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La preistoria va dalla comparsa della specie umana sulla Terra (circa due milioni di anni fa) al momento in cui l’uomo inventa la scrittura e inizia a lasciare testimonianze scritte (3.500 anni circa prima della nascita di Cristo).
I primi ominidi avevano un aspetto simile a quello delle scimmie, ma erano capaci di camminare con i soli arti inferiori e di reggere in mano pietre e bastoni. Nel corso dei millenni l’aspetto dell’uomo mutò, avvicinandosi sempre più a quello dell’uomo moderno, e la sua capacità tecnica andò man mano sviluppandosi. L’uomo scoprì come accendere il fuoco e come costruire armi per difendersi dagli animali feroci e per cacciare. Per vestirsi si serviva delle pelli degli animali uccisi e per ripararsi utilizzava le caverne o si costruiva abitazioni fatte di pietre, rami, paglia e pelli di animali. Ad un certo punto l’uomo scoprì come sfruttare la terra per far nascere piante di cui nutrirsi: così nacque l’agricoltura. In seguito si scoprì che era possibile modellare con l’argilla dei recipienti per poi cuocerli su di un grande fuoco, ottenendo dei resistenti vasi di ceramica. Qualcuno notò che certe pietre poste a contatto con il fuoco lasciano colare un materiale fluido che raffreddandosi diventa solido. Ben presto l’uomo imparò a costruire
grandi forni in cui gettare pezzi di minerale. Il metallo fuso veniva poi raccolto e lasciato solidificare in stampi di pietra per ottenere asce, spade, pugnali, gioielli e attrezzi vari.
Con la civiltà dei Sumeri, inventori della scrittura, inizia la Storia. Quando i Sumeri (nel 7.000 avanti Cristo) giunsero in Mesopotamia, la vasta pianura solcata dai fiumi Tigri ed Eufrate (la terra oggi occupata dall’Iraq), trovarono una terra fertile e ricca d’acqua. Essi si dedicarono quindi soprattutto all’agricoltura e all’allevamento.
I Sumeri si organizzarono in città-stato indipendenti, ciascuna governata da un re-sacerdote, che agiva in nome della divinità protettrice della città. A un certo punto un re divenne il sovrano dell’intero territorio e creò quindi il primo impero della storia.
Ai Sumeri è attribuita, oltre a quella della scrittura, l’invenzione della ruota.
Altre popolazioni conquistarono la Mesopotamia alla fine del terzo millennio. Dopo gli Accadi giunsero i Babilonesi che, sotto il re Hammurabi, crearono la prima raccolta di leggi scritte. Contemporaneamente gli Assiri penetrarono nella valle, che conquistarono nei secoli successivi, diventando famosi per la crudeltà con cui trattarono le popolazioni sottomesse.
La Valle del Nilo, nell’Africa nord-orientale, era un territorio molto fertile per la presenza dell’acqua portata dal fiume. Verso il 5.000 avanti Cristo vi giunsero genti che conoscevano l’agricoltura e che fondarono villaggi organizzati per controllare le inondazioni del fiume: la costruzione di dighe e canali infatti richiedeva la collaborazione di molte persone.
Sovrano dell’Egitto era il faraone, considerato la personificazione del dio Horus, che aveva un potere assoluto su tutta la popolazione. Gli Egiziani erano distinti in caste: le più importanti erano quelle dei sacerdoti e dei funzionari. Ai sacerdoti era affidata la religione, mentre i funzionari avevano il compito di amministrare la popolazione per conto del faraone. Importanti erano anche gli scribi, che conoscevano la scrittura geroglifica e avevano l’incarico di registrare le tasse pagate dai lavoratori allo stato. Dopo venivano i guerrieri e la maggior parte della popolazione: gli artigiani, i contadini e infine gli schiavi.
L’agricoltura era la principale attività degli Egiziani. I contadini tuttavia lavoravano anche come operai per costruire canali o edifici richiesti dal faraone.
Gli Egiziani erano convinti che, dopo la morte, i defunti vivessero eternamente nell’aldilà, a condizione che il loro corpo potesse conservarsi. Per il faraone era molto importante mantenere integro il corpo dopo la morte, quindi si ricorse all’imbalsamazione. La mummia, avvolta da bende e rivestita con abiti preziosi veniva racchiusa in un sarcofago e quindi posta in tombe monumentali costruite appositamente, le piramidi. All’interno delle piramidi, oltre alla camera dove era deposto il corpo del faraone, si trovavano altre stanze, piene di cibo, mobili, gioielli e armi che dovevano servire per la vita nell’aldilà. A costruire le tombe dei faraoni pensavano gli schiavi e i contadini,
che, nella stagione in cui i lavori agricoli cessavano, si recavano nelle cave a tagliare i milioni di blocchi di pietra che servivano per innalzare quegli enormi edifici.
L’espansione egizia si scontrò con quella degli Ittiti, un popolo che aveva conquistato un vasto territorio in Asia Minore grazie alla capacità di lavorare il ferro e all’uso di carri da guerra. Dopo diverse battaglie Egizi e Ittiti firmarono la pace e un accordo di aiuto reciproco.
La storia egizia continuò poi per oltre un millennio, anche se con minore splendore, fino a che, nel 31 a. C. l’Egitto non venne assorbito dall’Impero romano di Augusto.
La terra di Canaan comprendeva Siria, Palestina e la costa libanese. Il territorio, con poche zone pianeggianti e scarsità d’acqua, non era molto adatto all’agricoltura, ma , per la sua posizione tra la Mesopotamia e l’Egitto, era una zona di passaggio per uomini e merci. Il commercio fu quindi l’attività principale degli abitanti della zona.
Le città della costa erano abitate dai Fenici, un popolo abilissimo nella navigazione d’alto mare, nella produzione di oggetti di vetro e nella produzione della porpora, un colorante che, estratto da alcuni molluschi, era ricercatissimo per tingere di rosso i tessuti..
I Fenici si dedicarono al commercio marittimo, trasportando merci per conto di altri popoli. Si spinsero verso il Mediterraneo occidentale, dove fondarono decine di colonie commerciali, e andarono alla ricerca di metalli pregiati e di stagno.
Essi progettarono e realizzarono navi d’avanguardia, molto più stabili e veloci delle altre navi dell’epoca. Ai Fenici va inoltre il merito di aver perfezionato e diffuso la scrittura alfabetica, già esistente, ma poco usata.
In Palestina, nello stesso periodo, abitavano gli Ebrei, che vi erano giunti dopo secoli di allevamento nomade e un lungo soggiorno in Egitto. Per stanziarsi in Palestina gli Ebrei avevano dovuto combattere contro i Filistei. Unificando le varie tribù sotto un solo re e combattendo in nome del loro unico dio, Iahvè, gli Ebrei riuscirono a vincere e crearono uno stato che ebbe re come Saul, David e Salomone.
Il Mar Egeo è un mare facile da attraversare, perché pieno di isole. Tra queste, intorno al 2.000 avanti Cristo, assunse una grande importanza Creta.
I Cretesi si arricchirono grazie al commercio del grano, dell’olio e del vino, prodotti nell’isola, e di oggetti di finissimo artigianato. Cnosso era la città più potente dell’isola. Il sovrano risiedeva nel Palazzo reale, un edificio grandioso e riccamente decorato che era la sede del governo e il luogo dove si svolgevano le principali cerimonie religiose, presiedute dal re nella sua funzione di sacerdote .
Nello stesso periodo la Grecia era stata invasa dagli Achei, una popolazione guerriera ancora piuttosto rozza, che dopo l’arrivo nel territorio greco si dedicò all’agricoltura e all’allevamento. I Cretesi cominciarono subito a commerciare con gli Achei e a trasmettere loro la propria cultura. Gli Achei impararono dai Cretesi anche tutti i segreti della navigazione e iniziarono a darsi al commercio. L’influsso cretese fece sviluppare in modo notevole le città-stato greche: tra esse divenne particolarmente potente Micene, che ben presto estese il suo controllo su gran parte della Grecia meridionale e conquistò la stessa Creta.
Per ampliare i loro commerci, i Micenei distrussero la città di Troia, che controllava il passaggio di navi tra il Mar Egeo e il Mar Nero, e fecero vere e proprie guerre per ampliare i loro traffici. Essi però non riuscirono a sopravvivere all’invasione dei Dori che intorno al 1.200 li travolsero, uccidendone molti e costringendone tanti a emigrare verso l’Asia Minore. In quella regione i fuggiaschi fondarono nuove città e con il nome di Ioni d’Asia si diedero con successo al commercio e all’attività culturale.
La migrazione dei Dori provocò l’impoverimento e la decadenza della regione greca. Dopo i primi secoli di crisi, però, si ebbe proprio nella penisola greca un’esperienza molto importante, quella della polis. La polis, sorta tra l’VIII e il VII secolo a. C., è la “città-stato”, o meglio la “città dei cittadini”, cioè una comunità basata sull’autogoverno dei cittadini. Nella polis non esisteva più il re;
a decidere le questioni di pubblico interesse erano i cittadini stessi che si riunivano in assemblea nella piazza centrale, l’agorà.
Gli aristocratici (i nobili) furono quei cittadini che si sostituirono al re nel governo della città, dando origine alle Repubbliche aristocratiche. I nobili (in quanto possessori di appezzamenti di terreno) furono i soli a godere i diritti politici, a avere cioè la possibilità di essere eletti al governo. Il resto della popolazione, il demos (il popolo), era escluso dal potere politico, benché fosse la maggioranza della popolazione.
La difesa militare, affidata in un primo tempo quasi esclusivamente alla cavalleria formata da nobili, divenne con gli anni compito di una nuova formazione, la falange oplitica, uno squadrone di fanteria costituito da una doppia fila di soldati coperti da una pesante armatura. A combattere accanto ai nobili comparvero anche artigiani, piccoli proprietari e commercianti. Essi infatti disponevano di mezzi sufficienti per procurarsi l’equipaggiamento (armi e corazza) necessario per entrare a far parte degli Opliti.
Tra il 750 e il 650 a. C. nelle città della Grecia si ebbero problemi di ordine sociale ed economico. A sfamare la popolazione in costante aumento, infatti, non bastavano più i terreni agricoli già scarsi sul territorio greco, prevalentemente montagnoso. Per questo motivo masse di cittadini greci migrarono verso l’Asia Minore e l’Italia Meridionale, dove fondarono colonie agricole e commerciali e si diedero leggi scritte che tendevano a eliminare ingiustizie e disuguaglianze. I problemi sociali, tuttavia, non si risolsero e per un certo periodo le poleis, in patria e nelle colonie, vennero dominate da tiranni appoggiati dal popolo, che rovesciarono il potere degli aristocratici.
I Greci, come tutti i popoli antichi a eccezione degli Ebrei che erano monoteisti (perché credevano in un solo dio), furono politeisti, venerarono cioè molti dei. Il re degli dei era Zeus (detto poi Giove dai Romani); marito di Era (Giunone) e padre di molti altri dei, come Ares (Marte), Efesto (Vulcano), Atena (Minerva), Artemide (Diana).
Sparta e Atene furono a lungo le due protagoniste della storia greca. Esse ebbero fin dalle origini storie diverse e diverso fu quindi il carattere delle due città.
La polis degli Spartani fu fondata dai guerrieri Dori, che ridussero in schiavitù le popolazioni precedenti. Queste non si rassegnarono mai all’asservimento e mantennero la regione in un continuo stato di rivolta. Ciò spinse Sparta a darsi un governo oligarchico (basato cioè sul “potere di pochi”). I diritti di cittadinanza spettavano a soli 500 Uguali (o Spartiati), di origine dorica, che potevano dedicarsi completamente all’attività militare perché a mantenerli pensavano gli Iloti, i discendenti dei popoli sottomessi che lavoravano i campi. Una categoria intermedia era quella dei Perieci, che, pur godendo di alcune libertà, non aveva però il diritto di prendere decisioni politiche. La polis degli Ateniesi, invece, si era sviluppata dalla città di Atene del periodo miceneo. I suoi problemi derivavano dalla ineguale distribuzione delle terre. Da una parte c’era l’enorme ricchezza degli aristocratici, dall’altra la miseria e la schiavitù per debiti dei contadini.
A tale situazione si pose rimedio nel corso del VI secolo a. C., quando il legislatore Solone restituì la libertà ai cittadini caduti in schiavitù e divise la cittadinanza in quattro classi, in base al reddito. In modo ancora più deciso agì il tiranno Pisistrato, che tolse parte delle terre agli aristocratici per distribuirla ai contadini poveri. Morto Pisistrato e abolita la tirannide, intervenne Clistene che diede vita alla prima costituzione democratica della storia, dando i diritti politici a tutti i cittadini (ad eccezione degli stranieri, degli schiavi e delle donne).
Dopo la caduta dell’Impero assiro nel 612 a. C., i Persiani divennero la principale potenza dell’Asia centrale. Prima con Ciro e poi con Cambise, essi conquistarono molti territori, tra cui l’Egitto e l’Asia Minore. In seguito, allo scopo di rafforzare i confini del regno, l’imperatore Dario organizzò una spedizione contro la Grecia, in particolare contro Atene, intervenuta in aiuto di Mileto, colonia greca dell’Asia Minore che si era ribellata al potere persiano. Questa spedizione, nota con il nome di Prima Guerra Persiana, si concluse con la vittoria degli Ateniesi che, successivamente, con l’aiuto di Sparta e di altre città greche, seppero imporsi anche sull’esercito di Serse nel corso della Seconda Guerra Persiana.
Dopo le guerre persiane, nel timore di nuove aggressioni, Atene e le città marittime della Grecia e della costa asiatica fondarono la Lega di Delo, una confederazione in cui ogni città avrebbe
dovuto avere gli stessi diritti. Atene, invece, impose a poco a poco il suo predominio e con Pericle trasformò questa alleanza in un vero e proprio strumento nelle sue mani. Pericle usò addirittura i contributi delle città della Lega per ornare Atene di monumenti splendidi. Le città della Lega persero ogni forma di libertà, perché le decisioni venivano prese solo dal governo di Atene.
La politica aggressiva di Atene finì per impensierire Sparta. La rivalità tra le due città crebbe al punto da portare alla guerra. La prima fase della Guerra del Peloponneso si concluse quasi in parità con la pace di Nicia; ma un’epidemia di vaiolo fece intanto strage della popolazione ateniese (anche lo stesso Pericle morì). La seconda fase si aprì soprattutto per iniziativa dell’ateniese Alcibiade, che ruppe la pace e riprese le ostilità. Ma la spedizione in Sicilia, compiuta per ricavare ricchezze da utilizzare nella guerra contro Sparta, si risolse in un fallimento e Atene, ormai indebolita, fu costretta ad arrendersi. L’epoca del suo primato era definitivamente tramontata.
Il primato di Sparta dopo la Guerra del Peloponneso fu di breve durata. I Tebani sconfissero gli Spartani, ma anche il predominio di Tebe non durò a lungo. Ben presto la Macedonia (vasta regione montuosa del nord della Grecia), guidata dal re Filippo II, sottomise l’intera Grecia. Filippo aveva sfruttato a fondo le miniere d’oro della sua regione e se ne era servito per armare un esercito considerevole, che fu addestrato a combattere con una nuova tecnica: quella della falange macedone. Questa era costituita da una serie di battaglioni di fanteria pesante, armati con lance lunghe sette metri: un impenetrabile muro di micidiali punte metalliche, che si rivelò invincibile.
Il figlio di Filippo, Alessandro Magno, si spinse alla conquista dell’Oriente e in soli tre anni sottomise l’impero persiano. Alessandro fondò quindi un impero vastissimo, in cui egli cercò di unire vincitori e vinti per formare un unico popolo, capace di esprimere ciò che di meglio le culture dei Greci e delle altre genti avevano prodotto. Questo progetto, però, non fu portato a termine a causa della morte prematura di Alessandro. L’impero fu spartito tra i generali di Alessandro, che fondarono regni indipendenti governati da monarchie assolute. Ciò nonostante non si fermò la diffusione della cultura voluta da Alessandro, una cultura in cui si erano fusi il sapere greco e quello orientale (Ellenismo). I sovrani dei regni ellenistici fecero del greco la lingua ufficiale, promossero le arti e la scienza e favorirono lo sviluppo dell’economia.
Gli Etruschi avevano occupato la parte centro-settentrionale della penisola italica. Tra il VII e il VI secolo a. C. le città etrusche dominarono il Tirreno e commerciarono con tutti i paesi del Mediterraneo, spingendosi fino in Spagna e in Inghilterra. Il declino degli Etruschi cominciò nel V secolo, dopo una sconfitta subita contro i Greci.
Le città etrusche non si unirono mai in un regno; le dodici più potenti formarono una confederazione, la dodecapoli, basata su legami di tipo religioso e culturale, ma non politico. A capo di ogni città-stato era un re, chiamato lucumone; due erano le classi sociali: i signori, che costituivano l’aristocrazia guerriera, e i servi. L’economia etrusca si basava sulla produzione artigianale (vasi, tessuti di lino, armi, oggetti di uso comune, ecc.) e sul commercio.
La monarchia
Secondo la leggenda, Roma fu fondata da Romolo nel 753 a. C. In realtà la città nacque dalla lenta fusione di alcuni villaggi, che si unirono e riconobbero l’autorità di un unico re. I patrizi e i plebei (la plebe, il popolo) erano le due classi sociali in cui era divisa la società romana. I patrizi occupavano ruoli di potere grazie alla loro appartenenza a famiglie antiche, ricche e nobili e al fatto che si credevano in grado di interpretare la volontà degli dei. I componenti più anziani di ogni famiglia patrizia costituivano il senato, che assisteva il re nel governo. I plebei spesso divenivano clienti dei patrizi, si ponevano cioè alle dipendenze di un nobile offrendogli servizi e obbedienza in cambio di protezione e assistenza economica. Al di sotto dei plebei erano gli schiavi, coloro che per vari motivi erano privi della loro libertà personale ( es. i prigionieri di guerra). Gli schiavi a cui i padroni ridavano la libertà venivano detti liberti.
La leggenda dice che i re di Roma, nei quasi 250 anni della monarchia, furono solo sette:
Tarquinio il Superbo (gli ultimi tre di stirpe etrusca). Gli storici sono convinti invece che i re furono in realtà più di sette, anche se di alcuni di loro si è perso il ricordo.
La Repubblica
Il 509 fu una data di fondamentale importanza nella storia di Roma; in quell’anno infatti i Romani cacciarono l’ultimo re etrusco, Tarquinio il Superbo, abolirono la monarchia e fondarono la Repubblica. Per altri cinque secoli questa fu la forma di governo dello Stato Romano.
Inizialmente la Repubblica fu governata da due consoli, scelti fra i patrizi e i plebei. Ben presto però i patrizi allontanarono i plebei dal consolato, imponendo un governo aristocratico. I plebei ottennero una prima vittoria nel 450, quando Roma ebbe le sue prime leggi scritte, le Dodici Tavole, il cui contenuto, però, rivelava ancora il predominio dei patrizi. L’influenza della plebe sulla vita dello Stato era minima, a causa della sua esclusione dalle magistrature (cioè dalle cariche pubbliche: consolato, pretura, edilità, questura, censura, dittatura1) e dalla maggioranza nelle assemblee più importanti (senato, comizi centuriati, comizi tributi2). Nel 367 i plebei furono riammessi al consolato, ma solo i plebei ricchi ebbero questa possibilità.
Le conquiste caratterizzarono la politica estera della Roma repubblicana. Essa estese il suo dominio, prima sui territori dei popoli italici confinanti, come i Latini, gli Equi, i Volsci e i Sabini, poi sulle città dell’Italia meridionale. Ai territori conquistati Roma diede un’organizzazione molto diversificata. Si distinguevano gli alleati latini, gli alleati italici e i municipi. Gli alleati avevano il dovere di inviare a Roma soldati, navi e tributi. Agli alleati latini, tuttavia, era riconosciuto il diritto di commercio e di matrimonio con i cittadini romani. I municipi erano comunità fondate in varie parti della penisola, che avevano maggiori o minori diritti. Questa organizzazione, che comportava diritti e doveri diversi allo scopo di integrare a vari livelli i popoli conquistati, adattandosi a diverse situazioni, dava a Roma la forza di resistere a difficili prove.
Quando Roma estese le sue conquiste fino allo stretto di Messina diventò inevitabile lo scontro con Cartagine, la potente città fenicia dell’Africa settentrionale che aveva importanti scali commerciali in Sicilia. I Romani, nel 264 a. C., approfittando di un incidente, sbarcarono in Sicilia; scoppiò così la Prima guerra punica (Punicus in latino vuol dire Cartaginese). Grazie a tre vittorie navali i Romani sconfissero i Cartaginesi e occuparono la Sicilia prima e poi la Sardegna e la Corsica. Dopo vent’anni, tuttavia, Cartagine riprese la lotta. Questa volta le battaglie non si svolsero sul mare. Protagonista della Seconda guerra punica fu il cartaginese Annibale, che, dopo aver attraversato la Spagna, varcò le Alpi e portò la guerra nel cuore dell’Italia. Roma subì una serie di sconfitte che la portarono sull’orlo della disfatta. Resse però l’organizzazione che essa aveva dato all’Italia: sebbene alcuni popoli fossero passati dalla parte di Annibale, molti alleati rimasero con Roma e la aiutarono a battere i Cartaginesi. Publio Cornelio Scipione (che sarà poi detto l’Africano) decise addirittura di portare la guerra sotto le mura di Cartagine, in Africa. Annibale lasciò l’Italia e corse in aiuto della patria minacciata, ma nella battaglia di Zama fu sconfitto pesantemente. Cartagine si arrese e dovette cedere la Spagna, consegnare la flotta e
1 I consoli erano i magistrati supremi; duravano in carica un anno e dovevano controllarsi a vicenda; essi comandavano l’esercito, imponevano tasse speciali per esigenze di guerra, potevano convocare l’assemblea dei cittadini, ecc.; avevano quindi potere militare e potere esecutivo. I pretori esercitavano il potere giudiziario. Gli edili avevano l’incarico di sorvegliare le strade, gli edifici, i luoghi pubblici, le cerimonie religiose. I questori amministravano il tesoro pubblico. I censori effettuavano il censimento dei cittadini (per individuare le persone tenute al tributo e al servizio militare) e controllavano il comportamento dei cittadini. Il dittatore, nominato dai consoli in caso di particolare pericolo, restava in carica al massimo sei mesi, ma aveva pieni poteri. A queste cariche si aggiungeva quella di pontefice massimo, per la guida delle cerimonie religiose e del culto.
2 Il senato era un’assemblea autorevole e potente, formata da coloro che avevano ricoperto una
magistratura. Non aveva il potere di dichiarare la guerra, ma decideva le operazioni militari, organizzava i territori conquistati e la distribuzione delle terre, accettava o proibiva il culto di nuove divinità, autorizzava la spesa pubblica, riceveva gli ambasciatori stranieri e conduceva le trattative diplomatiche. La carica di senatore era a vita. I comizi centuriati erano l’assemblea formata dai cittadini (patrizi e plebei) in grado di portare le armi. I proletari, cioè coloro che non possedevano niente all’infuori della loro prole, non erano tenuti al servizio militare. I comizi centuriati eleggevano i consoli, i pretori, i censori, votava le leggi, dichiarava la guerra. Nei comizi centuriati la maggioranza era sempre dei più ricchi.
I comizi tributi erano l’assemblea della plebe; votavano le leggi meno importanti ed eleggevano i magistrati minori. Nei comizi tributi però avevano sempre la maggioranza i proprietari terrieri (cioè i plebei più ricchi).
pagare un forte tributo, oltre che impegnarsi a non fare nessuna guerra senza il permesso dei Romani.
Le ragioni della sconfitta di Cartagine furono da un lato la superiorità degli eserciti romani (composti da cittadini) rispetto a quelli cartaginesi (formati soprattutto da mercenari, cioè da soldati che combattevano a pagamento), dall’altro la fedeltà di molti alleati di Roma, grazie all’intelligente ordinamento politico dato alla penisola.
