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LE NAZIONI UNITE
- Per la struttura, si ricalcava il Patto della SdN: era prevista un ‘Assemblea (composta da tutti gli stati), il Consiglio ( a composizione ristretta), il segretariato, la corte di giustizia. Le differenze con la SdN riguardavano le funzioni : l’assemblea (che assumeva il nome di assemblea generale) era l’unico organo con competenze generali , e il consiglio (consiglio di Sicurezza) assumeva l’esclusivo compito del mantenimento della pace e della sicurezza, e ad esso venivano attribuiti poteri di adottare misure nei casi di minaccia (artt 39 e s.s.). Sotto l’autorità dell’assemblea viene previsto un Consiglio economico e Sociale, destinato allo sviluppo della collaborazione nel campo sociale. A differenza della SdN inoltre, l’assemblea e il consiglio deliberano a maggioranza anziché all’unanimità.
- Era previsto che i membri del CdS fossero 11 e di questi 5 (USA, UK, URSS, Cina e francia) a titolo permanente. Gli altri 6 sarebbero stati nominati dall’assemblea per 2 anni. Il sistema di votazione in seno al consiglio non fu discusso allora ma durante la conferenza di Yalta 1945 , dove viene elaborata la c.d. “formula di Yalta” ovvero il diritto di veto, trasfuso nell’art 27 della carta dell’ONU.
Per elaborare la Carta secondo le linee proposte a Dumbarton Oaks. Francia e Cina furono invitata come governi invitanti. Alla conferenza presero parte 50 stati, tra cui anche Bielorussia ed Ucraina (parte dell’unione sovietica).
Per la carta, le linee fissate a Dumbarton OAks si presentavano come immutabili. Numerose furono le norme aggiunti da piccoli e medi stati : norme in materia coloniale ( art 73 ), autotutela (art 51).
Al termine della conferenza la carta venne approvata all’unanimità e firmata da tutti i partecipanti. Entrò in vigore (come prevede l’art 110) alla ratifica dei 5 membri permanenti del CdS e della maggioranza degli stati firmatari. I 50 che presero parte alla conferenza sono i membri originari. L’art 4 stabilisce le procedure per l’ammissione di nuovi membri. L’Italia ne fa parte dal 1955.
La SdN si sciolse nel 1946, quando l’ONU era già attiva. Risoluzioni parallele trasferirono dalla SdN all’ONU una serie di funzioni di carattere non politico (funzioni del segretario della Lega trasferite al segretariato Onu e quelle delle commissioni ad hoc istituite per promuovere la collaborazione economica e sociale dal consiglio economico e sociale. Inoltre, in base ad un piano comune, tutti i beni immobili e mobili furono acquistati all’ONU.
E’ più facile determinare quali sono le materie di cui non deve occuparsi.
L’art 2 carta à stabilisce che le NU non devono intervenire in questioni che appartengono alla competenza interna di uno stato.
L’art 1 carta à prevede i fini dell’ONU: mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, sviluppo di relazioni amichevoli fondate sul rispetto dei principi di eguaglianza dei diritti e autodeterminazione del popoli, la collaborazione in campo economico, sociale e d umanitario, la diffusione della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo senza discriminazioni.
La carta è un trattato internazionale, ma è considerata da alcuni come una costituzione della comunità internazionale ( norme prevedono la possibilità di agire nei confronti degli stati non membri e quindi in contraddizione con il carattere patrizio della carta). Si sostiene che alle norme statutarie possano sovrapporsi una serie di norme non scritte , create attraverso la prassi degli organi (costituzione “vivente” vs la costituzione formale).
Le disposizioni della carta sembrano occuparsi prevalentemente delle funzioni e gli stti degli organi. Non mancano però norme che si occupano dei rapporti degli stati membri tra loro.
La carta non si sottrae alle comuni regole sull’interpretazione dei trattati, essendo un accordo internazionale. La corte internazionale di giustizia in alcuni pareri che affrontano i problemi relativi all’interpretazione della carta, ricorre alla c.d. Teoria dei Poteri impliciti, in base alla quale ogni organo non disporrebbe solo dei poteri espressamente attribuitegli dalle norme costituzionali, ma anche dei poteri necessari per l’esercizio dei poteri espressi. Il ricorso a questa teoria si pone in antitesi con l’opinione secondo la quale gli accordi internazionali vadano interpretati in maniera restrittiva, ma questa opinione risulta superata. La teoria può essere utilizzata qualora serva a garantire ad un organo il pieno esercizio delle funzioni che la carta gli assegna. La tendenza della corte intesa a dedurre poteri dalle norme sui fini generali dell’organizzazione non sembra sia giustificabile.
In materia di interpretazione la tendenza oggi è verso l’abbandono del metodo subiettivistico ( ricerca della volontà effettiva) a favore di un metodo obiettivistico : si attribuisce ad un accordo il senso fatto palese dal suo testo . I lavori preparatori hanno quindi una funzione sussidiaria: ad essi può ricorrersi solo nel caso di testi ambigui o lacunosi.
6. La Competenza ad interpretare
Non esiste nelle NU un organo con una particolare competenza ad interpretare le norme della Carta con efficacia obbligatoria per gli altri organi e per gli stati membri.
Art 96 à prevede che la corte possa emettere pareri ma non sono vincolanti.
E’ diffusa l’opinione secondo la quale l’assemblea avrebbe un ruolo preminente rispetto agli altri organi in tema di interpretazione. Siffatta opinione non ha base nei lavori di san Francisco, né a suo favore può essere argomentato che l’art 15, in quanto la norma non attribuisce all’assemblea un potere di revisione dei singoli atti adottati dagli organi.
Art 15 à richiede agli organi di sottoporre all’assemblea relazioni sulla propria attività.
Escluso che vi siano posizioni di preminenza, ciascun organo è chiamato ad interpretare la carta al momento dell’adozione degli atti. L’interpretazione non è però vincolante in quanto se potessero interpretare sovranamente, ciò equivarrebbe a dire che essi possono violare le norme statutarie, alla luce di una particolare interpretazione.
Il singolo stato membro può quindi contestare l’interpretazione della carta.
Art 108 della carta à disciplina la procedura di emendamento.
Prevede che perché un emendamento entri in vigore è necessario che sia approvato a maggioranza di due terzi e sia stato ratificato dai due terzi dei membri delle Nazioni Unite, compresi i membri permanenti.
Art 109 della Carta à disciplina la procedura di revisione.
Prevede che la ratifica non interviene dopo una risoluzione dell’assemblea ma dopo che si è pronunciata una conferenza ad hoc.
è I due articoli si discostano dal principio classico di diritto internazionale secondo il quale è necessario il consenso di tutti gli stati per la modifica di un trattato. Le procedure dei due articoli sono da considerarsi come procedimenti di terzo grado che traggono cioè la loro forza normativa non dal diritto internazionale ma dalla stessa carta dell’ONU. La deviazione dal principio classico è attenuata dalla facoltà per uno stato che non approvi una modifica di notevole importanza di recedere. Il recesso non è espressamente previsto dalla carta ma alla conferenza di san Francisco si disse che non lo si voleva neanche escludere espressamente.
La previsione di procedure particolari per la modifica della carta le conferisce carattere di rigidità.
8. Le tendenze revisionistiche attuali
L’art 109 fino ad oggi non ha mai trovato applicazione.
Per l’art 108 invece, gli unici emendamenti sono stati quelli riguardanti l’aumento del numero dei membri del CdS da 11 a 15 e del consiglio economico e sociale da 18 a 27.
è Da anni si parla della necessità di revisione della carta, ed in proposito è stato istituito un Comitato speciale con il compito di studiare il problema. Fu anche istituito dal segretario un panel di alto livello per lo studio dei problemi relativi alla sicurezza. Le proposta dei governi concernono la modifica della struttura dell’organizzazione, rafforzamento ruolo assemblea, allargamento del Cds, abolizione o limitazioni al diritto di veto. Oltre a queste, si insite perché siano immessi alcuni principi che l’assemblea è andata dichiarando nel corso degli anni (in tema di mantenimento della pace, regole che definiscono aggressione etc). Questi non dovrebbero restare affidate a documenti dell’assemblea privi di forza vincolante, ma essere solennemente registrate nella carta. Appare difficile che si arrivi a modifiche sconvolgenti della carta (atteggiamento membri permanenti del Cds a tutelare il diritto di veto). Tuttavia l’allargamento del Cds renderebbe l’ ONU più funzionale. La democratizzazione dell’assemblea, ossia la trasformazione da assemblea di governi ad assemblea dei popoli, modificherebbe positivamente l’ONU. L’introduzione del voto ponderato in seno all’assemblea è osteggiato dai paesi del terzo mondo. L’inserimento di principi specifici non sembra utile.
Capitolo I
L’appartenenza all’organizzazione
Art 4à prevede ammissione.
Prescrive che per poter entrare a far parte dell’ONU, uno stato debba essere amante della pace, accettare obblighi statutari, ed essere disposto ad adempiere a tali obblighi. L’ammissione è pronunciata dall’assemblea (per la delibera è richiesta la maggioranza dei 2/3) su raccomandazione del CdS ( può essere esercitato il diritto di veto).
Art 4 à deve trattarsi di uno stato; occorre che accetti gli obblighi; sia manate della pace e sia capace e disposto ad adempiere gli obblighi. Le domande vanno inoltrate al segretario generale e devono contenere un’accettazione degli obblighi statutari fatta con strumento formale.
La capacità di adempiere deve sussistere a giudizio dell’organizzazione. Assemblea e Cds hanno potere discrezionale.
La disposizione ad adempiere agli obblighi e l’essere amante della pace (è un aspetto della disposizione di adempiere agli obblighi), sono anch’essi requisiti determinati a discrezione dei due organi.
- Per il primo requisito, ovvero l’essere uno stato, la questione è più delicata. La nozione di stato secondo il diritto internazionale si discosta dall’art 3 della carta che attribuisce la qualità di stato ai membri originari delle NU. A san Farcisco però parteciparono anche Ucraina e Bielorussia che prima della dissoluzione dell’URSS non avevano alcuna forma di indipendenza. Si ritiene che l’interpretazione dell’art 4 debba restare svincolata dall’art 3 in quanto la partecipazione a san Francisco fu troppo legata alle contingenze del momento. Quindi lo stato di cui l’art 4 si identifica grosso modo con la definizione di stato per il diritto internazionale, e deve quindi consistere in un apparato effettivo ed indipendente di governo di una comunità territoriale.
- Il requisito dell’indipendenza, si definisce indipendente uno stato che sia portatore di un ordinamento originario, tragga il suo potere da una propria costituzione e non dall’ordinamento giuridico o dalla costituzione di un altro stato.
Guatemala à protestò contro l’ammissione del Belize, dichiarando che non fosse uno stato , non avendo un territorio. In realtà il Guatemala pretendeva che il territorio del Belize gli appartenesse. L’assemblea procedette all’ammissione.
à Ritenuto che l’art 4 adotti la nozione classica di stato, è da ritenere illegittima l’ammissione di governi in esilio o di organizzazioni o comitati di liberazione nazionale ( ex. Organizzazione per la liberazione della Palestina). Molti tra questi hanno lo status di osservatore, che gli da diritto di partecipare ai lavori ma senza diritto di voto.
Per l’ammissione non ha alcun valore giuridico la circostanza che uno stato non sia riconosciuto da una parte degli stati membri dell’ONU ( ex. Repubblica turca di Cipro del Nord che fu creata qualche anno dopo l’invasione di Cipro da parte della Turchia).
La dimensione di uno stato non rappresenta un limite al potere discrezionale di assemblea e consiglio in tema di ammissione. Alcuni stati hanno proposto la formula dell’associazione per gli stati aventi popolazione e risorse limitate, riservandogli forme più blande di partecipazione. Questi godrebbero della maggior parte dei vantaggi connessi allo status di membro senza sopportare gli oneri. Ma la prassi va in senso contrario ( ammissione delle isole Seychelles, San Marino, Lichtestein con pieno diritto di voto).
Stato neutralizzato = stato impegnato in base ad un accordo internazionale a non muovere guerra e a non compiere atti capaci di coinvolgerlo in una guerra.
Sussiste un’incompatibilità tra lo status neutrale e :
Problema si è posto con l’ammissione dell’Austria, che dichiarò con legge costituzionale la propria neutralità. Con l’ammissione della Svizzera nel 2002 un altro stato neutrale è entrato a far parte dell’ONU.
L’art 4 della Carta non prevede che l’accettazione possa essere accompagnata da riserve, e che quindi lo status neutrale possa essere invocato per venir meno agli obblighi statutari. Avendo Cds e Assemblea potere discrezionale nell’accertamento dei requisiti per l’ammissione, se ritengono che uno stato neutralizzato possa adempiere agli obblighi allora la questione è chiusa.
Art 103 cartaà prevede che gli obblighi statutari prevalgono su qualsiasi obbligo derivante da qualsiasi altro accordo internazionale in caso di conflitto.
♥ Example. Austriaà il governo nel rispondere al segretario generale circa le misure adottate contro la Rhodesia del Sud (consistevano nell’interruzione dei rapporti economici), dichiarava di non voler pregiudicare la questione se l’Austria, tenuto conto della neutralità, fosse legata dalle decisioni del Cds relative alle sanzioni. La tesi è stata poi abbandonata.
L’art 103, l’inesistenza nella carta di una norma che prevede forme attenuate di appartenenza all’ONU, l’importanza del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, sono indici favorevoli alla tesi che lo stato neutralizzato abbia gli stessi obblighi degli altri membri.
L’art 48à prevede però che è a discrezione del CdS il chiedere che le sue decisioni siano eseguite da alcuni membri e non da altri, e quindi può dispensare lo stato neutralizzato. Gli stati in seno al CdS che abbiano riconosciuto la neutralità di uno stato hanno il dovere di adoperarsi compatibilmente con l’interesse generale, affinché lo stato neutralizzato sia esonerato da certe misure. Tale esonero deve essere deciso di volta in volta, in quanto stabilirlo una volta per tutte equivarrebbe a modificare la Carta.
Problema si pose nei primi anni di vita dell’ONU (c.d. problema dell’ammissione in blocco o a pacchetto) allorché l’URSS paralizzò con il suo veto le ammissioni di diversi stati, dichiarando che avrebbe votato in loro favore solo se ne fossero stati ammessi altri. Anche gli USA bloccarono l’ammissione del Vietnam subordinandola all’ammissione della Korea del Sud. Per l’ammissione dell’Italia insieme ad altri stati, l’URSS subordinò l’ingresso di altri stati: nel 1955, entrarono in blocco nelle NU 16 stati.
Il parere della Corte internazionale di giustizia è contrario all’ammissione condizionata, in quanto i requisiti previsti dall’art 4 sono necessari ma anche sufficienti. Per i giudici della minoranza le ammissioni sono atti di natura politica e di conseguenza comportano l’esame di elementi di carattere politico, e CdS e assemblea godono di ampia discrezionalità in proposito. Tale discrezionalità però cessa una volta che l’organo accerta che il candidato sia in possesso dei requisiti.
àPer la soluzione è necessario distinguere tra la posizione degli organi e degli stati che li compongono.
- Gli organi hanno la libertà di non ammettere stati che non presentino i requisiti dell’art 4. Sono inconcepibili all’interno delle NU obblighi positivi (facere) per CdS e Assemblea. Un atto di ammissione può essere illegittimo se adottato in violazione della carta Ex. Repubblica di Macedonia, Assemblea e CdS appongono condizioni non previste dalla carta.
- Per quanto riguarda la posizione degli stati, le procedure di voto non appongono limiti alla libertà di voto, anche se il voto va esercitato in buona fede ed uno stato il quali violi persistentemente il principio della buona fede può incorrere in una sanzione, l’espulsione (mai applicata).
Nel 1949, perdurando l’atteggiamento dell’URSS, l’assemblea chiese un parere alla corte, chiedendo se potesse procedere di sua iniziativa all’ammissione, non essendo in grado il CdS di raccomandare ammissioni dato il veto dell’URSS. La risposta della corte fu negativa: non esistono nel sistema ONU rimedi contro l’inerzia degli organi.
Il procedimento dell’art 4 va seguito anche nel caso di riammissione nell’ipotesi in cui uno stato sia stato espulso o si sia ritirato dall’ONU, o nel caso in cui uno stato si sia estinto come soggetto internazionale (per fusione, incorporazione) e voglia riacquistare la qualità di membro.
La prassi si è atteggiata in senso parzialmente difforme.
♦Ex. Indonesia si ritirò dalle NU nel 1965. La Siria, essendosi fusa con l’Egitto perse la qualità di soggetto internazionale. Quando questo due stati chiesero di essere riammessi, la loro riammissione ebbe luogo attraverso una procedura semplificata: né il CdS né l’assemblea adottarono una delibera formale. In una seduta dell’assemblea, il presidente chiese se ci fossero obiezioni e avendo constatato l’unanimità dei consensi, li invitò a riprendere il proprio posto. Essendo il consenso unanime il ricorso all’iter procedurale risultava superfluo.
à La procedura semplificata può trovare giustificazione nel caso di riammissione ma sarebbe paradossale se vi si ricorresse nel caso di ammissione.
La carta prevede ipotesi di sospensione totale (art 5 ) e parziale (art 19).
Art 5 à lo stato contro il quale il CdS ha intrapreso un’azione punitiva o coercitiva può essere sospeso dall’esercizio di tutti i diritti e privilegi con un’apposita delibera dell’assemblea su proposta del CdS.
Art 19 à lo stato membro che sia in ritardo con il pagamento dei contributi finanziari dovuti all’organizzazione non ha diritto di voto in seno all’assemblea se il suo arretrato corrisponde alla somma che esso deve per i due anni precedenti. La sospensione opera automaticamente, non è subordinata alla decisione di un organo. L’assemblea può impedirne il verificarsi qualora accerti che il ritardo non sia imputabile allo stato.
è la carta non prevede ipotesi di sospensione al di fuori di queste. Deve negarsi quindi la conformità alla carta della decisione presa dall’assemblea che respinse le credenziali del governo sudafricano e lo estromise dai lavori dell’organo. Anche se presa sotto forma di delibera sulle credenziali, la decisione si concretava in una sospensione del sud africa, che non trovava giustificazione nei due articoli.
La deliberazione contro il Sud Africa si iscrive nella tendenza intesa a negare la capacità giuridica internazionale di chi pratica l’apartheid. Non può però parlarsi di una precisa regola di carattere consuetudinario ( che giustificherebbe la sospensione). Il Sud Africa ha riguadagnato lo status di membro nel 1994, dopo la fine dell’apartheid.
L’estromissione dai lavori è stata proposta anche nei confronti di Israele ma è stata bloccata per opposizione di USA.
Talvolta sono state espresse riserve nei confronti di stati che violano i diritti umani, contro i governi affermatisi con la forza o con l’aiuto di stati stranieri, e nel caso di stati che non hanno un governo centrale a causa di una guerra civile (Somalia dopo il 1991).
L’art 6 à l’assemblea può espellere su proposta del CdS lo stato membro che abbia violato la Carta. Nella prassi non ha mai avuto applicazione. La proposta contro il Sud Africa fu bloccata in seno al CdS per il veto di USA, Inghilterra e Francia.
Nessuna disposizione della carta prevede espressamente la facoltà dello stato di sciogliersi unilateralmente dal vincolo associativo ( nella SdN invece era prevista nell’art 1).
L’unico caso nella prassi fu quello dell’Indonesia nel 1965 che dichiarò di ritirarsi per protestare contro le elezioni della Malaysia. Il recesso venne notificato con lettera al Segretario generale. E’ deducibile da questo episodio un’acquiescenza dell’ONU al recesso : l’Indonesia venne cancellata dalla lista dei membri, fu rimossa la targa etc. l’Indonesia tornò a far parte dell’ONU nel 1966.
Data la mancanza nella Carta di una norma espressa, la facoltà di recedere dall’ONU dovrebbe ammettersi solo quando ricorrano gli estremi della clausola c.d. rebus sic stantibus : principio che prevede che uno stato possa sciogliersi da un accordo internazionale qualora si verifichi un mutamento sostanziale delle circostanze esistenti al momento della stipulazione.
