzione speciale. La distinzione tra le due tipologie di sanzioni deve fondarsi su una diversità di contenuti: in tanto può legittimarsi la presenza di misure di sicurezza detentive, finalizzate al pari delle pene alla prevenzione speciale, in quanto, e solo in quanto, le misure abbiano contenuti specifici diversi. Se la misura di sicurezza detentiva è invece,una variante solo nominalistica della pena, come nella realtà del nostro ordinamento, si riduce a strumento per poter aggirare il principio di garanzia proprio delle pene: come tale, la previsione di misure di sicurezza detentive risulta incompatibile con la costituzione.
La delegittimazione di ogni misura di sicurezza detentiva che nella sostanza assuma i caratteri di una pena detentiva mascherata emerge anche dalla serie di interventi del legislatore e della corte costituzionale. La non distinguibilità delle misure di sicurezza detentive dalla pena restrittiva della libertà personale è, in primo luogo, registrata nel 1975 dalla riforma dell'ordinamento penitenziario, che tendenzialmente estende all'internato, la disciplina prevista per l'esecuzione della pena detentiva, così avallando la frode delle etichette. Nel 1988 il legislatore ha poi abolito quella forma di carcere minorile e riformatorio giudiziario, prevedendo che il minore venga affidato ad una comunità educativa. Sempre nell'88 il legislatore ha riconosciuto la fungibilità tra pene e misure di sicurezza, stabilendo la detraibilità della pena del periodo di tempo trascorso in esecuzione provvisoria di una misura di sicurezza detentiva. La corte costituzionale inoltre ha fortemente ridimensionato l'area applicativa dell'ospedale psichiatrico giudiziario, dapprima nel 98 escludendo i minori, e successivamente nel 2003 prevedendo in via generale la possibilità di applicare la libertà vigilata in luogo dell'ospedale psichiatrico giudiziario.
I due presupposti per l'applicazione delle misure di sicurezza personali.
A norma dell'articolo 202 comma 1 c.p., le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato.
Soggiunge l'articolo 202 comma 2, c.p. la legge penale determina i casi nei quali ha persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato.
I presupposti delle misure di sicurezza personali si possono così compendiare: reato (o quasi reato) più pericolosità sociale.
Il reato e il quasi reato come primo presupposto.
Richiedendo, per l'applicabilità della misura di sicurezza che il soggetto abbia commesso un fatto preveduto dalla legge come reato, il legislatore del 1930 ha operato una scelta politica che limita l'arbitrio del giudice. Dove si tratti di una misura di sicurezza da applicarsi a un soggetto imputabile o semimputabile, il quale deve essere sottoposto alla pena, la forma legislativa evoca tutti gli elementi costitutivi del reato: fatto, antigiuridicità, colpevolezza e punibilità.
Si discute se questa interpretazione valga anche per il caso in cui si tratti di una misura di sicurezza ad applicarsi a un non imputabile. L'unico vero oggetto di controversia è relativo al dolo. Alle misure di sicurezza dell'ospedale psichiatrico giudiziario del riformatorio giudiziario richiedono infatti che sia stato commesso un delitto doloso, ma è dubbio se il dolo che deve sorreggere la riduzione del fatto abbia, in questi casi,una struttura coincidente con quella del dolo dell'imputabile.
La giurisprudenza maggioritaria risponde affermativamente a tale quesito, ritenendo configurabile il dolo in tutti i suoi elementi anche in capo all’incapace di intendere e di volere. Per contro, buona parte della dottrina esclude che vi sia coincidenza strutturale: il dolo rilevante ai fini dell'immissione dell'ospedale psichiatrico giudiziario e del riformatorio giudiziario sussisterebbe anche se l’agente non si è rappresentato tutti gli elementi del fatto, essendo caduto in un errore condizionato, cioè in un errore determinato dalla situazione patologica o dall'immaturità dell'agente.
Quest'orientamento dottrinale muove dall'assunto della incompatibilità tra ciò che la legge richiede perché sussiste il dolo e l'incapacità di intendere e di volere. L'assunto non sembra però persuasivo. Che possa agire con dolo una persona incapace di intendere o di volere è dimostrato dalla disciplina prevista per i reati commessi da chi agisca in stato di ubriachezza o sotto l'azione di sostanze stupefacenti che comportino la totale assenza della capacità di intendere e di volere: si applicherà la pena prevista per questo o quel delitto doloso, se al momento del fatto, l'ubriaco giuridicamente imputabile, ma naturalisticamente incapace di intendere e di volere avrà agito con la rappresentazione e volizione di tutti gli elementi costitutivi del fatto. Del pari, alla misura di sicurezza della casa di cura e di custodia prevista dall'articolo 221 per i fatti che l'ubriaco abituale ha commesso in stato di totale incapacità di intendere o di volere sarà applicabile, previo accertamento da parte del giudice, che il soggetto abbia agito con dolo o colpa.
In conclusione riteniamo che ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in riformatorio giudiziario possa essere disposto solo in presenza di un fatto tipico, antigiuridico è punibile, commesso con dolo da parte di chi versi in una situazione patologica indicata dall'articolo 222 ovvero da un minore non imputabile, tale ex lege o in base ad una valutazione in concreto del giudice.
