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RELAZIONE SU ROSSO MALPELO
G. Antoniotti, E. Mordiglia & D. Podavini
EDIZIONI DI ROSSO MALPELO
1°: 1878, a puntate sul “Fanfulla”, quotidiano romano (è il primo dei racconti poi raccolti in “Vita dei campi” ad essere pubblicato).
2°: 1880, “Biblioteca dell’ Artigiano” (collana di opuscoli curata dal periodico mensile “Il patto di fratellanza”).
3°: 1880, in “Vita dei campi”, Milano, Treves (Tr1)
4°: 1881, in "Vita dei campi", Milano, Treves (Tr2)
5°: 1892, in " Cavalleria riusticana ed altre novelle", Milano Treves (Tr3)
6°: 1897, in “Vita dei campi”, edizione illustrata, Milano, Treves (Tr4)
7°: 1955, in “Opere di G. Verga” a cura del Russo (basata sull’edizione Treves del 1880).
8°: 1940, in “Tutte le novelle”, Mondadori (basata sull’edizione del 1897).
9°: 1959, edizione critica a cura di Vito Perroni (basata sull’edizione del 1897).
RIASSUNTO
In “Rosso Malpelo” l’intreccio è apparentemente semplice e può essere diviso in 9 sequenze.
1°: PRESENTAZIONE E PRIMA DESCRIZIONE DI ROSSO MALPELO
Rosso Malpelo è un ragazzino dai capelli rossi da tutti considerato «birbone, malizioso, cattivo e monellaccio» e per questo viene costantemente evitato e tenuto a distanza da tutti. Rosso lavora nella stessa cava di rena in cui aveva lavorato e dove aveva perso la vita il padre. Il rapporto con la madre è conflittuale e per niente affettuoso: « Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana e siccome era Malpelo c’era anche a temere che ne sottraesse un paio di quei soldi». Pessimo anche il rapporto con la sorella che «s’era fatta sposa e aveva altro pel capo».
2°: RACCONTO DELLA MORTE DEL PADRE
Viene poi narrata la morte del padre, mastro Misciu, già implacabilmente segnato dal giudizio della comunità con il nomignolo spregiativo di “Bestia”; mastro Misciu rimane schiacciato sotto un pilastro che crolla mentre lui stava terminando un lavoro a cottimo. Viene chiamato l’ingegnere della cava (che si trovava in quel momento a teatro) ma il tentativo di soccorso fallisce. Viene qui introdotto un altro personaggio, lo Sciancato, collega di lavoro nella cava di mastro Misciu, per nulla solidale con lui.
3°: DESCRIZIONE DI COME ROSSO LAVORA
Dopo la morte del padre Malpelo diventa « più tristo e cattivo del solito […] pareva gli fosse entrato il diavolo in corpo» e scarica tutta la sua cattiveria sugli altri (picchia, per esempio, senza pietà, l’asino grigio che lo accompagna quotidianamente nel lavoro nella cava).
4°: IL RAPPORTO CON RANOCCHIO E I RAPPORTI CON LA CASA
Nel frattempo arriva alla cava un «povero ragazzetto» che, essendo caduto da un ponte ed essendosi lussato il femore, non è più in grado di proseguire il suo lavoro da manovale. Rosso, legato a Ranocchio da affetto sincero, gli trasmette la propria filosofia dell’esistenza, ha un atteggiamento didattico, è come un padre che suggerisce al figlio il giusto comportamento per le varie occasioni. Non vuole che il ragazzino rimanga ingenuo come mastro Misciu, (è significativo che lo apostrofi proprio col nomignolo “Bestia”) ma vuole che impari la necessità della violenza.
I rapporti di Rosso con la madre e la sorella sono invece regolati dalla sola legge economica e privi di affettività: la madre lo paragona addirittura a un «cane rognoso». Il paragone col mondo animale è una tecnica costante nella novella per la definizione psicologica del protagonista.
5º: RITROVAMENTO DEL CADAVERE DI MASTRO MISCIU
Un giorno nella cava venne ritrovata una delle scarpe di mastro Misciu ma non il suo corpo; Rosso venne colto da una tale paura di veder comparire fra la rena anche il piede nudo del padre, che decise di andare a lavorare in un altro punto della galleria e di non tornare mai più da quelle parti. Due o tre giorni dopo venne ritrovato il cadavere.