A San Francisco fu deciso di non includere una norma sul recesso, quindi la Carta non contiene né una norma favorevole né una norma contraria.
L’estinzione di uno stato come soggetto internazionale comporta la perdita dello status di membro dell’ONU. La carta non contiene una norma espressa ma il principio deriva dai principi di diritto internazionale comune.
Nel caso di incorporazione, lo stato incorporante conserverà il suo seggio mentre verrà meno la qualità di membro dello stato incorporato.
Gli effetti sull’appartenenza all’ONU dei mutamenti di governo risultano problematici qualora la rivoluzione incida in modo sensibile sull’ordinamento dello stato, cioè coinvolgendo il regime costituzionale che prima esisteva.
Nella prassi, ogni qualvolta un mutamento avvenga in un paese membro, sia per moti interni che per l’intervento di uno stato straniero che impone un governo “amico”, lo status di membro non viene meno e non è necessario procedere ad una nuova ammissione. Il nuovo governo invia presso l’ONU i rappresentanti ( o conferma quelli già inviati) ed esercita tramite questi tutti i diritti relativi allo status di membro. Questo però a condizione che il governo controlli effettivamente il paese.
♣ Ex. Colpo di stato in Cecoslovacchia nel 1948 che divenne comunista: continuò ad esercitare i diritti connessi allo status di membro, verificandosi solo un avvicendamento di delegati presso l’ONU.
à La prassi delle NU sembra avallare la tesi secondo la quale la persona dello stato non si estinguerebbe per mutamenti di governo. La tesi è sostenuta da chi identifica lo stato con il popolo e vedono il governo come un suo rappresentante. La tesi è accolta anche da chi identifica lo stato come un ente composto da popolo, territorio e potestà di governo. Le variazione nel modo di esercizio di tale potestà non inciderebbe sulla persona dello stato.
Non vi è sempre coincidenza tra il momento in cui si verifica la sostituzione del nuovo governo e quello in cui si insedia nel seggio già occupato dall’antico governo nell’ONU.
♠ Ex. Iraq- avvicendamento in seno all’ONU è avvenuta in ritardo rispetto a quella nel paese. Nel 1958 si trasforma da monarchia in repubblica: il rappresentante del vecchio governo continuò a partecipare alle riunioni del CdS (allora era membro non permanente) nonostante il nuovo governo avesse comunicato la nomina di un altro delegato.
La prassi più recente evidenzia una tendenza del CdS e dell’assemblea nel non ammettere l’occupazione del seggio di un paese quando la situazione risulti incerta e diversi governi si contendono il potere. I diritti relativi allo status restano pertanto sospesi. Quando però si parla per periodo di tempo più lunghi la cosa è diversa.
♥ Ex. Somalia- ancora oggi dal 1991 non ha più un governo, essendo dominata per singole zone da “signori della guerra”. Il seggio è per ora sospeso ma sembra piuttosto che qui si possa parlare di estinzione (se un governo si formerà l’ammissione avverrà attraverso l’iter semplificato).
Panama- 1989, dopo la caduta del governo Noriega, duplice richiesta del vecchio e del nuovo governo di inviare un proprio rappresentante per partecipare alla relativa discussione. La questione fu risolta ocn la rinuncia di entrambi i governi ad essere ascoltati.
Congo- attraversò nel 1960 una fase di anarchia. Paese era governato dal caos
E l’assemblea si trovò di fronte a pretese del capo di stato Kasa- Vubu e del primo ministro Lumumba di occupare il seggio dell’ONU. Deliberò di soprassedere in un primo momento ma poi accreditò i rappresentanti di Kasa- vubu essendo il capo di stato il primo organo menzionato nel regolamento interno dell’assemblea tra gli organi competenti ad accreditare i rappresentanti.
♦ Questione delle “due” Cine - affermatosi il governo comunista di Mao Tze Tung 1949, e ridottosi il governo nazionalista di ciang Kai scek, il primo chiese di prendere il posto del secondo all’ONU. I delegati del secondo vennero confermati e solo nel 1971 l’assemblea raggiunse la maggioranza necessaria per reintegrare la repubblica popolare cinese, riconoscendo i rappresentanti come unici rappresentanti legittimi della Cina, e di espellere i rappresentanti di Ciang.
Va risolto in base al principio di effettività. Può verificarsi che in caso di annessione, occupazione bellica, mutamenti di governo etc il governo di un paese in cui le forze extralegali hanno il sopravvento, si rifugi all’estero e continui a ricevere il trattamento alla stregua di un ente sovrano.
Deve escludersi che un governo che non controlli più il territorio di un paese membro possa occuparne il seggio all’ONU, ma sarà il rappresentante del governo che ha preso il potere ad inviare i suoi delegati. Se si tratta di annessione, si estingue lo stato e quindi anche la qualità di membro dell’ONU. Se si tratta di occupatio bellica (caratterizzata dalla temporaneità), lo status di membro dovrà restare in quiescenza durante il periodo di occupazione.
♣ Ex. Cambogia- a seguito dell’invasione vietnamita, e della fuga dei precedenti governanti in Tailandia ed in Cina, si instaura il governo della repubblica popolare Kampuchea. La decisione dell’assemblea di continuare ad accreditare i rappresentanti della Kampuchea democratica risultava pertanto illegittima, in quanto questa non aveva più il controllo effettivo del paese.
artt 27 e 29 del regolamento dell’assemblea disciplinano la procedura di accreditamento dei rappresentanti presso l’assemblea. Prevedono che le credenziali debbano essere rilasciate dal capo di stato oppure dal ministro degli esteri (art 27); che l’assemblea costituisca una commissione per al verifica dei poteri (art 28); che un delegato la cui partecipazione è oggetto di contestazione, sieda a titolo provvisorio , fino alla decisione della commissione sulle credenziali (art 29).
Artt 13 e 17 del regolamento del CdS- prevedono la possibilità di sedere nell’organo anche senza sottoporre credenziali (=/=) e attribuisce al segretario generale la competenza sulle credenziali invece che ad una commissione.
à in materia di credenziali assemblea e CdS votano a maggioranza di presenti e votanti.
Secondo una tesi dottrinale, i citati art dei regolamenti interni riguardano le contestazioni circa l’idoneità del delegato e non le contestazioni riguardanti il governo che invia il delegato. La prassi dell’ONU sembra contraria a questa tesi, in quanto gli articoli non pongono alcun limite circa l’oggetto ella contestazione medesima. Se si escludesse, si configurerebbe solo nel caso in cui un individuo affermi di essere un inviato di un governo senza realmente esserlo (mai accaduto).
L’unico inconveniente che può derivare è che assemblea e Cds si comportino diversamente di fronte allo stesso caso, ritenendo ciascuno che un governo diverso abbia titolo ad occupare il seggio (mai successo).
Anche le delibere sulle credenziali sono sottoposte a controllo di legittimità. Sono illegittime se contrastano con la carta e se non si conformano al principio di effettività. Tuttavia, la mancanza di un organo di controllo fa si che gli atti illegittimi siano sanati dall’acquiescenza degli stati membri.
Capitolo II
Gli Organi
Il Consiglio di Sicurezza
Art 23à si compone di 15 membri. Cinque siedono a titolo permanente: USA, Francia. Inghilterra, Francia, Cina, URSS (oggi Russia)- i c.d. cinque grandi. Gli altri dieci sono eletti dall’assemblea per un biennio. Ciascuno di questi ha un rappresentante nel consiglio (composto fino al 1965 da 11 membri).
à La modifica dell’art 23, con la quale il numero dei membri venne portato da 11 a 15 entrò in vigore nel 1965 dopo la ratifica di due terzi degli stati membri.
La risoluzione consta in due parti. In una parte l’assemblea decide di sottoporre l’emendamento alla ratifica degli stati. Nella seconda parte decide che i 10 membri non permanenti del Cds siano eletti secondo i seguenti criteri : 5 tra gli stati dell’africa e dell’asia; 1 tra gli stati dell’europa orientale ; 2 tra gli stati dell’america latina ; 2 tra gli stati dell’europa occidentale e altri stati. Questa seconda parte non è un atto vincolante in quanto se le parti avessero voluti vincolarsi avrebbero adottato anche questa parte della risoluzione sotto forma di emendamento. Questa parte è quindi riconducibile al potere di raccomandazione dell’assemblea e quindi le si attribuisce il valore giuridico tipico della raccomandazione, l’effetto di liceità.
à Né la carta né il regolamento interno del consiglio prescrivono un quorum per le sedute, e quindi il numero minimo e quello necessario per il numero dei voti richiesto nell’art 27 per le delibere. Può darsi che non riuscendo l’assemblea ad eleggere uno dei membri non permanenti si trovi a dover decidere in composizione incompleta.
Della questione della composizione del consiglio si occupa il parere emesso dal panel istituito dal segretario generale.
La natura dello statement delle grandi potenze alla Conferenza di san francisco
Art 27à si occupa della procedura di voto e riproduce la formula di Yalta:
Il problema era sapere come votare qualora fosse stato chiamato a decidere circa la natura procedurale o meno di una delibera. La risposta è contenuta nello Statement.
Riguardo alla natura dello statement:
-l’URSS sostenne che si trattasse di un vero e proprio accordo internazionale, mentre il capo della delegazione americana lo indicava come uno strumento interpretativo.
-Secondo Conforti è da considerarsi alla stregua dei lavori preparatori e rappresenta il punto di vista dei redattori della carta. Il contenuto dello statement risulta ambiguo (questione del doppio veto), tradendo cosi’ la funzione cui doveva adempiere e che è quella di agevolare l’interpretazione di testi ambigui.
art 27 par 3à diritto di veto dei 5 membri permanenti. Anche l’astensione di uno dei membri permanenti dovrebbe considerarsi come veto.
La prassi dell’ONU si orientò fin dai primi anni di vita nel senso di ammettere la validità di delibere prese con l’astensione di uno o più membri permanenti. Questa rappresenta una delle poche norme non scritte formatesi nell’ambito dell’ONU in deroga alla carta.
Le modifiche introdotte alla carta nel 1965 non hanno influito sulla regola consuetudinaria che ammette la validità di delibere prese con l’astensione di uno o più membri permanenti.
Può ritenersi che una forma di astensione sia costituita anche dalla non partecipazione al voto, con la quale lo stato mira non ad impedire l’adozione della delibera ma a sottolineare il suo dissenso con maggiore forza.
Problema se il CdS possa deliberare su questioni non procedurali in caso di assenza di uno o più membri permanenti. La prassi in argomento non è cospicua.
♠ URSS/ CINA- 1950- L’URSS abbandonò il consiglio per 6 mesi per protestare contro la mancata sostituzione della Cina popolare alla Cina nazionalista in seno al consiglio. Prima di ritirarsi dichiarò che avrebbe disconosciuto tutte le risoluzioni prese in sua assenza. Il consiglio nonostante l’abbandono prese due delibere. La maggioranza dei membri del consiglio espresse la tesi secondo la quale l’assenza poteva essere equiparata all’astensione. Essendo la prassi scarsa, non è possibile ritenere che in tema di assenza si sia formata una regola non scritta ( come quella che sancisce la validità delle delibere con astensione).
à La conclusione è che le conseguenze dell’assenza dipendono dal significato che uno stato intende attribuirle: se si assenta con lo scopo di paralizzare l’attività del consiglio ( caso dell’URSS) allora il suo atteggiamento equivale al voto negativo; se invece intende dissociarsi dall’atto senza impedirne l’adozione( stesso senso della non partecipazione), si resta nell’ambito della regola consuetudinaria sull’astensione.
Art 27 à il diritto di veto è esercitatile quando la risoluzione non sia procedurali ma riguardi il fondo di una questione.
Il problema del doppio veto consiste nel fatto che l’articolo 27 non specifica come il consiglio voterà qualora debba decidere se un atto sottoposto alla sua approvazione riguardi o meno la procedura. Il diritto di veto è escluso (secondo par 2 dell’art 27) o previsto (secondo l’art 27 par 3)?
La carta non offre strumenti idonei a risolverlo, né lo fa lo statement delle grandi potenze. La soluzione al problema del doppio veto risulta contraddittoria nella prassi. Nei primi anni di vita dell’0NU il consiglio si orientò nel senso che alla questione preliminare si applicasse il diritto di veto (vd. Questione spagnola, Greca e Cecoslovacca).
Ex. Delibera riguardanti gli incidenti alla frontiera greca- il progetto di risoluzione conteneva una richiesta del consiglio rivolta all’assemblea, chiedendole di fare le raccomandazioni più appropriate. Era contrario all’art 12 che prevede che l’assemblea debba astenersi dall’occuparsi di questione di cui si stia già occupando il consiglio a meno che non sia richiesto dal CdS. Gli stati occidentali sostenevano la natura procedurale di tale richiesta mentre la Russia sosteneva che quando si parla di questioni procedurali ci si riferisce alla procedura interna al consiglio e non ai rapporti fra organi. L’URSS ottenne il diritto di veto.
Ex. Cecoslovacchia- progetto per l’istituzione di una sotto commissione che si occupasse del colpo di stato e facesse rapporto al CdS. La tesi occidentali era che si trattasse di un organo sussidiario e quindi che riguardasse la procedura, l’URSS sostenne invece che si trattasse di un’inchiesta ( art 34 prevede che il CdS non possa procedere ad un’inchiesta senza il voto di un membro permanente e quindi non lo può fare neanche un suo organo sussidiario- tesi esatta). L’URSS vinse.
Nel 1950 il CdS cominciò a cambiare orientamento.
♥ Ex. CdS decise di non tenere conto del veto della Cina nazionalista a proposito della questione di formosa. Si trattava di una risoluzione invitante il governo Mao ad esporre il suo punto di vista ed il delegato cinonazionalista sosteneva che a causa della controversia circa la rappresentanza cinese all’ONU, l’invito finisse col trascendere il campo della procedura. Il presidente dichiarava che la maggioranza che si era pronunciata bastasse per ammettere alla discussione l’inviato di Mao.
♦ Ex. Questione dell’infiltrazione di guerriglieri comunisti nel Laos, 1959- Cds chiamato a stabilire se l’istituzione di un comitato d’indagine fosse attinente alla procedura. Il comitato fu istituito nonostante il voto contrario dell’URSS.
♣ Ex. Questioni connesse alla guerra tra India e Pakistan, 1971- l’URSS propose di ascoltare un rappresentante del Bangladesh ma ritirò poi la proposta. Prima che la ritirasse il presidente dichiarò che avrebbe comunque considerato la questione come procedurale e non di fondo.
La soluzione non esiste. Un governo che ritiene che l’organo abbia adottato una risoluzione di fondo con la maggioranza valida per le risoluzioni di procedura, potrà avanzare riserve circa la legittimità dell’atto ( vd ex di Formosa e Laos).
art 27 par 3 à disciplina astensione di un membro parte di una controversia.
Sancisce che uno stato membro del CdS che sia parte di una controversia debba astenersi nel votare nelle decisioni previste dal cap VI, che autorizzano il Cds a svolgere inchieste (art 34), e a contribuire alla risoluzione della controversia raccomandando i mezzi o dando esso stesso al soluzione.
Viene cosi’ sancito il principio nemo iudex in re sua, che ha però portata limitata. Sono escluse dalla sua sfera di applicazione :
Data l’inesistenza di un obbligo di astensione per i membri il cui caso e sottoposto all’esame del consiglio, l’organo non può agire contro un membro permanente ( questo può esercitare il diritto di veto).
♠ Ex. Rifiuto USA di conformarsi ad una sentenza della corte riguardanti le attività militari contro il Nicaragua. Progetto di risoluzione fu bloccato dal veto americano.
à Note : nella SdN lo stato membro del consiglio doveva astenersi se direttamente interessato ad una questione.
Le difficoltà di interpretazione dell’art 27 par 3 derivano anche dalle definizioni di controversie internazionali, che possono dare luogo ad equivoci.
Definizione della Corte : “un disaccordo su di un punto di diritto o di fatto, un contrasto, un opposizione di tesi giuridiche o di interessi tra due soggetti”. Se si adottasse un concetto del genere, tutti i membri dovrebbero astenersi dalla decisioni prese in base al cap VI.
Anche se si ricorre ad una definizione meno ampia, e si dice che in una controversia vengono in rilievo un conflitto di interesse tra stati accompagnato dalla pretesa di ciascuno stato di far prevalere l’interesse suo proprio, le incertezze non vengono meno : in molte questioni e riscontrabile un interesse preciso di un certo numero di membri ed anche chiare manifestazioni della volontà di farli prevalere.
Altra difficoltà è dovuta al fatto che le norme del cap VI parlano di controversia ma anche di “situazioni” suscettibili di minacciare la pace. Secondo la maggioranza dei commentatori, l’articolo si applica solo alle controversie e non alle situazioni, e quindi sarebbe necessario delimitare le prime rispetto alle seconde.
In base all’interpretazione dell’Interim Commitee (commissione istituita per le materie attinenti alla pace), l’esistenza di una controversia dipende dal modo in cui la questione è portata in esame al Cds. Il consiglio, per determinare se si tratti di una controversia o di una situazione, terrà presente una serie di criteri. Una controversia sorge:
Ex. Questione Siriana-libanese , 1946: mancati ritiro delle truppe inglesi e francesi dai loro territori. Alcuni sostenevano che si trattasse di una questione procedurale ( obbligo di astensione) altri che si trattasse di una questione di fondo ( con diritto di veto). Alla fine i due stati decisero di astenersi dalla votazione pur ritenendo che una controversia non sussistesse.
Conforti – obbligo di astensione va determinato in base a criteri sostanziali e non formali. Obbligato ad astenersi sono gli stati che in un progetto di risoluzione figurano come destinatari della medesima, sia perché beneficiari, sia perché ne possono trarre svantaggio, e purchè la loro posizione favorevole o sfavorevole abbia natura sui generis, si distingua cioè dalla posizione di ogni altro stato membro dell’ONU e della comunità internazionale.
Necessità quindi di abbandonare il concetto di controversia in senso tecnico, cioè come conflitto tra due stati. Per determinare quindi se si tratti di controversia o situazione è in ogni caso necessario guardare al destinatario del progetto della delibera.
Questa tesi fa si che vengano eliminati in larga misura i dubbi circa la collocazione di una questione nell’ambito del cap VI o cap VII della carta.
♥ Ex. Partecipazione alla risoluzione rivolta alla Libia che chiedeva che venissero consegnati cittadini libici sospettati di aver organizzato gli attacchi contro aerei. USA, Gran Bretagna e Francia parteciparono alla risoluzione , nonostante rientrasse nel cap VI.
Delibere del CdS sono valide se prese col voto favorevole di ameno nove membri e , nel caso di delibere procedurali, senza voto contrario di membri permanenti. Dal punto di vista giuridico, non ha rilevanza il modo in cui si manifesta la volontà del consiglio ( alzata di mano, per mancanza di obiezioni espresse, per acclamazione, appello nominale). Nella varietà di forma si inserisce la pratica dell’approvazione per consensus. Il termine in genere indica una delibera nella quale si riflette l’accordo di tutti i membri e che viene presa senza una votazione formale ma con dichiarazione del presidente dell’organo. Non sempre però i sue elementi ( accordo unanime e mancanza di votazione formale) coincidono. Non è possibile configurare una norma consuetudinaria ad hoc che dia validità al consensus. La pratica del consensus contribuisce a dare alle risoluzioni contenuti vaghi e di compromesso.
Ex. Dissenso dal consensus- cina, da un consensus sugli incidenti di frontiera tra iran ed iraq
Ex. Consensus messo ai voti e approvati con voti contrari- non ci sono esempi nel CdS ma nell’assemblea
Ex. Consensus raggiunto in riunioni informali- viene comunicato in un documento ad hoc, ed è il caso del consensus sull’aumento del numero di osservatori ONU nel settore libano israeliano.
Art 31à uno stato non membro del CdS può partecipare ai lavori dell’organo, senza diritto di voto, ogni qualvolta il CdS medesimo ritenga che gli interessi di tale membro siano particolarmente coinvolti ( totale discrezione del CdS).
Art 39 del regolamento interno del CdSà il CdS può invitare qualsiasi persona che esso ritenga idonea a fornire informazioni e a dare assistenza in materie di sua competenza.