I territori conquistati durante le guerre puniche non furono dichiarati “alleati” dei Romani, ma resi province. I loro abitanti divennero sudditi di Roma, furono costretti a versarle tributi e vennero governati da un magistrato romano.
Sconfitta Cartagine, nessuna potenza sembrava più in grado di fermare l’espansione romana. Alla prima serie di province si aggiunsero la Macedonia, la Siria e la Grecia.
Restava il problema di Cartagine, che stava rifiorendo dopo le sconfitte e ciò preoccupava i Romani. Nel 146 la città africana fu quindi rasa al suolo e il suo territorio divenne provincia romana.
Le conseguenze delle conquiste di Roma furono numerose. Le guerre avevano fruttato alla città molte ricchezze, derivate dai saccheggi, dallo sfruttamento delle province e dall’apertura di nuovi mercati. In generale erano migliorate le condizioni dei cittadini romani, ma soprattutto le categorie dei cavalieri e dei senatori avevano aumentato il loro patrimonio. La plebe era rimasta la classe sociale più svantaggiata. A questa situazione di disuguaglianza cercarono di porre rimedio i fratelli Tiberio e Caio Gracco, che proposero leggi a favore dei contadini; le loro iniziative però non ebbero successo perché i due fratelli vennero fatti assassinare dall’aristocrazia romana.
A Roma si erano ormai delineati due opposti partiti: l’aristocratico, appoggiato dai senatori, e il
democratico, sostenuto dai plebei.
Il I secolo a. C è il secolo della crisi delle istituzioni repubblicane. Queste istituzioni cedettero dopo le conquiste mediterranee sotto il peso di tre tipi di problemi: problemi sociali, problemi con gli alleati italici, problemi con i sudditi delle province. Un altro elemento si aggiunse ad aggravare la situazione: la riforma dell’esercito voluta da Mario, capo dei democratici. Per togliere dalla miseria la plebe romana Mario cambiò la composizione delle legioni, che per la prima volta furono composte anche dai cittadini più poveri. Questi soldati, però, ben presto cominciarono a vedere la guerra unicamente come un mezzo per arricchirsi e a essere legati al loro generale e alle occasioni di bottino che offriva, piuttosto che alla patria. Questo fece aumentare di molto il potere dei generali, a scapito del senato romano. Mario fu il primo ad approfittarne, ponendosi alla guida dell’esercito in vittoriose spedizioni. A Mario, però, si oppose Silla, il generale del partito aristocratico che aveva stroncato la rivolta degli alleati italici. Silla, per limitare il potere dei militari, scatenò una guerra senza quartiere contro i democratici e si fece nominare dittatore a tempo indeterminato. Dopo il ritiro dall’attività politica di Silla la situazione si aggravò ulteriormente, lo scontro tra il senato e i generali continuò, finché questi, forti delle loro conquiste, riuscirono a imporre il loro potere con l’istituzione del triumvirato, un accordo privato tra cittadini per governare lo stato. Il primo triumvirato fu infatti formato da tre generali nel 60 a. C.: Pompeo, Cesare e Crasso. Tra Pompeo e Cesare nacque una forte rivalità. Cesare in Gallia ottenne una serie di clamorose vittorie, conquistando terre fino alle coste atlantiche e, oltre la Manica, fino all’Inghilterra. Pompeo e il senato decisero di richiamare Cesare a Roma, con l’intenzione di porre fine alla sua carriera politica, Cesare se ne rese conto e tornò sì in Italia, ma con l’esercito in armi. Nonostante l’ingiunzione di lasciare le armi e di tornare a Roma come semplice cittadino, Cesare guidò l’esercito fino a Roma, costringendo Pompeo a fuggire in Grecia. Per tre anni Roma fu sconvolta dalla guerra civile tra pompeiani e cesariani. Intanto l’esercito di Pompeo venne sconfitto in Grecia e Pompeo stesso fu fatto uccidere a tradimento. Abbattuta la resistenza degli ultimi pompeiani, Cesare divenne padrone assoluto di Roma. Nominato console per cinque anni, dittatore a tempo indeterminato e pontefice massimo, Cesare nella sua fulminante carriera accumulò in poco tempo più cariche di quante mai ne avesse avute qualunque uomo politico romano. I senatori, temendo la trasformazione della dittatura in monarchia assoluta, ordirono un complotto contro Cesare che, nel 44 a. C., venne ucciso in senato da un gruppo di congiurati capeggiati da Bruto, suo figlio adottivo, e dal pretore Cassio.
Ancora una volta si ricorse all’istituzione di un altro triumvirato - il secondo - nel 43 a. C. , formato da Antonio, Ottaviano (figlio adottivo di Cesare) e Lepido. Ben presto scomparve dalla scena Lepido e rimasero Antonio e Ottaviano, divisi da una forte rivalità. Ad Azionel 31 a. C. Ottaviano
sconfisse la flotta di Antonio e della regina d’Egitto Cleopatra, che si uccisero. Ottaviano, che si fece chiamare anche princeps e Cesare Augusto, accentrò tutti i poteri nelle sue mani (comandante supremo dell’esercito, primo tra i senatori, pontefice massimo): l’epoca della Repubblica era finita, iniziava l’epoca dell’Impero.
L’Impero
Augusto governò con prudenza, non abusò dei suoi poteri e non privò del tutto di autorità il Senato di Roma. Per amministrare un Impero tanto vasto, Augusto rafforzò i confini sul Reno e sul Danubio senza impegnarsi in guerre di conquista; cambiò l’organizzazione delle province e riformò l’esercito, concedendo ai veterani le terre promesse nelle colonie e una ricompensa in denaro alla fine del servizio militare. Per non aumentare i rischi di presa del potere da parte dei generali, spostò frequentemente gli ufficiali da un reparto all’altro, in modo che non assumessero grandi poteri personali presso i soldati.
Nell’epoca di Augusto si ebbe un periodo di pace e si raggiunse l’unificazione linguistica del Mediterraneo, con l’adozione di due sole lingue, il latino e il greco. In questo periodo Augusto valorizzò la cultura tradizionale romana, favorendo l’opera di poeti e letterati (come Virgilio, l’autore dell’Eneide).
Alla morte di Augusto, nel 14 d. C., l’Impero fu governato da dinastie di imperatori: la dinastia Giulio-Claudia (Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone) dal 14 al 69 d.C. e la dinastia Flavia (Vespasiano, Tito e Domiziano) dal 69 al 96 d. C. , che in alcuni casi collaborarono con il Senato, in altri cercarono invece di imporre una monarchia dispotica.
In seguito, dal 96 al 180 d. C., l’Impero diventò adottivo attraverso il sistema dell’adozione da parte dell’imperatore del suo successore. Furono così scelti anche imperatori originari delle province. In questo periodo l’Impero raggiunse la sua massima estensione, con la conquista della Dacia da parte di Traiano (106 d. C.). Iniziarono le persecuzioni contro gli Ebrei e i Cristiani e l’Impero si avviò a trasformarsi in una monarchia assoluta di tipo orientale: con Adriano tutte le province divennero proprietà assoluta dell’Imperatore.
Nel secondo secolo d. C. Roma perse la sua funzione di città centrale dell’Impero a favore di nuovi centri in Egitto, Gallia e Asia Minore. L’economia italiana decadde per la scarsa resa del sistema di produzione schiavista e per la continua richiesta di articoli di lusso da parte di Roma, in un periodo in cui l’Italia non produceva più come prima (le guerre di conquista e la cattiva amministrazione dell’agricoltura avevano mandato in rovina la piccola proprietà privata, estendendo a dismisura i latifondi; nessuna riforma inoltre, dai tempi dei Gracchi, era riuscita a far rinascere la proprietà terriera).
Dopo la morte di Marco Aurelio, nel 180 d. C., una grave crisi politica ed economica investì l’Impero romano. In 100 anni si ebbero 27 imperatori, che poterono governare per brevissimi periodi e solo con l’appoggio dell’esercito. La necessità di difendere i confini da continui attacchi fece aumentare il numero dei soldati e quindi le spese dello Stato, per far fronte alle quali furono aumentate le tasse. Per mantenere l’esercito fu anche necessario requisire grandi quantità di prodotti agricoli e obbligare i coloni a prestare servizio militare. Migliaia di giovani contadini arruolati nell’esercito furono così sottratti al lavoro dei campi, che cominciarono a essere abbandonati anche per la mancanza di schiavi. Inoltre la popolazione diminuì, passando nell’Impero da 70 a 50 milioni di abitanti e quindi ci furono meno braccia a disposizione.
Lo Stato cercò di controllare direttamente tutte le attività economiche, cercando di trarne i maggiori vantaggi possibili, ma così facendo mandò in rovina molti piccoli proprietari terrieri e numerosi artigiani delle città. Le condizioni economiche dell’Impero diventarono disastrose; molti contadini, incapaci di pagare i debiti contratti, persero la libertà personale (divenendo servi della gleba, cioè servi della terra, perché legati alla terra in cui lavoravano, tanto che erano venduti dal padrone insieme ai campi).
Nel 285 divenne imperatore Diocleziano, che governò per 20 anni e fu quindi in grado di attuare alcune riforme per riorganizzare lo Stato. Decise l’istituzione della tetrarchia, una forma di comando collegiale (con quattro imperatori - due per l’Oriente e due per l’Occidente) per evitare le sanguinose lotte che si scatenavano quando si trattava di eleggere l’imperatore; raddoppiò il numero dei soldati, destinando truppe specializzate alla difesa dei confini; tassò le proprietà terriere e aumentò il numero delle province, nell’amministrazione delle quali il potere civile fu separato da quello militare. Diocleziano cercò anche di risolvere la grave crisi economica dell’Impero, ma il suo tentativo fallì.
L’Impero romano si era dovuto confrontare ben presto con la religione cristiana, una religione che i Romani cercarono di contrastare con ogni mezzo. I Romani non accettavano l’idea cristiana che tutti gli uomini fossero uguali e fratelli e che la religione dovesse essere distinta dallo Stato. Infatti il cittadino romano era convinto che l’imperatore stesso dovesse essere considerato come una divinità. Quando al Cristianesimo cominciò a convertirsi un gran numero di cittadini romani, lo Stato si sentì minacciato. Esso temeva infatti che i Romani convertitisi al Cristianesimo non avrebbero più rispettato le sue leggi. Tra il 249 e il 304 gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano ordinarono violente persecuzioni, che però rinsaldarono ancora di più le comunità cristiane.
Nel corso del terzo secolo il Cristianesimo cominciò a diffondersi anche tra i ricchi e divenne perciò una realtà con la quale lo Stato romano fu costretto a scendere a patti. Nel 313 l’imperatore Costantino riconobbe ai Cristiani la libertà di culto e da quel momento i valori e la cultura cristiani si intrecciarono sempre più con quelli romani.
La larga diffusione del Cristianesimo provocò però le prime difficoltà alla Chiesa: tra i Cristiani si ebbero divisioni e contrasti, che portarono alla nascita delle eresie (dottrine che non accettano le verità sostenute dalla Chiesa). Per risolvere questi contrasti con l’appoggio di Costantino si tenne un concilio a Nicea nel 325 (in quell’occasione vennero stabilite le verità della Chiesa cristiana, che vennero raccolte nella preghiera del Credo).
Nel 380 l’imperatore Teodosio con un editto proclamò il Cristianesimo religione ufficiale dello Stato romano e da quel momento cominciarono a essere perseguitati i pagani, quelli cioè che praticavano gli antichi riti romani. Alla morte di Teodosio, per suo volere, l’Impero venne diviso in due parti (Impero d’Occidente con capitale Roma e Impero d’Oriente con capitale Costantinopoli, l’antica Bisanzio) e affidato ai suoi due figli, Arcadio e Onorio.
Fin dall’inizio del terzo secolo d. C. i Romani avevano dovuto affrontare il problema dei rapporti con le popolazioni germaniche stanziate lungo i confini settentrionali e orientali dell’Impero. Queste popolazioni erano organizzate in clan e tribù di agricoltori e allevatori ed erano governate da un re- guerriero dotato di ampi poteri. I Romani dapprima arruolarono alcuni Germani come soldati, poi impiegarono intere tribù a difesa dei confini.
A est, alle spalle dei Germani delle grandi pianure vivevano gli Unni, un popolo di guerrieri eccezionalmente abili nel cavalcare e nel tirare con l’arco. Sul finire del quarto secolo gli Unni cominciarono una grande migrazione verso ovest, coinvolgendo tutti i popoli germanici d’Occidente che, spinti dagli Unni, si riversarono nei territori dell’Impero romano.
Dalla disintegrazione dell’Impero romano d’Occidente (476 d. C , anno in cui il generale Odoacre capo degli Eruli, depose l’ultimo imperatore, Romolo Augustolo) nacquero i regni romano- germanici, controllati politicamente e militarmente dai Germani, ma con struttura amministrativa romana. Solo la parte orientale dell’Impero continuerà a sopravvivere (per circa un millennio).
Nel 527 Giustiniano, diventato imperatore d’Oriente, decise la riconquista dell’Italia. Al termine di una guerra durata 20 anni (contro i Goti) l’impresa gli riuscì: l’Italia divenne una provincia dell’Impero bizantino (l’Impero romano d’Oriente) e dovette subire l’imposizione di pesantissime tasse. I Bizantini, occupati a difendere i confini orientali dell’Impero, non riuscirono però a impedire che in Italia giungessero i Longobardi, che, nel 568, guidati dal re Alboino, occuparono buona parte della penisola italica.
Con la pace del 603 l’Italia venne divisa in due parti, una longobarda (Longobardìa) e l’altra bizantina (Romània)
All’inizio del settimo secolo, proprio mentre Bizantini e Longobardi stavano spartendosi l’Italia, in Arabia visse Maometto, che predicò una nuova religione, detta religione musulmana (o islamica). Secondo questa religione vi è un solo dio, Allah, e chi si comporta secondo le regole date da Maometto (contenute nel Corano) dopo la morte andrà in paradiso, gli altri all’inferno. Gli Arabi che prima erano divisi in tante tribù nomadi, veneravano molti dei e avevano come centro religioso la Mecca, si convertirono alla religione musulmana e si unirono. Essi smisero di combattere gli uni contro gli altri e cominciarono ad attaccare e conquistare i territori vicini, in nome della Guerra santa voluta da Maometto. Gli Arabi occuparono l’Asia sud-occidentale, fino a parte dell’India,
l’Africa settentrionale, la Spagna e per un certo tempo anche la Sicilia. Nei paesi dominati dagli Arabi, tra l’ottavo e il decimo secolo, il commercio era praticato anche con paesi lontani, le città erano sviluppate, l’istruzione era diffusa. Invece in Europa nello stesso periodo l’istruzione era scarsa, vi erano poche città e poco commercio. Gli Arabi diffusero nei loro vasti domini la loro lingua, la loro religione e la loro cultura (arricchita anche dai molteplici contributi portati dai popoli sottomessi). Agli Arabi si dovette così la diffusione di prodotti come l’albicocco e di scoperte e invenzioni come i numeri, l’alcool, il sapone, il mulino a vento.
Alla fine del sesto secolo, nell’Italia divisa tra Bizantini e Longobardi, l’assenza di una forte e stabile autorità politica fece aumentare molto l’importanza della Chiesa, che, con il papa e i vescovi, iniziò ad occuparsi dell’amministrazione pubblica. Tra il 590 e il 604 papa Gregorio Magno svolse un’intensa attività sociale e politica a Roma e nel Lazio, sostituendosi all’imperatore: nacque così il potere temporale (cioè politico) della Chiesa.
Centocinquanta anni più tardi, nel 755, un altro papa, vedendo i propri territori minacciati dai Longobardi, chiamò in aiuto il sovrano di un popolo germanico convertitosi al cristianesimo: Pipino, re dei Franchi. Pipino sconfisse i Longobardi e consegnò al papa alcuni loro ex territori, che divennero il Patrimonio di San Pietro, primo nucleo del futuro Stato della Chiesa. Un’altra richiesta di aiuto arrivò nel 772 al nuovo re dei Franchi, Carlo (che sarà poi detto Magno), il quale scese in Italia, come difensore della Cristianità, distrusse il regno longobardo e lo annetté al regno franco. Nei suoi cinquanta anni di regno Carlo Magno sconfisse più volte gli Arabi di Spagna e riuscì a riunire sotto il suo scettro buona parte dei territori dell’ex Impero romano d’Occidente. La notte di Natale dell’anno 800 Carlo Magno venne incoronato dal papa Leone III imperatore del Sacro Romano Impero. Con questo atto Leone III accrebbe enormemente la propria autorità, affermò la propria autonomia dall’Impero bizantino e trovò in Carlo un protettore devoto e potente.
Per amministrare il suo impero (che aveva come capitale Aquisgrana, città dell’odierna Germania) Carlo divise il territorio in marche (zone di confine, ricche di fortificazioni) e contee, a capo delle quali mise dei nobili guerrieri di sua fiducia (marchesi e conti), con l’incarico di rappresentare la sua autorità. Essi erano suoi vassalli, cioè avevano stretto con lui un legame di vassallaggio. Durante una cerimonia, detta omaggio, si fissavano gli obblighi reciproci che duravano fino alla morte. Il vassallo aveva alcuni obblighi verso il suo signore: fedeltà, rispetto, obbedienza e aiuto militare in caso di necessità. In cambio egli riceveva protezione e una ricompensa concreta, il beneficio, che gli veniva dato con la cerimonia dell’investitura, che seguiva sempre il rito dell’omaggio. I vassalli avevano come beneficio terre nelle marche o nelle contee affidate loro, dove andavano a stabilirsi con la famiglia. Se i vassalli per amministrare le loro terre necessitavano di aiuto potevano nominare i valvassori e questi, a loro volta, i valvassini. La terra data in beneficio successivamente venne detta feudo (dal latino feudum, cioè bestiame, poi terra) e feudatario fu chiamato il vassallo che lo riceveva.
Per assicurarsi che i vassalli agissero secondo le sue direttive, Carlo Magno istituì i missi dominici (ambasciatori del signore, cioè del sovrano). Questi erano una specie di ispettori che dovevano controllare che i vassalli riscuotessero i giusti tributi, amministrassero correttamente la giustizia, non approfittassero del loro ruolo per sfruttare la popolazione. I missi erano molto importanti per l’unità dell’impero, in quanto assicuravano il collegamento diretto tra il popolo e l’imperatore.
Dal punto di vista amministrativo Carlo Magno si impegnò a risollevare la situazione economica del suo impero perfezionando il sistema curtense, fondato su un particolare tipo di azienda agricola che era chiamata corte. Ogni corte era divisa nella pars domìnica, riservata al padrone del feudo, e nella pars massarìcia, affidata ai contadini in cambio della consegna di parte del raccolto e di alcune giornate di lavoro da svolgere nella pars domìnica (le corvées). Ogni corte era autosufficiente, ma oltre all’autoconsumo nell’Alto Medioevo vi erano anche intensi rapporti commerciali tra l’Italia, l’Europa settentrionale e l’Oriente.
Dopo la morte di Carlo Magno questa organizzazione cominciò a vacillare, poiché tra i successori scoppiarono contese per la corona imperiale. Una volta morto il figlio di Carlo, Ludovico il Pio, i figli di quest’ultimo giunsero a un accordo nell’843 con il trattato di Verdun, che divise l’impero in tre parti: la Francia, data a Carlo il Calvo, la Germania, affidata a Ludovico il Germanico e la
Lotaringia (che comprendeva anche l’Italia settentrionale), assegnata a Lotario, il primogenito, a cui spettò anche la corona imperiale.
Nella lotta per il potere tra i discendenti di Carlo Magno i vassalli franchi diedero il loro appoggio alternativamente ai vari contendenti, con lo scopo di approfittare delle lotte interne per acquisire maggiore autonomia, finché riuscirono a imporre il principio dell’ereditarietà dei feudi (con il Capitolare di Quierzy del 877). In questo modo i vassalli non avevano alcun obbligo nei confronti del sovrano e i feudi divenivano possedimenti perpetui delle loro famiglie.
La divisione dell’Impero in tre regni favorì la nascita delle tre principali nazioni europee dell’Alto Medioevo: tedesca, francese e italiana. Ognuna di esse era caratterizzata da una lingua volgare (in Italia e Francia derivata dal latino). Il latino restò invece per molti secoli la lingua ufficiale comune a tutte le popolazioni europee, usata dalle persone colte, dai personaggi politici e dal clero (cioè dagli uomini di Chiesa).
La frammentazione dell’Impero carolingio impedì agli Europei di contrastare la conquista araba della Sicilia, conclusasi nel 902, grazie alla quale furono introdotte nell’isola numerose innovazioni tecniche e culturali. Tra il nono e l’undicesimo secolo le coste del Mediterraneo subirono le incursioni dei Saraceni, mentre l’Europa centrale fu invasa dagli Ungari (o Magiari), che si stanziarono definitivamente nell’odierna Ungheria. L’Europa settentrionale fu invece occupata dai Vichinghi, che raggiunsero anche l’Islanda e la Groenlandia. In Russia essi fondarono il Regno di Kiev, mentre furono chiamati Normanni (uomini del Nord) i Vichinghi che si erano stabiliti nel Nord della Francia. Altre tribù nomadi di origine slava, infine, costituirono la Bulgaria e il Regno di Polonia.
Sotto la guida di Guglielmo il Conquistatore nel 1066 i Normanni sconfissero i Sassoni nella battaglia di Hastings e occuparono l’Inghilterra. Il condottiero normanno fondò uno stato basato sul sistema feudale, donando una parte delle terre ai vassalli in cambio dell’obbligo di fornirgli cavalieri armati in caso di guerra, ma limitò la loro autonomia e mantenne gran parte dei territori sotto il suo diretto controllo. Stabilì inoltre il pagamento delle tasse in base ai beni che ogni suddito possedeva.
Nell’undicesimo secolo i Normanni guidati da Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavilla occuparono l’Italia meridionale, cacciando i Bizantini e gli Arabi. Ruggero II fondò il Regno di Sicilia, che organizzò intorno a un forte potere centrale.
L’espansione dei Normanni nel Nord della Francia provocò la caduta dell’ultimo re carolingio, Carlo il Grosso. Dopo un secolo di lotte tra i feudatari, nel 987 salì al trono Ugo Capeto, fondatore della dinastia capetingia. Nel 936 in Germania divenne re e imperatore del Sacro Romano Impero di nazione germanica (che aveva inglobato la Lotaringia) Ottone I di Sassonia, che limitò il potere dei vassalli affidando gran parte delle terre ai vescovi-conti da lui stesso nominati (la mancanza di eredi dei vescovi-conti, dovuta al fatto che i membri del clero dovevano osservare il celibato, garantiva il ritorno delle terre in mano al re). Nel 962 Ottone, con il Privilegio ottoniano, proclamò il diritto imperiale di intervenire sulla nomina dei nuovi papi, stabilendo così la supremazia dell’autorità imperiale su quella papale.
A differenza delle altre principali nazioni europee, nell’undicesimo secolo l’Italia era ancora divisa in tre zone: il settentrione, denominato Regno d’Italia, era stato riassorbito nel Sacro Romano Impero di nazione germanica; l’Italia centrale apparteneva alla Chiesa di Roma e quella meridionale alla dinastia normanna.
La società nell’epoca feudale era distinta in tre gruppi sociali: la nobiltà guerriera, il clero e i lavoratori. Secondo la mentalità dell’epoca ogni gruppo si differenziava per i compiti che svolgeva nell’ambito della società. Ai nobili era riconosciuto il compito di dedicarsi all’uso delle armi e di combattere in difesa di tutta la popolazione. Il clero doveva pregare e si doveva impegnare negli offici divini e nella guida spirituale di tutti gli individui per condurli alla salvezza. Gli altri, soprattutto
contadini e artigiani, avevano il compito di lavorare per produrre tutto ciò che serviva per la sopravvivenza sia loro sia dei nobili e del clero.
