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Mente e bellezza
La vita, quella umana in particolare, si propone come una proprietà emergente e radicalmente creativa. Il " fare arte" e il creare sono radicati nei processi naturali della nostra evoluzione biologica. TATTERSALL considera " la capacità di pensare simbolicamente l'apice dell'evoluzione della mente umana". Allo stesso tempo, cercare di comprendere la creatività artistica e l'esperienza estetica significa riconoscere che, come per le lingue umane, la creatività possibile non è infinita, ma limitata biologicamente ed evolutivamente. Oggi appare rilevante chiedersi come si ridefinisce la natura del processo creativo e dell'arte e, inoltre, il ruolo dell'arte nelle relazioni sociali e nella psicologia del fruitore che dall'arte ricava piacere, mentre è anche condotto a riesaminare il chiaroscuro della propria vita. La comprensione di noi stessi e del mondo si è rivelata, nei primi 7 milioni circa di anni di vita, un compito impegnativo che abbiamo cercato di affrontare con le riduzioni della complessit à per mezzo del mito e della scienza. Anche se si possono annoverare circa 150 anni nel periodo che prepara l'avvento dell'esplosione del simbolico nell'esperienza umana, l'emergenza effettiva, stando alle evidenze a tutt'oggi disponibili, si mostra mediante artefatti e i segni da non più di 40/50 mila anni. Rispetto al tempo profondo dell'evoluzione, da tempi recentissimi abbiamo creato segni per un altro, mostrando di sentire quello che l'altro sente e di avere, perciò,abbiamo elaborato una rappresentazione simbolica della mente dell'altro; abbiamo da allora riconosciuto di poter assumere più p.d.v. Si può sostenere che la "fatica" del salto evolutivo, lo sforzo richiesto, ha prodotto un sistema di comprensione e di spiegazione della nostra condizione e di cosa significa essere umani che possiamo definire "pesante". "Pesante" per indicare proprio il peso che la costruzione della comprensione di noi stessi ha comportato e comporta. Un peso che ha almeno 2 facce: la prima riguarda la " distrazione" della capacità creativa da noi stessi a entità esterne a noi di cui abbiamo subito e subiamo il dominio, molto spesso venerandole. Quella distrazione ha limitato e limita il riconoscimento delle nostre possibilità di autofondazione e libertà e perciò limita le nostre possibilità creative. La seconda riguarda le vie prescelte per la costruzione della civiltà umana sulla terra, vie caratterizzate quasi completamente dalla creazione di istanze separate (sacro, da sacer, vuol dire separato) a cui abbiamo dedicato e dedichiamo interi periodi della nostra storia e delle nostre forme politiche e di esercizio del potere. Una volta che ci siamo autoelevati, quell'autoevoluzione è divenuta circolare e ricorsiva con la nostra stessa individuazione e non stiamo mai più stati Adamo. Anche il concetto di arte si rivela a uno sguardo storico-evolutivo una riduzione anch’essa per certi aspetti separata, dalla nostra natura creativa. La separazione più impegnativa e "pesante", che abbiamo operato a proposito dell'arte, riguarda la costruzione spiritualistica e idealistico-romantico con cui l'abbiamo catalogata e categorizzata, fino ad assumere quella costruzione, per lo meno ad Occidente, come criterio per definire l'arte tout court. Quindi il riconoscimento della nostra capacità creativa e della creazione artistica è stato ed è vincolato da ragioni storiche e dai modi di leggere e interpretare la nostra storia. Il corpo parla e non lo fa solo con la parte alta, la testa, e con la bocca. Noi crediamo e non lo facciamo solo con la mente. Noi pensiamo, ma senza il movimento non avremmo avuto accesso e non accederemo al pensiero. La nostra creatività è incarnata, il nostro linguaggio è incarnato e le nostre espressioni estetiche lo sono. La nostra mente relazionale incarnata è anche immersa in una cultura e in un contesto, e quel contesto ha favorito la separatezza tra parte "alta" e parte è "bassa" della nostra esistenza come essere umani. Pensare per cause ed effetti, inoltre e "localizzare" la causa è ciò che facciamo più immediatamente, oltre a essere orientate principalmente alle conferme piuttosto che all'innovazione. Se ciò può andare bene per gli aspetti deterministici dei processi, non può essere impunemente esteso ai fenomeni che hai processi in cui non è la località della funzione il criterio costitutivo, ma le proprietà emergenti e le loro dinamiche complesse, come nelle espressioni delle menti relazionali incarnate e risuonati. In quelle dinamiche esprimiamo la nostra possibilità di non coincidere con noi stessi e di creare o di fruire dell'arte. Se è possibile ipotizzare che un tratto distintivo delle forme di vita umane sia l'emergenza e l'espressione costante della capacità creativa, a distinguere la specie è la sua tensione a muoversi verso l'inedito, verso ciò che ancora non c'è. Per GARRONI la creatività si situa come tratto indispensabile nelle modalità con cui la nostra specie, fatti di animali che pensano con le parole, si adatta all'ambiente. La funzione biologica-evolutiva della creatività è associata per GARRONI alla distanza di cui siamo divenuti capaci, cioè alla capacità di "presa di distanza" tra noi e l'ambiente. Una "distanza rappresentativa e riflessiva rispetto agli oggetti" , che comporta per noi che la pratichiamo un grado elevato di disorientamento e di incertezza. Di animali simbolici, ci siamo disincarnati dall'appartenenza tacita e coerente con l'ambiente e gli oggetti. Un disancoramento e ci ha visti e ci vede incerti. Secondo GARRONI la creatività, intesa come generazione dell'inaspettato ed esperienza di meraviglie, necessita di regole e di leggi per esprimersi e si esprime al momento dell'esecuzione di quelle regole e di quelle leggi. Essa, allo stesso tempo, non si riduce
alle regole e alle leggi necessarie, le quali non danno mai conto di come le si debba applicare in una singola circostanza. Connettendo "applicazione" e "creatività" si profila la possibilità di incarnare la creatività nella umana natura, come un suo tratto distintivo specie/specifico, sottraendola, o meglio, liberando dal mito romantico di "attività dello spirito". L'ipotesi di GARRONI è che nell'accoppiamento strutturale con il mondo, l'essere umano disponga di una struttura profonda come di una condizione fondamento di ogni possibile cambiamento creativo. In quello che appare come un fecondo intreccio tra filosofia e biologia evolutiva, l'autogenerazione e l'autorganizzazione della vita e l'autopoiesis, è un'infinita specificazione variata ed istruisce i codici e i giochi mediante il libero esprimersi dell'immaginazione. La capacità riflettente dell'essere umano, mentre costituisce un aspetto decisivo di un'attività pratica e intellettuale, non è però ne pratica né intellettuale, ma estetica. L'esperienza estetica, in quanto esperienza riflettente, riguarda il sentire la presenza del mondo. Per estetico s’intendono i molteplici modi in cui specifichiamo certe leggi universali per accoppiarci creativamente con l'ambiente. La capacità creativa interviene, nell'accoppiamento con l'ambiente, sia nell'istituzione di nuovi giochi, sia generando mosse impreviste all'interno di un gioco consueto. L'atto creativo e l'esperienza estetico emergono in una semiosi. Nella complessa rete delle relazioni risuonanti e nella discontinuità dirompente che in essa infinitamente emergono, si staccano continue e indecidibili derivazioni dal dominio di senso, impreviste interpretazioni dei canoni. Una nuova visione scientifica del mondo e della vita si sta progressivamente affermando, in grado di superare il riduzionismo verso una visione di un universo emergente e creativo, le cui dinamiche possono essere comprese ma non sempre previste. L'incompletezza e la plasticità, in quelle nuove visioni, sono l'alveo generativo della creatività costitutiva del vivente. In quella prospettiva l'artista è un tramite. La creazione emerge da una ricongiunzione con le origini, con lo spazio interno/esterno pre/linguistico, pre/intenzionale, vergine e perciò stesso vertiginoso di orrore e bellezza. L'incompletezza dei sistemi viventi è condizione della loro vita; l'incompletezza della conoscenza, lungi dal consegnarci al mistero, è condizione dell'emergenza della conoscenza stessa. Il nucleo portante dell'orientamento della complessità è il concetto di emergenza. In base a questo concetto, il sistema vivente che osserviamo genera espressioni che vanno ben oltre le sue componenti, in modo tale che "il tutto è maggiore della somma delle parti". L'esperienza estetica appare perciò come la porta d'ingresso per l'eccellenza alla generazione di domini di senso e di significati emergenti, verso una continua rigenerazione dei significati del mondo. In quell'esperienza e la matura che " si fa"attraverso il gesto dell'artista creatore. L'opera d'arte è, così, il più naturale fra gli oggetti culturali. Cosa si intende per bellezza? Probabilmente non la corrispondenza a un canone. Sembra proprio che la bellezza come espressione della ricerca di elaborare l'incompletezza costitutiva attraverso la plasticità, riguardi la possibilità che abbiamo, come specie, di creare noi stessi creando le espressioni della nostra capacità creatrice.