Art 32 Cartaà ogni membro ONU che non sia membro del CdS e ogni stato che non sia dell’ONU deve partecipare ai lavori dell’organo senza diritto di voto, qualora sia parte di una controversia in esame dinanzi al CdS. Il CdS non può rifiutarsi di sentore uno stato estraneo, ma ha il potere di fissare le condizioni per la partecipazione (limita discrezionalità del CdS).
Ex. Questione greca, 1946- Albania e Bulgaria, accusate di alimentare la guerriglia, ottennero di essere ammesse alla discussione, nonostante il CdS parlasse di situazione e non di controversia.
Ex. Conflitto Koreano , 1950- Cds invitò la Corea del Sud e non la Korea del Nord, motivando la decisione non con l’assenza di una controversia ma con il fatto che la korea del Nord era stata l’aggressore. Questo causò l’accanimento dell’URSS che sostenne che l’art 32 prevede che lo stato accusato si difenda.
Per quanto riguarda gli stati non membri dell’ONU, l’invito ex art 32 dovrebbe essere accordato ogni qualvolta ci si trovi in presenza di un governo che in modo effettivo ed indipendente eserciti il potere su una comunità territoriale. In altri casi dovrebbe farsi luogo all’audizione prevista dall’art 39 re.to interno.
Il problema si è posto riguardo a governi insurrezionali o formatisi su porzioni di territorio già controllati da stati membri ONU (ex. Indonesia, Bangladesh).
Una forma di invito sui generis fu quello all’organizzazione per la liberazione della Palestina. L’OLP veniva chiamato a partecipare non in base all’art 31e 39 ma con gli stessi diritti conferiti agli stati membri dall’art 31. Contro l’invito si schierarono le potenze occidentali che l’OLP poteva essere invitato solo ex art 39 e non ex art 31. solo l’art 39 era applicabile non essendo l’OLP uno stato ma un comitato nazionale operante all’estero.
Un altro invito sui generis fu quello nel 1992 della Repubblica Jugoslava (Serbia. Montenegro) dall’assemblea generale, dopo la decisione di negare la continuità di questo paese con l’ex jogoslavia. Il rappresentante veniva ammesso a partecipare alle riunioni del CdS durante la discussione sulla crisi dell’ex Jugoslavia a titolo individuale ma era autorizzato a sedere dietro la targa Jugoslavia.
L’Assemblea Generale
Dell’assemblea fanno parte tutti gli stati membri dell’ONU.
Art 9 à Ciascuno stato ha diritto ad avere 5 rappresentanti
Art 18 à ciascuno stato dispone di un solo voto .
à Lo scopo principale della discordanza tra delegati e numero di voti ( c’era anche all’epoca della SdN) era quello di consentire la partecipazione ai dibattiti assembleari di persone provenienti dallo stesso stato ma portatori di interessi ed opinioni diverse. L’intento tuttavia non ha trovato riscontro nella pratica in quanto risulta difficile trovare traccia negli interventi dei delegati di linee politiche non conformiste.
La pluralità dei delegati ha anche fini oratici in quanto l’assemblea può operare in seduta plenaria o in commissioni e sottocommissioni. Essendo queste assai numerose, gli artt 25, 26, 100, 101 reg.to interno prevede che possano far parte della delegazione 5 membri supplenti ed un numero indeterminato di consiglieri (questi però non sono eleggibili alle cariche di pres, vice, o relatore).
Art 27 reg.to interno à la delegazione viene accreditata dal capo di stato o di governo o dal ministro degli esteri all’inizio di ogni sessione dell’assemblea.
Art 20 à le sessione sono ordinarie e straordinarie. Ogni anno, il terzo martedi’ del mese di settembre ha inizio la sessione ordinaria, mentre quelle straordinarie sono convocate dal segretario generale su richiesta del CdS o della maggioranza dei membri ONU.
Art 22 Carta à facoltà dell’assemblea di istituire organi sussidiari con carattere di permanenza per il perseguimento di fini speciali. Importanti sono queli creati nel quadro della cooperazione economica e dello sviluppo.
Gli organi creati dall’assemblea nel settore della cooperazione economica, sommati a quelli istituiti dal Consiglio Economico e Sociale, hanno finito per agire senza un preciso coordinamento, determinando un dispendio di fondi.
Art 18 à le delibere dell’assemblea siano prese a maggioranza dei presenti e dei votanti.
à Si è discusso in dottrina sulla possibilità di considerare l’astensione come manifestazione di voto, quindi come volontà di rimettersi alla decisione della maggioranza (astensione assume stesso valore del voto negativo). Parte della dottrina ritiene invece che l’astenuto rinuncia ad inserirsi nel procedimento di votazione. Non mancano tesi intermedie, che sostengono che l’astensione non dovrebbe computarsi ai fini della maggioranza solo quando dichiarata formalmente prima del voto.
Se le astensioni non contano, il numero di voti necessari per l’approvazione si riduce e l’assemblea potrà più facilmente deliberare.
L’interpretazione meno rigida sembra quella più conforme alla carta.
Art 18 par 2à le decisioni su questioni importanti vanno prese a maggioranza dei due terzi ed elenca una serie di questioni quali le raccomandazioni in tema di mantenimento della pace.
Art 18 par 3 à prevede che l’assemblea decida a maggioranza semplice sulle altre questioni e che a maggioranza semplice possa indicare nuove categorie di questioni da decidersi a maggioranza dei due terzi.
à Il problema consiste nel dubbio se l’elenco del par 2 sia tassativo ( può decidere a maggioranza dei due terzi solo le questioni elencate) o esemplificativo ( può decidere in singoli casi che una questione è importante e che su essa si voti con la maggioranza più grave). La prassi è orientata nel secondo senso. Diverse volte l’assemblea ha deciso che una risoluzione non rientrante nell’elenco dovesse votarsi con la maggioranza dei due terzi, ma dichiarò di non volersi vincolare per il futuro. Ha finito cosi’ per comportarsi in maniera diversa di fronte a casi identici.
♦ Ex. Nel 1946, si stabili’ che la regola dei due terzi dovesse applicarsi alla richiesta di un parere consultivo alla corte, dato che la richiesta si ricollegava ad un altro progetto di risoluzione che prevedeva la votazione a maggioranza ei due terzi. Nel 1949, in presenza dello stesso collegamento, la maggioranza semplice fu proposta ed accolta.
La tendenza ad avvallare la tesi della non tassatività non ha dato vita ad una norma consuetudinaria ad hoc. A confondere maggiormente sono il testo inglese ( “These questions shall include”), che lascerebbe intendere che l’assemblea sia libera di considerare come questioni importanti anche altre questioni, e il testo francese ( “ Sont considerée comme questions importantes”) ,che sembra invece deporre per la tassatività. A conforti sembra che sia da preferire la tesi della tassatività, perché se l’assemblea possa decidere caso per caso che una questione vada votata a due terzi allora la procedura del par 3 consistente nell’aggiunta di categorie da decidere a due terzi non avrebbe più senso.
In base al par 3 l’assemblea può decidere di aggiungere altre questioni tra quelle importanti. Non è possibili sostenere che le categorie non siano più eliminabili. Questo però significherebbe che in sostanza l’assemblea possa decidere caso per caso, aggiungendo ed eliminando categorie. Tuttavia l’obiezione è da respingere. Il par 3, in quanto parla di categorie, autorizza l’assemblea a prendere decisioni soltanto generali ed astratte. Una categoria non può quindi essere introdotta per motivi contingenti ed in ordine a singoli casi, né può essere eliminata per motivi contingenti ed in ordine a singoli casi. Essa può essere introdotta o eliminata solo con provvedimento ponderato e motivato. La singola disapplicazione consiste quindi in una violazione della Carta.
Può accadere che l’assemblea abbia di fronte una questione di cui sia dubbia l’appartenenza ad una delle categorie elencate.
Il fatto che sovente gli stati, pur partecipando al consensus, ne respingono con dichiarazioni espresse alcune parti, è assai marcata nel caso dell’aasemblea. L’elevato numero di membri rende difficile raggiungere l’unanimità.
Il Segretariato
La carica di segretario generale è ricoperta da un individuo che non è organo di alcuno stato ma che non è tenuto né a sollecitare né a ricevere istruzioni da alcun governo.
Art 97à è nominato dall’assemblea su proposta del CdS. Trattandosi di una questione non procedurale, la delibera del CdS è soggetto al veto dei membri
permanenti. Sulla nomina vi deve essere concordanza tra assemblea e CdS.
L’art 97 non fissa la durata del mandato, che deve quindi risultare concordata tra assemblea e CdS. Quando manca un termine concordato, il mandato dura fino alla revoca dell’assemblea su proposta del CdS.
1953 termina la proroga e viene proposto dal CdS Hammarskjold senza indicare scadenze, ma l’assemblea procedette ad una nomina quinquennale. Il segretario fu riproposto dal CdS per altri 5 anni. Alla morte di Hammarskjold fu introdotta la prassi della nomina triennale, con il segretario Thant (1961). Con il segretario Waldheim (1971) si torna alla nomina quinquennale. Lo stesso è quindi avvenuto per i suoi successori Cuéllar (1981), Boutros-Ghali (1992) e Annan (1997) .
Al segretario fa capo un vasto apparato burocratico. Lo status dei funzionari è regolato da norme poste dall’assemblea.
Art 101à il personale è nominato dal segretario secondo le norme stabilite dall’assemblea.
Nella prassi è invalsa la tendenza dell’assemblea a condizionare le nomine dei funzionari di alto livello imponendo una consultazione ocn gli stati e sottoponendo la nomina ad una successiva conferma dell’assemblea. C’è chi ritiene che si tratti di una prassi illegittima e chi ritiene che all’art 101 si sia sovrapposta una norma consuetudinaria.
Al personale del segretario si estende nell’adempimento dei loro doveri il principio d’indipendenza dagli stati membri, i quali si impegnano a rispettare il carattere internazionale del segretario e del personale (art 101 Carta).
Il principio non sembra applicarsi nella fase delle nomine in quanto gli interventi dei governi si esplicano sotto forma di designazione. Tuttavia non sembrano illegittimi in quanto precedono l’esercizio delle funzioni.
La disciplina del rapporto d’impiego tra i funzionari e l’ONU è caratterizzata dalla presenza di un organo di tipo giudiziario, il Tribunale Amministrativo. Istituito dall’assemblea nel 1949, si compone di 7 persone, indipendenti, nominate dall’assemblea, con il compito di giudicare ogni controversia nascente dall’inosservanza delle norme sul rapporto d’impiego. Le sue sentenze sono inappellabili, salva la possibilità di revisione su ricorso del segretario o del funzionario.
L’immunità degli stati stranieri dalla giurisdizione civile fa si che un funzionario licenziato, rivolgendosi ai giudici dello stato in cui la sede dell’organizzazione o dell’ambasciata si trova, vedrà respinte le sue proposte. da qui la necessità di dare la possibilità al funzionario di ricorrere altrove. In questa prospettiva si colloca il Tribunale Amministrativo.
Le risoluzioni ed i regolamenti sul personale del segretario dell’ONU compongono un sistema di norme, e si discute se si tratti di un ordinamento autonomo oppure di un ordinamento che trae la sua validità dalla Carta. Nel parere della corte del 1954 il tribunale aveva dichiarato illeciti i licenziamenti ad opera del segretario di alcuni funzionari di nazionalità americana, accusandoli di slealtà verso il paese ospite. Il tribunale ordinò la riassunzione e la corresponsione di indennità. Il caso venne in esame dinanzi alla corte quando si trattò di approvare la voce del bilancio relativa alle indennità. A causa delle critiche in assemblea all’operato del tribunale, venne chiesto un parere alla corte internazionale di giustizia, chiedendo se potesse non eseguire una decisione del tribunale. La risposta fu negativa. Infatti al momento dell’istituzione del tribunale, l’assemblea non aveva intenzione di creare una commissione ad essa subordinata con funzioni ausiliarie e consultive, ma voleva dar vita d un vero e proprio organo giudiziario. Le indennità andavano quindi corrisposte in forza dello statuto del tribunale.
Vi era anche un problema di interpretazione della Carta, ed in particolare se l’assemblea avesse il potere di creare un tribunale con simili caratteristiche. Si ritiene che il potere fosse implicitamente accordato dall’art 101 della carta che dà competenza all’assemblea ad emanare le norme sul rapporto d’impiego dei funzionari e ad assicurare l’efficienza. I giudici dissidenti tuttavia sostenevano che il tribunale non era atro che un organo sussidiario di cui l’art 22 e quindi fosse sottoposto alla sua soggezione. Inoltre, l’art 17 da libertà all’assemblea nell’approvazione del bilancio e tale libertà permette di non approvare una spesa. La corte respinge entrambe le opinioni, sostenendo che le funzioni del tribunale non rientrano in quelle dell’assemblea (non è un organo sussidiario quindi) e inoltre di fronte alla spese derivante da precedenti delibere dell’assemblea ( quella che istitui’ il tribunale) l’assemblea deve far fronte agli impegni presi.
Le conclusioni della corte sono da condividere.
Per quanto riguarda il sistema di norme che regolano lo status dei funzionari, si può sostenere che esso tragga la sua validità dalla Carta: le norme sul personale non possono mai essere in contrasto con le disposizioni della carta.
36. le immunità ed i privilegi del personale del segretario
Il dirittto internazionale consuetudinario prevede che gli agenti diplomatici di una serie di privilegi ed immunità. Non esistono norme consuetudinarie che obbligano gli stati a concedere le stesse ai funzionari delle organizzazioni internazionali, ai quali può essere riservato lo stesso trattamento solo mediante accordo.
Art 105 cartaà i funzionari godranno dei privilegi e delle immunità necessari per l’esercizio delle loro funzioni. Viene inoltre demandato all’assemblea il compito di proporre agli stati la conclusione di accordi per la disciplina più dettagliata (essendo art 105 un principio quadro).
Le norme convenzionali sulle immunità sono in genere di due specie, o disciplinano l’immunità in tema dettagliato, oppure rinviano al diritto internazionale. Un esempio del primo caso è la Convenzione generale che sancisce che i funzionari sono:
-immuni per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni
- esenti da imposizione fiscale
-esenti da obbblighi connessi al servizio militare
Etc
Come esempio della seconda specie, la convenzione generale prevede che insieme a questi privilegi, il segratraio generale, gli assistenti, il coniuge ed i figli godano dei privilegi accordati agkli agenti diplomatici dal diritto internazionale.
Le immunità ed i prioviligei sono accordati nell’interesse dell’organizzazione. La convenzione generale prevede che il segratario ha il diritto dove4re di rinunciare alle immunità di qualsiasi funzionario in ogni caso in cui a suo giudizio, l’immunità impedirebbe il corso della giustizia. Quando si trata del segreatrio, il diritto di rinunciare spetta al CdS.
37. la protezione dei funzionari
La materia è regolata dalla Convenzione sulla sicurezza del personale dell’ONU. La convenzione prevede che gli stati debbano adottare tutte le misure necessarie per assicurare la sicurezza del personale delle NU. Il diritto internaizonale ricononsce l’istituto della protezione diplomatica : lo stato in cui un cittadino è leso all’estero nell apropria persona o nei suoi beni, ha il diritto di agire sul piano internaizonale contro lo stato ospitante per ottenere il risarcimento del danno.
La questione formò oggetto del parere della corte nel 1949 in occasioen dell’uccisione di alcuni funzionarid ell’ONU che si trovavvano in medio oriente per negoziare la tregua tra arabi ed ebrei.
Il comune dovere di protezione degli stranieri come principio generale di diritto internaizonale copre anche l’ipotesi in cui lo starniero sia un funzionario di un’organizzazione. Lo stato è opbbligato a provvedere con misure idonee e quindi l’idoneità non può non dipedendere dal rango e dall’attività svolta dall’individuo da proteggere.
La perotezione dello straniero – organo pur essendo assicurato dal principio generale sulla protezione di tutti gli stranieri, è imposta anche da un principio di diritto internaizonale ad hoc. A differenza del principio generale, non tutela interessi e beni individuale , ma un interesse statale (salvaguardando la persona-organo, si salvaguardia a nche lo stato).
Lo stato che venga meno al suo dovere di protezione è internazionalemnete tenuto a risarcire i danni.
Trattandosi di un principio generale di diritto internaizonale, l’obbligo di protezione grava sugli stati membri e non membri, sempre che acconsentano che una missione ONU operi sul suo territorio.
Art 2à obbligo degli stati membri si ricava implicitamente : “ i membri devono dare alle NU ogni assistenza in qualsiasi azione..”
Art 105 à “ai funizonari spettano i privilegi e le immunità necessarieper l’esercizio delle loro funzioni”
L’ONU potrà quindi reclamare sul piano internaizoanle ocntro lo stato che sia venuto meno ad un adeguatat protezione e chiedere che le siano risarciti i danni subiti da essa stessa attraverso la perdita o la lesione dell’agente.
E’ da escludere invec che gli stati abbiano verso le NU un dovere di protezione posto a tutela del funzionario come individuo. Si esclude di conseguenza che l’ONU possa agire sul pianio internazionale contro klo stato che non ha protetto il suo funzionario per i danni arrecati al funzionario stesso.
IL CONSIGLIO ECONOMICO E SOCIALE
38. composizione e funzionamento del Consiglio
E’ un organo ausiliario dell’assemblea in quanto ha il compito di promuovere la collaborazione internaizonale nel campo economico e sociale sotto la direzione dell’assembleas (art 60) e si compone di 54 membri ONU, con un mandato di 3 anni (art 61).
Si riunisce in sessione ordinaria due volte all’anno ed in sessione straordinaria quando lo richieda la maggioranza dei suoi membri o in altri casi previsti dal reg.to interno.
Art 69 à “ il consiglio inviterà ogni membro NU a partecipare, senza diritto di voto, alle deliberazioni su qualsiasi questione di particolare interesse per tale membro”. ( =/= CdS, dove gli inviti sono a discrezione del consiglio nel decidere se la questione è di particolare interesse).
Il consiglio ha a sua volta istituito numerosi organi sussidiari, in base all’art 68 Carta. Le commissioni più importanti sono le commissioni tecniche funzionali e le commissione economiche regionali, tutte composte da rappressentatnti di governi. Alle commissione si aggiungono i comitati.
Tutti gli organi dell’ONU operanti nel settore economico e sociale sono ordinati in forma gerarchica con al vertice l’assemblea e nel grado immediatamente successivo il consiglio (ex. UNICEF).
39. Il consiglio di amministrazione fiduciaria
Ramo che ha perso rilevanza con la scomparsa dell’istituto dellamministrazione fiduciaria per effetto della decolonizzazione.
Opera sotto al direzione dell’assemblea o del CdS, qaundo esercita le sue funzioni con riguardo a territori considerati zone strategiche.
Secondo la carta la sua composizione è variabile (art 86), ma è necessario che il numero totale dei membri si divida in parti uguali tra i membri NU che amministrano territori in amministrazione fiduciaria, e quelli che non ne amministrano. Nel 1994, il consiglio ha cessato di operare e sono state avanzate proposte per assegnargli nuove funzioni.
LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA
40. L’organizzazione della Corte
Art 92à “principale organo giudiziario delle NU”, destinato a dirimire controversie giuridiche tra stati. La sua organizzazione è disciplinata da uno stato allegato alla Carta.
E’ composto da 15 giudici nominato a titolo personale, competenti nel campo del diritto internaizonale, e che non possono esercitare nessun’altra occupazione di natura professionale. Il mandato è di 9 anni, ma può essere rinnovato (art 13 st). nell’esercizion delle loro funzioni, godono dei privilegi e delle immunità diplomatiche (art 19 st).
La risoluzione, contiene una raccomandazione rivolta a tutti i membri ONU, chiedendo che ai giudici siano concessi dallo stato di residenza le immunità diplomatiche, che le immunità siano concesse anche dagli stati di transito qualora debba spostarsi per mtivi d’ufficio, e che gli stati riconoscano i lascia passare rilasciato dalla corte ai giudici. E’ importante notare che nella risoluzione si parla di giudici e non di membri della corte, lasciando intendere che non si parli solo dei 15 giudici effettivi, ma anche dei giudici ad hoc che uno stato parte di una controversia può nominare qualora nessuno dei giudici effettivi abbia la sua nazionalità.