I feudatari vivevano nei castelli, costruzioni fortificate (inizialmente in legno, poi in pietra), in cui risiedevano con la loro famiglia, i servi e i cavalieri armati per difendersi dagli assalti nemici.
Combattere era l’attività principale della nobiltà, che anche quando non era impegnata in guerra si dedicava alla caccia e ai tornei con i quali si manteneva in esercizio. Con la morte del feudatario tutti i beni venivano ereditati dal figlio primogenito, i figli minori (cadetti) erano costretti o a divenire ecclesiastici o a entrare al servizio di qualche potente. Molto spesso i guerrieri e soprattutto i cadetti si abbandonavano ad atti di violenza anche contro la popolazione indifesa, con un comportamento più volte condannato dalla Chiesa, che intervenne istituendo l’ordine della cavalleria. I guerrieri che ne entravano a far parte si impegnavano a usare le armi solo per nobili scopi, come la difesa dei deboli e la lotta contro gli infedeli.
Spesso potenti signori e gli stessi sovrani donavano terre e beni a chiese e monasteri. Alla Chiesa era affidata anche l’istruzione; le scuole presso i monasteri e le chiese cittadine erano le uniche organizzazioni in grado di istruire monaci e chierici e qualche figlio delle famiglie nobili.
In ogni feudo vi era una chiesa parrocchiale, che costituiva il centro della vita delle comunità contadine: al suo interno la popolazione assisteva alla Messa e sul suo sagrato si riuniva per le celebrazioni e le feste. Il parroco era mantenuto dalle decime dei prodotti di ogni parrocchiano. Le parrocchie erano raggruppate in aree più vaste, chiamate diòcesi, ciascuna guidata da un vescovo, che aveva la propria sede nella cattedrale della città. Al tempo di Ottone I di Sassonia i vescovi divennero veri e propri vassalli del re, occupandosi come feudatari anche di affari di governo.
La nomina dei vescovi-conti provocò l’estendersi di un notevole malcostume tra il clero. Vescovi, abati e parroci erano spesso più interessati ai divertimenti e alla ricchezza che alla guida spirituale delle anime. Molti uomini di chiesa, nonostante i divieti, si davano al concubinato (convivevano con donne) e alla simonia (vendevano cioè le cariche ecclesiastiche al migliore offerente). Per frenare la corruzione morale della Chiesa i monaci di Cluny, in Francia, avviarono un grande movimento di riforma; condannarono i preti che non rispettavano il celibato e coloro che facevano commercio delle cariche ecclesiastiche. Attaccarono inoltre il Privilegio ottoniano e attribuirono al papa il potere temporale, ovvero il potere politico in aggiunta a quello spirituale su tutti i regni cristiani.
Con l’elezione del monaco cluniacense Ildebrando di Soana, che divenne papa con il nome di Gregorio VII nel 1075, iniziò la cosiddetta lotta per le investiture. Gregorio VII con il Dictatus papae ribadì che spettava al papa la nomina dei vescovi e stabilì che il pontefice poteva giudicare e deporre i sovrani che non agivano secondo i principi cristiani. Con questo si sosteneva l’ideale teocratico, cioè il principio della superiorità del potere del papa su quello dell’imperatore. L’imperatore Enrico IV convocò un’assemblea di vescovi-conti tedeschi per deporre il papa, ma Gregorio VII rispose con la scomunica dell’imperatore (se un sovrano veniva scomunicato i sudditi non erano più tenuti a obbedirgli). Enrico IV venne così a trovarsi privo di autorità in un periodo in cui già era in lotta con i grandi feudatari, che rivendicavano maggiore autonomia. Ritenne perciò molto più utile scendere a Canossa, in Emilia Romagna, nel castello della contessa Matilde, per ottenere il perdono papale. All’imperatore venne tolta la scomunica, ma lo scontro tra Chiesa e Impero durò ancora per qualche decennio, finché nel 1122 il papa Callisto II e l’imperatore Enrico V giunsero a un accordo con il Concordato di Worms: al papa sarebbe spettata l’investitura religiosa dei vescovi, all’imperatore quella politica; la prima avrebbe preceduto quella politica in Italia, in Germania ci sarebbe stata prima l’investitura feudale da parte dell’imperatore, poi la consacrazione religiosa.
Dopo l’anno Mille ci fu in Europa una forte ripresa economica, dovuta a numerosi fattori: la fine delle invasioni, la rinnovata fiducia nel futuro (dato che con l’anno Mille non si era verificata la temuta fine del mondo), i favorevoli mutamenti climatici, l’introduzione di nuove tecniche agricole e le grandi opere di dissodamento dei terreni organizzate dai feudatari. La maggiore quantità di cibo a disposizione e la conclusione delle distruttive invasioni barbariche determinarono una sensibile crescita demografica, che si tradusse in una maggiore disponibilità di braccia per coltivare le
enormi estensioni di terreno lasciate incolte dopo la caduta dell’Impero romano. La riconquista delle terre incolte fu finanziata dai feudatari che desideravano ricavare maggiori guadagni dallo sfruttamento delle terre presenti nei loro feudi. In tutte le regioni d’Europa masse di contadini si spostarono dai loro villaggi per abbattere foreste, prosciugare paludi, costruire canali allo scopo di ricavare nuovi campi coltivabili. L’aumento della produzione agricola, dovuto all’ampliamento delle aree coltivabili, fu favorito anche dalla diffusione di alcune importanti innovazioni tecnologiche. Al posto del falcetto venne sempre più usato un nuovo tipo di falce, dal manico lungo, che facilitava e rendeva più veloce la mietitura.
L’aratro in legno a piolo venne sostituito dall’aratro in ferro munito di un vomere ricurvo (una grande lama) in grado di incidere in profondità le zolle e di ribaltarle. Ai cavalli si applicò, oltre alla ferratura degli zoccoli, che rendeva meno frequenti le azzoppature, il collare a spalla, che risolse il problema della strozzatura dei cavalli durante il lavoro. Grazie a questi accorgimenti il cavallo, più veloce e potente del bue, poté sostituire sempre più il bue nel traino degli aratri. Con l’introduzione dei mulini l’energia prodotta dal vento e dall’acqua venne utilizzata per il funzionamento delle macchine agricole al posto della forza animale. Solo con la tecnica della rotazione triennale dei campi, però, si realizzò una completa rivoluzione agraria che fece aumentare in modo considerevole la produzione e la popolazione. In precedenza i campi erano divisi in due metà, una veniva seminata e l’altra veniva lasciata a riposo, per non fare impoverire troppo il terreno; l’anno successivo si faceva l’inverso. Con la rotazione triennale i terreni vennero divisi in tre parti: nella prima si seminavano in primavera orzo, avena o legumi, nella seconda venivano seminati in autunno frumento e segale, mentre la terza veniva lasciata a riposo per la crescita di erba spontanea (maggese). Ogni anno la coltivazione si spostava nella parte adiacente. Questo sistema aggiungeva al vantaggio di rigenerare il terreno in tempi più brevi quello di avere una superficie produttiva pari a due terzi del campo invece che alla metà. La possibilità di avere due raccolti all’anno allontanò il timore della carestia; la diversificazione delle colture, inoltre, portò a una dieta alimentare più ricca e molto più equilibrata, grazie alla quale migliorarono notevolmente le condizioni di vita della popolazione.
L’ampliamento delle terre coltivabili determinò anche un cambiamento nel rapporto tra feudatari e contadini. I feudatari si resero conto che era più redditizio cedere in affitto piccoli terreni a famiglie di contadini, piuttosto che tenerli come schiavi e abolirono quindi la servitù della gleba. Nell’Europa settentrionale si diffuse il sistema dell’allòdio, cioè la cessione di piccoli poderi in cambio di un affitto. In Italia si ricorse invece alla mezzadria, che consisteva nell’assegnazione di un campo in cambio della metà dei prodotti annuali.
Intorno all’anno Mille l’aumento della produzione agricola e la ripresa dell’allevamento diedero un forte impulso alle attività commerciali. Le merci più vendute erano il grano, il sale, il vino, la lana e il cotone, insieme agli schiavi, che erano molto richiesti dai paesi islamici. Le prime città ad aprirsi ai traffici con l’Oriente furono le Repubbliche marinare italiane - Amalfi, Pisa, Genova e Venezia - e quelle della Lega, detta Hansa, che riuniva alcune grandi città del Nord Europa, che si amministravano autonomamente rispetto all’autorità imperiale.
In Oriente il commercio seguì la cosiddetta Via della seta, grazie anche al lungo periodo di pace imposto da Gengis Khan, capo dei Mongoli, che aveva unificato in un vasto regno quasi tutta l’Asia.
In Europa nei luoghi in cui i mercanti si incontravano più frequentemente (le Fiandre; la regione della Champagne, in Francia) sorsero le fiere. Vennero introdotte nuovissime tecniche finanziarie, come le lettere di cambio (antenate dei moderni assegni), il prestito a interesse, le assicurazioni. I cambiavalute fecero la comparsa in ogni mercato cittadino con la loro tavola mobile, il banco, su cui facevano i conti. Da questo nome derivò loro l’appellativo di banchieri.
La ripresa delle attività commerciali favorì la rinascita dell’artigianato cittadino. Le manifatture tessili si svilupparono soprattutto in Italia e nelle Fiandre; altri settori produttivi furono quelli della carta, dell’industria navale, della metallurgia, dell’oreficeria, del vetro e delle ceramiche artistiche. Gli artigiani, chiamati maestri, erano aiutati nelle botteghe da giovani apprendisti e facevano parte delle corporazioni di arti e mestieri (chiamate Gilde in Germania). Queste associazioni di categoria tutelavano gli interessi dei propri membri, fissando i prezzi di vendita e i salari dei lavoratori, controllando la qualità delle merci e assicurando mutua assistenza ai soci. Tra le Arti
maggiori (quelle più importanti) vi erano le associazioni dei banchieri, dei pellicciai, degli orefici, dei medici e dei giuristi; tra le Arti minori vi erano quelle dei calzolai, dei fabbri, dei fornai e dei falegnami. Grazie al loro peso economico alcune corporazioni erano in grado di influenzare anche le scelte politiche delle autorità cittadine.
Le attività artigianali e mercantili favorirono l’espansione delle città, nelle quali sorsero sedi di botteghe e di magazzini pieni di prodotti preziosi. Queste zone della città, chiamate borghi, furono cinte di mura: i loro abitanti furono chiamati borghesi. In varie città europee, per difendere i loro interessi dalle interferenze del padrone del feudo in cui si trovavano, i borghesi si unirono e ottennero dal feudatario una serie di libertà in campo economico e politico. Nacquero così i primi Comuni medievali. Con il tempo la popolazione cittadina si divise in due categorie: i magnati, rappresentati dai mercanti e dagli artigiani più ricchi, e il popolo, costituito da piccoli commercianti, artigiani e salariati. I magnati, grazie al loro potere economico, riuscirono a occupare le cariche politiche più importanti delle città, a svantaggio del popolo. Nei Comuni spesso scoppiavano rivalità e lotte armate tra opposte fazioni di cittadini. Quando non si riusciva a frenare queste lotte si nominava un podestà, scelto solitamente all’esterno del Comune affinché governasse con imparzialità. Nonostante l’intervento dei podestà, all’interno dei Comuni continuarono le lotte: ecco perché si passò gradualmente alla Signoria.
La crescita delle attività mercantili favorì la diffusione della cultura, che non fu più riservata quasi esclusivamente ai membri del clero, come nell’Alto Medioevo. L’esigenza di una più accurata preparazione fece sorgere le prime università.
Nel Medioevo il sentimento religioso aveva un ruolo fondamentale nella vita delle persone, che attribuivano grande valore al culto dei santi e delle reliquie. Il terrore della dannazione eterna condizionava la vita quotidiana e per assicurarsi la remissione dei peccati si compivano pellegrinaggi nei Luoghi santi.
Nel corso dell’undicesimo secolo la Chiesa di Roma perse la propria autorità religiosa in parte del mondo cristiano. Per motivi religiosi e politici si era infatti creata una divisione tra i cattolici della Chiesa di Roma e gli ortodossi della Chiesa di Costantinopoli. Questa divisione portò nel 1054 allo Scisma d’Oriente. Per recuperare prestigio il Papato incitò i sovrani spagnoli a ricacciare gli Arabi musulmani dalla Spagna con una guerra di riconquista. Per quanto riguarda l’Oriente invece, quando i Turchi Selgiuchidi occuparono Gerusalemme, papa Urbano II indisse le Crociate per liberare il Santo Sepolcro dagli Infedeli, promettendo a ogni partecipante la remissione dei peccati. In Europa la carestia spinse grandi masse di contadini a partecipare alla crociata popolare guidata da Pietro l’Eremita nel 1096 per ricercare terre fertili in Oriente, ma la spedizione fallì. Alle Crociate, che tra il 1096 e il 1270 furono complessivamente otto, parteciparono nobili, uomini di chiesa e re, soprattutto per procurarsi ricchezze e conquistare nuovi territori dove trapiantare il sistema feudale.
Con la prima Crociata, guidata da Goffredo di Buglione, nel 1099 Gerusalemme venne conquistata e furono fondati i Regni latino-cristiani d’Oriente, che resistettero però solo fino al 1144. Le altre Crociate furono nel complesso un fallimento. Esse si rivelarono però un grande affare soprattutto per le città marinare italiane, che misero a disposizione le loro flotte e conquistarono il dominio del Mediterraneo. Nel corso del ‘200 Venezia divenne la città egemone e riuscì a dirottare una crociata contro Costantinopoli: i Veneziani saccheggiarono la capitale bizantina e si sostituirono a essa nel dominio politico e commerciale sulle coste del Mediterraneo orientale.
In Occidente le conseguenze delle Crociate furono la disgregazione dell’organizzazione feudale e lo sviluppo di Comuni indipendenti, l’introduzione di nuovi prodotti (come lo zucchero di canna e l’indaco, una tinta per stoffe) e lo sviluppo delle conoscenze matematiche e mediche grazie agli scambi culturali con il mondo arabo.
Nel dodicesimo secolo l’Impero germanico era dilaniato dalla lotta per la corona imperiale tra la casa di Svevia, sostenuta dai Ghibellini, e la casa di Baviera, appoggiata dai Guelfi. Nel 1152 salì al trono Federico I di Svevia, detto il Barbarossa. Egli mirava a riportare sotto l’autorità imperiale i liberi Comuni dell’Italia settentrionale e a ripristinare il Privilegio ottoniano, riaffermando la supremazia dell’imperatore sul papa. I piani di Federico Barbarossa fallirono per la resistenza opposta dai Comuni italiani, che rifiutarono di sottomettersi all’imperatore. Dopo aver subito la
distruzione di Crema e di Milano a opera delle truppe del Barbarossa, essi si coalizzarono nella Lega lombarda, appoggiata dal papa Alessandro III, e nel 1176 vinsero la decisiva battaglia di Legnano. Con la pace di Costanza del 1183 l’imperatore dovette riconoscere l’autonomia dei Comuni italiani. Alla sua morte salì al trono il figlio, Enrico VI, il quale, per estendere i territori svevi e ripristinare il dominio imperiale in Italia, era stato fatto sposare con l’erede del Regno Normanno dell’Italia meridionale, Costanza d’Altavilla. Enrico VI morì in giovane età e Costanza, per difendere il giovane re dalle lotte tra guelfi e ghibellini (che in Italia sostenevano rispettivamente il papa e l’imperatore), pose il figlio Federico II sotto la protezione del papa Innocenzo III, il quale era deciso a riaffermare la superiorità del Papato sull’Impero e ad annientare le eresie che si stavano diffondendo in Europa. Questi movimenti esprimevano l’esigenza di un ritorno alla purezza evangelica e al dialogo diretto con Dio. Nel 1208 il papa bandì la Crociata contro gli Albigesi, che si risolse con il massacro degli eretici che vivevano nel Sud della Francia. La stessa sorte toccò agli altri movimenti. Nel 1231 fu istituito il Tribunale dell’Inquisizione, in cui venivano processate e torturate tutte le persone sospettate di eresia o di stregoneria.
I movimenti che contestavano la Chiesa erano espressione di un’esigenza molto diffusa di rinnovamento. Per ripristinare il prestigio del cattolicesimo Innocenzo III promosse una riforma interna del clero, appoggiando due Ordini mendicanti che si impegnavano a vivere nella povertà. Nel 1210 riconobbe l’Ordine francescano, fondato da San Francesco d’Assisi, che si dedicava alla cura dei poveri e dei malati; sei anni dopo nacque l’Ordine domenicano, fondato da San Domenico di Guzman, che sosteneva la dottrina della Chiesa con la predicazione e la preparazione culturale del clero.
Mentre il papa lottava per ricostruire il prestigio della Chiesa, Federico II diventò maggiorenne e fu quindi libero dalla tutela papale. Come imperatore Federico II trascurò la Germania a favore dell’Italia meridionale, che durante il suo regno conobbe un periodo di grande splendore culturale (in Sicilia nacque tra l’altro la prima scuola poetica italiana). Egli si dedicò inoltre a sottomettere i Comuni, riprendendo l’antico progetto del nonno, Federico Barbarossa. Molti Comuni si ricostituirono in lega, mentre altri appoggiarono l’imperatore, facendo rinascere le rivalità tra guelfi e ghibellini. Le prime fasi della lotta furono favorevoli a Federico, ma poi le difficoltà aumentarono, anche a causa della scomunica ricevuta dal papa Innocenzo IV. All’improvviso Federico II morì, nel 1250, e gli successe il figlio Manfredi. Il papa chiamò in aiuto il fratello del re di Francia, Carlo d’Angiò, offrendogli il Regno di Sicilia. Nel 1266 i Francesi sconfissero e uccisero Manfredi a Benevento; due anni dopo giustiziarono anche l’erede Corradino, con il quale la dinastia sveva si estinse.
Il duro dominio francese in Sicilia provocò una rivolta, appoggiata dagli Aragonesi spagnoli. La Guerra del Vespro che ne derivò si concluse nel 1302 con la pace di Caltabellotta: il Sud venne spartito tra gli Aragonesi, che ottennero la Sicilia, e gli Angioini, ai quali rimase il resto dell’Italia meridionale.
Nel periodo compreso tra il 1300 e il 1500 nacquero le grandi monarchie nazionali di Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo, mentre il papato e l’Impero germanico persero autorità e potere. La Chiesa si scontrò con i sovrani francesi e inglesi, che riuscirono a liberarsi dal controllo papale: essi decisero di amministrarsi autonomamente imponendo leggi e tributi, oltre che alla propria popolazione, anche al clero che risiedeva nei loro Stati. Dal 1305 al 1377 il re francese spostò la sede pontificia ad Avignone (nella Francia meridionale) ed elesse papi obbedienti al suo volere.
Contemporaneamente in Germania l’imperatore perse potere e l’Impero si divise senza più influenzare il resto dell’Europa.
La borghesia sovvenzionò con prestiti le guerre dei sovrani contro i feudatari. In seguito a queste lotte le monarchie estesero il proprio potere e sorsero così grandi Stati nazionali. La nobiltà feudale decadde e si trasformò in nobiltà di corte alle dipendenze dei sovrani.
Il primo Stato nazionale europeo fu l’Inghilterra, dove nacque un nuovo organismo politico che affiancò e limitò i privilegi del re: il parlamento, con la Camera dei Lords (nobiltà) e quella dei Comuni (borghesia). Nobili e borghesi ottennero con la Magna Charta Libertatum del 1215 (primo esempio di carta costituzionale che limitava i poteri del re) il diritto a essere consultati quando si dovevano imporre nuove tasse e amministrare la giustizia.
Il re inglese, che possedeva feudi in terra francese, nel 1328 rivendicò addirittura la corona di Francia. Scoppiò così la Guerra dei Cento Anni, che si concluse con la cacciata degli Inglesi dalla Francia, anche grazie all’intervento di Giovanna d’Arco.
Nel 1453 crollò l’Impero Romano d’Oriente, che cadde in mano ai Turchi Ottomani.
Nel 1492 venne unificata la Spagna, con il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia.
In Italia vi fu il passaggio dal Comune alla Signoria.
Alcune famiglie nobili si impadronirono del potere e governarono le città, ingrandendo spesso il proprio territorio con guerre di conquista che portarono alla creazione degli Stati Regionali. I principali Stati Regionali intrapresero nella seconda metà del ‘300 una politica espansionistica che portò a una serie di guerre, guerre che venivano combattute assoldando le Compagnie di ventura (eserciti formati da soldati mercenari). Queste ostilità si conclusero con la pace di Lodi (1454), che segnò il trionfo della politica dell’equilibrio voluta da Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze.
Il quadro politico dell’Italia, dopo la formazione delle Signorie, era il seguente:
Altre Signorie erano quelle dei Savoia in Piemonte, dei Gonzaga a Mantova, degli Scaligeri a Verona, degli Estensi a Ferrara.
Con il Rinascimento, il periodo che segue il Medioevo, si riscopre la dignità dell’uomo, che viene considerato signore e padrone dell’universo.
Questa nuova fiducia nelle capacità dell’uomo portò allo sviluppo della scienza e della tecnica.
Nel 1456 il tedesco Giovanni Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Nel corso del ‘500 si affermarono le armi da fuoco (sperimentate fin dal ‘300). Esse si rivelarono fondamentali soprattutto negli assedi e ciò ebbe come conseguenza la modifica dell’architettura delle fortificazioni. L’uso delle armi da fuoco elevò ulteriormente i costi della guerra (soprattutto per il numero delle vittime).
La scoperta (o , per meglio dire, conquista) dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 segna per gli storici la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna. Al viaggio di Colombo ne seguirono molti altri, come quelli di Vasco de Gama (che circumnavigando l’Africa giunse in India), Amerigo Vespucci (che diede il nome al continente americano), Ferdinando Magellano (che compì il primo giro del mondo), Bartolomeo Diaz (che per primo superò il Capo di Buona Speranza). Questa attività di esplorazione era dovuta in parte a curiosità e a spirito di avventura, in parte al bisogno di oro dei sovrani europei finanziatori di queste imprese. Fin dal 1494 si definirono con un trattato le aree di sfruttamento dell’America Latina assegnate alla Spagna e al Portogallo, che avevano le flotte più attrezzate d’Europa. Mentre il Portogallo si limitò momentaneamente a occupare piccole zone del Brasile, dalla Spagna partirono i Conquistadores (capitanati da Cortés e Pizarro), avventurieri che si impadronirono di vasti territori dell’America centro-meridionale e sterminarono le popolazioni indigene degli Aztechi, degli Incas e dei Maya.
Il 1494 apre il periodo delle guerre italiane, che durò fino al 1559. Esso segnò per l’Italia l’inizio di una lunga fase di declino. In questi anni essa fu percorsa da eserciti stranieri, che fecero della penisola un campo di battaglia, mentre gli stati italiani non riuscirono a coalizzarsi e ad agire, preferendo allearsi ora con l’una, ora con l’altra potenza, pur di contrastare l’espansione dei propri rivali.
Episodi significativi di questa impotenza politica furono la breve amministrazione repubblicana di Firenze sotto Gerolamo Savonarola e l’avventura di Cesare Borgia, che tentò senza fortuna di costituire uno stato unitario nell’Italia centrale.
Nel 1494 il re di Francia Carlo VIII scese in Italia e cercò inutilmente di riprendersi il Regno di Napoli, passato dagli Angioini francesi agli Aragonesi di Spagna.
Nel 1519 Carlo d’Asburgo divenne imperatore con il nome di Carlo V. Egli ereditò dai nonni materni (i re di Castiglia e di Aragona) la Spagna, la Sicilia, la Sardegna, Napoli e i possedimenti spagnoli in terra d’Africa e d’America; dal nonno paterno (l’imperatore Massimiliano d’Asburgo) i Paesi Bassi, la Germania e l’Austria con la corona imperiale. Su un impero tanto vasto, era solito dire Carlo V, “non tramontava mai il sole”.