In alcuni casi in via di eccezione, la legge deroga alla regola fissata nell'articolo 202 comma 1, secondo la quale la misura di sicurezza è applicabile soltanto se è stato commesso un fatto preveduto come reato. Tali casi devono essere espressamente previsti dalla legge: sono quelli in cui è stato commesso un quasi reato. Si tratta del reato impossibile ex articolo 49 comma 2 e comma 4; dell'accordo per commettere un delitto, che poi non viene commesso; istigazione a commettere un reato, se l'istigazione viene accolta, ma il reato non viene commesso;dell'istigazione a commettere un delitto,se l'istigazione non viene accolta. L'autore di un quasi reato, non viene punito,ma se è socialmente pericoloso, può essere assoggettato alla misura di sicurezza della libertà vigilata.
L'articolo 203 c.p. in riferimento alle ipotesi in cui sia stato commesso un quasi reato, quando, definendo la categoria delle persone socialmente pericolose, vi include anche le persone non punibili: ai fini di questa norma sono tali gli autori di quasi reati, e non coloro che abbiano commesso un fatto antigiuridico e colpevole in presenza di una causa di non punibilità, ai quali non applicabile è nessuna misura di sicurezza.
Del resto, che la punibilità sia un elemento la cui presenza è indefettibile per l'applicazione delle misure di sicurezza trova conferma nell'articolo 210 c.p. dove si stabilisce che l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza.
La pericolosità sociale come secondo presupposto.
L'articolo 203 c.p. fornisce una definizione di pericolosità sociale: agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell'articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.
La pericolosità sociale è la probabilità che il soggetto commetta in futuro reati, o nell'ipotesi di quasi reato che commetta reati. Il pericolo può riguardare qualsiasi reato, e non solo reati della stessa indole di quello già commesso, mettendo l'accento sull'oggetto del pericolo, spesso si parla di pericolosità criminale.
Nell'originaria disciplina del codice, la pericolosità sociale doveva essere di regola accertato dal giudice, ma poteva anche essere presunto dalla legge e in effetti erano numerose le ipotesi in cui la qualità di persona socialmente pericolosa era presunta dalla legge, così da precludere ogni indagine sul punto sia al giudice di cognizione, sia al tribunale di sorveglianza.
Questa situazione normativa è però mutata: prima a seguito di una serie di interventi della corte costituzionale, relativi a singole previsioni di pericolosità e successivamente per effetto della cosiddetta legge Gozzini, che ha abrogato l'articolo 204 e ha stabilito che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui che commesso il fatto è socialmente pericolosa. Oggi non esistono più ipotesi di pericolosità presunta, in quanto la pericolosità sociale deve essere sempre accertata in concreto dal giudice. Successivamente l'articolo 679 c.p.p. ha chiarito che va accertata sia l'esistenza della pericolosità sociale al momento del giudice di cognizione, sia la sua persistenza al momento in cui la misura deve essere eseguita: il primo accertamento spetta al giudice di cognizione, che ordina la misura, il secondo è invece di competenza del magistrato di sorveglianza. Infine l'articolo 69 dell'ordinamento penitenziario ha stabilito che il magistrato di sorveglianza, nel provvedere al riesame della pericolosità, può revocare la misura di sicurezza anche prima che sia decorsa la sua durata minima, qualora accerti il venir meno della pericolosità.
Il giudizio di pericolosità sociale si articola in due momenti: il primo dedicato all'analisi della personalità del soggetto, secondo la prognosi criminale che deve essere formulata sulla base di quanto accertato nel primo momento. La pericolosità sociale deve essere valutata in relazione al momento dell'applicazione della misura, quando il giudizio viene operato dal giudice di cognizione, e al momento dell'esecuzione quando viene operato dal magistrato di sorveglianza.
Quanto ai criteri in base ai quali va stabilita la pericolosità sociale, l'articolo 203 stabilisce che la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'articolo 133. Si tratta di tutti i criteri forniti dall'articolo 133: bisogna pertanto tener conto sia delle caratteristiche del reato, sia di quelle dell'autore, come le condizioni di vita individuale, familiare e sociale e la condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato.
E' estremamente problematico il carattere di questo accertamento, al quale il giudice deve provvedere di regola da solo, senza l'assistenza di un perito: di un perito il giudice può valersi solo per stabilire se il soggetto incapace di intendere e di volere per cause patologiche, nel qual caso può porre l’ulteriore quesito se la persona sia socialmente pericolosa. Non si tratta soltanto di difficoltà di accertamento, derivanti dalla mancanza di strumenti adeguati a disposizione del giudice. La stessa categoria concettuale della pericolosità sociale attraversa una gravissima crisi in quanto le ricerche criminologiche mostrano come l'esistenza di una particolare propensione alla reiterazione dei reati sia un fenomeno sporadico e statisticamente marginale, sia in relazione ai soggetti imputabili, sia ai non imputabili :il che in attesa di un ripensamento globale da parte del legislatore, dovrebbe suggerire al giudice un'estrema cautela nel dichiarare la pericolosità sociale.
Applicazione, esecuzione, revoca e inosservanza delle misure di sicurezza personali.
Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell'esecuzione.
Le misure di sicurezza personali sono applicate di regola dal giudice di cognizione, nella sentenza di condanna o di proscioglimento. Misure di sicurezza personali e patrimoniali possono essere applicate nell'ambito di una sentenza di patteggiamento, qualora sia inflitta la pena detentiva superiore a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria; al di sotto di tale limite, è applicabile soltanto la misura di sicurezza patrimoniale della confisca.
Quando una persona ha commesso più fatti di reato, per i quali siano applicabili più misure di sicurezza della medesima specie,è ordinata una sola misura di sicurezza. Se invece le misure di sicurezza sono di specie diversa, il giudice applicherà una sola misura o più misure a seconda della minore o maggiore pericolosità della persona: per esempio, potrà applicare la colonia agricola congiuntamente alla libertà vigilata, ovvero la sola colonia agricola, o ancora la sola libertà vigilata.
