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CAP. 19: “La Rivoluzione francese: dall’Assemblea costituente a Robespierre”
La Rivoluzione francese fu un grande processo storico durante il quale l’intera società francese subì un cambiamento epocale, che segnò la fine dell’ancien régime e l’apertura di una nuova epoca nella quale maturarono nuove forme di governo, rapporti politici più articolati e aperti che coinvolsero via via fasce sempre più vaste di protagonisti, a partire dagli strati superiori della borghesia produttiva. Il cambiamento non interessò solo le istituzioni, ma anche i costumi, la mentalità collettiva, i comportamenti quotidiani e sociali. La Rivoluzione francese apre un’epoca non ancora conclusa che cerca con difficoltà di realizzare quegli ideali rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fraternità. Nello stesso tempo è il punto di riferimento obbligato di tutte le tendenze politiche del XIX secolo. Alla vigilia della Rivoluzione la Francia era un Paese profondamente minato nel suo tessuto politico e sociale. Nonostante un’ondata di espansione e modernizzazione economica investirono la Francia nel Settecento, questa arrivò più tardi alla rivoluzione industriale a causa di un aggravamento della miseria contadina e del popolo minuto urbano a seguito di una crisi produttiva e di mercato che colpì settori chiave dell’economia francese. A ciò si deve aggiungere la rovina finanziaria dello Stato, dovuta al disordine amministrativo, alle eccessive spese della monarchia, alla limitatezza dei ceti e quindi delle risorse. Questa coesistenza di sviluppo e arretratezza che caratterizzava l’economia francese nella seconda metà del Settecento, è visibile anche nell’organizzazione dinamica dei ceti sociali. I due ceti sociali superiori (la nobiltà, una casta sempre più chiusa, e il clero) godevano di svariati privilegi, come possedere gran parte della terra coltivabile, esercitare un controllo sulle cariche dello Stato, dell’esercito, della magistratura, ed essere esenti dalla maggior parte dei carichi fiscali. Il principale onere fiscale ricadeva sul ceto senza diritti politici, denominato “terzo stato”, la cui parte superiore era costituita dalla ricca borghesia agrari, finanziaria delle professioni, mentre la grande maggioranza costituiva il popolo minuto urbano degli artigiani e la grande massa rurale dei contadini. Tra le cause più importanti della rivoluzione bisogna segnalare la crisi politica e finanziaria della monarchia. Il lungo regno di Luigi XV (1715-74) aveva avuto il suo periodo più felice durante il ministero del cardinale Fleury (1653-1743), alla morte del quale il re assunse personalmente il governo del paese, con grande opposizione dei Parlamenti all’intera politica del sovrano, che culminò nel 1770 in un colpo di Stato da parte del cancelliere Maupeou che soppresse il Parlamento di Parigi e altri Parlamenti ostili alla politica monarchica e ne affidò le giurisdizioni a Consigli di nomina regia. L’erede di Luigi XV, Luigi XVI (1774-93), reintegrava i Parlamenti e promuoveva una politica riformatrice, affidandone la direzione inizialmente a Turgot, e poi al suo successore Necker, che nel 1781 rese pubblico il bilancio dello Stato con un atto rivoluzionario. A Necker fu affidato il compito di salvare lo stato dalla bancarotta. Invece di imporre ai francesi provvedimenti fiscali, pensò di finanziare le spese attraverso l’indebolimento dello Stato nei confronti di banchieri privati. Fu perciò costretto a dare le dimissioni, perché portò i francesi nella fame e nella miseria. Nel 1783 fu nominato ministro de Colonne che propose una serie di misure per l’assestamento del bilancio statale, ottenendo un’opposizione generale e per questo fu richiesta la convocazione degli Stati Generali (organo rappresentativo dei 3 ordini: clero, nobiltà e terzo stato). Intanto il potere monarchico subiva insuccessi su tutti i fronti e il sovrano fu costretto a richiamare Necker e a promettere la convocazione degli Stati Generali per il maggio del 1789. Necker cercò di non assumere nessuna iniziativa politica di rilievo fino alla convocazione degli stati generali. Il problema centrale in discuccione era quello delle modalità di convocazione e di voto dell’Assemblea. Con la convocazione degli Stati Generali si riprometteva di abolire i privilegi fiscali e voleva ridimensionare il potere della nobiltà, favorire il terzo stato, ma non mettersi alle sue dipendenze. Come stabilito, il 5 maggio 1789 ci fu l’apertura degli Stati Generali alla presenza del re. I rappresentanti del terzo stato contestarono il sistema di voto (la nobiltà e il clero volevano votare per stato, mentre il terzo stato per testa) e per protesta si riunirono il 17 giugno nella sala della Pallacorda, dove su proposta dell’abate Sieyès, un nobile liberale, si costituirono in Assemblea nazionale, e quindi giurarono (20 giugno “giuramento della pallacorda”) di non separarsi fino a che non avessero dato alla Francia una nuova costituzione ispirata ai principi della sovranità popolare. Luigi XVI cercò di imporsi, ma di fronte all’atteggiamento risoluto dei deputati del terzo stato, invitò anche la nobiltà e il clero a unirsi all’assemblea, che assunse allora il nome di Assemblea nazionale costituente (9 luglio 1789). Per sventare i tentativi di Luigi XVI di