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AGLI ALBORI DELLA PSICOLOGIA SOCIALE
Coloro che si avvicinano per la prima volta alla psicologia non riescono a cogliere la differenza tra psicologia generale, psicologia della personalità,psicologia sociale ecc, una volta definito l’ambito di studio della psicologia sociale risulta difficile capire cosa la renda diversa da una disciplina affine come la sociologia. Triplett nel 1897 notò che i campioni di nuoto o di ciclismo raggiungevano tempi diversi se si allenano da soli rispetto a quanto partecipano ad una gara,la qualità della prestazione era migliore se l’individuo era impegnato in una competizione o aveva un pubblico davanti. Triplett cerco di analizzare come gli altri potessero influenzare l’esecuzione di un compito impostando il primo esperimento di psicologia sociale.
Campione di bambini di età scolare a cui veniva assegnato il compito di avvolgere più rapidamente possibile delle lenze da pesca intorno ai rocchetti. Vi erano due misurazioni nella prima i bambini si trovavano in gruppo nella secondo i bambini eseguivano il compito da soli. Dai risultati emerse che i bambini sono più accurati e rapidi se si trovano insieme ai loro compagni. Questo fenomeno e definito Facilitazione sociale ovvero l’influenza degli altri sulle prestazione e sul comportamento individuale. Gli individui influenzano non solo quando quanto compiono contemporaneamente la stessa azione (co-attori) ma anche quando sono semplicemente presenti (pubblico). Questi esperimenti hanno portato a risultati contrastanti in quanto se è vero che da un lato la presenza degli altri influenza positivamente la nostra prestazione (es della lenza) dall’altro lato nel caso in cui l individuo deve imparare una lista di persone il pubblico può dar vita ad inibizione sociale. Zajonc riuscì a dar conto a queste contraddizioni attraverso un principio che deriva dalle teoria delle pulsioni di Hull-Spence secondo cui l’eccitazione favorisce la produzione di risposte dominanti ovvero quanto si ha un attivazione fisiologica si tende a mettere in atto la prima risposta che compare per Zajonc il pubblico con la sola presenza crea negli individui un stato di eccitazione (arousal).
In questo quadro bisogna analizzare anche l’impatto del compito esistono:
Se il compito è semplice come avvolgere una lenza la presenza degli altri facilita la prestazione, se il compito è difficile come imparare una lista di parole si riesce meglio da soli in quanto la presenza degli altri sviluppa inibizione sociale. Si può quindi affermare che la presenza degli altri(la folla) produce aumento del respiro,una tensione muscolare e un innalzamento della pressione e del battito cardiaco, può quindi portare a risposte giuste o a riposte sbagliate. Per Zajonc inoltre la presenza degli altri facilita la prestazione solo di coloro che sono preparati nel proprio ambito in quanti la loro riposta dominante sarà per forza quella corretta mentre le persone non preparate si troveranno di fronte ad un compito complesso . Sono state fornite altre interpretazioni tra cui quella di Cottrll Nickolas, il quale suggerisce che avere delle persone che ci osservano ci porta ad essere apprensivi a porci il problema di come ci stanno valutando, quest’apprensione per la valutazione provoca arousal. L’interpretazione di Cottrell spiega perché:
Secondo Baron invece l’eccitazione è dovuta al fatto che la presenza degli altri creerebbe un conflitto tra la motivazione a prestare attenzione al pubblico perché se ne teme il giudiziose e la motivazione a prestare attenzione al compito. Ci si può aspettare un peggioramento della prestazione causato dall’impossibilità di tenere sotto controllo l’attenzione sia per lo sforzo che creando arousal porta alla facilitazione delle risposte dominanti. Zajonc analizza che la sola presenza degli altri produce arousal anche quando non vi è una valutazione ad esempio nella preferenza dei colori si è più decisi se sono espressi in gruppo anche se non esistono risposte
giuste o sbagliate, allo stesso modo chi fa jogging in compagnia avrà una prestazione più elevata anche se non vi è competizione si parla quindi di meccanismi a base innata.
Un gruppo non ha solo il potere di sviluppare uno stato di prontezza all’azione e di eccitazione ma far si che le persone mettano i atto comportamenti che non produrrebbero se fossero soli in quanto attraverso il gruppo si perde il senso della responsabilità individuale .Le bon noto che la folla trasmette le emozioni di uno agli altri, a seguito di un contagio sociale vengono compiute collettivamente azioni che nella vita di tutti i giorni sarebbero inaccettabili, tale meccanismo fu definito da Festinger,Pepitone e Newcombe Deindividuazione.I teppisti se sono in gruppo si abbandonano ad atti di vandalismo che non riuscirebbero a commettere da soli, i processi di deindividuazione fanno si che gli individui perdano i normali freni inibitori e che le loro identità personali vengano rimpiazzate da un identificazione con gli scopi e con le azioni del gruppo, la possibilità di far parte di una folla anonima rende i singoli individui non identificabili tale situazione non solo crea eccitamento ma porta anche una diffusione di responsabilità.
La perdita della propria responsabilità fa si che le persone si impegnano poco e cerchino di lavorare di meno se vengono coinvolte in un lavoro di gruppo dove bisogna raggiungere uno scopo comune in quanto gli sforzi individuali non possono essere riconosciuti. Max Ringelmann descrive questo fenomeno definito da Latanè Williams e Harkins con il termine inerzia sociale (Social loafing) : a dei soggetti veniva chiesto di tirare una corda quanto più potevano in due situazioni la prima da soli la seconda in gruppo si noto che mentre nel lavoro singolo gli individui producevano uno sforzo pari ad 85 kg se invece si trovavano in gruppo lo sforzo era pari a 65 kg a persona, tale misura decresceva se il numero del gruppo aumentava, e quindi riscontrabili nei compiti additivi ( quelli in cui l’efficienza del gruppo dipende dalla somma degli sforzi individuali) una relazione inversamente proporzionale tra il numero di persone che compongono il gruppo e le prestazione dei singoli.
In conclusione se le persone lavorano in ruppo ma hanno scopi individuali l’influenza degli altri si esprime n termini di facilitazione sociale se porta un miglioramento o in termini di inibizione sociale, quando invece le persone fanno parte di un team dove gli sforzi individuali non sono valutati scatta l’effetto Ringelmann.
Gli studiosi non erano interessati alla percezione, all’attenzione alla memoria ambiti principalmente affrontati dalla psicologia generale ne vi era interesse per le differenze individuali ne verso i percorsi di sviluppo in realtà le differenze non sono così chiare in quanto gli studi sul pregiudizio tematica tipica della psicologia sociale si avvalgono dell’analisi e del ruolo che le differenze individuali e le strutture di personalità possono avere sugli atteggiamenti discriminatori, anche gli stili di leardship non sono più studiati solo come dinamiche interne ai gruppo sociali ma come influenzati dal modo in cui si è strutturata la personalità dei singoli individui. Come sostiene Allport la psicologia sociale si pone il tentativo
di comprendere e spiegare come i pensieri, i sentimenti e i comportamenti degli individui siano influenzati dalla presenza reale o immaginata degli altri esseri umani, si fonda sullo studio delle modalità attraverso le quali avviene l’articolazione tra il mondo psichico e quello sociale, non a casa i primi due manuali di psicologia sociale enfatizzano l’uno il versante psicologico del sociale l’altro il peso che anno gli aspetti sociali sull’assetto mentale dell’individuo i due manuali sono:
I due manuali finiscono con il configurarsi come due anime distinte della psicologia sociale :
Agli inizi nel 900 risulta difficile distinguere la psicologia sociale dalla sociologia vera e propria pertanto sono proprio le idee dei primi sociologi tra cui Small e Sammer a far da sfondo alla psicologia sociale malgrado la presa di distanze molto chiara dei padri della sociologia Durkheim e Weber.Cosi come è difficile se la scuola di Chicago che concentra il suo interesse sulle dinamiche di gruppo sia da collocare in un ambito piuttosto che in un altro. In maniera definitiva la psicologia sociale si configura secondo la definizione di Allport: Non esiste una psicologia dei gruppi che non sia essenzialmente una psicologia dell’individuo, la psicologia sociale non deve essere contrapposta alla psicologia dell’individuo in quanto essa è parte stessa della psicologia dell’individuo dove viene indagato il comportamento in relazione al suo ambiente. Il contesto sociale determina il comportamento degli individui in questa prospettiva viene rifiutata l’esistenza di una mente collettiva separata dalla mente degli individui. Durkheim nel riprendere l’opposizione tra individuale e collettivo mostra un totale disinteresse per la dimensione psicologica dei fatti, e formula il concetto di Rappresentazioni Collettive con il quale indica idee che non hanno più niente a che fare con gli individui che le hanno prodotte operando una netta demarcazione tra Rappresentazioni individuali (oggetto degli studi psicologici) e Rappresentazione collettive (oggetto degli studi sociologici). Il mondo sociale è visto come qualcosa che trascende lo psichico, per cui le rappresentazioni collettive sono:
Le somiglianze e le divergenze tra psicologia ,sociologia e sociale sono da ricondurre ad un determina clima culturale ad un contesto sociale e a situazioni politiche che alla fine del 800 influenzano le discipline spingendole a porsi come luogo in cui devono essere affrontati i problemi sociali di quel periodo. In Europa l’industrializzazione aveva dato spazio alle masse dei lavoratori dando vita a scioperi e manifestazioni che costituivano una minaccia per l’ordine sociale, prima dell’affermarsi della psicologia sociale molti intellettuali cercarono di analizzare i comportamenti collettivi, lo stile dei capi ovvero lo studio della folla. Le bon analizza il comportamento della folla sottolineandone il carattere distruttivo e di minaccia in quanto, la folla viene vista come il luigo dove si manifestano irrazionalità , emotività e passioni inconsce che vengono tenute a freno dagli individui nella vita di tutti i giorni. Da una parte l’influenza sociale è vista come la suggestione ovvero un meccanismo che fa saltare i freni inibitori e fa emergere ciò che non è accettabile si tratta di una visione data da Charcot e Bernheim, la suggestione veniva usata alla pari dell’ipnosi come modalità diagnostica e terapeutica delle malattie mentali per la sua capacità di abbassare la coscienza del paziente per far emergere aspetti primitivi. L’altro modello più medico paragona l’influenza sociale al contagio, l’agitazione e le emozioni delle folle vengono interpretate come una malattia infettiva dovutaad
un contagio mentale. Le bon pone l’enfasi sulle motivazione degli individui, sul ruolo che giocano le emozioni sul comportamento individuale ed in particolare il posto che occupa l’imitazione del comportamento.
La psicologia sociale psicologia finisce per prevalere sulla psicologia sociale sociologica in quanto pone grande enfasi sulla sperimentazione e su paradigmi scientifici che interpretano l’intersezione tra individuale e sociale ponendosi sulla scia della psicologia generale ma con un suo specifico terreno d’indagine, al contrario la psicologia sociale sociologica riduce sempre di più lo spazio di confine che la divide dalla sociologia e dalle scienze sociali.
L’interazionismo simbolico a cui fa capo Mead pone l’attenzione sull’importanza del gruppo nel determinare il significato che i singoli attribuiscono alla vita sociale in questo approccio il comportamento umano viene interpretato come determinato non dagli stimoli in se ma dal modo in cui si trasformano a seguito dell’interazione sociale in simboli( ad esempio: un certo modo di vestirsi avrà un significato diverso a seconda del contesto sociale e dei simboli di cui si caricherà)
Mead nel suo Mind Self and Society mostra l’identità personale( il self) e le concezioni su come gli altri vengono costruite attraverso l interazione sociale , per un adolescente essere visto come leader o come deviante nel suo gruppo d’appartenenza contribuisce a costituire un tessuto di significati che vengono assegnati da lui stesso e dagli altri al suo comportamento. Mead ipotizza un confronto tra il proprio punto di vista e quello degli altri analizzando questo rapporto non solo in termini di interazione con altri ma anche con un altro generalizzato inteso come astrazione tutto ciò permette all’individuo di costruire nella sua mente un punto di vista sociale che andando oltre l’opinione dei singoli costruisce un oggettività sociale che consente di individuare con chiarezza la propria situazione personale. Gli approcci della psicologia sociale sociologica si evolvono in modelli di tipo fenomenologico e si basano su verifiche empiriche per tanto sono considerati poco attendibili e scientifici da parte degli psicologi, tali modelli vengono utilizzati da quella che viene considerata la psicologia sociale, la quale si basa sulla descrizione dei processi mentali individuali. Il maggior successo della psicologia sociale psicologica e da ricondurre al taglio individualista più in linea con i paradigmi teorici e metodologici della psicologia generale che andava affermandosi negli Stati Uniti nel 900.
Wundt nel 1878 fondò il primo laboratorio di psicologia sperimentale segnando così la nascita della psicologia generale intesa al pari di altre discipline come la fisiologia o la chimica. Le ricerche si svolgevano in un ambiente controllato dove Wundt chiedeva ai soggetti di riferire le sensazioni provate di fronte alla manipolazione di alcuni stimoli specifici ricorrendo all’introspezione evitando ragionamenti e giudizi. L’enfasi veniva posta sulla struttura della mente, intesa non come totalità ma come singoli elementi e fatti di coscienza all’interno di un approccio che fu definito chimica mentale. Occupandosi di psicologia sociale Wundt noto solo l’aspetto da ricondurre alle scienze sociale in quanto le tematiche non potevano essere affrontate con i metodi delle scienze naturali. Nella Psicologia dei popoli (Volkerpsychologie) la mente viene analizzata nelle sue manifestazioni esterne, nei prodotti collettivi studiati in diverse condizioni storiche e socioculturali secondo un ottica centrata sulla psicologia delle comunità (Volk) e non sull’individuo cosi i miti, i costumi, il linguaggio sono intesi come il frutto delle interazione tra gli individui e non riconducibili alla conoscenza individuale.
Il comportamentismo come altri paradigmi prendevano le distanze dall’introspezionismo e dal modello della psicoanalisi che tra la fine dell’800 e gli inizi del 900 da conto essenzialmente dell’individuo ma lascia spazio alla considerazione del comportamento delle masse. Il fondatore della psicoanalisi e Freud il quale si differenzia dai modelli psicologici tipici del 900 in quanto considera la comprensione della vita conscia dell’uomo come subordinata alla comprensione della sua vita psichica inconscia riprendendo concetti già proprio della cultura filosofica e scientifica delll’800 come la soglia di coscienza sviluppata da Herbart che riprendendo la
concezione di inconscio di Leibniz ipotizzo un interscambio tra i contenuti inconsci della psiche (sotto la soglia) e i contenuti cosci (sopra la soglia).Freud tuttavia viene collegato in un processo di revisione infatti rivendica un eziologia a base psicologica per alcuni disturbi mentali contraddicendo quanto affermato dagli psichiatri dell’epoca che riconducevano le malattie mentali a lesioni organiche e che consideravano sintomi come l’isteria e la psiconevrosi non degni di considerazione. Freud si inserisce in un approccio che era proposto da Charcot e Janet i quali proponevano come metodo diagnostico e terapeutico l’ipnosi e la suggestione, l’ipotesi da cui partivano e che si poteva avere una remissione dei sintomi se i pazienti venivano portati al di sotto della soglia di coscienza e che se ricevevano degli ordini appropriati riuscivano a liberare quelle forze inconsce che determinavano fobie e paralisi. Freud costruisce la psicoanalisi la cui nascita può essere collocata a Vienna tra il 1892 e il 1897 anno in cui termina di mettere a punto il metodo delle libere associazioni per la cura delle psiconevrosi, tale tecnica vede Freud passare dall’uso dell’ipnosi a quello della suggestione a quello dell’insistenza fino ad arrivare alla decisione che sarà il paziente a comunicare al terapeuta tutto cio che gli passa per la mente (pensieri,fantasie,sogni eventi) procedendo per libere associazioni nell’ipotesi che i contenuti inconsci che originano le malattie possano emergere e consentire cosi all’energia psichica di scaricarsi portando la remissione dei sintomi.
La Libido: Freud ipotizza che negli esseri umani esistano delle forze pulsionali sconosciute alla coscienza ne determinano il comportamento. Queste sono il risultato di un accumulo di energia psichica detta libido che se non viene scaricata provoca una tensione dolorosa, il mettere in atto un comportamento va quindi collegato al bisogno dell’individuo di scaricare l’energia accumulata per tanto è determinato da forze psichiche inconsce che sono regolate da due leggi:
Questa continua lotta tra bisogni e desideri inconsci da un lato e la loro attuazione nella realtà dall’altro e regolata dalla struttura della personalità che è formata da tre istanze:
Il modello psicoanalitico prevede una seri di meccanismi di difesa inconsci che preservano l’integrità dell’Io difendendolo dagli attacchi dell’Es ad esempio si possono frenare le pulsioni aggressive trasformandole in attività accettabili.
Per Freud la personalità si sviluppa attraverso 5 fasi:
In riferimento al rapporto tra l’individuo e la società per Freud esiste un continuo conflitto tra vita individuale e vita sociale sostiene che l individuo alla nascita è caratterizzato da una sessualità perversa e che con la maturazione gli individui sono spinti alla specie attraverso 2 pulsioni Eros e Thanatos a realizzare comportamenti che permettano la perpetuazione della specie.
Eros e Thanatos : Da una parte l’eros che rappresenta la pulsione erotica dall’altra il thanatos che rappresentando la pulsione aggressiva permettere agli individui che si sono riprodotti di lasciare posto alla nuova generazione. La vita individuale è quindi dominata da pulsioni sessuali ed aggressive che spingono ad una competizione feroce, tali pulsioni devono essere controllate da leggi e sanzioni date dalla società in modo da regolare la competizione tra gli individui. Il super- io e visto come quell’istanza della personalità che incorpora a livello inconscio sia al livello conscio l’insieme delle norme sociali che regola le pulsioni sessuali ed aggressive.
Più complicata è l ‘interpretazione delle motivazioni inconsce che portano gli individui ad unirsi ai gruppi sociali, per Freud la socialità o meglio l’ingresso in un gruppo è generato da conflitti di tipo edipico generati la pulsioni incontrollate dall’Io e dal Super-Io, tuttavia il focus della psicanalisi è rivolto all’individuo, il modello psicanalitico è stato utilizzato dal gruppo di Berkeley ( Adorno- Brunswik – Levinson – Sanford) che iniziarono una ricerca partendo dall’ipotesi che il pregiudizio è un problema di personalità, il modo in cui un individuo viene cresciuto dai genitori da luogo alla personalità diverse e quindi ad eventuali esiti pregiudiziali cosi se un bambino viene cresciuto da genitori severi che lo costringono a conformarsi alle norme sociali svilupperà una ostilità nei loro riguardi, ma l impossibilità di ritorsione verso i familiari prodotta energia negativa che sarà scaricata su individui più deboli, il bambino sarà eccessivamente rispettoso verso la figura del genitore ma svilupperà un atteggiamento ostile verso coloro che appartengono ad altri gruppi si sviluppa la cosiddetta Personalità Autoritaria.
Della sindrome autoritaria fanno parte :
Correlati a questa personalità troviamo la tendenza a sviluppare pregiudizi antiebraici, o ad essere etnocentrici.
Il pregiudizio è visto non solo come risultato di una personalità distorta ma anche con un pattern costituito da un adesione incondizionata verso tutto ciò che è convenzionale odiando tutto ciò che e percepito come disturbo dell’ordine.
COMPORTAMENTISMO E STUDIO DEL SOCIALE
Il comportamentismo si sviluppa a partire dal 1910 attraverso le tesi di Watson e Skinner secondo questo modello, l’individuo alla nascita è una tabula rasa sulla quale le influenze ambientali hanno la possibilità di incidere per tanto la psicologia cercherà di indagare sulle condizioni che determinano il comportamento. Per i comportamentisti il comportamento umano deve essere spiegato attraverso delle catene casuali di stimoli e risposte il comportamento è quindi la risposta a uno stimolo secondo un modello semplice di connessione stimolo risposta (S-R) lo scopo è quello di dare obbiettività alla psicologia di spingerla verso procedure controllabili al fine di conferirle lo statuto di scienza pari all’anatomia o alla fisiologia, per questo l’unico metodo accettabile è la sperimentazione in laboratorio attraverso l’osservazione diretta dei comportamenti e della loro modificazione riconducibili a due meccanismi uno di tipo associativo e l’altro che fa leva sui rinforzo. Pavlon sviluppo il condizionamento classico il cui obbiettivo era quello di associare ad uno stimolo incondizionato(cibo) uno stimolo condizionato (campanella) al fine di avere una risposta condizionata simile ad una risposta incondizionata, le sue ricerche si centrarono sui cani egli noto come i cani posti di fronte al cibo aumentavano la loro salivazione cosi accosto al cibo uno stimolo neutro come il suono della campanella dopo vari tentativi i cani cominciavano a sviluppare una risponda condizionata ovvero la salivazione al solo suono della campanella anche senza la presenza del cibo al contrario di Pavlon Skinner sviluppo in condizionamento operante analizzo che una risposta casuale viene ripetuta se ad essa viene associato uno stimolo gradevole (rinforzo positivo) mentre viene estinta se accostato uno stimolo sgradevole (rinforzo negativo) l’apprendimento avviene attraverso tentativi ed errori. L’esperimento di Skinner avviene all’interno di una Skinner Box dotata di una leva che pressata erogava del cibo l’animale era libero di circolare nella gabbia in modo che abbia la possibilità di incontrare casualmente la leva dopo vari giri il topo comincia a premere la leva per caso facendo cosi cadere il cibo, cosi il topo apprende il comportamento e preme la leva di proposito per mangiare, il cibo in questo caso si pone come un rinforzo positivo che inizialmente viene messo in atto per caso ma che viene riprodotto in quanto appreso, tale condizionamento fu definito da Skinner operante in quanto e basato sull’agire e sull’operare.