41. l’elezione dei giudici
Termine “seduta” = inizialmente intesa come “votazione”, poi come “interna giornata”. Problema fu risolto dal Cds ( espediente del considerare come protratta una seduta finchè non si sia raggiunto lo scopo per cui essa fu indetta).
Capitolo 3
Le Funzioni
42. limiti rationae personarum e rationae materiae
Art 1 Carta à i fini dell’ONU; la formulazione nella carta è molto generica e quindi assumono particolare importanza quelle norme dalle quali è possibile dedurre dei limiti generali all’attività dell’organizzazione.
Il primo limite è ricavabile dalle norme che stabiliscono quando l’ONU possa intervenire in questione riguardanti stati non membri. Vi è poi il limite rationae materiae, il c.d. limite della domestic jurisdiction.
43. L’ONU e gli stati non membri
Gli unici due paesi che non sono parte dell’ONU sono Taiwan e la Repubblica Turca.
Art 2 par 6 à stabilisce che l’ONU deve far in modo che gli stati non membri agiscano in conformità a questi principi (astenersi dall’uso della forza etc), per quanto possa essere necessario per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Le norme che prevedono il ricorso a mezzi di pressione aventi valore di esortazione (raccomandazione) e quindi non vincolanti per il destinatario, intendono essere applicate anche a stati terzi. Infatti, a differenza di altre norme, queste non parlano di “stati membri” ma di “stati interessanti” o “parte di una controversia”. L’art non rappresenta una deroga alla regola di diritto internazionale che vuole che gli stati terzi non siano vincolati da un trattato altrui. Infatti, le raccomandazione indirizzate da assemblea e CdS non sono vincolanti per definizione.
Per quanto riguarda il cap VII della carta , che autorizza il CdS ad agire contro gli stati con misure coercitive, questo va interpretato nel senso che qualsiasi paese possa essere oggetto di misure coercitive. Anche qui non può parlarsi di deroga ai principi di diritto internazionale. Nella prassi, quasi mai gli stati non mebri hanno eccepito l’estraneità dell’ONU nell’adozione di misure ex cap VII. Si è preferito piuttosto ricorrere ad eccezioni quali l’inosservanza di norme procedurali, la violazione del principio di domestic jurisdiction.
Lo stato non membro che si rifiuto di adottare misure contro uno stato che abbia minacciato la pace non può essere accusato di complicità con l’aggressore.
La prassi conferma tale tesi. Prima dell’entrata della svizzera (2002), questa ha collaborato con il CdS in tema di misure non implicanti l’uso della forza. Talvolta però non ha collaborato pienamente. Nel caso delle sanzioni contro la Rhodesia del Sud ha solo offerto di esercitare un controllo sulle importazioni al fine di evitare che la svizzera costituisse un luogo di transito per merci destinate in altri paesi.
Anche gli stati non membri possono registrare i trattai presso il segretariato. L’art 103 sancisce la prevalenza degli obblighi derivanti dalla carta su qualsiasi altro obbligo. Lo stato terzo non potrà quindi invocare un trattato non rispettato da uno stato membro qualora contrasti con le norme della carta.
44. Il limite della competenza domestica (art 2 par. 7)
Art 2à “nessun articolo del presente statuto autorizza l’ONU ad intervenire in questione che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno stato”.
Costituisce un limite rationae materiae all’attività dell’ONU.
L’art 2 par 7 ha come precedente l’art 15 del Patto della SdN, che stabiliva che le disposizioni non si applicavano alle situazione riguardanti materie che secondo il diritto internazionale appartengono alla domestic jurisdiction di uno degli stati interessati. La differenza tra il covenant e la carta sta nella soppressione della competenza del CdS a giudicare se una questione appartenga o meno alla competenza interna di uno stato.
A San Francisco si pervenne all’attuale formulazione dell’art 2, che parla di questione che appartengono “essenzialmente” (e non “secondo il diritto internazionale [..] esclusivamente”) e perché non specifica a chi speti la competenza a decidere se una materia rientri o meno nella domestic jurisdiction.
Principali problemi di interpretazione dell’art 2 par. 7 :
La definizione della corte permanente di giustizia contenuta in un parere del 1923 è una definizione negativa: il dominio riservato comprende quelle materie nelle quali lo stato è libero da obblighi internazionali di qualsiasi genere.
Dalla definizione della corte si evince il carattere relativo della competenza domestica. Infatti la sfera della domestic jurisdiction finisce con il variare a seconda del numero dei trattati stipulati. Occorrerà chiedersi se si tratti di una materia non regolata dal diritto internazionale comune, e se non costituisce l’oggetto di impegni contratti da quello stato. Qualora esista un impegno contrattuale, la materia cesserà di appartenere alla domestic jurisdiction unicamente nei rapporti con le altre parti contraenti.
à Le materie nelle quali il diritto internazionale non impone obblighi agli stati sono quelle riguardanti il trattamento dei propri sudditi, la propria organizzazione di governo e l’utilizzazione dei propri territori ( elementi classici dello stato). Questa formulazione può con alcune eccezioni essere ancora utilizzata, considerando però l’importanza che è andata assumendo la tutela dei diritti umani.
Per quanto riguarda il diritto pattizio, la tendenza degli stati, restii a contrarre obblighi nelle materie lasciate alla competenza interna è andata rovesciandosi, lasciando che le norme pattizie si occupino un po’ di tutti i settori della vita interna statale (ex. Tutela dell’uomo, collaborazione economica, sociale etc).
A san Francisco, il delegato americano Dulles pronunciò un discorso per commentare la diversa formulazione del testo rispetto al covenant. Con la sostituzione dell’avverbio “essenzialmente” all’avverbio “esclusivamente” non si intese rinnegare la vecchia nozione giuridica di domestic jurisdiction, ma solo aggravarne la portata. Vollero sottrarre alla sfera d’azione ONU, oltre alle materie nelle quali un paese fosse già libero da qualsiasi obbligo internazionale, anche quelle materie nelle quali un paese risultasse già obbligato da convenzioni ma in via eccezionale.
à La nozione di domestic jurisdiction va quindi intesa per quelle materie libere in linea di principio da obblighi internazionali.
Vanno esclusi i tentativi di ricostruire una nozione di carattere morale ( stato deve provare di essere libero da obblighi giuridici e di non essere obbligato da “ principi dell’etica sociale internazionale positivamente riconosciuti” SPERDUTI). Vanno respinti anche gli sforzi diretti a sostituire una nozione politica di domestic jurisdiction, che fa leva sull’interesse e non sul diritto (
Fuori dal dominio riservato sarebbero quei comportamenti che,sebbene non violino diritti altrui, sebbene vengano tenuti all’interno di una comunità, siano idonei a “Ledere gli interessi di altri stati”, e abbiano quindi una rilevante ripercussione sulk piano internazionale, ROSS). Se si sostenesse , l’art finirebbe per risultare inesistente. Infatti, che l’ONU debba occuparsi solo di questioni con ripercussioni internazionali risulta ovvio dalle norme le quali fissano positivamente le competenze degli organi. E’ da escludere la tesi che vuole che la domestic jurisdiction non costituisca un limite rationae materiae ma comporterebbe solo il divieto per l’ONU di intromettersi nelle funzioni di governo eserciate dagli stati, pretendendo di regolare direttamente rapporti interindividuali. Non si vede in effetti come l’ONU potrebbe governare direttamente (anche se in alcuni casi l’ONU può assumere l’amministrazione dei territori), ARANGIO-RUIZ
La maggior parte di queste tesi si discostano dalla nozione giuridica e tendono a svalutare detta nozione a vantaggio delle competenze ONU, muovendosi nella direzione opposta a quella voluta dai redattori della carta.
à In realtà tutto ciò che chiede l’art 2 par 7 è che l’ONU non si occupi di situazioni interessanti un singolo stato se non quando sussista la lesione, la minaccia di lesione di diritti altrui.
Risulta esservi perfetta possibilità di conciliazione tra le norme sulla competenza dell’ONU in materie interne e l’art 2 par 7. la conciliazione consiste nel ritenere che in quelle materie di domestic jurisdction, l’ONU possa adottare solo risoluzioni di carattere generale ed astratto, e ad essa restano precluse le risoluzioni nei confronti di singoli stati. Molte delle risoluzioni generali ed astratte adottate dall’ONU promuovono l’assunzione di obblighi nuovi da parte degli stati.
à Se si guarda la prassi in materia, l’ONU si è sempre dichiarata competente a discutere e ha quasi sempre respinto le eccezioni fondate sull’art 2 par 7. In particolare è avvenuto per quanto riguarda i popoli sottoposti a dominio straniero, la tutela dei diritti umani, e la lotta contro governi oppressivi. Per ciascuno di questi settori l’ONU ha trovato appiglio in talune disposizioni della carta, ma ha finito per svolgersi in violazione dell’art 2 par 7. In tema di diritti umani, non si è limitata a risoluzioni generali ed astratte ma ha manifestato la tendenza a controllare che all’interno degli stati i diritti umani venissero rispettati. I due grandi patti dell’ONU sui diritti umani del 1966 e di altre convenzioni universali promosse dall’ONU, rientravano nella domestic jurisdiction. Anche nelle discussioni svoltesi per condannare i governi di tipo fascista (franco) o governi affermatisi con la forza ( colpo di stato in cecoslovacchia 1948), non vi è dubbio che abbiano interferito nel dominio riservato.
Con la caduta dei regimi socialisti dell’est europeo, il limite della domestic jurisdiction in tema di diritti umani è venuto meno.
Anche per quanto riguarda il regime costituzionale in quei paesi dove una guerra civile ha avuto luogo e procedure di riconciliazione vengono promosse dall’ONU, è venuto meno il limite della domestic jurisdiction. CdS e assemblea intervengono normalmente in queste procedure, monitorando l’esecuzione di accordi tra le varie fazioni.
Art 2 par 7 à vieta di intervenire nelle questione appartenenti alla competenza interna di uno stato.
La dottrina esclude la tesi (LAUTERPACHT) che assegna al termine intervenire lo stesso significato che ha per il diritto internazionale classico, ovvero l’ingerenza autoritativa attuata con l’uso della forza. Deve sostenersi che l’art 2 vieta agli organi di esercitare, nelle questioni di domestic jurisdiction, i normali poteri che la carta riconosce loro.
L’organo deve astenersi dal prendere una qualsiasi delibera. L’organo potrà discutere per stabilire se la questione rientri nel limite della domestic jurisdiction ma dovrà contenere il dibattito nei limiti necessari a tale scopo. Il momento per un simile dibattito è quello che precede l’iscrizione all’ordine del giorno. L’iscrizione non costituisce intervento ai sensi dell’art 2 par 7 solo se essa ha luogo perché si discute o si approfondisce la discussione sull’effettiva natura domestica della questione medesima.
La parte finale dell’art 2 par 7 esclude che si possa invocare il limite della domestic jurisdiction quando il CdS decida di far ricorso alle misure coercitive previste dal cap VII, riferendosi non solo alle misure di carattere militare ma anche alle misure non implicanti l’uso della forza.
Sottratte al limite della domestic jurisdiction sono tutte le ipotesi di intervento del CdS riconducibili sotto gli artt 41 e 42.
Art 41 à il CdS può sia decidere (vincolare) quali misure non implicanti l’uso della forza debbano essere adottate dagli stati contro un altro stato, sia raccomandare l’adozione di siffatte misure.
-Anche se l’art 2 par.7 non lo prevede espressamente, sono sottratte al limite anche le risoluzioni del CdS che costituiscono il presupposto necessario o sono funzionali di un intervento in base agli artt 41 e 42.
-Sottratti al limite della competenza domestica sono anche gli inviti che ai sensi dell’art 40 il CdS può indirizzare alle parti coinvolte in un caso di minaccia o rottura della pace per chiedere loro l’adozione di misure provvisorie per prevenire l’aggravarsi della crisi (ex. “cessate il fuoco”).
- Sono invece da tenere fuori dall’eccezione prevista dall’art 2 par 7 le raccomandazioni ex art 39 (aprono il cap VII) che hanno lo scopo di indicare agli stati parte di una controversia come risolverla.
Ciascun membro è chiamato ad interpretare la carta, al momento dell’adozione degli atti concreti. (Rinvio al paragrafo 6).
IL MANTENIMENTO DELLA PACE : LE FUNZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
Le competenze più importanti del CdS sono previste nei cap VI (artt 33 e s.s.) e VII (artt 39 e s.s.).
Il cap VI è dedicato alla soluzione pacifica delle controversie. Il cap VII riguarda l’azione a tutela della pace, presupponendo che sia stat violata o minacciata, e abilita il CdS a prendere tutta una serie di misure, implicanti e non implicanti l’uso della forza, idonee a ristabilirla.
La funzione conciliativa del cap VI ha per oggetto questioni potenzialmente idonee a turbare la pace, situazione suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza internazionale. Il cap VII riguarda invece crisi internazionali già in atto. Ha riguardo quindi all’esistenza di una violazione della pace o di un atto di aggressione.
I protagonisti dei rapporti disciplinati dal cap VI sono le parti della controversia, e il CdS ha il ruolo di conciliatore, e quindi ha solo funzioni di stimolo nei confronti degli stati affinché sia risolta. Ma la soluzione resta una questione dipendente dalla volontà e dall’accordo degli stati (art 33).Nelle fattispecie previste nel cap VII, il ruolo predominante spetta al CdS, e gli interventi sono diretti contro gli stati, e vi è l’obbligo degli altri paesi di collaborare per rendere efficaci le misure.
La diversa gravità della situazione da fronteggiare e il diverso ruolo del CdS si riflettono negli strumenti adottati. L’atto tipico attraverso il quale si esplica la funzione conciliativa del cap VI è infatti la raccomandazione che è priva di forza vincolante. Il cap VII invece è caratterizzato dal potere del CdS di emanare decisioni che vincolano gli stati, e dal potere di prendere risoluzioni di carattere operativo, che deliberano di intraprendere determinate azioni.
La funzione conciliativa ex cap VI del CdS è sottoposta al limite del domestic jurisdixtion, eccezione improponibile quando il CdS agisce in base al cap VII.
Solo di fronte ad un progetto di delibera riportabile al cap VI sussiste l’obbligo per lo stato membro del CdS coinvolto di astenersi dal voto.
à Queste differenze valgono in linea di massima in quanto risulta difficile tracciare una linea distintiva netta. L’esatta collocazione di una risoluzione nel cap VI o nel cap VII non può che essere frutto di un’attenta interpretazione.
Può accadere che una risoluzione non contenga gli articoli della carta in base ai quali vengono adottate. Può accadere inoltre che la motivazione dell’atto si ricolleghi ad un capitolo e il dispositivo si inquadri in un altro (ex. CdS dispone misure non implicanti l’uso della forza ex art 41, ma eviti di dichiarare l’esistenza di una minaccia o violazione della pace, e qualifichi la situazione con termini riportabili piuttosto al cap VI). Nel collocare l’atto, riteniamo che la preferenza debba essere data al dispositivo.
Art 35à attribuisce agli stati il potere di adire al CdS, per sottoporgli una qualsiasi controversia oppure una situazione suscettibile di portare ad un attrito internazionale. Anche gli stati non membri possono adire al CdS ma con alcune limitazioni.
Sussiste l’obbligo di adire al CdS in base all’art 37, per le parti che non siano riuscite a risolverla direttamente tra loro con mezzi pacifici.
L’attività può essere provocata dall’assemblea e dal segretario generale.
Art 11à L’assemblea può richiamare l’attenzione del Cds sulle situazioni suscettibili di mettere in pericolo la pace.
Art 99à Il segretario può investirlo di qualunque questione che a uo avviso possa minacciare il mantenimento della pace.
Entrambi possono quindi rivolgersi al Cds sia quando una questione necessiti di azioni del cap VII, sia per sollecitare la funzione conciliativa ex cap VI.
♣ Esempi dell’iniziativa del segretario : crisi congolese 1960; crisi cipriota 1947; crisi conseguente alla detenzione degli ostaggi nell’ambasciata USA a Teheran.
Art 3 reg.to interno del CdS à obbliga il presidente di turno di convocare il CdS ogni qualvolta ne sia richiesto ai sensi degli artt 35, 11 e 99.
Una volta riunito, il CdS dovrà accertare se sussistano i presupposti per l’esercizio delle sue funzioni e nel caso di accertamenti negativi, non includerà nella propria agenda la questione. Il presidente è autorizzato a condurre un’indagine per escludere i casi di manifesta improponibilità ( ex. Casi già respinti).
Art 2 reg.to interno CdSà considera a parte l’ipotesi in cui una riunione sia sollecitata da uno stato membro dell’organo. Infatti la richiesta di uno stato membro del CdS toglie al presidente il potere di indagine ed egli è in ogni caso obbligato a convocare.
Art 34à il CdS può fare indagini su qualsiasi controversia o situazione che possa portare ad un attrito internazionale
Anche se contenuto nel cap VI, l’inchiesta può costituire la premessa per l’esercizio di una delle qualsiasi competenze del CdS in tema di mantenimento della pace, anche quelle previste dal cap VII. L’art 34 comporta la libertà del CdS sia di deliberare semplicemente un’inchiesta sia invece di vincolarla ad una funzione determinata.
1946- Cinque membri furono incaricati di raccogliere documenti per stabilire se l’esistenza del regime fascista in spagna potesse condurre ad un disaccordo tra stati e minacciare la pace.
Inchieste preordinate a fini specifici : comitato di cinque membri del CdS con l’incarico di assistere il mediatore dell’ONU in Palestina e, nel caso di violazione della tregua tra arabi e israeliani, di studiare le msure appropriate da prendere in base al cap VII.
Le delibere che danno vita ad un inchiesta, potendo portare all’adozione anche di misure coercitive, sono sottratte al limite della domestic jurisdiction. Per l’eventualità che il CdS si limiti in seguito all’inchiesta all’esercizio delle funzione conciliativa ex cap VI, le delibere generiche rientrano sempre sotto la regola dell’art 27, che prevede che uno stato parte di una controversia debba astenersi dal voto. Se invece l’inchiesta è preordinata, la delibera seguirà per quanto riguarda la regola dell’art 27 il regime della funzione alla quale è preordinata.
Il CdS può condurre l’inchiesta direttamente,creando un organo ad hoc oppure incaricando il segretario generale.
Il potere d’inchiesta può esplicarsi anche in ordine a situazioni sulle quali in CdS sia già intervenuto ma delle quali intende seguire gli sviluppi. E’ riportabile all’art 34 l’istituzione di organi sussidiari per sorvegliare il rispetto di tregue e armistizi relative sia a guerre internazionali che guerre interne. Anche l’istituzione di commissioni di buoni uffici, mediazione etc , cui il CdS assegni funzioni conciliative, è riportabile all’art 34. La creazione di gruppi di osservatori militari va tenuta distinta dalla creazione di forze armate ONU.
Problema in dottrina riguardo all’inchiesta. Parte della dottrina ritiene che essendo inserita nel cap VI, il CdS dispone solo del potere di raccomandazione. Parte sostiene che un’inchiesta non può che essere decisa e non raccomandata. In realtà, noi riteniamo che non sia né una raccomandazione né una decisione, ma che si tratti di una risoluzione operativa, con la quale il CdS non pone regole di condotta ma agisce. Per quanto riguarda il problema dell’esistenza dell’obbligo, la riposta è negativa. Tuttavia l’art 2 impone l’obbligo di collaborazione ed assistenza nelle azioni intraprese dall’ONU, e lo stato quindi che chiuda le frontiere deve almeno fornire un’adeguata motivazione.
Ovviamente il rifiuto di uno stato può essere considerato come una minaccia alla pace e il CdS può prendere le misure coercitive previste dal cap VII.
A). Presupposti oggettivi.
La distinzione tra controversia e situazione è difficile. La situazione è caratterizzata dalla presenza da un lato della pretesa di uno o più stati che latri tenga un certo contegno, dall’altro il rifiuto di tenere il contegno preteso. Pretesa e rifiuto sono gli elementi classici della controversia e il fatto che il CdS spesso parli di situazioni anche quando sottopongono loro controversie, il fatto che il CdS non si sia mai occupato della distinzione, il fatto che la definizione sia cosi’ ampia da poter includere qualsiasi questione, risultano elementi a favore della teoria che una distinzione non esista.