attuare un colpo di Stato contro la nuova Assemblea costituente, il 14 luglio 1789 il popolo parigino insorse e diede l’assalto alla Bastiglia, il carcere per i detenuti politici e simbolo del potere assolutista. A Parigi venne quindi insediato dal popolo in armi un nuovo governo municipale; la difesa della municipalità fu affidata a una Guardia nazionale (milizia volontaria a difesa dell’Assemblea e dell’ordine pubblico), composta da borghesi e comandata dal nobile liberale La Favette; come simbolo della rivoluzione venne adottata la coccarda tricolore (blu, bianca e rossa). Nei giorni successivi i moti rivoluzionari si estesero anche nelle province, e nelle campagne esplose una gigantesca rivolta agraria (a cui venne dato il nome di “Grande paura”), con assalti ai castelli della nobiltà e ai conventi. Immediata conseguenza della “Grande paura” fu l’importante decisione presa il 4 agosto dall’Assemblea nazionale, di abolire alcuni privilegi feudali. Il 26 agosto 1789 l’Assemblea nazionale approvò poi la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che costituiva una completa affermazione delle libertà fondamentali dell’individuo (di pensiero, di parola, di stampa), dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e dei moderni principi costituzionali della divisione dei poteri e della sovranità popolare. Per diventare leggi operanti, le decisioni dell’assemblea necessitavano dell’approvazione formale del re, sul quale il popolo parigino decise di fare pressioni con una grande marcia in massa verso Versailles, durante la quale la reggia venne invasa e Luigi XVI costretto a dare la sua approvazione. La folla inoltre impose il trasferimento del re e dell’Assemblea a Parigi. L’Assemblea nazionale prese una serie di importanti provvedimenti legislativi che segnarono giuridicamente il passaggio dall’ancien régime all’epoca nuova. Venne decretata la confisca dei beni del clero, venne approvata la costituzione civile del clero, con la quale lo Stato si assumeva le spese di culto ma nello stesso tempo imponeva un nuovo ordinamento della Chiesa di Francia (autonomia dal papa, nomina elettiva dei vescovi e dei parroci) e obbligava il clero a prestare giuramento di fedeltà alla rivoluzione. Il provvedimento suscitò una forte opposizione soprattutto nelle gerarchie ecclesiastiche superiori, che si rifiutarono di prestare il prescritto giuramento (fenomeno dei “preti refrattari”). Si aprì in tal modo nel Paese una questione religiosa, e mentre molti preti ed esponenti della nobiltà cercarono di rifugiarsi all’estero, lo stesso Luigi XVI concepì il progetto di espatriare per organizzare con le armi straniere l’abbattimento della rivoluzione. Il re tentò dunque la fuga nel giugno 1791, ma venne intercettato e ricondotto a Parigi, dove l’Assemblea nazionale lo sospese dalle sue funzioni per tre mesi. Il clamoroso avvenimento ebbe come conseguenza la grande manifestazione repubblicana del 17 luglio 1791 al Campo di Marte, che fu sanguinosamente repressa dalla Guardia nazionale. L’attività dell’Assemblea nazionale ebbe culmine con l’approvazione, il 4 settembre 1791, della Costituzione. Oltre alla rivendicazione dei diritti naturali dell’individuo e dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, la Costituzione definiva un assetto istituzionale basato sulla divisione dei poteri: il potere esecutivo era assegnato al “re dei Francesi”, il quale era comunque soggetto alle leggi e non aveva dunque poteri assoluti; il potere legislativo era esercitato da un’Assemblea legislativa, eletta con un sistema a doppio grado e a suffragio censitario. Il sistema si basava sul voto di tutti i cittadini maschi dotati di un censo minimo (coloro cioè che pagavano un’imposta pari ad almeno 3 giorni di lavoro), che designavano un gruppo più ristretto di grandi elettori (dotati di un censo maggiore), i quali a loro volta eleggevano i deputati. Con analogo sistema venivano eletti anche i membri della magistratura, a cui era affidato il potere giudiziario. Con il trasferimento dell’Assemblea nazionale e del re a Parigi, nell’ottobre 1789, la capitale era divenuta il centro propulsore della rivoluzione. In essa acquistarono particolare importanza i cosiddetti club, associazioni private i cui membri si riunivano regolarmente per discutere i problemi politici. Si trattava di realtà associative in rapida e continua evoluzione e trasformazione. Nelle riunioni degli Stati Generali e quindi dell’Assemblea nazionale costituente, l’ala di sinistra era occupata dai giacobini (società degli amici della Costituzione, la cui sede era in un convento dei frati di San Giacomo), perlopiù membri della borghesia intellettuale e della nobiltà illuminata, i cui principali esponenti erano Mirabeau, La Fayette, Sieyès. I giacobini avevano posizioni di tipo monarchico costituzionale, ma in seno al club vi era l’ala radicale, capeggiata dall’avvocato Robespierre, che intendeva dare allo Stato una base democratica a partire dall’introduzione del suffragio universale. Con il prevalere delle posizioni più radicali, l’ala moderata dei giacobini fondò nel 1791 un proprio club, detto dei Foglianti (dal nome della sede presso un convento dell’Abbazia di Feuillant). Alla Sinistra dei giacobini si schierano, a partire dal 1790, i cordiglieri (Società degli amici dei diritti dell’uomo e