Gli psicologi sociali era d’accordo con l’idea che il comportamento è influenzato da stimoli esterni e quindi con le teorie S-R in particolar modo con l’opera di Allport basata su una metodologia di laboratorio il cui obbiettivo era far accettare la psicologia sociale come vera scienza sia da parte della psicologia generale sia dalle altre discipline in questa prospettiva l’’ambiente sociale e analizzato come frammentato per tanto le azioni del gruppo non vengono considerate la somma delle azioni dei singoli individui mentre l’individuo viene visto come reale il gruppo essendo basato sulla relazione tra gli individui viene visto come pura astrazione non esiste quindi una psicologia dei gruppi che non sia una psicologia degli individui. Gli psicologi sociali spiegano il cambiamento degli atteggiamenti sulla base dei principi del rinforzo e dell’associazionismo secondo il condizionamento classico o operante per cui se ad un luogo viene associata una esperienza positiva avranno un atteggiamento positivo per cui trasferiranno le loro emozioni da un evento ad un altro se invece hanno ricevuto una punizione si tenderà a rifiutare la persona o l’evento negativo. Il funzionamento della pubblicità può essere spiegato in questi termini per far cambiare atteggiamento su u prodotto questo viene accostato con una situazione piacevole e rilassante oppure vengono offerti piccoli doni se lo si acquista, cosi le persone vengono condizionate ed apprendono l’atteggiamento più conveniente per i venditori cosi i mass media mostrano automobili guidate da belle ragazze o biscotti uguali ma consumati da allegre famiglie mentre nei supermercati vengono promessi regali e viene trasmette una musica rilassante che induce sensazioni piacevoli che saranno collegate ai prodotti. Anche la semplice esposizione a uno stimo può far si che venga giudicato piacevole secondo l’effetto esposizione (mere exposure effect) la ripetuta esposizione a uno stimolo che sia uno spot pubblicitario o un presentatore o un polito ne innalza il fascino e l’appeal cambiando l’atteggiamento in positivo verso di esso per provare questo effetto Zajonc ha mostrato a degli studenti delle fotografie di volti alcune per 25 volte altre per uno o due e noto che più un volto era proposto più era definito gradevole tuttavia le nostre valutazioni possono essere influenzata anche da stimoli subliminali. Nel 1957 fu condotta una campagna di persuasione subliminale durante la proiezione di un film venivano proiettate sullo schermo per una frazione di secondi frasi come “mangia pop-corn” “bevi coca-cola” questi messaggi
subliminali hanno prodotto un aumento del 18% nelle vendite di bevande e del 50 % nella vendita dei pop-corn da altri studi è emerso che se una marca veniva associata in via subliminale a immagini positive il giudizio positivo si trasferiva per un periodo lungo alla marca sponsorizzata inoltre le persone preferiscono stimoli che hanno visto più spesso in quanto il vedere spesso una persona o un oggetto porta a un loro riconoscimento e a ritenerli familiari e vengono percepite più simili a se stessi tuttavia l’effetto esposizione ha i suoi limiti in quanto è vero che la gradevolezza dello stimolo aumenta con la familiarità ma nel caso in cui esiste una valutazione negativa precedente l’esposizione non porta ad un cambiamento, esiste un livello ottimale di esposizione in quanto la sovraesposizione produce noia e atteggiamenti negativi Gorn e Goldberg hanno trovato che uno spot di un gelato era gradito ai bambini se veniva visto 3 volte mentre non produceva effetto positivo se era proiettato o troppo poco 1 volta o troppo
5 volte. La pubblicità utilizza i principi dell’esposizione della sovraesposizione e della persuasione subliminale cosi prima un spot viene proposto in tv e sui giornali per renderlo familiare dopo viene sospeso per evitare il fastidio o un eccesso di esposizione. Per i comportamentisti gli atteggiamenti politici possono essere spiegati attraverso processi irrazionali che si possono apprendere con gli stessi meccanismi utilizzati per altri apprendimenti come l’associazione il rinforzo o l imitazione secondo quest’ottica gli atteggiamenti si formano sulla base di processi che fanno leva sul trasferimento di emozioni e affetti da un oggetto ad un altro che non hanno niente a che fare con meccanismi cognitivi come la valutazione o la capacità di considerare diversi punti di vista per verificare il distacco dai meccanismi cognitivi Irving Lorge he condotto un esperimento :
Ne è emerso che il grado d’accordo con l’affermazione dipendeva dai soggetti a cui era attribuita, la stessa frase poteva avere un atteggiamento positivo se attribuita a jefferson ed un atteggiamento negativo se era attribuita a lenin per Lorge la risposta degli individui alle ideologie politiche e totalmente cieca e dipende dalle associazione che vengono fatte in maniera passiva con degli elementi che non hanno niente a che fare con il contenuto di ciò che si valuta. Questo approccio e in linea con quello spiega come l’incremento di vendite di un prodotto se viene associato ad attori o atleti famosi. Alcuni anni dopo Solomon Asch diede un interpretazione diversa dell’esperimento di Lorge mostrando che è vero che le persone cambiano atteggiamento in funzione della persona che ha detto o fatto qualcosa ma non per un cieco associazionismo ma perché la persona che viene associata all’oggetto cambia il significato globale dell’oggetto stesso Asch invoca il meccanismo cognitivo-percettivo che secondo la Gestalt regola la percezione del mondo inanimato e cha si che non reagiamo ai singoli elementi ma ad un campo nella sua totalità che fornisce significati alle singole parti, e allo stesso tempo un singolo elemento può cambiare l intera figura x Asch gli atteggiamenti e le ideologie politiche sono guidati da credenze e ragionamenti sulla validità e autorevolezza di chi cerca di modificare il nostro atteggiamento e a allo stesso tempo fornisce un significato preciso alla situazione. Noto inoltre che nell’esperimento di Lorge i soggetti solo apparentemente erano esposti alla stesso stimolo in quanti in realtà le frasi venendo attribuite ad autori diversi cambiavano l’intero stimolo infatti i soggetti non reagivano al significato delle parole ma a chi le ha pronunciate, cosi Asch replico l’esperimento e chiese ai soggetti non solo di esperire il grado di accordo come le affermazioni ma di scrivere che cosa secondo loro significano ne emerse che la stessa frase se era associata a Lenin sviluppava l’idea di una rivoluzione violenta se invece veniva associata a Jefferson si sviluppava un significato diverso in termini di cambiamenti delle idee politiche.
L ottica comportamentista e stata utilizzata per studiare l ‘aggressività la quale viene ricondotta dagli psicologi alle influenze ambientali ed al cattivo esempio degli altri, il compito della società è quello di educare l’essere umano attraverso rinforzi positivi come premi e voti o
rinforzi negativi come le punizioni verso condotte accettabili far si che gli individui seguano le norme morali e le regole della società Gli adulti plasmano il comportamento umano attraverso l’effetto modeling o meglio modellamento un bambino alla nascita e visto come se fosse argilla ovvero che abbia la capacità di assumere qualsiasi forma. Gli psicologi sociali si resero che non è possibile misurare il comportamento senza considerare i sentimenti e le percezioni, gli stimoli vengono letti uno dopo l'altro e la loro influenza è mediata dal modo in cui vengono interpretati dagli individui o dai gruppo. A partire dagli anni 40 si sviluppa la social learning theories (l’apprendimento sociale che include nell’analisi dei fenomeni la considerazione delle variabili tra stimolo e risposta, la mediazione dell’organismo nel decodificare gli stimoli secondo un modello che viene detto stimolo-organismo-risposta. Per Bandura l apprendimento non avviene solo tramite il condizionamento classico ed operante ma anche attraverso l’imitazione che sua basa sull’osservazione del comportamento altrui come modelli da imitare producendo quindi l’effetto modeling nei suo esperimenti prova che l imitazione e più operante se l’organismo è in uno stato di frustrazione per non aver raggiunto uno scopo. Una persona attraverso l’osservazione può ricavare delle regole generale quindi subire un modellamento astratto. Nell’apprendimento sociale può avere un ruolo importante il rinforzo quando si pone come rinforzo vicariante cioè un rinforzo che viene associalo al comportamento e non più alla risposta del soggetto ad esempio un ragazzo osservando il comportamento di un idolo ne può ricavare la convinzioni che quel comportamento e desiderabile in quanto porta a diventare famosi, la desiderabilità sociale diventa co si un rinforzo del modello anche l’aggressività e vista come il risultato dell’imitazione in quanto assistere ad un atto violento implica un apprendimento che portano un imitazione immediata. In un esperimento chiamato Bobo Doll vennero formati 3 gruppi di bambini ad uno fu data la possibilità di guardare un adulto che picchiava la bombola di gomma (bobo doll), un altro vedeva un adulto che giocava tranquillamente con dei giocattoli mentre il terzo gruppo era lasciato libero di giocare senza assistere ad alcune evento, nella seconda fase i bambini erano sottoposti ad un evento frustante (togliere un giocattolo) ed infine nella terza fase i bambini furono introdotti in stanze con diversi giochi tra cui la bobo doll i bambini del primo gruppo si scagliavano con violenza non solo contro la bambola ma con tutti i giocattoli indirizzando atti di violenza a cui non aveva assistito in precedenza sviluppando quindi una violenza più generalizzata e non imitativa mentre i bambini degli altri 2 gruppi sono aggressivi in maniera inferiore. Bandura esplora le connessioni tra realtà e fiction e le differenze derivante dal vedere una violenza premiata o punita anche in questo esperimento i bambini erano divisi in 3 gruppi il primo vedeva una persona dal vero, il secondo una filmata e il terzo una persona travestita da un personaggio dei fumetti che si scatenavano contro la bobo doll, il modello piu imitato fu quello costituito dalla persona filmata in un altro esperimento venivano mostrati episodi di violenza premiata ed altri puniti i soggetti imitavano i comportamenti che erano stati premiati. Le condotto antisociali sarebbero indotte dall’imitazione di modelli violenti cosi figli che hanno genitori aggressivi saranno aggressivi in quanto la punizione se da un lato fa si che i figli smettano di mettere in atto un comportamento contemporaneamente forniscono un modello di aggressività. Bandura pone il problema dei rapporti tra violenza e media in particolare tra aggressività e tv e l'influenza che quest'ultima ha sul comportamento aggressivo . Negli stati Uniti i bambini trascorrono circa 3 ore e mezza a davanti la tv in questo tempo vedono 33 azioni violente Huesmann ed Eron analizzando le reazioni di un gruppo formato da 22enni notaro che se i soggetti avevano assistiti a scene violente intorno agli 8 anni risultavano tra coloro che prima dei 30 anni era condannato per qualche crimine violento tuttavia questi studi non provano che la televisione o i film sono la causa principale ed unica delle violenze mostrano solo un loro incremento. Berkowit mostra che il solo vedere delle armi attiva pensieri aggressivi e abbiano quindi un effetto scatenante, molte volte vedere scene di violenza porta ad attenuare le nostre percezioni sviluppando quindi una desensibilizzazione che porta all'indifferenza. Cline Crofs e Crourrier hanno mostrato che i ragazzi che assistono alla violenza in televisione mostrano segni di attivazione fisiologica quando guardano un incontro di pugilato allo stesso modo vedere al cinema scene di stupro porta ad essere indifferenti nei riguardi delle donne. Passare molto tempo davanti la televisione porta anche a credere che il mondo reale sia identico a quello rappresentato nella finzione e siccome le violenze rappresentate sono maggiori, le persone sono portate ad immaginare i luoghi come pericolosi hanno paura di essere vittime di assalti ed aggressioni. L’influenza dei film può essere ricondotta ad un meccanismo eccitatorio di base ovvero, non sarebbe lo spettacolo violento a causare la violenza ma bensì l’arousal
ovvero l’eccitazione.Secondo la teoria dell’attivazione-dislocazione di Zillmann qualsiasi sia la fonte dell’attivazione questa può essere trasferita ad altre cause ad esempio se dopo aver visto un film violento riceviamo una provocazione si avrà una reazione più violenta. Per bandura la frustrazione è lo stato mediatore tra imitazione e aggressione per Dollard la frustrazione e l’evento scatenante del comportamento aggressivo intendendo la frustrazione come qualcosa che deriva dall’impossibilità di raggiungere i propri scopi. Siamo parlando della Teoria della frustrazione aggressività formulata da Dollard che cercava di coniugare le interpretazioni freudiane dell’aggressività con i presupposti delle teorie dell’apprendimento animale Freud sostiene che i processi di socializzazioni implicano un accumulo di frustrazioni in quanto essere costretti da bambini ad essere totalmente dipendenti dalla proprio madre e dover reprimere i propri bisogni corporali produce frustrazione che si traduce in energie negativa che si tramuta in aggressività cosi è stato sperimentato che se a dei topi venivano somministrati degli shock elettrici questi assumevano una postura di attacco aggredendo gli altri topi allo stesso modo gli essere umani rispondo alla frustrazione dei loro desideri con una rabbia cieca e irrazionale con un impulso incontrollabile a commettere aggressioni, per Dollar il legame frustrazione- aggressività può essere regolato da due meccanismi:
Molte volte l’aggressività non è diretta verso la fonte della frustrazione ma verso bersagli più sicuri, più deboli o addirittura verso se stessi. Dollard prende in considerazione un aggressività di natura impulsiva una violenza che e determinata da precursori che non sono sotto il controllo dell’individuo le prove sperimentali che confermano questa teoria sono diverse tra cui la macchina per la somministrazione degli shock (shock-learning technique) messa a punto da Buss nell’esperimento dei soggetti erano convocati per lo studio sugli effetti delle punizioni sull’apprendimento vennero somministrate scosse elettriche d’intensità maggiore ogni volta gli allievi sbagliavano le risposte naturalmente sia gli allievi che le scosse erano falsi ma colore che agivano come insegnati credevano fosse tutto vero. La misura dell’aggressività era data dall’intensità degli shock e dalla resistenza dei soggetti a portare avanti l’esperimento, un esperimento che prevedeva di infliggere consapevolmente dolore ad un altro essere umano da questo esperimento emerse che se i soggetti erano stati prima insultati infliggevano più shock e per un periodo più lungo . La connessione frustrazione-aggressività e stata riscontrata anche degli studi di Hovland e Sears dove le frustrazioni derivate da depressione economica portava uno spostamento di rabbia e una ridirezione del comportamento aggressivo da fonti non facilmente identificabili a quelle fasce più deboli della popolazione come è avvenuto negli tati uniti tra il 1882 e il 1932 la depressione economica aveva portato un aumento del pregiudizio nei riguardi della popolazione nera, i pregiudizi potevano aumentare a seguito di frustrazioni indotte artificialmente. Tuttavia il modello di Dollard è stato criticato da Berkowitz il quale sosteneva che qualunque sentimento negativo può indurre aggressività quest’ultima non può essere ricondotta solo alla rabbia ma anche al dolore o alla paura, in esperimento mostrò che se a dei soggetti veniva indotto dolore facendo tenere le mani in acqua fredda esprimevano giudizi negativi sul lavoro fatto dagli altri mostrandosi particolarmente irritabili. Berkowitz avanza l’ipotesi che la presenza di armi promuova azioni volente causata dalla sola visione dell’’arma che porta per associazioni pensieri aggressivi e violenti effetto definito Weapon effect ne emerge il ruolo che svolgono gli stimoli segnale provvisti di connotazione aggressive anche al di la dell’umore del soggetto. Il caldo e il Freddo se eccessivi possono portare ad un comportamento violento i fratelli Anderson analizzando gli omicidi tra il 1980 e il 1982 in Texas notarono che il numero più alto di delitti era commesso nei giorni più caldi, anche i rumori forti, i cattivi odori o l’affollamento possono innescare violenza.
La teoria dell’eccitazione di Zillman sostiene che il comportamento aggressivo viene attuato prevalentemente quando un individuo si trova in uno stato di attivazione, eccitazione in quando se un individuo in condizioni di arousal (eccitazione) si ibatte in qualcuno che lo provoca e probabile che trasferisce l’eccitazione dovuta all’attivazione alla nuova condizione reagendo con maggiore aggressività. Il modello di Zillmann sostenendo che l’arousal produce sempre un emozione si mette in contrasto con la teoria di Stanley Schachter e Singer secondo cui le emozioni dipendono da come interpretiamo ed etichettiamo il nostro eccitamento , in un
esperimento dei soggetti venivano attivati attraverso iniezioni di adrenalina un gruppo era a conoscenza che le loro emozioni potevano essere causate dal farmaco ad altri fu detto che i farmaco non avrebbe avuto effetti, cosi all’interno di una camera furono introdotte due persone una che si mostrava euforica e l altra che aveva atteggiamenti ostili, mentre il primo gruppo non modificarono il loro comportamento, il secondo gruppo si mostro invece arrabbiati con la persona ostile e divertiti con quella euforica riconducendo la loro eccitazione no al farmaco ma alle le persone che si trovavano di fronte. Successivamente Zillmann noto che il comportamento aggressivo è più frequente se gli individui non hanno informazioni sul loro stato di attivazione mentre quando l individuo è consapevole della causa dell’attivazione non assiste ad un aumento dell’aggressività non si ha un trasferimento dell’emozione.
PSICOLOGIA DELLA GESTALT, COGNITIVISMO E MENTE SOCIALE
Negli Stati Uniti intorno agli anni 40 si sviluppa la Gestalt Psicologie o meglio la psicologia della forma che apre la strada all’elaborazione percettivo - cognitivo degli stimoli. La nascita vera è propria può essere collegata nel 1912 anno in cui viene pubblicato l’articolo di Max Wertheimer sul movimento stroboscopio ovvero quel movimento illusorio che nasce dalla progressione rapida di figure questa teoria fu utilizzata per spiegare i fenomeni della percezione visiva. La teoria della Gestalt ponendo l’enfasi sui fenomeni per come vengono percepiti e vissuti dall’individuo si rileva un paradigma potente per l’interpretazione di tutto l’assetto cognitivo dell’individuo principalmente rifiutano l’assetto dei comportamentisti secondo cui la mente è una tabula rasa il principio su cui si basano e che il tutto è piu della somma delle parti. Per spiegare i meccanismi della percezione della totalità vengono sviluppate 2 leggi:
I gestalisti affermano che esiste una corrispondenza di forme tra il mondo fisico e il mondo psichico una sorta di isomorfismo, gli eventi psichici che corrispondono alla percezione si una parola hanno qualcosa in comune con eventi psichici che corrispondono alla percezione di un paesaggio. La percezione e vista come una ricostruzione interna all’individuo della realtà ambientale, questa iterazione e regolata da principi organizzativi come la legge della chiusura
,somiglianza ,continuità vicinanza e destino comune.
La rigidità percettiva è la tendenza a non analizzare le singole unità che costituiscono la figura, ad esempio una volta riconosciuta una figura su uno sfondo sarà difficile percepirne una altra ( Figure Ambigue Visi-Vaso). Su questa base Kohler inizio diversi esperimenti basati sull’osservazione degli scimpanzè posti in diverse situazioni, ed evidenzia la teoria della Gestalt per ciò che riguarda il funzionamento della mente, la soluzione ad un problema o meglio il pensiero produttivo non avviene per tentativi ed errori come affermavano i comportamentisti ma attraverso un atto mentale che porta a relazionare gli elementi presenti in modo da ristrutturarli cognitivamente, cosi se uno scimpanzè veniva chiuso in una gabbia dalla quale era difficile raggiungere il cibo in quanto posto fuori lo scimpanzè afferrando un bastone dentro la gabbia risolve il problema attirando il cibo a se in questo caso si parla di Insight o meglio illuminazione la capacità di attribuire ad un oggetto una funzione diversa. In ambito sociale, la difficoltà del pensiero a modificarsi anche di fronte ad esperienze contrarie e riconducibile a un rigidità mentale che rende difficile il riconoscimento delle figure ambigue.
Lewin sviluppa invece la Teoria del campo, con il termine campo intende la totalità dei fatti coesistenti a un dato momento nella loro interdipendenza e può essere :
Secondo quest’ approccio gestalista il gruppo è qualcosa di più o meglio di diverso della somma dei suoi membri ha struttura propria e relazioni particolari con gli altri gruppi, quello che lo costituisce e l interdipendenza che può definirsi totalità dinamica, in questa definizione riecheggia un destino comune studiata gia dalla prima generazione della Gestalt da questa tradizione lewin da vita alla teoria del campo secondo cui l’oggetto di studio della psicologia non deve essere l’individuo isolato ma il raporto con l’ambiente e con le forze sociali a cui
appartiene. Lewin analizza i diversi tipi di leadership partendo dall’idea che ogni elemento inserito in un campo fa ruotare tutti gli altri elementi di conseguenza leadership diverse producono variazioni nelle relazione tra i partecipanti.
Lewin analizzo che il potere autoritario era riconducibile ad una guida troppo forte che per lungo tempo creava conflitto d’altro canto una guida debole porta confusione ed improduttività per questo afferma che il regime democratico è quello più valido in quanto fissa le regole, e basato sulla competenza ed sviluppa solidarietà tra i membri e quindi l’efficienza nella prestazione. Tra il 1935 e il 1944 Lewin mette a punto il suo approccio teorico-metodologico della ricerca-azione, la sua concezione originale permetteva contemporaneamente di fare ricerca e di intervenire nella realtà sociale.
L’approccio di Lewin consente di tener conto dal punto di vista teorico e metodologico che il comportamento e le convinzioni degli individui sono determinati dal loro modo di interpretare la realtà, sono le influenze sociali a strutturare le interpretazione e i comportamenti. Negli anni
60 gli allievi di Lewin sviluppano diverse miniteorie il loro approccio puo essere definitivo cognitivista per alcuni, l origine della social cognition ovvero lo studio dell’origine sociale della cognizione e fissata al 1946 anno in cui furono pubblicate le ricerche di Asch. Vengono inoltre studiati i meccanismi che analizzano come le persone rintracciano le cause del loro comportamento e di quello degli altri detta teoria dell’attribuzione e quello che viene detto modello della covarazione che studia le strategia mentali che portano a inferire dal comportamento degli altri le loro disposizioni stabili le loro caratteristiche personali, quella che viene detta teorie dell’inferenza corrispondente.
Neisser nel 1967 pubblica Psicologia Cognitiva proponendo una teoria che analizza il funzionamento della mente umana in termini di elaborazioni delle informazioni , vengono cosi individuati i meccanismi, le strutture, i processi che fanno da sfondo all’immagazzinamento delle informazioni in entrata e alla loro trasformazione ed organizzazione , le informazioni possono venire dai sensi, dalla memoria o dalle conoscenze. L’attività cognitiva è l’attività del conoscere, l’acquisizione, l’organizzazione e l’uso della conoscenza al contrario, la memoria o la percezione sono strumenti che permettono l’acquisizione della conoscenza. Il principio base è che la capacità di elaborare le informazioni è limitata rispetto alla quantità delle informazioni del mondo per tanto gli individui trattengono ed elaborano solo una parte degli stimoli utilizzando strategie e categorie.
Chomsky nel 1959 sviluppa un nuovo approccio allo studio del comportamento verbale, analizzando i processi mentali che portano alla capacità di parlare, che è alla base dell’acquisizione delle varie lingue del pianeta. Chomsky parte con l’analizzare il fenomeno dei bambini che durante le prime fasi dello sviluppo del linguaggio fanno lo stesso errore, usano il participio passata in maniera impropria (ho aprito /ho aperto) si tratta di un errore causato da ipercorrettismo, il bambino applica in maniera esagerata la regola questo errore mette in discussione l’ottica comportamentista secondo la quale il linguaggio viene appreso attraverso condizionamenti e rinforzi da parte degli adulti tuttavia nessun adulto si sognerebbe di incoraggiare errori come ho aprito. Chomsky individua una serie di regole che danno vita ad un dispositivo mentale a base innata il LAD. Il LAD da origine alla grammatica generativa, l’acquisizione di regole durante lo sviluppo consente al bambino di comporre un numero infinito di frasi. La capacità di parlare non deriva dall’imitazione del comportamento verbale ma al
contrario da predisposizioni innate che consentono l’acquisizione della lingua, nasce cosi la PSICOLINGUISTICA.
Miller, Galanter e Priban si autodefiniscono comportamenti soggettivi in quanto se pur partendo da una matrice comportamentista in realtà se ne allontano tentando di trovare un unità di misura che sostituisca il modello Stimolo- Risposta, si sviluppa cosi il TOTE che cerca di spiegare il funzionamento della mente umana in termini di feedback, l individuo viene visto come un elaboratore di informazioni, secondo cui:
2. Si Verificano e si organizzano le informazioni : Test
Nel costruttivismo la mente viene vista come dotata di capacità di costruzione, anche se per alcuni studiosi si tratta di un costruttivismo limitato ad un processo di assimilazione dei dati provenienti della realtà circostante mente per altri ai processi si assimilazione si accompagna una vera e propria rielaborazione delle informazioni in entrata. La psicologia sociale americana cerca di analizzare il modo in cui gli stimoli sociali sono trattati ed elaborati dalla mente umana, secondo i costruttivisti, quando un individuo elabora un informazione non la immagazzina come un unità isolata conservando la forma intatta ma al contrario la assimila in una rete di informazioni e conoscenze per tanto un nuova informazione può essere collegata a conoscenze gia possedute. Viene superata l idea della Gestalt che individua come caratteristica del pensiero produttivo solo la capacità si ristrutturare i dati ma non di modificarli.
Piaget analizza lo sviluppo intellettuale in termini di un adattamento ambientale che porta il bambino dall’ uso di riflessi ad azioni più complesse fino ad un pensiero simbolico. L’epistemologia genetica studia i problemi relativi allo sviluppo della conoscenza nella storia dell’umanità, l’intelligenza è vista come adattamento mentale che ha come fine il mantenimento di un equilibrio tra le nuove conoscenze e quelle gia possedute, le nuove conoscenze vengono assimilate negli schemi mentali, che si accomodano all’informazioni in entrata e si modificano, questo duplice processo ASSIMILAZIONE-ACCOMODAMENTO implica una continua riorganizzazione della menta che da vita alla trasformazione delle strutture e degli schemi. Gli schemi rappresenta gli organizzatori delle conoscenze costruiti prima attraverso l’azione nella fase senso- motoria poi attraverso il primo stadio dell’intelligenza, poi attaverso operazioni mentali concrete nella fase pre-operatoria e operatoria-concreta ed infine si svolge in maniera astratta e forma nel periodo del pensiero formale.
