Significato generale della rivoluzione copernicana

Significato generale della rivoluzione copernicana

 

 

 

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Significato generale della rivoluzione copernicana

 

LA RIVOLUZIONE
COPERNICANA
1 – Significato generale della rivoluzione copernicana
Con la pubblicazione del De revolutionibus orbium coelestium (Le rivoluzioni dei corpi celesti) nel 1543, anno stesso della sua morte, Niccolò Copernico (il polacco Nikolaj Kopernik) diede inizio ad una radicale trasformazione della concezione che l’uomo aveva dell’universo, del suo rapporto con esso e, di conseguenza, di se stesso.
L’aver posto il Sole al centro dell’universo, facendo ruotare la Terra attorno ad esso, come tutti gli altri pianeti, provocò una rivoluzione di idee, negli anni successivi, in almeno tre ambiti concatenati fra loro: astronomico, scientifico e filosofico.
In ambito astronomico poiché Copernico si propose di migliorare matematicamente le previsioni delle posizioni astronomiche dei corpi celesti, rispetto alla teoria aristotelico-tolemaica, trasferendo al Sole molte funzioni astronomiche in precedenza attribuite alla Terra.
In ambito scientifico perché la sua ipotesi costrinse le altre scienze, in particolare la fisica, ad affrontare e risolvere nuovi problemi, generando quel fermento intellettuale noto come “rivoluzione scientifica”.
In ambito filosofico, infine, poiché lo spostamento “geometrico” dell’uomo dal centro del cosmo investiva i rapporti dell’uomo con l’universo e con Dio, diventando il centro focale delle drammatiche controversie religiose, filosofiche e sociali che segnarono il passaggio dal medioevo alla moderna società occidentale, fissando l’orientamento del pensiero nei secoli successivi.
Eppure, come ci fa notare il grande storico e filosofo della scienza Thomas S. Kuhn, inizialmente “la rivoluzione riguardava i dettagli più oscuri ed astrusi della ricerca astronomica” ; in generale costituiva il tentativo di ridurre l’estrema complessità geometrica del bimillenario modello aristotelico-tolemaico.
Ma cosa significa “complessità” dell’astronomia tolemaica?
Per rispondere a questa semplice, ma fondamentale domanda, e al fine di poter apprezzare pienamente la genesi della rivoluzione copernicana, dobbiamo ripercorrere le tappe fondamentali di formazione e affermazione del modello aristotelico-tolemaico.
2 – Perché l’astronomia aristotelico-tolemaica era troppo “complessa”?
Possiamo far iniziare questa storia nel IV secolo a.C, con Platone. A Platone il modello dell’universo geocentrico appariva, più o meno, così:

agli albori della filosofia greca Anassimandro aveva elaborato il suo modello meccanico dell’universo, con il cilindro terrestre che stava sospeso immobile nel suo centro; i pitagorici, pur ponendosi fuori dal coro (con la loro idea del “fuoco centrale” e della Terra ruotante attorno ad esso) avevano introdotto l’idea della sfericità dell’universo e, per analogia, della stessa Terra.
Tutti questi modelli, ad eccezione di quello pitagorico, presupponevano e davano per scontato il “geocentrismo”, una concezione derivante sia dallo spontaneo “antropocentrismo” dell’uomo che stava compiendo i primi passi della conoscenza di sé e dell’universo, sia dalla testimonianza dei sensi, ovvia per l’uomo comune, ma anche per quegli studiosi che, scrutando il cielo ad occhio nudo, assistevano quotidianamente allo spettacolo di un firmamento che sembrava ruotare attorno a loro ogni 23 ore e 56 minuti.
Al dogma geocentrico Platone, nel Timeo, aggiunge un secondo dogma, il moto circolare uniforme della sfera delle stelle fisse e dei pianeti, che condizionerà tutta l’astronomia successiva fino a Copernico.
Nella mitica descrizione di come un “divino artefice” plasmasse la materia amorfa per formare il grande organismo dell’Universo, così si esprime Platone:
<<E tale fu il suo criterio [del Creatore]: prima, che il tutto fosse, per quanto possibile, un vivente perfetto, costituito di parti perfette, inoltre che fosse uno, non essendo lasciata nessuna condizione da cui potesse nascere un altro essere simile, sì che fosse anche immune da vecchiezza e malattia…
Ecco perché tornì l’universo come una sfera, in forma circolare, ugualmente distante, in ogni parte, dal centro alle estremità, che è fra tutte le figure la più perfetta e la più simile a se medesima, ché Dio giudicò il simile infinitamente più bello del dissimile. E la superficie esterna tutta, per molte ragioni, egli fece perfettamente liscia. Innanzi tutto perché il mondo non aveva alcun bisogno di occhi, ché nulla, al di fuori, v’era rimasto da vedere, né d’orecchi, ché nulla era rimasto da udire… nulla gli si sarebbe potuto aggiungere donde che fosse, poiché non v’era nulla al di fuori di lui. Sì, perché il mondo è stato fatto ad arte in modo che da se medesimo si nutre (con la sua stessa corruzione) e tutto agisce e patisce in sé e per sé… Al mondo egli ha dato invece il movimento più adeguato al suo corpo… Ecco perché, imprimendo al mondo una rotazione uniforme, nello stesso luogo, lo ha fatto muovere con moto circolare>> .
Una sfera perfetta, la sola superficie completamente simmetrica (immagine simbolica dell’Essere parmenideo), eterna e incorruttibile, diventa, agli occhi di Platone, la forma più plausibile per pensare l’animale cosmico di cui ci sta mostrando la genesi e, dovendosi muovere, si muoverà del moto più vicino all’immutabilità dell’Essere, ovvero una rotazione eterna attorno a se stessa, che occupa esattamente la medesima porzione di spazio in ogni istante del suo moto.
