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Argomento di studio della scienza economica è l’analisi del comportamento umano di fronte al problema di soddisfare bisogni individuali, potenzialmente illimitati e sempre nuovi, con risorse naturali limitate. L’economia è quindi lo studio del modo in cui si sceglie di utilizzare risorse produttive scarse, suscettibili di impieghi alternativi, per produrre vari tipi di beni.
I diagrammi sono rappresentazioni schematiche delle relazioni intercorrenti fra due o più insiemi di dati o di variabili. La loro potenza scaturisce dal fatto che permettono di riunire in un piccolo spazio un grande numero di dati e di comprenderli facilmente.
La relazione quantitativa tra le due variabili rappresentata da una curva è data dalla sua pendenza (o coefficiente angolare), la quale è, per definizione, il “sollevamento fratto il percorso”, cioè le unità di incremento di y per ogni unità di incremento di x. La pendenza indica come le due variabili sono legate: se è positiva, la relazione fra le due variabili è diretta (o positiva o di concordanza), cioè esse sono o entrambe crescenti o entrambe decrescenti; se è negativa, la relazione fra le due variabili è inversa (o negativa o di discordanza), cioè esse sono o una crescente e l’altra decrescente o viceversa.
L’elasticità denota la sensibilità di una variabile alle variazioni di un’altra variabile. Per esempio, l’elasticità di x rispetto ad y significa la variazione percentuale di x per ogni variazione di y pari all’1%
I modelli economici sono schemi formali usati per rappresentare le caratteristiche basilari di un sistema complesso mediante un piccolo numero di relazioni essenziali. I modelli assumono la forma di diagrammi, equazioni matematiche o programmi di elaboratore.
La frontiera delle possibilità di produzione è un diagramma che rappresenta l’insieme di beni che possono essere prodotti da un sistema economico. Indica cioè in quale misura un bene può venire trasformato nell’altro mediante il trasferimento di risorse dalla produzione del primo a quella del secondo. In un caso semplice citato frequentemente la scelta è ridotta a due beni, burro e cannoni. I punti all’esterno della frontiera delle possibilità di produzione sono irraggiungibili. I punti all’esterno sarebbero inefficienti poiché le risorse non vengono impiegate completamente, non vengono utilizzate correttamente, o vengono utilizzate tecniche produttive superate.
La domanda è la quantità di merce che i consumatori desiderano e sono effettivamente in grado di acquistare ad un determinato prezzo e in una determinata unità di tempo. L’offerta è la quantità di un bene o di un servizio che i produttori sono disposti a cedere ad un determinato prezzo e in una determinata unità di tempo.
Un errore comune di chi si avvicina per la prima volta allo studio dell’economia, è quello di confondere lo spostamento di una curva con lo spostamento lungo una curva. Ad esempio, lo spostamento della curva di domanda verso destra denota un aumento della domanda; uno spostamento verso destra lungo la curva di domanda denota invece un aumento della quantità domandata. Riassumendo:
L’introduzione di un’imposta sposterà l’equilibrio tra domanda ed offerta. Il fatto che siano i compratori oppure i venditori a sostenere in definitiva l’onere dell’imposta dipenderà dalle elasticità relative della domanda e dell’offerta. In generale, un’imposta si sposta in avanti gravando sui consumatori se la domanda è anelastica rispetto all’offerta, mentre si sposta all’indietro gravando sui produttori se l’offerta è relativamente più anelastica della domanda.
L’equilibrio del prezzo di mercato si realizza a quel prezzo e a quella quantità in corrispondenza dei quali le forze agenti nel mercato si bilanciano. In corrispondenza di tale prezzo e di tale quantità, la quantità che gli acquirenti sono disposti ad acquistare è esattamente uguale alla quantità che di venditori sono disposti a vendere: il prezzo o la quantità non presentano alcuna tendenza a variare (salvo che qualcosa non sposti le curve di domanda o d’offerta).
Marshall e Walras non sono gli inventori dell’equilibrio economico ma sono stati i primi a dare a tale concetto una veste rigorosa. Vediamo quindi le differenze fra i due economisti. Anzitutto mentre Walras concepiva un sistema di mercati interdipendenti tali che ogni variazione di uno di esso si ripercuoteva necessariamente sugli altri, Marshall parte dal presupposto che occorre adottare il principio del ceteris paribus (=a parità di tutte le altre condizioni). Vi è anche una profonda differenza fra i due autori nel modo in cui trattano il riequilibrio del mercato: Walras sosteneva che quantità domandate ed offerte dipendono dai prezzi (metodo dei “prezzi gridati a caso”), mentre per Marshall sono i prezzi di domanda e di offerta a dipendere dalle quantità del bene. Ma la differenza fra le due impostazioni non si limita alla meccanica del processo di riequilibrio ma anche alla concezione stessa degli operatori economici: in Walras sono dei “ricevitori di prezzi”, che si limitano ad adeguarsi alle variazioni in un processo governato dal banditore; in Marshall vi è un raffronto fra le aspettative degli operatori e l’andamento del mercato.
Per utilità economica di un bene si intende l’attitudine reale o presunta a soddisfare un bisogno. L’utilità totale, ovvero la soddisfazione totale derivante dal consumo di un certo bene, aumenta all’aumentare del consumo ma con un tasso decrescente. Questo perché l’utilità marginale – cioè l’utilità addizionale aggiunta da ciascuna ultima unità addizionale del bene – sarà decrescente.
Nella ricerca della massima utilità, il consumatore non può prescindere dal vincolo di bilancio. Questo è determinato dai prezzi dei vari beni, dal livello del suo reddito e in particolare da quella parte di reddito che egli ha deciso di destinare al consumo. Graficamente il vincolo di bilancio si rappresenta con una retta i cui punti indicano per quali quantità del bene x (sull’asse delle ascisse) e del bene y (sull’asse delle ordinate) la spesa è uguale. In tal modo, sovrapponendo tale grafico alla famiglia di curve di indifferenza (v. infra), il consumatore sarà in grado di individuare la combinazione di beni ottimale da cui può trarre la massima soddisfazione impiegando tutto il reddito che ha deciso di destinare al consumo. Tale punto di equilibrio coincide con il punto di tangenza della retta del vincolo di bilancio con una delle curve di indifferenza.
Una variazione del reddito del consumatore si rifletterà, naturalmente, sul suo comportamento economico. Tralasciando in questa sede l’influenza delle variazioni di reddito sul rapporto consumo – risparmio, vediamo cosa accade al “piano” del consumatore. Nel caso di un aumento del reddito disponibile possono essenzialmente accadere due cose: a) il consumatore aumenta la propria domanda; b) il consumatore sostituisce un certo bene con uno più costoso che adesso può permettersi (es. caffè invece di tè). Analogamente, in caso di una riduzione del reddito, il consumatore oltre a ridurre probabilmente la sua domanda, potrà indirizzare la stessa su beni surrogati o comunque alternativi che possano garantirgli una soddisfazione analoga ad un minor prezzo.
La curva di indifferenza costituisce il luogo geometrico delle varie possibili combinazioni di due diversi beni che garantiscono al consumatore la medesima soddisfazione. Solitamente si studia non una sola curva ma una famiglia di curve di indifferenza. Quelle più esterne rappresentano le combinazioni via via di maggior soddisfazione. In tal modo, sovrapponendo tale diagramma con la retta del vincolo di bilancio (v. supra) il consumatore sarà in grado di individuare la combinazione di massima soddisfazione.
Il consumatore, come abbiamo già avuto modo di osservare, non ha la possibilità di soddisfare completamente ogni suo desiderio data la naturale limitatezza del suo reddito (pur grande che sia): dovrà quindi comportarsi razionalmente cercando di ottimizzare il proprio “piano” di spesa. A tal proposito abbiamo già visto come il vincolo di bilancio coordinatamente alle curve di indifferenza possa indicare la migliore combinazione possibile fra due beni e come la sostituzione di un bene analogo ma dal diverso rapporto prezzo/utilità concorra allo scopo.
I beni inferiori sono quei beni che possono surrogare altri beni di maggior pregio ma di prezzo maggiore (come l’orzo rispetto al caffè). Naturalmente non si tratta di una classificazione oggettiva (certe persone potrebbero preferire l’orzo al caffè a prescindere dal suo prezzo e potendosi permettere l’uno e l’altro).
La domanda di un bene, dal punto di vista dinamico, è funzione (cioè dipende) non soltanto dal prezzo del bene stesso, ma anche di altri elementi quali: i prezzi di altri beni, il reddito del consumatore, i gusti e le preferenze del consumatore.