I processi di elaborazione delle informazioni possono essere vincolati da sistemi rigidi come gli stereotipi che portano ad interpretazioni errate e pregiudiziali. Gli psicologi sociali si rendono conto che il comportamento non può essere considerato solo un elaborazione di informazioni in quanto le strategie cognitive sono influenzate dalle relazioni con gli altri,dalle nostre aspettative e dall’appartenenza ad un gruppo .
Bruner concepisce il comportamento umano come guidato da scopi, piani e strutture di attuazione e da particolare importanza all’influenza della cultura sullo sviluppo mentale, secondo Bruner, a modificarsi non è solo la struttura delle informazioni ma sono i sistemi stessi di codifica a subire dei mutamenti a seguito dell’influenza del linguaggio e del pensiero. Di particolar rilievo è la sua concezione della categorie mentali per categoria, si intende il raggruppamento di duo o più oggetti diversi che sono trattati allo stesso modo, l appartenenza ad una categoria è determinata da attributi necessari e sufficienti degli oggetti, le categorie sono quindi chiare arbitrarie e basate sulla cultura.
Il processo di categorizzazione favorisce un economia cognitiva in quanto consente di andare oltre l informazione data, questo processo è reso possibile dal :
gioco il gioco del cucù è un formati in quanto è caratterizzata da una previsione da parte di entrambi i partecipanti sul comportamento da attuare e da una ritualizzazione ovvero un copione condiviso)
Andare oltre l informazione data caratterizza l’approccio dei psicologi sociali che si occuperanno schemi e script.
Vygotskij studia il ruolo della cultura e della storia nella genesi e nello sviluppo delle funzioni psichiche, quest’ultime per evolversi hanno bisogno di un contesto di iterazione sociale il centro d’interesse diventa quindi il linguaggio inteso come modalità di comunicazione, quest’ultimo permette lo sviluppo di funzioni superiori come il pensiero.
Moscovici analizza le rappresentazioni sociali della realtà riprendendo Duekheim anche se si differenzia da quest’ultimo in quanto enfatizza il processo che fa si che le idee collettive (costruite all’interno di un iterazione ) si trasformano in elementi cognitivi che guidano la costruzione della realtà sociale.
APPROCCIO EVOLUZIONISTICO, BASI INNATE E PSICOLOGIA SOCIALE.
Le basi innate del comportamento
Finora appare evidente:
Alla fine dell’800 la teoria dell’evoluzione aveva influenzato la psicologia generale anche la psicologia sociale.
Charles Darwin andrebbe considerato come il psicologo sociale x eccellenza visto che l’essere umano appartiene a una specie animale sociale. Inoltre nelle sue opere sottolinea la necessità dell’uomo non solo di adattarsi all’ambiente fisico ma anche sociale. La teoria evoluzionistica di Darwin diviene oggetto di critiche e il suo contributo viene ignorato. Il filosofo e sociologo inglese Spencer interpreta i principi dell’evoluzione e diffonde la teoria di Darwin.
Hinde etologo ,nella sua opera ha reso chiari i termini in cui considerare le predisposizioni genetiche e come esse vadano considerate nella loro continua interazione con l’ambiente. L’attualità e l’utilità dell’approccio evoluzionistico sono legate all’interpretazione dei principi darwiniani da la scuola inglese dell’etologia con a capo Timbergh e che ha come maggior esponente Hinde . All’interno di questa prospettiva è importante l’opera BOLWLBY che utilizza i concetti evoluzionistici degli etologi x formulare la teoria dell’attaccamento.
Lorenz è il capostipite della scuola tedesca dell’etologia. Le posizioni della scuola tedesca sono condivise dalla sociobiologia movimento che fa a capo a Wilson, sia l’etologia e la sociobiologia interpretano le radici evoluzionistiche del comportamento e parlano del controllo rigido che hanno sulla condotta i fattori genetici. La scuola inglese invece parla di propensioni a base innata che x attuarsi deve interagire con l’ambiente quindi deve avvenire una continua interazione organismo – ambiente.
Darwin nell’Origine della specie afferma che gli esseri umani condividono le stesse origini con gli altri esseri viventi e che le varie forme di vita sono il prodotto dell’evoluzione. L’evoluzione è un processo di cambiamento molto lungo, questo lungo processo è avvenuto attraverso un meccanismo di selezione naturale che ha fatto in modo che sopravvivessero quegli individui con caratteristiche più adatte alla vita. La selezione selezione opera in modo da mantenere quelle caratteristiche che meglio contribuiscono alla riproduzione e al successo riproduttivo. Per quanto riguarda l’uomo per esempio la paura del buio, la paura degli estranei che compaiono indipendentemente dall’apprendimento nei primi mesi di vita sono paure irrazionali dell’infanzia e sono il risultato di adattamenti al tipo di ambiente in cui vivevano i nostri progenitori.
Utilizzare un approccio etologico significa affiancare ai 2 quesiti che sono, casualità immediata e l’ontogenesi altri 2 quesiti, cause ultime e uno relativo alla filogenesi. Per “cause ultime” si intende la funzione biologia del fenomeno che si sta osservando, il suo significato adattivo ovvero il contributo che esso ha dato alla sopravvivenza. Per ”filogenesi” si intende lo sviluppo di una certa struttura o comportamento hanno avuto nella storia della specie.
Si tratta di dare risposta a 4 perchè sono stati utilizzati x la prima volta di Timbergen, i 4 perché sono:
Gli individui spesso mettono in atto dei comportamenti a favore degli altri che implicano costi elevati x se stessi e che possono mettere in repentaglio perfino la loro vita. Gli etologi solo in questi casi parlano di comportamento altruistico. Gli atti altruistici comprendono azioni di varie, che vanno dal fare dei favori a i membri della propria stessa famiglia o ad amici.
ES: Alcuni uccelli all’arrivo del predatore di un rapace ,lanciano un grido di allarme per avvisare i conspecifici del pericolo, allarme che fa si che gli uccelli dello stormo se ne scappino via, dall’altro produce la morte di chi lo emette in quanto richiama l ‘attenzione dell’uccello rapace.
Hamilton:interpreta la selezione in termini di selezione individuale, ovvero si sarebbero diffusi solo quei comportamenti che contribuiscono alla propagazione del gene dell’individuo. HAMILTON introduce il concetto di selezione parentale ,per spiegare la tendenza a favorire i propri figli e poi i propri consanguinei , e fa notare che la selezione potrebbe aver favorito all’ evoluzione di un comportamento svantaggioso per chi lo produce se a beneficiarne sono i consanguinei.
Es: Le api operaie sono il prodotto di un unico accoppiamento dell’ape regina con un maschio e quindi sono tutte dotate dello stesso patrimonio genetico, aiutando l’ape regina nell’allevare le api-sorelle assicurano a se stesse la possibilità di diffondere i propri geni.
Infine il comportamento altruistico è un comportamento egoistico ,in quanto è un atto che favorisce il patrimonio genetico di chi lo mette in atto.
Gli episodi in cui un individuo aiuta un altro completamente estraneo sono difficili. A spiegare questo fenomeno e Trivers – ha invocato il principio dell’altruismo reciproco. L’altruismo reciproco è alla base delle alleanze. Spesso la possibilità di essere contraccambiati spinge verso la produzione di comportamenti cooperativi. Secondo Alexelrod, il gene del comportamento altruistico si sarebbe prima selezionato sulla base del principio della selezione parentale. Pressioni selettive avrebbero favorito i comportamenti di contraccambio di reciprocità dell’altruismo. L’altruismo si sarebbe cosi esteso agli individui non consanguinei. Un comportamento altruistico a favore degli estranei si realizza malgrado il rischio x la vita di chi lo compie , trova giustificazione nella messa in atto di propensioni che si sono evolute in contesti in cui gli estranei erano membri della stessa famiglia estesa e possibili alleati in futuro, individui quindi in grado di contraccambiare.
Un interpretazione in termini di selezione individuale, e in particolare parentale, è quella che caratterizza il modo in cui viene letto il comportamento di cura nei riguardi dei piccoli da parte dei genitori, e in particolare della madre. Nella nostra specie in maniera analoga la tendenza a formare legami affettivi molto stretti con i propri figli, e a prendersene cura finchè questi non diventano autonomi. Si tratta di un adattamento che gli esseri umani condividono con gli altri mammiferi ovvero con quelle specie che ai primordi vivono in ambienti pericolosi e generano una prole poco numerosa I sacrifici delle madri e i genitori in generale per il bene dei figli possono quindi essere letti come esempi di comportamenti altruistici che si sono selezionati sulla base del principio della selezione parentelare.
La teoria evoluzionistica parte dal presupposto che le caratteristiche anatomiche, fisiologiche, e comportamentali degli individui, a qualsiasi specie essi appartengono formino un complesso coadatto . Questo vuol dire che da un lato che ogni cambiamento in una caratteristica produce effetti sulle altre ,dall’altro che l’adattività di ciascun elemento è correlata all’adattività degli altri. La fisiologia dell’uomo e della donna sono diverse e sono quindi correlate a comportamenti sia riproduttivi sia sociali differenti proprio perché formano un diverso complesso coadattato. Ai diversi meccanismi fisiologici corrispondono caratteristiche anatomiche diverse che sono anche esse frutto della selezione naturale.
E’ ipotizzabile che prima che si consolidasse la posizione eretta i maschi praticassero la poligamia. Questo nn esclude che a seconda delle opportunità ambientali, sulla base di quelle che vengono dette strategie condizionali nn si sia selezionata x entrambi i sessi, e non solo x le femmine, anche una predisposizione a formare legami monogamici. Infatti date le caratteristiche anatomiche e fisiologiche femminili, quali la struttura corporea minuta e debole, l’investimento femminile nell’allevare figli non era sufficiente a farli sopravvivere e crescere in condizioni ottimali. Il successo riproduttivo di una femmina era assicurato non solo dal suo prendersi cura dei piccoli ma anche della presenza di un maschio che ci facesse carico di proteggere lei e i suoi figli dai pericoli e che provvedesse al loro mantenimento . le differenze fisiologiche e anatomiche tra i 2 sessi implicano che i maschi possono avere piu accoppiamenti con più femmine e una grande quantità di figli, promuovendo il proprio successo riproduttivo. Di qui la loro tendenza all’infedeltà. Viceversa x una femmina che può partorire un numero limitato di figli.
Le diverse strategie riproduttive spiegano tutta una serie di differenze maschio-femmina nelle scelte ,nel comportamento sociale e nella sfera emozionale. Le donne scelgono come partener uomini più alti, piu anziani, che abbiano uno status sociale elevato e che sono affidabili. Gli uomini hanno una tendenza a scegliere come partener donne più giovani e belle e essere promiscui e ad avere relazioni plurime e a mantenere un legame monogamico.
Il perché biologico dell’infedeltà maschile: si tratterebbe di una strategia riproduttiva funzionale alla propagazione del patrimonio genetico .Ma anche le donne sono infedeli. Nella nostra specie può essere vantaggioso avere legami alternativi con altri uomini, cui avere legami alternativi con gli altri uomini ,cui eventualmente fa credere di essere i padri dei propri figli garantendosi quindi un nuovo compagno in caso di perdita di quello presente. Inoltre può essere vantaggioso x una donna farmi fecondare di nascosto da un maschio portatore di geni migliori di quelli del partener. Il compagno stabile, può essere stato scelto per la sua idonietà ad assicurare risorse economiche più che un buon patrimonio genetico. Le differenze dell’infedeltà maschile e femminile consistono nella tendenza da parte degli uomini a sbandierare le loro relazioni , e nell’accuratezza delle donne nel nascondere le loro relazioni parallele. Inoltre la gelosia maschile è legata alla possibilità che la propria compagna abbia altri legami sessuali che implicherebbe la possibilità di allevare figli non propri, mentre nella femmina è legata all’ipotesi che il proprio partener abbia un altro legame affettivo il che implicherebbe il trasferimento di risorse su un’ altra donna.
LORENZ, nei suoi scritti sull’aggressività e in particolare in Il cosiddetto male ,sostiene che il comportamento aggressivo sia, una risposta rimasta nel nostro patrimonio genetico della specie. L’aggressività sarebbe da ricondurre a un istinto presente alla nascita in tutte le specie animali. A spiegare il meccanismo che da conto del manifestarsi della condotta aggressiva, Lorenz invoca un modello analogo a quello di Freud :si formerebbe nell’individuo un accumulo spontaneo di energia, pronta a scaricarsi appena possibile. La motivazione a mettere in atto un comportamento sarebbe quindi da ricondurre a una pressione interna da parte di una energia che comunque deve defluire all’esterno secondo un modello che viene per l’appunto detto modello idraulico del comportamento o modello energetico della motivazione.
Lorenz distingue:
l’aggressività intraspecifica-che fa da sfondo al comportamento aggressivo messo in atto tra i membri della stessa specie
l’aggressività interspecifica-quella che si trova tra i membri appartenenti a specie diverse. Quando la competizione e tra individui della stessa specie i conflitti si risolvono con la sottomissione di uno dei contendenti, con la messa in atto di comportamenti ritualizzanti(inginocchiarsi, buttarsi x terra ecc…)la cui funzione è quella di fermare la violenza. Lorenz riconduce questi comportamenti alla selezione di gruppo. La scuola inglese dell’etologia, interpreta l aggressività non solo come la predisposizione a essere aggressivi all’ interno della selezione individuale ,ma tiene conto del fatto che l’esibizione del comportamento aggressivo è il frutto di una valutazione, dei costi e dei benefici che esso comporta, x l’individuo sia a livello sociale sia a livello biologico.
X la scuola inglese dell’etologia ,il comportamento non viene ricondotto a un istinto destinato a rimanere immutabile nell’ arco di vita. La dicotomia innato/acquisito viene superata all’interno di una concezione del comportamento in termini del risultato di una continua interazione tra organismo-ambiente. THORPE ha studiato il canto dei fringuelli, è riuscito a dimostrare che se alla nascita, negli individui di questa specie è gia presente una forma di canto perché questo diventi il canto tipico della specie è necessario che i piccoli siano esposti al canto dei loro conspecifici. La stessa cosa accade nella nostra specie, la predisposizione ad acquisire il linguaggio ha base innata ma affinché essa dia luogo alla capacità di parlare la lingua di appartenenza e necessario che i piccoli interagiscono con gli altri esseri umani.
L’ambiente al quale si sono adattate le caratteristiche della nostra specie è, cambiato .ma a causa della lunghezza dei tempi dell’evoluzione, potremmo essere portatori di propensioni comportamentali che erano allora vantaggiose e che ora potrebbero essere inutili e dannosi. E’ da tener presente che non vi è un rapporto univoco tra propensione innata e comportamento, e che alcuni comportamenti potrebbero essere ricondotti a un insieme di spinte biologiche.
Ad esempio la paura dell’estraneo e un tipo di angoscia che si manifesta nei bambini tra i 6 e gli 8 mesi ovvero in cui riescono ad allontanarsi dalla madre. Secondo gli etologi si tratta di una comportamento adattivo ,frutto della selezione naturale, in quanto ai primordi della specie umana avere paura a assicurava la sopravvivenza. Le condizioni ambientali ora sono cambiati e la paura dell’estraneo in un bambino 6-8 mesi non ha più alcuna utilità ai fini della sopravvivenza dei piccoli, eppure essa continua a manifestarsi.
La propensione ad avere pura degli estranei, ha tuttora senso x gli adulti che si trovano in particolari situazioni, e può portare a comportamenti disadattivi. Essa intersecandosi con altre propensioni ,fa da sfondo alla violenza, alle guerre, agli stereotipi sociali e più in generale a quell’atteggiamento sfavorevole verso gruppi diversi che viene detto pregiudizio. A gli inizi della specie i gruppi sociali erano piccoli, formati da pochi individui .ogni azione compiuta verso i membri del proprio gruppo contribuiva all’inclusive fitness di chi compiva l’atto altruistico. L’ altruismo reciproco verso i membri del proprio gruppo viene chiamato dagli etologi etica di piccolo gruppo. Da un punto di vista evoluzionistico utilizzare degli stereotipi x discriminare gli individui di ciascun gruppo sulla base delle differenze, potrebbe avere avuto ai primordi della specie, la funzione di rendere più rapido l’apprendimento della propria appartenenza sociale.
La violenza intergruppi a cui assistiamo oggi a delle radici antiche nel piccolo gruppo. Essa è caratterizzata da un alta propensione x la specie umana e percepisce coloro che appartengono ad altri gruppi o culture come membri di un’altra specie, questo fenomeno viene detto dagli etologi pseudospeciazione culturale.
Diversa la posizione della scuola inglese e delle scuola tedesca dell’etologia per quanto riguarda il rapporto individuo e società. Lorenz interpreta la società come in continua lotta con
l’individuo. Eibl-Eibesfeldt ne parla in termini di corsetto ortopedico ,un busto che deve contenere gli istinti negativi degli individui. Compito della società è quello di impedire che vengono messe in atto quelle spinte istintive ,di tipo aggressivo. Hinde sostiene che vi è una continua dialettica tra individuo e società costituito dalle relazioni interpersonali. Gli esseri umani hanno modo attraverso le relazioni di imporre comportamenti e valori che contribuiscono non solo al loro benessere ma anche al loro interesse biologico. Ed è in questo senso che è possibile parlare di basi biologiche della società.
Questa dialettica spiega perché, nella maggior parte della società, esiste una doppia morale a regolare l’infedeltà maschile e femminile ,e perché l’atteggiamento culturale verso la promiscuità è differenziato in base ai sessi. L’infedeltà degli uomini può essere sbandierata è considerata come indice di virilità mentre l’infedeltà femminile viene condannata .Accettando le norme sociali i maschi e le femmine assicurano a se stessi, il loro inclusive fitness(successo riproduttivo).
Le norme e le leggi del codice civile e di quello penale riflettono i bisogni biologici degli esseri umani e la continua dialettica tra individui e società. In passato uccidere per salvare il proprio onore era giustificato o portava riduzioni di pena. Il significato biologico di questa approvazione sociale va rintracciato nel fatto che l’adulterio mette un uomo a rischio di allevare prole non sua e che pertanto va tutelato nei suoi interessi. Il cambiamento di questa legge è stato di recente e potrebbe essere ricondotto al fatto che le donne oggigiorno riescono a mantenere se stesse e i loro figli, e che gli uomini hanno la possibilità di disconoscere la paternità e inoltre hanno anche la possibilità del divorzio.
Filogenesi dei sistemi sociali L’organizzazione del gruppo e l’origine della dittatura Chance sostiene che nei primati è possibile individuare 2 sistemi ,uno che da luogo a una Struttura di gruppo in termini agonici e uno che da al gruppo una configurazione in termini edonici. Questi 2 sistemi sono da ricondurre a propensioni a base innata a dare risposte ad ambienti carichi di stimoli emozionali.
Il sistema agonico fa riferimento a una organizzazione del gruppo rigida e gerarchica. Le gerarchie sono determinate dall’attenzione che i subordinati prestano a gli individui dominanti, secondo un meccanismo che viene detto struttura dell’attenzione. Questo meccanismo se da una parte assicura la coesione del gruppo, dall’altra implica una continua tensione e attivazione emotiva: gli individui Chance sostiene che nelle organizzazioni sociali dei primati è possibile individuare 2 sistemi , uno che da dominanti devono di continuo monitorare i subordinati ed assicurarsi attraverso la minaccia che questi non tentino di scalare la gerarchia.
Sistema edonico che è proprio dell’organizzazione sociale degli scimpanzè. In questi gruppi gli individui formano una rete di relazioni sociali ispirate alla collaborazione e al sostegno reciproco. I leader sono gli per lo più anziani ,non necessariamente aggressivi. Nella specie umana sono presenti entrambi le modalità. Gli studi di Lewin per esempio provano che tipi diversi di leaderschip sono collegati alla struttura del gruppo e possono determinare interazioni più o meno aggressive tra gli individui.
PERCEZIONE SOCIALE ATTRIBUZIONE E GIUDIZI
La percezione sociale
La social cognition si occupa sia delle percezioni che gli individui hanno di se stessi e degli altri, sia delle teorie ingenue che essi utilizzano x giustificare tali percezioni. Gli psicologi sociali che conducono le loro ricerche all’interno di questa prospettiva analizzano, la capacità di fare inferenze su tutto ciò che concerne l’ambiente sociale. Vari sono i presupposti da cui partano questi studiosi:
Secondo la psicologia della Gestalt la percezione visiva è guidata da principi organizzativi innati come la somiglianza, la buona forma, la coerenza. Questi stessi principi sono invocati dagli psicologi sociali, per da conto di come vengono organizzate le informazioni di natura sociale e del processo costruttivo che fa si che dalla conoscenza di pochi dati, si traggono inferenze che aiutano a dare un significato coerente al mondo sociale secondo un meccanismo detto top- down. Diversa è la posizione del cognitivismo, che da importanza ai dati obiettivi nell’elaborazione delle informazioni nel processo di categorizzazione degli eventi, x il quale si ipotizza un meccanismo detto bottom-up, in cui si arriva a una organizzazione superiore dei dati partendo dalla base.
2.1 Il modello configurazionale di Asch e la social cognition
Asch sostiene che quando si osserva una persona o quando si ascolta la descrizione che viene fatta da qualcuno l’impressione che se ne ricava non è il risultato delle semplici caratteristiche osservate. I dati di cui si dispone sono abbastanza limitati vengono invece messi al servizio di un bisogno di formare una rappresentazione dell’altro che abbia coerenza. Questo bisogno fa si che le informazioni relative alla personalità subiscono un processo di interazione dinamica. La personalità di colui ci sta di fronte o che ci viene descritto, nn solo è costituita da una serie di tratti singoli, ma contribuisce a creare una configurazione, una gestalt , che si pone come un contesto in grado di modificare il significato dei tratti considerati. Le persone quindi nn si limitano a ricevere informazioni, ma giungono a costruire il proprio mondo sociale attraverso l’elaborazione di informazioni che provengo dalla realtà esterna.
Asch chiede di valutare la personalità di un ipotetico signor X dopo aver letto una lista di aggettivi che ne descrive i tratti. Dopo la lettura dei tratti ai soggetti vengono proposte 18 coppie bipolari di aggettivi ed essi vengono invitati a scegliere gli aggettivi che meglio descrivono la personalità di quella persona. Dai risultati emerge come la semplice variazione di un tratto “ caldo- freddo” modifichi l’impressione della personalità. Infatti coloro che avevano letto la lista in cui vi era il tratto caldo descrivevano il signor x come generoso, socievole ecc.. mentre coloro che leggevano la lista in cui compariva il tratto freddo lo descrivevano come ostinato, riservato ecc..
Questo esperimento mostra come nel processo do formazione delle impressioni di personalità agiscono delle forze unificanti che fanno si che i singoli elementi vadano a costituire una buona forma. Asch inoltre dimostra come alcuni tratti si pongono come centrali e altri come periferici.
Da ulteriori esperimenti è emerso come non solo come una singola unità può contribuire a dar luogo a una configurazione dotata di significato ma anche come un singolo tratto può acquistare significati diversi a secondo del contesto in cui è inserito.
L’ordine temporale con cui vengono ricevute le informazioni è fondamentale perché può influenzare fortemente la valutazione della personalità di un individuo. Questo fenomeno viene detto effetto primacy o effetto d’ordine.