2.1 – Le contraddizioni tra teoria e osservazione
Sennonché questo modello astronomico si scontrava con l’osservazione empirica dei pianeti allora conosciuti, le “stelle erranti”: Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. Questi, rispetto a come avrebbero dovuto comportarsi (con moto circolare uniforme su sfere geocentriche) si comportavano “apparentemente” in modo irregolare, generando le seguenti tre contraddizioni rispetto alla teoria platonica:
a) Variazioni di luminosità dei pianeti nel tempo, attestanti una “inammissibile” variazione di distanza dalla Terra (derivante in realtà dal moto della Terra e dai diversi tempi di rivoluzione dei pianeti intorno al Sole).
b) Variazioni di velocità, ovvero “inammissibili” accelerazioni e decelerazioni dei pianeti (derivanti in realtà dal moto dei pianeti su un’orbita ellittica attorno al Sole, che ne occupa uno dei due fuochi, moto più o meno veloce a seconda che il pianeta si avvicini o si allontani dal “fuoco”).
c) Moti di retrocessione dei pianeti che, nel loro
graduale moto verso est, “retrocedono” periodicamente,
per un breve tratto, verso ovest (questo moto “retrogrado”
deriva, in realtà, dai moti relativi dei vari pianeti visti dalla
Terra supposta immobile).
Per comprendere meglio le contraddizioni tra il modello teorico e le osservazioni empiriche delle “stelle erranti”, si può confrontare il modello platonico con il modello di Keplero, corrispondente ai “reali” moti dei pianeti nel sistema solare:

MODELLO PLATONICO

2.2 – Le sfere omocentriche di Eudosso
Sembra che sia stato proprio Platone il primo a formulare il problema delle “irregolarità” dei pianeti, chiedendosi: <<Quali sono i movimenti uniformi e ordinati che si devono assumere per giustificare il moto apparente dei pianeti?>> .
Ovvero, senza mettere minimamente in discussione i due dogmi fondamentali (“geocentrismo” e “moti circolari uniformi”), Platone si sta chiedendo quali combinazioni di moti circolari uniformi dei pianeti possono dare come risultato visibile le apparenti irregolarità.
Il primo studioso a dare una plausibile risposta all’interrogativo platonico fu Eudosso di Cnido (408-355 a.C. circa), allievo di Platone, e uno dei più insigni matematici dell’antica Grecia.

Le sfere, che per Eudosso erano solo delle entità geometriche utili a descrivere il moto planetario, assunsero per Aristotele una realtà fisica. Innanzitutto, per motivi derivanti dal carattere di costruzione materiale che egli attribuiva alla “macchina celeste”, introdusse per ogni pianeta altre tre sfere, dette “reagenti”, che dovevano compensare i movimenti delle precedenti permettendo alla successiva (ovvero la prima sfera del pianeta seguente) di mantenere i poli fissi sui poli celesti, garantendo così l’intero cinematismo planetario. Considerando che Sole e Luna non hanno “retrogradazioni”, e nel sistema di Eudosso il loro moto dipende da due sole sfere, il numero totale delle sfere necessarie a muovere 7 corpi celesti (5 pianeti più Sole e Luna) risultava essere 49: cominciamo ad avere un’idea di cosa significhi “complessità” dell’astronomia aristotelico-tolemaica!
Inoltre, essendo la cosmologia aristotelica strettamente integrata nel suo pensiero filosofico complessivo, in particolare nella teoria del moto, dovendo attribuire materialità alle sfere celesti, il filosofo dedusse che i cieli dovessero essere costituiti da una “quinta essenza” rispetto ai quattro elementi della Terra (terra, acqua, aria, fuoco), poiché a quest’ultimi compete solo il moto rettilineo, secondo la teoria dei “luoghi naturali”. Questa sostanza celeste, che gli antichi chiamarono etere (<<derivando per esso questa denominazione dal suo correre per sempre per l’eternità>>) doveva essere eterna, inalterabile e incorruttibile, il cui moto, cioè il moto di tutte le sfere astrali, doveva essere “per natura” circolare e uniforme.
Come osserva T. S. Kuhn: <<Nessun’altra teoria cosmologica completa come quella aristotelica incorporò mai il sistema matematico di epicicli e deferenti che, nei secoli successivi alla morte di Aristotele, fu adottato per spiegare il moto planetario. Il concetto che i pianeti siano posti in involucri sferici ruotanti, concentrici alla Terra, rimase fino all’inizio del secolo XVII una parte accettata del pensiero cosmologico… Nel titolo della grande opera di Copernico, De Revolutionibus Orbium Caelestium, le orbes o sfere non rappresentano i pianeti stessi, ma piuttosto gli involucri sferici concentrici in cui sono posti i pianeti e le stelle>> .
2.3 – Epicicli e deferenti di Apollonio e Ipparco
Come abbiamo già accennato, il sistema omocentrico di Eudosso venne presto abbandonato dagli astronomi poiché non era in grado di spiegare la variazione di luminosità dei pianeti: se ogni pianeta veniva mosso da una sfera geocentrica, come poteva variare la sua distanza dalla Terra (il punto d’osservazione) giustificando così la sua variazione di luminosità?
La soluzione venne trovata da due astronomi e matematici greci: Apollonio (262-180 a.C.) e Ipparco (190-120 a.C.) con il sistema “epiciclo su deferente”.
L’epiciclo è un piccolo cerchio che ruota con
velocità uniforme attorno ad un punto della
circonferenza di un secondo cerchio rotante,
il deferente. Il pianeta P è posto sull’epiciclo
e il centro del deferente coincide con il centro
della Terra [a].
Nell’ipotesi in cui per ogni giro completo del
deferente l’epiciclo compia tre giri, il moto
combinato che essi generano nel piano
dell’eclittica è illustrato nella fig.[b].
La figura [c] mostra una parte del moto del
pianeta P (1-2-3-4), com’è visto da un
osservatore sulla Terra centrale T .
Quindi, quando il pianeta si trova nella sua
posizione più vicina alla Terra, i due moti si
compongono in modo da generare un moto
risultante (2-3) diretto verso ovest o di
retrocessione. Negli altri punti della traiettoria
(fuori dai piccoli occhielli) il pianeta si sposta normalmente verso est, ma con velocità variabile. Inoltre (e questa è la caratteristica che rende “vincente” il sistema epiciclo-deferente rispetto alle sfere omocentriche di Eudosso) il pianeta può retrocedere solo quando la sua distanza dalla Terra è minima, il che coincide approssimativamente con la posizione in cui lo stesso pianeta dovrebbe apparire, e effettivamente appare, più luminoso, risolvendo così il “mistero” della variazione di luminosità delle “stelle erranti”.
Il sistema “epiciclo su deferente” costituì una buona ed originale interpretazione dei principali moti planetari, ma non riusciva a spiegare dettagliatamente tutte le irregolarità minori (per esempio, gli intervalli di tempo tra due successive retrocessioni non erano sempre esattamente gli stessi).