L’offerta di lavoro ha quattro dimensioni: ammontare della popolazione, percentuale degli individui con una occupazione retribuita, numero medio di ore lavorate, qualità dello sforzo produttivo. All’aumentare dei salari, sull’offerta di lavoro si esercitano due effetti opposti: l’effetto di sostituzione spinge ogni lavoratore a lavorare più a lungo grazie alla maggiore retribuzione di ciascuna ora di lavoro; l’effetto reddito esercita un’influenza nel verso opposto, in quanto salari più alti significano che ora i lavoratori possono permettersi più tempo libero, insieme ad una maggiore quantità di merci. In corrispondenza di un certo salario critico, la curva di offerta può piegarsi all’indietro. L’offerta di lavoro di persone eccezionali, assai dotate, è perfettamente anelastica: le loro retribuzioni sono in gran parte “rendita economica pura”.
La funzione della produzione è la relazione tecnica tra la quantità massima di prodotto che si può ottenere da ciascun insieme di fattori di produzione e l’insieme stesso. Essa è definita per un dato stato delle conoscenze tecniche.
Il prodotto totale aumenta per gradini via via decrescenti. Il prodotto marginale di un fattore di produzione è la quantità addizionale di prodotto che si ottiene impiegando una unità addizionale di tale fattore, ferma restando la quantità impiegata di tutti gli altri fattori (ha un’andatura decrescente).
L’isoquanto, o curva di eguale prodotto, è il luogo geometrico di tutte le combinazioni tecnicamente possibili dalle quali si può ricavare la stessa quantità di prodotto. Potremmo anche chiamarlo curva di indifferenza della produzione per analogia con la curva di indifferenza del consumatore. L’isocosto è il luogo geometrico delle varie combinazioni acquistabili di due fattori produttivi dati i prezzi di questi ultimi e una certa somma di denaro da impiegare per l’acquisto degli stessi.
Mentre la curva dell’isoquanto fa conoscere preventivamente all’imprenditore le combinazioni possibili fra due fattori produttivi, ritenendo costante la quantità di prodotto finale che si vuole ottenere, l’isocosto gli fa conoscere preventivamente le diverse combinazioni acquistabili di due fattori produttivi.
Il punto di tangenza tra la curva dell’isoquanto e la retta dell’isocosto determina la combinazione dei fattori produttivi di equilibrio (ottima combinazione dei fattori produttivi), ovvero le quantità dei due fattori necessarie per ottenere, data una certa somma a disposizione, la massima quantità possibile di prodotto.
I costi d’impresa sono tutte quelle spese che deve sostenere un’impresa per ottenere una certa quantità di prodotto finale.
I costi d’impresa si dividono in costi fissi e costi variabili. I costi fissi sono quei costi che l’impresa deve sostenere a prescindere dalla quantità di prodotto che riuscirà a realizzare in quanto riguardano le spese fisse per mantenere in piedi l’impianto produttivo: ad esempio l’affitto dei locali, il salario degli amministratori ecc. I costi variabili al contrario dipendono direttamente dalla quantità di prodotto che l’impresa vuole realizzare: le spese ad esempio per le materie prime e per i salari dei lavoratori.
Il costo totale (CT) è dato dalla somma dei costi fissi (CF) e dei costi variabili (CV). Il costo unitario medio (CU) è dato dal rapporto fra il costo totale e il numero di unità prodotte (CU=CT/q).
Il costo marginale è il costo di ogni unità di prodotto ottenuta in più (cioè addizionale), mediante l’applicazione di ulteriori dosi di fattori produttivi ad un impianto lasciato immutato: è il rapporto fra l’incremento di spesa ed il numero di unità di prodotto ottenuto in più, grazie all’incremento di spesa.
Un’impresa perfettamente concorrenziale è, per definizione, un’impresa in grado di vendere tutto ciò che vuole al prezzo di mercato. Per massimizzare il proprio profitto, essa si muoverà lungo la propria curva di domanda (orizzontale) finché non raggiunge la propria curva crescente del costo marginale (cioè l’imprenditore spingerà la produzione fino al punto in cui il costo dell’ultima unità prodotta (costo unitario marginale) uguaglia il prezzo di mercato). In corrispondenza di questo punto di intersezione, CM=P, l’impresa massimizza il proprio profitto (o minimizza le proprie perdite di breve periodo). La curva di offerta dell’industria si ricava sommando orizzontalmente le curve del costo marginale di tutte le imprese che costituiscono l’industria. Nel determinare il punto di chiusura di breve periodo di un’impresa si deve tenere conto dei costi variabili. Al di sotto di un certo prezzo critico P, l’impresa non riuscirà neppure a coprire con i propri ricavi il costo variabile che potrebbe risparmiare completamente se chiudesse; quindi, piuttosto che incorrere in una perdita maggiore di quella rappresentata dal suo costo fisso, l’impresa chiuderà e non produrrà alcunché quando il prezzo scende al disotto del prezzo di chiusura.
Nel lungo periodo la libera entrata di potenziali imprese concorrenti elimina, attraverso la concorrenza, qualunque eccesso di profitto ottenuto dalle imprese esistenti in questa industria. Così, esattamente come la libera uscita significa che il prezzo non può scendere al disotto del punto di chiusura, la libera entrata significa che il prezzo non può persistere al disopra di quel punto nell’equilibrio di lungo periodo. Quando un’industria è in grado di espandersi riproducendosi senza fare salire i prezzi di alcun fattore peculiare per l’industria stessa o usato da essa in percentuali particolarmente grandi, la risultante curva di offerta di lungo periodo sarà orizzontale. Con maggiore probabilità, qualsiasi industria, tranne le più piccole, userà generalmente alcuni fattori produttivi in quantità tanto grandi quanto basta per far salire leggermente i propri prezzi. Di conseguenza, la curva di offerta di lungo periodo di un’industria concorrenziale sarà inclinata verso l’alto, almeno lievemente.
La maggior parte delle situazioni di mercato nel mondo reale può essere collocata su una linea congiungente i casi limite della concorrenza perfetta e del monopolio completo. La concorrenza imperfetta implica un certo controllo da parte di ciascuna impresa sul proprio prezzo, in virtù del fatto che non esiste un numero molto grande di rivali che vendano un prodotto assolutamente identico.
Le tendenze verso costi decrescenti hanno un effetto distruttivo sulla concorrenza perfetta, perché allora una o alcune società si sbarazzeranno dei numerosi venditori necessari per il modello concorrenziale. Quando le dimensioni efficienti minime degli impianti sono grandi rispetto al mercato nazionale o regionale, allora le condizioni dei costi spingono le strutture di mercato verso la concorrenza imperfetta.
Oltre che l’impedimento dei costi decrescenti, esistono anche barriere alla concorrenza sotto forma di restrizioni legali (quali i brevetti e la regolamentazione pubblica) e di differenziazione naturale o artificiale dei prodotti.
Si dice monopolio quel mercato in cui tutta l’offerta di un dato bene o servizio è concentrata nelle mani di una sola impresa, mentre la domanda è frazionata fra numerosi compratori
Nel mercato oligopolistico la produzione di una merce è concentrata in un limitato numero di grandi imprese. La domanda invece è frazionata fra numerosi compratori (es. industria petrolifera). Per altre imprese non è agevole introdursi in un settore di produzione oligopolistica, poiché spesso sono richiesti ingenti mezzi finanziari ed esperienza tecnica, quando comunque le imprese già operanti sul mercato non hanno adottato un regime di coalizione.
Quando gli oligopolisti sono in grado di colludere completamente, o quando essi tengono conto dell’interdipendenza, il prezzo e la quantità possono essere vicini a quelli di un singolo monopolista.
La concorrenza monopolistica è una forma di mercato simile alla concorrenza perfetta, in quanto la domanda di un bene o di un servizio è frazionata fra molti consumatori e l’offerta è effettuata da numerose imprese, che però producono merci non omogenee. Ciascuna impresa produce infatti beni che sono differenti. Tali differenziazioni possono riguardare le caratteristiche fisiche dei prodotti, la loro confezione, le condizioni di vendita ecc.
In molte industrie c’è un’impresa dominante, circondata da numerose imprese rivali più piccole. Nei mercati in cui l’impresa più grande controlla il 60-80% del mercato, essa dispone di numerose strategie possibili. La più probabile è semplicemente quella di cedere una parte del mercato alla frangia concorrenziale e poi comportarsi come un monopolio per il 60-80% del mercato che l’impresa in questione controlla. Tale mercato prende il nome di oligopolio con impresa dominante.