Meno importante x formazione dell’impressione sono gli ultimi tratti presenti nella lista, questo fenomeno viene detto effetto recency o effetto recenza. Questo accade perché la formazione delle impressioni fa appello soprattutto alla memoria a lungo termine. Dagli studi della memoria appare come nei compiti di rievocazione immediata sono le ultime info a essere ricordate con più facilità ,nei compiti di rievocazione a lungo termine sono le prime informazioni a essere ricordare più facilmente.
Anderson forma un modello, detto algebrico, il quale interpreta la formazione delle impressioni della personalità come il risultato di un’elaborazione di dati. La valutazione della personalità è il risultato della combinazione algebrica di tratti ,secondo Anderson in ogni cultura i tratti della personalità hanno valutazioni, positive e negative, traducibili in punteggi. L’ impressione globale è data proprio dalla somma di questi punteggi. Le valutazioni inoltre cambiano in funzione del contesto sociale in cui la persona viene collocata e dei tratti, pertanto possono avere valutazioni diverse a seconda dell’importanza che essi hanno nel particolare contesto in cui la persona è valutata. Anderson nn spiega xke il tratto “intelligente” ,possa avere un significato positivo se associato al tratto “caldo” e viceversa negativo se viene associato al tratto “freddo”. Questa variazione viene spiegata bene da Asch, in cui i tratti centrali possono, dar luogo a diverse sfumature di significato dei tratti periferici, secondo un processo detto effetto alone.
Dagli esperimenti di Brunswih e Reiter emerge che nelle configurazioni dei volti esistono dei tratti che orientano le valutazioni degli individui sulla personalità degli altri. Da questi studi è emerso che alcune strutture incorporano certe qualità espressive e che determinati caratteri espressivi sono legati ai rapporti strutturali tra gli elementi fisiognomici. Infatti guardando il volto di una persona, siamo portati a giudicarla “ intelligente” o “autorevole” ecc..
Gli esseri umani possiedono ,delle teorie implicite della personalità, le quali influenzano l’elaborazione dell’informazione sociale ,teorie che li portano a comportarsi come scienziati ingenui. Nn solo la costituzione fisica di una persona ma anche gli elementi esterni, quali occhiali o la barba, contribuiscono ad attribuire alle persone caratteristiche diverse. Lo stesso volto, in quattro condizioni diverse( con barba, occhiali, senza occhiali, senza barba) provoca impressioni diverse. Questo processo di ipersemplificazione della realtà si avvale della tendenza a inserire le informazioni in modelli o categorie già possedute.
Nel valutare gli altri siamo guidati da una sorta di positività pregiudiziale – quella che Sears chiama positivity bias – un atteggiamento che ci porta ad attribuire alle persone caratteristiche più positive che negative. Boucher e Osgood hanno chiamato principio di Polianna, ovvero gli esseri umani stanno meglio se si sentono circondati da cose, persone o eventi positivi.
Heider nel libro, Psicologia delle relazioni interpersonali, in cui delinea quella che viene detta teoria dell’attribuzione, all’interno del quale cerca di dar conto del modo in cui le persone interpretano le ragioni, le cause degli avvenimenti del loro mondo sociale.
Egli sostiene che come nella percezione visiva noi riusciamo a rintracciare negli oggetti una costanza, ovvero delle caratteristiche immutevoli.
Heider fa notare , che tutti noi nel cercare di inferire la personalità degli altri dal comportamento, dobbiamo affrontare continuamente il problema costituito da fatto che il
comportamento è sempre messo in atto in una situazione specifica. Quindi x capire la personalità, dobbiamo fare i conti con la situazione in cui è prodotto il comportamento.
Uno dei modi x dare senso ai propri comportamenti, è cercare di trovare le ragioni profonde, cercando di inferire sulle cause che stanno dietro le condotte. Si tratta di processi mentali che regolano il modo in cui le persone attribuiscono il comportamento a singoli, e che pertanto vengono detti processi attribuzionali.
Jones e Keith sostengono che gli individui, quando devono giudicare le altre persone, si basano sul comportamento messo in atto spontaneamente ,e sono molto bravi a individuare gli atti che sono intenzionali. L’intenzione può, essere suddivisa in 2 componenti: la conoscenza e la capacità. Jones e Davis cercano di ricostruire i percorsi mentali che portano a individuare le intenzioni, che spingono gli altri ad agire in un dato modo in una data situazione.
Il principio della desiderabilità sociale: quanto più una persona si comporta secondo modi non desiderabili e non accettabili, da un punto di vista sociale, in una determinata situazione, e quanto più questi potrebbero portare una danno, tanto più se ne puo dedurre che quel comportamento a delle sue caratteristiche di personalità durature.
Un altro modo x inferire la personalità di qualcuno si basa sul riuscire a capire se il comportamento è dato da una libera scelta dell’attore o se non è da ricondurre da vincoli collegati alla situazione. Ad es, se in un dibattito sulla guerra in Serbia degli studenti esprimono liberamente le loro opinioni pacifiste, è possibile inferire che si tratta di persone non vogliono la violenza, ma se ci accorgiamo che è stato loro chiesto dal partito politico di appartenenza di esprimere queste posizioni, non possono essere fatte delle inferenze sul loro reale atteggiamento.
Esistono dei comportamenti che corrispondono a dei ruoli sociali o che corrispondono alle nostre aspettative. Se vediamo un prete fare l’elemosina, nn ne deduciamo che si tratta di una persona particolarmente generosa, perché quel comportamento fa parte del suo ruolo. Ma se lo sentiamo difendere il diritto sulle donne all’aborto, ne deduciamo che si tratta di una persona molto aperta.
Kelley analizza il modo in cui le cause covariano con gli effetti ,a questo scopo si valuta se a una data causa è associata sempre un particolare effetto in molte situazioni diverse, e se quell’effetto non si produce in assenza di quella causa, attribuiamo l’effetto a quella causa. Valutiamo le informazioni di cui disponiamo lungo tre dimensioni, ovvero controlliamo se è possibile rintracciare lo stesso effetto
3.al di la dei contesti
E attribuiamo le cause analizzando ogni dimensione una dopo l’altra:
Secondo Kelly , riconduciamo un comportamento a una causa esterna se arriviamo alla conclusione che ci troviamo di fronte, per esso, a un alto grado di distintività , un alto grado di coerenza e un alto grado di consenso. Se ritroviamo una bassa distintività, un basso consenso, ma un’alta coerenza nel tempo, allora la causa è da rintracciare in fattori interni.
Il modello di Jones e Davis e quello di Kelley affermano che gli individui utilizzano strategie cognitive di tipo razionale: partano da ciò che osservano per arrivare a individuare le disposizioni stabili o rintracciare spiegazioni che siano a carico della situazione. Da una serie di ricerche condotte tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70 emerge che l’assetto psicologico di ciascuno di noi cerca di avere una comprensione del mondo che sia la più coerente ma anche la più possibile, ricorrere a spiegazioni casuali secondo modalità rapide, provochi errori sistematici quando si cerca di fare inferenze circa il cosa provoca cosa. Può accadere inoltre che si sia vittime di distorsioni a base motivazionale.
I primi a richiamare l ‘attenzione sul modo in cui le persone deviano dalla norma nei loro processi di attribuzione sono stati Jones e Nisbett , i quali hanno fatto notare come vi siano delle differenze tra quello che noi pensiamo delle nostre azioni e il modo in cui ci poniamo nei confronti degli altri, e come esista una tendenza ad attribuire il proprio comportamento a fattori situazionali e quello degli altri a fattori disposizionali. Questo modo di distorcere la realtà nell’interpretare il comportamento degli altri è stato chiamato da Ross errore fondamentale di attribuzione, errore che porta a ritenere che il comportamento degli altri sia da ricondurre a cause interne piuttosto che a cause esterne, legate alla situazione.
Associare il comportamento degli altri più a caratteristiche disposizionali che situazionali sembrerebbe avvenire in maniera inconsapevole e automatica. Heider sostiene che ciascuno di noi è portato a prestare più attenzione alla persona che mette in atto il comportamento e ignorare la situazione in cui viene prodotto. Alcuni studiosi fanno notare che alcuni elementi legati alla situazione possono essere difficili da individuare e quindi non vengono utilizzati x spiegare il comportamento degli altri, oppure come si possa avere un bias di falso consenso, ovvero pensare che gli altri si stanno comportando come ci comporteremmo noi in quella stessa situazione.
Perché attribuiamo il nostro comportamento a fattori esterni? Una spiegazione può essere rintracciata nel fatto che l’attore possiede molte più informazioni su se stesso rispetto colui che ci osserva. Un’altra spiegazione fa riferimento all’effetto salienza: colui che ci osserva è focalizzato sull’altro e il comportamento dell’altro sono i suoi movimenti, le caratteristiche fisiche a essere salienti, la figura fa passare in secondo piano lo sfondo, la situazione
,quell’insieme di condizioni esterne all’individuo che potrebbero avere un peso sulla condotta
In ciascuno di noi è presente il rischio a incorrere errori sistematici di giudizio sulla base di spinte motivazionali ,tra questi la tendenza a distorcere la realtà a causa di una forte
motivazione a considerare noi stessi positivamente e a ricorrere a un’attribuzione pregiudiziale che sia al servizio della nostra immagine, errore che viene detto self-serving bias di attribuzione.
Quando bisogna individuare le causa di un evento che ci ha visti protagonisti può scattare un meccanismo di difesa che fa si che noi lo interpretiamo in maniera tale da mantenere il più alto possibile il livello di autostima. X questo ,i successi vengono attribuiti a cause interne e gli insuccessi a cause esterne: gli atleti attribuiscono la loro vittoria alla loro bravura, mentre se perdono danno la colpa al gioco sporco degli avversari, all’arbitro ecc..
All’interno della relazione di coppia, questo stile attributivo sembrerebbe , correlato alla soddisfazione del rapporto. Quando la relazione è conflittuale, ciascun partener tende ad attribuire a se stesso i contributi positivi e all’altro quelli negativi. Nelle relazioni poco soddisfacenti la causa dei fatti negativi e attribuita a caratteristiche interne e stabili del coniuge, mentre i comportamenti positivi del partener vengono ricondotti a cause esterne e instabili.
Esiste un sef-serving bias di gruppo ,infatti si può parlare di un’attribuzione pregiudiziale di gruppo o dell’etnia di appartenenza, la quale fa si che i membri del proprio gruppo riconducano a cause interne i comportamenti positivi dell’ingroup e quelli negativi dell’autogroup ,e attribuiscono a cause esterne comportamenti negativi dei membri del proprio gruppo e quelli positivi dell’altro gruppo.
La tendenza a percepire se stessi positivamente con delle caratteristiche superiori alla media.
La maggior parte delle persone sono caratterizzare da un ottimismo irrealistico e da un illusione di essere invulnerabili , quindi credono di essere immuni da malattie, che vivranno a lungo che il loro matrimonio durerà ecc..
Ciascuno di noi crede che gli altri abbiano le nostre stesse opinioni e che i nostri insuccessi o i nostri comportamenti negativi siano preoccupazioni di tutti. Delle ricerche hanno poi dimostrato che quando ci confrontiamo con gli altri per ciò che concerne le abilità e i successi questa tendenza viene meno e
diventiamo vittime di quello che viene detto effetto della falsa unicità: crediamo che gli altri mettano i nostri stessi comportamenti se questi sono negativi, ma x ciò che riguarda i comportamenti positivi e le abilità pensiamo di essere unici.
Secondo Taylor e Brown si tratta di una motivazione frutto della selezione naturale, la quale ha avuto, un valore di sopravvivenza in quanto consentiva un migliore adattamento: il self- serving bias infatti consente di essere più sereni e soddisfatti. Infatti le persone con problemi di autostima e depresse hanno un giudizio di sé equilibrato , basato sul ricordo delle proprie caratteristiche positive e negative. La depressione inoltre porta a prendersi la responsabilità di un fallimento e ad adottare uno stile attributivo che nn è al servizio del self.
Questo tipo di illusione fa credere di essere padroni del proprio destino, e che gli altri siano responsabili delle loro sfortune. Learn ha suggerito che le persone hanno bisogno di credere in un mondo giusto, in cui tutti hanno ciò che si meritano, perché cosi possono mantenere l’illusione di controllare gli eventi.
Le euristiche di giudizio sono delle scorciatoie mentali le quali vengono utilizzate per prendere delle decisioni, o esprimere delle opinioni in situazioni complesse.
Quando viene emesso un giudizio sulla probabilità o sulla frequenza di un evento, utilizzando le informazioni che vengono più rapidamente alla mente, e facendo delle inferenze su quei dati che vengono recuperate più facilmente, si parla di euristica della disponibilità. Per esempio, se a una persona priva di informazioni statistiche quale sia la percentuale dei disoccupati nel loro paese, accade che questa persona cercherà di risolvere questo problema utilizzando inconsapevolmente delle euristiche di disponibilità. Quindi penserà quanti disoccupati conosce
,più e il numero di disoccupati di sua conoscenza ,tanto più sarà la percentuale stimata in caso contrario tenderà a sottovalutare il numero dei disoccupati.
Quando ci troviamo nella condizione di dover mettere un giudizio sulle probabili reazioni di un’altra persona di fronte a un evento ,avviene una simulazione, nell’immaginazione delle possibili reazioni emotive ,in questo caso si parla di euristica della simulazione.
Questa scorciatoia fa leva sulla compatibilità dell’informazione di cui si dispone allo schema mentale in possesso. Quindi il giudizio emesso si basa , sul calcolo delle probabilità che una certa persona o evento rientrino in una data categoria.
Spesso le persone cercano un punto di riferimento da cui partire. Ad esempio se chiediamo a un amico che a scelto una materia simile alla nostra, come gli è sembrato il suo esame e utilizziamo il suo parere come un’ancora, sulla quale prendere delle decisioni e fare delle previsioni sul voto che potremmo prendere, questo tipo di scorciatoia viene detta euristica di ancoraggio. Si tratta di una stima di quanto un giudizio si avvicina a un punto di partenza.
Atteggiamenti e comunicazione persuasiva
Negli anni 40 vengono formulate le cosiddette teorie della coerenza cognitiva, come la teoria dell’equilibrio cognitivo di Heider e la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger. Nello specifico Heider richiama l’attenzione su come gli individui siano spinti da forze interne motivazionali a tenere in equilibrio le proprie cognizioni relative a un oggetto o a più oggetti. Questa spinta fa si che cerchi di creare una condizione di coerenza cognitiva quando x qualche motivo questo equilibrio si rompe.
Heider fa riferimento a delle valutazioni di tipo affettivo-emotivo, che per lo più riguardano le nostre relazioni interpersonali, in particolare le nostre relazioni intime e sottolinea come queste costituiscono delle configurazioni che x lo più sono triadiche. Le relazioni infatti sono costituite da un atteggiamento verso un'altra persona, un atteggiamento verso un oggetto e la percezione del modo in cui l’altra persona valuta quel particolare oggetto. Questi 3 elementi possono essere in equilibrio è costituire una buona forma, oppure ritrovarsi in equilibrio precario. La situazione di disequilibrio viene a creare una forte sensazione di disagio. Zajonc e Burnstein hanno chiesto a dei soggetti di imparare a memoria e poi rievocare descrizioni di relazioni triade persona-persona-oggetto era in equilibrio e altre dove era disequilibrata. Dai risultati emerge che vengono ricordate più le triadi equilibrate perché è più facile ricordare ciò che è dotato di significato. Quindi il nostro sistema cognitivo è equilibrato quando ci piace qualcuno coi nostri stessi gusti è squilibrato in caso contrario.
Le ricerche hanno dimostrato che il passaggio da un sistema squilibrato a uno equilibrato avviene attraverso secondo il principio dello sforzo minore, ovvero secondo percorsi che riducono i cambiamenti e che diano la maggiore possibilità di mantenere le relazioni in corso.
Le persone cercano di avere delle coerenze cognitive che siano coerenti con quello che provano, con i loro effetti , e fanno di tutto in modo che non vi siano incongruenze tra quello che pensano e ciò che sentono. Rosenberg ha condotto un esperimento volto a provare come un cambiamento nella valutazione emotiva di un evento segua un cambiamento nell’assetto cognitivo, nelle relazioni relativo a esso. In una prima fase, a dei soggetti bianchi venne chiesto di esprimere le loro valutazioni dei soggetti neri e cosa pensavano dei rapporti bianchi e neri e alla possibilità di un’integrazione tra i 2 gruppi. La seconda fase i soggetti furono ipnotizzati , e durante l’ipnosi fu loro suggerito che essi avevano l’atteggiamento opposto a quello che avevano manifestato: quelli che avevano un atteggiamento negativo nei riguardi dei neri fu detto che erano favorevoli ( e viceversa). Nella terza fase i soggetti furono risvegliati e interrogati sul loro atteggiamento nei riguardi dei neri e sulla loro integrazione. Coloro che si erano espressi precedentemente contro i neri avevano portato argomentazioni razionali a sostegno della loro avversione all’integrazione, durante l’ipnosi
l’introduzione a un atteggiamento favorevole ai neri cominciarono a esprimere argomenti a favore dell’integrazione.
Quando diciamo o facciamo qualcosa verso la quale abbiamo atteggiamenti contraddittori o che sono in contraddizione con le nostre valutazioni emotive, si crea dentro di noi una dissonanza, uno squilibro cognitivo che procura una sorta di eccitamento spiacevole, che si cercherà di ridurre modificando i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti, valutazioni emotive o credenze.
Leon Festinger formula la teoria della dissonanza cognitiva. Secondo questo modello l’incoerenza atteggiamento-comportamento è riconducibile a 2 condizioni:
La dissonanza post- decisionale . Es. se dobbiamo scegliere tra 2 lavori uno piacevole ma poco redditizio e uno noioso ma che non corrisponde ai propri interessi ma che da la possibilità di guadagnare più soldi . Qualsiasi sarà la decisione presa ci troveremo di fronte a una condizione di dissonanza post- decisionale perchè il soggetto si troverà nella situazione di rinunciare a qualcosa che gli piace come ( i soldi nel 1 caso ,e gli interessi nel 2 caso) e accettare qualcosa che non corrisponde ai suoi desideri.
Comportamenti controattitudinali . Es. se una persona fuma molto perché gli piace ma sa che il fumo fa venire il cancro. In questo caso il suo comportamento si può definire contrattitudinale, e mette l’individuo in una condizione di dissonanza.
Brehm ha dimostrato empiricamente la tendenza a valutare positivamente le cose che vengono scelte è da ricondurre al fatto che si ha bisogno di ridurre la condizione di dissonanza. In una prima fase dell’esperimento , delle ragazze furono mostrati otto prodotti ed è stato chiesto loro quale preferivano. In una seconda fase , venivano mostrati 2 degli otto oggetti ,e veniva detto che potevano sceglierne uno. Nella terza fase, veniva loro chiesto di indicare il grado di preferenza x ciascuno oggetto. Dai risultati di questo studio è emerso una tendenza a valutare in termini più positivi l’oggetto scelto e più negativi gli altri.
Un modo x ridurre la dissonanza, quando vi è una discrepanza tra comportamento e atteggiamento consiste nel cercare di raccogliere più informazioni possibili . La motivazione a ridurre la dissonanza fa si che si cerchino in maniera attiva informazioni che siano pertinenti con l’atteggiamento e si ignorino quelle che risultano dissonanti, questo processo viene detto di esposizione selettiva. In un esperimento di Frey e Rosch dei soggetti avevano il compito di valutare le competenze di un amministratore e decidere se confermalo o meno nella sua mansione, dopo aver letto una relazione sul suo operato. Dopo aver espresso il loro giudizio, i soggetti ricevevano altre informazioni sull’amministratore alcune di tipo favorevole e altre di tipo negativo. Dai risultati emerse che i soggetti preferivano le nuove informazioni che più erano conformi con il loro giudizio espresso nella prima fase. L’effetto dell’esposizione selettiva fu maggiore nei soggetti a cui era stato detto che non avrebbero potuto cambiare valutazione.
L’accordo Forzato
Festinger e Carlsmith hanno condotto, un esperimento che prova come il mutamento nelle proprie convinzioni avviene più facilmente se si riceve una ricompensa piccola piuttosto che una grande, quando si ci trova in una situazione detta di accordo forzato.
Es. a un campione di soggetti costituito da studenti universitari fu assegnato un compito ripetitivo e noioso della durata di 1 ora, dopodiché fu loro detto che lo scopo era valutare l’effetto delle aspettative sulle prestazioni e che avrebbero ricevuto un compenso( ad alcuni furono promessi 20dollari e ad altri1 dollaro)se
fossero stati disposti a dire a gli altri soggetti in attesa, che avevano partecipato a un esperimento molto divertente.
Tutti i soggetti accettarono di mentire, ma coloro che avevo ricevuto solo un dollaro, quando fu chiesto loro di valutare la gradevolezza dell’esperimento in una scala da -5 a +5, mostrarono di avere cambiato atteggiamento al riguardo e lo valutavano in positivo al contrario di coloro che avevano ricevuto 20 dollari che continuavano a valutarlo in termini negativi.
Secondo Festinger ,aver ricevuto 20 dollari giustificava la menzogna e riduceva la dissonanza tra dire che il compito era piacevole e il pensare che era noioso a differenza di chi aveva ricevuto un dollaro in cui la tensione della dissonanza era maggiore perché non poteva essere ritenuto una giustificazione sufficiente x mentire.
IL PRINCIPIO DELLA GIUSTIFICAZIONE INSUFFICENTE da conto del cambiamento di atteggiamento nel ridurre la dissonanza non solo se la giustificazione è un premio o una promessa di un incentivo positivo ma anche se è una punizione ,o una minaccia; ovvero si produce un cambiamento nell’atteggiamento quando una persona fa qualcosa contro le sue convinzioni, ma il cambiamento è minore quanto più la persona ha paura di ricevere una grossa punizione. Aronson e Carlsmith a un gruppo di sei bambini hanno mostrato ,in una prima fase ,cinque giocattoli, e hanno chiesto loro di dire quale preferivano. In una seconda fase hanno proibito di giocare proprio con il giocattolo scelto, ricorrendo x metà a una minaccia leggera e per l’altra metà a una minaccia pesante. In una fase successiva i bambini sono stati lasciati soli ed è stato osservato il loro comportamento. Nessuno dei bambini ha utilizzato il giocattolo proibito x giocare .Quando è stato chiesto nuovamente le loro preferenze verso i giocattoli e emerso che i bambini che avevano avuto la minaccia lieve trovavano il giocattolo proibito meno attraente ,e lo valutavano negativamente, mentre esso continuava a essere proibito di quelli che erano stati minacciati in modo pesante.
L’internalizzazione del senso morale , sono che le punizioni severe che impediscono agli altri di fare quello che noi nn vogliamo che facciano, ma non fanno si che essi non continuano a essere tentati da ciò che è proibito; mentre una minaccia lieve che non implichi una punizione fa si che il comportamento sbagliato non venga messo in atto ed elimina la tentazione a trasgredire.
Una giustificazione sufficiente x ridurre la dissonanza e quindi di far diminuire la probabilità di mutare l’atteggiamento che fa da sfondo a un comportamento contro attitudinale, è la qualità di libertà di scelta che gli individui pensano di avere nel mettere in atto un comportamento. In un esperimento Linder, Cooper e Jones dei soggetti furono invitati a sostenere ,opinioni diverse dalle proprie su determinati fatti politici, e fu detto loro che erano liberi di rifiutarsi di farlo; ad altri non fu data liberà di scelta. I risultati mostrano che coloro che avevano avuto la possibilità di scegliere ,modificarono in seguito quello che pensavano, mentre quelli che non avevano avuto scelta non cambiarono le loro idee. Mettere in atto un comportamento contrario alle proprie opinioni , sapendo che si è liberi di comportarsi in un modo piuttosto che in un altro, produce quindi maggiore dissonanza e quindi maggiore cambiamento di ciò che pensa.