Per perfezionare le previsioni sui moti planetari più complicati, venne adottata anche l’ingegnosa combinazione di epiciclo (minore) su epiciclo su deferente :

In questo caso, se l’epiciclo maggiore compie otto giri in direzione est e il minore ne compie uno in direzione ovest per ogni rotazione del deferente, allora la traiettoria descritta dal pianeta entro la sfera delle stelle è quella illustrata in figura (b).
Gli sviluppi e le correzioni del sistema epiciclo-deferente culminarono, nel II sec. d. C., nell’elaborato sistema planetario di Tolomeo (100-178 d. C.): il più completo sistema astronomico dell’antichità.
2.4 – La sintesi di Tolomeo
Tolomeo nel suo trattato Almagesto, compendia le più grandi conquiste dell’astronomia antica, offrendo una “spiegazione completa, particolareggiata e quantitativa di tutti i moti celesti” .
Nel sistema tolemaico il moto proprio di ogni pianeta risulta ancora dalla combinazione dei moti di epicicli su deferenti, ma il deferente è eccentrico rispetto alla Terra e il moto del centro dell’epiciclo lungo il deferente è uniforme rispetto a un punto (equante) simmetrico alla Terra rispetto al centro del deferente stesso.
Questo significa che, per la prima volta, l’esigenza
di “far tornare i conti” con l’osservazione segna una
increspatura nell’antico dogma platonico del moto
circolare uniforme. Infatti il moto che rimane uniforme è solo quello angolare, “spazzato” dalla congiunzione del centro dell’epiciclo con il punto equante.
Pertanto, osservando il pianeta dal centro geometrico del suo deferente, sembra che quest’ultimo si muova a
velocità “irregolare” o che ondeggi.
<<Proprio in forza di questo apparente ondeggiare, Copernico ritenne che l’equante non fosse un accorgimento legittimo per applicazioni astronomiche.
Per lui le irregolarità apparenti della rotazione erano violazioni della simmetria circolare uniforme che rendeva il sistema di epicicli, deferenti ed eccentrici così plausibile ed attraente. Poiché l’equante veniva spesso applicato anche agli eccentrici e poiché accorgimenti di questo genere facevano pure occasionalmente ondeggiare l’epiciclo, non è difficile immaginare come Copernico abbia potuto considerare mostruoso questo aspetto dell’astronomia tolemaica>> .
Se aggiungiamo che i successori di Tolomeo, per migliorare ulteriormente la precisione nei calcoli dei moti planetari, aggiunsero epicicli ad epicicli su deferenti, ed eccentrici ad eccentrici con equanti, abbiamo un quadro intuitivamente completo della complessità, antieconomicità (o “mostruosità”) del sistema che, nel 1543, si trovava sotto gli occhi di Copernico.
Le sue obiezioni di tipo “estetico” costituirono un motivo essenziale, anche se non l’unico, per respingere il sistema tolemaico e ricercare un metodo di calcolo radicalmente nuovo.
3 – La “rivoluzione” di Copernico
3.1 – Le concause della rivoluzione copernicana
Se la “complessità” fu la causa interna maggiormente determinante per l’abbandono del sistema astronomico tolemaico, altre cause esterne agirono contemporaneamente, nell’epoca rinascimentale, nel portare Copernico ad azzardare l’ipotesi eliocentrica.
Queste concause furono:
a) L’incremento dei viaggi e delle esplorazioni successivi alla scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo (avvenuta nel 1492, quando Copernico aveva 19 anni).
La necessità di tecniche di navigazione e mappe sempre più perfezionate portò gli astronomi e i geografi dell’epoca ad accorgersi di quanto fossero sbagliate le antiche descrizioni della Terra; in particolare di quanto avesse sbagliato Tolomeo che, oltre ad essere stato il più grande astronomo dell’antichità, fu anche il più grande geografo. Questa perdita di autorità in campo geografico portò Copernico a ritenere che Tolomeo avrebbe potuto errare anche nel campo ad esso strettamente collegato, ovvero quello astronomico.

Mappamondo di Mercatore (1587) – Londra, British Museum
b) Il movimento per la riforma del calendario.
Gli errori accumulatisi nel calendario giuliano, associati alle nuove esigenze economiche e amministrative delle unità politiche che si andavano formando nel XVI secolo, portavano alla necessità di individuare un più efficiente sistema di calcolo delle date. Il papato, a tal fine, chiese proprio la consulenza di Copernico, già insigne matematico e astronomo, il quale si rese subito conto che le osservazioni e le teorie astronomiche esistenti non permettevano la compilazione di un calendario adeguato. Quindi, per stessa ammissione di Copernico, la riforma del calendario esigeva la riforma dell’astronomia.
c) Il neoplatonismo umanistico e la convinzione di poter individuare nella natura semplici regolarità aritmetiche e geometriche.
L’antica tradizione pitagorico-platonica, passata nel neoplatonismo, vedeva nella matematica <<l’eterno e il reale fra le apparenze imperfette e cangianti del mondo terrestre. I triangoli e i cerchi della geometria piana erano gli archetipi di tutte le forme platoniche. Essi non esistevano in alcun luogo (nessuna linea o punto disegnati sul foglio soddisfano i postulati di Euclide), ma erano dotati di proprietà sicuramente eterne e necessarie che solo la mente umana poteva scoprire e che, una volta scoperte, potevano essere osservate vagamente riflesse negli oggetti del mondo reale… Domenico Maria da Novara, amico di Copernico e suo docente a Bologna… fu tra i primi a criticare la teoria planetaria tolemaica con argomentazioni neoplatoniche, ritenendo che nessun sistema così complesso e pesante potesse rappresentare il vero ordine matematico della natura. Quando l’allievo di Novara, Copernico, lamentava che gli astronomi tolemaici “sembrano violare i principî basilari dell’uniformità del moto” e che essi erano stati incapaci “di dedurre la cosa più importante, vale a dire la forma dell’universo e l’immutabile simmetria delle sue parti” si inquadrava nella stessa tradizione neoplatonica>> .
d) Il neoplatonismo umanistico e il culto del sole.
Il Dio del neoplatonismo era un principio infinito che, nel suo processo di emanazione, si moltiplicava in una immensa varietà di forme che da lui scaturivano. Nell’universo corporeo questa potenza emanatrice e feconda era mirabilmente rappresentata dal Sole che irradiava nel mondo luce, calore e vita.
Infatti, nella letteratura e nell’arte del Rinascimento si trova spesso proprio questa identificazione simbolica del Sole con Dio.