Il re di Francia Francesco I si sentiva accerchiato dal grande impero di Carlo V e intraprese con lui una serie di guerre (alcune delle quali combattute in Italia).
Dopo la morte di Francesco I, Carlo V divise l’impero in due parti: quella spagnola passò al figlio
Filippo II, quella austriaca al fratello Ferdinando.
Ciò nonostante le guerre tra gli Asburgo e i Francesi continuarono ancora fino al 1559, anno del trattato di Cateau-Cambrésis (pronuncia: Catò Cambresì), che, con la pace, portò la supremazia spagnola in Italia (gli Spagnoli infatti dominavano sul Milanese, sul Regno di Napoli, sulla Sicilia e sulla Sardegna).
Nel ‘500 la Chiesa cattolica entrò in una crisi profonda. Già da tempo molti condannavano la corruzione del clero. Quando il Papa Leone X promosse in Germania una vendita di indulgenze3 per finanziare i lavori di costruzione della basilica di S. Pietro, il monaco agostiniano Martin Lutero protestò vivacemente, esponendo nella città tedesca di Wittemberg un manifesto contenente 95 tesi (cioè brevi affermazioni) in cui condannava la vendita delle indulgenze. La stampa in pochi anni permise una larga diffusione delle tesi luterane. Intanto Lutero continuò la propria opera di riforma preparando una nuova dottrina cristiana, basata a) sulla giustificazione per fede (solo la fede può salvare il cristiano, non le opere - es. il “comprare” indulgenze); b) sulla libera interpretazione delle Sacre Scritture; c) sul sacerdozio universale di tutti i credenti (ogni uomo di fede può essere considerato un sacerdote).
Nacque così il rito luterano o protestante, che aboliva tutti i Sacramenti tranne il Battesimo e l’Eucaristia, sopprimeva il Sacerdozio, semplificava la Messa, aboliva i dogmi (cioè le “verità” che la Chiesa riteneva indiscutibili), tra cui quello dell’esistenza del Purgatorio, dal quale derivava la vendita delle indulgenze per i defunti.
Leone X scomunicò Lutero e l’imperatore Carlo V lo dichiarò eretico. Ma alcuni Principi Elettori tedeschi, affascinati dalle idee di Lutero, ma anche interessati a togliere alla Chiesa cattolica le vaste proprietà che possedeva in Germania, protessero il frate, che si mise a lavorare alla traduzione della Bibbia dal latino al tedesco.
Nel 1534 il Re inglese Enrico VIII (approfittando del fatto che il Papa non gli aveva concesso il divorzio da Caterina d’Aragona) si staccò dalla Chiesa cattolica, fondando la Chiesa anglicana, di cui si pose a capo. In questo modo Enrico abolì i privilegi di cui godeva il clero e si impossessò dei beni della Chiesa di Roma in terra inglese.
In pochi anni il dilagare della Riforma spaccò l’Europa in due e sottrasse molti stati al dominio della Chiesa cattolica. Questa, tuttavia, riuscì a reagire subito e a rafforzare la propria autorità nei paesi che erano rimasti cattolici. La prima mossa fu l’istituzione di nuovi ordini monastici (come i Gesuiti) per contribuire alla diffusione del Vangelo e per combattere le eresie e la corruzione. La seconda fu la convocazione del Concilio di Trento (1545-1563), che procedette alla Controriforma, cercando di moralizzare i costumi della Chiesa e ribadendo i dogmi che Lutero aveva contestato. Per combattere le eresie il Concilio di Trento creò l’Indice dei libri proibiti e ridiede vigore al Tribunale dell’Inquisizione.
La lotta tra protestanti e cattolici coinvolse le popolazioni di stati quali la Germania e la Francia, dando luogo a stragi sanguinose.
3 Le indulgenze erano documenti con il sigillo papale che contenevano l’assoluzione di tutti i peccati.
In mezzo a tanti orrori, l’Europa di quegli anni visse anche un momento glorioso che contribuì a ridare al mondo cattolico aggressività e fiducia in se stesso: la vittoria delle forze cristiane contro i Turchi nella battaglia navale di Lepanto (1571).
La monarchia inglese conobbe tra il Cinquecento e il Seicento un periodo di grande splendore. L’Inghilterra, infatti, approfittando del declino delle manifatture italiane, riuscì a imporre sui mercati europei i propri manufatti di lana. Essa inoltre, trasformando in campi chiusi i campi aperti di proprietà comune dei villaggi aumentò la differenziazione delle colture e fece crescere la produzione di grano (che poté in parte essere esportato); iniziò a utilizzare il ferro e il carbone, di cui era ricca, per la costruzione di armi e il rifornimento delle proprie officine; si avviò infine a diventare una grande potenza marittima.
La storia della monarchia inglese in questo periodo è strettamente collegata a quella della sua assemblea rappresentativa: il parlamento.
Il parlamento inglese, nato nel Medioevo per limitare i poteri del re, era formato da due Camere: quella dei Lords (gli aristocratici) e quella dei Comuni (che ospitava i deputati delle città e delle campagne). Il parlamento era dominato dai Lords e i Comuni avevano ben poca importanza. Tuttavia esso era comunque sensibile agli interessi del Paese. Il parlamento dipendeva dal re, perché solo il re poteva convocarlo. Il re, però, dipendeva a sua volta dal parlamento, perché in Inghilterra esso aveva il diritto di bocciare le sue proposte (come ad es. l’introduzione di tasse straordinarie).
I Tudor, che regnarono tra il 1485 e il 1603, furono la dinastia che maggiormente potenziò la vita parlamentare, creando un vasto consenso tra la popolazione.
Tra il 1558 e il 1603 regnò Elisabetta I, figlia di Enrico VIII, il fondatore della Chiesa anglicana. Questo periodo fu chiamato Età elisabettiana e vide nascere le basi del futuro primato inglese in Europa.
Elisabetta capì che le fortune inglesi sarebbero state giocate sui mari. Potenziò la flotta, iniziò lo sfruttamento delle colonie americane e batté la concorrenza spagnola e portoghese servendosi anche di corsari come Francis Drake.
Filippo II di Spagna tentò di bloccare l’espansione marinara inglese con uno sbarco nell’isola, deciso anche per vendicare la condanna a morte di Maria Stuart, la cattolica regina di Scozia; ma l’Invincibile Armada fu sconfitta e questo fece aumentare il prestigio di Elisabetta e della flotta inglese.
Dopo la morte di Elisabetta il trono passò agli Stuart, cattolici e sostenitori della monarchia assoluta (cioè dei pieni poteri del re, contro il parlamento).
Sotto Carlo I esplose una guerra civile tra i sostenitori del re e i sostenitori della supremazia del parlamento, guidati da Oliver Cromwell. Le forze favorevoli al parlamento vinsero, proclamarono la repubblica e condannarono a morte il re. Dopo un breve periodo di “dittatura” personale di Cromwell, gli Stuart tornarono sul trono, ma furono definitivamente cacciati nel 1688 e sostituiti con una dinastia straniera. La vittoria definitiva del parlamento fu portata a termine con il Bill of Right (“carta, dichiarazione dei diritti”), che attribuiva al parlamento tutte le decisioni politiche fondamentali. A queste ultime vicende inglesi si diede il nome di Gloriosa Rivoluzione.
Mentre l'Inghilterra si avviava verso l'affermazione del sistema parlamentare, la Francia procedeva verso un opposto traguardo: l'assolutismo, cioè l'incondizionato potere del re senza alcun controllo parlamentare. Il parlamento francese era nato anch'esso nei primissimi anni del Trecento, ed era un'assemblea nella quale sedevano i rappresentanti del clero (Primo stato), della nobiltà (Secondo stato) e infine del Terzo stato, al quale appartenevano i rappresentanti della borghesia. Per questa ragione il parlamento era stato chiamato Stati generali, cioè rappresentanza di tutte le categorie sociali del paese. Ognuna di esse aveva diritto a esprimere un voto, e proprio perciò gli Stati generali erano un Parlamento aristocratico; in caso di dissenso, infatti, il Primo e il Secondo stato, che erano naturali alleati, avevano inevitabilmente la meglio sul voto isolato del Terzo stato. In Francia, però, il parlamento aveva un peso molto minore, rispetto a quello inglese. Il re infatti lo convocava raramente e tutte le decisioni importanti venivano prese dal Consiglio del re, formato da pochi ministri scelti tra i nobili di corte fedeli al sovrano.
Con Luigi XIII e i suoi ministri, Richelieu e Mazarino, ma soprattutto con Luigi XIV, detto il Re Sole, si affermò in Francia l’assolutismo.
Luigi XIV concentrò nella sua persona tutti i poteri politici, affermando che il potere di governare gli era stato attribuito direttamente da Dio. Il Re Sole applicò questa convinzione in ogni campo: nella religione perseguitò gli ugonotti (seguaci francesi di Calvino, un “riformatore” religioso svizzero) e poi con un editto li espulse dalla Francia; nella cultura praticò il Mecenatismo (proteggendo artisti e letterati), ma nello stesso tempo fece uso della censura. Trasformò quindi i nobili in cortigiani sottomessi e amministrò la riscossione delle tasse e l’ordine pubblico attraverso funzionari alle sue dipendenze.
Per arricchire le casse dello stato e sostenere la politica di grandezza di Luigi XIV, il suo ministro delle finanze Colbert avviò una politica di protezionismo sulle merci francesi, dando aiuti e sovvenzioni alle officine francesi e istituendo tariffe doganali molto alte in modo da scoraggiare l’importazione dei prodotti stranieri. Il programma di Colbert, tuttavia, ebbe effetti limitati, in primo luogo perché riguardò solo superficialmente il settore agricolo (che era ancora alla base dell’economia e della ricchezza delle nazioni), in secondo luogo perché enormi furono le spese che la Francia dovette sostenere a causa del coinvolgimento, voluto dal Re Sole, nella Guerra di Successione spagnola, scoppiata all’inizio del ‘700.
In Russia, tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, governò con potere assoluto lo zar Pietro il Grande. Ammiratore della cultura occidentale, che aveva conosciuto direttamente soggiornando a lungo in Europa, Pietro il Grande prese una serie di provvedimenti per far uscire la Russia dallo stato di arretratezza in cui si trovava (la Russia, infatti, era ancora ferma al feudalesimo e i contadini erano “servi della gleba”). Lo zar riformò l’amministrazione, creando un gruppo di funzionari fedeli alla corona e stipendiati dallo stato, fondò scuole che insegnassero ai figli dei benestanti la cultura occidentale, limitò il potere della Chiesa ortodossa, riorganizzò l’esercito e fece allestire una flotta.
La modernizzazione di Pietro il Grande però non toccò gli strati più bassi della popolazione urbana, né i contadini, che restarono “servi della gleba”; non ebbe inoltre profonde conseguenze, in quanto in Russia non esisteva una classe borghese abbastanza estesa da appoggiare le iniziative dello zar e farle durare nel tempo.
Nel XVII secolo la scienza occidentale, bloccatasi nel mondo antico, rinacque su basi del tutto nuove, dando inizio a una corsa che non si è ancora arrestata. Tali basi furono gettate da Galileo Galilei (1564-1642), fondatore del metodo sperimentale. Grazie ad esso e alla messa a punto di strumenti tecnici (come il cannocchiale e il telescopio) adatti all'osservazione e alla misurazione dei fenomeni, furono scoperte le prime leggi che regolano la natura. Tra le molte scoperte di Galileo, la più famosa è quella che riguarda la conferma sperimentale delle teorie di Copernico, il quale, contro la teoria geocentrica di Tolomeo, aveva dimostrato per via matematica che non la Terra, ma il Sole è al centro dell'universo (teoria eliocentrica). Ciò valse a Galileo la condanna da parte dell'Inquisizione nel 1633. Isaac Newton proseguì poi sulla via tracciata dal metodo sperimentale e scoprì la legge di gravitazione universale. Per tutto il secolo, altri studiosi misero a punto il linguaggio matematico, le leggi della geometria, nuovi sistemi di calcolo, nuovi strumenti scientifici (a un allievo di Galileo, Evangelista Torricelli, si deve l’invenzione del barometro, uno strumento per la misurazione della pressione atmosferica). I vantaggi della scienza non sfuggirono ai capi di Stato, che fondarono Accademie destinate a favorire la comunicazione tra scienziati. Ben presto questa grande attività teorica avrebbe dato frutti eccezionali sul piano tecnico. Ciò accadde quando, verso la fine del Seicento, le ricerche si concentrarono sul calore e vi riconobbero una fonte di energia alternativa a quella muscolare, dell'acqua e del vento.
La guerra di successione spagnola, che era scoppiata in quanto il re di Spagna era morto senza eredi diretti e che vide coinvolte la Francia e l’Austria, si concluse portando un Borbone sul trono di Spagna e segnò contemporaneamente la fine del predominio spagnolo in Italia. La Lombardia e il Regno di Napoli passarono infatti agli Asburgo d’Austria, mentre grazie alla Sicilia, che fu poi scambiata con la Sardegna, i Savoia assumevano per la prima volta il titolo di re.
Le ricerche scientifiche sul calore come fonte di energia trovarono la prima importante applicazione tecnica con la macchina a vapore di James Watt. Essa fu usata, all’inizio, per mettere in moto, con l’energia prodotta dal vapore, le pompe per aspirare acqua dalle miniere; in seguito venne utilizzata per fornire energia alle macchine tessili e questo diede l’avvio a quella che gli storici chiamano Rivoluzione industriale (cioè il passaggio dalla produzione artigianale all’industria).
Le macchine tessili erano in precedenza manovrate a mano o messe in moto dall’energia dell’acqua. Una volta mosse dal vapore, esse produssero quantità molto maggiori di tessuto, creando quindi un’offerta di stoffe a basso prezzo. Nello stesso tempo il fatto che molti contadini si fossero trasferiti nelle fabbriche, aveva creato anche una forte domanda di prodotti: merce a basso prezzo trovava così un numero sempre maggiore di compratori e ciò scatenò un meccanismo produttivo in rapida crescita. Iniziò allora il “capitalismo” (il capitale è formato nell’industria da macchinari, edifici, operai, merci e infine dal denaro per pagare gli uni e le altre e da quello che si ricava dalla vendita dei prodotti). Gli imprenditori cominciarono a investire il capitale per migliorare le attrezzature e costruire nuovi impianti, in modo da produrre sempre meglio e sempre di più. La maggiore produzione fece aumentare a sua volta il capitale e così via. Il nuovo tipo di produzione (non più singoli lavoranti ognuno nella propria casa, bensì decine di macchine riunite in una grande fabbrica) ebbe come conseguenza la divisione del lavoro: ogni operaio era addetto a una sola fase della produzione e non seguiva più l’intero ciclo, come l’artigiano, che produceva da sé l’intero oggetto. I salari degli operai all’inizio erano bassissimi, i bambini e le donne erano sottoposti a turni di lavoro massacranti ed erano inoltre sottopagati; il lavoro poteva essere perso da un momento all’altro, perché non c’erano leggi che lo regolamentavano e su tutto valevano sempre gli interessi dei padroni. All’inizio i lavoratori reagirono in modo disordinato, ma poi cominciarono a organizzarsi in leghe operaie, dalle quali sarebbero in seguito sorti i sindacati.
La Rivoluzione industriale decollò realmente quando l’energia del vapore fu applicata anche ai trasporti. Ciò accadde a partire dal 1829, quando George Stephenson costruì la prima locomotiva. Nello stesso periodo le macchine a vapore vennero applicate anche alle navi.
La Rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra e diede a questo paese un enorme vantaggio, rispetto al resto dell’Occidente. I motivi per i quali fu proprio l’Inghilterra a raggiungere per prima quel traguardo sono molteplici: l’Inghilterra era uno stato nazionale già da diversi secoli, aveva stabilità politica e un ceto borghese forte e attivo; possedeva in grandi quantità materie prime come ferro e carbone; aveva facilità di trasporti e grosse disponibilità di capitali accumulati con l’agricoltura e con il commercio (v. ciò che era avvenuto durante l’età elisabettiana). Dalla fine del ‘600, inoltre, aveva visto crescere fortemente la popolazione (poiché terminarono le epidemie di peste e inoltre la gente meno ricca poté nutrirsi a sufficienza grazie alle nuove coltivazioni della patata e del mais introdotte dall’America), e ciò ebbe come conseguenza una sempre maggiore domanda di prodotti.
Ciò che sul piano tecnico, sociale ed economico stava accadendo con la Rivoluzione industriale fu accompagnato da un grande movimento intellettuale che varcò i confini dell'Inghilterra, diffondendosi in tutta Europa (e poi anche in America), ma soprattutto in Francia. Questo movimento fu chiamato Illuminismo perché sosteneva l’importanza dei “lumi” della Ragione. Esso cioè affermava che l’uomo doveva affidarsi alla luce della Ragione e rifiutare tutto ciò che dalla Ragione non poteva essere spiegato, comprese, per alcuni filosofi, le religioni (alcuni illuministi negarono l’esistenza di Dio, altri accettarono la presenza di un essere supremo, che aveva dato all’uomo l’intelligenza per poter agire al meglio e per migliorare le proprie condizioni di vita). Proprio in considerazione del fatto che ogni uomo è dotato della Ragione, gli illuministi proposero una società basata sull’uguaglianza e sostennero gli ideali di libertà e tolleranza, contro ogni autoritarismo. Tra i principali illuministi francesi occorre ricordare Voltaire, Rousseau e Montesquieu, il quale teorizzò la separazione dei tre poteri - legislativo, esecutivo, giudiziario - che è alla base degli stati democratici odierni.
Alcuni sovrani accolsero il messaggio degli illuministi più moderati, attuando una politica riformista
volta in particolare a ridurre i privilegi del clero e dell’aristocrazia e a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Tra questi sovrani “illuminati” vi furono Federico II di Prussia (uno stato della Germania settentrionale), Maria Teresa d’Austria e Caterina II di Russia.
Il periodo fu caratterizzato anche da numerose guerre di successione, dalle quali trasse vantaggio soprattutto la Prussia alle spese dell’Austria. L’ultima di queste guerre, la Guerra dei Sette anni, ebbe conseguenze soprattutto oltreoceano, perché stabilì anche sui mari il primato inglese (già consolidato in campo commerciale e industriale).
Con la svolta storica prodotta dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione industriale si chiude l’era moderna e inizia l’era contemporanea.
Gli Europei avevano proceduto alla “conquista” dell’America convinti della superiorità dell’Europa sul resto del mondo (eurocentrismo). Questa convinzione aveva fatto sì che i Conquistadores ritenessero giusto e naturale impadronirsi delle terre d’oltreoceano e di tutte le loro risorse. Le popolazioni indigene erano state depredate delle ricchezze e in gran parte sterminate. I sopravvissuti, impiegati come schiavi nei campi e nelle miniere di metalli preziosi, morivano per la fatica o per le nuove malattie portate dagli Europei, contro cui non avevano sufficienti difese immunitarie.
Il colonialismo (lo sfruttamento di stati extraeuropei da parte di alcuni stati europei) portò con sé un fenomeno che nel Seicento e nel Settecento assunse dimensioni impressionanti: la tratta degli schiavi.
Il bisogno di schiavi era nato sin dalla metà del ‘500, quando Spagnoli e Portoghesi si erano accorti che gli Indios americani, decimati, come si è detto, dagli stenti e dalle malattie, non fornivano manodopera sufficiente per il lavoro nelle miniere e nelle piantagioni. Con il permesso dei rispettivi governi essi si rivolsero ai “negrieri”, uomini che per mestiere rapivano i neri d’Africa e li trasportavano sulle proprie navi in America come schiavi.
Verso la fine del Settecento la domanda di schiavi si estese anche alle piantagioni dell’America del Nord, dove gli Inglesi avevano scoperto la possibilità di coltivare il tabacco. Il flusso degli schiavi si diresse quindi verso l’America settentrionale e fu ancora più massiccio. Nel 1865, quando la schiavitù fu abolita, l’America ospitava ormai quattro milioni e mezzo di schiavi.
Sebbene la presenza di colonie europee in America, Africa e Asia risalga agli ultimi anni del Quattrocento, il fenomeno del colonialismo esplose nella seconda metà del Settecento. Dopo la Guerra dei Sette anni, infatti, l'Inghilterra acquistò un primato sui mari di tutto il mondo che le consentì di organizzare le sue basi commerciali fondando un vero e proprio sistema coloniale. Nonostante ciò, la sua storia coloniale registrò un grave scacco a causa della perdita delle sue tredici colonie americane. Gravemente ostacolate nel loro sviluppo economico (potevano commerciare solo con l'Inghilterra), esse si mantennero fedeli alla madrepatria finché tale svantaggio fu compensato dal vantaggio di essere sottoposte a tasse molto basse. L'aumento delle tasse, imposto dal Parlamento di Londra per coprire i costi della Guerra dei Sette anni e non compensato da altre concessioni, vi scatenò quindi proteste come quella del 1770, nota col nome di “massacro di Boston'', o come quella del 1773, causata dall'afflusso di tè indiano sottoposto a tassazione. La protesta sfociò nella Guerra d'indipendenza (1775-1783), le cui operazioni militari furono affidate al comando di George Washington. Mentre l'esercito dei volontari americani si organizzava faticosamente e Benjamin Franklin (l’inventore del parafulmine) si recava in Francia a sostenere la causa americana, le tredici colonie della costa orientale accettavano come nuova Costituzione della futura repubblica la Dichiarazione d'indipendenza, redatta in gran parte da Thomas Jefferson (il documento, ispirato ai principi dell’Illuminismo, sosteneva tra l’altro che “tutti gli uomini sono creati liberi e uguali”). L’intervento a fianco delle colonie prima della Francia e poi della Spagna, rivali dell’Inghilterra, portò alla sconfitta inglese e alla concessione nel 1783 dell’indipendenza alle colonie.
La Rivoluzione francese durò dieci anni (1789-1799). Gli storici la considerano l’evento che pone termine all’età moderna e fa iniziare l’età contemporanea, perché con il 1789 comincia il definitivo declino della nobiltà e l’ascesa politica della borghesia che, nonostante i successivi tentativi di restaurazione, arriverà gradualmente ad appropriarsi delle leve del potere.
La popolazione francese alla fine del ‘700 viveva per l’85% nelle campagne ed era formata in piccolissima parte da rappresentanti della nobiltà e del clero (meno del 10%) e in grandissima parte dal cosiddetto Terzo stato, che comprendeva la borghesia (medici, avvocati, banchieri, commercianti, proprietari terrieri non nobili, artigiani, ecc.) e i meno abbienti.
La crisi economica era grave (anche per le spese sostenute per le guerre in America) e molti erano i motivi di scontento. I borghesi erano stanchi di un sistema fiscale che faceva pagare le tasse solo ai rappresentanti del Terzo stato, le masse urbane protestavano per l’aumento dei prezzi, i contadini desideravano l’abolizione dei privilegi feudali, i nobili erano contrari all’assolutismo monarchico e volevano una monarchia parlamentare come quella inglese.
Tutte queste persone, pur se con motivazioni differenti, si trovarono ad avere un comune interesse: abbattere la monarchia assoluta.
Per risollevare lo stato delle finanze il ministro di Luigi XVI, Necker, propose una riforma fiscale che abolisse i privilegi che consentivano a clero e nobiltà di non pagare le tasse. Il re cercò di imporre la riforma avvalendosi dei suoi poteri assoluti, ma nobili e clero chiesero la convocazione del parlamento, gli Stati generali, perché, avendo la maggioranza, avrebbero potuto bocciare la riforma.