Secondo Bem noi deduciamo i nostri atteggiamenti dai nostri comportamenti, lui elabora la teoria dell’autopercezione. Bem ipotizza che la sensazione di poter accedere direttamente ai propri atteggiamenti sia illusoria in quanto la conoscenza di noi stessi ma anche quella degli altri si basi su processi di tipo attribuzionale.
Gli atteggiamenti sono costituiti da più parti, vi è in essi:
Gli atteggiamenti quindi possono essere analizzati attraverso un modello tripartico, dove ogni componente può esprimere la positività e la negatività dell’atteggiamento.
Becker ha dimostrato che queste componenti sono distinte le une dalle altre, ma che nonostante ciò esiste tra di esse una forte concordanza.
Allport in linea con il modello della social learning theories, sottolinea l’importanza delle esperienze passate nella formazione degli atteggiamenti. Per lui un atteggiamento è “uno stato di prontezza mentale e neurologica, organizzato dall’esperienza che influenza le risposte dell’individuo”.
Kretch e Crutchfield sostengono che l’atteggiamento è “un’organizzazione durevole d processi motivazionali, emozionali, percettivi, cognitivi dell’individuo”.
Le teorie della coerenza cognitiva si pongono all’interno dell’approccio cognitivista. Esse richiamano l’attenzione sul fatto che le persone si sforzano di avere cognizioni coerenti tra loro e mantenere in equilibrio quelle tre parti che costituiscono gli atteggiamenti in modo da evitare tensioni e contraddizioni, pongono in discussione il neocomportamentismo secondo cui sono le nostre credenze a guidare i nostri comportamenti. Festinger prova che sono i nostri comportamenti a influenzare i nostri atteggiamenti, quello che pensiamo, quello che proviamo.
Molti studiosi considerano l’atteggiamento come una struttura cognitiva che fa parte della memoria a lungo termine.
Esistono dei meccanismi di distorsione nella percezione e nella valutazione delle informazioni del proprio atteggiamento provate da una serie di ricerche all’interno di quella che è la teoria del giudizio sociale di Hovland e Sherif.
(ricerca)Es. A dei soggetti vennero lette delle dichiarazioni sfavorevoli nei confronti dei neri. Coloro che in precedenza avevano manifestato atteggiamenti positivi nei riguardi della popolazione di colore le giudicarono più contrarie , di quanto non facessero coloro le cui posizioni verso le minoranze erano neutre.
Inoltre è stato provato che gli atteggiamenti guidano il recupero delle informazioni presenti in memoria, facendo in modo che sia più facile ricordare le informazioni che confermano le convinzioni sociali piuttosto quelli che li contraddicono.
Wicker ha preso in considerazione la possibilità di prevedere il comportamento sulla base degli atteggiamenti, ed è emerso che non vi è alcun legame tra atteggiamento e comportamento. Uno degli studi più citati sull’assenza di rapporto tra atteggiamento e comportamento è quello che è stato condotto agli inizi degli anni 30 da LaPiere . In quell’epoca molti americani avevano dei forti pregiudizi contro gli asiatici,
LaPiere intraprese un viaggio di 6 mesi i vari paesi degli Stati Uniti in compagnia di una coppia di cinesi ,aspettandosi che i suoi amici non sarebbero stati accettati negli alberghi e nei ristoranti. Accade invece che solo uno dei 200 alberghi non li accetta e quando sei mesi dopo, LaPiere scrisse ai proprietari dei vari locali dove si era recato insieme ai suoi amici cinesi , domandando se avrebbero accettato come clienti degli asiatici ,il 92% degli alberghi e ristoranti rispose in modo negativo ,mostrando quindi un atteggiamento in contrato con il comportamento effettivo.
AJzen e Fischbein hanno mostrato che sia il comportamento sia gli atteggiamenti sono caratterizzati da 4 elementi:
Essi tentarono di specificare poi i fattori che possono dimostrare il rapporto tra atteggiamento- comportamento ,formulando la teoria dell’azione ragionata. Secondo il loro pensiero le persone si comportano in maniera razionale sulla base dei loro intenzioni consce che allora volta si fondano su un calcolo degli effetti del loro comportamento. Il modello dell’azione ragionata ha avuto un grandissimo successo presso gli psicologi sociali ,perché attribuisce agli atteggiamenti un ruolo determinante nella messa in atto del comportamento.
Gli atteggiamenti hanno varie funzioni, in particolare hanno:
.Gli atteggiamenti di difesa nei confronti di chi è diverso per etnia, religione o colore della pelle hanno la funzione di coprire la paura che suscita chi non è simile a noi.
Il cambiamento di atteggiamento può venire attraverso 2 strategie:
Il modello della probabilità duale di Cacioppo e Petty mettono in evidenza come le persone utilizzano entrambe le strategie , quelle di tipo attivo e di tipo passivo. E come esse attuino percorsi diversi nell’accedere ai messaggi persuasivi.
Petty e Cacioppo utilizzano il termine elaborazione per indicare che la persona che ascolta il messaggio elabora cioè riflette sulle informazioni. La possibilità che l’ascoltatore usi un percorso piuttosto che un altro dipende da diversi fattori di tipo individuale ,tra cui la motivazione e l’abilità.
Cacioppo e Petty hanno messo a punto una scala per misurare il bisogno di cognizione e hanno trovato che le persone con un alto bisogno di cognizione , di fronte a un messaggio persuasivo tendono a percorrere la via centrale della persuasione mostrandosi sensibile alle argomentazioni. Quelle con basso bisogno di cognizione si fermano a gli indici superficiali e periferici del messaggio. La via periferica viene utilizzata nel momento in cui l’ascoltatore a una scarsa capacità cognitiva ,se non è abbastanza motivato o se il messaggio è incomprensibile. L’umore è fondamentale infatti influenza sia le motivazioni e le capacità cognitive .Il buon umore porta ad accettare la comunicazione persuasiva sia perchè si associa il proprio stato al messaggio, sia perché lo si ritiene conseguenza del messaggio, sia perché il buono umore fa in modo che non si presti attenzione al messaggio. L’umore negativo invece trova nella situazione qualche problema e motiva la persona all’analisi e sceglie quindi la via centrale della persuasione. Gli esiti dei percorsi sono differenti, il cambiamento di
atteggiamento dal percorso centrale della persuasione. Il percorso periferico invece porta a un cambiamento che non esclude ulteriori modifiche da parte di altre comunicazioni persuasive .
Chaiken, parla di elaborazione sistematica per far riferimento alle argomentazioni presenti nella comunicazione persuasiva , e di elaborazione basata su euristiche utilizzate come affermano Petty e Cacioppo quando non si ha una forte motivazione a conoscere il senso di ciò che viene proposto o scarse capacità cognitive.
Dagli studi di Hovland emerge che la persuasione è un sistema regolato da una serie di componenti che fanno parte della comunicazione. Quindi deve tener presenti :
La fonte cioè colui che emette il messaggio deve essere il più credibile possibile ,tanto viene ritenuto più esperto dell’argomento e degno di fiducia. Invece una argomentazione da una fonte poco credibile è in grado di produrre quello che viene detto “sleeper effect”: influenza meno l’ascoltatore al momento ,ma a distanza di tempo produce lo stesso effetto di una fonte considerata credibile ed è ugualmente persuasivo. Secondo Pratkanis questo fenomeno potrebbe essere dovuto al decadimento differenziale, nella memoria, della fonte e del messaggio,
perché dopo aver ascoltato il messaggio sia un cambiamento di atteggiamento minore, perché la fonte viene considerata irrilevante, con il passare del tempo la fonte viene dimenticata mentre il ricordo del messaggio viene mantenuto e si ha un vero e proprio cambiamento di atteggiamento.
Il messaggio: rappresenta la comunicazione. La comunicazione deve essere persuasiva quindi il messaggio deve essere comprensibile , articolato in argomentazioni certe che utilizzano domande retoriche e ripetizioni. Inoltre le ripetizioni sono utili quando l’ascoltatore è disposto a pensare alle ragioni di ciò che viene detto, inoltre può anche accadere che quando un messaggio viene ripetuto troppo spesso può provocare noia e portare al rifiuto degli argomenti. Inoltre per quanto riguarda la paura non è stato dimostrato che la comunicazione diventa più convincente tanto più si spaventa l’ascoltatore. Janis e Feshbah hanno mostrato che alla fine di produrre un diverso atteggiamento e comportamento, un messaggio che si basa su una paura a bassa intensità è più efficace di quello ad alta intensità, questo perché quando gli ascoltatori vengono spaventati molto, la loro reazione alla paura li porta a distogliere l’attenzione rivolta al contenuto del messaggio.
Screditare , la fonte della comunicazione è un modo efficace per ridurre la tensione prodotta da un messaggio non in linea con le nostre credenze.
Groebel ha condotto un’analisi sul nesso tra la guerra e le comunicazioni di massa, mostrando come la televisione può essere considerata come uno strumento di strategia militare utilizzando una comunicazione persuasiva, finalizzata alla creazione dell’immagine del nemico. Quando i media , in accordo con i governi vogliono spingere i cittadini ad entrate in guerra contro paesi o etnie rivali, creano un’immagine stereotipata, negativa delle caratteristiche
,delle altre persone o degli altri gruppi. Lo scopo di una comunicazione persuasiva bellica non è solo quello di fare entrare in guerra i cittadini ma anche quello di giustificare la violenza.
Categorizzazione e stereotipi
La psicologia sociale che si richiama ai modelli cognitivisti e in particolare a Neisser, da il nome di schema, come un insieme strutturato e organizzato di conoscenze, il quale fa da guida nell’elaborazione dell’informazione sociale e nell’ interpretazione dell’ambiente, e influenza i processi di percezione di attenzione , di codifica, di memoria e di inferenza. La psicologia sociale che si richiama ai modelli cognitivisti, e in particolare a Neisser, da il nome di schema.
Esistono vari tipi di schemi:
Schemi di eventi. Le persone vengono guidate da schemi anche nel loro agire nel mondo sociale. Tutti possediamo quelli che Schank e Abelson chiamano schemi di eventi, ovvero dei veri e propri copioni, degli “script” che regolano, intere sequenze di comportamento. Su questa base ciascuno di noi possiede delle strutture di conoscenza, per es. “sa” qual è la sequenza corretta delle azioni da compiere in un ristorante (sedersi, chiedere il menù
,ordinare, mangiare, pagare).
Zimbardo ha dimostrato, fino a che punto gli schemi di ruolo hanno il potere di determinare il comportamento. Questo studioso si era chiesto se la brutalità che caratterizza le prigioni sia da ricondurre al fatto che i detenuti sono incontrollabili o che le guardie sono molto violente e prevenute. Il quesito, era: sono le persone che rendono brutali i contesti in cui si trovano, o sono i contesti, che rendono gli individui violenti? Zimbardo invitò alcuni studenti, a passare qualche giorno in una prigione finta, che lui aveva fatto costruire, e assegnò ad alcuni la parte del detenuto, ad altri il ruolo di guardia carceraria. Dopo un primo giorno in cui ognuno “recitava” la parte che corrispondeva al proprio ruolo, le guardie e i prigionieri cominciarono a essere presi dalla situazione. Le “guardie” cominciarono a trattare con disprezzo i “detenuti” e i “prigionieri” cominciarono a ribellarsi, cosi Zimbardo fu costretto a interrompere, dopo solo sei giorni, l’esperimento di simulazione di ruoli che avrebbe dovuto durare due settimane! 2 L’ATTIVAZIONE DEGLI SCHEMI LA
SALIENZA
Ma cosa ci porta a usare uno schema piuttosto che un altro nell’interpretare il comportamento di un’altra persona? Ancora una volta siamo guidati da principi che regolano la percezione visiva degli oggetti. Tra le leggi della percezione
del mondo fisico, quella che interviene nella percezione sociale è quella che viene detta figura- sfondo. Questo principio prevede che siamo portati a dirigere la nostra attenzione agli aspetti che sono in rilievo, la figura quindi, rispetto a ciò che fa da sfondo. In ambito sociale a guidare le nostre impressioni degli altri e a far scattare l’utilizzo di uno schema piuttosto che un altro sono per l’appunto i tratti salienti, quelli più evidenti. La salienza, è determinata dalla luminosità, la rumorosità, il movimento o la novità dello stimolo.
EFFETTO “PRIMACY”
Sembrerebbe inoltre che siano le prime informazioni relative all’altro a far si che si attivi uno schema piuttosto che un altro. Il meccanismo invocato in questo caso viene detto effetto “primacy”. Se al momento di conoscere una persona, ci viene detto che essa sta per presentarsi a un concorso per diventare avvocato, nella nostra mente si attiverà uno schema che porterà a elaborare le informazioni relative al comportamento dell’altro in funzione del fatto che quello è ,o non è, il modo di fare proprio un giurista .
EFFETTO “PRIMING”
Una volta arrivati, gli schemi guidano l’interpretazione delle informazioni nelle situazioni nuove immediatamente successive. Questo meccanismo, che viene detto effetto “priming” da conto dei risultati di un famoso esperimento di Higgins, Rholes e Jones: due gruppi di soggetti venivano testati in due compiti apparentemente indipendenti. Un compito prevedeva che ascoltassero e memorizzassero termini quali avventuroso, sicuro di sé, indipendente, tenace; l’altro che memorizzassero parole come incurante, presuntuoso, distaccato, ostinato. In una fase successiva ascoltavano la descrizione di una persona ipotetica della quale veniva detto, con tono ambiguo, che era molto sicura di sé, disponibile a intraprendere attività rischiose. A questo punto veniva loro chiesto di esprimere un giudizio positivo o negativo della persona. Colore che, avevano memorizzato dei tratti di tipo positivo diedero una valutazione positiva della personalità, in quanto i termini positivi appena memorizzati avevano portato all’attivazione di uno schema positivo, che ebbe per l’appunto un effetto priming sul giudizio, li dove la lettura previa di tratti negativi portò invece a un priming categoriale di tipo diverso, di valenza negativa, che indusse a una valutazione negativa.
LE PROFEZIE AUTOAVVERANTESI E LA CONFERMA DELLE IPOTESI
Gli schemi possono far si che l’ambiente, sia esso sociale sia fisico, corrisponda allo schema che ne abbiamo. Quando si dice e si teme che la Borsa crolli, la Borsa crolla davvero, in quanto sulla base dello schema dell’andamento dei mercati finanziari, tutti si affrettano a vendere le azioni, facendo si che la profezia si autoavveri. Qualcosa di simile succede anche nei rapporti con le persone. Tanke e Berscheid hanno mostrato a degli studenti la foto di una donna bella e quelle di una donna brutta e hanno chiesto loro di fare con queste una conversazione telefonica. Ebbene, il loro modo di conversare era caldo se credevano di parlare con la donna bella (in realtà pero le ragazze con cui parlavano erano scelte in maniera casuale e non corrispondevano alle foto). Ma ancora più interessante, le donne che venivano trattate come se fossero belle, si comportavano di conseguenza e parlavano in maniera più seduttiva, erano più simpatiche e socievoli. Naturalmente non tutti si comportarono in modo da confermare le aspettative. Ely e Swann hanno mostrato che questo accade solo quando la persona che viene giudicata ha un’opinione di se stessa oscillante e incerta. Non vi è dubbio, che negli esseri umani è presente una tendenza a cercare di confermare le proprie ipotesi.
La credenza crea la realtà: questo processo, è per lo più interpretato come il risultato di una ricerca selettiva di informazioni che confermino le ipotesi.
La memoria costruttiva: le ipotesi troverebbero conferma, anche se vengono raccolte prove che le contraddicono, perché innescherebbero un processo di memoria costruttiva.
Nelle nostre relazioni con gli altri siamo guidati da schemi di gruppo, che fanno si che vengono attribuiti tratti specifici a gruppi particolari di individui sulla base di idee preconcette: le donne, emotive; gli anziani, deboli, dipendenti; i giovani, forti, entusiasti. Questi schemi possono divenire rigidi al cambiamento, malgrado esperienze dirette di tipo contrario , dando cosi luogo agli stereotipi, un termine che dobbiamo a un giornalista di nome Lippmann. Il quale per primo vide un’analogia, tra le immagini rigide e semplificate usate nei calchi di stampa e la tendenza da parte dei gruppi a far uso di forti processi di semplificazione nella percezione degli altri gruppi. Egli suggeri quindi di utilizzare il termine stereotipo per indicare questo tipo di semplificazione rigida della realtà ravvisabile nell’opinione pubblica. I meccanismi cognitivi di semplificazione, fanno si che nel momento un cui il membro di un gruppo venga percepito un tratto singolo, questo viene visto come parte di una struttura sottostante, che corrisponde alla categorizzazione dell’intero gruppo. Lo schema di gruppo non solo influenzerà i processi di codifica, di memoria delle informazioni e di inferenza, ma porterà a cogliere segnali di pigrizia
; in tutti gli aspetti del comportamento di quella persona. Inoltre, lo stereotipo, influenza anche l’attenzione e la percezione. Ma cosa accade se si disconferma uno stereotipo? Ecco scatta nella nostra mente un’immediata tendenza a considerare quella persona come parte di un sottogruppo , si da proteggere lo stereotipo della sua falsificazione.
PREGIUDIZI, PROCESSI DI CATEGORIZZAZIONE E DINAMICHE RELAZIONALI
I processi di categorizzazione sociale, possono essere visti in un duplice aspetto: da una parte li possiamo considerare adattivi, ovvero l’esito della selezione naturale, in quanto consentono, di formarsi un’impressione rapida degli altri e di reagire a essi in maniera appropriata; dall’altra che avevano un senso nel nostro passato evoluzionistico, possono portare nel mondo odierno alla messa in atto di comportamenti o di modalità di pensiero disadattive. Gli stereotipi possono essere considerati infatti, la componente cognitiva dell’antagonismo tra i gruppi: sono
le impressioni che le persone si formano dei gruppi diversi dal proprio e che mediano il rapporto conoscitivo con essi; sono le rappresentazioni mentali che emergono dal raggruppare gli individui sulla base dei fattori che li accomunano (aspetto fisico, valori ). Tutte queste capacità di raggruppare le persone sulla base di qualche elemento comune porta a tralasciare gli aspetti che le rendono uniche, differenti una dall’altra, cosi che queste rappresentazioni cognitive risentono dell’effetto omogeneità del gruppo esterno e dell’effetto presunta similarità del gruppo interno, che, caratterizzano i rapporti tra gruppi diversi. Gli stereotipi sono, categorizzazioni sociale talmente approssimative a dar luogo a impressioni distorte dalle persone che appartengono al gruppo sociale che vediamo in termini stereotipici, diventando, cosi, la base dei pregiudizi, ovvero di quegli atteggiamenti, che pur in assenza di dati empirici, sono ingiustificatamente sfavorevoli verso chi appartiene a determinati gruppi sociali.
LA DISCRIMINAZIONE SOCIALE
Alla base di stereotipi e pregiudizi è possibile rintracciare categorizzazioni basate su concetti quali la razza o l’appartenenza etnica, la religione, il sesso, ecc. Il razzismo e l’etnocentrismo portano a vedere i membri della popolazione di colore come pigri, non molto intelligenti, i pregiudizi religiosi fanno si che gli ebrei vengano visti come ambiziosi, avari e come abbiamo visto nella Seconda guerra mondiale, i pregiudizi sessuali e di genere spingono a vedere le donne come deboli, incapaci di comandare. Gli stereotipi implicano un processo di discriminazione, il quale si articola in :
I processi cognitivi di categorizzazione sociale si tramutano quindi in dinamiche relazionali tra i gruppi.
Gli stereotipi non sono del tutto arbitrari, ma hanno alla loro base le esperienze che facciamo nella nostra vita di relazione con le persone che appartengono a diversi gruppi sociali e riflettono i ruoli sociali svolti attualmente o in passato da quei gruppi. In ogni società, può essere rintracciato uno stereotipo comune: il gruppo che occupa il gradino socioeconomico più basso, a qualsiasi etnia esso appartenga, viene considerato pigro, ignorante. Negli Stati Uniti questo stereotipo è stato applicato prima agli immigrati irlandesi, poi a quelli italiani. Quando la posizione di un gruppo migliora, cambiano gli stereotipi a esso relativi. I ruoli sociali spiegano anche gli stereotipi di genere, quelli che portano a considerare le donne sensibili, emotive, dipendenti, e gli uomini aggressivi, duri e dominanti. Le donne hanno, per secoli, svolto il ruolo di custodi del focolare domestico mentre gli uomini sono stati sempre impegnati in occupazioni fuori casa.
L’ERRORE DI CORRISPONDENZA
I ruoli sociali di un gruppo limitano e delimitano i comportamenti che vengono messi in atto dai suoi membri. Poiché accade per lo più che, le persone di un gruppo interagiscono con quelle di un altro quando queste ricoprono un determinato ruolo sociale, e quindi quando il loro comportamento è influenzato da quel particolare ruolo. Attraverso un meccanismo cognitivo che viene detto errore di corrispondenza, infatti, i comportamenti associati ai ruoli vengono attribuiti a caratteristiche di personalità dei singoli individui che appartengono a quel gruppo.
Peraltro, gli stereotipi, sono regolati dagli stessi meccanismi che sottendono il funzionamento degli schemi che abbiamo visto in precedenza: le informazioni nuove che non siano in linea con lo stereotipo vengono con facilità rifiutate o dimenticate. Le informazioni ambigue vengono interpretate in modo da essere congruenti con l’immagine mentale che si ha di un certo gruppo.
STEREOTIPI E PROFEZIE AUTOAVVERANTESI
Lo stereotipo, non solo influenza le nostre credenze su un dato gruppo, ma si pone in termini di profezia autoavveratesi. Se crediamo che i genovesi siano avari, ci comportiamo nei loro riguardi come se ci aspettassimo in ogni momento che essi cerchino di risparmiare e cosi
facendo aumentiamo la probabilità che essi si comportino in modo da confermare lo stereotipo che li riguarda.
L’AUTOCONSAPEVOLEZZA
Peraltro l’autoconsapevolezza di far parte di una minoranza e il saper che questa possiede certi tratti con determinate caratteristiche è in sintesi, la consapevolezza di essere diversi, portano a percepire gli altri come pronti a reagire alla propria diversità. Kleck e Strenta hanno trovato la consapevolezza di essere portatori di un difetto fisico altera la percezione del comportamento degli altri nei propri riguardi. Se a delle donne veniva dipinta una falsa cicatrice sul viso, dicendo loro che scopo dell’esperimento era registrare il modo in cui gli altri si comportavano nei riguardi di chi aveva un alterazione facciale, esse riportavano di essere state trattate con tensione e con un atteggiamento di superiorità. Le donne dell’esperimento, percepivano negli altri un comportamento prevenuto. L’autoconsapevolezza di essere diversi può portare, a relazioni tese tra le persone che appartengono al gruppo maggioritario e a quelle del gruppo minoritario, anche se entrambi gli interlocutori hanno intenzione di non essere influenzati dalla diversità.
LA CORRELAZIONE ILLUSORIA
Nei nostri processi di elaborazione delle informazioni siamo portati a prestare più attenzione a quelle che sono le caratteristiche insolite, salienti degli individui. Questa tendenza fa da sfondo alla formazione degli stereotipi. Per un meccanismo cognitivo che è stato scoperto dai fratelli Chapman e siamo inoltre portati a ritenere che se due eventi insoliti, poco frequenti e pertanto distintivi, si verificano per alcune volte nello stesso tempo, questi sono correlati. Questo effetto condivisione di distintività sembrerebbe dar conto del fatto che tendiamo a ritenere associate le caratteristiche che percepiamo come insolite, infrequenti e distintivi, secondo un meccanismo che Hamilton definisce correlazione illusoria. Se in gruppo siete l’unica persona del vostro sesso, sarete notato, e diventerete oggetto di attenzione da parte degli altri, in quanto la vostra diversità vi rende molto visibile. Per dimostrare che questo meccanismo funziona quando si emettono giudizi fra i gruppi, Hamilton e Gifford chiesero a dei soggetti di leggere una serie di frasi. Le frasi erano tutte di questo tipo: “ Joe, un membro del gruppo A, ha ceduto il posto a una vecchia signora nella metropolitana”, “Bob, un membro del gruppo B, ha gettato dei rifiuti per terra”. Si trattava, in pratica, di frasi che descrivevano comportamenti socialmente desiderabili o riprovevoli. I comportamenti furono attribuiti ai singoli individui in modo che non vi fosse alcuna correlazione tra l’appartenenza di un gruppo e la qualità dell’azione. Ebbene , quando ai soggetti fu chiesto di esprimere un giudizio sui due gruppi, essi assegnarono le azioni devianti al gruppo B e quelle positive al gruppo A, ovvero videro una correlazione (illusoria) tra le azioni negative.