E’ il caso della figura centrale dell’accademia umanistico-neoplatonica fiorentina del XV secolo, Marsilio Ficino, che elabora questa identificazione nel suo Liber de Sole, dove l’equazione simbolica Dio=Sole, si arricchisce attraverso altre coppie di concetti-metafore, come Bene=Luce e Amore=Calore, e si conclude con una esplicita esortazione:
<<Guardate dunque ai cieli, ve ne prego, cittadini della patria celeste... Il Sole può rappresentare Dio stesso per voi, e chi oserà dire che il Sole è falso?>> .
Sebbene con Ficino ci troviamo molto lontani dalla scienza, la sua influenza filosofica fa breccia anche nella mente del matematico neoplatonico Copernico, che comincia a non ritenere più idonea alla dignità del Sole nessun’altra posizione nello spazio che non fosse quella centrale:
<<E in mezzo a tutto sta il Sole. Chi infatti, in tale splendido tempio, disporrebbe questa lampada in un altro posto o in un posto migliore di questo, da cui poter illuminare contemporaneamente ogni cosa? Dacché non a sproposito taluni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri regolatore. Trismegisto lo definisce il Dio visibile, l’Elettra di Sofocle colui che vede tutte le cose. Così il Sole sedendo in verità come su un trono regale governa la famiglia degli astri che gli fa corona>> .
RIEPILOGO: LE <<CONCAUSE>> DELLA RIVOLUZIONE COPERNICANA
3.2 – La nuova geometria dell’universo e le obiezioni contro il moto della Terra.
Dal punto di vista puramente geometrico il nuovo modello dell’universo proposto da Copernico è “eliocentrico”: intorno al Sole, immobile, ruotano nell’ordine Mercurio, Venere, la Terra con la Luna come satellite, Marte, Giove e Saturno. Tutto attorno l’universo è ancora “chiuso” dalla sfera delle stelle fisse.
Le stelle sono immobili come il Sole e il loro moto diurno è solo apparente, in quanto dovuto alla rotazione della Terra su se stessa, così come è apparente, per lo stesso motivo, il moto diurno del Sole; anche il moto annuo del Sole è apparente, ed è dovuto al moto della Terra intorno al Sole.
Oltre a mantenere la sfera delle stelle fisse, Copernico rimane inoltre vincolato all’idea platonica dell’esistenza di sfere in moto circolare uniforme (le orbium caelestium di cui si parla nel titolo
dell’opera) in cui sono incastonati i pianeti,
compresa la Terra.
Come si può notare, fermo restando il merito indiscutibile di aver scardinato la tradizionale visione “geocentrica” del cosmo in favore dell’eliocentrismo, la “rivoluzione copernicana” per molti altri aspetti fu “poco rivoluzionaria”. Infatti, rispetto al progetto iniziale di semplificazione geometrica dell’universo, per poter spiegare tutti i fenomeni celesti, mantenendo l’universo sferico, circolare uniforme e senza ricorrere ad equanti, Copernico dovette introdurre nuove sfere eccentriche ed epicicli, in modo tale da ottenere alla fine un sistema altamente complesso, paragonabile a quello tolemaico che voleva superare.
Altre difficoltà nacquero dalla rotazione della Terra attorno al proprio asse.
Gli astronomi tolemaici, rifacendosi alla fisica aristotelica dei “luoghi naturali” e alle obiezioni dello stesso Tolomeo contro il moto della Terra, fecero notare che, se la terra ruotasse, almeno con una rivoluzione quotidiana, dovrebbe avere una grandissima velocità, tale da provocare la disintegrazione dello stesso pianeta per la forza centrifuga che disperderebbe tutte le sue parti nello spazio; né potrebbero rimanere ferme tutte le creature animate e inanimate presenti sulla superficie della Terra.
Inoltre tutti gli oggetti cadenti da una qualche altezza (per esempio dalla cima di una torre) non potrebbero cadere al suolo nel punto che sta esattamente sulla verticale rispetto al punto di partenza (quindi ai piedi della torre), poiché nel frattempo quel punto, per la gran velocità della Terra, si sarebbe spostato verso oriente. Infine, vedremmo le nubi, gli uccelli e tutte le cose sospese nel cielo spostarsi sempre verso occidente.
A simili obiezioni il matematico Copernico rispondeva solo in modo aprioristico, attribuendo alla Terra un “moto naturale”, evitando così la vera spiegazione dei fenomeni che, in questo caso, può essere solo di tipo fisico e verrà fornita più avanti da Galileo Galilei, contestualmente alla fondazione della fisica moderna, in particolare attraverso l’elaborazione del cosiddetto “principio della relatività galileiana”.
Oltre alle contraddizioni di tipo fisico, il moto della Terra incontrò difficoltà (forse più gravi per l’opinione pubblica) di tipo teologico, in un primo tempo da parte dei protestanti.
Proprio la fedeltà alla lettera della Bibbia, considerata la sola fonte del sapere cristiano, al di là delle varie sottigliezze interpretative tipiche della Chiesa cattolica, faceva del protestantesimo il primo baluardo contro l’eresia copernicana.
A questo proposito è utile ricordare che Andreas Osiander, il teologo luterano che si occupò della stampa del De Revolutionibus, nella sua Prefazione anonima (senza il benestare di Copernico) aveva incoraggiato i lettori ad avvalersi della possibilità che il circolo rappresentante l’orbita della Terra fosse solo un a “finzione matematica” utile per i calcoli, come se la Terra si muovesse, ma senza nessuna pretesa di rispecchiare la realtà autentica del mondo.
Sembra che lo stesso Martin Lutero, già prima della pubblicazione del De Revolutionibus, in uno dei suoi Discorsi a tavola, tenuto nel 1539, affermasse:
<<La gente ha prestato orecchio ad un astrologo da quattro soldi, il quale s’è dato da fare per dimostrare che è la Terra che gira, e non i cieli e il firmamento, il Sole e la Luna... Questo insensato vuole sovvertire l’intera scienza astronomica; ma la Sacra Scrittura ci dice [Giosuè 10.13] che Giosuè ordinò al Sole, e non alla Terra, di fermarsi>> .
Allo stesso modo, il primo discepolo di Lutero, Melantone, si incaricò di raccogliere un certo numero di citazioni bibliche anticopernicane: <<la Terra rimane sempre al suo posto... il Sole sorge e tramonta e torna al luogo dal quale s’è levato>> [Ecclesiaste 1.4-5].