Fantasia, immaginazione e creatività sono espressioni umane connesse alla nostra capacità di estensione. Ci siamo evoluti dando vita e proprietà emerse per exaptation. Una di queste è l'estensione creativa. Sono la plasticità e la neotenia, i tratti distintivi alla base della generatività: nasciamo incompleti e l’incompletezza di vie nell'utero della natura plasticità, della nostra peculiare capacità di adattamento e in base alla quale ognuno di noi, per essere se stesso, è allo stesso tempo ciò che diviene adattandosi. Nel cercare di comprendere l’esperienze estetica nella più ampia esperienza evolutiva umana, si assume come riferimento una continuità tra le emozioni primordiali degli stati vegetativi e gli stati emotivi propri dell'emergenza dell’esperienza estetica e creativa. La distinzione tipicamente umana di non coincidenza con se stessi e con l'ambiente ci mette nella condizione di essere in "ritardo nella risposta", che per noi non è mai immediata e pratica. Dalla stessa distinzione emerge, probabilmente, la distanza relativa dal mondo che ha dato vita in termini evolutivi all'autoelevazione semantica. Quell’autoelevazione fa di noi dei continui "ricercatori di significato" e
estetica. Quella rottura riporta per tempi più o meno brevi, a seconda della capacità di tollerare il vuoto da parte di chi crea, e di connettersi in presa diretta con le emozioni primordiali e a esprimerle e comunicarle nei linguaggi condivisibili dell'arte. Il creatore estrae dal ricongiungimento e dall'interazione momenti con le emozioni primordiali, espressioni che egli stesso e il fruitore possono riconoscere per risonanza e condivisione semantica, immediatamente o nel corso del tempo, a seconda del diverso grado di rottura,discontinuità,
innovazione. La mente è quello che il cervello fa nelle relazioni situate da cui emerge ed è contraddistinta da caratteristiche di plasticità evolutiva particolarmente accoppiate con il linguaggio e con la coscienza di essere coscienti. L'interdipendenza tra mente umana, linguaggio parlato ed esperienza simbolica ed estetica genera, probabilmente, la distinzione dell'altra specie. La creatività è composizione e ricomposizione originale di
repertori disponibili, nella creazione artistica l'originalità della ricomposizione è particolarmente discontinua e in certi casi si esprime come rottura, alla ricerca di orizzonti di sensi inediti rispetto a quelli esistenti. Quindi la bellezza è intesa non solo e non tanto come canone estetico, ma come la possibilità umana di progettazione e invenzione della propria autorealizzazione da parte di ognuno o come ricerca della tensione a evitare il proprio all'auto tradimento e la minorizzazione e dispersione vane delle proprie potenzialità. Le espressioni "è bello" e "mi piace", nell'arte contemporanea possono riguardare, perciò, le opportunità che l'arte offre di conoscere aspetti interiori e inediti delle proprie espressioni possibili e di ampliare le frontiere del senso e del significato. Solo creare quello che ancora non c'è merita la fatica di vivere. Homo sapiens tende a quello che non è, e che non ha e così si individua e si distingue. In quella tensione, frutto della storia evolutiva, emerge la creazioni di tutto quello che ancora non c'è e, in particolare, per discontinuità rispetto di domini di senso, la generazione di artefatti simbolici e opere che da un certo momento in poi abbiamo chiamato opere d'arte. Il pensiero, a sua volta, emerge da un processo di trasformazione dalla biochimica al significato. Sembra proprio che sia la relazione a creare l'esperienza estetica, non una persona sola. La creatività, peraltro, è frutto di una mente incorporata relazionale e situata, non di una "mente senza corpo". La creatività è una ricerca ulteriore di contenuto, è frutto della tensione verso la irrisolvibile ricerca di contenuto. Il continuo cambio di prospettiva è una caratteristica della mente relazionale umana: la constatazione scientifica di questa distinzione accredita una forma d’identità diversa da quella della tradizione idealistica,un'identità controddistinta dal divenire e dalla discontinuità. Così come le regole sono fatte per essere cambiate, secondo il pensiero di Gregory Bateson, sembrano le continue discontinuità a generare l'individuazione e l'emergere della creazione nell'esperienza umana. L'emergenza creativa pare generata da molteplici fattori ma sono non riducibili a nessuno di essi. La vita dell'esperienza estetica, sia a livello di creazione che di fruizione, si genera nella discontinuità. La scena di creazione o di fruizione è una scena in cui agisce la contingenza. Non si tratta di una scena deterministica, anche se ciò che accade è evolutivamente emergente, né si tratta di una scena del tutto casuale: bensì di un'emergenza tra vincoli e possibilità. In quella contingenza coevolvono " l'altro interno" di ogni artista e di ogni fruitore; l'artista e il fruitore, l'altro a cui ci si riferisce creando o fluendo; e il " terzo" per cui si crea o a cui si narra la fruizione facendone emergere il senso e il significato. Nati originali, come accade che moriamo copie? Nel gioco infinito tra persistenza nella discontinuità e tensione verso l'inedito, in base all'unicità delle storie e delle esperienze individuali, noi accediamo allo spazio creativo in diversa misura. Tendiamo a perdere l'unicità perché ci consegnamo al conformismo. Pur di appartenere a qualche etnia o aggregazione, che ovviamente crea ed esibisce tradizioni, e, spesso superiorità indiscutibili e padronanza territoriale, rinunciamo alla nostra originalità di pensiero e ci consegnamo a qualche "causa". L'arte è una delle possibilità che abbiamo di rompere l'isolamento e il conformismo. Il potenziamento delle capacità individuali, la capacitazione, può aiutarci a non divenire copie. Nuovi modelli di pensare richiedono che si provi a pensare: dal finalismo al riconoscimento dell'evoluzione: il riconoscimento della nostra autofondazione può generare un senso di responsabilità mai sperimentato e una nuova civilizzazione attenta non solo al " perché" ma anche al "come" delle nostre scelte e dei nostri comportamenti; dalla realtà fissa alla realtà creata con i nostri linguaggi e nostre scelte; vivere la realtà e il mondo come frutto della nostra conversazione e dei nostri giochi linguistici rinvii a noi stessi il compito di rinventarci nelle relazioni con gli altri. La nostra appartenenza all'evoluzione non vuol dire perdere di vista le distinzioni specie/specifiche che ci caratterizzano. Le origini delle nostre abilità cognitive rimangono ancora in gran parte da scoprire. Lo studio, con nuove tecniche sperimentali, delle differenze rispetto alle altre specie rivela che sono almeno 4 le caratteristiche distintive che costituiscono ciò che Marc Hauser chiama Humanuniqueness. Il termine è un neologismo per cambiare Human, Unique e il riflesso Ness che consente nella lingua inglese di ottenere un sostantivo da un aggettivo, alternando in tal modo una parola per indicare l'unicità degli esseri umani. La prima caratteristica è la computazione generativa che indica la "capacità di generare una varietà virtualmente illimitata di espressioni". La seconda caratteristica distintiva della mente umana, secondo Hauser, è la sua capacità di combinare le idee che provengono da domini di conoscenza diversi. La terza caratteristica è l'uso dei simboli mentali. La quarta caratteristica è la capacità di impegnarsi in forme di pensiero astratto creando "oggetti sociali". Nella lenta ed estenuante ripetizione evolutiva sarebbe emersa una parte del tutto, la specie umana, che seppure non da subito e seppure immersa nella ripetizione, avrebbe espresso una differenza peculiare: essere vincolata alla persistenza e generare un'emergenza discontinua in grado di interrompere o sospendere la perfetta coincidenza con se stessa. Quel minuscolo scarto di autospiazzamento, con la relativa capacità di elaborare sospendendolo, anche se per brevi istanti, il vincolo, ha generato, con la nostra specie, la possibilità di dare senso al tutto, ma anche l'ostacolo a creare nuovi sensi del mondo che quella possibilità in se stessa contiene. Nella tensione a elaborare e superare quell'ostacolo, gli individui della specie vivono l'esistenza in parte coincidendo con esso e in parte rinviando ad un altro o all'altro. Forme che si autogenerano sono le forme di vita e dell'uomo, che è una forma tra le tante,
si distingue per la tensione a non accettare di autogenerarsi, in quanto, appunto, tende a cercare a creare continuamente il senso della propria autogenerazione rinviandolo ad altro. Laddove esiste un vincolo emerge una possibilità e per l'uomo, quella possibilità è continuamente estesa. Noi siamo infanti simbolici. La biologia evolutiva e la paleoantropologia ci aiutano oggi a comprendere che il nostro avvento come specie Homo è stato casuale e recente nella dinamica dei cespugli evolutivi. Ciò lungi dall'essere fonte di autodenigrazione e di sentimenti di delusione, può essere la ragione di un inedita consapevolezza delle proprie caratteristiche distintive. La plasticità della mente viene riconosciuta come un tratto specie/specifica della mente relazionale umana situata e della nostra esperienza nel mondo. Quella plasticità riceve oggi conferme importanti dalla ricerca scientifica e in particolare, dalle neuroscienze cognitive. La scoperta dei neuroni specchio e dei meccanismi e processi di risonanza naturali e prelinguistici evidenziano che la nostra relazionalità precede la consapevolezza e che esiste un legame empatico io/altro che non è riducibile all'intenzione e ai processi mentali, ma che è tacito e connesso al movimento. Sistemi cognitivi e affettivi che si modulano e rimodulano reciprocamente interagiranno a partire dalle differenze specifiche alla ricerca delle risonanze possibili, guidati dalla nostra tensione creativa. Ci stiamo cimentando con 2 movimenti simmetrici e difficili che configurano un vero e proprio salto evolutivo e la ri-figurazione di cosa significa essere umani. Il primo movimento tende a riportare la mente nel corpo e nel cervello; il secondo, simmetrico al primo, cerca di collocare la mente nella relazione con gli altri. La "capacità negativa" del poeta John Keats, riconosciuta da Bion come capacità di sostenere nella riflessione necessaria per riconoscersi e di riconoscere il mondo che creiamo e la possibilità di continuare a crearlo, assume i caratteri di una neotenia storica di specie, rispetto alla possibilità di riconoscersi come animali incessantemente creativi. A ciò possono concorrere gli svelamenti recenti di quelle che sono state vere e proprie presunzioni di funzionamento "idealistico" della mente umana:
Framin: ogni nostra azione si esprime all'interno di una cornice che codifica i comportamenti e influenza le dinamiche.
Autocontrollo inadeguato: siamo spesso nella condizione di "non vedere di non vedere" non riuscendo così a controllare gli effetti delle nostre azioni.
Ciclo ruminativo: intercorre tra un equilibrio cognitivo e un dominio di significati e un altro intervallo che dipende dal tempo necessario ad assimilare un nuovo orientamento e una nuova tendenza nello stile nel gusto.
Illusione di focalizzazione: un particolare o una parte sono spesso in grado di essere scambiati per il tutto e ritenuti tali.