STEREOTIPI E MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA
I mass media, riflettono proprio questo fenomeno e lo amplificano. Quando un omosessuale uccide qualcuno, la notizia viene riportata evidenziando l’omosessualità dell’assassino, mentre se l’omicidio è commesso da un eterosessuale, no si fa alcun riferimento alla sue inclinazioni sessuali. Quando Mark Chapman sparò a John Lennon, fu riportato che si trattata di un malato di mente, proprio perché la pazzia è un tratto insolito e suscita curiosità e inquietudine.
REMARE CONTRO GLI STEREOTIPI
Sembrerebbe quindi, che gli stereotipi vengano attivati automaticamente e vengano mantenuti attraverso meccanismi difficili da disinnescare. Eppure da una serie di studi emerge che non è proprio cosi, e che anche se in una fase iniziale nel rapporto con gli altri si innescano certo stereotipi, non è detto che il comportamento prodotto sia in linea con essi. L’avere una visione egalitaria del mondo, per esempio, porta a sentirsi a disagio nel confronto con una propria iniziale impressione di tipo stereotipo e ha come conseguenza un cambiamento nel comportamento successivo.
Ma a che età gli individui cominciano a valutare chi appartiene a gruppi diversi dal proprio attraverso stereotipi e pregiudizi? Dagli studi di Brown e Aboud emerge già dall’età di 3 anni i bambini hanno idee pregiudiziali riguardo ai gruppi etnici diversi da quello di appartenenza, anche se atteggiamenti discriminatori veri e propri emergono a partire dai 4 anni. Da questa età in poi, i piccoli mostrano una preferenza verso che riconosco come simili. L’acquisizione della capacità di pensare attraverso processi di categorizzazione sociale fa si, che intorno ai 6 anni i bambini possono utilizzare degli stereotipi nell’interpretazione degli eventi. Sagar e Schofield, per esempio, hanno trovato che in questa fascia di età lo stereotipo di razza guida il
modo in cui vengono giudicate le azioni degli altri. La tendenza all’utilizzo di categorie rigide per definire i comportamenti degli altri si attenua poi tra i 7 e 9 anni, tanto che a questa età i bambini riescono ormai a giudicare sulle base delle caratteristiche personali.
Al di là di quelle cognitive, è possibile rintracciare anche altre motivazioni alla base della messa in atto di comportamenti pregiudiziali. Hovland e Sears hanno trovato, per esempio, nel sud degli Stati Uniti , esisteva una correlazione inversa tra il prezzo del cotone e il numero dei linciaggi che avevano come vittime i neri e hanno ipotizzato che l’aggressione tra i gruppi potesse essere ricondotta alla frustrazione dovuta al peggioramento delle condizioni di vita. Prendendo spunto dalla teoria della frustrazione di Dollard e colleghi, i due studiosi interpretarono la violenza verso i neri in termini di spostamento dell’aggressività, verso dei capri espiatori: ovvero, dato che l’aggressività non poteva essere indirizzata alla fonte di frustrazione, essa veniva spostata su bersagli più accessibili e deboli. I tentativi di trovare conferma a questa teoria del pregiudizio, nota come teoria del capo espiatorio, tuttavia, non sempre hanno portato a risultati che vanno nella stessa direzione.
L’IDENTITA’ SOCIALE TRA “INGROUP” E” OUTGROUP”
L’IDENTITA’ SOCIALE E LA COSTRUZIONE DEL SE
Mead aveva sottolineato come il senso che noi abbiamo di noi stessi passa attraverso il senso della nostra appartenenza a un gruppo, ma si deve a Tajfel la dimostrazione empirica che le persone definiscono il loro concetto di se in termini di affiliazione di gruppo, e che nel momento in cui cio avviene l’identita’ sociale che ne deriva ha implicazioni anche per i rapporti intergruppi. Tajfel, nel formulare quella che viene detta teoria dell’identità sociale analizza nelle sue componenti più profonde come si deve intendere l’appartenenza al gruppo. Per Tajfel “un’ gruppo” non necessariamente implica una condivisione esplicita di particolari scopi. Inoltre lui richiama l’attenzione sulla propensione degli esseri umani a raggruppare le persone in categorie sociali sulla base di specifici elementi quali il sesso, razza, l’ età. Perfino il concetto che le persone hanno di se stesse è influenzato, dai senso di identificazione con i vari gruppi cui appartengono. Self è pertanto costituito da un miscuglio di identità sociali, che derivano dai gruppi sociali più o meno allargati cui ciascuno appartiene – quelli che i sociologi chiamano gruppi secondari, ed identità personali, che derivano sia nell’appartenere ai gruppi più privati, caratterizzati dal fatto che i membri sono legati da vincoli di natura emotiva e interagiscono più direttamente – quelli che vengono detti gruppi primari. L’identità sociale fa, quindi, riferimento a quegli aspetti del concetto di se che derivano dalla consapevolezza di appartenere a determinati gruppi. E fa si che “l’io” si trasformi in “noi”.
PROCESSI DI AUTOCATEGORIZZAZIONE E CATEGORIZZAZIONE SOCIALE
Considerare se stessi come componenti di un gruppo e quindi il frutto di un processo di autocategorizzazione, simile ai processi di categorizzazione sociale che caratterizzano la percezione di chi appartiene a gruppi diversi dal proprio. Questi processi portano a raggruppare gli individui sulla base di caratteristiche socialmente significative per loro stessi o per gli altri e ha enfatizzare ciò che rende simili coloro che fanno parte dello stesso gruppo, ciò che li rendi diversi dai membri degli altri gruppi. Tajfel e Wilkes hanno dato evidenza empirica a quest’aspetto particolare del funzionamento della nostra mente attraverso un famoso esperimento con il quale hanno mostrato come nel momento in cui si impone un’etichetta anche ad una semplice serie di stimoli costituiti da oggetti fisici, cosi che alcuni cadono in una classe e altri cadono in un'altra classe, il processo di categorizzazione che ne deriva porta a magnificare le differenze tra gli elementi che appartengono alle due classi, ovvero vengono percepite come accentuate le differenze tra le categorie; allo stesso tempo viene magnificata la percezione della somiglianza tra gli elementi che appartengono alla stessa categoria: ad alcuni soggetti furono mostrate alcune linee di lunghezza diverse; le linee più brevi furono etichettate come A , quelle più lunghe come B. Successivamente questi soggetti furono invitati a valutare la lunghezza delle linee all’interno di ciascuna categoria. A un gruppo di controllo vennero mostrate le stesse linee, ma senza etichettatura. Da questo studio emerse che i soggetti cui erano state mostrate le linee etichettate furono influenzati nella loro valutazione da questa sia pure elementare categorizzazione: la linea A più lunga venne giudicata di gran lunga inferiore per lunghezza alla linea B più breve; inoltre la differenza tra le linee all’interno di ciascuna categoria venne di molto sottovalutata. Queste valutazioni basate su processi di differenze intercategoriali e di assimilazione intracategoriale non si manifestarono nel gruppo di controllo. I processi cognitivi di categorizzazione sociale e di autocategorizzazione conducono, a esagerare le similarità all’interno dei gruppi e a esagerare al massimo le differenze tra i gruppi. Il gruppo fornisce, quindi, un significato alla vita degli individui, sia per ciò che riguarda la loro vita all’interno di un gruppo specifico (quello che viene detto l’ingroup),sia per ciò che concerne i loro rapporti con chi appartiene a un gruppo diverso (l’outgroup).
DALL’AUTOCATEGORIZZAZIONE ALLA DEPERSONALIZZAZIONE
Secondo la teoria dell’autocategorizzazione di Turner, gli individui, utilizzano livelli diversi di astrazione quando categorizzano i se stessi e gli altri all’interno delle diverse categorie sociali: possono procedere a un’autocategorizzazione di se stessi in termini di esseri umani, ricorrendo cosi a un livello sovraordinato di categorizzazione che li porta ad acquisire una generica identità umana, utilizzando un livello intermedio di categorizzazione che porta all’acquisizione di una identità sociale specifica ; possono essere regolati da una identità personale, utilizzando cosi un livello subordinato di autocategorizzazione. Tuttavia, nel momento in cui una persona categorizza se stessa come membro di un gruppo, scatta un’assimilazione del Sé a quello che viene considerato il prototipo del proprio gruppo che porterà a una depersonalizzazione del Sé,
ovvero non solo si percepirà come differente dai membri dell’outgroup e allo stesso tempo simile a quelli dell’ingroup ma addirittura si può percepire come intercambiabile con questi. La depersonalizzazione, è particolarmente evidente quando una persona adotta una identità particolarmente adeguata al contesto sociale cosi da porsi come identità sociale saliente. Provate a chiedervi “chi sono?” ed elencate su un foglio dieci frasi che vi descrivono. Vi accorgerete, come è accaduto a Kuhn e McPartland in un loro studio, che le risposte fanno riferimento più alla caratteristiche dei gruppi sociali cui sentite di appartenere che a caratteristiche individuali, più alla propria etnia o paese di appartenenza. Frasi del tipo “sono italiana”, “sono donna”, “sono alta”, “sono una studentessa”. La nostra identità è quindi legata, in larga parte, funzione delle nostre appartenenze ai vari gruppi sociali. La definizione di “chi sono” implica una definizione di “chi non sono”. Il gruppo che include “noi” (ingroup) esclude “il loro” (outgroup). Il “noi” fa scatenare un senso di appartenenza, mentre “il loro” fa riferimento a un gruppo di persone che vengono percepite come diverse, con poco o niente in comune con l’ingroup.
I membri del proprio gruppo, vengono visti come dotati di caratteristiche più gradevoli rispetto ai gruppi estranei. Nei processi di attribuzione causale opererebbe quindi un bias, un pregiudizio funzionale di mantenimento di buona immagine del gruppo di appartenenza, simile a quello che opera a livello personale, quel self-serving bias di attribuzione che ci porta a spiegarci i nostri comportamenti in termini di cause stabili tutte le volte che questi possano contribuire a una sopravvalutazione del Self. In altri termini, nel momento in cui riteniamo di far parte di un gruppo determinato, pensiamo che i termini di quel gruppo condividano le nostre caratteristiche, e in quanto simili a noi non possono essere migliori degli altri! L’opposto di quello che diceva G. Marx: “non vorrei far parte di un club che accetta me come suo membro”. Vari sono gli esperimenti che dimostrano quello appena detto. Per esempio Allen ha trovato che se dividevano dei soggetti in gruppi sulla base delle loro preferenze artistiche, questi assumevano che i membri del proprio gruppo fossero simili a loro anche per ciò che concerneva altri interessi; in altri termini assumevano una similarità in dimensioni che non avevano niente a che fare con ciò che aveva portato alla loro differenziazione in gruppi diversi. Da una ricerca di Taylor e Jaggi emerge poi come, nel ricercare le cause dei comportamenti, operano quei processi attribuzionali distorti, funzionali alla buona immagine del gruppo di appartenenza. Considerare il proprio gruppo migliore degli altri contribuisce, quindi, a costruire e a mantenere un’identità sociale positiva che influenza il nostro livello di autostima e l’immagine che abbiamo di noi stessi.
I processi di categorizzazione degli individui portano a processi di confronto sociale che determinano atteggiamenti favorevoli verso i membri del proprio gruppo e sfavorevoli verso i gruppi esterni. Tajfel ha dimostrato che è sufficiente rendersi conto di far parte di gruppi diversi, pensare a se stessi in termini di “noi” vs “loro”, per promuovere quello che viene detto ingroup bias, o effetto favoritismo verso l’ingroup, un atteggiamento pregiudiziale che porta a favorire i membri del proprio gruppo a scapito di chi appartiene a gruppi diversi, i quali, vengono valutati in termini negativi.
LA VARIABILE MINIMA
In una serie di esperimenti condotti in Gran Bretagna con Billing, Tajfel ha creato una co9ndizione ormai nota come paradigma dei gruppi minimi: dei giovani studenti venivano assegnati in maniera del tutto arbitraria a due gruppi diversi sulla base di una variabile minima (il lancio della moneta). Ebbene, da questi studi emerge che anche in una condizione in cui la distinzione tra i gruppi era del tutto artificiale, dividere i soggetti in due gruppi portava l’individuo a un processo cognitivo di categorizzazione, cosi che essi si percepivano come persone di un gruppo in opposizione a quelle dell’altro gruppo sociale, processo che induceva a favorire i membri del gruppo cui si era stati assegnanti, ovvero coloro che erano ormai considerati parti dell’ingroup , a scapito di quelli che erano stati collocati nell’altro gruppo e che era considerato l’outgroup . in un primo esperimento la situazione di intergruppi fu creata sulla base di condizioni assolutamente aleatorie. Degli studenti inglesi, di età compresa tra 14 e 16 anni, vennero assegnati a due gruppi diversi in base al lancio di una monetina. La divisione dei gruppi venne, poi, comunicata ai singoli soggetti individualmente, facendo in modo che ciascun soggetto sapesse della propria appartenenza a un gruppo o a un altro ma non sapesse a quale gruppo appartenevano i propri compagni. Dopo essere stati assegnati a un gruppo, a tutti i soggetti fu data la possibilità di distribuire 15 punti, corrispondenti a delle piccole somme di denaro, a due altri ragazzi che venivano indicati in maniera anonima. Dai risultati emerse che tutti i ragazzi tendevano a favorire il loro gruppo a scapito dell’altro. Dei 15 punti di cui disponevano, i soggetti, infatti, ne assegnarono una media superiore al gruppo di appartenenza, e una media inferiore all’altro gruppo.
NORMA SOCIALE O CONFRONTO SOCIALE?
In un primo momento, Tajfel e colleghi pensarono che i soggetti operassero a favore del proprio gruppo per applicare una norma sociale che vuole che, si aiuti a chi appartiene al proprio gruppo. Ulteriori esperimenti provarono, che i favoritismi verso l’ingroup non sono riconducibili solo al desiderio di assicurare risorse al proprio gruppo di appartenenza. Nelle situazioni di intergruppi minimi i soggetti di Tajfel cercavano soprattutto di far si che il proprio gruppo risultasse superiore a quello esterno, anche se questo comportava, per l’ingroup, una perdita di risorse in termini assoluti. Rekm e Lilli hanno trovato, a esempio, che se facevamo indossare delle magliette arancioni ai componenti di una squadra di pallamano tutti diventano molto più aggressivi nei riguardi dell’altra squadra. Questi risultati mettono in discussione tutta una serie di altre ipotesi che spiegano l’origine dei conflitti tra gruppi diversi. Rabbie e Korwitz, per esempio, partendo dalla concettualizzazione di gruppo che aveva formulato Lewin ( in gruppo è definito meglio come una totalità dinamica) avevano ipotizzato che per creare un sentimento di gruppo sia essenziale avere la percezione di un destino comune. Per provare quest’ipotesi i due studiosi convocarono nel loro laboratorio 8 soggetti per volta, tra di loro estranei, e comunicarono loro che, per pure ragioni, erano stati divisi in modo casuale in due gruppi, uno identificabile con targhette di colore blu, e l’altro con targhette di colore verde. Gli sperimentatori crearono poi delle condizioni sperimentali in cui i gruppi subivano in maniera esplicita un “destino comune”, ovvero veniva detto loro che per la partecipazione all’esperimento erano a disposizione solo 4 radio transistor, per cui solo uno dei due gruppi poteva essere premiato e che la assegnazione sarebbe stata in maniera casuale. Ad altri soggetti l’esperienza di gruppo si limitava all’essere assegnati dallo sperimentatore a “quelli verdi” o a “quelli blu”, ma non implicava alcun interdipendenza. In una fase successiva i soggetti vennero invitati a esprimere le loro impressioni sia sui membri dei proprio gruppo, che su quelli dell’altro gruppo. Emerse dai risultati che le valutazioni fatte da ciascuno erano influenzate dall’affiliazione a un gruppo piuttosto che a un altro. Sembrerebbe quindi che un unico processo cognitivo, basti per provocare negli individui un comportamento che discrimini l’outgroup e favorisce ingroup. Doise parla di un processo di differenziazione categoriale: dalla categorizzazione prendono l’avvio giudizi di valore, rappresentazioni mentali delle relazioni tra i gruppi e i comportamenti di differenziazione sociale che sono connessi gli uni agli altri all’interno di una dinamica discriminativa.
Con i loro studi Tajfel e Turner hanno mostrato quindi che noi giudichiamo il prestigio o il valore del nostro gruppo soprattutto ponendolo al confronto con altri gruppi, riprendendo per questo l’assunto della teoria del confronto sociale di Festinger. Questa idea fa da sfondo anche a quella che viene detta la teoria della deprivazione relativa: gli individui continuano a competere, perché provano insoddisfazione se gli altri si trovano in condizioni migliori. Si
utilizza il confronto con gli altri come metro per valutare l’adeguatezza di ciò che abbiamo. Questo fa si che a livello individuale proviamo una deprivazione relativa egoistica quando otteniamo possediamo meno risorse o meno successo degli altri. Mentre quando il nostro gruppo non raggiunge traguardi che ci aspettavamo, proviamo una deprivazione relativa fraterna. La teoria dell’identità sociale mette, pertanto, in discussione quella che viene detta la teoria del conflitto realistico, la quale sostiene che è la scarsità di risorse a determinare conflitti tra i gruppi.
Sherif, basandosi su una serie di esperimenti condotti con la moglie tra il 1949 e il 1954 su un gruppo di adolescenti che aveva passato due settimane in un campo estivo, in una località di nome Robbers Cave, mostra inoltre come nel confronto tra l’ingroup e l’ outgroup possono emergere degli scopi competitivi, e che, nel momento in cui gli interessi di un gruppo entrano in conflitto con quelli di un altro gruppo, è molto probabile che ciascun gruppo assuma un atteggiamento ostile, che sviluppi atteggiamenti, preconcetti e che si arrivi a un conflitto intergruppi. Gli Sherif, cercarono di mostrare che nel momento in cui si riescono a creare delle condizioni che fanno si che l’interesse di due gruppi diversi coincidono, ovvero quando i due gruppi si trovano a perseguire degli scopi sovraordinati, i membri di entrambi i gruppi adottano un atteggiamento cooperativo nei confronti uno dell’altro. Lo studio di Sherif, noto come l’esperiemento di Robbers Cave, comprendeva tre fasi: in una si analizzava la formazione del gruppo; nell’ altra l’emergere del conflitto di gruppo, nella terza si focalizzava sui fattori che portavano alla riduzione del conflitto. I ragazzi che partecipavano al campo estivo furono selezionati accuratamente in modo da formare un campione omogeneo di soggetti di circa 12 anni, di razza bianca, provenienti da famiglie stabili, senza problemi psicologiche. Nessuno dei ragazzi si conosceva prima di arrivare al campo.
-Nella prima settimana i psicologi procedettero alla formazione del gruppo : dopo aver osservato i rapporti di simpatia spontanea che si creavano tra i ragazzi, gli organizzatori formarono due gruppi distinti. Nel primo periodo i due gruppi furono coinvolti in varie attività che potessero favorire la loro coesione. Ben presto emerse un leader e ciascun gruppo si diede un nome.
-Appena i due gruppi scoprirono l’uno l’esistenza dell’altro i ragazzi cominciarono a suggerire ai sorveglianti del campo di organizzare delle sfide e delle competizioni. A questo punto gli sperimentatori procedettero alla creazione della competizione intergruppi: organizzarono un torneo con tiro alla fune, caccie al tesoro e promisero a ciascun membro del gruppo vincente un coltellino tascabile ai perdenti invece nulla. Si creò cosi un conflitto di interessi tra i due gruppi. I gruppi erano, passati da una condizione di indipendenza reciproca, a una di interdipendenza negativa, in cui un gruppo guadagnava quello che l’altro gruppo perdeva. In questa fase il comportamento dei gruppi cambiò: mentre dapprima i ragazzi si erano trattati con indifferenza ( o con simpatia ) in questa fase si trasformarono in due bande rivali, acclamando i propri compagni e insultando gli avversari
-In una terza fase, gli sperimentatori procedettero a creare delle condizioni che potessero ridurre il conflitto: in un primo stadio si cercò di ridurre la tensione incrementando i concetti e creando occasioni di conoscenza reciproca, furono create situazioni piacevoli di interazione (cinema, pranzi insieme). Questi occasioni, tuttavia, servirono solo ad acuire i conflitti: i pranzi si trasformavano in guerre di rifiuti e ogni momento di concetto faceva aumentare i dissidi. La semplice conoscenza non era quindi sufficiente a superare l’ostilità tra i gruppi. Si crearono, allora, una seria di scopi sovraordinati, ovvero scopi che era interesse di entrambi i gruppi perseguire, ma che non era possibile raggiugere se non attraverso gli sforzi congiunti di entrambi. Si fece in modo, per esempio, che si rompesse il camion sul quale i ragazzi stavano tornando al campo, quasi all’ora di pranzo, cosi che i ragazzi, per poter andare a mangiare (uno scopo sovraordinato) , furono “costretti” a cooperare per far ripartire l’autocarro: tutti e due i gruppi si misero a tirare una corda alla quale avevano legato il paraurti anteriore, collaborando gli uni con gli altri. E fu dopo questo episodio, che i due gruppi si mostrarono meno aggressivi gli uni verso gli altri e misero in atto meno favoritismi verso l’ingroup. In conclusione, gli esperimenti di Sherif mostrano che gli individui cambiano il loro comportamento in funzione delle loro relazioni e che i conflitti tra gruppi non possono essere ricondotti ai tratti di personalità dei singoli individui, ne esseri spiegati e ridotti alla somma dei rapporti interpersonali tra i membri di gruppi diversi. I successivi esperimenti di Tajfel, infatti, che abbiamo visto sopra, sono riusciti a individuare quelle che sono le determinanti di base
della discriminazione tra gruppi diversi e a mostrare che la competizione intergruppi è riscontrabile anche quando non sono in gioco risorse materiali.
Ma cosa accade quando un individuo si ritrova a vivere in contesti in cui la sua appartenenza non può essere ricondotta a un unico gruppo? Nelle squadre di calcio, per esempio, sono presenti giocatori di provenienza regionale o nazionale diverse. Un brasiliano che giochi nella nazionale italiana si definirà come italiano, brasiliano o giocatore? La teoria di Tajfel porterebbe a ritenere che la sua identità non può derivare dalla sua nazionalità. La teoria della complessità dell’identità sociale elaborata da Tetlock richiama l’attenzione su come ciascuno di noi abbia in effetti una propria rappresentazione dei rapporti esistenti tra i gruppi cui sente di appartenere; il senso della propria identità passa dal grado secondo cui ciascuno ritiene che questi gruppi possano sovrapporsi. Quando non è possibile che i gruppi cui si appartiene si sovrappongono completamente, emerge una identità più complessa e articolata. Prendiamo il caso degli italiani e dei cattolici. Si tratta di due gruppi che in larga parte si sovrappongono, ma non sempre. Non tutti gli italiani sono cattolici e viceversa. Coloro che ritengono che i due gruppi si sovrappongono completamente, finiranno con l’avere una identità sociale poco complessa, colore che invece sono consapevoli del fatto che all’interno del gruppo degli italiani possano esserci individui non cattolici e non credenti accettano la differenziazione presente nell’ingroup e finiscono con l’avere un identità sociale complessa. Un notevole peso hanno poi i valori del gruppo di appartenenza, cosi che nelle culture dove sia presente una ideologia integrazionista, ovvero che incoraggia lo scambio tra gruppi nell’accettazione delle diversità, sono più presenti individui con una identità complessa mentre nelle culture caratterizzate da ideologie di tipo assimilazionista, ovvero li dove una cultura dominante impone i propri costumi ed esercita pressioni.