del cittadino, che si riunivano presso i frati francescani detti anche cordiglieri), di orientamento repubblicano; il principale esponente fu Danton. Più tardi, a partire dai tempi dell’Assemblea legislativa del 1791-1792, vennero detti girondini (in quanto provenienti per buona parte dal dipartimento della Gironda) i rappresentanti della maggioranza repubblicana, contrari tuttavia all’ideologia egualitaria espressa dalle masse popolari parigine (i “sanculotti”,chiamati così perché non portavano le culottes, pantaloni corti al ginocchio, simbolo di distinzione dei nobili e dei ricchi), che trovava invece espressione parlamentare nello schieramento dell’estrema sinistra dei montagnardi (così detti perché sedevano sui banchi più alti dell’Assemblea. Il 1° ottobre 1791 si riuniva l’Assemblea legislativa, composta da deputati foglianti, giacobini e cordiglieri, aderenti alla monarchia costituzionale, ma diffidenti verso il re. Il 20 aprile 1792 Luigi XVI, sotto la pressione dei girondini, dichiarò guerra all’Austria, a fianco della quale scese la Prussia. A volere la guerra erano in molti (oltre ai girondini): La Favette e i suoi partigiani che contavano di assumere il comando dell’esercito; la corte e il suo partito che voleva un rafforzamento della monarchia. La guerra fu inizialmente disastrosa per la Francia che penetrò nei Paesi Bassi austriaci, in rivolta contro Vienna, ma fu subito costretta a ritirarsi dalle truppe coalizzate dei prussiani che penetrarono profondamente nel territorio francese. Il malcontento per la condotta della guerra provocò a Parigi l’insurrezione del 10 agosto 1792, durante la quale venne assalito il palazzo reale delle Tuileries; sotto la pressione popolare dei sanculotti, l’Assemblea legislativa decise la deposizione e l’arresto di Luigi XVI. Rimasto vacante il potere esecutivo, l’Assemblea legislativa nominò un consiglio esecutivo provvisorio presieduto dall’esponente dei cordiglieri Danton. A risollevare le sorti della rivoluzione fu la vittoria francese sull’esercito austro-prussiano a Valmy (20 settembre 1792) a cui seguì l’occupazione del Belgio, di Nizza e della Savoia. La nuova assemblea, cioè la Convenzione proclamò la repubblica (22 settembre 1792) e la condanna a morte per tradimento di Luigi XVI, che venne ghigliottinato il 21 gennaio 1793 (ghigliottina: nuovo ordigno di morte usato per rendere più sicure le esecuzioni capitali). La morte del re portò alla costituzione di una prima coalizione antifrancese e alla ripresa della guerra esterna. In Francia si accese anche la guerra civile per la crisi finanziaria. Estromessi di fatto dal potere a Parigi, i girondini cercarono di prendere il controllo delle province meridionali della Francia suscitando la rivolta contro la capitale (“rivolta federalista”, iniziata nel giugno 1793), con il risultato di aumentare lo stato di confusione e di anarchia in cui versava il Paese. In questa situazione di guerra civile, il 25 giugno 1793 fu approvata dalla Convenzione e quindi sottoposta a un referendum la Costituzione dell’anno primo, che tuttavia non sarebbe mai entrata in vigore a causa della guerra in corso contro le potenze straniere. Si trattava di una costituzione estremamente avanzata sotto il profilo politico e sociale: vi si affermavano principi quali l’internazionalismo (fraternità fra i popoli), il diritto al lavoro, all’istruzione, all’assistenza, alla ribellione e “alla felicità”. La forma istituzionale prevista era quella repubblicana con il potere esecutivo assegnato a un governo (Consigliato) strettamente controllato dal Parlamento, il quale era da eleggersi ogni anno a suffragio universale maschile. Tra il luglio 1793 e il luglio dell’anno successivo si attuò un aumento del potere esecutivo, con un suo slittamento verso un regime di dittatura, definito dagli stessi esponenti del Comitato di salute pubblica come <<Terrore>>, in quanto prevedeva l’accentramento del potere nel Comitato di salute pubblica, lo smantellamento di tutti i club e società popolari, il controllo dell’economia e della politica. Il Comitato di salute pubblica dovette affrontare insieme le rivolte urbane dei sanculotti di Parigi, la guerra di Vandea che si distinse per l’atroce repressione delle popolazioni rurali, e l’invasione dello straniero. Nell’agosto del 1793 l’esercito arrivò ad un milione di uomini, e iniziarono una serie di successi militari. Alla fine del 1793 ascese al potere Robespierre, favorito dall’assassinio di Marat, altro componente del Comitato di salute pubblica. Nonostante Robespierre nella Convenzione avesse nemici sia a destra che a sinistra, il Comitato di salute pubblica era interamente nelle sue mani, e con la legge del 10 giugno 1794 la violenza diventava sistema di governo: era il Grande Terrore. Terrore e dittatura erano per Robespierre strumenti per fondare la Repubblica. Robespierre seppe tuttavia lanciare le forze militari francesi verso la vittoria di Fleurus (26 giugno 1794) contro gli eserciti stranieri, consentendo di penetrare in Belgio, conquistare Bruxelles e occupare la Catalogna. A porre fine al regime di Robespierre fu il colpo di stato di Termidoro (nella notte tra il 26 e 27 luglio 1794) organizzato dal presidente della Convenzione e da alcuni membri del Comitato di salute pubblica. Robespierre fu ghigliottinato il 28 luglio 1794.