Queste stesse regole operano nel caso in cui il giudice o il giudice di cognizione abbiano disposto, in separati procedimenti, più misure di sicurezza nei confronti dello stesso soggetto. In tal caso il magistrato di sorveglianza procederà all'unificazione delle misure ai sensi dell'articolo 209 c.p. al comma 1 o eventualmente, ai sensi dell'articolo 209 comma 2 c.p.
Esecuzione.
Quanto all'esecuzione delle misure di sicurezza personale, si distingue a seconda che vengano disposte con sentenza di condanna ovvero con sentenza di proscioglimento.
Nel primo caso se la misura di sicurezza è aggiunta a una pena detentiva, la legge stabilisce che la misura (detentiva o uno detentiva) vada eseguita dopo che la pena è stata scontata o altrimenti estinta.
Tale soluzione appare irrazionale quando si tratti di una misura di sicurezza detentiva. Se le misure di sicurezza fossero davvero caratterizzate da un particolare regime educativo o curativo, non avrebbe senso rimandare il trattamento terapeutico o educativo o un tempo successivo all'esecuzione della pena, allorché il carcere avrà peggiorato le condizioni della persona bisognosa di quel trattamento. Né questa soluzione può dirsi accettabile solo perché non vi è nessuna differenza di contenuto fra carcere e misure di sicurezza detentive. Secondo la stessa logica si stabilisce che l'esecuzione di una misura di sicurezza applicata a persona imputabile è sospesa se questa deve scontare una pena detentiva, e riprende il suo corso dopo l'esecuzione della pena. Trattandosi di sospensione dell'esecuzione della misura, il tempo trascorso in esecuzione della misura prima dell'espiazione della pena detentiva va computato nel periodo minimo di durata.
Un'eccezione alla regola fissata dall'articolo 211 c.p. è tuttavia prevista nel caso in cui la misura da applicare sia la casa di cura e custodia:a norma dell’art. 220 il giudice, tenuto conto delle particolari condizioni di infermità psichica del condannato, può disporre che il ricovero venga eseguito prima che sia iniziata o abbia termine la esecuzione della pena restrittiva della libertà personale.
Se invece la misura di sicurezza personale si aggiunge a una pena non detentiva, la misura andrà eseguita non appena la sentenza di condanna sia divenuta definitiva.
Quanto alle misure di sicurezza personale disposte con sentenza di proscioglimento, si ritiene che la loro esecuzione debba avvenire una volta che la sentenza sia passata in giudicato a meno che non venga disposta l'applicazione provvisoria della misura. Può accadere infine che nei confronti dello stesso oggetto sono disposte una misura di sicurezza detentiva e una misura di sicurezza temporanea non detentiva: in questo caso si eseguirà prima la misura detentiva e poi quella non detentiva.
L'articolo 212 sotto la rubrica "casi di sospensione o di trasformazione di misura di sicurezza" oltre all'ipotesi in cui l'esecuzione di una misura personale deve essere sospesa per darsi esecuzione alla pena detentiva, disciplina l'ipotesi in cui nel corso dell'esecuzione di una misura personale (detentiva o non detentiva) o della cauzione di buona condotta sopravvenga un infermità psichica.
Accanto alle ipotesi di sospensione dell'esecuzione delle misure di sicurezza, altre ipotesi in cui l'esecuzione della misura deve o può essere differita o sospesa sono individuate dall'articolo 211 bis introdotto nel 1999 dalla legge 231, che estende alle misure di sicurezza personali, la disciplina dettata dagli articoli 146 e 147 in tema di rinvio dell'esecuzione della pena.
La legge assegna alle cause di estinzione della pena l'effetto di impedire di regola, sia l'applicazione, sia l'esecuzione delle misure di sicurezza personali.
Durata e revoca.
La durata delle misure di sicurezza personale , mentre non soggiace ad alcun limite massimo, dovendosi protrarre finché permanga la pericolosità sociale del soggetto, è sempre sottoposta a un limite minimo, che può variare all'interno delle varie tipologie di misure. Decorso il periodo minimo di durata, il giudice deve procedere all'esame della pericolosità. Qualora ritenga che questa sia cessata, disporrà la revoca della misura di sicurezza ai sensi degli articoli 207 e 69 o.p. ;qualora invece ritenga che la persona è ancora pericolosa, fisserà un nuovo termine per un ulteriore riesame, potendo in ogni tempo procedere a nuovi accertamenti, qualora vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato. Questa disciplina dettata dal codice penale del 1930 è stata modificata dall'articolo 69 o.p. che attribuisce al magistrato di sorveglianza potere di revoca anticipata della misura: il potere cioè di revocarla anche prima che sia decorso il periodo minimo di durata.
Inosservanza.
Nei casi in cui l’internato si sottragga volontariamente all’esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola o casa di lavoro o del riformatorio giudiziario,allontanandosi arbitrariamente dall’istituto o nn rientrandovi al termine della licenza che gli è stata concessa a norma dell’art. 53 o.p.,la legge prevede ,come sanzione, che ricominci a decorrere il periodo minimo di durata della misura di sicurezza a partire del giorno in cui a questa è data nuovamente esecuzione:tale sanzione si applica a condizione che il magistrato di sorveglianza accerti nuovamente la pericolosità sociale di chi si è sottratto volontariamente alla misura di sicurezza. Nessuna sanzione è prevista ,in considerazione delle patologie di cui soffrono tali soggetti,per chi sottragga volontariamente all’esecuzione delle misure dell’ospedale psichiatrico giudiziario o della casa di cura e di custodia. L’inosservanza delle misure di sicurezza personali nn detentive è disciplinato in modo autonomo per ciascuna misura: di regola la sanzione consiste nell’aggiunta di una nuova misura di sicurezza ovvero nella sostituzione della misura con un altra più grave. Una disciplina peculiare è prevista x la trasgressione da parte dello straniero della misure dell’espulsione dallo stato,che integra un autonoma figura di reato contravvenzionale.