La politica anti-trust è la principale forma di intervento pubblico volta a limitare i possibili abusi delle grandi imprese. In via generale essa agisce in due modi: proibendo condotte anticoncorrenziali (come i cartelli per manipolare i prezzi e ripartire i mercati, la discriminazione dei prezzi, i vincoli vessatori), e limitando le strutture monopolistiche di mercato
La teoria dei giochi, sviluppata dal matematico John von Neumann, rappresenta il comportamento economico di due imprese in competizione. Secondo tale teoria, le due imprese raggiungono una soluzione concorrenziale stabile solo in corrispondenza dell’equilibrio di Nash (a meno che queste non colludano). Un equilibrio di Nash ha la caratteristica che, data la strategia di un’impresa, l’altra impresa non può far meglio e viceversa.
Si ha ottimo paretiano (detto anche efficienza allocativa) quando non è possibile alcuna riorganizzazione della produzione che migliori le condizioni di tutti. In tale situazione, l’utilità di una persona può essere aumentata soltanto da una diminuzione dell’utilità di qualcun altro (oppure, detto molto più semplicemente, nessuna persona può migliorare la propria condizione senza che qualcun altro peggiori la sua).
Il ruolo economico del settore pubblico è cresciuto enormemente. Nella nostra società un numero sempre maggiore di attività viene compiuto sotto la regolamentazione e il controllo diretto delle autorità.
Un moderno Stato del benessere svolge essenzialmente quattro funzioni economiche:
Mentre la teoria normativa dello Stato riguarda il “come” lo Stato “dovrebbe” agire, la teoria delle scelte pubbliche analizza il modo in cui lo Stato effettivamente si comporta. Uno strumento essenziale di questa analisi è la frontiera delle possibilità di utilità, la quale rappresenta la relazione inversa tra i livelli di utilità o di reddito reale che possono essere raggiunti da differenti persone o gruppi. La teoria normativa dello Stato suggerisce che la frontiera della possibilità di utilità della società viene espansa dalla possibilità dell’azione collettiva.
Le scelte pubbliche implicano l’aggregazione delle preferenze individuali in una scelta collettiva. Ma poiché è impossibile raggiungere l’unanimità, tali scelte vengono fatte con la regola della maggioranza. Esiste però la possibilità che tale sistema non funzioni come nel caso della “cattura” di un’assemblea legislativa da parte di una minoranza o un gruppo di pressione ben finanziato.
Un importante esempio di fallimento del mercato che può richiedere azioni collettive è quello degli effetti esterni. Essi insorgono quando i costi o i benefici di un’attività traboccano riversandosi su altre persone, senza che queste vengano pagate (o paghino) per i costi o i benefici traboccati. Si pensi ad esempio a mercati con esternalità quali l’inquinamento: lo Stato può ad esempio intervenire per correggere tali inefficienze con standard di emissione di inquinanti o imposte sulle emissioni.
Un tempo gli economisti credevano che la disuguaglianza fosse una costante universale, non modificabile dalla politica pubblica. Tale concezione è stata smentita dal fatto che l’entità della disuguaglianza è diminuita notevolmente negli ultimi decenni.
Occorre comunque osservare che la ridistribuzione ha i suoi costi: ridurre la disuguaglianza ha inevitabili ripercussioni sull’ammontare della produzione nazionale.
Fra i principali programmi per alleviare la povertà possiamo ricordare i pagamenti assistenziali, i buoni-viveri e l’assistenza sanitaria. Nel complesso, questi programmi vengono criticati in quanto impongono alti tassi di riduzione dei sussidi alle famiglie a basso reddito, quando queste cominciano a percepire salari o altre forme di reddito. Per ottenere un programma più efficiente ed equo, gli economisti hanno proposto una imposta negativa sul reddito che fornisca un sussidio di base, e poi tassi una modesta frazione di qualsiasi guadagno. Gli esperimenti indicano che tale piano determinerebbe una piccola riduzione dello sforzo lavorativo da parte delle famiglie povere.
I principali strumenti analitici per comprendere come funziona la macroeconomia sono l’offerta aggregata (OA) e la domanda aggregata (DA). La domanda aggregata è determinata dalla spesa totale che, in un sistema economico, viene compiuta dalle famiglie, imprese e settore pubblico e rappresenta la produzione reale totale che viene acquistata in corrispondenza di ogni livello dei prezzi. L’offerta aggregata descrive quanto PNL reale viene prodotto dalle imprese dati i prezzi, i costi e le condizioni di mercato.
Le curve OA e DA hanno gli stessi andamenti delle familiari curve di offerta e di domanda della microeconomia benché le ragioni che determinano le pendenze siano nel primo caso diverse. La curva di domanda aggregata è inclinata verso il basso in parte perché i consumatori riescono ad ampliare ulteriormente il loro reddito e la loro ricchezza ad un più basso livello dei prezzi. Similmente, la curva OA è inclinata verso l’alto nel breve periodo poiché le imprese sono soggette ad alcuni costi fissi (come quelli dei contratti salariali) e quindi, in tale circostanza, produrranno più beni e al tempo stesso alzeranno alquanto i prezzi al crescere della domanda: esse possono ottenere un più alto profitto a più alti prezzi dei beni e perciò sono disposte a produrre di più.
Grazie agli strumenti dell’offerta aggregata e della domanda aggregata possiamo comprendere alcuni dei più importanti eventi della storia recente (v. pag. 91 man.).
Guerra del Vietnam. Nel 1964, il sistema era vicino al suo prodotto potenziale. In conseguenza della riduzione delle imposte e del boom durante la guerra del Vietnam, la curva subì uno spostamento verso nord-est così come il punto di equilibrio. La produzione salì molto al disopra di quella potenziale e il livello dei prezzi aumentò rapidamente (perciò la produzione crebbe e i prezzi salirono).
Stagflazione da shock da offerta. Il rapido aumento dei costi del petrolio, delle materie prime e del lavoro ebbe l’effetto di aumentare i costi delle imprese e ciò condusse alla stagflazione, cioè al ristagno combinato con l’inflazione. Per effetto dell’aumento dei costi, la curva OA subì uno spostamento verso nord-ovest così come il punto di equilibrio. La produzione diminuì mentre i prezzi aumentarono.
Il prodotto nazionale lordo (PNL) è, per definizione, il flusso monetario di produzione totale di un paese: la somma del consumo, degli investimenti (interni ed esteri) e della spesa pubblica per beni e servizi. PNL=C+I+G.
In virtù del modo in cui si definisce il profitto come residuo, si può fare corrispondere la misura del PNL come flusso di costi o come flusso di prodotti.
Il metodo del flusso di costi usa le remunerazioni dei fattori, calcolando accuratamente i valori aggiunti per eliminare il doppio computo dei prodotti intermedi. E, dopo aver sommato (al lordo delle imposte) tutti i salari, gli interessi, le rendite, gli ammortamenti e i profitti, aggiunge a questo totale il costo di tutte le imposte indirette. Il metodo del flusso di prodotti considera il flusso monetario totale annuo delle spese per beni finali. Le due misure devono essere sempre identiche.
Il reddito è un’importante determinante del consumo e del risparmio. La funzione del consumo pone in relazione il consumo totale con il reddito totale. Poiché ogni lira di reddito viene risparmiata o consumata, la funzione del risparmio è l’immagine speculare della funzione di consumo. Sommando tra loro le funzioni del consumo individuali, si ottiene la funzione del consumo nazionale, la quale, nella sua forma più semplice, esprime le spese in consumi totali in funzione del reddito disponibile. Anche altre variabili influenzano il consumo: la ricchezza e le aspettative riguardo al reddito futuro hanno mostrato una chiara influenza sulle modalità di consumo.
La principale motivazione che sta alla base dell’investimento è ricavare un profitto netto, cioè investire dove i ricavi aspettati, presenti e futuri, sono maggiori dei costi aspettati, presenti e futuri. Le principali forze economiche che determinano gli investimenti sono perciò i ricavi prodotti dagli investimenti stessi (influenzati principalmente dallo stato del ciclo economico), il costo degli investimenti (determinato dai tassi di interesse e dalla politica fiscale), e lo stato delle aspettative riguardo al futuro. Poiché le determinanti degli investimenti dipendono da eventi futuri altamente imprevedibili, gli investimenti sono la più volatile componente della spesa aggregata.