La distinzione è priva di utilità pratica, anche se alcuni articoli sembrano presupporla ( ex. Art 27-astensione dello stato parte di una controversia; art 32- diritto di partecipare alle riunioni per uno stato parte di una controversiaà Finiscono con l’essere indipendenti poi nella sfera d’applicazione dalla nozione di controversia [vd par 22 e 29] ).
La funzione conciliativa è limitata alle controversie e situazioni suscettibili di mettere in pericolo la sicurezza internazionale. Il CdS gode di ampia discrezionalità nel decidere se una questione possa mettere in pericolo la pace. L’unico limite è che una divergenza tra stati sussista.
In realtà l’art 38 prevede che il CdS possa fare raccomandazioni per la risoluzione di una controversia, e quindi la funzione conciliativa può avere come oggetto anche una controversia non pericolosa per la pace.
Art 33 à obbligo a carico degli stati di ricercare la risoluzione di una controversia con mezzi pacifici ( negoziati, mediazione, arbitrato, conciliazione etc). E’ un invito generico da parte del CdS.
Art 36à da la facoltà al CdS di sollecitare le parti di una controversia affinché ricorrano a tali mezzi. A differenza dell’art 33, questo prevede che l’organo indichi quale specifico mezzo tra quelli elencati nell’art 33 sia appropriato in ordine ad una questione.
è in entrambi, il CdS può servirsi solo di raccomandazioni
Art 36 à autorizza il CdS ad intervenire in qualsiasi fase di una controversia o situazione pericolosa e legittima interventi di vario tipo. Il più semplice consiste nell’indicazione del procedimento o metodo da seguire, e quindi nell’invito agli stati di ricorrere alla mediazione, a negoziare etc.
Il secondo tipo di intervento consiste non nell’invito a ricorrere ad un metodo, ma nella predisposizione di un procedimento o metodo. Si giustifica cosi’ la creazione di organi sussidiari dai quali gli stati possono farsi assistere nella sistemazione della controversia (commissioni di buoni uffici, di mediazione, di conciliazione etc).
A parte i casi tipici è in definitiva riportabile all’art 36 qualsiasi raccomandazione comunque intesa a facilitare l’accordo tra stati interessati ad una questione. Il CdS tuttavia non può entrare in merito in una questione, esprimendo condanne, in base all’art 36. il potere di raccomandare soluzione nel merito è previsto dall’art 37, ma dovrebbe essere esercitato solo in presenza di rigidi presupposti. Tali presupposti sono stati eliminati per consuetudine e quindi il CdS è del tutto libero.
Art 37 à Raccomandare termini di regolamento significa suggerire agli stati come risolvere nel merito una questione. L’art 37 subordina la competenza ad entrare nel merito ad una serie di presupposti: esistenza di una controversia pericolosa, il ricorso al CdS , e l’impossibilità degli stati di risolverla con i mezzi indicati dall’art 33.
La prassi è orientata verso un’ampia libertà dell’organo,e quindi il CdS è entrato nel merito delle questioni senza incontrare opposizione di natura procedurale da parte di altri stati.
Nel cap VII sono disciplinate le competenze più importanti del CdS, quelle che costituiscono la base per l’adozione di misure sanzionatorie nei confronti di paesi che abbiano turbato la pace e per l’istituzione di forze armate al servizio dell’ONU. L’insieme delle competenza attribuite al CdS in base al cap VII è denominato sistema di sicurezza collettivo. Un’importante caratteristica è costituita dalla crescente adozione di misure che apparentemente non trovano fondamento nel cap VII, ma il CdS adotta dichiarando di agire ex cap VII. In questo caso è necessario accertare se la misura possa essere ricollegata a una delle norme del cap VII, sia pure mediante interpretazione estensiva , o accertare se essa abbia dato luogo a norme consuetudinarie.
55 bis. L’accertamento di una minaccia alla pace, di una rottura della pace o di un atto di aggressione.
Nel determinare se esista una minaccia, una violazione o un atto di aggressione, il CdS gode di ampia discrezionalità. Per tutta la materia resta improponibile l’eccezione di domestic jurisdiction, non solo perché l’art 2 lo esclude espressamente per le delibere relative a misure coercitive, ma che per le altre delibere riportabili al cap VII, il limite della domestic jurisdiction è caduto nella prassi ( situazioni interne a tutela dei diritti umani).
àVi sono stati tentativi a San Francisco di inserire nella carta maggiori ragguagli in ordine ai presupposti di applicabilità del cap VII, per limitare la discrezionalità del CdS, ma si fini’ con il preferire la formula dell’art 39. La discrezionalità del CdS è rimasta integra anche dopo l’adozione da parte dell’assemblea della definizione di aggressione ( invasione, occupazione militare, blocco di coste, di porti, messa a disposizione di territori per attacchi ovvero la c.d. aggressione armata indiretta etc). la stessa dichiarazione però stabilisce che il CdS possa considerare aggressione anche atti non elencati. Esistono dei limiti ricavabili dal sistema alla discrezionalità del CdS. In proposito occorre distinguere tra:
L’unico limite è costituito dalla legittima difesa individuale e collettiva ex art 51. In questo caso il CdS non può intervenire contro uno stato che si difende.
Parte della dottrina ritiene che sia da includersi anche la legittima difesa preventiva , cosi’ come la tesi secondo cui si potrebbe ricorrere alla forza anche contro gravi violazioni di diritti dell’uomo. Tesi sostenuta da USA e non da stati deboli.
Art 51à circoscrive senza possibilità di equivoci l’uso della forza per legittima difesa nel caso specifico di risposta ad un attacco armato. La prassi dell’ONU non ha mai avvallato una nozione di legittima difesa diversa da quella ex art 51.
La dottrina della legittima difesa preventiva è contenuta nel documento americano (c.d. dottrina Bush) elaborato dopo 11/9. La minaccia imminente derivante dall’uso di armidi distruzione di massa è stato invocato dagli USA e da UK per giustificare la guerra in Iraq del 2003.
L’ipotesi in cui una situazione non sia caratterizzata da operazioni militari incontra un solo limite, data la vaga ed elastica nozione di minaccia alla pace. Il comportamento di uno stato non potrà essere condannato dal CdS e quindi assoggettato a misure coercitive qualora la condanna non corrisponda all’opinione della gran parte degli stati, poiché il CdS agisce in nome di tutti i membri dell’ONU.
Risoluzione contro la libia- imponeva il blocco a tutti gli stati sulle forniture di aerei e di armi a questo paese. La risoluzione era fondata sulla richiesta di USA, UK e Francia di due cittadini accusati di aver partecipato agli attentati terroristici contro loro aerei, e sul fatto che la libia fornisse assistenza a terroristi. C’è da chiedersi se la mancata estradizione di due criminali potesse essere considerata come minaccia alla pace. Sanzioni vennero sospese nel 1991 e i criminali trasferiti in olanda.
Il potere del CdS non incontra altri limiti. Si discute se sia tenuto al rispetto diritto internazionale generale, in particolare le norme di jus cogens. A nostro avviso no. L’art 1 prescrive il rispetto del diritto internazionale generale nel solo caso di esercizio della funzione conciliativa.
Art 39à di fronte ad una minaccia o violazione della pace il CdS può sia deliberare le misure coercitive di cui gli artt 41 e 42, sia fare raccomandazioni. La funzione conciliativa ex cap VII però è diversa da quella ex cap VI da punto di vista procedurale: solo quella ex cap VI sussiste l’obbligo di astensione dal voto per il membro del CdS direttamente interessato.
Per determinare se una risoluzione che raccomandi termini di regolamento sia riportabile al cap VI o cap VII è necessario guardare la parte dispositiva ( principio per cui gli atti del CdS vanno identificati in base alla parte dispositiva).
Rientrano nell’art 39 e quindi nel cap VII quelle risoluzioni che adottano contemporaneamente anche altre misure previste dal cap VII, e quelle che dichiarino di trovarsi di fronte ad una violazione della pace (si guarda alla motivazione) , e quelle risoluzioni che si riferiscono ad una crisi provocata dall’uso della forza.
Per le raccomandazioni ex art 39 vale , come per il cap VI, il limite della domestic jurisdiction, anche se il limite ha subito un erosione nella prassi, erosione che is manifesta particolarmente con riguardo alle guerre civili. In questi casi infatti il CdS interviene promuovendo accordi tra le fazioni che hanno provocato il conflitto, e designano il futuro assetto costituzionale. L’intervento consiste nell’assistenza alle autorità locali al fine di stabilire istituzioni democratiche, nell’organizzazione e monitoraggio delle elezioni etc.
-raccomandazioni ex art 39 combinate ad un’altra misura : cessate il fuoco (ex art 40) rivolto a Israele e stati arabi.
- indicazioni di termini di regolamento in situazioni post-conflittuali: Sierra leone 1999, Congo 2000, Mozambico 1993.
La provvisorietà si ricollega sia allo scopo, ovvero di prevenire l’aggravarsi di una situazione, sia ai limiti posti al loro contenuto, non dovendo esse pregiudicare le pretese e le posizioni delle parti interessate.
Le misure provvisorie sono concepite come misure di urgenza e preliminari rispetto a qualunque altra misure del cap VII, ed è infatti previsto dall’art 40 che il CdS vi ricorra prima di fare le raccomandazioni o decidere sulle misure ex art 39. E’ tuttavia da escludere che il CdS sia vincolato cronologicamente.
Le misure provvisorio non sono atti vincolanti per i destinatari, e i tentativi di rendere vincolanti questi inviti non hanno avuto successo. L’art 40 sancisce che il CdS tiene conto della mancata esecuzione di tali misure provvisorie, ma ciò non permette di ricavare una regola non scritta nel senso dell’obbligatorietà (il CdS può tenere conto di qualsiasi comportamento).
Esempio tipico di misura provvisoria è il cessate il fuoco. Inquadramento del cessate il fuoco talune volte nel cap VI è stato dettato solo da motivi politici e quindi non risulta da una corretta interpretazione della carta.
La distinzione tra l’invito ad applicare una misura provvisoria o una raccomandazione circa termini di regolamento (ex art 39 o 37) non è sempre agevole, potendo la prima consistere in un regolamento parziale della questione che ha scatenato la crisi. L’inquadramento nell’art 40 dovrà preferirsi qualora nella risoluzione si riveli il fine di non aggravare la situazione.
Talvolta il CdS si è limitato ad un appello generico di non aggravare la situazione ( conflitto indo-pakistano).
Risoluzione che chiedeva ad Israele di non aggravare la situazione con la giordania e di non procedere con la parata militare a gerusalemme. E’ da respingere la motivazione avanzata come giustificazione per la mancata esecuzione in quanto le misure ex art 40 sono sottratte al limite della domestic jurisdiction.
Tali misure hanno carattere sanzionatorio e vengono comminate contro uno stato che turbi o minacci la pace. Ad adottarle sono gli stati membri ONU su richiesta del CdS. L’art 41 parla di interruzione totale o parziale dei rapporti economici e delle comunicazioni (aeree, marittime , postali etc). l’elencazione è però solo esemplificativa e non tassativa, potendo il CdS decretare una qualsiasi altra misura che non comporti l’impiego delle forze armate.
Anche queste misure sono sottratte al limite della domestic jurisdiction.
Le misure ex art 41 sono vincolanti per gli stati membri, salva la possibilità di segnalare particolari difficoltà economiche, come sancito dall’art 50.
Durante la guerra fredda, vi sono stati solo due casi di decisioni vincolanti ex art 41: la risoluzione contro la rodesia del sud ( per portare all’isolamento totale del governo dell’epoca)e quella contro il sud africa ( si limitava ad imporre l’embargo a qualsiasi fornitura di armi al governo). Dopo la fine della guerra fredda le risoluzioni del CdS riportabili all’art 41 si sono moltiplicate, liberato dai veti incrociati di USA e URSS.
Crisi del golfo 1990= ha portata in seguito all’adozione di misure implicanti l’uso della forza. La risoluzione più importante fu quella adottata contro l’Iraq dopo l’aggresisone al Kuwait che obbligava gli stati a rompere ogni relazione economica, ponendo l’embargo su imp ed exp. Le altre sanzioni sono state abolite.
Crisi jugoslava 1991= embargo sulle armi destinate alla jugoslavia, ed in seguito l’embargo sulle importazioni ed esportazioni, il blocco delle operazioni finanziarie, divieto di decollo, atterraggio, sorvolo diretti verso territorio serbo-montenegrino. Le sanzioni ebbero fine nel 1996
Crisi in Kosovo 1998= CdS non riusci’ ad adottare alcuna decisione se non l’embargo sulle vendita e fornitura di amri.
Crisi Somala 1992 = divieto di esportazione di armi verso la somalia. La maggiorparte delle misure adottato implicavano l’uso della forza
Di solito il CdS quando decreta sanzioni ex art 41, istituisce un comitato che controlli l’esecuzione delle sanzioni. Tuttavia tale controllo non è difficile da aggirare, svolgendosi soprattutto attraverso rapporti inviati dagli stati stessi.
Il monitoraggio dell’applicazione delle sanzioni è necessario anche per verificare che sofferenze inutili non siano inflitte alla popolazione dello stato colpito o di altri stati.
à Durante la guerra del golfo, il CdS ha autorizzato deroghe all’obbligo degli stati di applicare misure sanzionatorie (risoluzione che prevedeva che d’intesa con la croce rossa potessero essere fornite all’Iraq derrate alimentari). E’ evidente una tendenza del CdS a rispettar eil diritto internazionale generale, almeno per quanto riguarda i diritti dell’uomo e le sanzioni economiche. Uno stato la cui economia sia legata ad uno stato oggetto delle misure può risultare danneggiato e per questo l’art 50 prevede la possibilità che questo si consulti con il CdS per stabilire le misure appropriate.
A parte le decisioni, il CdS può limitarsi a raccomandare misure non implicanti l’uso della forza. L’art 41 ammette implicitamente che il CdS attenui la portata della risoluzione attribuendole mera natura di raccomandazione. Pe determinare se si è in presenza di una decisione o di una raccomandazione ex art 41 occorrerà avere riguardo della volontà del CdS quale risulta dal testo della risoluzione, dalle discussioni, o dalle dichiarazioni di voto.
Di raccomandazioni ex art 41 vi sono molti esempi nel periodo della guerra fredda, a causa dell’incapacità del CdS all’epoca di prendere decisioni.
L’elenco delle misure non implicanti l’uso della forza non è tassativo. Misura atipica può essere dedotta dal genere di risoluzione cui ricorre spesso il CdS che consiste nel dichiarare invalidi certi atti statali interni ( atti adottati da Israele quali l’espropriazione di terre etc). L’invalidità però non opera in nessun modo all’interno degli ordinamenti degli stati ma risulta essere un invito per gli stati a disconoscere gli atti e di non applicarli qualora vengano in qualsiasi modo in rilievo innanzi ai loro organi. Anche per le misure atipiche occorrerà stabilire caso per caso se il CdS ha inteso farne oggetto di decisioni vincolanti o di raccomandazioni.
Come misura atipica è considerata anche la creazione di tribunali per i crimini contro la pace e la sicurezza commessi in ruanda e nell’ex jugoslavia.
Artt 42 e s.s. si occupa dell’ipotesi che il CdS decida di impiegare la forza contro uno stato colpevole di aggressione o di violazione o minaccia della pace, o di impiegarla all’intero di uno stato (ex. Intervenendo in una guerra civile).
Il carattere interno di una situazione non è di ostacolo all’azione del CdS essendo le misure del cap VII sottratte al limite della competenza domestica.
Il ricorso a misure violente da parte del CdS è concepito come un’azione di polizia internazionale. La risoluzione con la quale decide di agire è una delibera operativa, attraverso la quale l’ONU non ordina ma agisce. L’azione consiste nell’utilizzazione di contingenti nazionali ma sotto il comando del CdS, al fine di garantire l’imparzialità e di limitare l’intervento alle azioni strettamente indispensabili.
Artt 43, 44 e 45 à l’obbligo per gli stati membri di stipulare con il CdS accordi intesi a stabilire il numero, il grado di preparazione e la dislocazione delle forze armate. I contingenti devono fare capo ad un Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei cinque membri permanenti dell’ONU e posto sotto l’autorità del CdS.
Gli artt 43 e s.s. non hanno mai ricevuto applicazione. Nel rapporto presentato dal segretario generale, denominato agenda per la pace, si prevede che gli accordi di cui all’art 43 possano essere in futuro conclusi.
Il CdS è di solito intervenuto in crisi internazionali in due modi:
-creando le forze delle nazioni unite (c.d. caschi blu), incaricate di operare per il mantenimento della pace (peace keeping operations)
- ha autorizzato l’uso della forza da parte dei singoli stati, sia singolarmente che nell’ambito di organizzazioni regionali.
Peace keeping operations
Tra le principali forze con compiti di mantenimento della pace ci sono:
ONUC ( congo 1960, per aiutarlo ad uscire dalla guerra civile); UNEF II ( 1973 come forza cuscinetto tra egitto ed Israele); UNFICYP ( 1964 Cipro) ; UNDOF ( 1974 dislocata tra Siria ed Israele); UNIFIL ( 1978 operante nel Libano meridionale); UNOMSIL ( ISerra Leone 1998); UNMIL (Liberia 2003) .
La caratteristica principale delle peace keeping operations è costituita dalla delega del CdS al segretario generale per il reperimento ed il comando delle forze armate.
Le Forze delle Nazioni Unite non sono destinate ad usare la forza. Svolgono funzioni di peace keeping e non peace enforcement. Non usano armi se non per legittima difesa e operano come un cuscinetto all’assistenza del governo locale per ristabilire le normali condizioni di vita politica ed istituzionale dopo una guerra civile.
E’ talvolta successo che alcune aventi compiti di peace keeping nel corso di un conflitto siano state trasformate in forze di peace enforcement (ex. Congo, ex jugoslavia, somalia).
Jugoslavia 1992 = in relazione agli sviluppi della crisi, con successive risoluzioni, il CdS invitò il segretario a dotare le forze di armamenti appropriati alla sua difesa e affidò alla forze il compito di proteggere alcune città. L’UNPROFOR non compi’ vere e proprie azioni belliche ma non può neanche essere considerata un mero strumento di misure pacifiche.
Somalia 1992 = UNOSOM fu costituita con il compito di appoggiare gli sforzi del segretario diretti a facilitare il cessate il fuoco ma successivamente assunse la funzione di estendere, consolidare e mantenere la sicurezza nell’intera somalia. Divenne cosi’ UNOSOM II e con una risoluzione adottata in seguito ad un attacco somalo contro un gruppo di casci blu pakistani, gli venne affidato il compito di prendere ogni misura necessaria contro i responsabili degli attacchi armati.
Con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 2000 si sancisce l’obbligo dei cashi blu di osservare le norme e i principi di diritto internazionale ed umanitario. Inoltre nell’annesso si raccomanda che le forze di peace keeping dovrebbero essere rese operative entro 30 gg o nei casi complessi 90 gg dalla data della risoluzione.
Parte della dottrina tenta di riportare le peace keeping operations sotto altre norme della carta estranee al cap VII, soprattutto sotto le norme sulla funzione conciliativa del cap VI, oppure si parla di formazione di regole non scritte. C’è anche chi ritiene che ricadano a metà strada tra cap VI e cap VII.
Conclusion à La prima è assurda, se si considera inoltre che la funzione conciliativa spetta anche all’assemblea. La seconda appare essere la più convincente ed è quella sostenuta nell’agenda per la pace del segretario Ghali che definisce le forze di peace keeping come “un’invenzione” delle NU. E’ importante considerare che le peace keeping operations hanno costi elevatissimi e sarebbero difficile ritenere che sussista un obbligo di contribuzione alle spese per operazioni non riportabili ad una norma precisa della carta.
L’autorizzazione all’uso della forza da parte degli stati membri
L’impego delle forze è risultato sempre più impraticabile, e per questo l’ONU ha preferito autorizzare l’impiego diretto di contingenti militari da parte di stati membri.
Diverse volte il CdS ha autorizzato, raccomandato o delegato l’uso della forza ,contro uno stato o all’interno di uno stato.