LE SINGOLE MISURE DI SICUREZZA PERSONALI
L’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro.
L’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro è riservata a soggetti imputabili condannati a pena detentiva,in qnt i giudici competenti li ritengano socialmente pericolosi,ed è l’unica misura cn differenti modalità esecutive. La colonia agricola e la casa di lavoro,si differenziano in relazione alle attività che possono essere svolte da coloro che vi saranno sottoposti. La scelta tra l’uno e l’altra quindi dipende in sostanza dal tipo di attività svolta in precedenza dal soggetto,e in realtà mancando una qualsivoglia attività lavorativa finalizzata al successivo reinserimento sociale dell’internato ,la scelta è impraticabile,perché la stessa distinzione tra gli istituti è rimasta solo sulla carta.
Inoltre gli istituti destinati all’esecuzione di qst misura nn si distinguono da quelli destinati all’esecuzione della pena ,cosicché qst misura essendo eseguita dopo che è stata scontata o espiata la pena detentiva nn rappresenta altro che un prolungamento della stessa,x di più a tempo indeterminato.
Destinatari di qst misura sono(art. 216 c.p.):
A norma degli artt. 102 e 103 c.p. la dichiarazione di abitualità nel delitto presuppone la presenza in capo al soggetto di alcune precedenti condanne:
- la condanna della reclusione complessivamente superiore a 5 anni x tre delitti nn colposi della stessa indole,commessi nn contestualmente ed entro 10 anni
- la condanna x due delitti nn colposi.
In occasione della condanna x un nuovo delitto il giudice deve accertare se tenuto conto della specie e della gravità dei reati ,del tempo entro il quale sn stai commessi,della condotta e del genere di vita del colpevole e delle alter circostanze indicate nel capoverso dell’art 133,il colpevole sia dedito al delitto(giudizio sull’inclinazione deliberata).
Qnt alla professionalità nel delitto la relativa dichiarazione può essere pronunciata nei confronti di chi trovandosi nelle condizioni richieste x la dichiarazione di abitualità,riporta condanna x un altro reato,qualora avuto riguardo alla natura dei reati,alla condotta e la genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art 133,debba ritenersi che egli viva abitualmente,anche in parte solo dei proventi del reato. E’ sufficiente la sussistenza dei presupposti che avrebbero consentito la dichiarazione di delinquente professionale. Qnt alla forma di pericolosità che il giudice è tenuto ad accertare,si tratta di vero e proprio regime di vita ,nel senso che l’imputato tra sostentamento in tutto o in parte dalla reiterazione di azioni criminose.
Infine a norma dell’art 108 c.p. può essere dichiarato delinquente x tendenza chi commette un delitto nn colposo contro la vita o l’incolumità individuale,qualora egli riveli una speciale inclinazione la delitto,che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole. Tale inclinazione nn deve derivare da un vizio di mente,totale o parziale, ne da una cronica intossicazione da alcool o da sostanza stupefacenti.
La figura del delinquente x tendenza è difficile da accertare x il giudice ed è x qst che ci sn scarse pronunce giurisprudenziali relative a qst figura.
La colonia agricola o casa di lavoro può essere inoltre applicata a coloro che già in passato erano stai dichiarati delinquenti abituali,professionali o x tendenza(e come tali sottoposti a qst misura successivamente revocata):la misura viene nuovamente disposta se il soggetto commette un ulteriore delitto nn colposo nel quale il giudice ravvisi una nuova espressione della pericolosità dell’agente.
Ulteriori casi espressamente indicati dalla legge riguardano:
La durata minima della colonia agricola o casa di lavoro è di 2 anni x i delinquenti abituali,3 anni x i delinquenti professionali e 4 anni x i delinquenti x tendenza. Per le altre ipotesi la durata minima è di 1 anno.
L’assegnazione a una casa di cura e di custodia
Qst misura mira ad una trattamento sanzionatorio specifico,in primo luogo,x soggetti semimputabili socialmente pericolosi,da eseguirsi in aggiunta alla pena detentiva e,di regola,dopo che tale pena sia stata scontata o si sia altrimenti estinta.
Finalità di qst misura è curare le cause che sn all’origine della diminuzione della capacità di intendere e di volere. Qst misura è anche un ibrido di istanze curative e custodialistiche. In realtà l’istituzione della casa di cura e custodia nn è mai venuta ad esistenza:si tratta di fatto di una m,era sezione,io reparto degli ospedali psichiatrici giudiziari,dei quali condivide le grani disfunzioni. Inoltre il suo regime è praticamente in differenziato x le varie categorie di ricoverati.
Inoltre la componente curativa è relegata in secondo piano,cosicché qst istituto rappresenta un duplicato del carcere.
I destinatari della misura sono i soggetti semimputabili,la cui capacità di intendere e volere al momento del fatto era grandemente scemata che abbiano compiuto un delitto nn colposo e che siano destinatari di una pena diminuita x cagione di :
Nel caso in cui l’attenuante relativa alla semimputabilità concorra cn una o più circostanze aggravanti, e il giudice in sede di giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. ,ritenga l’aggravante prevalente o superiore rispetto all’attenuante,il soggetto nn verrà condannato ad una pena diminuita.