CAP 20: “La Rivoluzione francese: dal Termidoro al consolato di Napoleone”.
Nel mese di Termidoro aveva termine il periodo più intenso e fecondo della Rivoluzione francese. Dopo la caduta di Robespierre la Convenzione cercò di riportare alla normalità il Paese, smantellando il regime del terrore (soppressione dei tribunali rivoluzionari, abolizione delle leggi speciali sui sospetti, riduzione dei poteri del Comitato di salute pubblica, eliminazione degli strumenti della dittatura, chiusura dei club dei giacobini e la riammissione dei girondini nella Convenzione) e abolendo gradualmente il sistema dei vincoli e dei controlli economici. Ciò portò alla fine dell’economia regolata e alla liberalizzazione del commercio con un aumento vertiginoso dei prezzi, che provocò nella primavera del 1795 numerose sollevazioni delle popolazioni urbane. La cacciata dei giacobini alimentò altre violenze e nuove forme di terrore: “Terrore bianco”. In sintonia con gli orientamenti più moderati dell’opinione pubblica, la Costituzione del 1793 non venne messa in vigore, venne invece approvata la nuova Costituzione dell’anno terzo (agosto 1795). Con la nuova carta costituzionale si ripristinarono i criteri censitari per l’elettorato, onde garantire il predominio dei ceti abbienti, il potere esecutivo venne assegnato ad un Direttorio di cinque membri e quello legislativo ad un parlamento bicamerale, composto da un Consiglio dei Cinquecento (per la discussione delle leggi) e da un Consiglio degli anziani (che varava o respingeva le leggi). Dopo l’approvazione della Costituzione dell’anno terzo, vennero indette le elezioni per il nuovo parlamento, che videro una buona affermazione dei monarchici; il Direttorio esecutivo però fu composto da uomini fedeli agli ideali repubblicani, che avevano votato per la condanna a morte del re. Il Direttorio fu chiamato ad affrontare la crisi finanziaria determinata dalla guerra. Si ebbe inoltre una ripresa del movimento giacobino, che ebbe culmine nella “congiura degli eguali” della primavera 1796, una cospirazione di orientamento comunista organizzata senza successo a Parigi da Filippo Buonarroti.
Tra la fine del 1796 e i primi mesi del 1797 la Francia fu investita da una grave crisi finanziaria, anche se vi furono notevoli successi sul piano della politica internazionale (trattato di Basilea con la Prussia e Spagna, riconobbe l’occupazione francese della riva sinistra del Reno e la Spagna cedette alla Francia alcuni territori nelle Antille; il trattato dell’Aja sancì la presenza di truppe francesi sul territorio dell’Olanda. L’Austria, l’Inghilterra e il Regno di Sardegna rimasero in stato di guerra contro la Francia). All’inizio del 1796 furono lanciate tre armate contro l’impero asburgico, e ad avere la meglio fu l’armata d’Italia, guidata da Napoleone Buonaparte, nato ad Ajaccio nel 1769, che aveva conseguito da giovanissimo il grado di sottotenente d’artiglieria. Dapprima aderì al movimento di Pasquale Polli, che si batteva per l’indipendenza della Corsica, e quando quest’ultimo fu arrestato, la famiglia Bonaparte si trasferì a Tolone in Francia, dove fu affidato a Napoleone il comando dell’artiglieria che liberò la città dall’assedio dei realisti appoggiati dagli inglesi. Napoleone ottenne la promozione a generale di brigata, ma fu arrestato, processato e, una volta in libertà fu trasferito al fronte della Vandea. Nel marzo 1796, dopo il titolo di maggiore generale, ottenne quello di comando dell’armata d’Italia. Sposò Giuseppina, ex amante di Barras, il quale aveva aiutato Napoleone per la sua carriera. La “campagna d’Italia” determinò l’ascesa di Napoleone.
Mentre le truppe francesi trovarono grandi difficoltà in Germania e furono costrette a ritirarsi oltre il Reno, la campagna d’Italia di Napoleone fece registrare rapidi e clamorosi successi, facendo dell’Italia il centro dell’offensiva contro l’Austria. Napoleone infatti ottenne una agevole vittoria contro il Regno di Sardegna, che fu costretto all’armistizio; i francesi avanzarono quindi in Lombardia sconfiggendo le truppe austriache e conquistano Milano. A questo punto egli costrinse il Direttorio a rivedere i suoi piani (non voleva conquistare la Lombardia ma solo spremerla finanziariamente e usarla come merce di scambio con l’Austria per allargare le frontiere al Reno: I braccio di ferro tra Napoleone e il Direttorio). Il papa Pio VI fu costretto con la pace a cedere Bologna, Ferrara e parte delle Romagne, occupate dalle truppe francesi. Nel febbraio 1797 cadde dunque Mantova, ultima roccaforte degli austriaci in Lombardia, e i Francesi violarono la sovranità della Repubblica di Venezia, occupandone il territorio per puntare verso l’Austria, che fu costretta a firmare la pace di Campoformio (1797). Con il trattato di pace l’Austria riconobbe le conquiste francesi in Belgio (Paesi Bassi asburgici) e nell’Italia settentrionale, e fu compensata con l’annessione della Repubblica di Venezia. La Francia assunse dunque la completa egemonia in Italia.