Anche Calvino, commentando la Genesi, citò il versetto iniziale del Salmo XCIII: <<resa stabile è anche la Terra, che non vacillerà>>, domandandosi chi avrebbe avuto l’ardire di porre l’autorità di Copernico al di sopra di quella dello Spirito Santo.
Agli inizi del XVII secolo sempre più frequentemente i copernicani venivano definiti “infedeli” e “atei”, fin quando, dopo il 1610, anche la Chiesa cattolica si aggregò alla lotta contro il copernicanesimo, che diventò un’eresia, arrivando, nel 1616, a porre all’Indice il De Revolutionibus e tutti gli altri scritti che sostenevano il moto della Terra.

3.3 – Il sistema “ticonico”
Tutti i problemi “copernicani”, di carattere fisico e teologico, relativi al moto della Terra vennero temporaneamente risolti, nella seconda metà del XVI secolo, dal grande astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601).
Egli fu il migliore fra tutti gli osservatori ad occhio nudo ed elaborò nuove tecniche di osservazione astronomica che migliorarono notevolmente il grado di precisione nel calcolo della posizione dei pianeti.
Fu un convinto sostenitore dell’immobilità della Terra, ma l’ammirazione per le armonie matematiche introdotte nell’astronomia dal De Revolutionibus, pur non convertendolo al copernicanesimo, incrementarono la sua insoddisfazione per il sistema tolemaico, che abbandonò, inventando un terzo sistema astronomico, detto appunto “ticonico”.
In questo sistema: <<La Terra è di nuovo ferma nel centro geometrico di una sfera stellare, la cui rotazione quotidiana spiega i circoli giornalieri delle stelle. Come nel sistema tolemaico, il Sole, la Luna e i pianeti sono fatti quotidianamente ruotare con le stelle in direzione ovest dalla sfera esterna e possiedono inoltre un loro proprio moto orbitale in direzione est… I circoli della Luna e del Sole sono centrati sulla Terra: fino a questo punto il sistema è ancora tolemaico. Ma il centro delle altre cinque orbite planetarie è trasferito dal centro della Terra al Sole… La caratteristica più notevole e storicamente significativa del sistema ticonico è la sua funzionalità come soluzione di compromesso dei problemi sollevati dal De Revolutionibus.
Poiché la Terra è stazionaria e centrale, tutte le argomentazioni più importanti addotte contro la proposta di Copernico perdono la loro validità.
La Scrittura, le leggi del moto, l’assenza della parallasse stellare, tutto viene rimesso d’accordo dal sistema proposto da Brahe e questa riconciliazione è effettuata senza sacrificare alcuna delle principali armonie matematiche di Copernico. Il sistema ticonico risulta in effetti, dal punto di vista matematico, esattamente equivalente a quello copernicano>> .
Conservando i vantaggi matematici del sistema copernicano, senza gli inconvenienti fisici e teologici, il sistema ticonico costituì un compromesso quasi perfetto, fortemente avvertito tra gli astronomi della seconda metà del XVI secolo.
Brahe, pur essendo un “conservatore”, produsse, con la sua opera, effetti “non conservatori”. Infatti, con l’equivalenza geometrica tra i due sistemi, contribuì a far conoscere agli astronomi i problemi matematici dell’astronomia copernicana, ma, soprattutto,
contribuì all’abbandono delle sfere cristalline
(orbium) di origine aristotelica, introducendo il
concetto di orbita.
Se infatti guardiamo il sistema ticonico rappresentato in figura, vediamo che la sfera di Marte interseca quella del Sole, così come la sfera del Sole interseca le sfere di Mercurio e Venere. Sia il Sole che i pianeti non possono quindi essere incorporati in sfere materiali che li facciano ruotare, poiché le sfere penetrerebbero le une nelle altre e si muoverebbero, in ogni istante, le une attraverso le altre, il che è impossibile.
Così Brahe, per legittimare il suo sistema, ha dovuto sostituire il concetto fisico di orbe con quello matematico di orbita, contribuendo involontariamente al superamento di un aspetto essenziale della tradizione cosmologica aristotelico-tolemaica che costituiva uno dei principali ostacoli all’affermazione del copernicanesimo.
3.4 – Keplero e la soluzione del problema dei pianeti
Grazie all’abbandono delle sfere cristalline in favore delle semplici orbite, alla vastità e all’attendibilità dei dati osservativi forniti da Tycho Brahe, il suo giovane collega Johannes Kepler (1571-1630) riuscì a compiere il passo definitivo per la soluzione del problema dei pianeti, nato, come abbiamo visto, all’epoca di Platone.
Kepler, copernicano convinto per tutta la vita, fu addirittura critico nei confronti di Copernico per non aver osato andare oltre dopo aver scambiato di posto il Sole con la Terra. In particolare Copernico rimase troppo fedele a Tolomeo nell’attribuire alla Terra uno statuto speciale (disegnando tutti i piani orbitali in modo che si intersecassero nel centro della Terra, come accadeva nel sistema tolemaico), invece di trattarla come un qualsiasi pianeta (facendo quindi intersecare i piani delle orbite nel Sole).
In questa nuova ottica Kepler lavorò per quasi dieci anni sui dati osservativi del moto di Marte lasciati in eredità da Brahe. Dovevano essere calcolate contemporaneamente l’orbita di Marte e quella della Terra da cui Marte viene osservato. Kepler fu costretto a cambiare più volte la combinazione dei cerchi usati per il calcolo di queste orbite. <<Una lunga serie di tentativi senza successo portò Kepler alla conclusione che nessun sistema basato sulla combinazione di circoli avrebbe potuto risolvere il problema. Qualche altra figura geometrica, egli pensò, doveva fornire la soluzione. Provò con vari tipi di figure ovali, ma nessuna riusciva a eliminare le discordanze fra la sua teoria sperimentale e l’osservazione. Poi, per caso, notò che le discordanze stesse variavano con una legge matematica familiare e ricercando questa legge scoprì che teoria e osservazione potevano andare d’accordo se i pianeti si muovevano in orbite ellittiche con velocità variabili secondo una semplice legge che egli pure enunciò>> .
La prima legge di Kepler sostiene infatti che i pianeti si muovono in semplici orbite ellittiche di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.
La seconda legge di Kepler completa la descrizione del moto fatta dalla prima legge: la velocità orbitale di ciascun pianeta varia in modo tale che il segmento di retta che congiunge il Sole con il pianeta spazza, in tempi uguali, uguali porzioni di superficie dell’ellisse.