Il re si oppose, in quanto temeva che convocando l’assemblea si decretasse la fine della monarchia assoluta e la nascita di una monarchia di tipo parlamentare. Alla fine di un duro braccio di ferro, il re, sottoposto alla pressione di tutto il paese, convocò gli Stati generali. Il Terzo stato a questo punto chiese la riforma del sistema di voto: non più un voto per ogni stato, ma un voto per ogni deputato. Questo significava togliere la maggioranza ai rappresentanti della nobiltà e del clero. Di fronte a questa proposta rivoluzionaria il re fece sospendere i lavori dell’assemblea. I deputati del Terzo stato si riunirono allora nella stanza della pallacorda e, non riconoscendo più l’autorità del vecchio parlamento, costituirono un’Assemblea nazionale costituente per riformare tutta l’organizzazione politica della nazione. Il re cercò di riportare tutto alla condizione di prima, arrivando persino a licenziare il Necker, sostenitore della riforma fiscale. A questo punto intervenne il popolo di Parigi, che scese in piazza e il 14 luglio 1789 assaltò la Bastiglia, una delle prigioni della città, e la rase al suolo. Le notizie dei disordini si diffusero rapidamente nelle campagne, dove migliaia di contadini assaltarono le residenze dei nobili e del clero. In agosto l’Assemblea nazionale abolì tutti i privilegi del sistema fiscale e compilò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, dove si sosteneva che “gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”. Nel 1791 fu terminata la Costituzione che prevedeva un parlamento composto da una sola camera, chiamato Assemblea legislativa. Il re e la regina decisero di scappare verso il Belgio, ma vennero catturati. Intanto Austria e Prussia, temendo che l’esempio francese venisse seguito anche nel resto dell’Europa, entrarono in guerra contro la Francia. L’esercito francese, disorganizzato, andò incontro a una serie di sconfitte e, di fronte alla “patria in pericolo”, il parlamento diede tutto il potere alla sua ala rivoluzionaria, rappresentata dai Giacobini capeggiati da Danton, Marat e Robespierre. Nel 1792, dopo elezioni a suffragio universale per eleggere la Convenzione Nazionale, venne proclamata la repubblica.
Robespierre, a cui si opponeva il gruppo moderato dei Girondini, si trovò a fronteggiare diversi problemi: il processo al re, la guerra e l’insurrezione dei contadini della Vandea. Robespierre sconfisse i Girondini, condannò a morte il re e la regina e sedò con la forza la rivolta della Vandea (i contadini di quella regione si erano opposti alla rivoluzione sia perché quella aveva perseguitato gli uomini di chiesa, sia perché non accettavano la leva obbligatoria imposta dalla guerra). Dopo la morte del re si schierarono contro la Francia anche Inghilterra, Spagna, Regno di Napoli e Russia, che diedero vita alla Prima coalizione.
In questi anni, noti come il periodo del Terrore, furono compiuti diversi abusi: molti individui vennero mandati alla ghigliottina perché sospettati, a volte ingiustamente, di essere dei controrivoluzionari. Intanto la guerra proseguiva positivamente per i Francesi, che ottennero una serie di vittorie, in alcune delle quali si mise in luce un giovane ufficiale, Napoleone Bonaparte.
L’errore di Robespierre fu quello di non capire che con le vittorie militari occorreva porre fine alle misure eccezionali (blocco dei prezzi e dei salari, ricorso ai tribunali speciali contro spie, traditori e controrivoluzionari). Nel 1793 Marat morì, assassinato da una donna filomonarchica (sostenitrice della monarchia). L’anno successivo Robespierre, nel generale clima di sospetto, fece condannare a morte l’ex alleato Danton. Invece di proclamare la fine del Terrore, Robespierre l’aveva inasprito. I deputati della Convenzione decisero infine di fare arrestare Robespierre e i suoi ormai pochi
sostenitori. Il giorno dopo il capo rivoluzionario venne ghigliottinato. La rivoluzione continuò, ma il potere passò nelle mani del centro moderato, che affidò il governo a un Direttorio di cinque membri, abolì sia la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, sia il suffragio universale (furono create due assemblee legislative, la cui elezione spettava però solo a 200.000 cittadini, scelti in base al loro reddito).
Motivazioni ideali (fraternità con i popoli oppressi dalle monarchie assolute) e motivazioni economiche (necessità di mantenere a spese dei paesi occupati grandi masse di uomini arruolati nell’esercito che in patria non avrebbero trovato lavoro per la crisi) costringevano la Francia a continuare la guerra contro il resto dell’Europa.
I due fronti principali erano il Belgio e l’Italia. Questa seconda campagna venne affidata nel 1796 a
Napoleone Bonaparte, ormai promosso generale.
La campagna d'Italia durò dal 1796 al 1797. Napoleone batté prima i Savoia, poi gli Austriaci e fondò la Repubblica Cisalpina, sottoposta alla Francia e composta da Emilia, Romagna, Lombardia. Quindi occupò il Lazio, fece prigioniero il papa e fondò la Repubblica Romana. Dopo aver occupato il Veneto firmò, nel 1797, il Trattato di Campoformio con l’Austria, con il quale cedeva il Veneto agli austriaci in cambio del Belgio e della conferma del passaggio della Lombardia alla Francia. Nel 1799, sperando nell'aiuto francese, insorsero anche i giacobini napoletani, che scacciarono i Borboni e fondarono la Repubblica Partenopea. Abbandonati a loro volta dalla Francia, essi furono attaccati dalla flotta inglese e dalle bande del cardinale Ruffo; i Borboni riebbero il trono e gli insorti pagarono duramente il loro tentativo. Fin dal 1798, intanto, Napoleone era impegnato nella campagna d'Egitto, intrapresa per interrompere i traffici commerciali britannici .Dopo una prima vittoria nella battaglia delle Piramidi, la flotta francese venne distrutta ad Abukir ad opera dell'ammiraglio inglese Nelson. L’armata napoleonica si trovò isolata in Egitto, mentre la Gran Bretagna dava vita alla Seconda coalizione contro la Francia. Nel 1799 Napoleone abbandonò l'Egitto e accorse in Francia, dove, sciogliendo con le armi l'Assemblea parlamentare, compì con l’appoggio di parte della borghesia il colpo di Stato che pose fine al decennio della Rivoluzione iniziato nel 1789. Proclamatosi Primo console, Napoleone promosse riforme e iniziative a favore della borghesia, che mettevano in pratica alcuni valori della rivoluzione. Dopo aver battuto gli Austriaci a Marengo (in Italia) firmò la pace prima con l’Austria (1801) e poi con l'Inghilterra (1802). Ciò confermò la sua conquista di parte della Germania, del Belgio e dell'Olanda. In quegli stessi anni egli varò il Codice Napoleonico, un nuovo codice di leggi basato su princìpi illuministici e borghesi. Nel 1804 un plebiscito al quale parteciparono tutti i francesi maschi adulti proclamò la fondazione dell'Impero e l’elezione di Napoleone a imperatore. Nel 1805 si formò la Terza coalizione. Dopo la vittoria della flotta inglese, comandata da Nelson, a Trafalgar (vicino a Gibilterra), seguirono due vittorie napoleoniche sul continente. Contro l'Inghilterra, Napoleone proclamò il Blocco continentale, che proibiva l'attracco in Europa di navi inglesi e ne impediva i commerci. Nel 1807 quando era già nata una Quarta coalizione, Napoleone occupò Spagna e Portogallo e ne affidò la corona a suo fratello, Giuseppe Bonaparte. Dopo averne cacciato i Borboni, diede il trono di Napoli a Gioacchino Murat. Tra il 1809 e il 1812 batté la Quinta e la Sesta coalizione e iniziò la campagna di Russia, che si concluse con una disastrosa ritirata nell'inverno dello stesso anno. Nel 1813 gli eserciti della Settima coalizione sconfissero Napoleone a Lipsia (in Germania). Mentre Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato, tornava a Parigi, l'imperatore veniva esiliato all'isola d'Elba. Riuscito a fuggire, nel 1815 Napoleone veniva definitivamente battuto a Waterloo (in Belgio) dai Prussiani e dagli Inglesi ed esiliato a Sant'Elena (un’isola dell’Atlantico a occidente dell’Africa), dove morì nel 1821.
Nella prima metà dell'Ottocento si verificò in alcuni paesi europei, come la Prussia, il Belgio e la Francia, un forte sviluppo industriale. La disponibilità di materie prime, in particolare di carbone e ferro, fu una delle cause più importanti di questo processo. Tuttavia, il paese più industrializzato rimase l’Inghilterra. In questo periodo si ebbe un enorme sviluppo dei trasporti su ferrovia, soprattutto nei paesi industrializzati e in via di industrializzazione. L'Italia, invece, accusava ancora un grave ritardo dal punto di vista economico. La divisione della penisola in piccoli Stati non favoriva lo sviluppo del commercio e quindi neanche della produzione, che continuava a rimanere affidata alle botteghe artigianali invece che ai grandi stabilimenti industriali. Solo nelle regioni settentrionali era da tempo fiorente l’industria tessile e in particolare la produzione di tessuti di
seta. Inoltre, sempre in queste regioni, si era diffuso lo spirito capitalistico che spingeva a una maggiore iniziativa privata in economia. Invece, nelle regioni meridionali, la mentalità economica era ancora legata allo sfruttamento delle rendite terriere (soprattutto dei grandi latifondi, proprietà di poche ricche persone) e non all'investimento o all'ammodernamento delle strutture produttive.
Dopo la sconfitta di Napoleone ebbe inizio il Congresso di Vienna (1814-1815). Vi parteciparono tutti gli Stati d'Europa. Ma fu voluto dalle grandi potenze che avevano sconfitto la Francia di Napoleone: l’Inghilterra, l’Austria, la Russia e la Prussia. Lo scopo del congresso era semplice: doveva ristabilire l'ordine e la pace in Europa. Quell'ordine e quella pace messe così profondamente in crisi dalla Rivoluzione francese e da Napoleone. Quando il congresso ebbe inizio, Napoleone si trovava in esilio nell‘isola d'Elba. Nel marzo del 1815 riuscì a fuggire e a sbarcare nuovamente in Francia. Ma venne definitivamente sconfitto il 18 giugno 1815 a Waterloo. Questa vicenda non turbò affatto il Congresso di Vienna, che proseguì i suoi lavori e li concluse qualche giorno prima di Waterloo, il 9 giugno 1815. Da tempo, ormai, Napoleone era uno sconfitto e non aveva più futuro politico. Con il Congresso di Vienna iniziava l'epoca della Restaurazione. Con questa parola i vincitori intendevano il completo ritorno al passato.
Tutti i princìpi della rivoluzione dovevano essere negati. Anzi, si vollero cancellare tutte le idee moderne che si erano affermate nel corso del XVIII secolo:
Ma un puro e semplice ritorno al passato era impossibile. Troppe cose erano cambiate in Europa dall'inizio della Rivoluzione francese: alcuni Stati erano scomparsi, o avevano modificato i loro confini, altri ancora erano sorti. Il Congresso allora decise di seguire due princìpi: il principio di legittimità ; e il principio di equilibrio.
In molti casi fu applicato il principio di legittimità: erano legittimi (cioè secondo la legge e quindi validi) quei governi che erano stati al potere da lungo tempo e avevano per così dire messo le radici nella società. Il principio di legittimità venne difeso dai reazionari, coloro che volevano “reagire” a tutte le novità per tornare alla situazione precedente l'età rivoluzionaria e napoleonica. In tutta Europa, i sovrani e i vecchi aristocratici tornarono dall'esilio per riprendere i loro antichi possedimenti e privilegi. In Francia salì al trono Luigi XVIII: era il fratello minore e il legittimo erede di Luigi XVI, decapitato ventidue anni prima. Ma non sempre il principio di legittimità era conveniente: poteva essere causa di nuove guerre. In questi casi fu applicato il principio di equilibrio.
L’Impero di Napoleone fu spartito tra le potenze vincitrici; si evitò tuttavia che uno stato diventasse troppo forte e minacciasse quelli vicini e venne creata una serie di stati-cuscinetto a dividere le grandi potenze.
In Italia la maggior parte degli antichi stati fu ricostituita, ma scomparvero la Repubblica di Genova, annessa al Regno di Sardegna, e la Repubblica di Venezia, annessa al Lombardo- Veneto sotto il dominio austriaco. Fu ricostituito lo Stato della Chiesa e il Papato, per paura dell’ateismo, condannò tutte le idee moderne.
Le aspirazioni alla libertà dei popoli furono ignorate, ma questa situazione era destinata a non durare.
Le conclusioni del Congresso di Vienna infatti lasciarono molti scontenti. I liberali (moderati) chiedevano una costituzione e un parlamento eletto con un suffragio censitario (da coloro cioè che possedevano un certo reddito). I democratici si battevano invece per la repubblica e per il suffragio universale. I socialisti, oltre a ciò, sostenevano la necessità di abbattere la disuguaglianza sociale. Dal canto loro i patrioti degli stati assoggettati a sovrani stranieri chiedevano l’indipendenza nazionale.
Nell’età della Restaurazione le forze di opposizione non potevano esprimersi liberamente. Per questo si organizzarono in società segrete.
Queste società, che sorsero numerose in tutta Europa, imitavano il modo di agire della Massoneria (un’associazione nata nel Settecento in Inghilterra, che operava per la diffusione delle idee di libertà e tolleranza). La più importante società segreta italiana fu la Carboneria.
I primi moti rivoluzionari scoppiarono nel 1820-21, per iniziativa delle società segrete. In Spagna, in Campania e in Sicilia i moti ebbero come obiettivo la richiesta di una costituzione e di un parlamento (due diritti negati dalle monarchie assolute); in Piemonte e in Lombardia, oltre alla costituzione, i rivoluzionari chiedevano che i Savoia muovessero guerra all'Austria e liberassero la Lombardia. Il principe Carlo Alberto, in qualità di reggente (al posto di Carlo Felice, lontano dal regno), concesse la costituzione ai piemontesi e sembrò favorevole all'idea della guerra. Il successo degli insorti tuttavia fu di breve durata: gli insorti spagnoli furono sconfitti (anche per l'intervento della Francia) e la costituzione venne ritirata; l'Austria arrestò i rivoltosi lombardi (tra cui anche il Pellico e il Maroncelli) e disperse i napoletani; il re di Sardegna Carlo Felice sconfessò Carlo Alberto e ritirò la costituzione.
Nel 1821 la Grecia iniziò a lottare per ottenere l'indipendenza dall'Impero Ottomano. Aiutata da Inghilterra, Russia e Francia (interessate a indebolire il colosso turco), la Grecia nel 1829 riuscì a liberarsi dai Turchi.
Nel 1830 iniziarono nuovi moti rivoluzionari. La Francia, stanca del governo reazionario di Carlo X, offrì il regno al liberale Luigi Filippo d'Orléans; la Spagna ottenne la costituzione; il Belgio ottenne l'indipendenza dall'Olanda, rompendo il primo degli stati-cuscinetto creati da Vienna.
Fallirono invece i moti in Germania, Polonia e Italia, dove Ciro Menotti tentò inutilmente di far insorgere l'Emilia Romagna.
Negli anni successivi violente agitazioni sociali scossero l'Inghilterra, dove i vecchi partiti whig e
tory avevano assunto rispettivamente il nome di Partito liberale e Partito conservatore.
Le agitazioni ebbero come protagonisti gli operai inglesi, che nel 1838 presentarono al parlamento una Carta in cui avevano elencato le loro richieste (tra cui il suffragio universale maschile). La Carta fu respinta e da ciò si sviluppò un movimento che prese appunto il nome di Cartismo. Il partito liberale, in quegli anni al governo, per calmare le agitazioni, concesse comunque una serie di riforme.
Il fallimento dei moti carbonari in Italia indusse molti italiani a una riflessione per elaborare nuovi sistemi di lotta. Questa riflessione si svolse tra il 1830 e il 1848 e fece emergere due schieramenti: democratici e liberali (distinti in liberali cattolici e liberali laici).
I democratici facevano capo a Giuseppe Mazzini, che fondò la Giovine Italia, un'associazione che puntava sulla propaganda e sul reclutamento di una gran massa di persone. Mazzini credeva alla necessità dell'alleanza di tutto il popolo (borghesi e operai) per liberare l'Italia dagli stranieri e farne una repubblica in cui ci fosse il suffragio universale. Sul piano militare sosteneva la guerra per bande, cioè l'insurrezione popolare delle città, seguita da guerriglia sulle montagne. Nella pratica però questi tentativi fallirono ripetutamente.
I liberali cattolici, detti anche neoguelfi, erano guidati da Vincenzo Gioberti, il quale proponeva che l'Italia divenisse una Confederazione di stati con a capo il Papa. Piegandosi a tale autorità, secondo il Gioberti, gli Austriaci avrebbero rinunciato al Lombardo-Veneto e ottenuto in cambio le regioni dell'Europa orientale ancora sottoposte ai Turchi.
Tra i liberali laici si distinse ben presto Cavour, uomo politico piemontese. Questi sosteneva la necessità di una guerra regia, condotta dai Savoia e appoggiata dalla Francia per liberare l'Italia dagli Austriaci. Cavour voleva inoltre la trasformazione della monarchia assoluta sabauda in una monarchia costituzionale di tipo inglese. Egli reputava molto importanti le riforme di tipo economico: sosteneva infatti la necessità di abolire i dazi doganali e di sviluppare le ferrovie per dare impulso all'industria. Tra il '46 e il '47 sembrò che le teorie moderate trovassero finalmente uno sbocco: il nuovo papa Pio IX concesse alcune riforme, imitato da altri sovrani italiani, tra i quali Carlo Alberto di Savoia. A Milano si verificarono incidenti antiaustriaci e lo stesso Mazzini, in esilio all'estero, si disse pronto a rientrare in Italia e ad aiutare Carlo Alberto contro gli Austriaci, accantonando le proprie idee repubblicane.
Le tensioni che si accumulavano non solo in Italia, ma nell'intera Europa, aggravate da una pesante crisi agricola, esplosero nel 1848 con una serie di rivoluzioni a catena.
In Francia il cuore della rivoluzione fu Parigi. Borghesi e operai, alleati tra loro, cacciarono il re Luigi Filippo e proclamarono la repubblica, dando vita a un governo composto da moderati e socialisti. Per risolvere il problema della disoccupazione, i socialisti crearono gli "atéliers nationaux" (fabbriche nazionali), finanziati dallo stato; ma il loro fallimento e la paura dei borghesi nei confronti delle nuove organizzazioni dei lavoratori (in quello stesso anno era stato pubblicato il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels) causarono l'espulsione dei socialisti dal governo. Le forze moderate affidarono allora la presidenza della repubblica a Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone.
A Vienna, a Berlino, a Praga, in Baviera e in Ungheria, altri moti che miravano a ottenere la costituzione, o l'indipendenza e l'unità, diedero vita a governi provvisori liberali.
In Italia insorsero Palermo, che cacciò i Borboni, Venezia, che cacciò gli Austriaci e proclamò la repubblica, la Toscana, che divenne repubblica, e Milano, che durante le famose Cinque giornate, cacciò gli Austriaci e invitò i Savoia a occupare la Lombardia.
Carlo Alberto si mosse, anche se con ritardo, e scoppiò così la Prima guerra d'indipendenza. L'esercito sabaudo, aiutato da volontari di tutti gli stati italiani, fu però guidato dal re con grande incertezza e fu sconfitto dagli Austriaci del generale Radetzky nel 1848 a Custoza e nel 1849 a Novara. Dopo la sconfitta Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II.
A Roma i mazziniani insorsero e proclamarono la Repubblica, ma l'intervento francese, alcuni mesi dopo, ridiede il potere al Papa.
Verso la metà del '49 tutti i moti erano stati soffocati. Ad aver ottenuto un cambiamento restavano solo la Francia, che era diventata una repubblica con governo moderato, e il Regno di Sardegna, al quale Carlo Alberto nel 1848 aveva concesso lo Statuto albertino (costituzione) e il parlamento.
L'ascesa politica ed economica della borghesia era comunque iniziata in tutta Europa e la sistemazione che il Congresso di Vienna aveva voluto dare al continente era ormai entrata definitivamente in crisi.
Dopo il 1848 una durissima repressione si abbatté su tutti gli stati, ma in particolare sul Regno delle Due Sicilie, nel quale i Borboni bloccarono ogni possibilità di sviluppo. Nel Regno di Sardegna invece iniziò un periodo di grande sviluppo economico e politico. A guidare queste trasformazioni fu Cavour, che divenne presidente del Consiglio nel 1852. Dal 1855 tutti gli sforzi di Cavour furono concentrati sulla costruzione dell'unità d'Italia. Per realizzarla occorreva innanzitutto cacciare gli Austriaci dal Lombardo Veneto, obiettivo raggiungibile solo attraverso l'aiuto di una potenza straniera: bisognava quindi indurre la Francia a intervenire a fianco dei Savoia.
Tra le moltissime mosse compiute da Cavour per raggiungere tale obiettivo, la più importante fu, nel 1855, l'intervento piemontese nella Guerra di Crimea, scoppiata tra Russia da una parte e Turchia, Francia e Inghilterra dall'altra. La guerra, scatenata dalla Russia, che voleva impadronirsi di territori turchi che garantivano sbocchi verso il Mediterraneo, non interessava allo stato sabaudo. Cavour però decise di mandare 15.000 soldati piemontesi, in modo che, finita la guerra, anche il Piemonte fosse ammesso al congresso di pace. Così avvenne. Dopo la sconfitta dei Russi, Cavour poté partecipare al Congresso di Parigi, sottoporre all'attenzione internazionale il caso dell'Italia, soggetta a potenze straniere, e ottenere l'appoggio della Francia (dove Luigi Bonaparte si era fatto eleggere imperatore con il nome di Napoleone III).
Con i patti di Plombières Cavour e Napoleone III si accordarono. La Francia sarebbe intervenuta a tre condizioni: lo Stato pontificio non doveva essere toccato, il Piemonte avrebbe dovuto limitarsi a occupare il Veneto e la Lombardia, in cambio la Francia avrebbe avuto Nizza e la Savoia.
Gli Austriaci, irritati per i preparativi militari del Piemonte, attaccarono lo stato sabaudo e scoppiò così la Seconda guerra d'indipendenza. Le truppe franco-piemontesi ottennero rapide vittorie a San Martino e Solferino. Ma improvvisamente Napoleone III decise di porre fine alla guerra, perché allarmato dalle insurrezioni scoppiate in alcune città dello Stato pontificio e preoccupato per le perdite subite dal proprio esercito. Con l'armistizio di Villafranca l'Austria cedette la Lombardia (ma non il Veneto) allo Stato Sabaudo. Nizza e la Savoia passarono ai francesi.
Nel 1860, grazie a una serie di plebisciti (consultazioni in cui furono ammessi al voto tutti i cittadini adulti di sesso maschile), la Toscana e la Romagna passarono ai Savoia. In seguito fu compiuto un altro passo verso l'unità d'Italia: Garibaldi, ex mazziniano, guidò la spedizione dei Mille per liberare il Sud della penisola. Partiti da Quarto, nei pressi di Genova, i Mille sbarcarono a Marsala, in Sicilia. A Calatafimi vinsero l'esercito borbonico e proseguirono liberando tutto il Regno delle Due Sicilie. In questa occasione rivolte di contadini siciliani, che, dopo aver spalleggiato i garibaldini, rivendicavano la riforma agraria, furono duramente represse da Nino Bixio. Temendo che Garibaldi attaccasse anche Roma, sede del papa, protetto dalla Francia, Cavour bloccò la sua marcia da sud a nord, inducendo Vittorio Emanuele II a liberare personalmente tutti i territori dello Stato pontificio ad esclusione del Lazio.
Nel 1861 venne fondato il Regno d'Italia, con capitale Torino. Nello stesso anno Cavour moriva.
Dopo l'Unità, l'Italia si trovò a dover affrontare problemi interni e problemi esterni.