Dopo la pace di Campoformio, soltanto l’Inghilterra restava irriducibilmente in stato di guerra contro la Francia. La superiorità britannica sui mari escludeva ogni possibilità di attacco diretto da parte della Francia, che ripiegò dunque su una spedizione militare in Egitto, nel tentativo di costruirsi un ponte per intervenire in India e minacciare gli interessi commerciali inglesi nella regione, cuore dell’Impero britannico. A capo della spedizione in Africa si pose Napoleone, che sbarcato in Egitto nell’estate del 1798 sconfisse la resistenza locale nella battaglia delle piramidi; pochi giorni dopo però, la flotta francese fu distrutta dal contrammiraglio inglese Nelson, mentre entrò in guerra contro la Francia anche la Turchia, che aveva la sovranità sull’Egitto. La conquista dell’Egitto divenne così un’impresa assai più difficile di quanto sembrasse in un primo momento, facendo sfumare l’obiettivo strategico di insidiare le vie commerciali britanniche; Dopo aver lasciato il comando delle operazioni in Egitto, Napoleone ritornò dunque in Francia, dove la situazione interna era estremamente instabile, nell’ottobre 1799.
Il giacobinismo fu represso in Russia, Germania, impero asburgico e in Italia dove furono costretti al silenzio o all’esilio. La storiografia distingue tra: Giacobinismo individuale (movimento d’opinione limitato nelle sue libertà, sorvegliato dalle polizie, ridotto alla clandestinità); e giacobinismo organizzato che richiama l’ideologia democratica di Robespierre e potè formarsi e svilupparsi perché aveva libertà di riunione ed espressione (come in Olanda e Svizzera). A questo si aggiungeva la costituzione di una seconda coalizione antifrancese tra le potenze europee, che minacciava gli interessi francesi in Italia e lungo il Reno. L’abate Sieyès concepì allora un progetto di svolta autoritaria, si accordò con Napoleone che gli assicurò l’appoggio delle armate a lui fedeli, e insieme realizzarono il colpo di Stato del 18 brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799). Con il falso pretesto di una congiura giacobina, il parlamento venne posto sotto scorta militare, parecchi deputati vennero cacciati, mentre i rimanenti vennero trasferiti nei sobborghi di Parigi, dove votarono la consegna del potere ai tre consoli Ducos, Sieyès e Bonaparte, che ben presto assunse le redini del consolato.
In seguito al colpo di stato il consolato (Bonaparte, Ducos, Sieyès) provvide subito a riformare l’ordinamento dello Stato francese, e nello stesso 1799 promulgò la nuova Costituzione dell’anno VIII, contrassegnata da una forte preminenza dell’esercito. Il governo fu affidato ad un consolato decennale, composto da tre persone, tra le quali Napoleone, in quanto primo console, era il vero depositario del potere esecutivo.
Il potere legislativo venne affidato a tre corpi distinti:
Nel 1802 un plebiscito approvò una modifica costituzionale che trasformava il mandato decennale di primo console in una designazione a vita. Nei mesi successivi il Senato varò dei provvedimenti che concedevano al primo console il diritto di designare il proprio successore, nominare i membri del legislativo e riduceva ulteriormente competenze e poteri delle assemblee legislative. Forte del suo potere incontrastato (ma non assoluto, in quanto comunque sottoposto alla legge), Napoleone avviò una stagione di importantissime riforme istituzionali e civili. Nel 1801 veniva stipulato un nuovo Concordato con la Santa sede, rimasto in vigore per 100anni (1801-1905) risolveva il contrasto con Roma, ma conservava il controllo dello Stato sulla chiesa. Gli ecclesiastici dovevano fedeltà allo Stato ed erano mantenuti a sue spese, era assicurata la libertà di culto, il papa si impegnava a confermare i vescovi nominati dal I console, in cambio i vescovi avevano facoltà di nominare i parroci. I beni della Chiesa restavano allo Stato. Il cattolicesimo fu riconosciuto non come religione di Stato ma come “religione della maggioranza dei Francesi”.
Oltre all’Inghilterra, la seconda coalizione antifrancese era composta dalla Russia dello zar Paolo I, da Austria, Prussica, Svezia, Regno di Napoli e Turchia, la quale era già in guerra con i Francesi sul fronte egiziano. Teatri principali del confronto militare furono comunque l’Italia e la Germania meridionale. In italia la coalizione ebbe successo; sul fronte tedesco, i coalizzati furono invece fermati dai Francesi. Nel maggio 1800 la situazione volse però a favore dei Francesi, poiché la Russia abbandonò la coalizione lasciando la sola Austria a presidiare l’Italia, così che le truppe francesi guidate da Napoleone, dopo aver valicato le Alpi, sconfisse gli austriaci presso Monaco. Si arrivò dunque alla pace di Luneville (9febbraio 1801) con l’Austria, che ristabilì la situazione precedente al trattato di Campoformio. Anche in Inghilterra si erano intanto maturate le condizioni politiche per contrattare la pace, si giunse così alla pace di Amiens tra Francia e Gran Bretagna, le cui decisioni più rilevanti furono la cessazione delle ostilità in Egitto, che tornò sotto la sovranità turca e la stipula di un trattato commerciale tra Inghilterra e Francia. I 3 nemici: Austria, Russia e Inghilterra erano neutralizzati. Napoleone potè dedicarsi al riassetto dello stato. Questo fu la più importante eredità lasciata da napoleone non solo alla francia ma a tutto l’occidente: accentramento amministrativo e codice civile (codice napoleonico) che per la prima volta disciplinava in modo organico tutti i settori del diritto secondo i valori liberali e borghesi della Rivoluzione.