6º:L’ASINO GRIGIO GETTATO NELLA SCIARA E LE VISITE DI ROSSO E RANOCCHIO
Nel frattempo morì di stenti e vecchiaia l’asino grigio che aveva lavorato ogni giorno con Malpelo nella cava. Il carrettiere lo gettò lontano nella sciara e Malpelo sentenziò:«Così si fa! Gli arnesi che non servono più si buttano lontano». Nei giorni successivi costrinse Ranocchio ad andare con lui a visitare la carcassa dell’asino perché « a questo mondo bisogna avvezzarsi a veder in faccia ogni cosa, bella e brutta».
L’episodio della morte dell’asino grigio entra nel racconto come esempio che permette a Malpelo di dimostrare e rinforzare la sua scienza della vita, un percorso assurdo in attesa della morte. Il passo è denso delle sentenze di Rosso sulla logica della violenza che sfociano nell’unica immagine di pace possibile: la morte.
7°: MALATTIA E MORTE DIRANOCCHIO
Di li a poco Ranocchio si ammalò gravemente, tanto da non riuscire più nemmeno ad andare nella cava; Malpelo si recava a casa sua a trovarlo e, quando Ranocchio morì, Rosso si stupì moltissimo della enorme sofferenza provata dalla madre; Rosso non aveva mai visto sua madre soffrire così tanto per lui e nemmeno riusciva ad immaginarlo possibile.
8°: L’EVASO SI NASCONDE NELLA CAVA
Qualche tempo dopo arrivò un evaso a lavorare nella cava, personaggio che incuriosì moltissimo Malpelo, ma dopo poco l’evaso se ne andò dichiarando di essere stanco di quella vita da talpa e di preferire la vita nella prigione.
9°: ESPLORAZIONE DELLA CAVA E SPARIZIONE DI ROSSO
Rosso venne un giorno mandato a esplorare un passaggio della cava molto pericoloso (viene scelto proprio lui perché nessuno dei suoi famigliari si interessa di lui e del suo destino) e non vi fece mai più ritorno.
Si ripete quindi la situazione già verificatasi per mastro Misciu: Malpelo è l’unico ad avventurarsi in un pericoloso passaggio della miniera così come il padre era stato l’unico ad accettare il «magro affare» che lo condusse alla morte. Ma Malpelo, a differenza di mastro Misciu, è consapevole della sorte che lo aspetta; porta infatti con se tutti gli oggetti a cui è affettivamente legato( piccone, zappa, lanterna, ecc…), gli setssi che erano stati spettatori del tragico crollo in cui era morto il padre, in un ultimo atto simbolico di identificazione col padre stesso.
Il racconto si conclude al modo delle fiabe, la storia di Malpelo diventa nella fantasia popolare una leggenda: Malpelo diventa un fantasma che può apparire all’improvviso e spaventare i ragazzi.
Malpelo che si perde nella cava è metafora dell’impossibilità di sfuggire al proprio destino nel mondo che, come la cava, inghiotte senza pietà gli uomini.
ANALISI DEL RACCONTO
LA FABULA, L’INTRECCIO, IL TEMPO E LE SEQUENZE NARRATIVE
La fabula è apparentemente semplicissima. Tra i vari momenti del racconto non c’è nemmeno un rapporto di assoluta necessità e causalità. Non è facile individuare l’intreccio poichè si tratta di una novella prevalentemente psicologica, cosa insolita per Verga che in genere fa prevalere l’azione sui suoi riflessi psicologici. Questo comporta scarsità di azione (prevale il tempo imperfetto su quello perfetto) perché Malpelo, a differenza di Jeli il pastore, non tenta una iniziazione sociale, non si scontra con la realtà; Malpelo ha già interiorizzato il conflitto, la sua condizione umana è già determinata. Le sequenze narrative dunque sono scarse e i dati temporali della storia sono quasi sempre indeterminati: questo conferisce alla vicenda tensione metastorica più che valore documentario. Non si riesce nemmeno a capire quanto possa durare in tempo reale la vicenda, poiché le allusioni cronologiche sono sempre vaghe e generiche. Il passaggio da un avvenimento all’altro è contrassegnato da queste espressioni:
UNA VOLTA: introduce il primo nucleo narrativo, la morte di mastro Misciu.