Solo in due casi si è trattato di autorizzazioni a condurre vere e proprie guerre per respingere aggressioni esterne:
In altri casi gli stati sono stati autorizzati ad usare la forza in crisi interne:
Jugoslavia 1993 = CdS autorizza gli sttai membri ad impiegare le proprie forze aeree, anche individualmente, e fu istituita l’IFOR.
Somalia 1992= autorizzazione agli stati a cooperare per eseguire l’offerta di un membro ONU (USA) ad usare tutti i mezzi necessari al fine di stabilire un ambiente sicuro per le operazioni di soccorso umanitario
Ruanda 1994 = intervento francese
Haiti 1994 = intervento USA a capo di una forza multinazionale
Misure di minore entità, sempre qualificabili come implicanti l’uso della forza, sono state poi autorizzate e raccomandate ai singoli stati, contemporaneamente a misure non implicanti l’uso della forze e /o operazioni di peace keeping. Tra queste, l’autorizzazione ad operare blocchi navali, impedire il commercio anche con la forza da parte di navi di qualsiasi nazionalità (deroga al principio di diritto internazionale secondo cui ogni nave è sottoposta alla giurisdizione dello stato di bandiera).
Rodesia del Sud 1966 = interdizione per la vendita di petrolio rafforzata da gran Bretagna che fu invitata ad impedire con qualsiasi mezzo l’arrivo in Mozambico di petrolio destinato alla Rodesia.
Crisi del golfo 1991= risoluzione con domanda agli stati di impedire che qualsiasi nave proveniente o diretta verso l’iraq e il Kuwait occupato trasportasse merci in violaizone dell’embargo.
Si discute in dottrina circa la legittimità delle delega agli stati. Se si interpreta in maniera letterale l’art 24 che sancisce che “i membri conferiscono al CdS la responsabilità principale in tema di mantenimento della pace”, allora, dato il principio delegatus non potest delegare, allora gli stati non possono delegare al CdS con l’art 24 e questo ridelegare a loro. Questa interpretazione non sembra condivisibile, in quanto se si interpretasse l’art 24 come una delega, allora gli stati potrebbero revocarla in qualsiasi momento. L’art 24 serve solo a ribadire il monopolio del CdS per l’uso della forza.
La carta non consente la delega all’uso della forza, ma con la constatata inefficienza del sistema di sicurezza collettivo, si è fatta strada la prassi della delega agli stati. Il CdS tende ad assumere sempre più funzioni direttive che funzioni operative.
La delega agli stati deve essere formulata in maniera espressa, ed è quindi da escludere che si possa interpretare una risoluzione come una delega implicita.
Dalla prassi emerge che i controllo sulle operazioni condotte dagli stati resta in mano al CdS, che è costantemente informato. Se il controllo del CdS è necessario, allora l’illegittimità della guerra non può essere rimossa con la ratifica successiva.
Le forze degli stati membri autorizzati sono tenuti al rispetto del diritto internazionale , in particolare del diritto umanitario.
L’assemblea ha istituito un registro di armi convenzionali i cui vengono registrati i dati, forniti dagli stessi stati, riguardanti le importazioni ed esportazioni di armi, nonché degli stocks nazionali, per garantire il controllo sulla produzione e vendita di armi.
60 bis.
Atti di governo di territori
Talvolta in CdS, dichiarando di agire in base al cap VII, ha organizzato il governo di territori, per assicurare il mantenimento della pace di territori oggetto di rivendicazioni di sovranità o nei quali vi è stata una guerra civile.
L’istituzione di tribunali internazionali per la punizione di crimini commessi da individui può essere considerata come misura relativa al governo dei territori.
Tribunale per i crimini commessi in ex jugoslavia 1993 = si occupa di violazioni del diritto internazionale umanitario commesse in jugoslavia dopo il 1992.
Tribunale per crimini commessi in Ruanda 1994 = violazioni di diritto internazionale umanitario, e crimini di genocidio commessi nel 1994.
I due tribunali non risiedono nei territori dei quali si occupano ( TJ all’Aja e TR ad arusha) ma possono essere considerati come misure di governo relative a detti territori.
Le misure di governo di territori non trovano fondamento espresso nella carta. In dottrina vi sono stati tentativi di riportarle a misure coercitive degli artt 41 e 42. Altri sostengono che le misure che non rientrano in un articolo specifico possono trovare fondamento nell’art 24, che avvallerebbe qualsiasi misura necessaria per il mantenimento della pace. Detta tesi sarebbe in contrasto con il par. 2 dove sono elencati gli specifici poteri attribuiti al CdS.
à Si può sostenere che la prassi abbia dato vita ad una norma consuetudinaria, e la mancata opposizione alla partecipazione alle risoluzione del CdS in materia di governo di territori testimonia a favore di questa tesi.
Anche gli atti di governo di territori devono conformarsi al diritto internazionale e al principio di autodeterminazione dei popoli.
IL MANTENIMENTO DELLA PACE : LE FUNZIONI DELL’ASSEMBLEA GENERALE
61. Discussioni e raccomandazioni su questioni generali
Art 11 à competenza dell’assemblea a discutere questioni relative al mantenimento della pace e a fare raccomandazioni al CdS e agli stati membri.
Assemblea può emettere solo raccomandazioni, prive di forza vincolante.
62. la funzione conciliativa
L’assemblea dispone di una funzione consultiva con un campo di applicazione più ampio rispetto a quello del CdS coprendo, ai sensi dell’art 14 , qualsiasi questione che tocchi il benessere generale e le relazioni amichevoli tra nazioni. L’assemblea può raccomandare misure di regolamento pacifico di qualsiasi situazione che ritenga suscettibile di mettere in pericolo la pace.
Artt 12 e s.s. del reg.to int. Dell’assemblea à la proposta di inserire una questione nell’ordine del giorno può essere avanzata dagli organi principali dell’ONU, da ogni stato membro oppure da uno stato non membro ma solo se è parte della questione.
Art 14à consente di far rientrare nella funzione conciliativa tutti gli strumenti, purchè non vincolanti, per portare all’accordo tra le parti coinvolte in una controversia o crisi internazionale.
63. Il problema della competenza dell’assemblea in tema di azione.
A). le soluzioni date dalla carta.
Competenza dell’assemblea ad intraprendere azioni a tutela della pace è stata oggetto di dispute dottrinali. Negli anni 60 si manifestò una tendenza a sostituirsi al CdS a causa della paralisi del CdS per l’esercizio di veto.
Art 11à riconosciuta la competenza dell’assemblea a discutere e fare raccomandazioni su questioni relative al mantenimento della pace, aggiunge che qualsiasi questione del genere per cui si renda necessaria un’azione deve essere deferita al CdS.
Riconosciamo l’incompetenza piena dell’assemblea a ricorrere a misure che implichino l’uso della forza e quindi illegittimità delle risoluzioni prese dall’assemblea durante la crisi di suez, che furono alla base della prima forza di emergenza delle NU (UNEF I). Contro la legittimità di tale risoluzione si pronunciarono i paesi socialisti.
Un’interpretazione obiettiva della carta porti a sostenere l’incompetenza, a meno che le risoluzioni non si limitino a ribadire sanzioni già decise dal CdS.
Per le misure provvisorie ex art 40, si può forse riconoscere la competenza dell’assemblea, in quanto queste misure non hanno carattere sanzionatorio e finiscono con il confondersi con le misure di regolamento pacifico delle situazioni, che rientrano nella funzione conciliativa dell’assemblea.
64. B) la pretesa formazione di norme consuetudinarie in materia
Parte della dottrina ritiene che si siano formate norme consuetudinarie in materia. In particolare come prova viene riportata la risoluzione dell’assemblea Uniting fior peace, dove si dichiara che in caso di inerzia del CdS di fronte ad una rottura della pace, sarebbe spettato all’assemblea decretare ogni misura appropriata, inclusa la costituzione di forze armate delle NU. Ritengono quindi che la competenza dell’assemblea si sarebbe consolidata per consuetudine attraverso manifestazioni nella prassi (suez). Possono però essere avanzati dei dubbi, dovuti all’opposizione degli stati socialisti (si manifestò in particolare durante la guerra fredda con l’embargo decretato contro la corea del nord e la cina popolare) e a causa del rovesciamento di posizione di quegli stati che inizialmente si erano dichiarati a favore della competenza.
♠ Caso del west iran à operazione di peace keeping condotta dall’assemblea che organizzò un’amministrazione temporanea nel 1963 in questa ex colonia olandese. Secondo noi si tratta piuttosto di un intervento dell’assemblea nel quadro della decolonizzazione.
IL MANTENIMENTO DELLA PACE : LE FUNZIONI DEL SEGRETARIO GENERALE
65. le funzioni delegate e le funzioni esecutive.
Art 98à il segretario esercita quelle funzioni che gli sono affidate dall’assemblea e dal CdS. E’ ovvio che sono trasferibili solo quelle funzioni di cui l’organo sia titolare.
Le funzioni del segretario possono essere esercitate dai suou rappresentanti o essere a questi sub delegate. Si tratta in ogni caso di una rapporto gerarchico.
Il segretario può essere investito ad esempio di : poteri di inchiesta, conciliazione, mediazione, di costituzione delle forze militari su mandato del CdS nell’ambito delle operazioni di peace keeping, conclusione di accordi con sati in cui le forze hanno operato, decisione circa l’impiego delle forze etc.
-Caso di delega nella risoluzione che autorizza il segretario ad appoggiare il processo di riconciliazione in liberia.
La delega può sempre essere revocata dall’organo delegante. Nel caso di mutamento radicale delle circostanze tale da rendere impossibile qualsiasi decisione alla luce delle direttive ricevute fa venire meno la delega. Questa è stata la tesi sostenuta dall’URSS quando chiese le dimissioni del segretario generale nel 1960. durante la crisi del congo, il caos all’interno del paese rese problematico l’espletamento del compito affidato al segretario dal CdS, che consisteva nell’assistere il governo congolese nel mantenimento dell’ordine. L’allora segretario chiese istruzioni ma sia il CdS che l’assmeblea erano paralizzati per i contrasti tra stati membri. Venne quindi criticato per le sue iniziative autonome. La tesi è giusta ma non applicabile al caso del congo.
Dalle funzioni delegate sono da tenere distinte le funzioni esecutive.
Art 97 à il segretario è il più alto funzionario amministrativo e le sue finzioni comprendono ogni genere di attività necessaria per mandare ad effetto le risoluzioni di CdS ed assemblea. Le risoluzioni spesso chiedono al segretario di informare l’organo deliberante circa l’avvenuta esecuzione della raccomandazione.
66. le iniziative autonome ai fini della riconciliazione
Spesso il segretario, senza esserne investito, ha svolto funzioni di conciliazione, offrendo la sua attività mediatrice agli stati coinvolti in una crisi internazionale. La carta non prevede espressamente simili iniziative ed è da respingere che rientrino implicitamente nella facoltà di richiamare l’attenzione del CdS su questioni suscettibili di minacciare la pace.
-Incompetenza sottolineata durante la crisi in kossovo, quando il segretario di stato USA chiese al segretario di limitarsi a coordinare gli aiuti umanitari senza intraprendere azioni politiche.
Il discorso è diverso quando si tratta di crisi interne ad uno stato. Infatti le iniziative autonome in questo caso non hanno mai incontrato obiezioni.
-Mozambico 1992 = il CdS accoglie con un risoluzione l’accordo conluso tra il governo della Guinea bissau e una Giunta militare con la mediazione del segretario generale.
E’ da escludere infine che il segretario possa procedere ad inchiesta formali ex art 34.
-1970, il segretario procedette ad un ‘inchiesta per accertare la volontà degli abitanti delle isole Bahrein circa l’acquisto dell’indipendenza. I risultati vennero comunicati al CdS ma URSS e Francia protestarono per l’autonomia dell’iniziativa del segretario. L’atteggiamento dei due paesi è da approvare.
IL MANTENIMENTO DELLA PACE E LE ORGANIZZAZIONI INTERNAIZONALI
67. le azioni regionali autorizzate da consiglio
Art 52à riconosce le organizzazioni regionali e sottolinea il loro compito di dirimere le questioni di carattere locale tra i paesi che ne fanno parte.
Art 53 à si occupa di organizzazione regionali che perseguono scopi di difesa e di mutua assistenza tra i membri. Prevede che il CdS utilizzi gli accordi o le organizzazioni per azioni coercitive sotto la sua direzione. La norma va coordinata con l’art 51 che ammette la legittima difesa collettiva.
QUADRIà necessitando di autorizzazione del CdS appaiono come organi decentrati delle NU.
-Cuba 1962 = blocco navale di USA per impedire nell’isola l’installazione di rampe di missili provenienti dall’URSS. Azione non poteva giustificarsi come azione di legittima difesa ex art 51 ma non era neanche inquadrabile sotto l’art 53 in quanto l’OSA non era autorizzato.
ECOWAS 1990 = intervento in liberia non autorizzato ma solo successivamente il CdS dichiarò di apprezzare gli sforzi per ristabilire l’ordine nel paese.
♥ Esempio – bombardamenti aerei NATO contro la repubblica jugoslava nel 1999 durante la crisi in kosovo, devono considerarsi come una violazione della carta..
In varie risoluzioni in CdS si è rivolto agli stati membri singolarmente considerati e al contempo come membri di organizzazioni regionali.
-Esempio di risoluzione direttamente indirizzata ad un’organizzazione fu quella del 1982 che autorizza la costituzione di una forza panafricana da parte dell’OUA per il mantenimento della pace in Ciad.
68. le organizzazioni regionali esistenti
NATO, Organizzazione del patto nord Atlantico
Costituita nel 1949 per vincolare gli stati occidentali alla comune difesa. L’art 5 prevede che in caso di attacco contro uno dei membri gli altri sono impegnati ad assisterlo e a prendere le misure che ciascuno di essi consideri necessarie per ristabilire la pace. In tempo di pace, persegue lo scopo di sviluppare la collaborazione militare tra paesi membri. Gli organi principale sono : il consiglio (ministri degli esteri, capi di stato e di governo), Comitato di difesa ( capi di stato maggiore). In base alla “nuova concezione strategica dell’alleanza” la NATO ha deciso di partecipare anche ad azioni militari per il mantenimento della pace.
UEO, Unione europea occidentale
Istituita nel 1948 con il trattato di Bruxelles, si pone l’obiettivo di sviluppare la cooperazione economica, sociale e culturale tra i membri e di assicurare la reciproca assistenza in caso di aggressione. L’organo principale è il consiglio. Può essere considerata come l’alleanza difensiva europea.
OSA, Organizzazione degli stati americani
Riunisce USA e stati dell’america latina, prese vita nel 1948. gli scopi sono la cooperazione in campo economico, giuridico, sociale, il rafforzamento della pace e della sicurezza del continente americano, la soluzione pacifica delle controversie, ed un sistema di sicurezza collettivo. Gli organi sono molti: Assemblea generale (rappresentanti di tutti gli stati), l’organo di consultazione ( Ministri degli esteri), consiglio permanente ( un rappresentante di ciascuno stato).
Lega degli stati Arabi
Creata nel 1945 non ha solo fini di alleanza militare ma anche di sviluppo e collaborazione in vari settori. L’organo principale è il consiglio (composto dai rappresentanti di tutti i membri). Il trattato istitutivo prevede che in caso di aggressione il consiglio debba decidere all’unanimità le misure da prendere.
OUA, Organizzazione per l’unità africana
Creata nel 1963, ha come scopo quello di promuovere l’unità e la solidarietà degli stati africani. Non contiene alcuna norma sulla mutua difesa, limitandosi ad indicare i fini di difendere la sovranità e indipendenza dei territori. Gli organi sono : Assemblea dei capi di stato e di governo, il consiglio dei ministri, il segretario generale, la commissione di mediazione, conciliazione ed arbitrato.
CIS, Comunità di stati indipendenti
Creata nel 1991 tra le repubbliche facenti parte della dissolta URSS. Gli organi sono : il consiglio dei capi di stato, il consiglio dei capi di governo, il consiglio dei ministri degli esteri, il consiglio dei ministri della difesa, il consiglio dei comandanti militari. I fini sono il rafforzamento delle relazioni di amicizia e cooperazione tra stati membri.
ECOWAS, comunità economica degli stati dell’africa occidentale
Ha come scopo fondamentale la cooperazione economica. Ha dato vita ad una forza militare ECOMOG che opera come forza di peace keeping nella regione.
OECS; organizzazione degli stati dei carabi orientali
Cretata nel 1981, ha tra gli scopi quello di mutua difesa
OSCE, organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in europa
Una delle più estese organizzazioni. Gli scopi non sono definiti nel trattato istitutivo ma definiti da varie dichiarazioni di capi di stato e di governo. Nella carta sulla sicurezza in europa si dichiara di promuovere lo sviluppo nelle operazioni di peace keeping.
LA COOPERAZIONE ECONOMICA E L’AZIONE PER LO SVILUPPO
69. decolonizzazione politica e decolonizzazione economica. La cooperazione allo sviluppo sostenibile.
Tra i fini dell’ONU vi è quello di promuovere la collaborazione internazionale in campo economico e sociale, nell’intento di ridurre le disuguaglianze esistenti tra stati.
Si tratta della stessa spinta che fu alla base del processo di decolonizzazione politica. Ma quando si tratta di decolonizzazione economica la questione è più difficile in quanto vi è una contrapposizione tra interessi dei paesi ricchi e interessi dei paesi poveri. In questa situazione non si può non considerare l’aspetto negativo costituito dalla mancanza di poteri effettivi dell’organizzazione nei confronti degli stati membri.
70. gli organi preposti alla cooperazione economica
Art 60 à gli organi preposti alla cooperazione economica sono l’assmeblea e il consiglio economico e sociale. Questi fanno capo a tutto un insieme di altri organi sussidiari e si coordinano, nella loro azione con questi.
71. le funzioni di tipo normativo
L’azione dell’ONU per la cooperazione economica consiste soprattutto nella predisposizione di una serie di regole che l’organizzazione ritiene debbano disciplinare i rapporti fra stati in questo settore, contenute nelle dichiarazioni di principi dell’assemblea e nella raccomandazioni rivolte agli stati da assemblea e consiglio economico e sociale. Trattasi però di regole non obbligatorie. E’ da escludere che nel settore si siano formate regole non scritte a causa dell’atteggiamento frenante dei paesi industrializzati. Questi principi sebbene non vincolati traggono la loro utilità e valore dalla forza che deriva dai grandi ideali che perseguono.
Le regole generali della cooperazione economica sono contenute in alcune storiche risoluzioni dell’assemblea: Dichiarazione,programma d’adozione per l’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale, la carta dei diritti e dei doveri economici, che delineano una propria filosofia relativa alla crescita dei LDC.
à L’idea è che debba svilupparsi una mobilitazione globale della comunità di stati, nell’ambito della quale i LDC possano far valere il potere di negoziazione derivante dalla sovranità piena ed intangibile delle proprie risorse. Le norme della Dichiarazione, della Carta e del Programma , contengono si ispirano a questa filosofia e dettano principi fondamentali : il diritto di uno stato di adottare il sistema economico che ritiene più adeguato, il diritto allo sfruttamento dei fondi marini, contrattazione libera da ogni condizionamento politico, un giusto ed equo rapporto tra prezzi di prodotti esportati ed importati dai LDC, la concessione di trattamenti preferenziali anziché reciproci. Tutte queste regole sono volte ad accelerare il tasso di crescita del loro commercio per il raggiungimento della “Giustizia sociale internazionale”.
Le regole contenute nei tre atti costituiscono un punto di riferimento importante per gli organi delle NU. Pur riaffermando tali principi, in tempi più recenti l’assemblea si è concentrata maggiormente sull’impatto della globalizzazione sui LDC. Norme in materia sono contenute nella Dichiarazione per il millennio del 2000 e nella dichiarazione di Johannesburg del 2002.
Complementari a queste regole, l’assemblea ha dettato programmi decennali a partire dagli anni 60, che indicano gli obiettivi da raggiungere nell’ambito della cooperazione per lo sviluppo.