CAPITOLO 21: “L’impero napoleonico”
Fu organizzata una congiura contro Napoleone da ex giacobini e generali. La reazione di Napoleone fu spietata. Non risparmiò nemmeno i 2generali (uno esiliato e l’altro trovato morto in carcere) e nemmeno il duca accusato di essere il capo della congiura (fu fucilato). Nel 1804 fu varata e approvata la Costituzione dell’anno 12 che affermava: il governo della repubblica è affidata a un imperatore. Nello stesso anno papa Pio VII offrì la corona imperiale a Napoleone. Si impegnava a difendere”l’uguaglianza di diritti e la libertà civile e politica”. La Francia napoleonica si presentava come trionfo dell’assolutismo illuminato: uno stato in cui coesisteva uno schema monarchico-costituzionale ed elementi di rinnovamento sociale e di democrazia. Due pilastri istituzionali garantirono ai cittadini la possibilità di acquisire gli elementi per una promozione e affermazione nella società: il Codice Civile, basato sui grandi principi di libertà civili e personali, laicità dello Stato, libertà del lavoro e della proprietà, e l’importanza della famiglia; e il nuovo sistema scolastico, che poneva grande attenzione alla scuola e alle università (nacquero: i licei di Stato per i figli dei notabili; le Grandes Ecoles, scuole universitarie di tipo militare; e l’Ecole polytecnique di applicazione di tipo militare e civile). Un anno prima della proclamazione dell’impero l’Inghilterra riapre le ostilità contro Napoleone. I motivi furono: mancata stipula del trattato commerciale (previsto dalla pace di Amiens) e la paura dell’espansionismo francese.
L’Inghilterra decise di formare nel 1805 una terza coalizione antifrancese; nella nuova alleanza furono coinvolti l’Austria, la Svezia, il Regno di Napoli e la Russia, sul cui trono sedeva lo zar Alessandro I. nel conflitto che ne scaturì venne confermata la schiacciante superiorità sui mari della Gran Bretagna, che sbaragliò la flotta francese; sul continente però, la Grande Armée (grande esercito) francese ebbe la meglio, e dopo aver sconfitto gli austriaci nella battaglia di Ulm (20 ottobre), e battè nuovamente gli austro-russi ad Austerlitz (2 dicembre), nella cosiddetta “battaglia dei tre imperatori” (Napoleone, Francesco II e lo zar Alessandro I). l’Austria fu dunque costretta ad accettare la pace di Presburgo, che ridimensionò il ruolo europeo della monarchia austriaca. Francesco II dovette infatti rinunciare al titolo di imperatore del Sacro Romano Impero e assunse il più modesto titolo di imperatore d’Austria. Rimasero in stato di guerra l’Inghilterra e la Russia.
Dopo la pace di Presburgo, Napoleone procedette al consolidamento dei confini del proprio impero ed alla trasformazione degli Stati satelliti della Francia in monarchie ereditarie, assegnandone la corona a parenti o a persone di fiducia. Nei primi mesi del 1806 gli eserciti francesi occuparono il Regno di Napoli (mentre i Borbone si rifugiarono in Sicilia sotto la protezione inglese), sul cui trono venne posto il fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte. Il consolidarsi della potenza napoleonica in Europa determinò la formazione di una quarta coalizione, alla quale partecipò, oltre ad Inghilterra e Russia, anche la Prussica (che aveva rotto l’alleanza con la Francia); Napoleone reagì col “blocco continentale”: cioè tentativo di dissanguare economicamente l’Inghilterra chiudendo i mercati europei da essi controllati. Lo scontro militare che seguì non fu favorevole alle forze della coalizione. Napoleone dopo aver sconfitto l’esercito prussiano entrò a Berlino e smembrò lo stato. Dalle rovine nacque il Regno di Vestfalia retto dal fratello Girolamo Napoleone. La guerra continuò contro la Russia e la superiorità francese si fece valere. Nel 1808 anche la Spagna era caduta sotto il controllo francese. Approfittando infatti di una contesa dinastica tra il sovrano spagnolo Carlo IV e il figlio Ferdinando IV, Napoleone spodestò i Borbone e sul trono di Spagna salì Giuseppe Bonaparte. La Spagna ricevette una costituzione simile a quella francese e nel paese vennero avviate importanti riforme, quali l’abolizione dell’Inquisizione, la liberalizzazione del commercio interno, l’alienazione dei beni ecclesiastici. Tuttavia gli spagnoli non si rassegnarono alla prepotenza napoleonica, e intrapresero una lunga e mai domata guerriglia, appoggiata dagli Inglesi e soprattutto alimentata dal sentimento religioso dell’intera popolazione, offesa dal trattamento inflitto al papa. Nel 1809 si formò una quinta coalizione antifrancese, composta da Inghilterra e Austria. Le ostilità scoppiarono in aprile con l’occupazione austriaca della Baviera, ma la reazione francese fu rapida e culminò con una nuova occupazione di Vienna (12 maggio) e la disfatta dell’esercito austriaco a Wagram. Con la pace di Vienna del 14 ottobre 1809 l’Austria dovette cedere Trieste e Carinzia.