DUE O TRE GIORNI DOPO: introduce il secondo nucleo narrativo, il ritrovamento del cadavere di mastro Misciu.
IN QUEL TEMPO: terzo nucleo. La morte dell’asino grigio e la visita di Rosso e Ranocchio alla carcassa.
DI LI A POCO: quarto nucleo, la malattia di Ranocchio e la visita di Malpelo.
VERSO QUELL’EPOCA: quinto nucleo, l’incontro con l’evaso.
UNA VOLTA: sesto nucleo, la fine di Malpelo.
In tutto sono solo 6 le sequenze in cui si sviluppa un’azione narrativa e solo in queste si trova l’uso del tempo perfetto ( tranne che nella visita al corpo dell’asino morto dove trovo l’imperfetto perché si tratta di un’azione più volte ripetuta nel tempo). Prevale quindi il tempo imperfetto.
Uno dei rarissimi verbi al presente si trova nella frase che chiude il racconto; serve ad allontanare la figura di Rosso in un passato mitico ma, al contempo, ne sottolinea la sopravvivenza attraverso i tempi.
Il tempo della storia è lineare e unidimensionale, non ci sono alterazioni nella successione naturale degli eventi.
Il racconto si snoda in modo lineare utilizzando mezzi estremamente semplici, come per esempio un’esposizione di tipo esemplificativo che procede per exempla attraverso una serie di piccoli aneddoti che illustrano la “verità” della cattiveria o della stranezza di Rosso, introdotti da O, OPPURE; SE; OGNI VOLTA CHE e simili.
Altre volte il racconto si snoda grazie all’uso della ripetizione, usata come artificio di concatenazione per passare da una sequenza all’altra (ad esempio "avvezzo", righe 168-169).
Questo uso della ripetizione fa pensare alla tecnica della ripresa che trovo due volte all’inizio del racconto e due volte alla fine (righe 26-27, righe 39-40; righe 418-419, righe425-426).
La tecnica della ripresa coincide con l’artificio della concatenazione, il quale è fondato, nel nostro caso, sull’uso della ripetizione con relazione di opposizione ( ripetizioni e riprese precedute da «invece»), secondo un modulo che sarà poi ampiamente sviluppato nei “Malavoglia”; si conferma dunque che i racconti di “Vita dei Campi” sono stati un vero laboratorio del futuro romanzo. Ma in “Rosso Malpelo” la tecnica della ripresa ha anche un significato originale; facendo ricorso, a inizio e fine racconto, a un artificio tipico della poesia epica popolare, Verga accentua la tendenza alla mitizzazione. Lo stile della leggenda accresce la valenza metastorica della vicenda allontanandola ancora di più dalla esperienza storica e sociale da cui comunque nasce.
IL SISTEMA DEI PERSONAGGI
La novella ha una sua circolarità, un suo gioco di rimandi e simmetrie interne: la tecnica della ripresa è usata simmetricamente all’inizio e alla fine e le morti delle due uniche persone care a Malpelo (mastro Misciu e Ranocchio) sono poste specularmene all’inizio e alla fine del racconto.
I personaggi si definiscono tutti in relazione a Rosso che, di volta in volta, entra in rapporto con loro con questa successione:
Malpelo-madre
Malpelo-sorella
Malpelo-padrone
Malpelo-sciancato
Malpelo-padre
Malpelo-asino
Malpelo-Ranocchio
Malpelo-madre di Ranocchio
Malpelo-evaso
Rapporto indiretto Malpelo-Ingegnere
Non esistono relazioni dirette dei personaggi tra loro, ma solo quelle che ciascuno di essi ha singolarmente con Malpelo; questo spiega l’esilità dell’intreccio e conferma una struttura narrativa accentrata sul solo protagonista.
I personaggi che fanno coppia con Malpelo sono 10 e possono essere divisi secondo uno schema binario d’antitesi:
MONDO DELLA FAMIGLIA MONDO DELLA CAVA
OPPRESSORI DI Madre di Malpelo e sorella di Malpelo Padrone e Sciancato Ingegnere
MALPELO
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OPPRESSI COME Madre di Ranocchio e Ranocchio Mastro Misciu e l'asino grigio Evaso
MALPELO
L’ingegnere e l’evaso formano anch’essi una coppia basata su una relazione di opposizione (l’ingegnere dirige i lavori nella cava in cui l’evaso lavora come operaio per alcune settimane). Sono due personaggi liberi, appartenenti a un mondo estraneo rispetto a quello della cava e della famiglia e sono collocati simmetricamente uno all'inizio e uno alla fine del racconto (ribadito il gioco di rimandi interni).