Nel modello keynesiano del moltiplicatore, un aumento degli investimenti privati determinerà un’espansione della produzione e dell’occupazione, mentre una diminuzione degli investimenti ne determinerà la contrazione. Questa semplice analisi keynesiana della determinazione della produzione mostra che un aumento degli investimenti farà aumentare il PNL di una quantità amplificata o moltiplicata, cioè di una quantità maggiore di se stessa: la spesa per investimenti è una spesa di grande potenza. Questo effetto amplificato degli investimenti sulla produzione viene detto moltiplicatore. Lo stesso termine viene usato per indicare il coefficiente numerico che indica l’entità dell’aumento della produzione determinato da ogni aumento unitario degli investimenti. In altre parole il moltiplicatore è il numero per cui si deve moltiplicare la variazione degli investimenti per determinare la risultante della produzione totale.
L’analisi IS-LM rappresenta l’equilibrio tra investimenti e risparmio mediante la curva IS e l’equilibrio del mercato monetario mediante la curva LM.
La curva IS rappresenta le combinazioni di tassi di interesse e PNL reale in corrispondenza delle quali il risparmio programmato è uguale agli investimenti programmati. La curva LM rappresenta le combinazioni in corrispondenza delle quali la domanda e l’offerta di moneta sono uguali. Il punto in cui sia i beni sia i mercati monetari sono in equilibrio è l’intersezione tra la curva IS e la curva LM. Perciò nel punto di intersezione la domanda e l’offerta di moneta sono uguali e il risparmio programmato è uguale agli investimenti programmati. Quindi, il punto di intersezione rappresenta i livelli di equilibrio macroeconomico della produzione e dei tassi di interesse (v. pag. 357 manuale).
La moneta, insieme alla politica fiscale, è un’importante determinante della produzione, della disoccupazione e dell’inflazione in un moderno sistema economico. La moneta influenza il sistema economico in tre tappe logiche:
Le banche sono imprese commerciali presenti negli affari per ottenere profitti per i loro proprietari. Un’importante funzione delle banche è quella di fornire conti correnti ai loro clienti. Le banche moderne si sono evolute gradualmente dalle antiche botteghe di orafo in cui venivano custoditi denaro e preziosi. Alla fine divenne pratica generale detenere riserve inferiori al 100% a fronte dei depositi, il resto venendo investito in titoli e prestiti per produrre interessi: nacque così il sistema bancario con riserve parziali. Se le banche detenessero il 100% di riserve in contanti a fronte di tutti i depositi, non ci sarebbe alcuna creazione multipla di moneta quando venissero immesse nel sistema nuove riserve ad alto potenziale da parte della banca centrale. Ci sarebbe soltanto lo scambio, nel rapporto di 1 a 1, di un tipo di moneta con un altro tipo di moneta. Le banche moderne sono obbligate, dalla banca centrale, a detenere riserve legali sui loro depositi a vista, secondo l’ammontare dei depositi stessi. Le riserve possono essere detenute in denaro liquido o in depositi infruttiferi presso la banca centrale. Ogni piccola banca ha una capacità limitata di espandere i propri prestiti e investimenti: non può prestare o investire più di quanto ha ricevuto dai depositanti; ammettendo a titolo di esempio una riserva obbligatoria del 10%, può prestare soltanto circa nove decimi del ricevuto. Però, mentre nessuna banca da sola può espandere le proprie riserve nel rapporto di 10 a 1, il sistema bancario nel suo complesso può farlo. La prima banca individuale che riceve un nuovo milione di lire di depositi spende in prestiti e investimenti i nove decimi del contante che ha appena acquisito. Ciò fornisce ad un secondo gruppo di banche i nove decimi di un milione di lire in nuovi depositi. Le seconde banche a loro volta mantengono un decimo di riserve e spendono il resto e così via. I limiti dell’espansione dei depositi saranno raggiunti soltanto quando ogni lira delle nuove riserve conservate nel sistema bancario finirà con il sostenere 10 lire di depositi in qualche banca del sistema. A questo punto il sistema ha raggiunto il tetto degli impieghi e non può creare altri depositi finché non riceve altre riserve. Il rapporto di 10 a 1 tra l’aumentata moneta bancaria e le aumentate riserve è detto moltiplicatore dell’offerta di moneta.
La banca centrale è una “banca delle banche”. Ha la funzione di controllare l’ammontare delle riserve bancarie, determinando così l’offerta di moneta della nazione. Se la banca centrale volesse rallentare il sistema economico, la successione di cinque tappe si svolgerebbe così:
I principali strumenti della politica della banca centrale sono i seguenti:
Usando questi tre strumenti, la banca centrale può raggiungere obiettivi intermedi: il livello delle riserve bancarie, i tassi di interesse di mercato e l’offerta di moneta. Tutte queste operazioni sono rivolte verso gli obiettivi finali della politica monetaria, per raggiungere (nella massima misura possibile) una bassa inflazione, una bassa disoccupazione e una rapida crescita del PNL reale.
Il più importante strumento della politica monetaria è costituito dalle operazioni di mercato aperto. La vendita, da parte della banca centrale, di titoli pubblici nel mercato aperto riduce le attività e le passività della banca centrale stessa, riducendo così le riserve delle banche commerciali. Ciò ha l’effetto di ridurre la base di riserve delle banche per i depositi. La gente alla fine si ritrova con meno M e più titoli pubblici. Gli acquisti di mercato aperto hanno l’effetto opposto, espandendo in definitiva M mediante un aumento delle riserve delle banche.
L’offerta aggregata deriva dalla capacità del sistema economico di produrre, cioè dal suo prodotto potenziale. Per il breve periodo, possiamo considerare che la curva OA sia relativamente orizzontale fino al livello del prodotto potenziale, poi si avvicini nettamente alla verticale per più alti livelli di produzione. Gli aumenti del prodotto potenziale, a costi invariati, spostano la curva OA verso destra; gli aumenti dei costi (per esempio di quelli dei salari) spostano la curva OA verso l’alto.
Le principali determinanti della crescita del prodotto potenziale sono gli aumenti dei fattori produttivi capitale e lavoro e il miglioramento dello stato della conoscenza e della tecnologia. Nei lunghi periodi, la crescita del prodotto potenziale tende ad essere piuttosto regolare.
I cicli economici sono fluttuazioni dell’attività economica globale, caratterizzata dalla simultanea espansione o contrazione della produzione nella maggior parte delle industrie. Nel linguaggio economico moderno, i cicli economici si producono quando il PNL reale aumenta rispetto al PNL potenziale (espansione) o diminuisce (contrazione o recessione). Per comprendere meglio i cicli, si può considerarli come movimenti della domanda aggregata, che rispecchiano spostamenti C+I+G.
Esiste un evidente collegamento tra i movimenti della produzione e il tasso di disoccupazione durante il ciclo. Secondo la legge di Okun, per ogni punto percentuale di cui il PNL reale scende ad disotto del PNL potenziale, il tasso di disoccupazione sale di mezzo punto percentuale ad disopra del tasso naturale di disoccupazione. Tale regola è utile per tradurre i movimenti ciclici del PNL nei loro effetti sulla disoccupazione (ma funziona meglio negli USA che in Italia).
Un attento esame delle statistiche sulla disoccupazione rivela parecchi fatti sorprendenti. Le recessioni colpiscono tutti i gruppi in modo grossolanamente proporzionale; cioè, tutti i gruppi vedono oscillare i loro tassi di disoccupazione quasi proporzionalmente al tasso generale di disoccupazione. In Italia, però, la disoccupazione giovanile tende ad oscillare un po’ meno di quella degli adulti. Negli Stati Uniti la maggior parte della disoccupazione è di brevissimo periodo: negli anni di bassa disoccupazione (come il 1973), più del 90% dei lavoratori disoccupati rimane disoccupato meno di sei mesi. In Italia, viceversa, circa tre quarti della disoccupazione è di lunga durata. La durata media della disoccupazione, in particolare il numero di disoccupati di lunghissimo periodo, aumenta nettamente nelle recessioni profonde e prolungate. Negli Stati Uniti una parte notevole della disoccupazione è semplice disoccupazione frizionale dovuta alla mobilità, che comprende le persone che entrano per la prima volta nelle forze di lavoro o vi rientrano: soltanto nelle recessioni l’insieme dei disoccupati è costituito principalmente da individui che hanno perso il posto di lavoro. In Italia invece la disoccupazione frizionale sembra trascurabile, e prevale quella strutturale, particolarmente tra i giovani.
Nel suo significato più generale, il termine inflazione sta ad indicare l’aumento persistente del livello generale dei prezzi e la conseguente diminuzione del potere di acquisto della moneta. Tale fenomeno coinvolge tutti i meccanismi dell’economia di una nazione e le condizioni di vita dei suoi abitanti; ed inoltre, se assume proporzioni notevoli, causa sovente danni allo sviluppo creando del malessere nella società.