I problemi interni esplosero subito con il brigantaggio meridionale, che assunse forme di vera e propria guerra sociale; la maggior parte dei suoi protagonisti, infatti, era formata da braccianti che rivendicavano la riforma agraria. Il governo mandò nel Meridione 120.000 soldati, il doppio di quelli che avevano affrontato gli Austriaci nella Seconda Guerra d'indipendenza. Una legge proclamò lo stato di emergenza: vennero dati massimi poteri ai militari e stabilita la fucilazione immediata senza processo per i briganti. Il nuovo stato unitario, per le popolazioni meridionali, da quel momento divenne un nemico e tutti i provvedimenti del suo governo (le tasse, la leva militare, i tribunali) furono identificati con la repressione.
I problemi esterni riguardavano la conquista del Veneto, di Roma e del Lazio.
Nel 1864 il governo italiano (di destra) spostò la capitale da Torino a Firenze. Pio IX emanò il Sillabo, un documento in cui condannava l'intera civiltà moderna e in particolare l'idea (perseguita dal Regno d'Italia) di separare il potere temporale da quello spirituale.
Nel 1866 l'Italia si schierò al fianco della Prussia di Bismarck, che aveva dichiarato guerra all'Austria. La partecipazione italiana assunse il nome di Terza Guerra d'indipendenza e portò all'acquisizione del Veneto (salvo Trento e Trieste).
La presa di Roma avvenne invece nel 1870, quando i bersaglieri la occuparono entrando da Porta Pia, approfittando del fatto che la Francia, tradizionale alleata del papa, era impegnata nella Guerra franco-prussiana. Questa guerra si concluse disastrosamente per i Francesi: sconfitto a Sédan, Napoleone III fu costretto ad abdicare. Parigi dovette aprire le porte ai Prussiani, ma gli operai parigini si barricarono nel centro della città e diedero vita a un governo separato: la Comune, il primo tentativo di governo socialista della storia. La Comune fu soffocata dallo stesso esercito francese, che fece strage degli operai, sgombrando il campo ai Prussiani.
Tra il 1870 e il 1945 si estende la seconda fase della Rivoluzione industriale, caratterizzata dal ritmo sempre più frenetico delle invenzioni, dalla stretta collaborazione tra industria e ricerca scientifica e dallo sviluppo del sistema capitalistico, sotto la guida della borghesia. In questo periodo, inoltre, l'Inghilterra perde il suo primato e viene scavalcata da Stati Uniti e Germania.
Questa seconda fase è stata chiamata anche età dell'acciaio, perché questo metallo, duttile e resistentissimo, fu usato per costruire i congegni delle macchine. In questo periodo si cominciarono a utilizzare anche l'elettricità e il cemento e iniziò lo sfruttamento del petrolio, che divenne il principale combustibile dei motori a scoppio delle automobili (i cui primi modelli comparvero alla fine dell'Ottocento).
La ricerca medica e biologica individuò il bacillo della tubercolosi (grazie all'opera di Robert Koch) e mise a punto i vaccini contro la rabbia, il colera e altre malattie. Louis Pasteur, scopritore del vaccino antirabbico, scoprì anche i metodi di pastorizzazione del latte. Questi, aggiunti al congelamento delle carni e all'inscatolamento di frutta, verdura, ecc., permisero di approvvigionare intere popolazioni senza sprechi e abbatterono in modo sensibile gli effetti delle carestie.
Inoltre invenzioni come il telefono, il fonografo (registratore e riproduttore di suoni), la lampadina a incandescenza, il tram elettrico contribuirono a rendere più confortevole la vita della gente.
Il progresso però portò anche molti problemi. Il più evidente riguardava le città industriali, divenute ambienti malsani e invivibili, oppressi dall'inquinamento, dai rumori, dal disordine e dall'insufficienza delle strutture. Nelle capitali, dove la popolazione era cresciuta enormemente e in modo troppo rapido, la convivenza tra borghesi e proletari provocava angosce e disagi. Si iniziò allora a relegare i proletari in periferia e a riservare i quartieri del centro ai borghesi.
Un altro problema riguardava la casa e il ruolo della donna. Il lavoro di fabbrica aveva spezzato la continuità tra il "fuori" e il "dentro", tipica della vita quotidiana precapitalistica. Ora il "fuori" diventava nell'opinione comune delle persone, occasione di vizio e fonte di pericolo. La casa acquistava così un'importanza del tutto nuova. Se la casa era il rifugio degli onesti, la donna ne era responsabile e doveva passarci la maggior parte del suo tempo per tenerla pulita e in funzione. Si aggravò così l'emarginazione della donna dalla vita pubblica.
I problemi dell'industrializzazione pesavano tuttavia soprattutto sulla classe operaia, sottoposta a ritmi di lavoro massacranti, pagata con salari troppo bassi, priva di assistenza e inoltre ancora debole, divisa e male organizzata.
Questa situazione fu affrontata da Karl Marx, fondatore del socialismo scientifico.
Il 1865 è ritenuto l'anno d'inizio del miracolo americano, cioè di quella crescita economica rapidissima che in pochi anni portò gli Stati Uniti d'America, prima alla pari dell'Europa e poi ancora più avanti. Liberi di svilupparsi grazie a una Costituzione tra le più avanzate dell'epoca, gli Stati Uniti impressero una spinta definitiva al loro sviluppo in seguito ai fatti accaduti tra il 1849 e il 1865.
Il ritrovamento nel 1849 di ricchi filoni auriferi in California provocò l'arrivo in quella regione della costa occidentale, prima trascurata e scarsamente abitata, di grandi masse di cercatori americani e stranieri (corsa all'oro). L'oro californiano attirò l'attenzione sui vasti territori praticamente inesplorati che dividevano la California dalla costa orientale, oltre la linea chiamata Frontiera. Cominciò il fenomeno dei pionieri, che strappavano terre da coltivare alla foresta e agli Indiani e colonizzavano terre sempre più vaste di territorio (conquista del West).
La rivalità tra stati del Nord, industriali, e stati del Sud, schiavisti e costituiti da immense piantagioni in mano a poche famiglie aristocratiche, esplose dopo la conquista del West, quando pionieri provenienti dagli stati del Nord si rifiutarono di ammettere nelle nuove terre lo schiavismo. Nacque il movimento "abolizionista" che si identificò nel partito repubblicano, mentre il partito democratico, in mano ai sudisti, rimase schiavista. La situazione precipitò subito dopo la nomina a presidente del repubblicano Abramo Lincoln. Gli stati del Sud uscirono dall' "Unione" e fondarono una propria "Confederazione" separata. La Guerra di Secessione durò quattro anni, dal 1861 al 1865. I sudisti subirono una gravissima sconfitta a Gettysburg nel 1863 e nello stesso anno Lincoln abolì la schiavitù.Finita la guerra con la sconfitta sudista, ebbe inizio lo sviluppo economico. Fecero le spese di questa corsa allo sviluppo i neri e gli Indiani.
I neri, cioè gli schiavi liberati, restarono confinati ai margini della società fino quasi ai nostri giorni; inoltre subirono umiliazioni e persecuzioni a opera delle associazioni di razzisti bianchi, soprattutto nel Sud. Gli Indiani furono praticamente sterminati nel corso delle cosiddette Guerre indiane tra il 1860 e il 1890. I superstiti furono chiusi nelle "riserve" e condannati all'estinzione.
Si dà il nome di imperialismo a quella seconda fase del colonialismo che tra il 1830 e il 1914 portò l'Europa, gli Stati Uniti e il Giappone a dominare vastissime zone dell'Asia, dell'Africa, delle isole del Pacifico e dell'America centrale. Esso si caratterizza per un nuovo tipo di sfruttamento: i paesi conquistati divennero da un lato fornitori di materie prime e dall'altro importatori di prodotti finiti. Questo impedì la nascita di fabbriche nelle colonie e bloccò la possibilità di sviluppo economico.
L'Africa venne spartita tra l'Inghilterra (Egitto, Sudan), la Francia (Africa occidentale), il Belgio (Congo), la Germania (Togo, Camerun, Tanganica), il Portogallo (Angola e Mozambico), la Spagna e l'Italia, che affrontò l'impresa coloniale del tutto impreparata: nonostante la conquista dell'Eritrea e il protettorato sulla Somalia, essa infatti non fu mai in grado di impadronirsi dell'Etiopia, dove subì pesanti sconfitte (tra cui quella di Adua).
In Asia la parte settentrionale andò ai Russi, l'India agli Inglesi, l'Indocina ai Francesi, le Filippine
passarono agli Stati Uniti. La Cina, retta da governi incapaci, cadde sotto l'influenza occidentale (Inghilterra, Russia, Germania) dopo la Guerra dell'oppio. Il Giappone, dopo aver ristabilito l'autorità imperiale, intraprese invece una frenetica corsa all'industrializzazione e alla fine del secolo si affiancò alle potenze imperialistiche strappando alla Cina la Corea e l'isola di Formosa.
Diversa era la situazione dei dominions britannici: Canada, Australia, Nuova Zelanda, Unione Sudafricana (che la Guerra anglo-boera aveva tolto ai coloni di origine olandese) avevano governi autonomi, anche se dipendevano dalla Gran Bretagna.
A partire dal 1876, in Italia ai governi della Destra storica seguirono quelli della Sinistra, con i Presidenti del Consiglio Depretis, Crispi e infine Giolitti. Tra le riforme attuate dalla Sinistra vanno ricordate l'abolizione della tassa sul macinato (che fece diminuire il prezzo del pane), l'istruzione elementare obbligatoria (per almeno due anni) e l'estensione del diritto di voto, che restò sempre basato sul censo, ma che venne triplicato (passando dal 2,2% al 7%).
I governi della Sinistra dovettero affrontare tre grandi problemi.
All'inizio del secolo cominciano ad aggravarsi quei problemi che nel 1914 porteranno allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Fino al 1890 l'Europa aveva goduto di un periodo di relativa stabilità, soprattutto grazie a Bismark, cancelliere del Reich tedesco e sostenitore della politica dell'equilibrio, che contribuì a tenere sotto controllo la cosiddetta Questione balcanica, il problema costituito dal fatto che numerose regioni della penisola balcanica, (Jugoslavia, Albania, Bulgaria, Romania, parte settentrionale della Grecia, Macedonia) abitate da popoli slavi e cristiani, erano tuttora sottoposte all'Impero turco. Il licenziamento di Bismark nel 1890 segnò la fine dell' "equilibrio". Il nuovo Kaiser, Guglielmo II, inaugurò infatti una politica aggressiva e provocatoria, dettata dall'enorme sviluppo industriale della Germania, dalla scarsità delle sue colonie e dal crescere dei movimenti nazionalistici tedeschi. Il nazionalismo è infatti il fenomeno più rilevante di quest'epoca. Nel Reich tedesco esso assunse l'aspetto del pangermanesimo, cioè dell'aspirazione a riunificare tutti i popoli tedeschi nella "Grande Germania" e a imporne la supremazia nei rapporti internazionali. In Francia assunse l'aspetto di rivincita per vendicare la sconfitta subita dai Tedeschi a Sédan e riconquistare l'Alsazia e la Lorena.
In Italia il nazionalismo si chiamò irredentismo e si propose lo scopo di riscattare Trento e Trieste, ancora sotto l'Austria. Nell'Impero austro-ungarico, invece, i nazionalismi erano opposti e nemici, a causa della convivenza forzata di undici popoli diversi (Cechi, Slovacchi, Croati, Serbi, Polacchi, Rumeni, Sloveni, Ungheresi, Ucraini, Tedeschi, Italiani), ognuno dei quali rivendicava autonomia, unità, indipendenza.
A far scoccare la scintilla della guerra fu il nazionalismo dei popoli balcanici, tradizionalmente alleati della Russia, contro la Turchia, che governava ancora alcune regioni dei Balcani meridionali. L'aggravarsi della crisi interna dell'Impero turco consentì all'Austria di annettersi la
4 Leggi dirette a difendere i prodotti nazionali contro la concorrenza straniera, specialmente attraverso imposte.
Bosnia-Erzegovina nel 1908 e scatenò la prima guerra balcanica nel 1912, seguita dalla seconda guerra balcanica nel 1913, che consentì a Serbia e Grecia di spartirsi la Macedonia. L'Austria, che temeva la nascita di uno stato troppo potente ai propri confini, impedì che la Serbia annettesse anche l'Albania, grazie alla quale avrebbe avuto uno sbocco sul mare. Questo scatenò l'odio nazionalistico dei Serbi nei confronti degli Austriaci e la scintilla che avrebbe fatto scoppiare la Prima guerra mondiale. In questa situazione l'Europa era ormai divisa in due blocchi: da una parte Austria, Germania e Italia, unite dal patto della Triplice Alleanza; dall'altra Inghilterra, Francia e Russia, unitesi nella Triplice Intesa.
La guerra, come si è già visto, fu determinata dal concorso di numerosi elementi, il principale dei quali era costituito dai contrastanti interessi delle grandi potenze europee. Da una parte Gran Bretagna e Francia, che disponevano di vasti imperi coloniali da cui traevano risorse a costi contenuti e in quantità pressoché illimitata e che costituivano un mercato enorme; dall'altra la Germania, che aveva goduto di un rapidissimo tasso di sviluppo tecnologico e industriale, ma che poteva accedere solo ai marginali mercati dell'Europa centrale e orientale. Numerose altre situazioni di crisi contribuirono a determinare lo scoppio del conflitto: i fermenti nazionalistici, in particolare in Italia e nei Balcani, che l'impero austro-ungarico non era più in grado di controllare; il panslavismo della Russia, che mirava a un'espansione nell'Europa sud-orientale a scapito del decadente impero ottomano; il desiderio di rivincita della Francia sulla Germania dopo la sconfitta del 1870 e la conseguente perdita di Alsazia e Lorena. La scintilla della guerra fu un episodio grave, ma di per sé insufficiente a scatenare un conflitto mondiale: l'assassinio dell'erede al trono austriaco, l'arciduca Francesco Ferdinando, e della moglie, a Sarajevo per mano di uno studente serbo nazionalista (28 giugno 1914). Il conseguente ultimatum austriaco, che poneva delle richieste umilianti alla Serbia, fu respinto e il 28 luglio si accese quella che pareva essere una nuova guerra balcanica. Invece il conflitto in breve si allargò, fino ad uscire dai confini dell'Europa. Dalla parte della Serbia si schierarono la Russia, che proteggeva da anni gli stati slavi, l'Inghilterra e la Francia (i cosiddetti Alleati). Poco tempo dopo si aggiunse anche il Giappone, che voleva battere la concorrenza tedesca in Cina e che quindi dichiarò guerra alla Germania. Dall'altra parte, infatti, erano entrate in guerra l'Austria, l'Ungheria e la Germania, successivamente si era schierata al loro fianco anche la Turchia, nemica della Russia. L'Italia si era invece dichiarata neutrale, dal momento che la Triplice Alleanza, cui essa apparteneva, aveva un carattere difensivo, mentre l'Austria aveva attaccato per prima e per giunta senza consultare nemmeno l'alleato italiano. Nel nostro paese la maggioranza era contraria alla guerra. Tra coloro che non la volevano (neutralisti) c'erano i socialisti, i giolittiani e i cattolici. Tra quelli che invece volevano l'entrata in guerra (interventisti) c'erano i nazionalisti, quella parte dei socialisti che avevano abbandonato il partito con B. Mussolini e i grandi gruppi industriali, interessati agli alti
profitti delle commesse5 militari.
Quasi tutti i popoli andarono alla guerra con grande eccitazione. Dopo anni e anni di tensioni frenate era giunto il momento di battersi.
La prima fase della guerra vide la trasformazione della guerra lampo sperata dai Tedeschi in lunga e usurante guerra di trincea.
I Tedeschi, infatti, invasero il Belgio (che si era dichiarato neutrale) ed erano penetrati in Francia, puntando direttamente su Parigi. Ai primi travolgenti successi seguì però una battuta d'arresto, in quanto Francesi e Inglesi opposero una resistenza accanita. La battaglia sul fiume Marna provocò centinaia di migliaia di morti. Cifre simili non si erano mai sentite prima, in nessuna battaglia, ma sarebbero divenute abituali durante questa nuova guerra.
Nel 1915 il governo italiano, dopo aver firmato a Londra un patto segreto con l'Intesa, entrò in guerra, nonostante il Parlamento fosse per la maggior parte contrario alla guerra e nonostante il Paese fosse impreparato e i soldati non adeguatamente armati (l'Italia aveva un'industria pesante molto debole).
Nel 1917 avvennero due fatti di grande importanza: da un lato l'entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco degli alleati e dall'altro l'uscita dal conflitto della Russia. Poiché i Tedeschi avevano accentuato gli attacchi sottomarini al traffico mercantile in Atlantico per mettere in difficoltà gli
5 ordinazioni commerciali
alleati, la situazione divenne insostenibile e gli USA, ormai indissolubilmente legati dalle forniture militari agli interessi franco-britannici, furono inevitabilmente coinvolti nella guerra. La Russia, invece, sconvolta dalla guerra civile che avrebbe travolto il governo degli zar (Rivoluzione sovietica), chiese l'armistizio e si ritirò dal conflitto.
Sul fronte italiano, nel 1917 ci fu la grave sconfitta di Caporetto: gli Austriaci travolsero l'esercito italiano costringendolo a ritirarsi sulla linea del Piave. Ma nel 1918 gli Italiani lanciarono la controffensiva, giungendo fino a Vittorio Veneto. Il 3 novembre l'Austria firmò l'armistizio e i soldati italiani entrarono a Trento e a Trieste.
La guerra si concluse pochi giorni dopo, quando, essendo ormai chiara la disfatta dell'esercito tedesco, costretto ad arretrare dall'offensiva francese, inglese e statunitense, il Kaiser Guglielmo II fu cacciato dalla Germania, che proclamò la repubblica e firmò l'armistizio.
Determinante per la vittoria degli Alleati fu la potenza navale dell'Inghilterra, che, grazie al suo netto dominio sul mare, poté rifornirsi di merci e di armamenti dagli Stati Uniti, colmando così lo svantaggio industriale che rendeva Inghilterra, Francia e Italia più deboli della Germania. Da segnalare anche l'impiego dei sommergibili (che diedero un vantaggio alla Germania verso la metà della guerra), dell'aviazione e dei carri armati (che avvantaggiarono invece gli Alleati).
Terminata la guerra furono siglati i trattati di pace tra le potenze vincitrici e quelle sconfitte. Le frontiere d'Europa subirono radicali trasformazioni.
Le sanzioni inflitte ai Tedeschi furono gravissime. La Germania fu condannata a pagare pesanti debiti di guerra, a subire l'occupazione militare e a ridurre il suo esercito a soli 100.000 uomini. Inoltre dovette cedere l'Alsazia e la Lorena ai Francesi e perse tutte le sue colonie. Le ingenti riparazioni di guerra imposte alla Germania e la conseguente crisi economica contribuirono a gettare il seme della guerra che sarebbe scoppiata solo vent'anni dopo.
L'Impero austro-ungarico fu diviso in una serie di stati indipendenti di piccole dimensioni: Austria, Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Polonia.
L'Italia, che era tra le nazioni vincitrici, venne trattata come una potenza di secondo piano. Gli Stati Uniti dichiararono di non riconoscere la validità del patto di Londra (che si proponeva di assegnare all'Italia oltre al Trentino e all'Alto Adige un vasto tratto della costa dalmata). Il presidente del Consiglio italiano abbandonò per protesta la Conferenza di pace di Parigi; quando vi fece ritorno tutto era stato già deciso. All'Italia vennero assegnati unicamente il Trentino, l'Alto Adige e parte dell'Istria (che si trova al confine con il Friuli Venezia Giulia).
Alla Conferenza di pace di Parigi il presidente americano Wilson svolse un ruolo dominante, presentando un suo piano, articolato in 14 punti. Tale piano prevedeva tra l'altro l'abolizione della diplomazia segreta, la riduzione degli armamenti, l'autodeterminazione dei popoli, la creazione di una Società delle Nazioni per regolare pacificamente i rapporti tra gli stati, la piena libertà commerciale. Il piano di Wilson non fu esente da critiche, alcuni infatti osservarono che principi come la libertà commerciale e la rinuncia all'uso della forza avrebbero favorito chi già si trovava ad essere il più forte. Fallimentare fu senza dubbio la creazione della Società delle Nazioni (antenata dell'ONU), che non sarebbe riuscita a evitare futuri conflitti.
La guerra aveva aperto in Europa una crisi enorme. Il numero dei morti aveva superato gli 8 milioni e il crollo della popolazione fu accentuato dal fatto che i caduti in guerra erano quasi esclusivamente uomini tra i 30 e i 40 anni. Le regioni sottoposte ai bombardamenti avevano subito distruzioni spaventose, i debiti contratti (soprattutto con gli Stati Uniti) per far fronte all'impegno militare avevano impoverito gli Alleati europei. Per pagare i debiti gli stati europei non riuscirono a fare altro che stampare carta moneta, provocando in questo modo una violenta inflazione e un forte aumento dei prezzi.
Con la guerra l'Europa impoverì se stessa, ma arricchì gli altri. Gli Stati Uniti e il Giappone trassero infatti enormi vantaggi dal conflitto: le loro industrie avevano lavorato a pieno ritmo per rifornire gli Alleati, si erano rimodernate, erano penetrate su nuovi mercati. Stati Uniti e Giappone, inoltre, non avevano subito alcuna distruzione: sui loro territori non era caduta nemmeno una bomba.
La Russia zarista si trovava in condizioni ben più arretrate di quelle delle altre nazioni europee; l'immenso impero, composto da oltre cento nazionalità diverse, era ancora un paese contadino e arretrato, dove la servitù della gleba era stata abolita solo nel 1861, basato su comunità contadine che costituivano un ostacolo allo sviluppo dell'agricoltura, privo di efficienti linee di comunicazione, con un settore industriale limitato all'industria pesante. Il processo di industrializzazione fece sorgere anche in Russia la classe operaia e formò la borghesia. Quest'ultima si opponeva al regime aristocratico e assoluto dello zar sulla base dei principi liberali; gli operai invece erano organizzati nel partito socialista, dove convivevano un'ala riformista (menscevichi) e una rivoluzionaria (bolscevichi).
La sconfitta militare con il Giappone (1904-05) ebbe gravi ripercussioni all'interno: il paese fu sconvolto per tutto il 1905 da una serie di agitazioni, scioperi, ammutinamenti (tra cui quello della corazzata Potëmkin) e rivolte autonomiste, che indussero lo zar a promettere la convocazione di un Parlamento, dai poteri però molto limitati (Duma). L'entrata nella Prima guerra mondiale, determinata oltre che dalle alleanze con Francia e Gran Bretagna anche dalla volontà di espansione nei Balcani e dalla volontà di un largo settore dell'aristocrazia e della corte di scaricare le tensioni e le crisi interne con l'impegno bellico, si rivelò un disastro. Nel 1916 l'esercito russo era in ritirata lungo tutto il fronte e aveva dovuto cedere la Polonia, la Galizia e la Lituania alle truppe austro-tedesche in avanzata. Quando, durante l'inverno 1916-17, le condizioni si fecero insostenibili, le manifestazioni divennero più decise e nel marzo 1917 si determinò l'insurrezione popolare a Pietrogrado, che l'esercito si rifiutò di reprimere (rivoluzione di febbraio, con riferimento al calendario giuliano in uso nella Russia zarista). La Duma costituì un governo provvisorio, lo zar Nicola II dovette abdicare e fu proclamata la repubblica
Contemporaneamente si formarono in tutto il paese dei consigli (soviet), formati da rappresentanti di operai, contadini, soldati, che cercarono di dare un'organizzazione agli insorti.
Il nuovo governo guidato da A.F. Kerenskij e dominato dai moderati (menscevichi, socialrivoluzionari, esponenti della borghesia) non mantenne le promesse fatte agli insorti, rimandando di giorno in giorno la distribuzione delle terre e non mantenendo l'impegno di una pace immediata con la Germania.