Un ruolo importante è anche svolto dall’UNCTAD (conferenza delle NU sul commercio e lo sviluppo), che si riuni’ per la prima volta nel 1964, e fu assunto come organo sussidiario permanente dell’ONU. UNCTAD ha per scopo quello di promuovere il commercio internazionale nel quadro della politica di sviluppo di LDC, fissando le regole e disciplinando materie correlate, come finanziamenti, investimenti, facilitando negoziazione di accordi multilaterali. Ad essa si devono la predisposizione del GATT, fondato sulla clausola della nazione più favorita e della reciprocità , la conclusione di accordi su taluni prodotti di base ( accordi sul cacao del 1980), e l’attività per la messa a punto dei problemi dello sviluppo.
Purtroppo nonostante la massa di studi e progetti di convenzione, il divario tra ricchi e coloro che vivono al di sotto di uno standard decente è anbocra enorme.
72. le funzioni operative
Nel quadro della cooperazione per lo sviluppo, si sono andate moltiplicando le intese volte alla deliberazione ed esecuzione di programmi di assistenza tecnica ed altri tipi di aiuto ai LDC. In proposito sono stati creati organi ed uffici appositi:
UNICEF (fondo delle nazioni unite per l’infanzia) 1946; UNHCR (alto commissariato per i rifugiati) 1950; UNV (programma per l’ambiente) 1971; UNEP (fondo per le attività in materia di popolazione) 1972; UNFPA ( fondo per le risorse naturali ) 1972; UNPD (fondo delle nazioni unite per lo sviluppo) 1965. E’ un ‘organo sussidiario dell’assemblea generale, nato dalla fusione di altri due programmi. Le sue competenze sono soprattutto di assistenza ai LDC. Il suo compito è quello di approvare programmi nazionali di sviluppo presentati da singoli stati, di stanziare fondi e di sovrintendere all’esecuzione dei progetti. Da punto di vista della struttura si può parlare di organizzazione nell’organizzazione, in quanto gode di una certa autonomia ed è composta da un consiglio d’amministrazione con funzioni deliberative, un comitato, con funzioni consultive, e da un amministratore con funzioni esecutive.- formalmente esso però dipende dall’assemblea. Nel 1997 il segretario generale ha creato l’UNDG ( gruppo per lo sviluppo) al fine di rendere più efficace l’azione per lo sviluppo. L’UNDG raggruppa gli organi di questo settore, che sono coordinati tra loro dall’amministratore.
à Il problema pratico sollevato dalle attività operative è quello del reperimento dei fondi. Tale reperimento non è configurabile come “spesa dell’organizzazione” e non è quindi ripartibile obbligatoriamente tra gli stati. Ciascun programma ha la propria autonoma fonte di finanziamento. L’unica eccezione consiste nel programma ordinario di assistenza, le cui spese sono state iscritte nel bilancio ordinario dell’ONU, suscitando molte polemiche. L’iscrizione nel bilancio di somme modeste riposa sulla tolleranza degli stati.
Alla moltiplicazione di organi ONU non ha corrisposto per mancanza di fondi un’effettiva azione
73. I rapporti con gli istituiti specializzati
Le organizzazione internazionali dell’ONU sono denominati istituti specializzato delle NU, e sono ad essa coordinate e controllate. Sono però organizzazione autonome sorte da trattati doversi dalla Carta. Esse emanano e predispongono atti di tipo normativo, soprattutto raccomandazioni e progetti di convenzione multilaterali oppure svolgono attività operative nel campo dell’assistenza e degli istituti internazionali. La loro struttura consiste di un organo assembleare, un consiglio ed un segretariato.
à Gli istituti più importanti sono : FAO 1905; ILO; UNESCO; ICAO; WHO;ITU;UPU;IMF;IAEA (particolare perché non ha la qualifica di istituto specializzato delle NU, in quanto ha legami con CdS e assemblea mentre gli istituti specializzati con l’assemblea e il consiglio economico e sociale. Ha però un accordo di collegamento con le NU).
Il collegamento con gli istituti specializzati deriva da un accordo stipulato con l’ONU, che prevede los cambio di rappresentanti, osservatori, documenti. L’accordo id collegamento li sottopone al coordinamento e controllo dell’ONU.
Art 58à abilita assemblea e consiglio economico e sociale ad emanare raccomandazioni per coordinare i programmi e le attività degli istituti specializzati.
Art 64à facoltà del consiglio di chiedere dei rapporti regolari
Art 17 à assemblea esamina i bilanci degli istituti specializzati
I rapporti tra ONU e istituti sono divenuti più intensi dopo la creazione dell’UNPD. L’UNPD a partire dagli anni 60 ha concluso convenzioni con gli istituti per la collaborazione operativa. I rapporti tra ONU e istituti avvengono su base paritaria mentre gli enti (ex. UNICEF) sono organi sussidiari dell’assemblea e i rapporti sono di dipendenza. La differenza va tuttavia attenuandosi.
Gli accordi di collegamento ONU - Istituti e UNPD-istituti compongono un insieme di norme che si inseriscono tra le norme che disciplinano le funzioni dei rispettivi organi.. una violazione non potrà essere considerata come un’inadempienza contrattuale ma avrà rilievo come causa di illegittimità delle risoluzioni di uno degli organi.
LA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
74. aspetti generali dell’azione dell’organizzazione
Altro fine dell’ONU è quello di promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art 1 ). La competenza nella materia spetta all’assemblea generale e al consiglio economico e sociale. Entrambi hanno creato una serie di organi sussidiari, quale la commissione dei diritti umani. La competenza si esaurisce nell’emanazione di atti di tipo normativo ma non vincolanti quali raccomandazioni, dichiarazioni di principio, progetti di convenzione multilaterali vi sono organi che svolgono funzioni di tipo operativo come l’UNHCR (alto commissariato per i rifugiati, 1950).
Anche la promozione della democrazia è considerata come un aspetto della tutela dei diritti umani.
75. l’azione nei confronti di singoli paesi
Nessun limite sussiste per quanto riguarda l’azione dell’ONU nei confronti dei singoli paesi. E’ ovvio che l’azione dei paesi è maggiormente attirata dai gross violations che un determinato paese compie, intese come pratiche disumane (apartheid, tortura etc).
à Una risoluzione del 1970 del consiglio economicoe sociale autorizza la sottocommissione per la prevenzione delle discriminazioni a procedere ad un esame delle comunicazioni che pervengono al segretario ONU, al fine di rilevare gross violations. La sottocommissione riferisce alla commissione dei diritti umani, che può procedere con la nomina di un comitato d’inchiesta ad hoc, e a sua volta fare al consiglio economico e sociale. La procedura può fermarsi alla commissione o al consiglio, o può sfociare in risoluzioni dell’assemblea. Questa procedura è stata utilizzata : per denunciare le violazioni in sud africa, nei territori arabi occupati da Israele, in Cambogia, in congo, in sierra leone. L’assemblea può anche procedere a prescindere dalle iniziative della commissione, non solo per trattamenti disumani ma per qualsiasi pratica che neghi il godimento dei diritti civili , economici , culturali (ex. Campi di concentramento, repressione armata).
L’alto commissariato per i diritti umani ha contribuito a migliorare la situazione in ruanda dopo in genocidio e nella provincia del darfur dopo lo sterminio di massa. Azioni di monitoraggio sono svolte anche dai comitati istituiti da alcune convenzioni : comitato sull’eliminazione della discriminazione razziale, quelle per la discriminazione della donna , quella del fanciullo. Questi comitati ricevono rapporti dagli stati e presentano rapporti all’assemblea, con proposte circa le raccomandazioni da fare ai singoli stati.
76. le risoluzioni di carattere generale
Le dichiarazioni di principio, quale la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la dichiarazione sui diritti del fanciullo, sulla discriminazione razziale, sono risoluzioni che non si indirizzano ai singoli paesi ma alla generalità degli stati. Trattasi di atti che non hanno natura vincolante ma hanno grande forza morale. Ricordiamo poi i progetti di convenzione multilaterale, quali il patto sui diritti civili e politici, aperto alla ratifica degli stati.
77. il patto sui diritti umani e il comitato dei diritti dell’uomo.
I patti sui diritti civili e politici e sui diritti economici e sociali del 1966, pur essendo autonomi, sono strettamente collegati al sistema ONU, soprattutto per quanto riguarda i meccanismi internazionali di garanzia della loro osservanza. I sue patti sono stati ratificati da un grande numero di paesi (l’italia nel 1978 con alcune riserve). I diritti che gli stati sono obbligati a riconoscere , senza distinzione di razza, sesso e religione, sono assai estesi (anche diritto al lavoro, ad un’equa retribuzione, alle assicurazioni.
I meccanismi internazionali di controllo si sono molto affievoliti.
Il patto sui diritti civili e politici ha dato vita ad un comitato per i diritti dell’uomo, che può prendere in esame reclami presentati contro uno stato, se lo stato accusato ha accettato la competenza del comitato. La competenza del comitato consiste anche nel ricevere rapporti dagli stati circa l’applicazione dei patti.
Il patto sui diritti economici, sociali, culturali prevede che gli stati inviino rapporti sulle misure prese per assicurarne il rispetto ma non istituisce organi ad hoc. I rapporti sono inviati al consiglio economico e sociale e il consiglio può a sua volta trasmetterli alla commissione dei diritti umani perché formuli raccomandazioni. Il consiglio ha creato il comitati dei diritti economici, sociali, culturali per assisterlo.
78.
LA DECOLONIZZAZIONE E L’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI
Art 73à dedicato ai territori non autonomi può considerarsi abrogato.
L’articolo da un lato obbligava le potenze coloniali a trasmettere rapporti al segretario generale, dall’altro precisava che tale rapporto aveva solo uno scopo informativo. Le dispute circa la possibilità di discussione dei rapporti dall’assemblea, in quanto inviato puramente a titolo informativo, hanno portato alla creazione di un comitato per l’esame dei dati.
La prassi delle NU ha dato vita ad una norma che impegna gli stati a non impedire l’indipendenza di un territorio coloniale. Si può rilevare l’affermazione per consuetudine del potere dell’assemblea di occuparsi delle misure da prendere nei singoli territori non autonomi per assicurane l’indipendenza.
à La competenza dell’assemblea in materia coloniale incontra però dei limiti. Innanzitutto il limite derivante dal principio di autodeterminazione dei popoli, che impone all’assemblea di decidere circa la sorte di un territorio non autonomo in base alle aspirazione della popolazione locale. Secondo il parere della corte espresso sul sahara occidentale l’assemblea può in circostanze eccezionali decidere senza consultare la popolazione locale. Vi è poi il principio dell’integrità territoriale, che impone di tenere conto dei legami storici geografici tra un territorio da decolonizzare ed uno stato contiguo. Questa è una regola che è in grado di derogare al principio di autodeterminazione quando la popolazione locale non è in gran parte indigena ma importata dalla madrepatria (ex. Isole di malvinas sottoposte a dominazione inglese).
La prassi depone nel senso che l’assemblea possa pretendere che gli stati concordino tra loro una soluzione orientata verso la decolonizzazione.
♦ Ex. Irian occidentale =sottoposto a dominazione inglese, l’assemblea decise che fosse amministrato dalle NU (UNTEA) fino al suo riferimento all’indonesia in conformità al principio di integrità territoriale. L’UNTEA va inquadrata nelle norme sulla decolonizzazione e non nell’ambito di operazioni di peacekeeping.
79. L’autodeterminazione dei popoli
Il principio di autodeterminazione dei popoli è divenuto ormai un principio generale id diritto consuetudinario. La maggior parte dei paesi tende a considerare l’autodeterminazione come sinonimo di democrazia, nel senso di legittimazione democratica dei governi. Il principio di autodeterminazione si impone solo agli stati sottoposti a dominazione straniera (autodeterminazione esterna) e quindi ai territori coloniale o a quelli occupati con la forza (ex. Israele). Il principio impone al governo che controlla un territorio non suo di consentirne l’indipendenza, l’eventuale associazione o integrazione con un altro stato, la scelta insomma del suo status internazionale. L’assemblea può intervenire affinché tali risultati siano raggiunti, con decisioni vincolanti.
La difficoltà si ha quando si tratta di territori occupati, ma con l’appoggio del governo locale. Sia che si tratti di governi fantoccio, che di governi instauratesi prima dell’invasione e l’abbia legittimata con una richiesta di aiuto. E’ da ritenersi cheil principio di autodeterminazione si applichi ad entrambi i casi, imponendo di far cessare l’occupazione straniera.
Cambogia= occupazione da parte del Vietnam 1979-1990.
Iraq = governo provvisorio nel 2004 controllato dalle forze occupanti. In base al principio di autodeterminazione con una risoluzione si chiede con una risoluzione al governo provvisorio di porre al più presto fine all’occupazione.
80. le amministrazioni fiduciarie
Istituto fu introdotto in continuità con l’istituto dei mandati in vigore all’epoca della SdN.
-Sotto mandato furono posti : i possedimenti africani e le isole del pacifico tolti all’impero tedesco dopo WW1; i territori medio orientali appartenenti all’impero ottomano. Come potenze mandatarie vennero scelti diversi paesi : Inghilterra (iraq, Palestina); Francia (siria, libano); Belgio (ruanda); Australia (nuova guinea); etc. L’attribuzione a titolo di mandato e non come ingrandimento territoriale comportava l’obbligo di governare nell’interesse delle popolazioni locali.
Tutti i territori amministrati fiduciariamente hanno raggiunto l’indipendenza. Pertanto il consiglio d’amministrazione fiduciaria non ha più lavoro.
81. la questione della Namibia
Nel 1990 ha raggiunto l’indipendenza, affidato al sud africa a titolo di mandato dopo WW1. il sud africa si rifiutava di concedere l’indipendenza.
-La tesi era che dopo l’estinzione della SdN, l’amministrazione del territorio era del tutto libera da controlli internazionali. Tesi era contrastata dall’assemblea e dalla corte, che sostenevano in un parere del 1950 che fosse naturale che dopo l’estinzione della SdN un ente internazionale con struttura e funzioni simili assumesse il controllo sulla potenza mandataria. Il parere forni’ all’assemblea gli argomenti per emanare tutta una serie di risoluzioni intese a premere sul sud africa affinché la namibia non restasse estranea al processo di decolonizzazione. Si diede vita ad un organo di governo del territorio, il consiglio delle NU per la namibia, che confiscò tutte le risorse del paese e stabili’ una serie di misure contro il sud africa. All’assemblea si affiancò il CdS, che si limitò però a raccomandare misure. Venne approvato con una risoluzione un piano del segretario per assicurare l’indipendenza attraverso lo svolgimento di libere elezioni sotto il controllo dell’ONU. Il sud africa boicottò a lungo ma dopo vari negoziati, la namibia acquistò l’indipendenza.
Il problema discusso in dottrina riguardava la giuridicità di tutto questo (potere dell’assemblea di far cessare il mandato e valore del consiglio per la namibia e degli atti da esso emanati). Il primo problema viene esaminato in un parere consultivo della corte. Viene ripreso il parere del 1950 e sostenuta la successione dell’ONU alla SdN, e quindi il potere dell’assemblea di decidere circa l’indipendenza dei territori ancora sottoposti a dominio coloniale.
Il secondo problema, è da ritenere che la creazione e gli atti siano da inquadrare tra le misure di carattere sanzionatorio. Mancando il Consiglio dell’effettività, gli atti erano da considerare come un invito rivolto agli stati a disconoscere gli atti di governo emanati dal sud africa nel territorio namibiano.
LA REGISTRAZIONE DEI TRATTATI
82. gli effetti della registrazione
Art 102à ogni trattato e accordo stipulato da un membro ONU deve essere registrato presso il segretariato e pubblicato a cura di quest’ultimo. Un trattato non registrato non potrà essere invocato davanti ad un organo ONU, questo per abolire la “diplomazia segreta”. Tuttavia l’art 102 si discosta dal vecchio art 18, il quale dichiarava che i trattati non registrati non fossero vincolanti.
-La registrazione di un trattato con governi non riconosciuti (ex. Repubblica democratica coreana, repubblica popolare cinese) non implica alcun giudizio sullo status di una delle parti o consimili.
Gli atti registrati vengono poi pubblicati nella raccolta United Nations Treaty Series.
83. gli effetti della mancata registrazione
Problema interpretativo dell’art 102. La difficoltà non ha trovato soluzione nel regolamento di attuazione dell’art 102, adottato dall’assemblea con una risoluzione del 1946. L’assemblea non riusci’ a trovare alcuna intesa circa il modo di definire meglio e di delimitare gli accordi soggetti a registrazione. Si limitò ad affermare che l’art 102 non si riferisse solo a trattati di natura politica ma avesse riguardo anche a quelli di carattere finanziario, commerciale e tecnico.
Art 12 reg.to attuazione art 102à riguarda la pubblicazione, e stabilisce che al fine di ovviare ai gravi ritardi nella pubblicazione, il segretario h ala facoltà di non pubblicare in intenso gli accordi bilaterali appartenenti a certa categorie meno importanti (assistenza, cooperazione, organizzazione di riunioni, seminari, conferenze etc), salvo il diritto degli stati di chiederne una copia.
Il segretario può chiedersi se un atto costituisca un accordo ai sensi dell’art 102 e può non procedere alla registrazione. Il rifiuto però non è di per sé decisivo e può essere illegittimo.
-Il segretario, conformandosi generalmente alle richieste delle parti, ha registrato anche impegni unilaterali, accordi esauriti prima della registrazione. Tra le categorie di accordi di cui il segretario ha escluso la registrabilità figurano gli accordi tra stati e certi organismi internazionali come il comitato per la medicina e farmacia militare, l’istituto internazionale dei brevetti etc. Qualche volta la registrazione è stato prima negata poi effettuata ( accordo relativo all’oro della banca di albania inteso tra albania ed italia).
Un atto non registrato sarà ugualmente invocabile davanti agli organi ONU qualora le parti si siano comportate in buona fede per quanto riguarda la registrazione. La buona fede sussiste quando la registrazione sia stata richiesta e non ottenuta.
LE FUNZIONI GIURISDIZIONALI
84. la soluzione giuridica delle controversie tra stati
Le funzioni di carattere giurisdizionale spettano alla corte internazionale di giustizia, il cui statuto è annesso alla carta. La corte svolge le stesse funzioni della vecchia corte permanente di giustizia internazionale all’epoca della SdN, e lo statuto ricalca quello della vecchia corte.
-Art 92à definisce la corte come l’organo giurisdizionale principale. L’unico altro rogano giurisdizionale è il tribunale amministrativo, creato per dirimere controversie tra organizzazione ed i suoi funzionari.
La corte ha il compito di risolvere le controversie applicando il diritto internazionale. La sua attività resta però ancorata la principio secondo il quale un giudice internazionale non può giudicare se al sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli stati parte della controversia.
85. l’attività consultiva della corte internazionale di giustizia
Art 96à funzione consultiva della corte. Assemblea e CdS, e altri organi e istituti specializzati (con autorizzazione dell’assemblea) possono chiedere pareri alla corte, che sono facoltativi e non vincolanti.
La mancanza di forza vincolante rende inammissibile un accostamento tra funzione consultiva e funzione contenziosa. I pareri possono però contribuire alla formazione di norme consuetudinarie internazionali (ex. Parere sulle riserve alla convenzione per la repressione del genocidio è stato base importante per un mutamento del diritto consuetudinario in tema di riserve nei trattati internazionali).
-Talvolta i pareri acquistano forza vincolante, perché non norme convenzionali o altri atti, ci si obbliga preventivamente a rispettarli (ex. Convenzione sui privilegi e le immunità delle NU : in caso di controversia tra ONU e uno stato membro, e richiesta di un parere, le parti sono obbligate ad accettarlo). Anche la convenzione di Vienna sul diritto dei trattati fra stati e organizzazioni e fra organizzazioni prevede che la competenza consultiva della corte possa essere accettata come obbligatoria nelle controversie di cui siano parti l’ONU e le altre organizzazioni.
Art 96 -par 1 à i pareri chiesti da Assemblea e Consiglio possono toccare qualsiasi questione giuridica
-par 2 à quelli chiesti da latri organi o istituti specializzati possono occuparsi delle questioni giuridiche che sorgono nell’ambito delle rispettive attività.