Ma è possibile ridurre la discriminazione tra gruppi diversi e il conflitto che ne deriva? I risultati dell’esperimento di Sherif e colleghi sui ragazzi di Robbers Cave delineano, alcune delle strategie che possano portare a relazioni positive tra gruppi diversi. Se gli interessi entrano in conflitto emerge la competizione. Queste strategie si rivelarono inutili. Le occasioni di contatto, invece di diminuirli, aumentarono i conflitti al punto che ogni momento di incontro fece aumentare i dissidi. In altri termini, la semplice conoscenza non si rivelò sufficiente a far superare lo l’ostilità tra i gruppi. Fu a questo punto che Sherif decise di provare una nuova strategia. Ipotizzò che introdurre degli scopi sovraordinati creare delle situazioni in cui i ragazzi fossero costretti ad avere obiettivi comuni, avrebbe portato a una riduzione dei conflitti. Il paranigma che fa da sfondo a questo modo di vedere il superamento del conflitto intergruppi e, quello gestaltista. Per coloro che sostengono la teoria del contatto, gli stereotipi, i pregiudizi infatti si fondono sulle strutture della nostra mente che portano non solo a trascurare le informazioni incongruenti con gli schemi di gruppo già in nostro possesso, ma anche a recepire più facilmente quelle che li confermano. Il delitto di Erba, per esempio, può essere considerato un prototipo di contatto diretto può esacerbare stereotipi e conflittualità preesistenti, cosi che una coppia può massacrare la famiglia di un immigrato su una base di una intolleranza irriducibile verso usi e costumi ritenuti diversi da quelli del proprio gruppo di appartenenza. Per alcuni studiosi il contatto può essere efficace nella misura in cui avviene a un livello individuale, personalizzato. Secondo questo approccio, che viene detto modello della personalizzazione, nel momento in cui si favoriscono le relazioni tra i singoli individui, viene meno la tendenza a subire l’effetto omogeneità dell’ingroup, ovvero si riduce la tendenza a pensare che le persone di gruppi diversi dal proprio siano tutti uguali. Secondo Hewstone e Brown propongono quello che viene detto modello dell’identità sociale distinta, il quale prende le mosse della teoria dell’identità sociale di Tajfel e richiama l’attenzione su come sia essenziale, per la riduzione del pregiudizio, che ogni gruppo mantenga i propri confini, ma su come sia altrettanto essenziale che si faccia il modo che da una interdipendenza negativa tra gruppi diversi si passi a una interdipendenza positiva. Diversa è la posizione di un gruppo di studiosi i quali sottolineano che il mantenere un identità sociale non farebbe che promuovere le ostilità intergruppo piuttosto che ridurle. Essi sostengono per tanto che la migliore strategia per il controllo del conflitto è cercare di ridurre la differenziazione fra i gruppi a favorire una comune identità di gruppo. A tal fine si dovrebbero creare delle condizioni che possano far emergere un nuovo processo di identificazione e di appartenenza , ovvero un processo in grado di accomunare sia l’ingroup sia l’outgroup all’interno di una categoria superordinata. In
altri termini, affinché una interdipendenza positiva possa esser realizzata si dovrebbe venire a creare un identità condivisa sovraordinata la quale dovrebbe precedere o emergere simultaneamente a scopi sovraordinati.
Dinamiche di gruppo e leadership
La tematica principale della psicologia sociale è il comportamento degli individuo quando si trovano all’interno del loro gruppo di appartenenza e l’influenza che gli altri possono avere sui singoli. E’ importante capire cosa intendono gli psicologi sociali per gruppo sociale di appartenenza, secondo i principi della Gestalt si può parlare di gruppo quando gli individui che lo compongono hanno tra di loro interazione ovvero quando vi è un interdipendenza cosi da cogliere il destino comune che lega i suoi membri. Questa definizione esemplifica la nozione di Lewin il quale definisce un gruppo come un entità collettiva diversa da quella individuale e qualcosa di più ed e differente dalla semplice addizioni dei singoli membri in quanto il tutto non è solo la somma delle parti cosi come la totalità ha grazie alle singole parti un significato specifico. Solo se gli individui percepiscono il destino comune costituiranno un insieme, non è quindi la somiglianza o la differenze a definire l appartenenza ad un gruppo ma bensì l’interdipendenza cosi i passeggeri di un aereo se non interagiscono non possono essere definiti come un gruppo tuttavia è difficile mantenere questa definizione in termini rigidi, Tajfel mostra con il suo paradigma dei gruppi minimi come i processi di categorizzazione possono scattare con variabili minime e far sentire le persone parti di un gruppo , tuttavia gli individui si sentono appartenenti ad un gruppo al quale sono stati assegnati casualmente o in quanto condividono la stessa tifoseria al punto che gli individui acquisiscono il sento della propria identità attraverso l’appartenenza, così si può definire gruppo anche un insieme di persone che di fatto non interagiscono tra di loro. Proviamo ad analizzare cosa non sarebbe un gruppo per Lewin e cosa lo è per Tajfler, se raggruppiamo le persone in base al sesso, all’età o alla professione per Lewin non è un gruppo ma categoria sociale, tuttavia per Tajfler le persone di queste categorie potrebbero sentirsi un gruppo sviluppando quindi un identità sociale. Se raggruppiamo le persone che assistono ad un evento parliamo di pubblico tuttavia non è detto che si conoscono o che interagiscono tuttavia puo essere definito gruppo, allo stesso modo le persone che si trovano in una situazione comune e a stretto contatto senza avere un legame parliamo di folla o di aggregati (Folla per entrare allo stadio) in questo caso ne Lewin ne Tajfler parlerebbero di gruppo. Possiamo trovare una definizione accettabile secondo cui il gruppo sociale è caratterizzato dall’interazione tra i membri o la potenzialità di farlo ma soprattutto è caratterizzato dalla dipendenza dall’altro. Un team, una squadra, un gruppo di lavoro o un circolo sportivo sono gruppi sociali perché le persone interagiscono con regolarità, anche una famiglia e un gruppo sociale ma di dimensioni più ristrette e con interazione intime e informali collegati da vincoli di sangue, al contrario, le istituzioni o le organizzazioni formali sono gruppi sociali allargati in cui anche se i membri non interagiscono hanno la possibilità di farlo.
I gruppo variano in termini di:
Sia che essi siano formali o informali, sono strutturati in maniera da permettere ai singoli di raggiungere scopi individuali e collettivi attraverso una ripartizioni di compiti, adottando quindi ruoli diversi. Perfino i bambini nella scuola materna, dopo pochi incontri decidono il leader, i posti e i ruoli di ognuno. La struttura sociale di un gruppo si basa sul fatto che gli individui
abbiano al suo interno uno status ovvero una posizione che viene valutata dagli altri membri. Secondo la teoria delle aspettative circa lo stato questa collocazione viene a seguito delle aspettative del gruppo sulle competenze sulle abilità dei singoli necessarie per il raggiungimento degli scopi, questo non esclude l’utilizzo di caratteristiche come avere una posture eretta, una voce ferma, forza decisione e domando Nel momento in nasce il gruppo si strutturano le normi sociali che regolano i comportamenti, le responsabilità gli obblighi e i diritti, le norme quindi fanno si che ad ogni posizione corrisponda un ruolo sociale.
Secondo Levine e Moreland è tuttavia possibile rintracciare ruoli fissi:
Bales e Staler descrivono dettagliatamente i due stili di leadership
Barbara Hold riscontro che già nel gruppi di bambini in età prescolare emerge un leader che solitamente è il bambino che :
Merei notò che in un nuovo gruppo diventano leader i bambini che all’inizio sono in grado di adattarsi e ce solo in seguito cominciano a proporre nuovi giochi.
Queste caratteristiche che includono la capacità di gestire le relazioni e le abilità nei compiti specifici sono riscontrate come fattori associati alla leadership tuttavia non è possibile individuare tratti di personalità specifici che conducono in individuo a diventare capo anche se emergono alcune correlazioni che fanno riferimento ai BIG FIVE quali l’estroversione, la coscienziosità la stabilità emotiva l’apertura e la leadership. In ogni caso hanno più probabilità di diventate leader coloro che sono più intelligenti, più forti che sanno gestire i rapporti interpersonali e coloro che sono più motivati. Sembrerebbe inoltre che le persone che riescono a riscuotere più fiducia attraverso un carisma personale diventino leader in quanto un leader carismatico ha una visione più precisa degli obbiettivi, ha a capacità di renderli chiari attraverso un linguaggio semplice tuttavia un forte carisma può portare il gruppo alla morte come il caso di Jim Jones che convinse i partecipanti di una setta religiosa a operare un suicidio collettivo. Tutte queste caratteristiche sono utili a definire un leader ma nessuna di esse e sufficiente per diventare leader in quanto quest’ultimo e il risultato di un incrocio tra caratteristiche dell’individuo e della situazione.Da una metanalisi di Judge, Piccolo e Ilies appare che sia uno stile di leadership basato sulla considerazione delle persone sia uno stile basato sul compito sono correlati dalla situazione con l’organizzazioni e le performance del gruppo cosi il primo stile e associato all’efficacia lavorativa e alla soddisfazione dei membri mentre il secondo e collegato a situazioni diverse. Fiedler analizza la forte interazione tra leader e caratteristiche della situazione, nel suo modello di contingenza ha mostrato che un leader efficace è il risultato dell’incrocio tra un leader sociemozionale e un leader centrato sul
compito e sul controllo. Il controllo è dato dalla sicurezza del leader nel riuscire a svolgere il suo compito sulla base:
Sembrerebbe che sia in sia in situazioni di un controllo molto basso o di un controllo molto alto lo stile di leadership che porta al massimo dell’efficienza è quello centrato sul compito, al contrario se invece il controllo e moderato si assiste ad un leader di tipo socioemozionale. Se è vero che il leader influenza i membri del gruppo è altrettanto vero che i membri influenzano il leader con le loro aspettative e le richiesti. La teoria della leadership viene definita transazionale per enfatizzare la bidirezionalità dell’influenza leader-membri del gruppo. Hollander mostra che il leader viene legittimato in 4 situazioni :
Recentemente si è analizzato un altro modello di leadership, quello trasformazionale.
Il leader trasformazionale è colui che riesce a influenzare i membri del gruppo nel trascendere gli interessi personali e motivarli nel perseguire mete comuni. La leadership trasformazionale si caratterizza per 4 dimensioni:
Il leader empowering si caratterizza per alcune modalità nella gestione delle relazioni con i membri del gruppo tali modalità sono:
Anche le caratteristiche della situazioni giocano un ruolo importante della definizione del leader, all interno di un gruppo è più probabile che a diventare leader sia colui che ha più possibilità di interagire e comunicare con un numero maggiore di persone rispetto agli altri solitamente all’ interno di un gruppo 1 o 2 persone parlano molto di più rispetto agli altri. Bales e Slater hanno riscontrando che i membri di un gruppo indirizzavano le loro richieste e si rivolgevano più al leader che al resto del gruppo assegnando quindi al leader un ruolo centrale in quanto si occupa di ricevere e trasmettere più comunicazioni a tutto il gruppo questo deriva da una propensione a base innata che tende a rivolgere la propria attenzione verso il più dominante.
Nella vita quotidiana la comunicazione è regolata da una vera e propria rete di comunicazione. Bavelas e Leavitt hanno proposto un modello che descrive le strutture dei gruppi in cui gli scambi comunicativi avvengono attraverso canali formali, le reti possono variare da un massimo di centralizzazione come la struttura a ruota dove una persona posta al centro riceve i messaggi e li invia agli altri membri ad un massimo di apertura come la struttura a cerchio dove ognuno è libero di comunicare con gli altri. Piu la rete è centralizzata più efficiente è la prestazione anche se la soddisfazione del gruppo tende a diminuire. Shaw ha mostrato che nei
compiti difficili e preferibile la struttura a cerchio in modo tale che lo scambio di informazioni tra tutti porti ad una soluzione più veloce e semplice. Secondo gli studi di Steiner, nei compiti difficili l utilizzo di una comunicazione a cerchio inizialmente aiuta al raggiungimento della soluzione ma dopo un certo periodo le reti centralizzate portano a prestazioni migliori anche nei compiti diffidi per cui quest’ultimi sono in una prima fase facilitati dalla comunicazione a cerchio che in una seconda fase viene sostituita con una comunicazione centralizzata. Sembra quindi che la rete centralizzata dove esiste una leadership centrata al compito sia più efficace il rischio tuttavia è che si passi da un leader centrato al compito ad un leader autoritario provando quindi malcontento e insoddisfazioni nel gruppo.
Per parlare di leadership bisogna sottolineare che affinché funzioni, è necessario che le persone obbediscono, gli essere umani sono abituati ad obbedire a chi detiene l’autorità, solo rispettando le leggi, i divieti e gli ordini una società può funzionare. L’obbedienza ha alla sua base la consapevolezza che chi detiene legittimamente il potere ha l’autorità e il diritto di chiederci di obbedire quanto tuttavia ci chiedono qualcosa che va contro la nostra morale di parlerà di obbedienza distruttiva.
Esperimento: Milgram convocò in laboratorio 40 volontari tra i 20 e i 50 anni, ad ogni uno fu presentato lo sperimentatore e un altro soggetto (complice di Milgram) e fu riferito che in coppia dovevano partecipare ad uno studio sulle punizioni, il soggetto vero rappresentava l’insegnante mentre il complice l ‘alunno che veniva legato in una stanza con degli elettrodi nelle braccia. Il compito dell’insegnate era quello di infliggere scosse elettriche tramite la shock machine con intensità diverse dal 15 a 450 volt. L’insegna prima fu posto ad una scossa i 45 volt in modo da comprendere il dolore dell’allievo, ogni volta che si infliggeva la scossa l’allievo emetteva gridi di dolore e supplicava di smetterla dopo poco tempo gli insegnati cominciavano a mostrare segni di stress come sudorazione o nervosismo, segni che mostravano il conflitto tra le pressioni della situazioni e la preoccupazioni verso la vittima. L’esperimento terminava quando il soggetto si rifiutava di andare avanti o quando somministrava tre volte una scarica intensa. Con questo esperimento Milgram prova che l’autorità legittima può indurre una persona normale anche a commettere crimini distruttivi, una spiegazione può essere che gli individui vengono spinti ad obbedire in quanto pensando che le autorità siano degne di fiducia. La propensione ad obbedire è a base innate in quanto funzionale a mantenere il gruppo coeso. Milgram studio le condizioni che potevano variare dell’obbedienza degli individui tra cui:
Non solo l’autorità ha il potere di farci obbedire, Raven è riuscito con i collaboratori (French e Raver) a classificare le forme di potere, e le risorse che i singoli utilizzano per poter influenzare gli altri:
L’influenza degli altri: dal conformismo alla produttività di gruppo
Un aspetto di cui si è occupata la psicologia sociale è stato il Conformismo nelle sue varie accezioni.
Il conformismo è quell’atteggiamento che ci spinge a conformarci con gli altri o per nostro volere o perché ne siamo costretti , dovendo condividere la società in cui si vive; per questo il conformismo può essere
Ci si chiede sempre perché siamo in balia degli altri e la risposta che la psicologia sociale ha dato è che il gruppo a cui si appartiene ha il potere di cambiare i singoli individui che, in altre circostanze sarebbero stati ‘’ se stessi’’, oppure li cambia in senso positivo in quanto il gruppo di appartenenza rappresenta il loro mondo, persone con cui riescono a sentirsi amati e stimati. A tal proposito sono stati fatti diversi esperimenti:
Nel momento in cui ci si trova ad interagire all’interno di un gruppo dunque, non solo si conforma l’atteggiamento ma anche le opinioni dei singoli finiscono con l’influenzarsi a vicenda e, formare così un atteggiamento conformista sì ma anche norme sociali.
Sherif fu uno degli psicologi sociali che a proposito del conformismo sosteneva che, l’individuo confronta il proprio giudizio con quello altrui, abbandonando il proprio per adeguarsi a quello del gruppo dunque arrivando ad un compromesso che possiamo definire norma sociale o come preferisce l’autore ad una norma di gruppo.
Dunque possiamo vedere come l’interazione sociale porti le persone a far confluire i loro punti di vista individuali in una norma comune e condivisa da tutti.
Ci si è posti anche il dubbio se, questa conformità di atteggiamento e idee sia solo relativo a situazioni di ambiguità, in cui gli individui singolarmente non riescono a dare una risposta limpida e corretta : attraverso degli esperimenti è stato riscontrato che, con una media di una su tre delle volte,i soggetti presi in esame sceglievano di seguire il senso comune pur essendo consapevoli che la loro risposta fosse quella giusta e quella del gruppo sbagliata.
Ciò sta ad indicare, secondo l’esperimento di Asch, che la gente preferisce conformarsi alla maggioranza pur essendo questa maggioranza in contrasto con il proprio modo d’essere, per paura di non essere accettato.
Infatti quando si esprime un giudizio di fronte agli altri ci si preoccupa sempre di due aspetti: il primo è che la nostra opinione sia giusta e corretta; il secondo è che gli altri si formino una buona impressione di noi e ci approvino.
Dobbiamo poi aggiungere che l nostra percezione della realtà dipende sì dai nostri sensi ma anche dalle informazioni che riceviamo dagli altri, sul mondo che ci circonda per questo dobbiamo esser certi che la nostra visione coincida con quella altrui. Accettare il giudizio altrui significa quindi conformarsi alla maggioranza poiché si ha l’idea che gli altri abbiano maggiori informazioni rispetto a noi e questa viene definita influenza dell’informazione.
Per quanto riguarda invece la pressione normativa, questa spiega che le persone si conformano alla maggioranza solo per non creare antipatie, rifiuto o per non essere derise.
In un gruppo due sono i modi di conformità:
Per quanto riguarda il primo punto bisogna aggiungere che ciò è possibile attraverso quattro punti fondamentale:
Ritornando alla pressione alla quale un gruppo si sottopone, possiamo distinguere :
La conformità dipende anche dalla coesione , grandezza e unanimità del gruppo.
Moscovici si rese conto che non è solo la conformità a rivoluzionare il comportamento sociale bensì, la minoranza.
Prendendo esempio da Galileo per le scienze e da Picasso per l’arte, egli studiò come la minoranza può effettivamente esercitare la sua influenza , soprattutto attraverso la coerenza di quest’ultima, dunque possiamo distinguere due tipi di coerenza:
Inoltre la minoranza porta alla conversione , ovvero al cambiamento profondo e permanente rispetto invece alla maggioranza che comporta solo un cambiamento superficiale e momentaneo.
Nemeth a tal proposito parlò di pensiero divergente: quando la minoranza induce il singolo individuo ad attivarsi mentalmente e trovare soluzioni nuove e creative attraverso appunto un pensiero divergente, diverso e proprio mentre, la maggioranza utilizza un pensiero convergente ( tutti devono pensare la stessa cosa).
In questo frangente è stata puntata l’attenzione su come realmente cambiano le dinamiche di un gruppo , impegnate in una discussione , influenzano il punto di vista individuale e sui processi decisionali, cioè su come realmente cambiano il modo in cui anche individualmente le persone appartenenti allo stesso gruppo pensano una decisione piuttosto che un’altra e non solo perché la maggioranza pensa in quel determinato modo.
Si è posti questa domanda anche per capire se le decisione della maggioranza rispecchino il ‘’ giusto ‘’ perché fornite di più informazioni o perché si ci conforma alla maggioranza per paura di non essere accettati.
Stoner a questo punto cercò di dimostrare che i gruppi non prendono decisioni più moderate rispetto ai singoli individui ma che, spesso sono propensi addirittura al rischio e ciò viene definito dal nostro studioso attrazione del rischio che, alla fine del suo esperimento risultò 9 su 10 persone del gruppo atte al rischio.
Da altri studi invece si è arrivati alla conclusione che all’interno del gruppo vi sia la cosiddetta polarizzazione di gruppo, ovvero il rafforzamento da parte dell’intero gruppo di una decisione già persa in considerazione in precedenza ma, rafforzata o verso il polo positivo o verso il polo negativo.
Su questo aspetto vi sono due interpretazioni:
Janis successivamente parla di pensiero gruppale , ovvero quel pensiero che spinge il singolo a seguire il pensiero del gruppo nonostante magari sia sbagliato, per il semplice motivo di appartenere a quel gruppo e di evitare dunque di andare contro la maggioranza.
A tal proposito ci si è chiesti se le dinamiche interne di un gruppo si ripercuotono sulla produttività del gruppo stesso.
Steiner sostenne anche che la produttività dipenda non solo dalle sue dinamiche ma anche dalla natura del compito, infatti innanzitutto bisogna:
Esistono anche compiti disgiunti che prevedono che la produttività del gruppo sia in funzione delle sole competenze dei singoli tra le quali il gruppo opera le sue scelte.
Questo modello permette di fare delle supposizioni sulla produttività di un gruppo e consente anche di analizzare il processo attraverso cui si svolgono azioni che all’apparenza sembrano semplici, scontate e automatiche.
Aggressività e Altruismo
Aggressività e altruismo , secondo gli studiosi, sono delle variabilità ipotetiche che si traducono in comportamenti che i singoli individui adottano in base a determinati fattori, caratteristiche di chi svolge l’azione di chi la riceve e in quale contesto tali atteggiamenti si manifestano.
Aggressività
Un comportamento aggressivo è quell’azione che provoca un danno sulla base di un’intenzione in tal senso da parte di chi lo mette in atto. Gli psicologi considerano dunque aggressivo tutto ciò che danneggia intenzionalmente l’altro e, non solo dal punto di vista fisico.
Attili e Hinde hanno individuato due tendenze:
Ciò per rintracciare le motivazioni reali dell’aggressività che, secondo gli studiosi possiamo ricondurli a sistemi neuronali e ormonali differenti, tra uomo e donna e tra un individuo e un altro.
Possiamo parlare, secondo gli psicologi di:
Possiamo distinguere anche diversi tipi di comportamento aggressivo che da quello criminale a quello umano:
Possiamo poi distinguere l’aggressività tra maschi, l’aggressività da stimoli sessuali e l’aggressività materna :
Tutte le azioni violente però, non vengono innescate solo da fattori interni all’individuo ma, anche a fattori socioculturali che possono ridurre o ampliare l’attivazione di tali atteggiamenti o che possono addirittura dare significati diversi al comportamento. Dunque per essere percepito come comportamento violento deve rispondere a delle norme sociali:
Col parlare dell’influenza sociale siamo arrivati a parlare anche della violenza collettiva, ovvero quella violenza la cui responsabilità è rintracciabile sull’intero gruppo anche se l’azione venga compiuta da un singolo componente. Per cui tali azioni possono anche essere cruenti.
Emerge così all’interno di un gruppo quella che noi definiamo la teoria della norma emergente, ovvero la formazione di nuove norme, per le quali i membri del gruppo adottano un determinato comportamento perché richiesto dalla nuova norma, come prova di coraggio.
Altruismo
È quel comportamento che si manifesta in maniera volontaria e senza aspettativa alcuna da parte di chi compie l’azione, di ricevere vantaggini conseguenza di ciò.
Spesso però, tali azioni sono spinte da intenzioni diverse ed è per questo che è stato studiato il comportamento pro sociale , ovvero quel comportamento che spinge una persona a compiere quell’atto per un senso di approvazione e quindi per una motivazione di tipo egoistica. In tal senso è stata elaborata la teoria dello scambio sociale: ci si comporta così prendendo in considerazione i benefici che ne derivano.