Tutte queste coppie non sono tra loro in relazione di uguaglianza o parità ma sempre di dipendenza:
Misciu-asino
Ingegnere-evaso
madre di Ranocchio-Ranocchio
Nessuna delle relazioni che istituisce Malpelo è di tipo paritario ( si pensi anche alle relazioni Malpelo-madre, Malpelo-sorella, Malpelo-padrone, Malpelo-padre, Malpelo-asino); questo dipende dalla stratificazione oggettiva insita nell’assetto sociale e in quello naturale e determinata dalle gerarchie e dai rapporti di forza ( si pensi anche solo ai 4 livelli diversi cui si collocano questi 4 personaggi: padrone della cava, Sciancato, Ranocchio, Asino).
Questo sistema dei personaggi ci aiuta a capire la maniera con cui Verga concepiva la vita. Lo scrittore, in tutta la sua produzione, concepisce personaggi con lo schema di tipo dualistico o a contrapposizione binaria e si tratta di una contrapposizione senza sbocchi perché riflette una realtà immobile (nessun personaggio nel corso della novella muta di categoria).
Il rapporto di dipendenza deriva dalla stratificazione sociale ma obbedisce anche a una stratificazione reale più complessa; per Verga, vige la legge del più forte, l’egoismo individuale e la capacità d’imporsi del singolo (per esempio, mastro Misciu e lo Sciancato appartengono alla stessa classe sociale, ma lo Sciancato è oppressore di Misciu).
Per il materialismo di Verga, l’interesse privato o l’egoismo o il semplice istinto di sopraffazione hanno sempre il sopravvento sulla solidarietà di classe. Lo scrittore rivela una società conflittuale; ognuno è solo su un diverso gradino di una scala non solo sociale ma naturale (in proporzione alla propria forza materiale, astuzia, sventure, ecc…) e può solo accogliere su di se tutta la violenza che dall’alto gli si abbatte contro e scaricare la propria su chi è più in basso.
LO SPAZIO DEL RACCONTO
Anche lo spazio del racconto è diviso in due parti:
1º) Ambiente della miniera = « laggiù/ il buco nero che si sprofondava sotterra/ il buoi in cui muoiono schiacciati o smarriti tanti minatori/ l’intricato labirinto delle gallerie».
2º) L’ambiente fuori dalla miniera: il cielo, il mare, la campagna = « fuori della cava/ il cielo formicolava di stelle che splendevano anche sulla sciara/ il mare formicolava di scintille». Qui di giorno c’è chi lavora «cantando sui ponti/ in alto/ in mezzo all’azzurro del cielo, col sole sulla schiena/ o fra i campi, in mezzo al verde, e il mare turchino la in fondo, e l canto degli uccelli sulla testa».
C’è quindi la contrapposizione netta fra il buio e il rosso della rena (colori di Malpelo) e l’azzurro del cielo e del mare, il verde dei campi, il giallo del sole (colori degli altri).
Il colore rosso, apparso per la prima volta all’inizio della novella sui capelli di Malpelo, diventa un leit-motiv che solca tutto il racconto; il mondo di Malpelo è nero e tetro come la miniera e il rosso che lo attraversa è il colore della violenza e della distruzione, emblema dello stesso protagonista che «sembrava fatto apposta per quel mestiere, persin nel colore dei capelli». Solo in una occasione appaiono altri colori, quando Malpelo sogna di non lavorare più nella cava, ma all’aperto; i colori chiari rappresentano dunque l’aspirazione irrealizzabile a un cambiamento radicale che Rosso Malpelo sa di non poter affrontare.
Malpelo ama il buio, ama la notte e gli animali che la popolano, come le civette, i pipistrelli e i topi, ama i cieli neri, senza stelle; la sua campagna è la sciara «nera e rugosa», la sua prospettiva di vita è la rena rossa. Il suo ambiente è quello della cava ed è l’ambiente della morte, l’ambiente di chi vive sottoterra, la dove è morto suo padre e dove abitano civette, pipistrelli e topi.