Il tasso di inflazione è l’aumento annuo percentuale di un livello generale di prezzi, misurato comunemente dall’indice dei prezzi al consumo o da qualche analogo indice dei prezzi. L’iperinflazione è un inflazione così grave, pari a 1000%, 1.000.000% o persino 1.000.000.000% annuo, che la gente tenta di liberarsi del proprio denaro prima che i prezzi siano saliti ulteriormente rendendo il denaro privo di valore. L’inflazione galoppante è un tasso di inflazione pari al 50-200% annuo. L’inflazione moderata è un aumento del livello dei prezzi che non distorce gravemente i prezzi o i redditi relativi.
La curva di Phillips è uno strumento per mostrare come l’inflazione inerziale e gli shock influenzano il sistema economico. Nel breve periodo, il sistema economico ha una possibilità di “permuta” fra disoccupazione e inflazione, derivante da una relazione inversa tra queste due grandezze. Supponiamo che, in un dato anno, il tasso inerziale di inflazione sia il 4% e che il tasso naturale di disoccupazione sia il 6%. Allora, se la disoccupazione scende al disotto del tasso naturale, l’inflazione sale al disopra del tasso inerziale, ad un tasso di inflazione del 5% o 6% o più. Analogamente, se la disoccupazione sale al disopra del tasso naturale (come ha fatto negli USA nel periodo ’80-’84), l’inflazione tende a scendere al disotto del tasso inerziale.
Ma le possibilità di scelta non rimangono invariate. Se l’inflazione persiste al disopra o al disotto del tasso inerziale incorporato, allora le aspettative della gente cambiano e cambia lo stesso tasso inerziale di inflazione. Oggi è opinione generale che il tasso inerziale di inflazione si adatterà interamente alla mutevole esperienza storica e perciò non c’è una permanente relazione inversa tra disoccupazione e inflazione. Se i politici tentano di mantenere il tasso di disoccupazione al disotto del tasso naturale per un lungo periodo, l’inflazione cresce vertiginosamente. Perciò la curva di Phillips di lungo periodo tende ad essere verticale.
Un problema fondamentale per i politici è conoscere l’entità del danno che si deve arrecare alla produzione e all’occupazione per ridurre una refrattaria inflazione incorporata, cioè quali siano i costi della disinflazione: tali costi si sono rivelati essere una profonda recessione. Un costo così grande fa esitare chi prende in considerazione la possibilità di indurre una recessione per contenere una moderata inflazione.
Poiché la riduzione dell’inflazione attraverso le recessioni implica costi così alti, le nazioni sono spesso ricorse ad altri metodi, e cioè a politiche dei redditi come i controlli dei salari e dei prezzi e i criteri-guida indicativi. Molti ricorrerebbero a un’intensificazione delle forze di mercato. Un metodo più recente è quello delle politiche dei redditi basate sulle imposte che userebbero il sistema fiscale per scoraggiare l’inflazione, all’incirca come oggi si applicano imposte indirette per ridurre il consumo di alcool o tabacco.
Gli strumenti di politica economica adatti per il controllo dell’inflazione sono vari e diversi a secondo del tipo di inflazione.
Non appena all’interno di un paese si creano differenze di produttività, la specializzazione e lo scambio diventano vantaggiosi. Lo stesso vale tra un paese e l’altro. Gli scambi internazionali permettono un efficiente grado di specializzazione e divisione del lavoro: più efficiente del ricorso esclusivo alla produzione interna.
E’ facile capire che il commercio è mutuamente vantaggioso, ad esempio, tra le regioni tropicali e le zone temperate. Ma occorre l’importante principio ricardiano del vantaggio comparato per vedere che il commercio tra due paesi non è meno mutuamente vantaggioso anche quando uno di essi è più efficiente in assoluto dell’altro in ogni industria. Finché esiste una differenza di efficienza relativa, ogni paese deve avere sia un vantaggio comparato, scambiandoli con i beni cui l’altro paese ha un vantaggio comparato. Detto più semplicemente, il commercio internazionale permette di ottenere merci che sarebbe possibile ottenere all’interno ad un costo minore di quello sopportato all’estero, ma alla cui produzione conviene sostituire la produzione di un altro bene che può essere ottenuto all’interno ad un costo ancora più basso di quello necessario per ottenere in via diretta la merce importata.
La legge del vantaggio comparato non si limita a prevedere la distribuzione geografica della specializzazione e la direzione del commercio. Essa dimostra anche che entrambi i paesi vengono a trovarsi in una posizione migliore e che i salari reali migliorano grazie al commercio e al risultante aumento del totale della produzione mondiale. I contingenti e i dazi doganali proibitivi che sono destinati a proteggere i lavoratori e le industrie nuocciono spesso ai salari reali e ai rendimenti totali dei fattori, anziché favorirli.
Acceleratore Il principio di accelerazione è una teoria delle determinanti dell’investimento. Esso stabilisce che il capitale necessario alla società, sia esso costituito da scorte o attrezzature, dipende principalmente dal livello di produzione: le aggiunte al capitale, gli investimenti netti, avverranno soltanto quando la produzione sta crescendo. |
Cicli economici Fluttuazioni dell’attività economica globale, caratterizzata dalla simultanea espansione o contrazione della produzione nella maggior parte delle industrie. Nel linguaggio economico moderno, i cicli economici si producono quando il PNL reale aumenta rispetto al PNL potenziale (espansione) o diminuisce (contrazione o recessione). |
Concorrenza monopolistica Struttura di mercato in cui è presente un gran numero di venditori che offrono beni che sono succedanei stretti ma non perfetti. In tale mercato, ciascuna impresa può esercitare un certo effetto sul suo prezzo. |
Concorrenza perfetta Si ha concorrenza perfetta quando nessun produttore è in grado di influenzare il prezzo di mercato. Ciascuno subisce il prezzo nel senso che deve vendere al prezzo di mercato prevalente. Tutto ciò è possibile quando è presente un grande numero di piccole imprese, ciascuna delle quali produce un identico prodotto e ciascuna delle quali è troppo piccola per influenzare il prezzo di mercato. In regime di concorrenza perfetta, ciascun produttore ha di fronte una curva di domanda perfettamente orizzontale. |
Costo fisso Il costo fisso rappresenta la spesa totale, in lire, che occorre sostenere anche quando la quantità prodotta è nulla. E’ un costo che non varia affatto al variare della quantità prodotta. |
Costo marginale L’aumento del costo totale necessario per produrre una unità in più di prodotto (o la diminuzione del costo totale dovuta alla produzione di una unità in meno). Il costo marginale nel breve periodo e il costo marginale nel lungo periodo sono associati, rispettivamente, al costo totale nel breve periodo e al costo totale nel lungo periodo. |
Costo totale Il costo totale rappresenta la minima spesa totale, in lire, necessaria per produrre ciascun livello di produzione q ed è dato dalla somma del costo fisso e del costo variabile. Il costo totale cresce al crescere della quantità prodotta. |
Costo variabile Il costo variabile rappresenta tutte le voci del costo totale che non rientrano nel costo fisso, come le materie prime, i salari, il combustibile ecc. |
Curva di indifferenza Curva tracciata su un diagramma i cui due assi misurano quantità di beni consumati. Tutti i punti di tale curva (indicanti combinazioni dei due beni) forniscono esattamente lo stesso livello di soddisfazione per quel consumatore. |
Curva di Lorenz E’ un diagramma (che rappresenta la percentuale cumulativa di popolazione sull’asse orizzontale e la percentuale cumulativa di reddito ricevuto sull’asse verticale) usato per rappresentare il grado di eguaglianza o disuguaglianza nella distribuzione del reddito. Quanto maggiore è lo scostamento della curva di Lorenz dalla retta a 45° (che rappresenta l’uguaglianza assoluta), tanto maggiore è la disuguaglianza nella distribuzione del reddito. |
Curva di Phillips E’ un diagramma che rappresenta la relazione tra disoccupazione e inflazione. La concezione che trasse origine dall’opera di Phillips era che, quanto più basso è il tasso di disoccupazione, tanto più alto è il tasso di inflazione. Nella moderna macroeconomia dominante, la curva di Phillips con pendenza negativa è considerata generalmente valida solo nel breve periodo; nel lungo periodo, la curva di Phillips è verticale al tasso naturale di disoccupazione. |
Disoccupazione ciclica Riguarda i lavoratori licenziati quando il sistema economico generale è colpito da una recessione. |
Disoccupazione frizionale E’ quella dei lavoratori che semplicemente si trasferiscono da un posto di lavoro ad un altro. |