Qst misura nn è destinata all’applicazione nei confronti dei minori.
La legge prevede come durata minima della misura:
In qst ultimo caso il giudice può sostituire alla misura del ricovero in casa di cura e custodia la misura della libertà vigilata ,e meno che nn ritratti di condannati a pena diminuita x intossicazione d cronica da alcool o stupefacenti.
Destinatari della casa di cura e custodia sn anche agli ubriachi abituali e le persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti che siano stati condannati alla reclusione x un delitto commesso in stato di ubriachezza ovvero sotto l’azione di stupefacenti,qualora siano ritenuti in concreto socialmente pericolosi. Sn persone giuridicamente imputabili,ma naturalisticamente incapaci,che vengono sottoposti a pena aumentata. I delitti possono essere sia dolosi che colposi. Se la pena inflitta è inferiore a 3 anni di reclusione ,il giudice in luogo della casa di cura e custodia il giudice può applicare la libertà vigilata. La durata minima della misura in qts casi è di 6 mesi.
Il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario(art. 222 c.p.)
Qst misura mira al trattamento della pericolosità sociale e alla cura delle infermità di chi,avendo commesso un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso,punito in astratto cn la reclusione superiore nel massimo a 2 anni,sia stato prosciolto x vizio totale di mente determinato da infermità psichica,ovvero x intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti,ovvero x sordomutismo,inoltre è necessario che il soggetto sia socialmente pericoloso.
Nel disegno legislativo gli ospedali psichiatrici giudiziari avrebbero dovuto prevenire la commissione di nuovi reati e avere finalità terapeutiche, invece tale previsione è molto lontana dalla realtà. Si tratta di un istituzione totale che solo marginalmente si differenzia dal carcere:la stessa corte cost. ha ammesso che le carenza degli O.P.G. hanno di fatto vanificato le funzioni di cura degli internati,x svolgere unicamente una funzione repressiva e segregante.
Una svolta nella disciplina dell’o.p.g. è stata impressa dalla corte cost. con la sent. 253 del 2003 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 c.p. nella parte in cui nn consente al giudice,di adottare in luogo del ricovero in o.p.g. una diversa misura di sicurezza prevista dalla legge,idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mento e a far fronte alla sua pericolosità sociale.
La diversa misura da adottare è la libertà vigilata:nei confronti di un soggetto prosciolto x tale infermità di mente le prescrizioni idonee ad evitare le occasioni di nuovi reati dovranno assumere contenuti terapeutici, in aggiunta alle prescrizioni normalmente imposte. Alla base d qst svolta,sta la considerazione che l’infermo di mente l’automatismo di un a misura segregante e totale,imposta qnd pur essa appare inadatta,infrange l’equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona,nella specie il diritto alla salute di cui all’art. 32 cost.
Destinatari dell’ospedale giudiziario,deve trattarsi di soggetti la cui capacità di intendere e di volere era totalmente esclusa al momento della commissione del fatto. L’applicazione di qst misura presuppone che il soggetto abbia commesso un delitto doloso,punito in astratto cn la reclusione superiore nel massimo a due anni:e il dolo che deve sorreggere la realizzazione del fatto ha una struttura coincidente cn quella del dolo dell’imputabile
Qnt alla pericolosità sociale dell’infermo di mente e degli altri soggetti nei cui confronti può essere applicata qst misura di sicurezza ,il legislatore del 1930 stabiliva una rigida presunzione,sulla base dell’assunto che il soggetto psicologicamente disturbato autore di un delitto doloso di una certa gravità fosse sempre socialmente pericoloso. Presunzione smontata dalla corte cost. e poi dal legislatore che ha richiesto x l’applicazione delle misure di sicurezza l’accertamento in concreto della pericolosità.
L’accertamento della pericolosità però va incontro ad alcuni problemi:è in dubbio che il giudice da solo o cn l’aiuto di esperti possa pronostica re come probabili futuri comportamenti devianti,tanto + che le ricerche criminologiche smentiscono l’esistenza di una particolare propensione alla reiterazione di reati da parte ei soggetti nn imputabili. Inoltre sempre secondo recenti studi se esiste qualche possibilità di prevedere futuri comportamenti da parte dei potenziali destinatari dell’o.p.g. ,tale possibilità è cmq circoscritta ai soli reati che siano manifestazione della patologia mentale di cui soffre il soggetto. Quindi il giudice dovrebbe limitare la propria prognosi a una gamma di reati identici o affini a quello già commesso,come espressione della stessa patologia. Se nn compie tale selezione il giudice opererà in modo arbitrario e incontrollabile.
La durata minima del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario è di regola pari a 2 anni;è di 5 anni se si tratta di delitto doloso punito cn la reclusione nn inferiore nel minimo a 10 anni;è di 10 anni nel caso di fatti delittuosi puniti cn la pena dell’ergastolo.
Il ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario
Tale misura era indirizzata ai minori socialmente pericolosi e avrebbe dovuto assolvere prevalentemente ad una finalità educativa e di inserimento sociale. Quasi sempre eseguita,di fatto,in apposite sezione degli istituti penitenziari minorili,cn un regime del tutto simile a quello carcerario,qst misura si è rivelata incapace di educare il minore e anzi,nn di rado risultava criminogeni. Il legislatore quindi in seguito alle sollecitazioni ricevute,cn la riforma del 1988 ha riformatola fisionomia di qst istituto. A norma degli artt. 36 co. 2 e 22 del d.p.r. 448/88 la misura si esegue ora nella forma dell’affidamento coattivo del minore ad una comunità educativa che nn può ospitare più di 10 minori,alcuni dei quali nn sottoposti a procedimento penale:al minore possono essere imposte prescrizioni inerenti lo studio,il lavoro o altre attività utili al suo reinserimento sociale.