<<Quando alle orbite circolari fondamentali dell’astronomia di Tolomeo e Copernico si sostituiscono le ellissi e quando alla legge del moto uniforme attorno a un punto posto nel centro o vicino al centro si sostituisce la legge delle superfici uguali, vien meno ogni bisogno di eccentrici, epicicli, equanti ed altri espedienti ad hoc. Per la prima volta una singola curva geometrica, non combinata con altre curve, ed una singola legge di moto sono sufficienti per poter prevedere la posizione dei pianeti e per la prima volta queste previsioni risultano precise quanto le osservazioni>> .
Non dobbiamo però pensare che questi risultati eccezionali siano stati solo il frutto della grande disponibilità di dati sperimentali e del convinto copernicanesimo di Kepler.
Di fondamentale importanza, se non decisiva, è stata la sua convinta “fede” neoplatonica che, in termini fisico-astronomici, si traduceva nella convinzione che tutti i fenomeni naturali fossero governati da leggi matematicamente semplici e che il Sole fosse la causa di tutti i moti celesti.
L’origine della seconda legge <<Fu infatti dovuta più che altro all’intuizione fisica di Kepler che i pianeti siano spinti lungo le loro orbite dai raggi di una forza motrice, l’anima motrix, che si sprigiona dal Sole... Pertanto il numero di raggi che arrivavano ad urtare un pianeta e la loro forza corrispondente che guidava il pianeta attorno al Sole dovevano diminuire con il crescere della distanza fra il pianeta e il Sole... Ma la fede di Kepler nelle armonie matematiche e la funzione di questa fede nella sua opera sono espresse più vigorosamente in un’altra delle leggi che l’astronomia moderna ha ereditate da lui>> .
Si tratta della cosiddetta terza legge di Kepler (annunciata nel 1619 nelle Armonie del mondo) che stabilisce una relazione tra le velocità dei pianeti che si muovono in orbite differenti.
Secondo questa legge il rapporto tra i quadrati dei periodi orbitali di due pianeti (i tempi necessari ai due pianeti per completare il circuito delle loro orbite) è uguale al rapporto fra i cubi delle loro distanze medie dal Sole. Ovvero, se indichiamo con T1 e T2 i periodi e con R1 e R2 le distanze medie dei pianeti dal Sole, avremo: (T1/T2)² = (R1/R2)³.
Sebbene nei primi decenni del ‘600 questa legge non ebbe un’utilità pratica immediata, essa esercitò un grande fascino su Kepler, proprio perché stabiliva una regola mai prima d’allora osservata nel sistema planetario. Per il neoplatonico matematico o neopitagorico Kepler, convinto che tutto nella natura si manifestasse secondo semplici regole matematiche (che gli scienziati dovevano scoprire), una regola matematica semplice, come quella della terza legge, costituiva essa stessa una giustificazione.
<<Per lui la terza legge, in se stessa e di per se stessa, spiegava perché le orbite planetarie fossero state tracciate da Dio in quel loro particolare modo, e tale tipo di spiegazione, derivato dall’armonia matematica, è quello che Kepler cercò continuamente nei cieli>> .
4 – La rivoluzione copernicana e il posto dell’uomo nell’universo
4.1 – Giordano Bruno: dal “mondo chiuso” all’”universo infinito”
La rivoluzione copernicana giunse al suo pieno compimento solo con la filosofia dell’infinito di Giordano Bruno (1548-1600). Abbiamo già accennato agli aspetti “conservatori” della cosmologia copernicana, in particolare, pur essendo immenso, smisurato, enormemente più ampio dell’universo tolemaico, l’universo copernicano è ancora finito. Copernico non abbandona la teoria delle sfere celesti, né pone in crisi, come faranno i suoi successori, la concezione che la sfera delle cosiddette “stelle fisse”, cioè la volta celeste, sia il "tetto del mondo" (pur non concependola più in movimento, poiché è la Terra a muoversi). L’universo copernicano, quindi, è ancora “chiuso” da un’immensa sfera al cui centro c’è il Sole, neoplatonicamente concepito come la perfezione del cosmo.
Giordano Bruno invece, prendendo spunto dal decentramento copernicano della Terra, rileggendo Lucrezio e reinterpretando il neoplatonismo di Cusano, giunse per primo, nella storia dell’Occidente, a teorizzare un universo “aperto”, infinito, senza centro e infinitamente popolato.
Infatti Bruno non si limita, come Copernico, a sostituire alla posizione centrale della Terra la nuova centralità del Sole, ma, con un atto di grande immaginazione cosmologica, mira ad abolire la nozione stessa di centro.
Il decentramento del nostro pianeta, operato da Copernico, fa intuire a Bruno che, se la Terra ruota intorno al Sole, le stelle che vediamo di notte (e che gli antichi immaginavano attaccate alla superficie dell’ultima sfera) potrebbero essere altrettanti “soli”, circondati dai rispettivi pianeti e, viceversa, il Sole potrebbe essere una delle tante stelle disseminate nello spazio infinito dell’universo.
Per cui l’universo, invece di essere formato dal nostro unico sistema, potrebbe essere la dimora di un numero illimitato di “stelle-soli”, disseminate negli immensi spazi cosmici e centri di altrettanti mondi.
Questa intuizione cosmologica di Bruno venne inoltre legittimata da una contemporanea deduzione teologica di origine neoplatonica:
se l’universo è il prodotto della
emanazione di un Essere infinito,
che infinitamente emana se stesso,
come può essere finito?
Se la causa (Dio) è infinita, anche
l’effetto (il mondo) deve essere infinito. Infine, argomento ancor più decisivo, se si nega l’infinità dell’universo, essendo questo l’effetto della potenza di Dio, bisogna negare l’infinità della causa e quindi ammettere un limite alla potenza divina, il che è razionalmente inaccettabile (De l’infinito universo et mondi, 1584).
Così Bruno, con la sola forza del pensiero (e prima che Galileo lo confermasse con il telescopio), ha avuto il merito di sconvolgere completamente la cosmologia aristotelica, centrata e gerarchica, presentando all’uomo moderno l’immagine vertiginosa di un cosmo senza più centro né periferia, ovvero dove tutto è centro e periferia, applicando all’universo quella coincidentia oppositorum che Cusano attribuiva soltanto a Dio.