Disoccupazione strutturale E’ quella che riguarda i lavoratori che si trovano in regioni o in industrie che sono in persistente recessione, o che comunque non hanno le caratteristiche richieste dai posti disponibili. |
Domanda La domanda è la quantità di merce che i consumatori desiderano e sono effettivamente in grado di acquistare ad un determinato prezzo e in una determinata unità di tempo. Il termine piani di domanda denota una tabella che indica le varie quantità di un bene che la gente vorrà comperare a ogni diverso prezzo, in un periodo dato e a parità di ogni altra cosa. Questa relazione, rappresentata graficamente in un diagramma di Q in funzione di P, costituisce la curva di domanda, DD. |
Domanda aggregata La domanda aggregata è determinata dalla spesa totale che, in un sistema economico, viene compiuta da famiglie, imprese e settore pubblico e rappresenta la produzione reale totale che viene acquistata in corrispondenza di ogni livello dei prezzi. |
Elasticità dell’offerta L’elasticità dell’offerta misura la reattività (o sensibilità) percentuale della produzione offerta dai produttori quando il prezzo di mercato viene aumentato di una data percentuale. |
Elasticità della domanda L’elasticità della domanda dipende da ciò che accade al ricavo totale quando il prezzo diminuisce. La domanda è elastica, anelastica o a elasticità unitaria secondo che una riduzione del prezzo aumenti, diminuisca o lasci invariato il ricavo totale. Il coefficiente numerico di elasticità della domanda è, per definizione, il rapporto tra l’aumento percentuale della quantità domandata e la diminuzione percentuale del prezzo. Secondo che l’aumento percentuale di Q sia maggiore o minore della diminuzione percentuale di P, si ha che Ed>1 oppure Ed>1, con Ed=1 tra i due casi. L’elasticità è un numero puro che implica percentuali; non deve essere confusa con la pendenza assoluta, come possono mostrare le tabelle numeriche e i diagrammi. |
Equilibrio concorrenziale E’ l’equilibrio della domanda e dell’offerta in un mercato o in un sistema economico caratterizzati da concorrenza perfetta. Poiché i venditori e gli acquirenti perfettamente concorrenziali non sono in grado di influenzare il mercato, il prezzo si sposterà fino al punto in cui eguaglia il costo marginale e l’utilità marginale. |
Equilibrio concorrenziale L’equilibrio della domanda e dell’offerta in un mercato o in un sistema economico caratterizzati da concorrenza perfetta. Poiché i venditori e gli acquirenti non sono in grado di influenzare il mercato, il prezzo si sposterà fino al punto in cui uguaglia il costo marginale e l’utilità marginale. |
Equilibrio dell’impresa E’ quella situazione o quel livello di produzione in cui l’impresa massimizza il proprio profitto, entro i limiti imposti dai vincoli che essa fronteggia, e perciò non ha alcun incentivo a variare la propria produzione o il proprio livello dei prezzi. Nella teoria standard dell’impresa, ciò significa che essa ha scelto una produzione in corrispondenza della quale il ricavo marginale è esattamente uguale al costo marginale, con quest’ultimo crescente. |
Esternalità E’ un’attività che ne influenza altre in meglio o in peggio, senza che queste ultime paghino o siano pagate per quell’attività. Esistono esternalità quando i costi o i benefici privati non uguagliano i costi o i benefici sociali. I due tipi principali sono le economie esterne e le diseconomie esterne. |
Frontiera delle possibilità di produzione La frontiera delle possibilità di produzione è un diagramma che rappresenta l’insieme di beni che possono essere prodotti da un sistema economico. Indica cioè in quale misura un bene può venire trasformato nell’altro mediante il trasferimento di risorse dalla produzione del primo a quella del secondo. |
Funzione del consumo Una curva che rappresenta la relazione tra il consumo totale e il livello di reddito. La misura di reddito usata potrebbe essere il reddito disponibile o, nel caso della funzione del consumo nazionale, il PNL. Anche il patrimonio totale o altre variabili possono frequentemente influenzare il consumo. |
Inflazione Il tasso di inflazione è l’aumento annuo percentuale di un livello generale di prezzi, misurato comunemente dall’indice dei prezzi al consumo o da qualche analogo indice dei prezzi. L’iperinflazione è un inflazione così grave, pari a 1000%, 1.000.000% o persino 1.000.000.000% annuo, che la gente tenta di liberarsi del proprio denaro prima che i prezzi siano saliti ulteriormente rendendo il denaro privo di valore. L’inflazione galoppante è un tasso di inflazione pari al 50-200% annuo. L’inflazione moderata è un aumento del livello dei prezzi che non distorce gravemente i prezzi o i redditi relativi. |
Inflazione da costi Si ha quando i prezzi dei fattori produttivi aumentano e tali aumenti successivamente si ripercuotono sui prezzi dei beni. |
Inflazione da domanda Si verifica quando la domanda globale supera le capacità produttive del sistema, cioè in condizioni di piena occupazione delle risorse disponibili. In tale situazione, poiché all’aumento di domanda deve corrispondere un adeguamento dal lato dell’offerta, e dato che quest’ultimo non può avvenire nel senso di un aumento della produzione, la soluzione sarà un aumento dei prezzi. |
Isocosti della produzione Indica le diverse combinazioni acquistabili di due fattori produttivi dati i loro prezzi e una certa somma disponibile da investire nel loro acquisto. |
Isoquanti della produzione E’ il luogo geometrico di tutte le combinazioni tecnicamente possibili dalle quali si può ricavare la stessa quantità di prodotto. |
Legge dei costi relativi crescenti E’ in vigore quando, per ottenere uguali quantità supplementari di un bene, la società deve sacrificare quantità via via crescenti dell’altro bene. La concavità rivolta verso il basso della frontiera delle possibilità di produzione raffigura la legge dei costi relativi crescenti. |
Legge dei rendimenti costanti di scala Contrariamente al caso dei rendimenti decrescenti, si parla di rendimenti costanti di scala quando, raddoppiando tutti i fattori produttivi, si raddoppia di conseguenza il prodotto. |
Legge dei rendimenti crescenti di scala Riguardano l’aumento di produzione che ottiene una grande industria aumentando la “scala delle operazioni produttive”. Cioè, aumentando tutti i fattori produttivi è probabile che una grande industria riesca ad aumentarli in una proporzione maggiore rispetto ai rendimenti costanti di scala. Ciò può essere dovuto, ad esempio, all’impiego di fonti di energia alternative (energia eolica) o robot al posto del lavoro umano. |
Legge dei rendimenti decrescenti Riguarda le quantità successivamente minori di prodotto supplementare che si ottengono combinando incrementi uguali di un fattore produttivo variabile con una quantità costante di un fattore produttivo fisso. |
Legge di Okun Relazione scoperta da Arthur Okun, tra movimenti ciclici del PNL e disoccupazione. Questa legge dice che quando il PNL effettivo diminuisce – per esempio – del 2% rispetto al PNL potenziale, il tasso di disoccupazione aumenta di circa l’1% (secondo stime precedenti, questo rapporto era pari a 3 a 1). |
Modello IS-LM L’analisi IS-LM rappresenta l’equilibrio tra investimenti e risparmio mediante la cur-va IS e l’equilibrio del mercato monetario mediante la curva LM. La curva IS rappresenta le combinazioni di tassi di interesse e PNL reale in corrispondenza delle quali il risparmio programmato è uguale agli investimenti programmati. La curva LM rappresenta le combinazioni in corrispondenza delle quali la domanda e l’offerta di moneta sono uguali. Il punto in cui sia i beni sia i mercati monetari sono in equilibrio è l’intersezione tra la curva IS e la curva LM. Perciò nel punto di intersezione la domanda e l’offerta di moneta sono uguali e il risparmio programmato è uguale agli investimenti programmati. Quindi, il punto di intersezione rappresenta i livelli di equilibrio macroeconomico della produzione e dei tassi di interesse. |
Moltiplicatore Termine usato in macroeconomia per denotare la variazione di una variabile indotta (PNL, offerta di moneta, importazioni) per unità di variazione di una variabile esterna (spesa pubblica, aliquote fiscali, o riserve bancarie). |
Moltiplicatore degli investimenti Denota l’aumento finale del PNL che è prodotto da un aumento di una lira degli investimenti. Nel modello del moltiplicatore semplice, il moltiplicatore degli investimenti (o della spesa pubblica) è maggiore di 1 poiché l’aumento della spesa iniziale determina una serie di ulteriori aumenti “indotti” dalla spesa. La distinzione tra variazioni esterne e variazioni indotte è critica per comprendere come opera questo processo del moltiplicatore. |