Destinatari della misura sono:
L’art 36 d.p.r. 448/88 stabilisce che la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario è applicata soltanto in relazione ai delitti previsti dall’art 23 d.p.r. 448/88,cioè a una ridotta gamma di gravi delitti dolosi:
- delitti puniti cn pena massima di almeno 9 anni
- violenza sessuale
- alcune ipotesi di furto aggravato
- rapina
- estorsione
- delitti in materia di armi
-delitti in materia di stupefacenti.
Inoltre il d.p.r. 448/88 ridefinisce anche il concetto di pericolosità sociale:qnd x le specifiche modalità e circostanze del fatto e x la personalità dell’imputato ,sussiste ,il concreto pericolo che qst commetta delitti cn l’uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata. Si tratta di un giudizio di pericolosità mirato a una gamma di reati molto gravi,che rende meno imprecisa qst nozione di pericolosità rispetto a quella delineata all’art 203 c.p. e contribuisce anche a spiegare il numero esiguo dei casi nei quali oggi viene applicato il riformatorio giudiziario.
La durata minima della misura ,salvo revoca anticipata a norma dell’art. 69 co. 4 dell’o.p. è pari a 1 anno. Qualora il minore raggiunga i 18 anni prima dell’inizio dell’esecuzione o durante l’esecuzione della misura,al riformatorio giudiziario è sostituita la libertà vigilata,salvo che il giudice ritenga di ordinare l’assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro.
La libertà vigilata
E’ una misura di sicurezza personale nn detentiva che comporta sia l’imposizione di una serie di prescrizioni limitative della libertà personale,sul cui rispetto vigila l’autorità di pubblica sicurezza,sia interventi di sostegno e assistenza affidati al servizio sociale. Qst seconda componente è stata valorizzata dalla legislazione penitenziaria,per effetto della quale la misura di sicurezza in esame aspira oggi a svolgere una duplice funzione :nn solo quella di evitare al soggetto socialmente pericoloso le occasioni di nuovi reati,ma anche quella di promuovere il reinserimento sociale del soggetto.
I contenuti di qst misura di sicurezza nn sn precisati dalla legge se nn in minima parte. L’art. 190 c.p.p. prevede x il vigilato:
Al di la di qst nucleo minimo è la prassi che ha consolidato un’altra gamma di prescrizioni:
Il codice penale distingue tra casi in cui può essere ordinata la libertà vigilata e casi in cui la misura deve essere ordinata richiedendo solo nei primi l’accertamento in concreto della pericolosità sociale del soggetto. Oggi però,qst requisito va accertato anche nelle ipotesi di cui all’art. 230 c.p. :nei confronti dei condannati alla reclusione,la libertà vigilata può essere disposta,previo accertamento della pericolosità sociale, alla sola condizione che la pena inflitta sia superiore ad un anno ;nel caso in cui la misura della pena sia pari o superiore ai 10 anni,cambia soltanto la durata minima della misura che passa da un anno a tre anni.
Accanto ai condannati alla reclusione ,la legge individua una vasta gamma di ulteriori potenziali destinatari della libertà vigilata. Si tratta:
La durata minima della misura è di regola 1 anno. Qst regola però viene derogata in una serie di ipotesi . in primo luogo,per il condannato alla reclusione x un tempo nn inferiore a 10 anni,nonché x il condannato all’ergastolo che nn debba scontare in tutto o in parte la pena x effetto di indulto o grazia, la durata minima è di tre anni. Per il condannato ammesso alla liberazione condizionale,la libertà vigilata si protrae x tutta la durata della pena inflitta.
In caso di violazione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata l’art. 231 c.p. prevede che il giudice possa aggiungere alla libertà vigilata la misura di sicurezza patrimoniale della cauzione di buona condotta. Qualora la violazione sia particolarmente grave o ripetuta,ovvero nn venga prestata la cauzione ,il giudice può sostituire la libertà vigilata cn un’altra più gravosa misura di sicurezza:l’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro,ovvero se si tratta di minori,il ricovero in un riformatorio giudiziario.
Qst disciplina nn si applica nel caso in cui si tratti della libertà vigilata applicata nei confronti di chi ha fruito della liberazione condizionale:in qst caso la violazione degli obblighi comporta la revoca della liberazione condizionale.
Il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province
E’ una misura di sicurezza personale nn detentiva che comporta il divieto di soggiornare in determinati comuni o province(soggiornare:il trattenersi o il fermarsi in quei luoghi anche x un brevissimo periodo).
Destinatari di qst misura sn coloro che siano stati condannati x alcune categorie di delitti indicati dalla legge:
La misura può essere applicata qualunque sia la durata della pena inflitta è ha una durata minima di 1 anno. In caso di trasgressione del divieto,ricomincia a decorrere il termine minimo di durata della misura,ove la violazione sia grave o ripetuta,il giudice può inoltre disporre la libertà vigilata.
Il divieto di frequentare osterie o pubblici spacci di bevande alcoliche.
Qst misura consiste nel divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche,cioè nel divieto di recarsi sistematicamente,in quei luoghi;cn la locuzione pubblici spacci di bevande alcoliche si ritiene che la legge faccia riferimento ai luoghi indicati nell’art. 86 Testo unico leggi di pubblica sicurezza,cioè degli esercizi,cmq denominati,in cui si vendono vino,liquori e birra.