Il capo dei bolscevichi, Lenin, lanciò la parola d'ordine dell'insurrezione, "Tutto il potere ai soviet" (i soviet, unica e autentica espressione della volontà popolare, avrebbero dovuto assumere il governo del paese, concludere la pace, confiscare le terre e distribuirle ai contadini). Il 6-7 novembre (24-25 ottobre secondo il calendario giuliano e da ciò la denominazione di rivoluzione d'ottobre) il governo Kerenskij venne rovesciato e i suoi membri arrestati o costretti alla fuga. Lenin si pose a capo di un nuovo governo e firmò i decreti di cessazione delle ostilità e di distribuzione, mediante esproprio senza indennizzo, della grande proprietà terriera. Il potere sovietico si affermò rapidamente in tutto il paese e il partito bolscevico assunse il nome di partito comunista. Nel giro di due mesi vennero promulgati importanti provvedimenti: dichiarazione dei diritti dei popoli e delle nazionalità, costituzione della polizia politica, fondazione dell'armata rossa, nazionalizzazione delle banche, annullamento dei debiti e crediti verso l'estero, adozione del calendario gregoriano, armistizio di Brest-Litovsk e trasferimento della capitale a Mosca. L'impero zarista non esisteva più: l'armistizio significò la perdita di Polonia, Finlandia, Ucraina, paesi baltici e di parte della Bielorussia. Poco dopo anche Georgia, Armenia e Azerbaigian si costituirono in repubbliche indipendenti. Il governo sovietico dovette affrontare la prova della guerra civile (1918- 20), scatenata dai controrivoluzionari (bianchi). In questi anni di terrore (Terrore bianco contro Terrore rosso) la capitale fu trasferita da Pietrogrado a Mosca e venne decisa la condanna a morte dello zar e della sua famiglia.
I contadini nel frattempo avevano progressivamente lasciato incolte le terre coltivate, perché tutte le eccedenze da loro prodotte erano state requisite e amministrate dallo Stato. Finita la guerra civile, nel 1921, Lenin fu quindi costretto a varare una Nuova politica economica (Nep), basata sui principi del libero mercato e dell'iniziativa privata. Anche le industrie furono riorganizzate sulla base del principio capitalistico del massimo profitto possibile e furono aperte le porte agli investimenti stranieri (non appena terminata l'emergenza, il Paese raggiunse una salda struttura economica, i criteri capitalistici furono abbandonati e si tornò a un controllo rigido dello Stato in tutti i settori della vita economica).
Nel 1922 il nuovo stato prese il nome di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
Lenin morì nel 1924. Tra i suoi possibili successori (Trotzki e Stalin) prevalse Stalin, che varò una vera e propria "seconda rivoluzione", basata sulla rapida industrializzazione e sulla collettivizzazione forzata delle terre.
I costi umani di questa operazione furono altissimi. Milioni di contadini che volevano conservare la proprietà privata della terra furono deportati in Siberia o uccisi; molti membri del partito furono sottoposti alle famose "purghe" staliniane, furono cioè arrestati e condannati con l'accusa di opposizione al regime; Trotzki, espulso dall'URSS, fu ucciso da un sicario; l'intera popolazione fu sottoposta a uno sforzo produttivo senza precedenti. I risultati furono enormi: in 15 anni un paese agricolo, semianalfabeta e in miseria divenne la seconda potenza industriale dopo gli Stati Uniti.
Nell'Italia del dopoguerra vi erano diversi motivi di malcontento. In primo luogo vi era il rancore, provato soprattutto dai nazionalisti, per la "vittoria mutilata", cioè per il mancato rispetto da parte degli Alleati, degli impegni presi con l'Italia (che avrebbe dovuto annettersi in caso di vittoria la costa dalmata).
Dal 1919 al 1922 l'Italia fu sconvolta inoltre da scioperi e agitazioni sociali per richiedere miglioramenti di stipendio e iniziative contro l'aumento dei prezzi e la disoccupazione. Quando poi gli operai occuparono le fabbriche e i contadini invasero le terre chiedendone la distribuzione (promessa loro durante la guerra), gli industriali e i grandi proprietari terrieri temettero la rivoluzione socialista. Anche la piccola e la media borghesia, impoverite dall'inflazione, erano ostili all'ascesa del proletariato. Tra i borghesi scontenti c'erano anche gli ex ufficiali, che, dopo aver ricoperto in guerra posti di comando, mal si adattavano a una grigia vita lavorativa.
Alla crisi sociale si aggiunse la crisi politica, dovuta alla crescita del Partito socialista e del Partito popolare (quest'ultimo di ispirazione cattolica), che esprimevano le esigenze di maggior democrazia delle masse popolari e che tolsero ai liberali il controllo del parlamento.
All'interno del Partito socialista, però, si andò ampliando la frattura tra riformisti (che proponevano una politica di riforme graduali) e massimalisti (che volevano realizzare il programma "massimo" della rivoluzione socialista e abbattere il capitalismo), tanto che nel 1921 il gruppo estremista di Gramsci uscì dal partito e fondò il Partito Comunista Italiano, che si proponeva di guidare il popolo alla rivoluzione. Negli ambienti borghesi a questo punto dilagò la paura del "pericolo rosso", dell'assalto dei "bolscevichi" alla proprietà privata, della loro lotta contro la religione e la
Chiesa6. Da più parti si cominciò a invocare insistentemente un governo forte, che mettesse fine alle agitazioni popolari, riportasse l'ordine e restituisse dignità alla patria, umiliata dalla "vittoria
mutilata". In questa situazione acquistò forza il Partito fascista fondato da Benito Mussolini, che proponeva l'uso della forza per stabilire la pace sociale e scongiurare il pericolo comunista. Il governo sembrava disposto ad accettare la sua presenza per poter liquidare socialisti e popolari e riacquistare la guida della politica italiana. In realtà Mussolini intendeva instaurare una dittatura personale e agì in modo da eliminare progressivamente le libertà dello Stato liberale.
Il 28 ottobre 1922 cinquantamila fascisti effettuarono una marcia su Roma, come manifestazione di forza, e Mussolini ricevette dal re Vittorio Emanuele III l'incarico di Capo del Governo. Le elezioni del 1924 avvennero in un clima di minacce e violenze nei confronti degli avversari politici e diedero al Partito fascista la maggioranza in parlamento.
L'uccisione dell'onorevole socialista Matteotti da parte di sicari fascisti scosse l'opinione pubblica italiana e i deputati dell'opposizione reagirono abbandonando per protesta il parlamento ("secessione dell'Aventino") per costringere il sovrano ad allontanare Mussolini, ma questa decisione non venne presa. Da quel momento ebbe inizio la dittatura fascista e l'organizzazione dello Stato fu modificata in modo da attribuire a Mussolini sia il potere esecutivo, sia il potere legislativo: egli controllava tutta la politica italiana.
Il fascismo riuscì a imporsi in Italia grazie alla sottovalutazione che del fenomeno venne fatta. Molti reputavano che il fascismo fosse un male necessario, ma temporaneo, cosa che invece non fu. Gli ultimi governi liberali tollerarono le violenze fasciste contro le sedi sindacali e socialiste allo scopo di indebolire l'opposizione, soprattutto socialista. Dopo che l'incarico di capo del governo venne affidato a Mussolini, i partiti di opposizione adottarono metodi maldestri e controproducenti, come
6 Marx aveva definito la religione "oppio dei popoli", perché promettendo ai miseri un riscatto nell'aldilà, essa impediva loro la ribellione nel "mondo terreno".
l'abbandono dei luoghi ufficiali della politica (secessione dell'Aventino), che lasciò il parlamento nelle mani dei fascisti. Il re, infine, si mostrò sempre timoroso e debole, fin dal momento della marcia su Roma, quando non si affrettò a dare l'ordine di fermare i fascisti con l'esercito e anzi affidò a Mussolini l'incarico di Primo Ministro.
Nel 1929 il potere di Mussolini fu ulteriormente rafforzato dai Patti Lateranensi, tra lo Stato italiano e il Vaticano. Mussolini riconobbe il Vaticano come stato indipendente, pagò un'indennità per i beni confiscati dopo l'Unità, riconobbe la validità civile del matrimonio religioso e s'impegnò a impartire l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Con questa mossa il fascismo ottenne l'appoggio della Chiesa e si avvicinò anche alle grandi masse cattoliche.
Economia e società furono organizzate e controllate direttamente dallo Stato fascista, secondo i principi che dovevano fare dell'Italia una grande nazione, degna del glorioso passato imperiale di Roma. L'agricoltura divenne l'attività principale, quella che doveva assicurare l'autosufficienza alimentare all'Italia. L'obiettivo dell'autosufficienza (autarchia), che doveva rendere il Paese indipendente dalle importazioni straniere, non venne mai raggiunto e finì per peggiorare le condizioni di vita della popolazione. Particolare cura fu posta nell'educazione della gioventù ai valori del fascismo (disprezzo della democrazia, culto della forza, fede nel duce7 Mussolini).
Il fascismo fu un regime reazionario in quanto si basò:
Il fascismo fu anche un regime di massa, in quanto esso cercò di creare consenso intorno alla politica del governo, attraverso la propaganda e l'inquadramento dei cittadini. I ragazzi vennero inseriti nelle organizzazioni di partito fin da bambini (Opera nazionale dei Balilla), coinvolti in parate e attività di addestramento militare; l'iscrizione al partito fascista divenne indispensabile per accedere agli impieghi statali. Gli antifascisti, perseguitati e ridotti al silenzio, passarono anni in carcere, come Antonio Gramsci (che fu liberato solo alcuni giorni prima della morte), o furono costretti a fuggire all'estero.
L'economia americana, che aveva largamente approfittato delle difficoltà incontrate dall'Europa durante la Prima guerra mondiale, attraversò tra il '18 e il '29 un decennio di crescita vertiginosa. Protagonista della crescita industriale fu l'automobile che un industriale americano, Henry Ford, aveva lanciato in modelli funzionali ed economici, alla portata di larghe fasce della popolazione. Questa atmosfera di benessere e di ottimismo nascondeva però elementi di crisi:
La crisi scoppiò inaspettatamente nel 1929, quando la massa dei risparmiatori che aveva acquistato azioni, presa dal panico, le rivendette in blocco, causando il crollo della Borsa di New York. Masse di operai e di impiegati persero il lavoro e migliaia di famiglie proletarie e borghesi precipitarono nella miseria. Le conseguenze della crisi americana si estesero alle economie europee. La crisi dilagò fino al 1932, quando il presidente americano Roosevelt varò il New deal (“nuovo corso”). Questa espressione significava l'inizio del controllo del governo sull'economia.
La disoccupazione fu battuta:
Grazie a questi interventi l'America e l'Europa uscirono dalla crisi.
7 dal latino dux, ducis = capo, guida
La nascita e la crescita del Nazismo, così chiamato dal partito nazionalsocialista fondato da Adolf Hitler, si inquadra nella disperata situazione in cui si trovava la Germania dopo la Prima guerra mondiale: una popolazione umiliata, l'obbligo di pagare pesantissimi debiti di guerra, disoccupazione, inflazione, un governo incapace di risolvere queste emergenze e di sostenere la Repubblica di Weimar, nata nel 1919 dopo la caduta del Kaiser Guglielmo II. Nello stesso 1919 i comunisti avevano tentato una sollevazione armata per compiere una rivoluzione di tipo sovietico, ma erano stati repressi sanguinosamente. Hitler tentò a sua volta inutilmente di rovesciare il governo nel 1923 (Putsch di Monaco) e fu arrestato; ma uscì presto di prigione dove aveva intanto esposto il suo programma in un libro intitolato Mein Kampf. La sua propaganda, dopo di allora, fece leva in modo sempre più esplicito sul nazionalismo (promettendo di ricostruire il primato industriale e militare della Germania) e sul razzismo (indicando negli ebrei i responsabili della rovina tedesca).Queste due parole d'ordine, raccolte dalla maggioranza della popolazione, gli permisero nel 1932 di ottenere una vittoria elettorale di enormi proporzioni e nel 1934 di impadronirsi del potere. Proclamatosi Führer (capo) e fondatore del Terzo Reich, Hitler varò leggi eccezionali che trasformarono la Germania in una dittatura fondata sul terrore. Eliminati i suoi oppositori politici, egli varò nel 1935 le Leggi di Norimberga, che dichiaravano gli ebrei “razza inferiore" e aprivano la strada a una persecuzione di massa che portò allo sterminio di milioni di persone (non solo ebrei, ma anche zingari, omosessuali, comunisti). Intanto Hitler iniziava il riarmo della Germania e si apprestava a realizzare quel programma di espansione territoriale promesso ai suoi elettori, che avrebbe dato ai Tedeschi il dominio del mondo. Il suo alleato naturale era Mussolini, e con lui strinse un patto nel 1936 (Asse Roma-Berlino), esteso poi anche al Giappone e trasformato nel 1939 in Patto d'acciaio. L'Italia fascista, che sin dal 1935 aveva invaso l'Etiopia, intervenne a fianco dell'alleato germanico nella Guerra di Spagna, che tra il 1936 e il 1939 oppose i sostenitori del Fronte popolare (sinistre e repubblicani) ai falangisti di Francisco Franco, che alla fine riuscirono ad abbattere la repubblica e a instaurare un regime di tipo fascista. Nel frattempo, Hitler iniziava una serie di mosse che, nelle sue intenzioni, avrebbero dovuto rapidamente portarlo a dominare l'Europa. Nel 1936 ordinò all'esercito di riprendere posizione in Renania; nel 1938 invase l'Austria e la annetté alla Germania (Anschluss); quindi, nello stesso anno, occupò la regione dei Sudeti, in Cecoslovacchia, e successivamente la Boemia e la Moravia. Nel 1939, mentre Mussolini invadeva a sua volta l'Albania, Hitler concludeva un patto di non aggressione con Stalin, che gli permetteva di attuare la seconda parte del suo piano: l'occupazione della Polonia.
Il 1° settembre del 1939 le truppe naziste invasero la Polonia mettendo in atto la guerra lampo. Per reazione Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania, mentre l'Unione Sovietica occupava la Polonia orientale. Le operazioni di guerra continuarono nel 1940 con l'invasione tedesca di Norvegia e Danimarca; nel maggio i Tedeschi invasero la Francia giungendo fino a Parigi. La Francia settentrionale rimase sotto il diretto dominio tedesco, mentre in quella meridionale fu creato un governo filotedesco presieduto da Pétain. Il vittorioso ingresso dei Tedeschi in Francia spinse Mussolini a far entrare l'Italia in guerra il 10 giugno 1940. La sconfitta delle truppe italiane in Africa e in Grecia provocò l'intervento tedesco anche su questi fronti. Deciso a invadere l'Inghilterra, Hitler sottopose le città e le basi militari britanniche ad un intenso bombardamento aereo; la battaglia di Inghilterra fu però un insuccesso e Hitler, rinunciando all'invasione dell'isola, concentrò le sue forze sul fronte orientale. Dopo aver occupato la penisola balcanica, nel giugno del 1941 iniziò l'Operazione Barbarossa, attraversando senza preavviso il confine russo e giungendo, a ottobre, quasi a Mosca. Per ordine di Stalin le truppe russe si ritirarono senza dar battaglia, lasciando dietro di sé “terra bruciata ”. Ostacolati dalla guerra partigiana e dal gelo, privi di rifornimento, i Tedeschi dovettero fermarsi e la guerra lampo si trasformò in guerra d'usura. Nel frattempo il Giappone, per realizzare il suo progetto di espansione nel Pacifico, aveva attaccato Pearl Harbor, nelle Hawaii, e invaso Indocina, Filippine, Birmania, Indonesia e Nuova Guinea. Per reazione gli Stati Uniti dichiararono la guerra.
Mentre le popolazioni dei paesi occupati subivano la dura dominazione tedesca, gli Alleati prepararono la controffensiva, che iniziò all fine del 1942 e fu vittoriosa in Africa, nel Pacifico e a Stalingrado. Nel 1943, quando le truppe angloamericane sbarcarono in Sicilia, in Italia si era già
sviluppata una forte opposizione alla guerra e al fascismo. Mussolini fu messo in minoranza dagli stessi gerarchi fascisti e fatto destituire e arrestare dal re. Il nuovo capo del governo, Badoglio, firmò con gli Alleati un armistizio, reso noto l'8 settembre. I Tedeschi per reazione occuparono l'Italia, con feroci rappresaglie contro militari e civili, e liberarono Mussolini, che fondò la Repubblica sociale italiana (con sede a Salò, sul lago di Garda). Mentre le truppe alleate risalivano lentamente la penisola, dietro le retrovie tedesche si andava organizzando un movimento popolare di resistenza, che trovò il proprio punto di riferimento nel Cln (Comitato di Liberazione Nazionale). Nell'aprile 1945 le formazioni partigiane proclamarono l'insurrezione nazionale, che portò alla liberazione delle città del Nord, alla cattura e uccisione di Mussolini e alla fine della guerra in Italia. Intanto, il 6 giugno 1944 con lo sbarco in Normandia gli Alleati avevano iniziato l'offensiva finale contro la Germania: in agosto Parigi veniva liberata, mentre i sovietici arrivavano a Varsavia. Nel febbraio del 1945, a Yalta, Roosvelt, Churchill e Stalin si riunirono per concordare l'assetto da dare all'Europa dopo la sconfitta della Germania. Nel maggio 1945 Berlino fu occupata, Hitler si suicidò e la Germania si arrese. Il Giappone fu costretto alla resa nel settembre, dopo che due bombe atomiche avevano distrutto il mese prima le città di Hiroshima e Nagasaki.
Alla fine della seconda Guerra mondiale l'Europa appariva sconvolta dalla perdita di 50 milioni di persone (per la maggior parte uomini, cosa che determinò la superiorità numerica delle donne); i superstiti si ritrovarono in un mondo distrutto: molte case, scuole e industrie erano rase al suolo, l'agricoltura era stata fortemente danneggiata e per questo divenne sempre più difficile rifornire di viveri le città. Di questa situazione approfittò il mercato nero, che portò alle stelle i prezzi di alcuni generi di prima necessità.
Appena finita la guerra, il desiderio di pace delle potenze vincitrici portò alla creazione dell'ONU, un organismo internazionale che avrebbe avuto il compito di risolvere pacificamente le controversie tra le nazioni.
Gli USA, che non erano stati toccati dalla guerra nel loro paese e che ne uscivano con un'economia in espansione, erano considerati come i "liberatori" da cui aspettarsi aiuto e sicurezza.
L'URSS, per quanto danneggiata dalla guerra, venne assunta come punto di riferimento ideologico e politico dei partiti comunisti europei.
In questa situazione si tenne la Conferenza di Parigi, che stabilì il nuovo assetto dell'Europa: forti vantaggi territoriali toccarono all'URSS e alla Polonia; l'Italia perse le colonie, il Dodecaneso e parte della Venezia Giulia; la Germania, divisa in quattro zone di occupazione (sovietica, britannica, francese e americana), finì spaccata in due tronconi: la Repubblica Federale Tedesca a ovest (sotto l'influenza occidentale) e la Repubblica Democratica Tedesca a est (sotto l'influenza sovietica).
Frattanto, USA e URSS, poco prima alleati contro il nazifascismo, cominciarono a manifestare una reciproca ostilità, che nasceva innanzitutto dalla diversità dei rispettivi sistemi politici e sociali. Mentre si rafforzava l'egemonia comunista nei paesi dell'Est, da parte americana si varava il Piano Marshall di aiuti collettivi, per estendere l'influenza statunitense ai paesi dell'Europa occidentale.
Si andava dunque delineando una netta divisione del mondo in due blocchi, capitalista e comunista, divisione che provocò il succedersi di gravi momenti di tensione sul piano ideologico, politico e diplomatico, tanto aspri da far parlare di guerra fredda.
I motivi di tensione furono accentuati nel 1948 dalla crisi di Berlino, dovuta alla riunificazione dei tre settori occidentali della città e al conseguente blocco terrestre da parte dei sovietici di Berlino che, essendo in piena area comunista, restò priva di rifornimenti. Inghilterra e USA organizzarono allora un ponte aereo con Berlino, che rifornì di merci la città, permettendone la sopravvivenza.
I confini dei paesi dell'Europa orientale vennero chiusi agli occidentali, mentre negli USA il senatore Mac Carthy lanciava una vera e propria "caccia alle streghe", diretta contro i comunisti e i loro simpatizzanti o presunti tali.
Intanto nel 1949 i Sovietici costruivano la loro prima bomba atomica e rafforzavano il controllo sui
paesi satelliti, riuniti nel Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica). Infine, con la
creazione a ovest della Nato (1949) e a est del Patto di Varsavia (1955) i due blocchi si contrapponevano anche sul piano delle alleanze militari.
In Europa si diede una concreta risposta alla crisi economica fondando nel 1951 la Ceca (Comunità europea del carbone e dell'acciaio, che permise la libertà di commercio, senza dazi doganali, di fondamentali materie prime) e nel 1957 il Mec (Mercato comune europeo, composto inizialmente da sei membri: Francia, Germania occidentale, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo), che estese la libertà di circolazione a molte altre merci.
Alla fine della Seconda guerra mondiale i paesi europei possedevano ancora vaste colonie in Asia e Africa. In molte di esse erano già sorti movimenti nazionalisti che rivendicavano l'indipendenza, mentre in altre la lotta per la decolonizzazione si accompagnava a quella per la fondazione di una società socialista. Le due superpotenze non avevano stipulato alcun accordo sulla spartizione di questi territori, al controllo dei quali erano molto interessate. In Asia il primo paese che si era ribellato alle potenze europee era stato la Cina, dove, dopo una dura lotta, le forze comuniste guidate da Mao Tse-tung riuscirono nel 1949 a imporsi e instaurare la Repubblica popolare cinese. Alla vittoria comunista in Cina si ricollegano gli avvenimenti della Corea e del Vietnam. In Corea, che alla fine dell'occupazione giapponese era stata divisa in due parti (al 38° paralleo), il governo nordcoreano invase la Corea del Sud nel 1950, per riunificare il paese; ne seguì una sanguinosa guerra, in cui la Corea del Nord ebbe l'appoggio di URSS e Cina mentre la Corea del Sud fu sostenuta dagli Stati Uniti. La guerra si concluse nel 1953 con un nulla di fatto perché venne ribadita la divisione del territorio in due parti al 38° parallelo. Nel Vietnam la guerra portò al ritiro dei Francesi nel 1954, ma lasciò il paese diviso in due parti: il Nord comunista e il Sud sotto l'influenza degli Americani. In India, a partire soprattutto dalla fine della Prima guerra mondiale, si era sviluppato un movimento di opposizione non violenta contro il dominio inglese sotto la guida di Gandhi. Concedendo l'indipendenza, nel 1947 gli occidentali ne divisero il territorio: la Federazione Indiana induista e il Pakistan musulmano.
Dopo la Seconda guerra mondiale ottennero l'indipendenza anche le altre colonie inglesi in Asia e Africa. Solo in Rhodesia e in Sudafrica, paesi dotati di immense ricchezze minerarie, i coloni rifiutarono di andarsene e diedero autonomamente vita a governi indipendenti, in cui il controllo sulle maggioranze nere locali veniva attuato con leggi razziste. In modo travagliato è avvenuta anche la decolonizzazione di alcuni dei paesi affacciati sul Mediterraneo. In Palestina la creazione dello Stato di Israele, nel 1948, provocò l'esodo forzato di oltre un milione di Palestinesi verso gli altri paesi arabi. I conflitti successivi tra Israele e i paesi arabi non sono riusciti a dare un assetto definitivo alle frontiere, né a risolvere il problema dei profughi palestinesi. Nel 1956 in Egitto il presidente Nasser proclamò la nazionalizzazione del canale di Suez (controllato fino ad allora da compagnie anglo-francesi). Questa decisione colpiva direttamente gli interessi commerciali inglesi e francesi e minacciava gravemente gli Israeliani, che temevano che il presidente egiziano (capo di un paese arabo e di conseguenza nemico degli Israeliani) avrebbe vietato il passaggio delle loro navi nel Canale. Francia, Inghilterra e Israele decisero allora di intervenire militarmente e in pochi giorni ebbero ragione delle forze egiziane. Si apriva una nuova pericolosissima crisi, nella quale USA e URSS intervennero pesantemente e intimarono agli aggressori di sgombrare. Questo intervento trasformò la disfatta militare di Nasser in una grande vittoria politica. In seguito però Egitto e Israele si scontrarono ancora militarmente, fino al 1978 quando il nuovo presidente egiziano Sadat concluse la pace con lo stato nemico.