Ottenuta la vittoria sulla quinta coalizione, Napoleone ritenne opportuno consolidare la propria posizione procurandosi un erede di sangue reale; dopo aver divorziato da Joséphine de Beauharnais, si sposò nel 1810 con Maria Luigia d’Asburgo, figlia dell’imperatore d’Austria; dal matrimonio nacque un erede, Napoleone II (Francesco Carlo Giuseppe Bonaparte), a cui fu dato il titolo di “re di Roma”. Tutto il Regno di Italia, tranne Sicilia e Sardegna (dove si erano rifugiati la corte borbonica e sabauda, ben difese dall’Inghilterra) era napoleonica. La dipendenza dalla Francia si accrebbe a partire dal 1805 con la trasformazione della repubblica in Regno d’Italia, sotto la corona di Napoleone, che nominò viceré il figliastro Eugenio Beauharnais. Nel vasto Regno italico continuò l’opera di modernizzazione amministrativa, civile ed economica, con il miglioramento dell’istruzione elementare, l’introduzione dei codici napoleonici, l’avvio di importanti lavori pubblici. Sul Meridione continentale fu inizialmente imposto come re Giuseppe Bonaparte, ma quando questo passò a regnare sulla Spagna, il Regno di Napoli passò a Gioacchino Murat, il quale aveva sposato la sorella di Napoleone, Carolina. Murat si adoperò per mantenere il proprio governo il più autonomo possibile dalla Francia; curò inoltre con particolare attenzione la formazione di un forte esercito nazionale.
Il blocco continentale si rivelò per Napoleone un’arma a doppio taglio e fu in un certo senso la causa scatenante del crollo del suo impero. Innanzitutto perché non solo l’Inghilterra fu colpita dagli effetti dell’embargo, ma lo furono in modo significativo anche la Francia e i paesi alleati e satelliti; inoltre la borghesia francese, colpita nei suoi interessi commerciali, cominciava a considerare Napoleone non più l’artefice della stabilità, ma la causa di un’insicurezza crescente, dovuta ad un’inarrestabile spirale dell’espansionismo a cui la Francia era costretta per far rispettare il blocco. Napoleone pensava di assoggettare la Russia con una delle sue famose “guerre lampo”, e mise quindi in campo un formidabile esercito di oltre 700.000 uomini, che il 24 giugno 1812 varcò il fiume Niemen, per affrontare al più presto e sbaragliare le difese russe. Ma il generale Illarionovic, comandante delle truppe zariste, adottò una tattica temporeggiatrice, ritirandosi verso l’interno e facendo “terra bruciata” (tecnica già usata da Pietro il Grande nel 600 contro gli svedesi) davanti ai Francesi, che non riuscirono quindi a rinnovare i loro approvvigionamenti alimentari. Solo in agosto Napoleone riuscì ad entrare in contatto con l’esercito russo, e a Smolensk ottenne un parziale successo; il successivo 14 settembre si combattè la sanguinosa battaglia di Borodino, che Napoleone vinse aprendosi la strada per Mosca. La capitale russa era però stata evacuata dalla maggior parte degli abitanti, e in gran parte distrutta da un incendio, appiccato probabilmente dalle stesse truppe russe, così Napoleone fu costretto alla ritirata verso la Polonia il 19 ottobre, che durò circa due mesi e fu uno degli eventi più tragici della storia militare: il freddo, la fame, le malattie e gli attacchi a sorpresa dei cosacchi decimarono la Grande Armata di Napoleone. La disfatta nella campagna di Russia sfatò il mito dell’invincibilità di Napoleone, e diede il via alla sollevazione antinapoleonica dell’Europa.
La sesta coalizione, a cui presero parte la Gran Bretagna, la Russia, la Prussia, la Svezia e l’Austria, fu l’immediata conseguenza della disastrosa campagna di Russia. La guerra iniziò nel febbraio 1813 in Germania, per iniziativa dei prussiani, a cui Napoleone riuscì comunque a contrapporre un forte esercito, che nel maggio vinse la battaglia di Lutzen e di Bautzen; contemporaneamente però il prestigio napoleonico subiva un altro duro colpo in Spagna, dove la guerriglia e le truppe inglesi ebbero la meglio, liberarono il paese e restaurarono i Borbone.