Destinatario di qst misura è chi venga condannato x un reato commesso in stato di ubriachezza,dove si tratti di ubriachezza abituale. La durata minima della misura è un anno. In caso di trasgressione del divieto il giudice può ordinare l’applicazione della libertà vigilata o la prestazione di una cauzione di buona condotta.
L’espulsione dello straniero dallo stato.
Si tratta di una misura di sicurezza personale nn detentiva,che comporta l’allontanamento coattivo dello straniero dal territorio dello stato, da eseguirsi oggi nelle forme previste dagli artt. 13 e 14 del d.lgs. 286/98:di regola cioè cn l’accompagnamento alla frontiera,una volta che sia stata eseguita la pena detentiva. La misura nn può essere disposta nei confronti di chi sia stato condannato a pena sospesa,in qnt la prognosi che sta alla base della sospensione condizionale della pena è incompatibile cn il giudizio di pericolosità necessario anche x l’applicazione di qst misura.
La misura è applicabile ,qnd lo straniero sia condannato alla reclusione x un tempo nn inferiore ai 10 anni (art. 235 c.p.). A norma dell’art. 312 c.p. inoltre può essere espulso lo straniero condannato a pena detentiva di qualsiasi ammontare,x un delitto contro la personalità dello stato. La misura di sicurezza,può inoltre essere disposta nei confronti di un condannato x un delitto in materia di sostanze stupefacenti:e anche in qst caso il provvedimento presuppone l’accertamento in concreto della pericolosità sociale ,essendo stata dichiarata illegittima dalla corte cost la previsione dell’art 86 del d.p.r. 309/90 relativa all’espulsione automatica x alcuni delitti di particolare gravità.
L’ambito applicativo di qst misura di sicurezza inoltre è stato fortemente allargato dal d. lgs 286/98,che vi ha incluso tutti i delitti x i quali può precedersi all’arresto il flagranza obbligatorio o all’arresto facoltativo:tra l’altro qualsiasi delitto doloso x il quale la legge stabilisce la reclusione superiore nel massimo a tre anni e qualsiasi delitto colposo la cui pena edittale è la reclusione nn inferiore nel massimo a 5 anni.
I destinatari di qst misura sn gli stranieri: nn può trattarsi di un apolide residente nello stato,ne di un italiano appartenente alla Repubblica,ne di chi avendo perduto la cittadinanza venga considerato cittadino ai fini dei delitti contro lo stato.
Qnt agli stranieri che siano cittadini di altri stai dell’unione europea,l’applicabilità della misura nei loro confronti soggiace a condizioni più restrittive rispetto agli stranieri extracomunitari:il giudizio di pericolosità sociale deve consistere nella possibilità della commissione di un reato che rappresenti una minaccia effettiva e abbastanza grave x uno degli interessi fondamentali della collettività.
La misura nn ha carattere temporaneo, e quindi nn è prevista una durata minima.
La trasgressione all’ordine di espulsione configura un’ autonoma fattispecie delittuosa, punita con la reclusione da uno a quattro anni, e comporta una nuova espulsione, con accompagnamento immediato alla frontiera.
LE MISURE DI SICUREZZA PATRIMONIALI.
Le misure d sicurezza patrimoniali si caratterizzano per la loro incidenza sul patrimonio.
La cauzione di buona condotta.
La cauzione di buona condotta si esegue mediante il deposito di una somma di denaro presso la cassa delle ammende,ovvero mediante la prestazione di una garanzia ipotecaria o di fideiussione solidale avente ad oggetto una somma equivalente.
La finalità di questa misura che è applicabile ai soli soggetti ritenuti in concreto socialmente pericolosi,è quella di distogliere il soggetto dal commettere nuovi reati ,prospettandogli come deterrente il danno patrimoniale conseguente alla perdita della somma depositata ovvero all’esecuzione della garanzia prestata. Tale finalità emerge chiaramente dal disposto dell’art. 239 in base al quale la somma di denaro depositata deve essere restituita,l’ipoteca deve essere cancellata e la fideiussione si estingue se,durante l’esecuzione della misura di sicurezza il soggetto non commette alcun delitto ,ne alcuna contravvenzione punita con l’arresto;se invece commette uno di quei reati ,la somma depositata o per la quale fu data garanzia reale o personale è incamerata dallo stato ,nella forma della devoluzione alla cassa delle ammende.
Destinatari di questa misura sono:
Per la cauzione di buona condotta la legge prevede sia una durata minima,1 anno, sia una durata massima,5 anni;al venir meno della pericolosità sociale, la misure è comunque revocabile secondo le regole generali. Se colui nei confronti del quale è disposta questa misura di sicurezza non deposita la somma ne presta le garanzie, il giudice sostituisce la cauzione con la misura di sicurezza personale della libertà vigilata.
La confisca.
La confisca consiste nell'espropriazione ad opera dello stato di cose attinenti a un reato o di per sé criminose.
Parte della dottrina nega la correttezza dell'inquadramento della confisca nelle misure di sicurezza, facendo leva sulla irrilevanza della pericolosità sociale dell'agente ai fini della sua applicazione: l'articolo 236 rinvia infatti alle norme sulla pericolosità sociale solo per la cauzione di buona condotta. Questo argomento però non smentisce le scelte del legislatore, riqualifica la confisca come misura di sicurezza patrimoniale: tale inquadramento è coerente con la finalità della confisca che consiste nel prevenire la commissione di nuovi reati, mediante l'espropriazione a favore dello stato di cose che, provenendo dei illeciti penali o comunque collegate alla loro esecuzione, mantengono viva l'idea e l'attrattiva del reato.