Ragionamento interessato: il sostegno di una tesi è spesso governato da un interesse che rende opache le alternative.
Falsi ricordi: dell'organizzazione della memoria e i ricordi sono spesso frutto di un " presente ricordato" e risultano falsi al di là delle intenzioni.
Vulnerabilità: ogni convinzione è tale in quanto nostra almeno un lato vulnerabile che le rende incomplete e perciò sostenibili.
Sistema linguistico polisemico: l'emergenza di significati è potenzialmente illimitata in ogni sistema linguistico.
Il margine infinito della creazione umana, dell'immaginazione, configura e ri-figura incessantemente l'atto estetico e l'interpretazione delle sue espressioni. I poli di un approccio transdisciplinare, la filosofia e la neuroscienza, unitamente alle scienze del profondo, permettono di individuare alcuni processi emergenti per l'analisi delle esperienze estetiche della mente e per la formulazione di una teoria della mente estetiche creativa:
Parlando di arte è possibile ipotizzare che ci riferiamo a una fenomenologia relativa a una tensione rinviante:
Pare che queste esperienze sono riconducibili:
Alla progettualità politica.
Così come a livello individuale cerchiamo continuamente la via della nostra individuazione, allo stesso tempo cerchiamo di semplificare la complessità del mondo con il creare incessantemente istituzioni. Perché istituiamo? È bene riconoscere che il gioco istituente comincia dentro di noi, dal modo stesso di elaborare le ansie. L'istituente e le istituzioni sono ambigue. Ma siccome è difficile sostare nell'attenzione, accade che prevalgono le esigenze di sicurezza e stabilità. Le istituzioni cominciano perciò a essere usate per difendersi dai pericoli del mondo. L'ambiguità è nella tensione tra istituto e istituente. Quella tensione è generativa e difficile allo stesso tempo, perché sostare nel vuoto implica sofferenza. Il vuoto e l'assenza generano il pensiero. Come la pausa è alla base della genesi del linguaggio. La sospensione dell'azione immediata e pratica apre alla fatica, al dolore e alla meraviglia di pensare. Quel particolare tipo di conflitto è il conflitto estetico. Quel conflitto non si interrompe, e non si interrompe la sua elaborazione. Forse la principale espressione della ferita della modernità è l'esito del riconoscimento graduale e difficile della nostra appartenenza e partecipazione al flusso del vivente, particolare espressione del flusso della materia. Il cervello umano, che nelle relazioni si evolve, è quantità che genera pensieri. Abbiamo ritenuto che non ci fossero rapporti tra cervello e pensiero, accogliendo e confermando nel tempo l'ipotesi dualistica. Tuttora non riusciamo a uscire del tutto da queste prospettive.
Abbiamo ritenuto, inoltre, che il pensiero fosse del tutto riducibile al cervello. Gli sforzi in questa direzione, se portati fino in fondo, creano un modello il quale, più che spiegare il pensiero, né manca i caratteri distintivi. La scoperta della relazionalità naturale, in fondo, la scoperta della conferma della nostra distinzione naturalculturale. L'individuazione ci viene offerta dall'altro nel pluriverso delle relazioni; fra negazioni e riconoscimento; elaborandone ambiguità e conflitti, ognuno di noi sceglie provvisoriamente di sostare, consistere o difendersi in quella fragile esperienza che a lungo abbiamo chiamato identità. Le interruzioni, la sospensione della coincidenza con se stessi e con il dominio del significato, a seconda di come sono elaborate, possono dare vita a finestre di creatività artistica. Ciò che accade, è, di fatto,una sospensione istantanea o temporanea di un mondo sensato, per la genesi di un vuoto creativo, o meglio, che può essere creativo. L'esperienza estetica è creativa in quanto interrompe e ri-crea la struttura di legami tra soggetto e mondo; in quanto interrompe e riattiva la capacità autopoietica di un flusso vitale. Perché il vedere sia un atto creativo deve almeno in parte interrompe la circolarità con il credere. Non è plausibile una concezione fissista dell'opera d'arte. Ogni sguardo la vede a modo suo e la rende a sé contemporanea e contingente. Siamo la specie simbolica, contraddistinta dalla coscienza di second’ordine, del linguaggio verbale e della ricerca di senso e significato. Tutto questo, per il modo in cui si integra nella nostra esperienza relazionale, fa di noi una specie creativa. I metalinguaggi e l'immaginazione sono altrove, la frontiera della nostra stessa possibilità. Ogni altrove risolto, realizzato, definito una volta per sempre è mortificazione della tensione immaginativa. Sono i correlati neurocognitivi a dare oggi, finalmente,un'opportunità straordinaria di verifica alle ipotesi neurofenomenologiche. Infatti i neuroni specchio sono circuiti di gruppi neurali che si attivano, in una molteplice varietà di circostanze, sia quando ognuno di noi esegue direttamente un'azione, sia quando osserviamo qualcun’altro compiere un'azione. Ogni volta che guardiamo qualcuno agire, nel nostro cervello simuliamo la sua azione. Accade per la prima volta che la ricerca neuroscientifica riesca a descrivere i processi e i meccanismi della relazioni della reciprocità che stanno all'origine della capacità di immedesimazione, di imitazione e di comprensione implicita delle azioni altrui. In questo modo si forniscono i correlati neurocognitivi della mente e dell'intelligenza relazionale. Tutto ciò significa una rivoluzione nel modo di intendere la cognizione, l'apprendimento e l'individuazione della persona stessa. Tutte queste esperienze sono intrinsecamente intersoggettive e generate dalla relazione: non emergono se non all'interno di un contesto di relazioni tra cervelli in risonanza, e la condizione stessa è pragmaticamente incarnata nel sistema sensomotorio. Una teoria appropriata della mente che apprende può scaturire oggi solo da un orientamento e da un approccio transdisciplinare. Un simile approccio dovrebbe comprendere le contaminazioni paradigmatiche e le ibridazioni di codici possibili tra neuroscienze, psicologia cognitiva, psicologia del profondo, paleoantropologia, scienze del linguaggio e studi organizzativi. Quindi si passa da un'epistemologia ingenua basata sulle certezze della centralità di chi insegna a un'epistemologia necessaria fondata sulla mente razionale e complessa.
Il linguaggio dell'arte, senza per questo essere mortificato a qualche riduzioni bio-chimica, potrebbe trovare forse condizioni per essere compreso in un'alleanza con la storia naturale dell'evoluzione umana. Per l'esplorazione di quest'ipotesi emerge l'opportunità di interagire in modo transdisciplinare i risultati della ricerca neuroscientifica e biologica-evolutiva e quelli dell’epistemologia evolutiva e del naturalismo critico come espressione più recente della svolta linguistica in filosofia. Dopo la fase di ritrazione dal mondo naturale di lunga durata e di grande impegno, prospettiva di distinzione nonché profondamente difensiva, in cui l'epistemologia si è impegnata a separarsi dalla natura, si assiste oggi a un momento opposto. In quanto vita siamo dei percorsi evolutivi naturali, di una naturalità in grado di concepirsi, e i concetti operano entro lo spazio delle ragioni in modo che un naturalismo restrittivo non ne può dar conto. Una tensione rinviante l’individuo al movimento distintivo specie/specifico con cui Homo sapiens sapiens si riconosce e diviene riconoscibile nella relazione circolare tra mondo interno e mondo esterno tra continuità ed emergenza dell'inedito nell'esperienza. Quella tensione distingue e caratterizza la specie simbolica, dotata di conoscenza di second’ordine, sense-market, capace di linguaggio verbale, i cui individui non coincidono con se stessi, ma vivono in quanto si trascendono. In l'occhio dell'evoluzione Susan Oyome getta le basi per ripensare la dicotomia tra biologico culturale nei sistemi di sviluppo del vivente. L'autrice pone in particolare l'accento sulla contingenza nei processi di sviluppo. La contingenza è espressa dal fatto che lo spazio del possibile è infinitamente più ampio dello spazio del reale. Proprio rinviandosi al possibile la specie Homo si distingue. E il riconoscimento costante della non coincidenza con se stessi è un processo che sostiene l'antropogenesi. La sua elaborazione avviene mediante l'espressione della funzione immaginativa. Noi ci creiamo umani nella relazione mentre riconosciamo la nostra incompletezza e la nostra mancanza. Sia l'incompletezza che la mancanza vengono ad assumere perciò un rilievo del tutto particolare nel divenire umani. La mente emerge finalmente
con un sistema che non si limita a rispondere a stimoli, interni ed esterni, ma nelle relazioni seleziona strategie, opera scelte fra possibilità molteplici e crea mondi che abita nella continuità o distrugge nella discontinuità creatrice, alimentata dalla fantasia e dell’immaginazione, che risultano i processi più vitali del nostro spazio potenziale, della nostra tensione rinviante e, quindi, il grembo nel nostro essere e fare creativo. Privilegiando un naturalismo non riduttivo, liberalizzato o critico è probabilmente possibile giungere a riconoscere la differenza umana. L'ipotesi è quella di estendere il naturalismo evolutivo non riduzionista alla sfera umana. L'orientamento epistemologico e conoscitivo volto a superare la scissione tra scienze della natura e scienze dello spirito assume la circolarità, l’epigenesi e le proprietà emergenti come caratteri distintivi della vita e della conoscenza. In questa prospettiva J. Varela sostiene che le connessioni tra i fenomeni naturali e la costituzione del senso esigono un'esplorazione che porta alla facoltà specie/specifiche della vita umana, ovvero da ciò che rende umana la vita. La considerazione appropriata dell'integrazione:
Il cervello umano non registra la realtà, ma interagisce e coevolve con essa. Secondo una prospettiva di naturalismo pluralista la mente umana e le esperienze estetiche possono essere considerate emergenze della nostra storia evolutiva, nel tempo profondo dell'evoluzione della specie così come nel tempo contingente dell'esperienza individuale. L'obiettivo di quest'orientamento di ricerca è sottoporre a critica sia il naturalismo sia il riduzionismo sia l'idealismo che pretendeno di prescindere dall'evoluzione umana. Le forme delle esperienze umana sono realizzate nella coevoluzione tra caratteri naturali e fenomenologia delle relazioni. La complessità dell'esperienza estetica si configura perciò come emergenza distintiva, in termini neurofenomenologici, dell'evoluzione di Homo sapiens. Per la verifica di queste ipotesi si tratta di:
Una teoria della mente estetica è opportuno che prenda le mosse dell'assumere la mente relazionale incarnata come riferimento e da quella prospettiva si impegni a considerare una teoria del creatore e del fruitore in quanto teoria:
La contingenza e l’incompletezza, ovvero la non coincidenza con se stessi distinguono:
Possiamo concepire la creatività artistica con un’emergenza dell’incontro fra le esperienze relazionali e il contingente e contemporaneo esprimersi delle potenzialità di sviluppo sostenute dai processi di maturazione ed evoluzione soggettive e, in particolare dal linguaggio, mediante la tensione immaginativa.