Nell’opera del 1584, De la causa, Principio e Uno, così Bruno esprime questi concetti:
<<Alla proporzione, similitudine, unione ed identità de l’infinito non più ti accosti con essere uomo che formica, una stella che un uomo; perché a quello essere non più ti avvicini con essere sole, luna, che uomo o una formica; e però nell’infinito queste cose sono indifferenti. E quello che dico di queste, intendo di tutte l’altre cose di sussistenza particulare...
Dunque, l’individuo [indivisibile] non è differente dal dividuo [divisibile], il simplicissimo da l’infinito, il centro da la circonferenza. Perché dunque l’infinito è tutto quello che può essere, è inmobile; perché in lui tutto è indifferente, è uno; e perché ha tutta la grandezza e perfezione che si possa oltre e oltre avere, è massimo e ottimo immenso. Se il punto non differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l’infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l’universo è tutto centro o che il centro de l’universo è per tutto, e che la circonferenza non è in parte alcuna per quanto è differente dal centro, o pur che la circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è differente da quella... E cossì non è stato vanamente detto che Giove [Dio] empie tutte le cose, inabita tutte le parti dell’universo, è centro de ciò che ha l’essere, uno in tutto e per cui uno è tutto. Il quale, essendo tutte le cose e comprendendo tutto l’essere in sé, viene a fare che ogni cosa sia in ogni cosa>> .
Bruno giunge così ad una forma di naturalismo materialistico in cui l’Uno, o sostanza unica, è una materia universale intrinsecamente animata e “gravida” degli infiniti enti che incessantemente sgorgano dal suo grembo. L’universo bruniano appare così come un infinito essere animato in cui ogni cosa finita, per quanto insignificante possa apparire, è percorsa dallo stesso spirito vitale immanente alla materia.
Si tratta di una ontologia che, anche se in forme diverse, avrà grande fortuna nella filosofia dei secoli successivi, in particolare nella metafisica di Spinoza (XVII sec.) e in quella di Schelling (XVIII-XIX sec.).
4.2 –Giordano Bruno: <<le tesi cosmografiche rivoluzionarie dell’età moderna>>
Il filosofo Arthur Oncken Lovejoy (1873-1962), noto come l'autore della concezione della “storia delle idee”, ha sintetizzato il contributo “rivoluzionario” di Giordano Bruno alla “rivoluzione copernicana” nelle seguenti cinque tesi: l’affermazione che altri pianeti del nostro sistema solare sono abitati da creature viventi, senzienti e razionali; la demolizione delle mura esterne dell’universo medioevale e la conseguente dispersione delle stelle in spazi vasti e irregolari; l’idea delle stelle fisse come di soli simili al nostro e quindi, a loro volta, con pianeti altrettanto simili; l’affermazione della effettiva infinità dell’universo fisico e del numero delle stelle e dei pianeti .
Lo storico della scienza Alexandre Koyré (1892-1964), a sua volta, ha individuato il contributo di Bruno nel rivoluzionare la visione che l’uomo moderno aveva dell’universo (e di se stesso) in due azioni fondamentali e strettamente connesse: la distruzione del “cosmo” (ovvero, la sostituzione del mondo aristotelico, finito e gerarchicamente ordinato, con un universo infinito e unificato solo dall’identità delle sue leggi); la “geometrizzazione” dello spazio (ovvero la sostituzione della concezione aristotelica dello spazio, come insieme differenziato di “luoghi naturali”, con quella della geometria euclidea, mera estensione infinita e omogenea).
Combinando insieme gli studi di Lovejoy e Koyré, si possono individuare, come hanno fatto Abbagnano e Fornero , le seguenti tesi fondamentali di Bruno:
1) Infinità dell’universo.
E’ l’idea fondamentale di Bruno che sta alla base di tutte le altre e
che abbiamo argomentato nel Par. 4.1.
2) Abbattimento delle “mura esterne” dell’universo.
Se l’universo è infinito non può essere chiuso dalla sfera delle stelle fisse (l’<<ultima sphaera mundi>> di cui parla ancora lo stesso Copernico!) e queste ultime sono disperse in uno spazio illimitato. E’ la distruzione della secolare idea, tanto cara anche a molti filosofi greci, che il mondo avrebbe dovuto avere dei “confini”, perché solo ciò che è “finito”, delimitato, e quindi comprensibile, sarebbe perfetto.
3) Pluralità dei mondi e loro abitabilità.
Una volta aperta la volta celeste tutto è possibile, soprattutto alla sfrenata immaginazione cosmologica di Bruno, sempre sorretta però dal lume della ragione. Infatti, anche per meglio magnificare l’eccellenza di Dio, l’infinito spaziale si popola di una pluralità illimitata di sistemi solari che, statisticamente e probabilisticamente parlando (come diremmo oggi) possono essere popolati da creature viventi, in alcuni casi con abitanti razionalmente migliori dei terrestri (come si può leggere nel 3° dialogo di De l’infinito universo et mondi).
4) Identità di struttura tra cielo e Terra.
Questa tesi (che verrà dimostrata scientificamente solo da Galileo con il telescopio) implica il superamento del dualismo cosmologico aristotelico tra mondo lunare e mondo sublunare, ovvero tra una parte qualitativamente nobile, incorruttibile, dell’universo e una parte meno nobile, corruttibile. Ancora una volta Bruno si appella ad una giustificazione di ordine teologico: procedendo tutto da un’unica mente e potenza creatrice, non sono ammissibili discriminazioni gerarchiche tra diverse zone del creato.
5) “Geometrizzazione” dello spazio cosmico.
Eliminate le gerarchie e le qualità, non rimane che uno spazio di tipo euclideo, omogeneo e infinito (di cui parla Koyré in Dal mondo chiuso all’universo infinito); si tratta del “vuoto infinito” di Democrito e Lucrezio, uno spazio acentrico senza più punti di riferimento assoluti, poiché ogni riferimento è ormai solo relativo tra astro e astro.
4.3 – Le conseguenze teologiche e antropologiche della “rivoluzione copernicana”
Abbiamo già visto, nel Par. 3.2, le dure reazioni della Chiesa (dapprima protestante e, dopo il 1610, anche cattolica) al copernicanesimo, dovute principalmente alla contraddizione tra l’eliocentrismo copernicano e il secolare geocentrismo, sostenuto dalla Chiesa utilizzando diversi passi della Bibbia.