Il presupposto della confisca e la pericolosità della cosa, è da intendersi come probabilità che, ove lasciata alla disponibilità del reo, la cosa costituisca per un incentivo alla commissione di ulteriori illeciti.
Di regola (confisca facoltativa) tale presupposto va accertato in concreto dal giudice, che formulerà il giudizio in relazione alla persona che possiede della cosa. In altri casi (confisca obbligatoria) la pericolosità della cosa è invece presunto dalla legge: e la sopravvivenza di quest'ipotesi non è messa in discussione dall'abrogazione dell'articolo 204, ne dalla disciplina dettata dalla legge 663\1986, che ha imposto per le sole misure di sicurezza personali l'accertamento che l'autore del fatto è persona socialmente pericolosa.
Mancando nell'articolo 236 un espresso richiamo all'articolo 207 a proposito della confisca, ne segue che questa misura ha una durata perpetua. Tale disciplina è coerente con la ratio di questa misura di sicurezza: mentre la pericolosità sociale può cessare, legittimando la revoca di una misura applicata su quel presupposto, la pericolosità della cosa è immanente quest'ultima, non potendo cessare fintantoché la cosa rimanga nelle mani di quella persona.
A norma dell'articolo 240 nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
In tutte queste ipotesi la confisca è facoltativa: il potere discrezionale del giudice è esercitato in vista di una finalità di prevenzione speciale, si tratterà di accertare in concreto la necessità di sottrarre al reo quelle cose connesse reato in quanto potrebbero costituire stimolo alla perpetrazione di nuovi reati.
Quanto all'oggetto di questa forma di confisca, per cose che servirono a commettere il reato non si intendono quelle effettivamente utilizzate dal reo, mente cose che furono destinate a commettere un reato sono quelle che erano state predisposte per la commissione del reato ma che in concreto non sono state utilizzate. Attraverso tale formula il legislatore circoscrive l'area applicativa della confisca ai soli reati dolosi: lo si evince dal significato etimologico delle espressioni “servirono” o “furono destinate” e che esprimono intenzioni finalistiche dell'agente.
- prodotto del reato sono le cose materiali che reato attraverso l'attività penalmente rilevante.
- profitto del reato sono le cose che rappresentano l'utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato.
La confisca facoltativa è subordinata a due condizioni: il procedimento penale si deve essere concluso con una sentenza o con un decreto penale di condanna e la cosa non deve appartenere a persona estranea al reato.
L'articolo 240 contempla due ipotesi di confisca obbligatoria.
1. La prima ha per oggetto le cose che costituiscono il prezzo del reato, ossia le cose che sono state date per istigare o determinare il soggetto a commettere reato, in veste di autore o di partecipe. Il carattere obbligatorio di queste ipotesi di confisca riflette una presunzione di pericolosità delle cose che sono state corrisposte per commettere un reato: se quelle cose rimanessero nella disponibilità dell'istigato, si renderebbe tangibile l'idea che il delitto paga e potrebbe quindi costituire un incentivo alla commissione di nuovi reati. Come nell'ipotesi di confisca facoltativa, anche in questo caso la confisca è preclusa se la cosa che costituisce il prezzo del reato appartiene a persona estranea al reato.
2. La seconda ipotesi di confisca obbligatoria riguarda le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione è prevista dalla legge come reato: la dottrina parla di cose intrinsecamente criminose. Bisogna distinguere a seconda che si tratti di cose il cui possesso, uso,ecc. costituisce sempre reato (divieto assoluto) e cose il cui possesso, uso,ecc. può essere autorizzato in via amministrativa (divieto relativo): in questo secondo caso, la confisca deve essere disposta se in concreto mancava l'autorizzazione ovvero non erano state rispettate le condizioni alle quali l'autorizzazione era stata subordinata. Sia in caso di divieto assoluto, sia in caso di divieto relativo la confisca delle cose intrinsecamente criminose deve essere disposta anche in assenza di una sentenza di condanna. Se la cosa appartiene a persona estranea al reato, la confisca è applicabile nei casi di divieto assoluto, mentre ai sensi dell'articolo 240, non può essere disposta se il divieto è soltanto relativo: in tal caso a precludere la confisca non è necessario che le autorizzazione amministrativa sia stata effettivamente rilasciata al terzo, ma basta la astratta possibilità del suo rilascio. L'irrilevanza dell'autorizzazione discende dal linguaggio della legge, che parla di cosa appartenente a persona estranea e la cui fabbricazione, uso,ecc. possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.
Ulteriori ipotesi di confisca sono contemplate dalla parte speciale del codice penale e dalla legislazione complementare.
Esempi: l'articolo 416 bis la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di associazione di tipo mafioso e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto o il profitto o che ne costituiscono l'impiego: obbligatoria la confisca di cose che, secondo la disciplina generale dell'articolo 240 sarebbero oggetto di confisca facoltativa ed estende espressamente l'assoggettabilità a confisca a ciò che costituisce l'impiego di un profitto mafioso.
L'articolo 446 introdotto nel 1996, prevede come obbligatoria la confisca delle cose che a norma dell'articolo 240 sarebbero sottoposta a confisca facoltativa, se il reato commesso è uno di quelli in materia di alimenti contemplati negli articoli 439,440,441 e 442 e dal fatto è derivata la morte o la lesione grave o gravissima di una persona.
L'articolo 12 sexies della legge 356\1992 nel quadro di una serie di provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa, prevede, in caso di condanna patteggiamento per alcuni gravi delitti, la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza o di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito.
Fonte: http://www.neverstop.tv/appunti/DIRITTO_PENALE_MARINUCCI.doc
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