Impegnativo appare cercare di definire una distinzione tra esperienza simbolica ed esperienza artistica, al fine di comprendere in quali circostanze e a quali condizioni avvenga la trasformazione in arte. Solo la messa a punto di un "modello" di analisi del cambiamento dell’idee, dei simboli, del gusto potrà consentire di comprendere qualcosa di più della creazione e della fruizione artistica. Di particolare importanza è l'approfondimento delle condizioni in base alle quali si generano:
Modello mentalista: tutto spirito e ideali, senza corpo. In grado di calcolare e scegliere razionalmente le proprie preferenze, recettore dipendente dai segnali estetici provenienti dal di fuori; dotate di rappresentazioni,
intenzioni e modelli mentali predisposti che si muovono nella sua testa; capace di un atto individuale per eccellenza, da solo di fronte all'opera; cultural end contextual free, indipendente dalla storia e dai significati circolanti nel mondo in cui vive.
Modello evolutivo: mente incorporata in un corpo in movimento, che crea il senso dell'opera plasticamente, mediante accoppiamento strutturale, affettivo e cognitivo, con essa; selezione i segni in modo attivo combinando attraverso la relazione e il movimento, processi neurofisiologici e fenomenologia esperienziale; l'originarietà è il tratto distintivo caratterizzante dell'esperienza estetica e dell'immaginazione, come esperienza naturale specie/specifica e non "speciale" di Homo sapiens; le relazioni sono il grembo della sensibilità e della condivisione estetica in uno o più gruppi di riferimento; intrinsecamente connesso alla semiosi e ai codici delle stratificazioni culturali in un contesto.
Una delle difficoltà maggiori della nostra specie è quella di riuscire a vivere le emozioni. Ciò rende particolarmente importante studiare i vincoli e le possibilità di elaborare e di vivere le emozioni. Cosa sappiamo per ora dell'esperienza estetica, dell'esperienza simbolica e della mente umana in generale? Il ruolo della paleoantropologia diviene decisivo nel preparare il terreno alla neurofenomenologia per cercare di comprendere le origini e l'evoluzione naturale della mente e dell'esperienza estetica. Accanto a questi approcci, risulta sempre più di particolare rilievo studiare le narrazioni e le testimonianze degli artisti sulla propria creatività e sul proprio lavoro. Allo stesso tempo è decisivo l'approccio sperimentale per studiare gli ostacoli all'emergere dell'esperienza dell'estetica e dei suoi cambiamenti, come ad esempio lo studio degli ostacoli all'accesso dell'arte contemporanea. Secondo alcune ricerche vi sono 2 possibili spiegazioni dell'avvento e dell'evoluzione dell'esperienza estetica:
L'incommensurabilità delle competenze cognitive, simboliche ed estetiche di Homo sapiens non lo portano comunque fuori dalla natura, per quanto complessi siano gli esiti e le frontiere del simbolico in cui si è avventurato e tutt’ora si avventura. Vi è d'altra parte la necessità, naturalizzando la mente e l’esperienza, di non produrre una visione riduzionista del pensiero e dell'esperienza estetica. Se da un p.d.v. della biologia il pensiero può essere considerato e il rapporto attivo tra il vivente e il suo ambiente, non è la sola biologia, per quanto decisiva, che può condurre a una comprensione del pensiero e dell'esperienza estetica. È necessario considerare la storia individuale e i processi coevolutivi tra individuo e ambiente, per cercare di riconoscere l'emergere delle distinzioni specie/specifiche di Homo sapiens, ivi comprese il pensiero, il linguaggio verbale, la conoscenza di ordine superiore e la stessa esperienza simbolica ed estetica. Dai processi simbolici profondi della psiche umana può scaturire l’inedito, quel che prima non c'era. A caratterizzare il processo di creazione sono alcune dinamiche che si possano riconoscere come sufficientemente costanti e vedono al centro processi psichici rilevanti. La mancanza, l'esperienza di mancanza è uno di essi. Pagliaroni ha individuato la mancanza come una delle fonti della generatività creativa e progettuale, mentre allo stesso tempo essa può assumere le caratteristiche della dispersione, della perdita e dell'autotradimento. L'elaborazione delle emozioni e dei sentimenti di mancanza può condurre alla genesi creativa se esistono le condizioni relazionali, individuali e di contesto per la giusta attesa; se esistono il tempo e lo spazio per la scoperta. Pare che ogni processo creativo emerga da una pausa che, in certi casi, è particolarmente impegnativa e vertiginosa,una transizione elaborativa in cui agisce la tensione rinviante, quella tensione che ci caratterizza e ci porta a non coincidere mai con noi stessi ne con ciò che stiamo e abbiamo già. La trasformazioni in arte e ogni processo creativo hanno a che fare con questa dinamica, la cui natura mostra di essere essenzialmente relazionale e neurofenomenologica. La lettura del notissimo episodio della "madeleine" narrato da Proust suscita un processo di risonanza empatica che oggi sappiamo essere naturalmente basato sulla disponibilità evolutiva dei neuroni specchio. La risonanza naturale fondata sui neuroni specchio si configura come una condizione necessaria e non sufficiente per i processi relazionali umani, per la loro attivazione e sospensione o per le discontinuità che si sottendono alla generazione e alla creazione. Movimento, relazioni e empatia sono interconnessi e, ponendo il movimento o come tratto distintivo della specie viventi e la teoria motoria alla base della comprensione naturale dell'esperienza relazionale, forniscono alcune premesse e le condizioni per una visione incorporata della mente e per una ricerca mirata alla fondazione naturale dell'esperienza estetica. Nelson Goodman ha criticato la separazione tra "cognitivo" ed "emotivo" che impedisce di scorgere che nell'esperienza estetica le emozioni funzionano cognitivamente. Dobbiamo superare la nostra riluttanza a considerare l'emozione come parte della condizione. Le emozioni stanno al punto di connessione tra il corpo e il sociale, tra la biologia e il sentimento. L'opera d'arte ha un valore intrinseco. Non è la descrizione di qualcos'altro. Quel valore intrinseco prescinde da ogni irriducibilità ha un senso e un significato definiti una volta per tutte. Un'attenzione diffusa e approfondita all'esperienza estetica e creativa e alla sua educazione può generare una nuova cultura dell'innovazione con rilevanza:
dell'esistenza.