La miniera è simbolo dell’inferno («nera, inerte e desolata, con picchi e burroni, senza che un grillo vi trillasse o un uccello che venisse a cantarci»), del labirinto e della direzione perduta (« essa è un intricato labirinto di gallerie ove uomini camminano smarriti nel buio») e della prigione (immagine introdotta dall’evaso).
Per contrasto, Ranocchio introduce l’immagine del Paradiso, che rappresenta l’alternativa, la possibilità di fuga dall’inferno della vita, almeno dopo la morte, ma è una possibilità categoricamente rifiutata da Rosso che al «lassù» del Paradiso invocato dall’amico, contrappone il «la sotto» ove c’era il cadavere del padre. Rosso non vuole credere al Paradiso così come rifiuta la vista delle campagne e del mare, così come si nega la possibilità di cambiare mestiere.; il suo mondo è proprio quello sotterraneo, da tutti rifiutato. La morte è la scelta della vera vita, è il ricongiungimento col padre, il ritrovamento definitivo del suo ambiente; nella società, nel mondo degli altri, non può darsi quel sentimento d’affetto che Rosso ha inseguito per tutta la vita, né protezione, solidarietà, autenticità. Tutta la vita di Malpelo è uno sforzo per costituirsi un suo ambiente che deve essere quello del padre; nello stato di esclusione in cui è costretto a vivere, l’unica sua possibilità di radicamento è di riconoscersi nel lavoro del padre, ripeterne i gesti, usarne gli strumenti, grazie ai quali egli può inserirsi in una tradizione, dare un senso al proprio passato e al proprio futuro. Per questo Rosso non obbedisce alla logica economica e rifiuta di vendere gli strumenti del padre, decisione incomprensibile per la voce narrante, poiché, in un mondo spietatamente economico come quello di Rosso, niente è più strano di questo affetto disinteressato verso degli oggetti; ma è proprio in questi oggetti che Malpelo continua la storia del padre e si costruisce attorno un ambiente che lo rassicuri e lo protegga dagli altri, da una società che ha provocato in lui una profondissima e insanabile ferita esistenziale.
GENESI SOCIOLOGICA
Per comprendere a fondo i significati della novella, è imprescindibile soffermarsi, con uno sguardo d’insieme, sulla situazione politica italiana di quegli anni e sulle modalità con cui Verga partecipò ad essa.
Come è noto, Verga era collaboratore della “Rassegna Settimanale”, diretta da Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, due esponenti di spicco della destra riformista italiana, che si facevano propugnatori, anche attraverso pubblicazioni e riviste, di un conservatorismo moderato, capace di prevenire le rivolte popolari e impedire la diffusione del socialismo. Si battevano inoltre per la cosiddetta “alternativa agraria”: un progetto economico che si riprometteva di dirottare parte degli ingenti aiuti statali rivolti al nord industrializzato, verso il mezzogiorno ancora principalmente agricolo.
Negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento in Italia era accesa la polemica intorno al lavoro minorile: nel 1879 il Parlamento Italiano discusse un disegno di legge, studiato, fra gli altri, anche dagli stessi Franchetti e Sonnino, sul tema del lavoro delle donne e dei fanciulli. Gli autori del disegno di legge non proponevano di abolire il lavoro minorile, bensì di ridurre le ore di lavoro giornaliere da 12 a 8. L’eventuale proposta dell’abolizione avrebbe incontrato le forti resistenze proprio dei proprietari delle cave, per i quali il lavoro dei bambini era indispensabile a causa della struttura delle gallerie (erano alte, mediamente, 1,5 m.).
E’ bene ricordare inoltre che nel 1976, sempre con la firma di Franchetti e Sonnino, era stata pubblicata la celebre “Inchiesta in Sicilia”, il cui ultimo capitolo portava come titolo “Il lavoro dei fanciulli nelle zolfare siciliane”. Verga aveva certamente letto l’opera e, nella stesura di Rosso Malpelo, pare evidente la ripresa di alcuni motivi e passaggi, come si evince dalla lettura dell’estratto che segue:
Alcuni ragazzi sono figli degli zolfatari: sono questi i meglio trattati, e guadagnano più degli altri. Molti sono orfani o figli naturali, e sono i peggio trattati, perchè privi di ogni difesa. Gli altri sono figli di contadini.