Monopolio Struttura di mercato in cui un bene viene offerto da una sola impresa. |
Offerta L’offerta è la quantità di un bene o di un servizio che i produttori sono disposti a cedere ad un determinato prezzo e in una determinata unità di tempo. La curva di offerta rappresenta la relazione tra i prezzi e le quantità di un bene che i produttori sono disposti a vendere, a parità di ogni altra circostanza. |
Offerta aggregata L’offerta aggregata descrive quanto PNL reale viene prodotto dalle imprese dati i prezzi, i costi e le condizioni di mercato. |
Oligopolio Situazione di concorrenza imperfetta in cui un’industria è dominata da un piccolo gruppo di fornitori. |
Ottimo paretiano Si ha ottimo paretiano (detto anche efficienza allocativa) quando non è possibile alcuna riorganizzazione della produzione che migliori le condizioni di tutti. In tale situazione, l’utilità di una persona può essere aumentata soltanto da una diminuzione dell’utilità di qualcun altro. |
PIL Il Prodotto Interno Lordo, a differenza del PNL, si riferisce al prodotto interno della nazione sia prodotto questo da italiani che da stranieri. Il PNL al contrario si riferisce al prodotto degli italiani sia in Italia che all’estero. |
PNL nominale Il valore, ai prezzi di mercato attuali, di tutti i beni e servizi finali prodotti durante un dato periodo da un paese. |
PNL potenziale Il massimo livello sostenibile di PNL per un dato stato di tecnologia e ammontare della popolazione; è detto talvolta “produzione ad alta occupazione”. Oggi è considerato generalmente equivalente al livello di produzione corrispondente al tasso naturale di disoccupazione. |
PNL reale PNL nominale corretto per l’inflazione. E’ uguale al PNL nominale ridotto di una quantità esattamente sufficiente a compensare gli aumenti dei prezzi a partire dall’anno base. Perciò un aumento del PNL reale indica un aumento del volume finanziario della produzione per quel periodo ed esclude l’aumento dei prezzi. |
PNN E’ il PNL meno l’ammortamento dei beni capitali. |
Propensione marginale al consumo La propensione marginale al consumo (PCM) è la quantità di consumo addizionale generata da una lira addizionale di reddito. Graficamente è data dalla pendenza della funzione del consumo: se tale pendenza è grande, la PMC è grande e viceversa. |
Propensione marginale al risparmio La propensione marginale al risparmio (PMR) è il risparmio addizionale generato da una lira addizionale di reddito ed è data graficamente dalla pendenza della funzione del risparmio. Poiché quella parte di ogni lira che non viene consumata viene necessariamente risparmiata, PMR=-PMC. |
Rendita del consumatore Dato che paghiamo per ogni unità di bene ciò che vale l’ultima unità (data la legge dell’utilità marginale), ogni dose “precedente” avrà un valore maggiore del suo prezzo. Tale differenza di valore è la rendita del consumatore. |
Teoria dei vantaggi comparati Secondo tale principio, un paese (o una persona) può aumentare il proprio tenore di vita e il proprio reddito reale specializzandosi nella produzione di quei beni in cui ha la massima produttività. |
Utilità L’utilità economica è l’attitudine reale o presunta dei beni a soddisfare i bisogni. L’utilità totale – ovvero la soddisfazione totale derivante dal consumo di beni – aumenta all’aumentare del consumo ma con un tasso decrescente. Questo perché l’utilità marginale – cioè l’utilità addizionale aggiunta da ciascuna ultima unità addizionale del bene – sarà decrescente. |
Vincolo di bilancio Indica le varie possibilità di consumo in capo ad un consumatore dato un reddito fisso. Il vincolo di bilancio si rappresenta graficamente come una retta di scambio la cui pendenza assoluta è uguale al rapporto fra il prezzo di un bene A e il prezzo di un bene B. |
Fisiocrazia Scuola di economisti francesi del XVIII secolo. I fisiocratici erano guidati da François Quesnay, il cui Tableau économique (Quadro economico, 1758) costituì la base della loro dottrina; altri importanti fisiocratici furono Pierre-Samuel du Pont de Nemours (1739-1817) e Jean-Claude-Marie-Vincente de Gournay (1712-1759), al quale è attribuita la celebre frase laissez-faire, laissez passer, che esprime compiutamente la politica di non intervento dello stato nelle questioni economiche propugnata dai fisiocratici. Essi si opponevano alla prevalente dottrina del mercantilismo, che raccomandava di accumulare metalli preziosi per arricchire lo stato, anche mediante norme commerciali che evitassero l'esportazione di oro e argento. Sostenitori del diritto naturale, i fisiocratici asserivano invece che l'ordine naturale, cioè l'insieme di leggi create dalla natura, avrebbe spontaneamente prodotto una società prospera e che pertanto si doveva favorire il libero scambio. Essi sostenevano inoltre che solo l'agricoltura poteva produrre ricchezza, mentre il commercio e l'industria la facevano solo circolare, scontrandosi anche su questo punto con i mercantilisti, che individuavano nel commercio internazionale la fonte della prosperità di una nazione. I fisiocratici esercitarono una notevole influenza in Francia durante gli anni Settanta del Settecento, soprattutto quando Anne-Robert-Jacques Turgot, che si rifece alle loro teorie, fu nominato ministro delle Finanze e del Commercio. Le loro idee sull'economia di libero mercato ispirarono Adam Smith. Tuttavia, la loro visione dell'agricoltura venne rifiutata proprio da Smith, che elaborò la teoria del valore-lavoro, e dal suo discepolo David Ricardo. |
Adam Smith (Kirkcaldy 1723 - Edimburgo 1790), economista e filosofo scozzese. Il suo celebre trattato Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni fu il primo studio sistematico della natura del capitalismo e dello sviluppo storico dell'industria e del commercio tra le nazioni europee. |
David Ricardo (Londra 1772 - Gatcomb Park, Gloucestershire 1823), economista inglese. Figlio di un ricco agente di cambio, lasciò la scuola a 14 anni per collaborare col padre; a 45 anni aveva già accumulato una fortuna sufficiente ad abbandonare il lavoro e dedicarsi allo studio dell'economia. Durante gli ultimi quattro anni di vita Ricardo fu membro del Parlamento britannico. Nel suo primo lavoro sulla teoria economica, L'alto prezzo del metallo, prova del deprezzamento delle banconote (1809), sostenne la necessità della moneta basata sul metallo. Nella sua opera fondamentale, Principi dell'economia politica e delle imposte (1817), assegnò all'economia politica il compito di indagare le leggi che governano la distribuzione del prodotto dell'economia fra le classi che concorrono a produrlo (proprietari terrieri, capitalisti e lavoratori). Con questo intento Ricardo costruì un modello da cui risultava che alla lunga l'aumento della popolazione poteva portare a una penuria di terra coltivabile, poiché al crescere della popolazione corrispondeva la messa a coltura di terre sempre meno fertili; la sua teoria della rendita differenziale si basa appunto sul fatto che le terre più fertili e più produttive fruiscono di un differenziale positivo rispetto alle terre meno fertili, dato che i prodotti delle une e delle altre sono venduti allo stesso prezzo - che è quello necessario a coprire i più alti costi della terra meno produttiva, ma il cui prodotto è ancora necessario a soddisfare tutta la domanda del mercato, e cioè della "terra marginale" - ma nel caso delle terre più fertili sono ottenuti a un costo minore. Da questa visione pessimistica circa la sostenibilità della crescita Ricardo fu indotto a cercare soluzioni, anche se non definitive, nel commercio internazionale e nell'importazione di grano a buon mercato; perciò egli caldeggiò l'abolizione delle leggi sul grano, che a quel tempo proteggevano la produzione nazionale inglese mantenendone elevati i prezzi, e, più in generale, sviluppò la sua teoria del "vantaggio comparato" per dimostrare come la specializzazione nazionale nella produzione di particolari beni avrebbe arrecato benefici a tutti i paesi partecipanti al commercio. La sua teoria del valore-lavoro, che influenzò Karl Marx, afferma che i salari sono determinati dal prezzo degli alimenti, che dipende dal costo di produzione di questi ultimi, determinato a sua volta dalla quantità di lavoro richiesto per produrli; in ultima analisi è quindi il lavoro che determina il valore di tutte le merci. Ricardo ha dato un contributo rilevante anche nel campo della metodologia, servendosi di semplici modelli teorici per analizzare problemi economici e trarne conclusioni, un metodo, questo, divenuto poi lo strumento fondamentale della teoria economica. |