Tra il 16 e il 19 ottobre 1813 si combatté presso Lipsia la cosiddetta “battaglia delle nazioni”, lo scontro decisivo che costò a Napoleone la sconfitta e diede il via alla completa dissoluzione dell’impero. Gli eserciti della sesta coalizione penetrarono in Francia, dove incontrarono scarsa resistenza, e Napoleone venne quindi definitivamente sconfitto ad Arcis-sur-Aube il 20 marzo 1814. rimasta senza difese Parigi cadde il 31 marzo; subito dopo il Senato francese, su iniziativa di Talleyrand, proclamò decaduto l’imperatore Napoleone, che il 6 aprile 1814 abdicò senza condizioni. Sul trono di Francia vennero restaurati i Borboni con Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato. Dopo la battaglia di Lipsia, gli Stati tedeschi, l’Olanda e la Svizzera insorsero contro i governi e i sovrani napoleonici. In Italia il re di Napoli, Murat, abbandonò il cognato Napoleone e passò dalla parte della sesta coalizione, nella speranza di conservare il regno; il viceré del Regno d’Italia, Eugenio Beauharnais, rimase invece fedele fino all’ultimo a Napoleone, ma cadde comunque nell’aprile 1814 sotto l’avanzata delle forze austriache. Nel giugno l’Austria prese possesso delle province lombarde, annettendole all’impero. La guerra della sesta coalizione si chiuse con la pace di Parigi, del 30 maggio 1814. I vincitori si accordarono per demandare la nuova sistemazione dell’Europa ad un congresso delle potenze che si sarebbe aperto a Vienna nel successivo novembre; intanto si ritenne di neutralizzare l’ingombrante figura di Napoleone assegnandogli la sovranità dell’Isola d’Elba. La restaurazione borbonica in Francia non comportò un ritorno puro e semplice alla monarchia assoluta. Luigi XVIII infatti si rese conto, anche per la pressione esercitata dall’Inghilterra, dell’impossibilità di far recedere la società francese dall’assetto costituzionale maturato negli anni rivoluzionari, e concesse una costituzione liberale, cercando di ricondurre una politica di riconciliazione nazionale. La situazione del paese rimaneva tuttavia assai instabile; su opposti fronti si agitavano infatti i fautori dell’antico regime, che reclamavano tra l’altro la restituzione dei beni confiscati dalla rivoluzione; i liberali, che desideravano un suffragio più allargato; gli ufficiali dell’esercito bonapartista collocati a riposo; i commercianti, messi in difficoltà dalla concorrenza inglese dopo la riapertura dei mercati; gli operai che pativano una crescente disoccupazione. Napoleone decise di approfittare di queste ragioni di malcontento per tentare un disperato ritorno al potere, e fuggì dall’Elba, approdando il 1°marzo 1815 a Cannes, dove le truppe borboniche mandate ad arrestarlo passarono sotto il suo comando. Il 20 marzo Napoleone entrò a Parigi, costringendo Luigi XVIII a riparare in Belgio; ritornato al potere Napoleone riconobbe il trattato di pace di Parigi e quindi i più ridotti confini francesi, emendò in senso più liberale la costituzione e si preparò all’inevitabile nuovo confronto militare con le potenze. Si era infatti formata in quei giorni una settima coalizione, che comprendeva: Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia, Svezia, Regno di Napoli e numerosi Stati minori. Sotto il comando dell’inglese Wellington e del prussiano Blucher, gli eserciti alleati affrontarono Napoleone in Belgio, dove lo sconfissero l’8 luglio 1815 nella battaglia di Waterloo. L’avventura dei “cento giorni” era finita; mentre Napoleone veniva deportato dagli Inglesi nell’isoletta di Sant’Elena (Oceano Atlantico), dove sarebbe morto il 5 maggio 1821, Luigi XVIII rientrò a Parigi.
CONGRESSO DI VIENNA: si tenne nella capitale dell'allora Impero austriaco, dal 1\10\1814 al 9\6\1815. A parteciparvi furono le principali nazioni europee che tentarono così di dare un assetto all'Europa dopo l'avventura napoleonica. I sovrani vincitori ed i loro ministri plenipotenziari si incontrarono in un primo momento a Londra; soltanto nell'autunno del 1814 il Congresso ebbe inizio a Vienna. Inizialmente, i rappresentanti delle 4 potenze vincitrici sperarono di escludere i francesi da una seria partecipazione ai negoziati, ma il ministro degli Esteri della Francia riuscì abilmente ad inserirsi nei dibattiti interni sin dalle prime settimane. I principali risultati del Congresso fu l'accrescimento della Russia, (che guadagnò il grosso del Ducato di Varsavia) e della Prussia, che acquistò la Westfalia e la Renania settentrionale. Il consolidamento della Germania dai quasi 300 stati del Sacro Romano Impero (disciolto nel 1806) in un sistema, molto più gestibile, che portò la composizione della Confederazione Tedesca a 39 stati sotto il controllo di Austria e Prussia. Nell'Italia del nord l'Austria guadagnò la Lombardia e il Veneto costituite in un unico Stato: il Regno Lombardo-Veneto. Buona parte del centro-nord Italia, pur formata da stati indipendenti, andò a discendenti degli Asburgo, così il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena e di Parma. L'Italia fu quindi divisa in sette stati: il Regno di Sardegna, il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena e di Parma, lo Stato Pontificio, il Regno di Napoli e di Sicilia, i quali Ferdinando IV riunì con la denominazione di Regno delle Due Sicilie. Una parte del Congresso fu la Santa Alleanza in cui i vari sovrani d'Europa convennero di uniformarsi ai principi cristiani. Tutti i sovrani europei vi aderirono, eccetto il papa, che non voleva costituire un accordo con così tanti eretici. I paesi coinvolti nel Congresso si accordarono pure di riunirsi successivamente. Nel XX secolo molti storici sono arrivati ad ammirare il Congresso per aver impedito un'altra guerra generale europea per quasi cent'anni (1818-1914).
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