Nelle miniere lontane dai paesi gli operai dormono sopra luogo da lunedì a sabato in appositi stanzoni, coricandosi sulla paglia; uomini e bambini insieme. I ragazzi non mangiano che pane solo: soltanto quando vanno a casa vi ricevono qualche minestra. Portano con sè da casa il pane per mezza settimana; e il quarto giorno tornano a casa a prendersi il pane, partendosi la mattina prima dell’alba per non perdere la giornata.
Da vari capimastri, assistenti, e dagli zolfatari stessi siamo stati assicurati che un gran numero di bambini si ammala, e molti crescono su curvi e storpi: vanno specialmente soggetti alle ernie, e non è da meravigliarsene, visti i pesi che portano. Avendo noi chiesto a un picconiere, un bell’uomo robusto, che ci confermava questi fatti, come mai egli avendo lavorato da bambino nelle zolfare, si fosse conservato sano e vigoroso, ci rispose che essendo figlio unico di uno zolfataro, aveva lavorato presso suo padre, il quale aveva sempre avuto qualche riguardo per lui.
Molti dei motivi della novella compaiono in nuce in questo estratto: gli orfani sono i “peggio trattati” sul luogo di lavoro; molti operai dormono presso la cava e si portano da casa il pane per l’intera settimana ecc. Il riferimento alla malattia dei fanciulli richiama, inoltre, il personaggio di ranocchio.
La seconda edizione di Rosso Malpelo avviene nel febbraio del 1880, col titolo “Scene popolari – Rosso Malpelo” nella “Biblioteca dell’Artigiano”, una collana di opuscoli per la diffusione di buone letture per gli operai, edita dal “Patto di Fratellanza”, un periodico mensile antimazziniano e antisocialista, legato agli ambienti della destra storica. E’ evidente, in questo caso, l’inserimento di Verga in un’operazione condotta dalla destra, che lo portò a mutare l’abituale lettore borghese delle sue opere (borghesi erano infatti i lettori dei volumi di Treves e del Fanfulla della domenica) con un insolito destinatario operaio.
Dai dati fin qui riportati risulta chiara la vicinanza ideologica di Verga a tematiche ed ambienti politici ben identificabili.
Questa ideologia politico-sociale confluisce nel risultato artistico soprattutto attraverso la mediazione di una filosofia materialistica e pessimistica, pur nella sua ascendenza positivistica: un dissidio interno allo stesso pensiero verghiano, che, da un lato, manifesta un profondo interesse per le masse popolari, la coscienza delle ingiustizie che esse subiscono e la necessità di porvi un qualche rimedio, e, dall’altro, la consapevolezza che le norme di comportamento che determinano la vita umana obbediscono ad un codice immutabile.
LE NOVITA’ STILISTICHE IN ROSSO MALPELO
Il RM del ’78 si trova nel punto d’incontro tra la protesta sociale di Nedda e la ormai prevalente consapevolezza filosofica dell’impossibilità di mutare lo stato di cose esistente.
Queste due visioni sono presenti in RM l’una attraverso il punto di vista dell’autore, l’altra attraverso il punto di vista del narratore (che è, quest’ultimo, il punto di vista inappellabile ed assoluto del mondo, delle leggi della natura).
Il punto di vista dell’autore, però, non viene mai esplicitato: al contrario, viene represso dal canone programmatico dell’impersonalità, proprio perché l’autore avverte che la sua concezione della vita è del tutto vana e assurda. Se è vero che Verga percepisce la vanità e l’assurdità, è vero anche, in maniera antitetica, che il piano della denuncia sociale è stata una componente importante della genesi del racconto.
RM e Nedda conservano entrambi la tematica sociale dell’esclusione, ma differiscono nelle modalità utilizzate per svilupparla: in RM emerge già la rivoluzione stilistica e linguistica che presuppone un cambiamento radicale nella visione del mondo verghiana. In Nedda, Verga esibiva pietà e denuncia sociale, aveva fiducia nell’iniziativa dello scrittore; in RM, di questi elementi, restano soltanto pochi residui, evidenti nelle edizioni fra il ’78 e l’80, poi espulsi in quella del ’97.
Per esemplificare questo passaggio, Luperini propone un semplicissimo confronto fra un estratto di Nedda e uno di RM:
In Nedda:
Le comari la chiamavano sfacciata perché non era stata ipocrita e perché non era stata snaturata.