Va respinta la tesi secondo la quale non dovrebbero emanarsi pareri in materia di interpretazione della carta, cosi’ come va respinta la tesi che vorrebbe sottrarre all’attività consultiva tutte quelle questioni risolvibili in termini giuridici ma aventi notevole rilievo politico.
Art 65à la corte ha adottato in linea di principio la tesi della discrezionalità, chiedendosi in varie occasioni se vi fossero motivi pressanti per non rispondere ai quesiti postile. La corte ha sempre negato che la natura politica fosse sufficiente per rifiutarsi di intervenire. Per quanto riguarda le questioni formanti oggetto di controversia, ha affermato l’opportunità di non concedere pareri qualora le parti non fossero tutte consenzienti, ma poi ha finito per pronunciarsi egualmente, ricorrendo ad argomentazioni poco comprensibili.
-Opinione sulla costruzione di un muro nei territori palestinesi: la corte ha espresso l’opinione che in certi casi la mancanza di un consenso dello stato può rendere l’emanazione incompatibile con il carattere giurisdizionale della corte. Ha poi affermato però che in questo caso l’incompatibilità non sussistesse data la responsabilità dell’ONU in tema di mantenimento della pace (la questione sottoposta dall’assemblea non poteva essere considerata come materia bilaterale tra israele e Palestina).
La tesi della discrezionalità non può non lasciare perplessi
IL REPERIMENTO DEI MEZZI FINANZIARI
86. i contributi obbligatori degli stati membri
L’ONU si procura i mezzi finanziari attraverso contributi volontari ed obbligatori.
Art 17à assemblea approva il bilancio dell’organizzazione e ripartisce le spese tra i membri. La delibera è presa a maggioranza dei due terzi e deve tenere conto della capacità contributiva di ciascuno stato.
Dovere di contribuire alle spese venne dibattuta tra il 1961 e il 1965, quando alcuni paesi si rifiutarono di contribuire alle spese (per motivi politici) alle spese incontrate dall’ONU per il mantenimento dell’UNEF ( forza in medio oriente) e dell’ONUC (congo). URSS e latri paesi sostennero che non si trattasse di spese ordinarie ma straordinarie. Il rifiuto venne tenuto fermo nonostante le condanne da parte della maggior parte degli stati, nonostante la minaccia di ricorso all’art 19 per la sospensione del diritto di voto per i membri morosi e nonostante il parere consultivo della corte sfavorevole.
Alla fine l’assemblea decise che le spese per l’UNEF e l’ONUC sarebbero state pareggiate con contributi volontari. La decisione del 1965 provocò la definitiva caduta di ogni illusione circa la possibilità di imporsi ai singoli stati membri. Rifiuto c’è stato anche per contribuzione di non grande entità : URSS, per la coniazione di medaglie a ricordo della guerra in korea, per la manutenzione dei cimiteri di guerra in korea etc.
E’ da condividere la tesi che l’art 17 non intenda riferirsi solo a spese ordinarie, in quanto se la carta avesse voluto distinguere tra bilancio amministrativo ed operativo l’avrebbe specificato ( come al riguardo degli istituti specializzati). Alla regola della ripartizione si sottraggono solo quelle spese per le quali sia dimostrabile la previsione di una fonte speciale di finanziamento da una norma della carta ( ex. Programmi di assistenza tecnica, e attività operative per lo sviluppo art 66). E’ da respingere la tesi dell’URSS che sostenne che il finanziamento di forze armate internazionali sia inquadrabile sotto l’art 43 e non l’art 17.
Non è possibile seguire la corte nell’ultima parte del parere., secondo il quale l’assemblea avrebbe un potere di imposizione ex art 17 illimitato. A suo giudizio l’assemblea potrebbe ripartire qualsiasi spesa, purchè derivante da un’attività rientrante tra i fini statuari. Una simile conclusione è assurda in quanto in tal modo verrebbe realizzato il super governo mondiale, non previsto dalla carta.
à A nostro avviso, le spese ripartibili tra i membri in base all’art 17 sono soltanto quelle che derivano da attività legittimamente deliberate, e quindi da attività specificamente previste dalla carta. Condizionato l’obbligo di contribuzione alla legittimità delle risoluzioni, viene limitato il potere di imposizione dell’assemblea entro i limiti coerente con la struttura e funzione dell’organizzazione. Non si può ritenere legittima l’azione di un organo allorquando il relativo potere non gli sia attribuito da norme statutarie.
Alla luce di questi rilievi il rifiuto dell’URSS era giuridicamente fondato nel caso dell’UNEF, data l’incompetenza dell’assemblea ad intraprendere azioni militari e data quindi l’illegittimità delle relative risoluzioni, ma inammissibile nel caso dell’ONUC, trattandosi di un’azione riportabile all’art 42 della carta.
La prassi successiva è orientata nel senso che le relative spese vadano ripartite obbligatoriamente secondo l’art 17. ma la ripartizione viene effettuata con criteri diversi da quelli adottati per le spese ordinarie, non escludendo la possibilità di maggiori versamenti a carattere volontario.
Per quanto riguarda la riduzione o le trattenute ( come quelle operate dagli USA), esse sono ammissibili se fondate su motivi di legittimità ed inammissibili in caso contrario.
à In conclusione, il rifiuto di contribuire è da valutare alla stregua di una qualsiasi contestazione delle risoluzioni assembleari, contestazione che, non disponendo l’ONU di mezzi idonei a costringere lo stato ad eseguire le sue obbligazioni, può essere appianata soltanto con l’accordo o l’acquiescenza.
87. I contributi volontari
La contribuzione volontaria da enti diversi dagli stati membri può essere prevista, implicitamente o esplicitamente, da particolari norme della carta. Essa può anche essere sollecitata dall’organizzazione sia per rafforzare fondi già costituiti con contributi obbligatori (caso dei peace keeping operations) sia per finanziare attività che si ricollegano a fini statuari. Nulla esclude che un organo dell’ONU nell’adottare una delibera operativa, ne subordini l’esecuzione al finanziamento mediante contributi volontari o comunque preventivamente assicurati.
88. l’emissione di prestiti
Talvolta l’ONU a fatto appello al mercato finanziario. Ad esempio, la risoluzione del 1961 con la quale il segretario autorizzò ad emettere un certo numero di obbligazioni. Siffatto metodo incontrò l’opposizione dell’URSS, in quanto denunciato come contrario all’art 17 che contempla fra le entrate soltanto i contributi degli stati membri. La tesi non sembra del tutto priva di fondamento.
Capitolo IV
Gli Atti
La raccomandazione è l’atto tipico degli organi delle NU. Non è vincolante. La raccomandazione produce un effetto di liceità : non commette illecito lo stato che per eseguire una raccomandazione tenga un comportamento contrario ad impegni precedentemente assunti mediante accordo oppure ad obblighi derivanti dal diritto internazionale consuetudinario. L’effetto è da ammettere solo nel rapporto tra stati membri, e solo in ordine a raccomandazioni legittime.
-Quando il CdS raccomanda misure ex cap VII, gli stati ai quali tali misure siano richieste potranno violare norme patrizie diverse dalla carta ed adottarle.
CdS delibera interdizione della vendita del petrolio alla rodesia del sud e raccomanda alla gran Bretagna di impedire l’arrivo di petrolio in Mozambico destinato alla rodesia. Autorità britanniche in alto mare hanno visitato una nave greca, la Manuela, anche se contrario alle norme di diritto internazionale marittimo.
Parte della dottrina ricollega alla raccomandazione l’obbligo dello stato destinatario di considerarne in buona fede il contenuto, che impone allo stato che non intenda conformarsi di motivare il suo comportamento ( è fondata sul dovere di cooperazione).
Taluni ritengono che sia illecito il comportamento dello stato il quale rifiuti di osservare una serie di raccomandazioni, facendo leva sul principio di buona fede e di cooperazione. Tale tesi è inaccettabile in quanto i principi non possono essere utilizzati per capovolgere la natura che la carta attribuisce all’atto, e ciò fino al punto di rendere obbligatoria una condotta raccomandata.
Opinione piuttosto diffusa è che la raccomandazione sia uno strumento di propaganda di parte, e fa leva sull’autorità morale dell’atto.
-Esempi di appelli all’autorità morale : nella prassi del CdS, in ordine a progetti di risoluzione appoggiate ma bloccate dal veto, il progetto di ritiro delle truppe franco inglesi dal libano anche se non era stata raggiunta la maggioranza necessaria per adottare formalmente la delibera.
90. le decisioni
Le decisioni, contrapposte alle raccomandazioni, sono vincolanti per gli stati cui si indirizzano. Non sono numerose nel sistema dell’ONU. Tra quelle di maggior rilievo troviamo : le decisioni dell’assemblea che approvano il bilancio e ripartiscono le spese dell’organizzazione ; le decisioni del CdS circa le misure non implicanti l’uso della forza. Vanno anche menzionate : le risoluzioni con cui si adottano i regolamenti interni; risoluzioni relative allo status dei membri, quindi espulsione e sospensione.
Si può dire che le risoluzioni con le quali viene approvato il bilancio e vengono ripartite le spese costituiscono in realtà soltanto un presupposto delle risoluzioni finanziarie e quindi solo in parte concorrono alla creazione dell’obbligo di versare i contributi, oppure può dirsi che siano una fase del procedimento relativo alla ripartizione. In ogni caso, l’illegittimità della delibera che da luogo alla spesa comporta in ogni caso l’illegittimità dell’intero procedimento e quindi l’impossibilità di addossare agli stati l’obbligo di cui all’art 17.
Per quanto riguarda il CdS, esso ha il potere di mera raccomandazione e può ricorrere a decisioni vincolanti solo nel quadro dell’art 41. Parte della dottrina pretende di attribuire al CdS un potere di decisione più ampio, sostenendo che anche le raccomandazioni riconducibili al cap VII siano obbligatorie, in quanto il CdS di fronte alla loro in esecuzione può essere indotto a ricorrere all’uso della forza (KELSEN). Inoltre, si sostiene che l’efficacia vincolante dipenda dalla forza di cui essi dispongono dal punto di vista politico (QUADRI). Anche secondo la corte di giustizia, il CdS potrebbe dar forza a qualsiasi delibera che sia in tema di mantenimento della pace e manifesterebbe un’opinione del genere ogni volta invitasse gfli stati a rispettare la delibera.
Non ci sembra che simili opinioni siano vere,e non trovano riscontro nella prassi o nell’atteggiamento della maggior parte degli stati. E’ da negare che per ampliare il potere di decisione del CdS sia utilizzabile l’art 25.
91. le risoluzioni organizzative
La dottrina classifica tra le decisioni obbligatorie per tutti gli stati membri le risoluzioni di carattere organizzativo, cioè quelle che istituiscono organi o provvedono ad eleggere i membri
♣ Ex: creazione di organi sussidiari, elezione membri CdS, consiglio economico e sociale, nomina segretario etc
Queste risoluzioni sono obbligatorie in quanto coinvolgono i rapporti tra stati e perché sussisterebbe un obbligo di riconoscere a quegli stati le prerogative proprie dell’appartenenza a quel determinato organo,gli effetti immediati delle risoluzioni organizzative non sono configurabili come obblighi degli stati membri.
-L’unico profilo sotto il quale può discutersi se gli atti di organizzazione siano produttivi di obblighi concerne la loro incidenza sul bilancio.
92. le risoluzioni operative
Agli atti delle organizzazione vanno accostate le risoluzioni operative, ovvero quelle che prevedono un’azione dell’ONU. La prassi offre numerosi esempi : creazione forze armate, risoluzione che istituiscono un’inchiesta o quelle che prevedono programmi di assistenza tecnica etc. Una stessa risoluzione può avere al contempo carattere organizzativo ed operativo (ex. azione svolta da un organo creato ad hoc).
Le risoluzioni operative non rientrano nelle decisioni obbligatorie, ma si è anche fuori dalla sfera della raccomandazione, in quanto l’agire è cosa diversa dal raccomandare.
93. proposte, autorizzazioni, deleghe di poteri o funzioni, approvazioni, direttive, raccomandazioni interorganiche.
La carta prevede anche l’emanazione di una serie di atti, ripresi da atti del diritto statale : proposte, approvazioni, direttive, deleghe, autorizzazioni.
Non è possibile sviluppare una teoria di tutti questi atti. Il valore di ciascuno può dedursi dall’interpretazione della norma che lo prevede. Può dirsi però che proposte, autorizzazioni ed approvazioni condizionano la legittimità degli atti a cui si riferiscono e che illegittimo è l’atto dell’organo ausiliario o delegato che fuoriesca dai limiti della direttiva o della delega.
Gli organi possono indirizzarsi raccomandazioni, ai quali non è possibile attribuire conseguenze giuridiche di rilievo.
94. le dichiarazioni di principio dell’assemblea
Fin dai primi anni di vita dell’ONU l‘assemblea ha seguito la prassi di indirizzare agli stati delle solenni dichiarazioni di principi: dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 1948; dichiarazione sul genocidio 1946; sull’indipendenza di popoli coloniali 1960; sul divieto di uso di armi nucleari 1961; sull0’eliminazione delle discriminazioni razziali 1963; sull’eliminazione del terrorismo internazionale 1994 etc. talvolta le dichiarazioni i principio si limitano a riprodurre norme internazionali preesistenti, o norme della carta.
♠ Ex. principio che vieta l’uso della forza o dal principio della buona fede, entrambi contenuti nella carta, ribadito nella dichiarazione sulle relazioni amichevoli tra stati. E’ chiaro che in questo caso nessuno potrà porre in dubbio l’obbligatorietà dei principi, ma tale obbligatorietà avrà fondamento nella carta e nella consuetudine.
A parte la riproduzione di norme preesistenti, le dichiarazioni non sono obbligatorie, ma sono mere raccomandazioni, sia pure di carattere generale e solenne. Le dichiarazioni svolgono un importante ruolo ai fini dello sviluppo del diritto internazionale.
Alcuni dichiarazioni hanno invece se collocate al di fuori del sistema ONU, il valore di veri e propri accordi in forma semplificata. Si tratta di quelle dichiarazioni che non solo enunciano un principio ma ne equiparono l’inosservanza alla violazione della carta. Sono quindi vincolanti per gli stati che hanno manifestato il voto favorevole. La situazione non muta qualora la dichiarazione consideri l’inosservanza di un principio come una violazione del diritto internazionale.
-La natura obbligatoria di una dichiarazione può dedursi solo in presenza di una formula la quali equipari espressamente la violazione dei principi alla vilazione della carta o dei principi di diritto internazionale. Non è sufficiente che l’atto richiami in forma vaga la carta o il diritto internazionale.
Anche il CdS ha emanato dichiarazioni di principio ex. dichiarazione sullo sforzo globale per l’eliminazione del terrorismo.
95. gli atti ed il principio di legalità: il dovere degli organi di conformarsi alla carta ed al diritto internazionale
Nell’emanazione dei loro atti, gli organi dell’ONU sono tenuti al rispetto della carta. Deve sostenersi anche l’illegittimità di risoluzioni che violino norme di diritto internazionale, sempre quando si tratti di norme cui non deroghino esplicitamente o implicitamente singole disposizioni della carta. Il rispetto del diritto internazionale può dedursi dalla natura dell’ordinamento delle NU.
96. l’osservanza dei regolamenti interni
I regolamenti interni vincolano il singolo stato membro. Il problema è se sia causa di illegittimità delle risoluzioni degli organi collegiali la violazione dei regolamenti interni, o se gli organi sin abilitati a disapplicare i propri regolamenti in ordine a singoli casi concreti.
-Nella prassi entrambe le tesi sono sostenute. In varie occasioni, le minoranze in seno agli organi hanno elevato proteste contro l’inosservanza dei regolamenti. Tali riserve si sono però urtate contro prese di posizione delle maggioranze, consistenti nella difesa del principio secondo cui ogni organo è comunque “anitre de sa procedure”.
Il fatto che i regolamenti siano adottati a maggioranza semplice, e quindi a maggioranza semplice possono essere modificati, non giustifica la deroga in ordine a singoli casi concreti. La carta si pronuncia contro una possibilità di una deroga simile. A termini della carta, qualsiasi procedura contraria al regolamento potrebbe essere adottata solo in seguito ad una modifica testuale e ponderata di quest’ultimo. Sarebbe quindi sbagliato sostenere che la carta condanni ogni deroga del regolamento sulla base di norme che ribadiscono in modo generico la potestà regolamentare.
à Tutto ciò che può ricavarsi dalla carta è la generica affermazione di un principio di obiettività e di imparzialità nella condotta dei lavori in seno all’organo.
Alla luce del principio di obiettività sono da considerare contrarie alla carta quelle deroghe o violazioni del regolamento che limitino in modo grave la facoltà del singolo stato, membro dell’organo, di esprimere il suo parere e presentare proposte. vi sarà quindi una violazione del principio quando uno stato venga ingiustamente escluso dai lavori, quando lo stato non sia posto in grado di conoscere e di informarsi sull’argomento della discussione, nel caso in cui si neghi ai rappresentanti il diritto di voto o di parola. Tale comportamento sarebbe illecito anche se fosse autorizzato dal regolamento in quanto il regolamento non può essere contario ai principi della carta. Sono inoltre in contrasto con il principio di obiettività quelle deroghe delle regole procedurali intere che attuino un mutamento sensibile di una determinata procedura. Un mutamento del regolamento sembra inconcepibile se attuato limitatamente al caso concreto.
97. le legittimità degli atti e la funzione dell’accordo nel sistema delle Nazioni unite.
Il sistema delle nazioni unite è caratterizzato dalla mancanza di meccanismi di controllo sulla legittimità delle risoluzioni. Vari tentativi in dottrina sono stati fatti per sostenere l’incontestabilità degli atti delle NU. Si è cosi’ fatto leva sul potere che avrebbero gli organi di interpretare la carta in modo vincolante per il singolo membro, cioè su di un potere che non esiste. I principi che garantiscono l’incontestabilità e la definitività degli atti sono quelli del diritto internazionale tradizionale. Solo il principio dell’accordo è in grado di adempiere ad una funzione del genere. La legittimità di un atto non è denunciabile dal singolo stato che abbia prestato la propria acquiescenza, e lo abbia in modo esplicito o implicito accettato.
La prassi offre numerosi casi di contestazione circa la legittimità degli atti, e da questi è possibile ricavare delle regole che specificano la portata dell’acquiescenza, i limiti oltre il quale la contestazione non è ammissibile.
Occorre in proposito distinguere tra l’ipotesi che lo stato contestante non sia membro dell’organo e l’ipotesi che sia membro dell’organo che l’ha emanato.
-La corte internazionale di giustizia sostiene che l’astensione implichi sempre il riconoscimento della legittimità dell’atto ( parere del 1962 sulle spese delle NU nel medio oriente e nel congo).
L’acquiescenza è da presumersi nel caso di voto favorevole. In realtà però non è raro che uno stato pur votando a favore, avanzi delle riserve su una parte, oppure dichiari che si atterrà ad una determinata interpretazione. Un simile atteggiamento è stato favorito dal diffondersi della pratica dell’approvazione per consensus.
-Esempio di risoluzione approvate per consensus ma accompagnate da riserve: dichiarazione e programma di azione per l’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale, adottati dall’assemblea.
Quando una stato abbia contestato validamente la legittimità di una delibera, la sua contestazione fa si che lo stato sia estraneo nei confronti dell’atto medesimo. Nel caso di decisioni vincolanti,la contestazione comporta il ripudio degli obblighi che ne derivano (ex. decisioni finanziarie per le spese per UNEF e ONUC). Allo stesso modo le risoluzioni contestate che istituiscono organi o provvedono ad eleggerne gli organi, avranno come conseguenza la mancata collaborazione con l’organo, la non partecipazione ai suoi lavori, il disconoscimento degli atti. Solo di fronte a risoluzioni che incidono sulla struttura dell’organizzazione nel suo complesso, come risoluzione relative all’ammissione e all’appartenenza, uno stato che contesta la regolarità della presenza o estromissione di un altro stato, potrà sospendere temporaneamente la collaborazione ma alla fine dovrà scegliere tra acquiescenza o recesso dall’ONU.
Fonte: http://sidways.altervista.org/Joomla/upload_d/organizzazioni_internazionali/conforti-le-nazioni-unite.docx
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