Che Venere potesse giungere a fare l'amore con Marte è stata una delle utopie concrete più studiate da Pagliaroni. Gli interessava porre la questione sotto forma di domanda e chiedersi perché Venere non fa l'amore con Marte. Eppure, come Omero ci conta, il sole che tutto vede, li ha scorti abbracciati nella reggia di Efesto, marito di Venere in questo connubio Pagliaroni vedeva la possibilità per il genere umano di trovare una via di soddisfazione al terrore e alla distruttività,una via per l'affermazione della bellezza. L'attrazione magnetica tra
Amore e Guerra ci propone un compito di ricerca importante: quello di cercare di comprendere la fusione tra bellezza e violenza, fra terrore e amore. La comprensione della comune radice fra bellezza e violenza potrà forse aiutarci a riconoscere se non possono essere le passioni di Venere: codici prevalenti della creatività e dell'estetica, a permetterci di affrontare i nostri difetti di immaginazioni e a rinvenire "quell’equivalente morale della guerra" auspicato da Williams James. 2 polarità di particolare rilievo nell'evoluzione della conoscenza ci consentono oggi di evolvere la nostra comprensione delle questioni della mente estetica. entrambe hanno a che fare con i contributi che scaturiscono dall'orientamento epistemologico della complessità. Una macro, l'altra micro. Quello macro riguarda gli sviluppi della paleoantropologia e della biologia evolutiva e fornisce indicazioni importanti sull'origine e sull'evoluzione del simbolico nell'esperienza umana. Quello micro riguarda la convergenza tra psicologia, psicoanalisi e neuroscienze e consente di riconoscere aspetti importanti dell'origine della mente, dell'esperienza simbolica ed estetica. L'interdipendenza fra dimensioni filogenetiche e ontogenetiche ci mette a disposizione la possibilità di riconoscere aspetti finora ignoti della mente estetica e dei vincoli e delle possibilità di espressione. L'attenzione a specificare il processo attraverso cui bambini piccoli comprendono le menti degli altri e finalmente le loro stesse menti, le considerazioni delle basi empiriche e fenomenologiche che riconoscono il senso di sé come emergente dalla qualità affettiva della relazione con il caregiver primario ci pongono innanzi a un tratto decisivo dell'evoluzione specie/specifica dell'uomo, e alla possibilità di accedere agli stati mentali e alla mente estetica. Da una migliore comprensione di questi processi potranno forse derivare migliori opportunità per domandarsi quali siano i vincoli e le possibilità. A rompere la repressiva regolarità del consueto, la nostra predominante tendenza alla naturalizzazione sono, allo stesso tempo, l'arte e il terrore, l'esperienza estetica e la guerra, Venere e Marte. Nella stessa esperienza affettiva e cognitiva umana risuonano la furia di Marte e la voce di Venere, traendo origine dalla stessa passione, dalla stessa attrazione e dallo stesso patire. Amare e Guerra non sono opposti, come non lo sono estetica e terrore. All'origine di noi, infatti, secondo un importante prospettiva di analisi della dimensione profonda della nostra esperienza vi è il conflitto estetico. L'origine dell'esperienza estetica coincide con l'origine della vita, secondo Meltzer. La sua fenomenologia viene oggi supportata dalla verifica ampia delle funzioni di correlati neurocognitivi specie/specifici. Siamo in grado di riconoscere l'origine conflittuale del senso dell'essere, la sua corrispondenza ai processi che presiedono allo stesso riconoscimento di sé e alla conoscenza. Possiamo intendere l'emergere della mente estetica dall’elaborazione del conflitto estetico e dai livelli di tolleranza del conflitto stesso, con esiti diversi a seconda delle situazioni, dove non è detto che quelle apparentemente più favorevoli siano le più propizie. Il compito diviene perciò quello di comprendere la fusione fra bellezza e violenza, fra terrore e amore. Se l'origine del lato estetico e dell'atto violento sono comuni, il primo può essere la via per risignificare il secondo? L'elaborazione di questa domanda richiede il confronto con un'idea dell'arte non riduttiva ma semplificatrice. L'arte ha a che fare con l'inutilità apparente eppure si configura come il vertice della nostra finalità evolutiva; a che fare con la sospensione dell'utilità immediata, e per questo è generativa. Per questi motivi quando parliamo di arte parliamo:
Che tipo di cosa è una cosa che non spiega gli effetti che lascia emergere, il quale però non emergerebbero se quella cosa non ci fosse? A partire dalla ricerca sul movimento della mano è stato possibile scoprire che
l'attivazione di alcune aree del cervello, prima nella scimmia e poi nell'uomo, si attivano non solo quando si manipola, ma quando si vede manipolare. Ciò è stato l'inizio di un proficuo processo di ricerca che ha consentito di spostare l'attenzione dalla centratura sulla percezione alle azioni, alle emozioni. La plasticità dell'esperienza è basata sull'attivazione del sistema premotoria e prelinguistico, cosicché il contenuto semantico è correlato ai processi sensomotori. Secondo una dinamica dissimulazione incarnata, il movimento e l'azione si fanno emozione per divenire sentimento e significato dell'emozione. Una verifica dell'avvento evolutivo di questi caratteri distintivi umani si possono riconoscere nel fatto che essi si manifestano sia nella scimmia che nell'uomo, ma ciò che è aurorale nella scimmia si presenta come il brutto dell'uomo. Da un meccanismo automatico di basso livello emerge un processo che è decisivo nel costruire consonanza intenzionale. Una cosa produce una non-cosa. La contingenza tra movimento e pensiero pone in evidenza che l'azione è un pensiero. La cognizione è a sua volta incarnata come lo sono le azioni. Azioni e pensieri emergono da un intersoggettività primaria che genera una consonanza intenzionale. La coscienza riflessiva ha, perciò,un'origine pre-razionale. Abbiamo la possibilità, considerando i processi adattivi, di ipotizzare il possibile radicamento senso/motorio delle competenze linguistiche e concettuali. I processi adattivi sono, con ogni probabilità, emersi per exaptation, come valorizzazione di strutture già incarnate, generando il "grande balzo in avanti" che Homo sapiens compie con la rivoluzione paleolitica. Considerando che la relazione viene prima dell'individuazione e dell’emergere dell'unità, e prestando attenzione al fatto che anche le regole dell'evoluzione sono evolutive, la catena di emergenze discorsive che compone l'evoluzione umana genera la possibilità dell'autoevoluzione semantica, della cultura, come via per connettersi alla concretezza del mondo, e dell'estetica e della creazione artistica. Mentre la cultura non solo evolve, ma riconnette alla concretezza del mondo, l'artista abita l'ambiguità e l'incompletezza e cerca incessantemente di tradurla. Per cercare di farlo non abita contesti ma crea un contesto dentro di sé, portando a una durata vertiginosa la sosta del passaggio tra disorganizzazione e autorganizzazione, tra disordine e ordine provvisorio. Mediante la tensione verso ciò che non è mai definitivamente realizzato o realizzabile, l'artista attualizza nella propria vita il conflitto estetico originario. Mentre nel processo di individuazione, nel divenire umani e nel divenire individui,una catena di emergenza, combinate con la mediazione sociale e culturale a sostegno dell'individuazione, consente di elaborare la neotenia, di far fronte alla mancanza e di elaborare l'ambiguità tra autonomia e dipendenza, nella creazione artistica i necessari apprendimento dell'ambiguità si interrompe per dar vita alla disposizione a stare dentro l'ambiguità. La creazione artistica è osservabile dall'interruzione del empatia, alla rottura della ridondanza, è frutto di un improvviso ergersi contro la continuità dell’Io.
L’esperienza estetica a un'origine ambigua. Il gesto inaudito che può derivare dall'elaborazione della tensione può essere un'emozione che ci porta guardare un'opera d'arte visiva come se fossimo al suo interno. Avvalendosi di risultare della scoperta scientifica dei neuroni specchio, Gallese ipotizza che le emozioni trasmesse da un'opera d'arte siano affini ai processi empatici che ci permettono di vivere in una certa sintonia con gli altri. Questo fa si che possa sussistere un'interdipendenza tra movimento, emozione ed empatia nell'esperienza estetica. L'elaborazione della tensione può però dar vita a un altro tipo di gesto inaudito, profondamente affine per dinamica ma diverso per esiti, che connette l'arte al terrore in termini di origine affettiva. La descrizioni che Jean-Philippe Toussaint fa del gesto di Zidane in occasione dell'incidente nel corso della partita finale dei campionati del mondo di calcio, a Berlino 2006, è indicativa di questa finita: un istante di ambiguità perfetta sotto il cielo di Berlino, alcuni secondi di ambivalenza vertiginosa dove bellezza e bassezza, violenza e passione, entrano in contatto e provocano il corto circuito di un gesto inaudito. Abbiamo una serie di osservazioni e di esperimenti empirici che ci consentono di comprendere degli aspetti dei comportamenti correlati all'estetica, ma non giungono a una teoria. Abbiamo una teoria dell'estetica che non spiega i comportamenti e le azioni correlate all'espressione e alla fruizione estetica. Appare però sempre più evidente che, per essere capaci di esprimere e sperimentare l’estetica, dobbiamo imparare a farlo. L'estetica si apprende in relazioni e processi coevolutivi naturalculturali. Coinvolge lo stesso tempo emozioni e regole, affettività e calcolo, anche se si situa oltre i limiti di tutte queste dimensioni. Il processo immaginativo e un processo conflittuale e si apprende all'estremo dell'invenzione dell'inedito. Il compito impegnativo è riconoscersi come menti naturali, attive e relazionali che lasciano emergere segni e gesti estetici e della loro fruizione si alimentano, per immaginare se stesse e i mondi inediti della creazione artistica.