Dunque la motivazione che ci spinge ad intervenire nei confronti di chi si trova in difficoltà deriva da un processo decisionale che implica:
La decisione di portare aiuto, che si tratti di un’azione altruistica o di un’azione pro sociale, è influenzata anche da fattori legati alla situazione o al contesto in cui le persone so trovano per questo possiamo parlare di :
I comportamenti d’aiuto richiedono anche precise norme sociali:
Dobbiamo inoltre dire che non esistono dei tratti di personalità standard per classificare coloro che danno aiuto poiché, decidiamo di prestare aiuto a coloro i quali, secondo le nostre considerazioni, meritano il nostro aiuto: a chi perde il lavoro, a chi ha problemi di salute etc.. Infine, per valutare questi due aspetti opposti del comportamento umano e animale, quali l’altruismo e l’aggressività, tre sono state le teorie che se ne sono occupate per definirle al meglio:
quale l’atteggiamento aggressivo viene determinato dall’imitazione immediata o dislocata nel tempo di spettacoli violenti al cinema o in tv, a seconda delle condizioni ambientali favorevoli allo scatenamento del modello appreso, inducendo dunque alle condotte aggressive; per quanto riguarda il comportamento altruistico, l comportamentismo ritiene che si diventa altruisti solo a seguito di pressioni esterne
Sviluppo umano, attaccamento e sistemi sociali complessi
Utilizzare un approccio evoluzionistico significa tener conto dei continui processi di interazione tra organismo e ambiente e di non trascurare il peso delle esperienze di ciascun individuo
durante il suo arco di vita. Sono queste esperienze ,infatti, che fanno sì che le predisposizioni a base innata trovino attuazione secondo certe traiettorie e non secondo altre e, sulla base di quanto appena detto , Bowlby , pschiatra inglese , cerca di dare una spiegazione sia dei fenomeni individuali sia delle strutture sociali.
Egli sostenne infatti, che tutto sta alla base di un sistema di attaccamento da parte degli individui.
Bowlby mostra , attraverso la comparazione con altre specie animali, come alla base dell’ ‘’amore filiale’’ ci sia una motivazione primaria di contatto sociale, il quale è funzionale alla sopravvivenza più del cibo di scaricare sulla madre-oggetto l’energia accumulata.
Rifacendosi a tale tesi, egli riprende il tema dell’imprinting per spiegare come un individuo cerca conforto protezione e contatto con una figura che dia la sicurezza e le cure che ricerca. È proprio da qui che tutto ha inizio.
Quando i bisogni primari quindi vengono soddisfatti , l’essere umano forma un modello mentale del Sé come di una persona degna di aiuto e di amore e, un modello mentale della sua figura di attaccamento e poi, per estensione , degli altri in termini di persone affidabili e pronte ad aiutare in caso di necessità. Queste rappresentazioni mentali hanno alla base l’aspettativa che in caso di pericolo la propria figura di attaccamento sia disponibile ad accorrere. Speculare a questa aspettativa si consolida la previsione che si sarà capaci di affrontare le difficoltà.
I bambini caratterizzati da modelli operativi interni di tipo B, sono più socievoli con i coetanei e più autonomi , da adulti sanno essere autonomi e ben disposti ad intraprendere nuove attività, responsabilità e relazioni.
I bambini di tipo A hanno una rappresentazione di se stessi come privi di valore e tendono a rimanere isolati e sono disorganizzati nel loro comportamento al punto tale che da adulti i loro legami saranno costituiti solo da freddezza e incapacità di risolvere e fronteggiare i problemi.
I bambini di tipo c si rappresentano come individui vulnerabili motivo per il quale da adulti avranno difficoltà nell’instaurare relazioni con gli altri.
Le relazioni dunque, dipendono dal modello di attaccamento che si è stabilito in età infantile. Da ricerche effettuate in questo campo è emerso ,infatti, che gli individui ricercano partner il cui stile sia simile al proprio per paura di legarsi e di non saper affrontare i possibili problemi che potrebbero insorgere.
Il ruolo che può avere l’attaccamento nel modulare le attribuzioni delle cause degli eventi quindi è essenziale: le persone sicure riconducono le cause degli eventi a fattori interni mentre le persone insicure e ambivalenti attribuiscono le cause a fattori esterni.
Dunque possiamo concludere dicendo che, l’atteggiamento di ogni singolo individuo dipende sia da fattori interni che da fattori socioculturali di cui si fa esperienza nell’arco della propria esistenza.
Metodi di ricerca in psicologica sociale
La psicologia sociale è una disciplina destinata allo studio sistematico dell'interazione umana e delle sua basi psicologiche. Lo scopo principale della ricerca è sviluppare nuove teorie, modelli e costrutti che possano spiegare e prevedere meglio i comportamenti ed i fenomeni degli
essere umani al interno del loro ambiente. La ricerca psicosociale ha 3 obiettivi:
I metodi e gli strumenti di ricerca che il ricercatore può utilizzare sono molteplici e divisi in due macrocategorie: metodi quantitativi e qualitativi.
La ricerca quantitativa prevede una raccolta di dati completi ed oggettivi, costituiti da variabili numeriche, in modo da consentire un esame accurato ed obiettivo. Il ricercatore deve essere in grado di controllare le variabili in gioco in modo da poterle misurare. Gli strumenti di misura utilizzati, sottoposti a studi di validazione e attendibilità, hanno lo scopo di raccogliere il massimo delle informazioni rilevanti per l'indagine. Lo scopo principale è quello di raccogliere dati numerici e oggettivi per sottoporli ad analisi statistiche.
Ha lo scopo di studiare un determinato fenomeno comprendendo i soggetti che ne sono implicati. Lo scopo è quello di ottenere dai soggetti intervistati, il maggior numero di informazioni(anche se costituiscono il parere personale)di un singolo individuo. L’attenzione non viene posta al numero dei partecipanti ma al grado di accuratezza dei materiale che questi forniscono durante lo studio.
Il metodo che viene utilizzato durante lo svolgimento di ricerche si basa su principi rigorosi e procedure che vengono impiegate per sviluppare domande, raccogliere dati e giungere a conclusioni. L’applicazione del metodo scientifico prevede che il ricercatore procedo attraverso un percorso diviso in fasi. Le più importanti secondo Pedon sono:
Punto di partenza di un progetto di ricerca è la definizione del problema che diverrà oggetto di indagine scientifica. Gli ambiti più rilevanti da cui il ricercatore dovrà attingere per selezionare i problemi da approfondire sono:
Lo studioso una volta stabilito l obiettivo della ricerca, dovrà delineare i confini teorici entro cui vuole muoversi. E' necessario che egli individui un fenomeno specifico che intende approfondire e un framework teorico. Successivamente vengono formulate le ipotesi della
ricerca, che possono essere definite come affermazioni portate avanti dal ricercatore per anticipare un determinato fenomeno. A questo punto verranno costruite delle categorie di analisi all'interno delle quali includere i comportamenti e si procederà alla formulazione attenta e scrupolosa delle loro definizioni operazionali, cosicché diversi osservatori che valutino il medesimo fenomeno possano trovare un accordo e un certo fenomeno possa essere giudicato allo stesso modo anche se valutato in modi differenti.
Una volta individuato il problema da approfondire il ricercatore deve compiere una serie del scelte per tratteggiare il disegno di ricerca.
Una ricerca può essere: descrittiva ,correlazionale o sperimentale.
-indagine descrittiva--->utilizzata quando non si conosce una fenomeno e se ne vogliono individuare le caratteristiche peculiari. E' il tipo di ricerca utilizzato per descrivere i diversi aspetti di un comportamento o fenomeno psicologico.
-studi correlazionali--->usati per cercare relazioni esistenti tra variabili. Da uno studio correlazionale possono emergere tre tipologie di risultati:
-ricerca sperimentale--->usata x dimostrare i rapporti di causalità tra le variabili. I metodi sperimentali possono essere utilizzati per determinare la reale natura del rapporto.
Dopo aver scelto il metodo di indagine, si può iniziare la fase di raccolta dei dati. L’attenzione del ricercatore è orientata principalmente alla scelta degli strumenti di misura e alla loro somministrazione
CAMPIONAMENTO--->scelta dei soggetti che parteciperanno alla ricerca. Il campionamento può essere distinto in due tipologie:
*campionamento probabilistico: dalla popolazione generale vengono estratti alcuni soggetti considerando la probabilità che gli individui stessi appartengano al campione;
°campionamento casuale semplice: soggetti estratti in modo casuale dalla popolazione in riferimento. Ogni individuo ha la medesima probabilità di essere selezionato dalla popolazione;
°campionamento casuale stratificato: utilizzato per costruire campioni sperimentali. Consiste nell'estrazione di soggetti da sottopopolazioni aventi caratteristiche comuni, quali la posizione geografica ,l’età, il sesso, la razza, lo stato socio-economico ecc...
°campionamento a grappolo: utilizzato per popolazioni molto ampie. Consiste nell'estrazione non di singole unità separatamente ,ma di sottogruppi, detti grappoli ,rappresentativi ognuno dell'intera popolazione .I grappoli possono essere: regioni, comuni, città, quartieri ecc..
*campionamento non probabilistico: usato nell'ambito della ricerca descrittiva. Tra i metodi più utilizzati troviamo quello della scelta ragionata, che si basa sull’ esperienza e sulle opinioni dello sperimentatore, che autonomamente sceglie le persone da intervistare.
-SELEZIONE E PREPARAZIONE DEGLI STRUMENTI DI MISURA
Dopo aver selezionato i partecipanti, il passo successivo è quello della selezione dei test da somministrare.La selezione deve tener conto di almeno due aspetti:
-attinenza con le ipotesi formulate;
-selezione del tipo di variabili da studiare.
Gli strumenti devono essere validi ed attendibili(test compresi).Un test risulta valido ,quando dopo essere stato sottoposto a specifiche analisi statistiche dimostra di valutare effettivamente la teoria che si propone di misurare.
Un test risulta attendibile ,quando ,produce costantemente risultati coerenti ed accurati. Il concetto di attendibilità si riferisce all’ affidabilità della misurazione di un dato fenomeno.
La scelta dei test deve tener conto delle variabili che vengono misurate .Alle variabili concernenti caratteristiche, qualità o condizioni di oggetti, eventi, stati d'animo, o di individui, sono di norma assegnati dei valori numerici che possono essere collegati lungo delle scale.
Queste scale in ordine di accuratezza sono:
studiati in categorie omogenee e distinte le une dalle altre.
-SOMMINISTRAZIONE DEGLI STRUMENTI DI MISURA
Una volta individuati i test, prima di somministrarli, il ricercatore deve che tutte le procedure rispettino le norme etiche(di correttezza) che nell’ambito della psicologia in generale dettate dall'Associazione Italiana di Psicologia .Il soggetto sottoposto al test deve porre la firma del consenso informato .Il ricercatore deve garantire la privacy di tutti i partecipanti alla ricerca, infatti vi è la possibilità di rendere il test anonimo .
Una volta conclusa la fase della rilevazione ed effettuata la raccolta dei dati si dovrà procede con l utilizzo di analisi statistiche. Tali analisi possono confermare o confutare le ipotesi ,ma possono anche indicare se i risultati ottenuti sono statisticamente significativi.
Utilizzando la statistica psicometrica i ricercatori possono riassumere i dati ,analizzare i risultati e trarre conclusioni sulla base delle evidenze emerse. I metodi statistici di analisi utilizzati dipendono dal tipo di dati raccolti.
La fase finale ha lo scopo di accettare se le ipotesi di partenza siano state confermate o meno
,ma anche di commentare l andamento dei risultati emersi. Il ricercatore deve interpretare il resoconto sterile dei risultati e deve anche comunicare gli esiti dell'indagine che ha condotto per renderla replicabile al altri ricercatori, questo passaggio viene effettuato attraverso la stesura d un rapporto finale, elaborato sotto forma di articolo scientifico .Se non viene divulgata, la ricerca non può contribuire ad accrescere le conoscenze scientifiche. I risultati saranno divulgati e condivisi in generale con la comunità scientifica e in particolare con gli studiosi dell'argomento trattato. Nella stesura dell'articolo per prima cosa si dovrà delineare il contesto storico nel quale è nata l idea di svolgere la ricerca, le motivazioni, l’ipotesi iniziale, le attese dello studio, i metodi adottati, le tecniche statistiche impiegate .Inoltre devono essere illustrate le variabili dell'esperimento ,la loro relazione e quale ruolo esse hanno svolto durante lo studio.Dopo aver chiarito tutti i dettagli si dovrà spiegare come le informazioni ricavate sono state analizzate e infine si commenteranno i risultati emersi. Ogni passo compiuto nella ricerca dovrebbe essere chiarito nel dettaglio e spiegato in modo approfondito. Per concludere ogni fase del processo è fondamentale per incrementare la conoscenza scientifica .
Come misurare gli atteggiamenti
Nella ricerca sociale si esamino proprietà individuali che non sono osservabili come credenze, stereotipi ,rappresentazioni sociali e schemi cognitivi . Gli atteggiamenti secondo Rosenberg e Hovland sono costituiti da tre componenti :
Gli studi degli atteggiamenti sono importanti per comprendere in che modo gli individui esprimono valutazioni affettiva positive o negative verso persone, oggetti e situazioni. Gli atteggiamenti sono elementi astratti non direttamente osservabili i ricercatori si resero conto che potevano osservare ed entrare in contatto con i comportamenti manifesti e attraverso questi potevano dedurre le spinte motivazionali cognitivi ed emotive si è quindi ritenuto possibile rilevare e misurare gli atteggiamenti analizzando le opinioni, le credenze e i sentimenti espressi in determinate situazioni. A partire dagli anni 30 si inizio a lavorare per la costruzioni di scale per la misurazione degli atteggiamenti. L’idea base su cui si fondano le teorie è che le risposte date dagli individui a una serie di domande su un atteggiamento possano essere organizzate e confrontate tra loro, si è ritenuto vantaggioso utilizzare per la misurazione procedure dirette che consideranoo l’atteggiamento sociale come una variabile unidimensionale di tipo affettivo-valutativo organizzata su un continuum al fine di definire la direzione dell’atteggiamento e il grado ovvero l ‘intensità della valutazione. Gli strumenti utilizzati sono le scale multi-item unidimensionali tra cui :
La scala di Thurstone a intervalli equivalenti
Il metodo di Trustone risulta laborioso e si articola in 6 fasi :
La tecnica di Thurstone risulta dispendiosa in termini di denaro e tempo e presenta anche limiti intrinseci innanzitutto l’affidabilità della scala viene delegata a dei giudici che tuttavia possono influenzare con le loro opinioni o i loro atteggiamenti personali senza riflettere quelli della popolazione inoltre il test si fonda sull’unica indicazione accordo o disaccordo senza cogliere l’intensità dell’uno e dell’altro.
Il metodo dello scalogramma sviluppato da Guttman fu utilizzato per la prima volta sull’esercito per studiare e misurare il morale, lo spirito e gli atteggiamenti dei soldati. Il criterio teorico di costruzione della scala è quello di ricavare una sola dimensione dell’atteggiamento che si vuole studiare e utilizzarla sia per ordinare la sequenza delle domande sia per individuare posizioni di ciascun individuo, infatti secondo Guttman se la scala è costruita correttamente, è sufficiente sapere quante risposte affermative un soggetto abbia dato per determinare quali siano tali risposte, e sia il grado d’accordo con l’oggetto d’atteggiamento preso in esame. La logica è quella di selezionare un insieme di item ordinati in modo tale che se un intervistato è d’accordo con l’asserzione di un item dovra trovarsi d’accordo anche con gli item precedenti.
La costruzione di questo tipo di scala avviene attraverso 3 tappe:
0.90 ovvero si ritiene accettabile solo nel caso vi sia una 10% di risposte non attese.
Likert nel 1932 ha ideato un metodo per la realizzazione di scale atte a misurare gli atteggiamenti che ha denominato method of summated reting (metodo dei punteggi sommati) L’intento principale di misurare opinioni, attitudini e atteggiamenti in modo più agevole e veloce e con minor investimento di energie e denaro , questa scala si fonda sull’assunto teorico che l’atteggiamento nei confronti di un determinato oggetto possa essere considerato un continuum unidimensionali che va da un livello minimo a uno massimo d’accordo sul quale i diversi soggetti si collocano in base al totale delle risposte date agli item, Rispetto alla scala di Guttman e a quelle progettate da Thurstone che prevedono una modalità di risposta (si/no accordo/disaccordo) la tipologia di likert consente ai soggetti di declinare il loro punto di vista secondo un continuum che viene considerata da moltissimi studioso molto vantaggiosa.
La creazione di questa scala e caratterizzata da 4 fasi:
Il differenziale semantico nasce negli anni 50 dalle ricerche del team di Charles E. Osgood che elaborarono un metodo capace di misurare il significato connotativo di un stimolo. Il significato attribuito a un concetto stimolo viene esaminato come la risultante di due componenti indipendenti, la prima chiamata denotativa o descrittiva si riferisce agli elementi oggettivi e superficiali riscontrabili negli individui, la seconda viene definita connotativa riguarda aspetti più soggettivi collegati alle reazione emotive e affettive che ogni stimolo evoca a livello personale. Il differenziale semantico è una tecnica capace di rilevare gli aspetti connotativi del significato che gli individui attribuiscono agli eventi senza l’utilizzo di domande esplicite e dirette. Si basa sulle associazioni che l’intervistato stabilisce tri il concetto astratto oggetto di studio e altri proposti in modo standardizzato. Osgood, Suci, e Tannenbaum testarono questa metodologia dopo aver somministrato diverse scale ad un ampio campione di soggetti e svolsero della analisi fattoriali. I risultato evidenziarono che le risposte potevano essere composte in una struttura multidimensionale a tre fattori che potevano essere ricondotti a valutazione, potenza e attività. La costruzione di questo strumento di misura prevede che un concetto astratto sia valutato in base a un certo numero di aggettivi bipolari ( vecchio/giovane, buono/cattivo) risultando quindi semplice e poco costosa e può essere suddivida in 3 fasi:
1. Scelta dei concetti/stimoli: Osgood e colleghi ritenevano che il differenziale semantico potesse essere idoneo per misurare e qualificare i significati di elementi come oggetti, parole, eventi, stimoli oppure forme o colori. I ricercatori devono selezionare gli stimoli che vogliono proporre ai soggetti intervistati tenendo conto della pertinenza agli obbietti in quanto devono essere rappresentativi del fenomeno che si intende studiare.
3 Determinazione dei passi della scala. In questa fase di stabilisce in quanti passi sarà articolata la scala, il differenziale semantico prevede una scala bipolare a 5 o 7 passi tuttavia non esiste una regola che stabilisce quante alternative di scelta vi debbano essere o il numero dei valori intermedi tra un aggettivo e l ‘altro. La decisione spessa al ricercatore che deve considerare 2 fattori :
La misurazione dell’atteggiamento di un individuo avviene sommando i punteggi della scala di attribuzione, ogni scala ha un polo negativo (corrisponde al valore 1) e un polo positivo (corrisponde al valore 7) per cui i punteggi più elevati mostrano atteggiamenti favorevoli.
Il pregiudizio è stato da sempre oggetto dii studio poiché è correlato a questioni interculturali. Tale coinvolgimento è più intenso dal secondo dopoguerra in poi quando i gruppi di maggioranza cominciarono a sviluppare comportamenti discriminatori nei confronti delle minoranze etniche. La psicologia sociale a partire da Allport si è sempre occupata di valutare, analizzare ed interpretare le dinamiche dei gruppo e di quei fattori che determinao il favoritismo verso l ingroup e la discriminazione verso outgroup. Vi è la consapevolezzo che tali fenomeni possono essere esaminati a livelli differenti , gli stereotipi sociali e i pregiudizi. La Piere analizzo che se si esamina un atteggiamento espresso verbalmente può emergere che le persone si dichiarano egualitarie e non pregiudizievoli tuttavia se invece si misura attraverso l’osservazione del comportamento si può notare che provano imbarazzo nel passare del tempo con una persone di colore, tale discrepanza può avvenire simultaneamente infatti un individuo si può dichiarare disponibile verso le minoranze etniche a in realtà può comunicare con segni non verbali un ostilità. Le questioni da analizzare sono due la prima riguarda in che misura è realmente possibile valutare il reale grado di pregiudizio degli individui la seconda è legata alla scelta degli strumenti più appropriati per analizzare il pregiudizio nei vari contesti. Importante e considerare quando i soggetti sottoposti alla valutazione hanno la possibilità di controllare le proprie risposte e quanto possono prevedere gli scopi dello sperimentatore. Uno studio condotto da Schuman e colleghi ha confermato che forme espliciti di pregiudizio contro i neri sono diventate più rare negli stati uniti, nella ricerca è stato necessario operare una distinzione fra pregiudizio esplicito e pregiudizio implicito. Il modo più semplice per misurare il pregiudizio esplicito è quello di chiedere direttamente il pensiero tale approccio viene usato nei questionari self report e nelle scale di razzismo, questi strumenti sono composti da una serie di domande inizialmente la validità stava nel fatto che le persone non avevo difficoltà nel dichiarare le loro convinzioni verso l’ outgroup uno dei primi questionari per misurare il pregiudizio raziale è la scala di razzismo simbolico messa a punto da Kinder e Seard e poi modificata da Henry e Sears. Negli ultimi decenni la situazione si modifico radicalmente in quanto la desiderabilità sociale e propensione a dare risposte false fa si che nei sondaggi il pregiudizio e la discriminazione è discendente ma in realtà nei comportamenti attuari rimaneva diffusa tale contraddizione mette in crisi il seal-report un'altra aspetto da sottolineare e che le persone possono non essere coscienti del loro grado di pregiudizio e non si rendano conto di discriminare le minoranze. Jones e Sigall allo scopo di limitare le distorsioni svilupparono una tecnica ingegnosa capace di aggirare il soggetto, tecnica detta del falso canale d’informazione. Tale tecnica prevedeva che i soggetti mentre rispondevano alle domande erano collegati a delle macchine in realtà inattive che veniva presentati come capaci di individuare risposte false e ingannevoli , tale tecnica anche se basata sull’ inganno risulto efficace. Tra i moderni self-report ve ne è uno in grado di misurare sia gli aspetti manifesti che quelli più sottili del pregiudizio, si tratta della scala di pregiudizio sottile e manifesto ideata da Pettigrew e Meertens la quale, si fonda su una concezione bidimensionale che costa di un pregiudizio manifesto che corrisponde ad un pregiudizio rigido e un pregiudizio sottile che
si caratterizza per una valutazione sofisticata dell’outgroup che a che fare con modi e usanze normali . Questo strumento risulto utile per misurare in modo accurato e affidabile il pregiudizio possedendo preigi come praticità economicità e bassa intrusività. Dopo gli anni 70 per valutare e misurare il pregiudizio in modo eficare tentarono di annullare o minimizzare la tendenza degli individui a controllare le risposte . Per analizzare in modo indiretto come un gruppo viene percepito o favori i ricercatori hanno a disposizione varie metodologie tra cui:
Tra le misure implicite ci sono le misure cognitive e le misure fisiologiche. Per quanto riguarda la tipologia cognitiva il pregiudizio è misurato implicitamente attraverso la risoluzione dei compiti che non richiedono in interpretazioni in quanto si basano su risposte automatiche. Si è riscontrato che individui giudicano sempre tenendo conto delle categorie anche quanto la risoluzione del compito non e legata all’appartenenza ad una di essa cosi si cerca di analizzare le dimensioni implicite degli schemi attraverso i tempo di reazione, si parte dall’assunto che le conoscenze degli individui siano dei complessi reticoli tra di loro associati e che l ‘attivazione di un reticolo porti l ‘attivazione di tutti e quindi anche degli attributi stereotipici
Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2013/02/Manuale-Psic.-Sociale.pdf
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