Karl Marx (Treviri 1818 - Londra 1883), filosofo, economista e pensatore politico tedesco, fondatore con Friedrich Engels del socialismo scientifico. Iniziati gli studi universitari a Bonn, nel 1836 Marx si trasferì all'Università di Berlino, dove conseguì il dottorato in filosofia nel 1841 con una dissertazione dal titolo: Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro. Nel 1842 iniziò a collaborare con la "Rheinische Zeitung" (Gazzetta renana) di Colonia, della quale divenne in breve tempo caporedattore. I suoi articoli, incentrati sulla critica delle condizioni sociopolitiche dell'epoca, gli crearono problemi con le autorità prussiane: il giornale fu soppresso nel 1843. Marx si recò quindi a Parigi, dove stabilì contatti con i movimenti socialisti e si dedicò ai primi studi di economia politica. Nel 1844 incontrò Engels: entrambi si accorsero di essere pervenuti per strade differenti alla teorizzazione della necessità storica di una rivoluzione. Da quel momento Marx ed Engels collaborarono alla sistematizzazione dei principi teoretici del comunismo, oltre che all'organizzazione di un movimento operaio internazionale fondato su tali principi. |
Marginalismo Scuola di pensiero che analizza i fenomeni economici basandosi sugli effetti delle variazioni marginali delle grandezze economiche esaminate, allo scopo di determinare le condizioni di massimizzazione dei risultati delle attività economiche; per i marginalisti il compito fondamentale dell'economia è appunto quello di determinare tali condizioni. Il principio marginalista è stato applicato inizialmente alla sfera del consumo, soprattutto da Jevons e Menger, secondo i quali l'utilità marginale di un bene, ossia la soddisfazione che l'ultima dose consumata di un bene può arrecare al consumatore, misura l'utilità di tutte le dosi disponibili e determina il valore (soggettivo) e la domanda del consumatore. Poste tali premesse, il consumatore massimizza la soddisfazione che può ottenere dal proprio reddito, se lo ripartisce in modo che l'utilità marginale arrecatagli dalle varie unità marginali (ossia dalle ultime unità) di spesa sia la stessa per tutti i beni fra i quali ripartisce il proprio reddito; ossia, la soddisfazione arrecata dall'ultima lira spesa nel consumo del bene A deve essere uguale alla soddisfazione arrecata dall'ultima lira spesa nel bene B, e così via per tutti i beni del suo paniere; se tale uguaglianza non fosse raggiunta, ad esempio, se l'ultima lira spesa nel bene A desse ancora una soddisfazione doppia dell'ultima lira spesa nel bene B, al consumatore converrebbe incrementare l'acquisto del bene A e ridurre quello del bene B fino a raggiungere l'uguaglianza postulata. Dal campo del consumo l'analisi marginalista è stata poi estesa a varie altre sfere dell'economia, e in particolare a quella della produzione, dove, secondo tale teoria, l'impresa impiega i fattori produttivi (lavoro e capitale) fino al punto in cui, mantenendo invariata la quantità impiegata di capitale, l'incremento di prodotto ottenuto dall'ultima unità impiegata di un fattore (ad esempio, l'ultimo lavoratore) uguaglia il costo di quel fattore (nell'esempio del lavoratore, il salario). Le variazioni marginali del prodotto, ottenute applicando l'ultima unità di un determinato fattore (mantenendo invariata la quantità di tutti gli altri), vengono interpretate come una misura della produttività marginale del fattore in questione. L'analisi marginale rappresenta un'applicazione diretta del metodo della massimizzazione proprio del calcolo differenziale (vedi Calcolo infinitesimale). Sul piano più propriamente teorico, i tentativi di generalizzare la situazione di ottimo individuale all'intera società, pervenendo a una nozione di ottimo sociale su cui fondare una teoria del benessere, si è imbattuta in gravi difficoltà: da un lato appare problematico aggregare, sommandole fra loro, le soddisfazioni soggettive (che il marginalismo fonda sulle sensazioni di piacere e di pena) di tutti gli individui di una società; dall'altro, i marginalisti si limitano a ottimizzare la situazione uguagliando le utilità marginali all'interno della sfera di ciascun individuo (effettuando cioè esclusivamente "comparazioni intrapersonali" di utilità); di fatto, però, le grandi differenze fra le disponibilità individuali di reddito determinano forti disuguaglianze fra le utilità marginali dei redditi dei diversi individui, cosicché sarebbe teoricamente possibile massimizzare l'utilità ottenibile dal volume totale del reddito di una società ridistribuendolo in modo da assegnarne una maggiore quantità agli individui per i quali la sua utilità marginale è più alta, e cioè ai membri più bisognosi e più deboli della società. L'ottimizzazione definita dai marginalisti ha quindi luogo all'interno del sistema di distribuzione dato, il che ha esposto questa teoria all'accusa, molto diffusa, di essere uno strumento di difesa e conservazione dello stato di cose esistente. |
John Maynard Keynes (Cambridge 1883 - Firle Beacon, Sussex 1946), economista inglese. Compiuti gli studi di matematica ed economia presso la Cambridge University, iniziò la carriera come funzionario dell'amministrazione britannica in India; in seguito, durante la prima guerra mondiale, lavorò per il ministero del Tesoro, che rappresentò alla Conferenza di pace di Parigi del 1919. In disaccordo con le riparazioni di guerra imposte dal trattato di Versailles alle nazioni sconfitte, rinunciò all'incarico e, nell'opera Le conseguenze economiche della pace (1919), predisse correttamente che i pesanti risarcimenti imposti alla Germania avrebbero stimolato una ripresa del nazionalismo tedesco. Nel decennio successivo fece fortuna speculando sui cambi e insegnò a Cambridge, dove scrisse il Trattato della probabilità (1921), un'opera dedicata alla teoria matematica della probabilità, e il Trattato della moneta (1930), in cui cercò di spiegare il comportamento irregolare dei sistemi economici, con i loro frequenti cicli di espansione e depressione. Come altre ricerche sul tema, il Trattato della moneta non riuscì però a spiegare il problema della depressione prolungata; tale fenomeno non si conformava alla teoria, allora generalmente accettata, secondo cui esiste un meccanismo autocorrettivo interno alle recessioni; si riteneva infatti che durante le recessioni si accumulassero dei risparmi, e che questi provocassero il calo dei tassi d'interesse, incoraggiando in tal modo gli investimenti e avviando la ripresa dell'economia. Il problema della depressione prolungata fu affrontato da Keynes in Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (1936). Quest'opera, che fornì un sostegno teorico a programmi di risanamento già avviati sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti dal presidente Franklin Delano Roosevelt, dimostrò che non esisteva un meccanismo di autocorrezione in grado di risollevare dalla depressione un sistema economico; Keynes affermò inoltre che i risparmi inutilizzati prolungano la stagnazione economica e che l'investimento delle imprese può essere stimolato da nuove invenzioni, nuovi mercati e altri fattori indipendenti dal tasso di interesse sui risparmi. Dato che l'investimento delle imprese doveva necessariamente fluttuare, non vi si poteva tuttavia fare affidamento per mantenere un alto livello di occupazione e uno stabile flusso di reddito nell'economia: Keynes sostenne allora che durante le recessioni tocca alla spesa pubblica compensare l'insufficienza degli investimenti. Dopo l'ingresso della Gran Bretagna nella seconda guerra mondiale, Keynes pubblicò Come finanziare la guerra (1940), in cui sostenne che una parte di ogni salario dovrebbe essere automaticamente investita in obbligazioni pubbliche. Nel 1944 guidò la delegazione britannica alla Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, da cui scaturirono gli accordi di Bretton Woods. Le teorie di Keynes hanno influenzato profondamente le politiche economiche di molti governi sin dalla seconda guerra mondiale, dando origine alla scuola keynesiana di economia. |
Joseph Alois Schumpeter (Triesch, Moravia 1883 - Salisbury, Connecticut 1950), economista austriaco, fu professore di economia presso le università di Vienna, Czernowitz (ora Chernivtsi in Russia), Graz e Bonn. Nel 1932 si trasferì alla Harvard University dove insegnò economia politica fino al 1950. Fu un convinto assertore della fondamentale importanza economica dell'imprenditore, di cui sottolineò la funzione di stimolo all'investimento e all'innovazione, elementi che determinano l'ascesa o il declino della prosperità. Teorizzò inoltre l'autodistruzione del capitalismo, un sistema a suo parere destinato a subire le conseguenze dei propri successi. Fra le sue opere si ricordano: Teoria dello sviluppo economico (1911), Cicli economici (1939), Capitalismo, socialismo e democrazia (1942) e Storia dell'analisi economica, pubblicato postumo nel 1954. |
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