In RM:
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi, ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzaccio malizioso e cattivo.
Nei due periodi citati, costruiti in modo simmetricamente causale, si evince lo discontinuità: in Nedda la voce dell’autore scende in campo direttamente per giustificare il comportamento del suo personaggio; in RM, invece, i due perché esprimono il punto di vista del narratore, attraverso due proposizioni pseudocausali. La causalità che l’autore vorrebbe negare, è espressa dal narratore. E si tratta, infatti, di un reale stravolgimento oggettivo: Malpelo, per la comunità in cui vive, è realmente cattivo perché ha i capelli rossi. La logica della violenza e dell’espulsione del diverso è una logica oggettiva che è insita nella natura e nella comunità di cui il narratore è portavoce.
Questa logica, che per Verga appartiene a tutte le cose e all’assetto stesso dell’universo, penetra anche nella struttura stilistica del racconto attraverso un processo di straniamento, ovvero nella tensione fra il punto di vista del narratore e il punto di vista dell’autore; la tensione si realizza grazie alla tecnica della regressione della voce narrante, che assume il punto di vista di una voce ignorante e superstiziosa.
Attraverso questi espedienti stilistici, Verga non si pone come come fine lo studio dell’ambiente in sé e per sé, come avrebbe fatto Emile Zola, bensì l’analisi del rapporto tra individuo e ambiente sociale, della frattura che divide e contrappone il personaggio alla comunità. Per il raggiungimento di questo scopo, lo straniamento risulta essere la tecnica stilistica più appropriata, proprio perché crea una ambiguità (Leo Spitzer la definisce pseudo-oggettività), in cui si riscontra uno dei momenti di maggiore modernità della narrativa verghiana.
Inoltre, lo scontro fra i due punti di vista introduce, secondo Luperini, una “negazione”, che Verga stesso, nella lettera a Capuana del 25 febbraio 1881, definiva senso di malinconia soffocante e di gran tristezza.
Si può dunque affermare che, attraverso l’ambiguità, si esprime, da un lato, la negazione della realtà, dall’altro, l’accettazione di essa: Verga non dice mai soltanto: “La realtà è così”, ma suggerisce sempre: “purtroppo, la realtà è così”; e il “purtroppo” non si palesa in un giudizio, ma soltanto nel significato che emerge dalla composizione del racconto e dalla sua struttura formale.
Ambiguità, straniamento e negazione vengono utilizzato da Verga per esprimere una logica rovesciata, che è penetrata anche dentro il personaggio di Rosso: il mondo capovolto, infatti, costringe l’oppresso a credere di essere lui stesso il capovolto, e a sentirsi in colpa. Malpelo, convinto di essere colpevole, accetta di essere considerato il reietto, il capro espiatorio.
La logica rovesciata viene resa, come anche si accennava in precedenza, con delle proposizioni pseudocausali; ad esempio:
Il certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene faceva mai.
Il quindi causale esprime un rovesciamento della realtà: in genere sono le madri ad accarezzare i figli, che così imparano a fare altrettanto. Qui, invece, nella logica della voce narrante, i termini sono invertiti. Ciò si chiarisce ulteriormente se si nota che la frase citata è la conclusione di una sorta di monologo interiore di Rosso, filtrato attraverso l’ottica del narratore popolare, portatore di una realtà oggettiva che condiziona e stravolge la stessa psicologia di Rosso.
Le invenzioni stilistiche che affiorano per la prima volta in maniera compiuta in RM (dall’artificio della regressione, allo straniamento, alla pseudo-oggettività) danno un posto di rilievo a Verga nella storia delle strutture formali della narrativa moderna.
Verga, pur essendo convinto dell’oggettività della realtà (da positivista materialista quale era), non può dare su di essa un giudizio chiaro e definitivo, nato dalla volontà di mutare la realtà stessa. Può solo contestarla per via interna, nello spessore sottile ed ironico che si insinua tra il punto di vista del narratore ed il proprio: il punto di vista verghiano diventa, quindi, un fatto interno alla letterarietà stessa dell’opera, diventa pura rappresentazione e artificio formale.
Fonte: http://attach.matita.net/ziorufus/file/riccardi/01rossomalpelo.rtf
Sito web da visitare: http://attach.matita.net/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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