Se l'enigma dell'esperienza è che essa risulti esprimibile, ciò è possibile perché l'esperienza risuona; se non risuonasse prelinguisticamente noi non potremmo esprimerla nei giochi linguistici. Sostenere che l'esperienza risuona non vuol dire che ciò avvenga nel senso dei 2 tempi; prima risuona e poi le esprimo, prima la sento e poi la dico, ma nel senso che la deconsento. Di tutte le esperienze, quell’estetica è probabilmente correlata a una profonda partecipazione empatica al mondo e, contemporaneamente, a una tensione a trascenderlo: un'istantanea e provvisoria apertura nella continuità a compattare del senso,un rilancio trascendente che si esprime e crea o riconosce per risonanza un'espressione e una creazione inedita,ridefinendo e ricodificando il senso. Un campo nel buio, appunto,una ferita nel senso. Sia l'atto creativo che la fruizione di un artefatto estetico sono stati considerati prevalentemente come azioni individuali. L'indicazione più rilevante che sembra venire dalle scoperte sul rispecchiamento, la risonanza e l’empatia riguarda la fondazione relazionale del processo di individuazione soggettiva. In quel processo di individuazione circolarmente connesso all'espressione di sé, emergono anche la creazione e la fruizione di atti estetici. L'orientamento "mentalista", oltre a porre al centro l'individuo solo che agisce, crea e fruisce, tendeva a separare la percezione dall'azione e dalla cognizione. Si verifica invece che percezione, azione cognizione non solo sono unitariamente contingenti e parte di un unico processo, ma sono tutte parte di una mappa spaziale che circonda il corpo e fonda l'individuazione soggettiva nelle relazioni situate. I contributi della filosofia hanno anticipato in modo molto significativo le recenti scoperte neuroscientifiche sulla relazionalità umana e su i suoi fondamenti naturali. Già Maurice Marleau - Ponty affermava che "vivo nell'espressione facciale dell'altro, nel momento in cui lo sento vivere nella mia". L'intuizione che i processi fisiologici e naturali potessero essere alla base della fenomenologia delle relazioni e delle dinamiche empatiche è stata del resto abbastanza precoce nell'avvento della psicologia scientifica, anche se altrettanto precocemente abbandonata. Nella seconda metà dell'800, infatti, lo studioso tedesco Lipps era giunto a teorizzare una sorta di capacità empatica fondata su una presunta invariante della natura umana, nel tentativo di comprendere la creatività insita in un'opera d'arte e la natura del giudizio dell'osservatore. Nel dibattito che si sviluppò si cercò di comprendere la natura dell’empatia. Era una forma dell'esperienza diretta o un meccanismo istituzionale? William James aveva utilizzato il costrutto di istituto alla fine dell'800, per giungere alla classificazione di tutti comportamenti in 2 formule: quelli volontari e quelli automatici. Gli storici e filosofi dell'arte lavorarono ad una versione psicologica del "volere artistico",una sorta di istinto artistico universale. La nozioni di Kunstwollen era stata introdotta alla fine dell'800 dall'austriaco Riegl per indicare le forme creative che si esprimono in un'opera d'arte e che vengono colte da un osservatore. Quell’osservatore non è solo. Egli muove da una relazione, da una rete di relazioni situate in un contesto con una storia. Nel tentativo di comprendere qual'è l'intreccio tra ciò che anima un'opera d'arte e ciò che attiva l’empatia di un osservatore si possono oggi integrare i contributi della filosofia e quelli delle neuroscienze cognitive. Wittegenstein nel 1949 si domanda quale sia l'esperienza che proviamo quando l'occhio scorge qualcosa di bello. La sua risposta è semplice: la mano vuole disegnarlo. Se si associa, com'è stato fatto negli ultimi secoli, l'opera d'arte alla bellezza, la distinzione della bellezza è la sua facoltà di indurre alla replica. Questo carattere distintivo tende profondamente a mutare nel mondo in cui, come accade oggi, l'associazione fra le bellezza si affievolisce o viene meno. Essere indotti alla replica della bellezza vuol dire co/sentire con il creatore del bello l’azione generativa di quella cosa che sentiamo bella. Come possiamo " immediatamente vedere l'emozione, nel flusso della corrente della vita quotidiana, quando ciò accade innumerevoli volte?" Per rispondere a questo quesito, le soluzioni classiche utilizzano l'argomento dell'analogia cioè il comportamento dell'altro diventa un indizio che mi permette di capire le sue emozioni e quanto sta accadendo nella sua mente. Anche se non posso essere del tutto certo dello stato mentale dell'altro e non posso che approssimarmi a condividere i suoi sentimenti e le sue esperienze, posso con una certa sicurezza dedurre con ragionevole certezza che le altre persone hanno una mente come la mia. Questa argomentazione ha assorbito pesati critiche. La prima riguarda il fatto che la procedura per analogia utilizzata per comprendere gli stati mentali altrui è troppo complicata e macchinosa per qualcosa che compiamo in continuazione, con naturalezza e senza sforzo. Il problema delle altre menti è probabilmente "più semplice" di quanto una procedura come quella dell'analogia presume. Un'altra critica riguarda la sopravvalutazione della conoscenza della consapevolezza di sé che è implicita nell'argomentazione basata sull'analogia; sono sempre più ampie le prove che mostrano come siano molto meno in contatto con i nostri stati mentali di quanto avessimo creduto ed i quanto ci piace pensare. Siccome però, nel corso di ogni giorno, in un numero infinito di circostanze riusciamo a prevedere e a spiegare con una certa approssimazione il comportamento degli altri, dobbiamo ritenere che ciò avvenga non per la logica, né per deduzione, né per analogia astratta. L'analogia e la simulazione sono entrambe ipotesi che sottovalutano la comprovata capacità che noi dobbiamo di accedere alla mente degli altri. Sia la ricerca filosofica che la ricerca neuroscientifica consentono oggi di dare vita a una prospettiva neurofenomenologica che ridefinisce i termini della questione e c'insegna un diverso significato di cosa vuol voler dire esseri umani e comprendere gli altri,
aiutandoci a riconoscere che si tratta probabilmente della stessa cosa: riconoscere gli altri è la condizione per riconoscersi. Se si coglie il senso del fastidio e della fatica che un'artista a quando gli viene chiesto di parlare o ancor più di fornire spiegazioni verbali di una propria opera, si può riconoscere la rilevanza che nella creazione artistica sembrano avere i "meccanismi di livello inferiore", i quali agiscono prima e al di sotto della mente consapevole. Si tratta della dissonanza o simulazione incarnata e dei correlati neurali dell'intelligenza sociale che riguardano la dispersione e il movimento che portano a creare qualcosa per un altro e l'altro a riconoscerla influendone e sentendo almeno in parte le stesse cose di chi l'ha creata. Nel rispecchiare in noi stessi e gli altri e il mondo, sembra si attivi un superplus,un'eccedenza che rinvia ad altro, all’altrove, all’altro e si genera così una tensione a trascendersi.
Possiamo "sentire e sperimentare di essere eterni" come sostiene Spinoza, nelle resistenze e strutture e continuità prevarianti sui singoli: è lì che diviene possibile l'esercizio della libertà. L'umorismo e la satira sono antidoti che possono mostrarsi efficaci nei confronti del potere esercitato come dominio. Benini afferma che l'emergere dell'autocoscienza e del linguaggio è stato il passo evolutivo crucciare tra i primati e l'uomo. Se l'autocoscienza può essere intesa come la capacità della coscienza di porre se stessa a oggetto della propria riflessione, è probabile che proprio allentando la compattezza dell'autocoscienza e dell'appartenenza a un dominio di senso si generi la fuoriuscita che dà vita all’umorismo. Il linguaggio dell'arte, della scrittura, della satira, dell'umorismo, prima di ogni altra azione, può aprire brecce in quel muro fortificato che grava sul significato. L'umorismo e la satira hanno una relazione direttamente proporzionale con la democrazia: la critica del potere che da essi può derivare si situa in una dei posti privilegiati in cui l'immaginazione genera e rigenera la società e l'autoemancipazione da parte di noi esseri umani. Appare sempre più confermato alla ricerca il fatto che la facoltà di immaginazione è una facoltà costitutiva della nostra specie,una proprietà emergente dell'evoluzione, legata al modo in cui affrontiamo la struttura casuale del mondo. L'apprendimento e l'immaginazione sembrano procedere di pari passo e mentre, apprendendo, persistiamo nello stesso orizzonte di senso e nello stesso dominio di significato, esiste allo stesso tempo una capacità di innovazione dovuta alla generatività dell'immaginazione. Ecco che si individua in questo modo nella capacità di cambiare e innovare una delle facoltà più peculiare dell'uomo: quella capacità di estinzione tanto determinante per la creazione artistica, per l'esperienza estetica e per l'esplosione umoristica. L'umorismo può essere definito come un'emozione vissuta in rapida progressione tra preparazione, costrizione regolata e defamazione. Un'emergenza,una comparsa spontanea di nuovi tipi di ordine e di organizzazione del significato, di aspetti che non si possano far risalire al carattere delle singole parti. Diversamente dalla poesia, che Wordsworth ha definito "emozione rivissuta in tranquillità", l'umorismo invece trascorrere veloce, destabilizzando per un breve tempo il senso dominante e generando per di-vertimento aperture al possibile e all'inedito. L'umorismo appare allo stesso tempo come un sistema di costruzione e come esercizio di libertà,una rottura del senso. La grammatica generativa di Chomsky distingue 2 forme di creatività linguistica: la creatività che rispetta le regole e quella che la trasforma: l'umorismo le esige e le ricomprende entrambe. L'ampia varietà di manifestazioni che riconducono all'umorismo riguarda comunque la comunicazione umana e l'arte e la difficiltà di stare in bilico in una situazione che costantemente si sdoppia dal mondo interno e dal mondo esterno, queste si alternano in continuazione.
Perché abbiamo la possibilità di esprimere discontinuità imprevedibile se siamo naturalmente e razionalmente vincolati? Esistono 4 presupposti per riflettere su questa questione:
L'ipotesi che il libro formula a proposito dell'emergere dell'esperienza estetica porta a immaginarla come una situazione nella quale, essendo noi costantemente presi nella ricerca del significato, sperimentiamo un'istantanea e provvisoria interruzione del flusso del senso per accedere a un'intuizione che può generare la creazione dell'inedito. L'ipotesi che noi formuliamo a proposito dell'emergere dell'esperienza estetica ci porta immaginarla come una provvisoria e istantanea rottura del sense-marking, cioè come una situazione nella quale, essendo noi costantemente presi nella ricerca del significato, sperimentiamo in cent'anni una provvisoria interruzione del flusso del senso per accedere a un'intuizione che può generare la creazione dell'inedito. Perché è così difficile accreditare cittadinanza dell’esperienze estetica? Perché, pur essendovi la necessità di creare nuovi paradigmi a quali fare riferimento, anche per la nostra vita sociale ed economica, rispetto all'esigenza di cambiare idea, noi siamo in difficoltà a farlo? La rilevanza sociale e politica dell'arte e delle esperienze estetica, ha una questione strettamente connessa al nostro essere animali deisderanti. Il desiderio non è una realtà semplice. Siamo animali desideranti e il desiderio non si lascia imbrigliare, "esce" quando vuole, scegliendo la direzione che non sappiamo e non prevediamo. Una delle vie principali per rompere la consuetudine e per creare quello che ancora non c'è, per trascendere il presente e per concepire il futuro, è quello di coltivare la nostra capacità di cambiare idea, di allenarci alla bellezza, di creare quello che non si era mai visto, quello che ancora non c'è. Che cos’è l’innogenesi? Si