In Algeria la fine della colonizzazione francese è avvenuta in seguito a una lunga e sanguinosa lotta tra il movimento di liberazione nazionale e le forze più conservatrici che in Francia sostenevano gli interessi dei coloni. Solo l'intervento del generale De Gaulle evitò lo scatenarsi della guerra civile in Francia; dopo il ritiro delle truppe francesi, nel 1962 fu riconosciuta l'indipendenza dell'Algeria.
Drammatica è stata anche la liberazione del Congo belga, dell'Angola e del Mozambico, queste due ultime colonie portoghesi, che ottennero l'indipendenza nel 1975, grazie anche alla fine del regime dittatoriale in Portogallo.
La guerra fredda, durata dal 1947 al 1962, ebbe diverse conseguenze, tra cui l'aumento dell'armamento nucleare. La politica estera degli Stati Uniti subì una svolta: la paura per la diffusione del comunismo portò infatti gli USA a elaborare un principio in base al quale gli Americani avrebbero potuto usare gli ordigni nucleari per difendere i “paesi amici” da un eventuale attacco sovietico. Nell'URSS, invece, la guerra fredda determinò un aumento del controllo sui paesi satelliti. Verso la fine degli anni Sessanta le tensioni internazionali cominciarono ad attenuarsi e iniziò un'epoca chiamata di distensione, che ebbe al suo inizio come protagonisti il successore di Stalin, Kruscev, e il nuovo presidente degli USA, Kennedy. Kruscev diede il via al processo detto di destalinizzazione, che portò alla sostituzione degli esponenti stalinisti anche in alcuni paesi socialisti, tra cui la Polonia e l'Ungheria (1956). In Ungheria però l'intenzione del nuovo governo di uscire dal Patto di Varsavia, sostenuta da manifestazioni popolari, provocò l'intervento militare russo, che soffocò nel sangue la ribellione. In politica estera Kruscev sostenne la coesistenza pacifica e lanciò un piano di competizione economica con gli USA. Da parte sua Kennedy favorì gli incontri tra esponenti americani e russi e la collaborazione scientifica ed economica tra i due paesi. Il nuovo assetto politico fu messo alla prova in occasione delle crisi di Berlino e di Cuba, in cui fu comunque evitato il ricorso alle armi.
Nel 1961, per porre fine alle fughe di Tedeschi orientali in Occidente, mediante il passaggio dalla zona est a quella ovest della città di Berlino, Kruscev fece erigere nel giro di una sola notte un muro che dividesse le due zone della città. Il muro di Berlino riuscì effettivamente a rendere assai più difficile l'impresa di chi voleva fuggire, ma frenò il processo di distensione tra le due superpotenze, a causa dell'ondata di sdegno che investì l'Europa e gli Stati Uniti di fronte a un'azione che appariva brutale e contraria a ogni principio di libertà. Ancora più pericolosa fu la crisi di Cuba nel 1962. L'isola, distante solo 150 Km dalla Florida, aveva abbattuto nel 1958 il regime dittatoriale di Batista, dopo sei anni di guerriglia condotta da Fidel Castro. Da più di mezzo secolo l'economia dipendeva interamente da quella degli Stati Uniti, che a Cuba possedevano anche una base militare. Deciso a tagliare questi legami di dipendenza, Castro si era sempre più avvicinato all'URSS. Il presidente statunitense Kennedy decise allora di bloccare l'acquisto dello zucchero, l'unico prodotto cubano di esportazione, sperando così di soffocare l'economia dell'isola, e contemporaneamente tentò uno sbarco militare alla Baia dei Porci, che però fu respinto dai Castristi. Nello stesso anno i servizi segreti americani scoprirono che i Russi stavano installando a Cuba missili nucleari puntati contro gli USA. Per quattro giorni il mondo intero visse con la paura di essere sull'orlo di una terza guerra mondiale. La crisi si concluse con il ritiro delle installazioni missilistiche da Cuba, contro la promessa da parte degli Stati Uniti di rinunciare a ogni tentativo di invasione.
A dissuadere dall'impiego della forza in questi due momenti di crisi aveva contribuito anche l'alto grado di capacità distruttiva raggiunto dalle due superpotenze nella corsa agli armamenti. La consapevolezza della pericolosità delle armi atomiche favorì l'inizio, nel 1969 a Helsinki, dei colloqui per la limitazione delle armi strategiche (Salt). Un contributo al processo di distensione fu dato anche dal papa Giovanni XXIII, che promosse il dialogo e il rispetto di tutti gli uomini indipendentemente dalle loro idee politiche.
Malgrado la distensione, una serie di conflitti ha coinvolto le due superpotenze negli anni successivi; si è trattato però di conflitti limitati, in cui non si è fatto ricorso alle armi nucleari, anche quando una delle due superpotenze è intervenuta direttamente, come nel caso del Vietnam (il Vietnam del Nord, con l’appoggio dell’URSS e della Cina, sostenne una lunga guerra contro il Vietnam del Sud e l’esercito degli Stati Uniti, intervenuto in forze fin dal 1965; nel 1975, dopo il ritiro degli americani, il Vietnam formò un unico stato socialista).
Forti sconvolgimenti hanno interessato anche la Cina, dove si è verificata una rottura dei rapporti con l'URSS e un avvicinamento agli USA in funzione antisovietica, ma anche per favorire la modernizzazione e lo sviluppo del paese. Il principio della non interferenza tra USA e URSS nelle rispettive zone di influenza è stato sostanzialmente rispettato. Ne sono esempio esplicito la Cecoslovacchia, dove l'Unione Sovietica è intervenuta militarmente contro un tentativo di liberalizzazione, e l'America Latina, dove gli Stati Uniti hanno riaffermato il loro predominio economico. Il Giappone, uscito sconfitto dalla guerra, ha avuto una ripresa economica rapidissima e in un ventennio è diventato la terza potenza industriale del mondo.
Nei primi anni Settanta tutti i paesi occidentali furono investiti da una grave crisi economica,
causata in primo luogo dalla forte crescita del prezzo del petrolio; i prezzi di tutti gli altri prodotti aumentarono, e molti settori industriali entrarono in crisi.
Con le elezioni del 2 giugno 1946 la monarchia venne abrogata e venne eletta l'Assemblea Costituente, con il compito di preparare la nuova Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948 (sostituendo dopo cento anni lo Statuto Albertino). La collaborazione fra i partiti, che aveva facilitato i lavori dell'Assemblea Costituente, si ruppe però durante la campagna per le elezioni del '48: la Democrazia cristiana, che prima aveva la maggioranza relativa, ottenne la maggioranza assoluta e per tutti gli anni '50 guidò governi centristi.
Nel 1962, tuttavia, anche per opera di uomini politici democristiani (come Moro e Fanfani) sostenitori del dialogo con la Sinistra, venne varato il primo governo di centro-sinistra.
Malgrado i miracolosi miglioramenti della situazione economica, restavano pur sempre problemi irrisolti e squilibri profondi: l'emigrazione, lo spopolamento delle campagne, i bassi salari. In risposta al malessere di quegli anni scoppiò nel 1968 la contestazione giovanile, un fenomeno che coinvolse, oltre all'Italia, molti paesi stranieri. I giovani sessantottini contestavano i valori della società capitalistica, chiedevano un nuovo tipo di rapporti umani, sociali e politici, non soggetti al potere (del padrone in fabbrica, dei professori a scuola, dei genitori in famiglia), volevano una società egualitaria che rispondesse ai bisogni reali degli uomini e non agli interessi dei gruppi privilegiati. La protesta studentesca fu seguita dal movimento delle donne, che rivendicavano una reale parità di diritti rispetto agli uomini, e dalla lotta operaia per il miglioramento delle condizioni lavorative (autunno caldo del '69). Al disagio sociale, a partire dal 1973, si aggiunsero anche gli effetti della crisi economica, mentre il terrorismo (di destra e di sinistra ""7 Brigate Rosse) creava, con attentati e stragi, un clima di forte insicurezza. Si avvertì allora la necessità di assicurare al Paese governi stabili, che coinvolgessero tutte le forze, compreso il Partito comunista. L'esperienza di un governo di solidarietà nazionale, che doveva essere varato nel '78, fu però bruscamente interrotta dal rapimento e poi dall'assassinio, da parte delle Brigate Rosse, di uno dei suoi principali sostenitori, Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana. Dopo la morte di Moro, mentre l'impegno della Magistratura e delle forze dell'ordine riusciva a sconfiggere quasi definitivamente il terrorismo, si esaurì il clima di emergenza nel quale era nata la formula politica della "solidarietà nazionale".
Nel 1979 il Presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, affidò l'incarico di formare un nuovo governo al repubblicano Giovanni Spadolini. Era la prima volta, dal 1945, che un politico non democristiano presiedeva il governo italiano. Intanto emergeva il nuovo ruolo del Partito socialista italiano, che si proponeva come ago della bilancia per la formazione di una stabile maggioranza di governo. Dal 1983 al 1987 il segretario socialista Bettino Craxi capeggiò un governo pentapartito, formato da DC (Democrazia cristiana), PSI (Partito socialista italiano), PSDI (Partito social-democratico italiano), PRI (Partito repubblicano italiano), PLI (Partito liberale italiano). Dopo le elezioni del 1987, che premiarono la coalizione di pentapartito e penalizzarono il Partito comunista, la presidenza del Consiglio tornò alla DC.
Le elezioni del 1992 cambiano il quadro politico italiano: ottiene un grande successo la Lega Nord (una nuova formazione assai polemica nei confronti del "centralismo romano") e contemporaneamente hanno una netta flessione i partiti tradizionali, specialmente il PSI, la DC e il PCI, che, nel 1991 si era trasformato in Partito democratico della sinistra (PDS) e aveva perso parte dei suoi militanti (confluiti in Rifondazione comunista). Il risultato elettorale è stato subito interpretato come il sintomo di un profondo malessere del sistema politico e come il segnale della necessità di riforme capaci di ridare credibilità ed efficienza alle istituzioni. Riforme rese quanto mai necessarie dal gravissimo scandalo delle tangenti (Tangentopoli), che poco dopo ha decapitato intere amministrazioni e portato in carcere numerosi esponenti politici e uomini d'affari con l'accusa di corruzione e truffa ai danni dello stato.
Alla crisi morale e politica si è aggiunta anche una difficile crisi economica e finanziaria (svalutazione della Lira): allo scopo di salvare il paese dal disastro, il governo è costretto a varare misure di austerità, aumentare le tasse, limitare le prestazioni dello stato sociale (sanità, pensioni). Rimane tuttora irrisolto il problema della criminalità organizzata. Mafia, camorra e 'ndrangheta (attive soprattutto rispettivamente in Sicilia, Campania e Calabria) operano estorsioni, ricatti, speculazioni, rapimenti di persone. La mafia, in particolare, ha trovato nel traffico internazionale
della droga un'autentica miniera d'oro, che l'ha trasformata in una gigantesca impresa economica clandestina, con ramificazioni in tutti i continenti. Il denaro ricavato da questo traffico serve anche a corrompere uomini politici, a trovare protezioni e complicità. Numerosi sono coloro che sono caduti nella lotta alla mafia; tra essi ricordiamo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e i giudici Falcone e Borsellino.
Nonostante il perdurare della crisi economica innescata dal vertiginoso aumento del prezzo del petrolio e l'aggressività del terrorismo interno (ETA: baschi che lottano per l'autonomia dalla Spagna; IRA: cattolici nord-irlandesi che non accettano la sovranità britannica) e internazionale (OLP - organizzazione per la liberazione della Palestina), alla metà degli anni '70 l'Europa compie notevoli progressi politici: in Spagna e in Portogallo scompaiono le ultime dittature di stampo fascista e la Grecia si libera dal regime reazionario dei "colonnelli". Intanto gli accordi di Helsinki8 danno nuovo impulso alla distensione internazionale.
Frattanto, non appena conquistata l'indipendenza, Angola e Mozambico sono devastati da una sanguinosa guerra civile, e così il Libano, sul cui territorio si affrontano gli israeliani e i guerriglieri dell'OLP.
Nell'URSS e nei paesi satelliti cresce il dissenso (soprattutto in Cecoslovacchia, con il movimento Charta '77). Le autorità sono però inflessibili nel reprimere ogni opposizione. Ciò suscita le proteste dell'Occidente e mette in forse la distensione, già incrinata dall'espansione dell'influenza sovietica in Asia, Africa e America centrale.
In Medio Oriente, mentre l'Egitto con il presidente Sadat, riconosce lo stato d'Israele e ottiene in cambio la restituzione del Sinai, la vittoria della rivoluzione islamica9 in Iran accende un nuovo focolaio di tensione. Ben presto il nuovo regime, capeggiato dall'ayatollah Khomeini, deve affrontare un sanguinoso conflitto con l'Iraq di Saddam Hussein, che voleva impadronirsi di importanti zone strategiche. Il conflitto si conclude dopo otto anni con un nulla di fatto.
In Polonia le speranze di una liberalizzazione del regime sono di breve durata: a poco più di un anno dal riconoscimento delle libertà sindacali, un colpo di stato militar-comunista mette fuori legge il sindacato indipendente Solidarnosc (guidato da Lech Walesa).
Nel 1974 il presidente repubblicano degli USA Richard Nixon viene costretto alle dimissioni, perché coinvolto nello scandalo Watergate (operazioni di spionaggio ai danni del partito democratico). Con il presidente democratico Carter riprendono le trattative con l'URSS per la limitazione degli armamenti nucleari, ma il clima di distensione viene rovinato ben presto a causa dell'invasione militare dell'Afghanistan, ordinata dal leader sovietico Leonid Breznev. Comincia una "seconda guerra fredda", perché gli americani rispondono all'invasione sovietica con lo schieramento di missili nucleari (gli euromissili) nell'Europa occidentale. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, l'esponente della destra repubblicana Ronald Reagan, destina ingenti somme alla difesa e fa predisporre armi sempre più micidiali e sofisticate. Ciò inasprisce ulteriormente i rapporti con l'URSS, che fatica a tenere il passo.
L'avvento al potere di Michail Gorbaciov segna una grande svolta nella storia dell'URSS e del mondo intero.
La firma del trattato di Washington per l'eliminazione degli euromissili, il ritiro dall'Afghanistan e la smobilitazione della presenza sovietica in tutti i continenti consentono di passare dalla "seconda guerra fredda" a una nuova fase di distensione e dialogo tra Est e Ovest.
Un impulso decisivo in tal senso viene dallo scioglimento del Comecon e del Patto di Varsavia, con la conseguente liberazione dei paesi satelliti (Ungheria, Romania, Bulgaria, Polonia, Cecoslovacchia, Germania dell'est) dalla tutela sovietica. Nel 1989 crolla il Muro di Berlino e l'anno successivo la Germania torna unita. Una spinta liberalizzatrice travolge in rapida
8 l'URSS e i suoi alleati ottennero dall'Occidente il riconoscimento delle frontiere uscite dalla Seconda guerra mondiale e in cambio si impegnarono al rispetto dei diritti umani (impegno che però non realmente rispettato).
9 Nel 1979 il movimento degli ayatollah (sacerdoti di una setta della religione islamica) rovesciò il regime dello scià Reza
Pahlevi, il cui governo, dispotico e corrotto era appoggiato dagli americani. Il nuovo regime applicò i principi dell'integralismo islamico, demonizzando la società moderna e imponendo, con metodi non meno dispotici e crudeli di quelli dello scià, l'osservanza rigorosa e "integrale" dei precetti del Corano.
successione e in modo pacifico tutti i regimi comunisti. Solo in Romania, per abbattere la dittatura di Ceaucescu, è necessaria una sanguinosa rivolta popolare.
La situazione interna dell'URSS si evolve in modo drammatico: l'ala più estrema dei comunisti tenta di destituire Gorbaciov con un colpo di stato, ma il tentativo fallisce per il mancato sostegno dell'esercito e per la vasta mobilitazione popolare guidata da Boris Eltsin. Il golpe trascina nel suo fallimento il Partito comunista e la stessa Unione Sovietica: l'URSS cessa di esistere e le 15 repubbliche che la formavano scelgono di affrontare ognuna per proprio conto i difficili problemi ereditati dal passato. Undici di esse restano alleate nella Comunità di stati indipendenti (CSI), un organismo fragile e privo di strutture operative.
Il crollo del regime comunista in Cecoslovacchia determina la divisione pacifica del paese in due stati: la Repubblica ceca e la Repubblica slovacca.
In Jugoslavia succede invece l'opposto: gli stati che componevano la confederazione vengono dilaniati dalla guerra civile. Dopo la morte del maresciallo Tito, che aveva tenuto uniti sotto un regime di tipo socialista gli stati slavi, scoppiano gravi contrasti tra le popolazioni, diverse per etnia, religione, cultura. Negli anni '90 in Bosnia il conflitto ha conosciuto l'orrore della cosiddetta "pulizia etnica", cioè lo sterminio totale dei gruppi avversi. Solo l'intervento degli Stati Uniti ha portato alla fine delle ostilità e a un accordo, che ha sancito la divisione della Bosnia in una repubblica serba e in una federazione croato-musulmana.
Nel 1994 i Russi intervengono militarmente in Cecenia, la repubblica caucasica che ha proclamato la propria indipendenza. L'esercito russo subisce gravi umiliazioni e reagisce distruggendo gran parte del paese. La fine delle ostilità non porta a un chiaro accordo politico.
Intanto in Albania crolla il più rigoroso tra i regimi comunisti dell'Europa orientale. Il disastro dell'economia porta il paese alla fame e provoca una massiccia immigrazione illegale in Italia.
Il crollo dell'Unione Sovietica ha segnato la fine del sistema bipolare che aveva retto il mondo dopo la Seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti, forti di un indiscusso primato economico, tecnologico e militare, hanno assunto il ruolo di custodi dell'ordine mondiale. Un esempio eloquente di questo fenomeno è rappresentato dalla guerra del Golfo. Nell'agosto del 1990 l'Iraq invase l'emirato del Kuwait con il proposito di annetterselo. L'ONU condannò l'aggressione e patrocinò una spedizione militare multinazionale; di fatto, però, la conduzione politica e militare dell'intera operazione fu appannaggio degli USA, che fornirono gran parte degli effettivi e degli armamenti. Il conflitto si chiuse con la sconfitta dell'Iraq, che fu costretto a ritirarsi dal Kuwait. Oltre che sul piano militare, il ruolo guida degli USA si è manifestato anche su quello diplomatico. Grazie alla loro mediazione, infatti, israeliani e palestinesi firmarono, nel 1993 a Washington, un accordo che impegna i primi a concedere agli arabi di Palestina ampie forme di autogoverno e i secondi a riconoscere il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. La strada da compiere per giungere a una pace duratura in Medio Oriente è tuttavia ancora lunga. L'assassinio nel 1995 del premier israeliano Rabin, la vittoria delle destre nelle elezioni politiche in Israele l'anno successivo e i frequenti atti di terrorismo dinamitardo a opera di estremisti palestinesi hanno comportato gravi battute d'arresto nel processo di pace in corso.
A complicare la soluzione dello stesso problema palestinese, ma, più in generale, a scuotere l'intero mondo arabo è intervenuto, negli ultimi anni, il fenomeno dell'integralismo islamico. Gli integralisti islamici sostengono che Io Stato e la società devono essere modellati secondo i dettami del Corano e si fanno interpreti del risentimento delle masse povere del mondo arabo nei confronti del mondo occidentale. Già da tempo al potere in Iran, gli integralisti hanno rovesciato il regime comunista dell'Afghanistan; hanno spinto il leader libico Gheddafi ad accentuare il carattere anti-occidentale della sua politica; infine, in Algeria, hanno innescato una vera e propria guerra civile.
Sanguinose guerre civili si sono sviluppate negli ultimi anni, anche in molti altri Stati africani, assumendo spesso il carattere di un vero e proprio sterminio etnico. Contemporaneamente, in diversi Stati dell'America centrale e meridionale gruppi di ispirazione castrista o maoista si sono resi protagonisti di atti di guerriglia contro i regimi locali.
Il maoismo appare invece definitivamente tramontato in Cina. Superato il trauma dei fatti di piazza Tienanmen del 1989, allorché l'esercito represse nel sangue un movimento studentesco che reclamava libertà e democrazia, negli anni seguenti la Cina ha proseguito sul doppio binario
aperto da Deng Xiaoping dopo la morte di Mao (1976): progressiva apertura dell'economia al libero mercato, ma costante riaffermazione del monopolio del potere politico da parte del partito comunista.
Negli anni Ottanta e Novanta l'unità europea è stata rilanciata come un obiettivo irrinunciabile per ragioni sia di tipo economico (fronteggiare i due colossi USA e Giappone) sia di tipo politico (affermare il proprio ruolo internazionale e contrastare il rinascere dei nazionalismi).
Passi importanti in vista del raggiungimento di tale obiettivo sono stati l'approvazione, nel 1986, del cosiddetto Atto unico europeo, che ha decretato la libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone tra i paesi della CEE, e la firma, nel 1992, del Trattato di Maastricht, che ha istituito l'Unione Europea, fissando i criteri per la realizzazione, nel 1999, della moneta unica europea (l'Euro).
Parallelamente ai progressi nel processo di integrazione economica, se ne sono registrati alcuni anche in quello di integrazione politica. Sono state definite e hanno iniziato a operare istituzioni comuni, come la Commissione europea (che vigila sull'applicazione dei trattati), il Parlamento europeo, la Corte di Giustizia.
Gli anni Novanta hanno segnato la crisi del sistema tradizionale dei partiti.
Innanzitutto il crollo dei regimi comunisti nell'Europa orientale impose al PCI un profondo ripensamento della propria identità. Tale ripensamento, come abbiamo già visto, si concretizzò nel 1991 nella trasformazione del PCI in Partito democratico della Sinistra (PDS), dalla chiara connotazione riformista. In polemica con questa svolta, l'ala più legata all'eredità del vecchio PCI abbandonò il partito per dar vita a Rifondazione Comunista.
Anche le altre formazioni politiche si sono profondamente trasformate, sotto la spinta dei due diversi fattori rappresentati da Tangentopoli e dalla nuova legge elettorale, che nel 1993 introduceva in Italia il sistema maggioritario misto.
La DC decise di tornare ai valori e al nome delle origini, trasformandosi in Partito Popolare Italiano; le correnti di centro e di centro-destra non accettarono però il cambiamento e diedero vita a due piccoli partiti, il CCD e il CDU. Sul fronte della destra il MSI si trasformò in Alleanza Nazionale, dichiarando definitivamente chiusa l'esperienza fascista. Contemporaneamente sorsero formazioni del tutto nuove, quali Forza Italia e la Lega Nord. La prima è diventata il punto di riferimento degli elettori di centro preoccupati dell'avanzata delle Sinistre; la seconda si è caratterizzata come forza anti-sistema e federalista.
Le elezioni del 1994 hanno visto il successo di Forza Italia, alleata con la Lega Nord e con Alleanza Nazionale. Ne è seguita la breve esperienza del governo Berlusconi. Le elezioni del 1996 hanno segnato invece la vittoria dell'Ulivo, una coalizione di centro-sinistra guidata da Romano Prodi. Berlusconi è tornato al governo dopo le consultazioni elettorali del 2001.
Fonte: http://rossanaweb.altervista.org/blog/mater_studenti/storsunt.pdf
Sito web da visitare: http://rossanaweb.altervista.org
Autore del testo: R. Cannavacciuolo
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