tratta di un tentativo di creare un approccio transdisciplinare allo studio dell'innovazione, attenta come nasce a come si afferma, come si sviluppa nel tempo, come si diffonde, quali processi cognitivi, affettivi, organizzativi possono favorirlo o ostacolarlo. Certamente rilevante sono le condizioni materiali storiche che favoriscono o ostacolano l'innovazione, ma appare più evidente che a renderla possibile sono in primo luogo i processi mentali relazionali e i modi di creare e valorizzare la conoscenza necessaria innovarla. L'innovazione è strettamente connessa alla creatività. Sono i climi sociali e le culture che favoriscono i processi innovativi. L'innovazione ha natura fondante nell'evoluzione sociale e deve essere distinta dal cambiamento. Il cambiamento è la condizione costante della vita di ogni sistema vivente, che, per il fatto stesso di essere vivo, è vivo in quanto cambia, e nell'adattamento e nella discontinuità esprime la propria specificità distintiva. Il cambiamento si esprime in diversi livelli da quello micro a quello macro e in tempi diversi. I sistemi viventi sono evolutivi e per la loro stessa natura apprendono: non possono non farlo in quanto l'apprendimento è parte costitutiva della loro natura di sistemi viventi adattattivi. Ciò rende privo di valore tutte le cosiddette "teorie" e le conseguenti indicazioni sulle organizzazioni che apprendono. In ogni impresa vi è un apprendimento. È importante analizzare la direzione dell'apprendimento; da considerare sono i contenuti e l'efficacia degli apprendimenti rispetto a determinati scopi e obiettivi. Importante è analizzare attentamente l'appropriatezza dei metodi e delle tecniche che si mettono in atto per influenzare e orientare quegli apprendimenti. Importante è comunque riconoscere che l'apprendimento di per sé è associabile al cambiamento, ma non necessariamente all'innovazione. Esistono strette interconnessioni fra la creatività e l'innovazione di cui si possano trarre 2 orientamenti:
Lontana sembra comunque la possibilità di mettere a punto un modello di cambiamento e innovazione: delle idee, dei simboli, dei gusti e delle preferenze estetiche. A lungo le esperienze estetica e l’innovazione sono state considerate eccezionali rispetto al cosiddetto normale flusso dell'esperienza. Alla base di questo orientamento vi è una visione idealizzata della mente, separata dal corpo. La spinta ellenistica ci porta a considerare lo spirito, come separato dal corpo, ha certamente avuto la funzione nel processo di autoelevazione
semantica della specie Homo sapiens. La combinazione tra scienze naturali fenomenologiche ha portato alla comprensione delle condizioni naturali del senso del significato estetico e, nella vita sociale ed economica, dell'innovazione. Proprio una prospettiva neurofenomenologica può aiutarci a riconoscere alcune caratteristiche distintive dell'esperienza estetica umana, si tratta cioè di valorizzare i risultati della ricerca che stanno consentendo di comprendere il comportamento umano a partire dalla mente incorporata. Il tema del cambiamento di idee, di atteggiamenti oggettivi, affettivi ha ricevuto contributi importanti dalla scuola neo-latino e argentina in particolare. Enrique Pichon/Rivière ha elaborato 2 costrutti: l’ECRO, che indica i processi in base ai quali ognuno di noi agisce e sceglie essendo" vincolato" da un contesto in cui si formano le basi dell'attribuzione di significato e la genesi delle preferenze, gli orientamenti di valore e i codici di lettura dei significati del mondo. Recentissime ricerche neuroscientifiche confermano quest'ipotesi:Marco Jacoboni e Molnar Szakacs hanno concluso un esperimento nel 2007, in cui mostrano come i neuroni specchio siano sensibili alle influenza culturali e rispondano in modo diverso a seconda che stiamo guardando qualcuno che appartiene o meno alla nostra cultura. La rottura o il superamento di quel vincolo pongono di fronte a quella che Pichon Rivière chiama " angoscia epistemofolica" la messa in discussione della "filia" produce la condizioni conflittuali interna che richiede di essere elaborata. Quell'elaborazione che può produrre la ridefinizione dell’Ecro o la sua conferma. Begler approfondito rapporto tra simbiosi e ambiguità nello sviluppo individuale, e nell'evoluzione psico-sociale della personalità. La condizione simbiotica indica che noi partecipiamo a una situazione, di un contesto, di un modo tacito relativamente inconsapevole, replicandone simbioticamente codici e significati. Quell'appartenenza tacita, non è priva di conflitti, in quanto ognuno di noi è unico e irriducibile in ragione delle nostre caratteristiche specie/specifiche. L'angoscia epistemofolica riguarda, la costruzione di legami conoscitivi. La conoscenza in ogni caso è vissuta come angoscia, che sia positiva o che sia negativa. Il vissuto un rischio di perdita del legame precedente e un rischio di entrare in un nuovo legame. Il terreno favorevole a ogni processo innovativo esige la difficile affermazione in una cultura dell'incertezza, del rischio, della probabilità e dell'errore. I processi innovativi sono probabili ma non certi. È la loro relativa imprevedibilità a caratterizzarli e a distinguerli. Ad esempio se uno pensa che tutti i cigni sono bianchi non riesce neppure a concepire la probabilità che possa esistere un cigno di un altro colore. La sua comparsa (cioè il dubbio) rompe la convinzione e apre la possibilità che ci sia un altro colore rispetto al bianco. La contingenza favorisce l'emergere dell'innovazione della ricerca.
Con la domanda di senso che ha fatto irruzione nella contemporaneità, ci sposta l'attenzione all'immateriale e al simbolico come porte d'accesso al senso e il significato. Il materiale non è l'opposto di immateriale. È bensì ciò che rivela il materiale, che consente di riconoscerlo per la sua distinzione e complessità. Per lo sviluppo di un approccio sistemico alla misurazione degli immateriali non si tratta di porre l'immaterialità versus la misura dell’abilità; né di domandarsi se l'immateriale sia misurabile o no, ma di studiare come sia misurabile. Si deve riconoscere che misurabile è diverso di quantificabile. Si tratta di non negare l'oggettività ma di modificare l'idea di oggettività. Si scoprirà così che è l'incompletezza dei sistemi che consente a quei sistemi di essere e di evolvere. L'incompletezza non indica qualcosa che i sistemi viventi non hanno ancora, ma il carattere costitutivo che li rende viventi ed evolutivi. È necessario perciò considerare il valore dell'esperienza e del senso fonte per la comprensione alla misurazione degli immateriali. L'ossessiva ricerca dei simboli e dei significati, e perciò di senso, a che fare con questa trasformazione. Il valore del senso cambia di carattere e di connotazione. L'importanza è di partire da una riflessione sull'epistemologia della valutazione. Misurarsi con l'epistemologia della valutazione è oggi una delle principali implicazioni della crisi e dell'evoluzione paradigmatica delle scienze. La principale fonte di complessità nasce dalla relativa irriducibilità del rapporto tra il senso e la misura. Cercare di misurare il senso, infatti, richiede di ridefinire il senso della misura . La crisi riguarda: il mancato riconoscimento dell'impossibilità di un'osservazione a distanza. La relativa assunzione di un paradigma bio-evolutivo o cognitivista in economia non sembra, in grado di risolvere il problema, in quanto mantiene il principio della computabilità dall'esterno come principale riferimento analitico. La conoscenza dei fenomeni correlati ai comportamenti rimane basata su una valutazione e una misurazione dall'esterno. La resistenza induce gli approcci conoscitivi a non riconoscere che non si può comprendere, valutare e misurare, né tantomeno cambiare,un sistema vivente o un sistema umano senza farne parte. Ne deriva non solo l'ineliminabile circolarità tra osservatore e sistema osservato ma, ancor più importante, che è proprio quella circolarità la condizione generativa della conoscenza possibile. Fa parte di un sistema riuscire a stare a distanza, per comprenderlo e misurarlo è la condizione che dà vita a ciò che abbiamo inteso chiamando "fenomenologia impossibile", al di fuori della relazione. Siccome il valore dell'immateriale è il senso che con l'altro gli si attribuisce in una relazione, la misurazione si configura come una tecnologia impossibile: non realizzabile al di
fuori. Non si può osservare, valutare, e cerca di cambiare un sistema vivente se non se ne fa parte. Ciò implica in prima istanza una posizione epistemologica inedita: misurare non è una conquista di certezza,una determinazione di quantità certe dal di fuori, ma un tentativo provvisorio di riduzione dell'incertezza dal di
distinguono per la coscienza di ordine superiore, la semiosi e il linguaggio. L'economia deve misurarsi con la propria epistemologia. In particolare, dopo la svolta linguistica non si ha più un senso, non abbiamo, cioè un solo senso possibile. La crisi del rispecchiamento e della corrispondenza tra parole e cose, tra concetto e fenomeno, ha posto le indicazioni e le possibilità per riconoscere nel linguaggio la via di accesso alla realtà. I sensi sono divenuti tanti quante sono le posizioni da cui si osserva il mondo e cambiano al cambiare delle posizioni; così la condivisione provvisoria dei sensi genera significati. La proliferazione della moltiplicità dei significati ha prodotto riconoscimento della ricerca del significato come uno dei tratti distintivi stessi della società umana. Se l'esplosione degli immateriali a che fare con la svolta linguistica e la rottura del rapporto di corrispondenza fra le parole e le cose, misurare il senso significa rivolgersi all'eccedente e quindi riconoscerlo decisivo. Noi non coincidiamo con noi stessi e in questo siamo esseri umani, in quanto in grado di concepire la possibilità di trascenderci e di tendere a quella possibilità. Ognuno è solo se stesso, socchiuse la propria autonomia, seppur generato da relazioni. L'autonomia è un mito della redazione. La relazione di prima. Non viene prima l'individuo solo, e poi la relazione: l'individuo umano è generato dalla relazione e elabora se stesso in un processo di individuazione. Abbiamo tutti l'ombelico e ci generiamo da una separazione, gradualmente, individuandoci. Quindi non esiste un senso standard o trasmissibile per informazione. La trasmissione di informazioni tra esseri umani non esiste. Esiste tra esseri umani e macchine. Sono le relazioni a generare il riconoscimento tra esseri umani e lo fanno per approssimazione, per avvicinamento, dell'incertezza del significato. Relazioni, approssimazione, riconoscimento sono alcuni spazi in cui si genera quella costante esperienza che, in quanto immateriale è l’Humus della vita della società umane. Gli materiali riportano l'economia al senso delle origini, alla situazioni di una disciplina che si misura con la dimensione etica della scelta, con i vincoli e le possibilità della mente del decisore e con le forme di condivisione del sapere e della conoscenza. Quale economics in quest'economia che deve la conoscenza e al simbolico i suoi tratti distintivi e caratterizzanti? La svolta simbolica e l'avvento degli immateriali sono un importante elemento analizzatore della trasformazione possibile, in quanto coinvolgono contemporaneamente società, mercato e comportamento. La misurazione dell'immateriale è rilevante per i costi che possono derivare da una sua non considerazione. L'accesso alla conoscenza non è regolato, infatti sono i costi di attivazione, i quali svolgono una funzione rilevante, ma anche da vincoli o da ostacoli epistemologici, che regolano per così dire "dal di dentro" e nella relazione con il mondo esterno le capacità di apprendimento dei singoli. Gli ostacoli epistemologici e i vincoli epistemofilici si combinano e in molti casi crea una situazione di tipo non vedere di non vedere. I limiti e l’incompletezza sono perciò tratti caratteristici costitutivi dei sistemi viventi. La rilevanza degli immateriali non è tanto relativa ai fattori in sé, quanto a capacità e alla disponibilità di elaborarne vincoli e possibilità, opportunità e rischi da parte dei soggetti. Ognuno di noi ha un'idea abbastanza chiara di rischio esterno, mentre, invece dei rischi interni, quelli che generiamo o alimentiamo noi stessi, sono definiti mentali e immateriali. Proviamo a capirci qualcosa: noi tutti viviamo in un mondo fatto di cose materiali i cosidetti oggetti fisici, e questi a loro volta vengono sostituiti rapidamente dalla conoscenza, dall'informazione, dai simboli, dai materiali i cosidetti oggetti sociali. Non sono i boschi e le montagne in sé a rendere competitivo un settore un sistema socio-economico locale, ma le competenze gestionali di imprenditori e maneger e le loro disposizioni a innovare. Ciò che ci manca è immateriale e a sempre più a che fare con la cognizione, la disposizione da prendere e a conoscere. Il rischio dunque nasce dalla nostra concentrazione sull’oggetti materiali. È opportuno riprendere 2 considerazioni fondative di un'epistemologia ed una prassi della misurazione possibile degli immateriali. La prima riguarda la circolarità ricorsiva: dove Bateson e McCulloch sostengono che l'intera logica avrebbe dovuto essere riconosciuta a favore della ricorsività. I sistemi viventi adattattivi esistono e si esprimono nelle relazioni che connettono; queste sono circolari e ricorsive. Divengono perciò il luogo privilegiato di analisi e comprensione di questi sistemi. Nel caso dell'esperienza umana, siamo di fronte a relazioni linguistiche che sono anche la fonte del senso e del significato. Le prove di cui abbiamo bisogno per comprendere misurare con le esperienze possono derivare dal loro ascolto. Esse si collocano a un livello che attiene all'area della produzione e circolazione dei significati. I significati variano il tempo e tendono all'unicità. Essi hanno a che fare con il tempo e sfidano perciò la tendenza del paradigma scientifico e dell'economia neoclassici a costruire una scienza senza tempo. Gli immateriali sono esposti al tempo in quanto si plasmano nel tempo, sono crono- plastici. Non sono caratterizzati dall'equilibrio, ma si evolvono con l'apprendimento. Generano senso in quanto
sono esposti all'attribuzione di significato. Non si riducono alla conoscenza, ma riguardano l'immaginazione. Essendo proprietà emergenti, sarà importante considerare che l'emergenza si manifesta in uno spazio di possibilità ristretto, fra una condizioni di troppo ordine è una condizione di troppo disordine. Bisogna riconoscere che la verità si produce dell'esperienza e chi non ha che fare con la certezza ma con il senso della verità, vuol dire ammettere che l'oggetto non si riduce mai del tutto al soggetto: è così che dallo spazio di irriducibilità emerge il senso.
Studiare le possibilità della creatività umana vuol dire anche cercare di comprendere gli ostacoli. Alcuni di questi si situano al punto di connessione tra mondo interno ed esterno, e sono influenzati, dal contesto e delle relazioni sociali. Di tutte le possibili dinamiche che favoriscono o ostacolano la creatività e l’innovazione nella vita di gruppi ne verranno considerate 2 in modo particolare: il conformismo e la saturazione. Che funzione svolge il gruppo? I gruppi umani possono incorrere in fallimenti sostanzialmente diversi dalla violazione di principi normativi ritenuti validi o dalla prevalenza di istanze difensive rispetto al compito e ai compiti per cui nascono ed esistono. Violare le norme sociali interne, rischia di volta in volta di consegnare e riconsegnare il gruppo al nulla e di riattivare il predominio delle forme di eros e thanatos. Questi fallimenti non sono gli unici possibili. Per considerare il fallimenti del gruppo abbiamo bisogno di considerarlo nella sua dinamica spaziotemporale e nell'evoluzione delle relazioni con il compito, in cui il gruppo più o meno si riconosce. Se il compito e le relazioni intorno a esso suggeriscono e di fatto alimentano il senso del possibile in un gruppo, i fallimenti possono essere ricondotti a loro volta alle relazioni e alle crisi del senso del possibile. La coesione totalitaria, che può essere ritenuto un efficace specializzazione dell'adesione al compito, può essere un'intrusione autodistruttiva per ragioni diverse e molteplici. Alla base del suo fallimento agisce forse il conformismo e la sua propensione a generare reificazione. Il fenomeno della reificazione può essere inteso come una triplice dimensione: intersoggettiva (nel rapporto con gli altri); oggettiva (nel rapporto con il mondo); soggettiva (nel rapporto con se stessi). Fare di se stessi, degli altri fenomeni della vita, degli oggetti, delle cose da osservare e da produrre, delle cose che finiscono per porsi immodificabili, è ciò che la reificazione produce. In un recente contributo di Axel Honneth, sostiene che la reificazione è intesa come perdita di riconoscimento e perciò, come caduta della possibilità di conoscere il legame fra la nostra azione creativa e responsabile e gli effetti di quell'azione nelle relazioni e nel mondo. La negazione dell'incertezza può essere considerata una causa del fallimento dei gruppi. La rimozione e la negazione del conflitto nei gruppi, provoca l'allucinazione di voler creare cooperazione senza confronto. Ciò svuota di senso il legame e le relazioni e genera conformismo e carenza o assenza di creatività ed innovazione, fattori che possono divenire causa di disgregazione del gruppo, dell'istruzione o della società. Secondo Nash per trovare una cooperazione tra gruppo, l'unica possibilità è il gioco dove viene a instaurarsi una sorta di cooperatività, un punto di equilibrio. Nash ci vuole sottolineare che equilibrio non disegna sempre la situazione migliore e dice che diviene indispensabile chiedersi se è possibile fare qualcosa perché si realizzi un equilibrio diverso? Rilevante a tal fine è il ruolo delle regole e la loro dimensione più o meno vincolante. Le regole possono essere vincolanti per diverse ragioni: perché assumono un fondamento divino o perché sono decise dai membri del gruppo. Nel secondo caso la reificazione e la naturalizzazione di quanto scelto e deciso può portare la consegna delle regole a un'istanza esterna o divina, fino a prendere i collegamenti fra il processo di creazione delle regole e la loro istituzionalizzazione. La sacralizzazione delle regole è anche la premessa alla loro trasgressione o per la loro perdita di rilevanza e significato. La tendenza istituzionalizzare le regole le trasforma in verità, fino al punto di perdere di vista il fatto che per manifestarsi la verità ha bisogno di immaginazione. Le possibilità creative e immaginative sono strettamente connesse all'autonomia e alla libertà individuali di un gruppo, pur in presenza di processi cooperativi. La pressione gruppale e quella degli stessi processi cooperativi tende attenuare o a ridurre le capacità individuali, fino a rischi di conformismo. La cultura di un gruppo passa attraverso la cultura dei singoli, ma la consapevolezza o la conoscenza dei passaggi solo in parte manifesta gli stessi attori. I passaggi da individuo a gruppo e da dentro a fuori, e viceversa, sono di particolare importanza per affrontare ogni forma di cambiamento. Per riconoscere la propria esistenza ogni gruppo ha bisogno di un altro gruppo che lo riconosca.
La cultura, che entra circolarmente nella natura del gruppo fino a divenire indistinguibile, è l'occasione, il punto di incontro da cui possono ripartirsi reificazione auto accecanti e cellule fallimentari, o ferite e discontinuità, fratture e finestre di cambiamento. Molto dipende dalla capacità di contenere ed elaborare ambiguità e conflitto. Fare esami di realtà o consegnarsi agli altri incondizionatamente. Tutto ciò rende quella del gruppo una vita in continuo sollecitata, mentre sollecitate sono le individualità, tentate costantemente all'appartenenza inclusiva e dalla differenza liberatoria. il gioco del dentro e del fuori può creare un margine, neutralizzando i confini; in quel margine si istituisce il senso del possibile: quello che rende gli individui e il gruppo stesso plastici e capaci cioè di abitare l'autonomia e la vulnerabilità allo stesso tempo. Quando gioca il gruppo si concede, o riesce a concedersi, e quindi, questo diverrà la misura della sua capacità adattativa, della sua disposizione ad ospitare il conflitto. La cooperazione di un gruppo non è garantito, ma è una possibilità emergente da un campo conflittuale. Il territorio è percepito da un gruppo come fonte di negoziazione. I cambiamenti possono partire anche dalla capacità di intuizioni in cerca di informazioni. Quando tutto appare già detto; quando i gesti e reazioni risultano scontati ancor prima di essere espressi; quando ognuno sa come l'altro si presenterà, cosa dirà o come reagirà, o, perlomeno, è certo e convinto di saperlo; in tutte e queste circostanze e in altre affini, è probabile che si sia affermato un equilibrio gruppale che gravita intorno all'assunto della saturazione. Un suo effetto analizzatore è un sentimento condiviso di improponibilità di ogni ipotesi o proposta di cambiamento: un'impensabilità dell'avvento dell'immaginazione. La saturazione si combina attraverso la ripetizione. I dettagli delle relazioni divengono confermanti e non discontinui, registrati come già scontati e già visti. È un sistema che registra ogni dettaglio senza fare distinzione e rende le informazioni continuamente conformi. La saturazione appare come l'equivalente gratificazione e soddisfacente di una dose di sostanza ben commisurata, in ragione della quale, per il tempo dell'appagamento, l'implosione immaginativa non concede tempi e pensabilità di scoperta. Quell ’appagamento e quell'implosione immaginativa possono divenire la ragion d'essere di un gruppo per la lunga durata della sua esistenza.
Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2013/03/riassunto-mente-e-bellezza-morelli.pdf
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