Ma con la rivoluzione copernicana si mise in gioco ben più che una rappresentazione geometrica dell’universo o qualche versetto delle Sacre Scritture. Tutta la visione cristiana della vita, con il suo portato di leggi morali, non avrebbe potuto adattarsi rapidamente ad un universo in cui la Terra fosse soltanto uno fra i diversi pianeti o, peggio ancora, nella versione più radicale di Bruno, un “granello di sabbia” sperduto tra gli infiniti mondi nell’infinito spazio, senza punti di riferimento stabili, senza sopra e sotto, senza destra e sinistra, senza centro e periferia.
Nella tradizionale costruzione del pensiero cristiano, descritta da Dante all’inizio del XIV secolo, cosmologia, teologia e morale risultavano coerentemente intrecciate. Ora invece, all’inizio del XVII secolo, una volta presa sul serio la proposta copernicana, il fedele cristiano comincia a porsi alcune sconcertanti domande:
<<Se, ad esempio, la Terra fosse semplicemente uno fra sei pianeti, come potrebbero essere considerate ancora valide le storie della caduta e della salvezza, con il loro immenso peso nella vita cristiana? Se vi fossero altri corpi sostanzialmente simili alla Terra, in conseguenza logica della bontà di Dio, dovrebbero anch’essi essere abitati. Ma se esistessero uomini su altri pianeti, come potrebbero discendere da Adamo ed Eva e aver ereditato il peccato originale, il quale spiega il travaglio dell’uomo, altrimenti incomprensibile, sopra una Terra creata appositamente per lui da una divinità onnipotente e buona?>> .
A questo proposito risulta altamente significativo il dialogo fittizio ricostruito da Bertolt Brecht, nel dramma teatrale Vita di Galileo (1955), tra il monaco astronomo Fulgenzio e Galileo. L’Inquisizione ha appena posto all’indice la teoria di Copernico (5 marzo 1616) e, in questo contesto, il monaco vuole spiegare a Galileo perché ritiene saggio il decreto del Sant’Uffizio e perché non intende più occuparsi di astronomia:
<<FULGENZIO... Sono riuscito a convincermi che il decreto è stato saggio. E’ servito a rivelarmi quanto possa essere rischiosa per l’umanità un’indagine libera da ogni freno: tanto, che ho preso la decisione di abbandonare l’astronomia. Ma ho pure sentito il bisogno di esporvi alcuni motivi che possono spingere anche un astronomo, qual ero io, a interrompere lo studio delle scienze esatte.
GALILEO So benissimo quali sono questi motivi.
FULGENZIO Capisco la vostra amarezza. Alludete a certi poteri straordinari di cui dispone la Chiesa.
GALILEO Chiamateli pure strumenti di tortura.
FULGENZIO Ma non si tratta solo di questo. Permettete che vi parli di me? Sono cresciuto in campagna, figlio di genitori contadini: gente semplice, che sa tutto della coltivazione dell’ulivo, ma del resto ben poco istruita. Quando osservo le fasi di Venere, ho sempre loro dinanzi agli occhi. Li vedo seduti, insieme a mia sorella, sulla pietra del focolare, mentre consumano il loro magro pasto. Sopra le loro teste stanno le travi del soffitto, annerite dal fumo dei
secoli, e le loro mani spossate dal lavoro reggono un coltelluccio. Certo, non vivono bene; ma nella loro miseria esiste una sorta di ordine riposto, una serie di scadenze: il pavimento della casa da lavare, le stagioni che variano nell’uliveto, le decime da pagare… Le sventure piovono loro addosso con regolarità, quasi seguendo un ciclo. La schiena di mio padre non s’è incurvata tutta in una volta, ma un poco più ogni primavera, lavorando nell’uliveto: allo stesso modo che i parti, succedendosi a intervalli sempre uguali, sempre più facevano di mia madre una creatura senza sesso. Donde traggono la forza necessaria per la loro faticosa esistenza? Per salire i sentieri petrosi con le gerle colme sul dorso, per far figli, per mangiare perfino? Dal senso di continuità, di necessità, che infonde in loro lo spettacolo degli alberi che rinverdiscono ogni anno, la vista del campicello e della chiesetta, la spiegazione del Vangelo che ascoltano la domenica. Si son sentiti dire e ripetere che l’occhio di Dio è su di loro, indagatore e quasi ansioso; che intorno a loro è stato costruito il grande teatro del mondo perché vi facciano buona prova recitando ciascuno la grande o piccola parte che gli è assegnata... come la prenderebbero ora, se andassi a dirgli che vivono su un frammento di roccia che rotola ininterrottamente attraverso lo spazio vuoto e gira intorno a un astro, uno fra tanti, e neppure molto importante? Quella Sacra Scrittura, che tutto spiega e di tutto mostra la necessità: il sudore, la pazienza, la fame, l’oppressione, a che potrebbe ancora servire se scoprissero che è piena di errori? No: vedo i loro sguardi velarsi di
sgomento, e il coltelluccio cadere sulla pietra del
focolare; vedo come si sentono traditi, ingannati.
Dunque, dicono, non c’è nessun occhio sopra di
noi? Siamo noi che dobbiamo provvedere a noi stessi, ignoranti, vecchi, logori come siamo? Non ci è stata assegnata altra parte che di vivere così, da miserabili abitanti di un minuscolo astro, privo di ogni autonomia e niente affatto al centro di tutte le cose? Dunque, la nostra miseria non ha alcun senso, la fame non è una prova di forza, è semplicemente non aver mangiato! E la fatica è piegare la schiena e trascinar pesi, non un merito! Così direbbero; ed ecco perché nel decreto del Sant’Uffizio ho scorto una nobile misericordia materna, una grande bontà d’animo>> .
Bertolt Brecht, nelle parole di frate Fulgenzio, riesce ad esprimere mirabilmente il senso di vertigine, angoscia, solitudine e piccolezza provato dall’uomo moderno che sta assimilando pienamente la rivoluzione copernicana, soprattutto nella versione “rivoluzionaria” di Giordano Bruno.
La rivoluzione astronomica, iniziata da Copernico come semplice rivoluzione “geometrica” dei cieli, ha prodotto enormi effetti non-astronomici sulla visione che l’uomo aveva di stesso, dei suoi rapporti con l’universo e con Dio. Ha prodotto un mutamento antropologico che verrà rilevato pienamente solo dall’illuminismo, nel ‘700, e dalle filosofie atee dell‘800.
Il geocentrismo della cosmologia aristotelico-tolemaica implicava, per l’uomo antico e medievale, il finalismo antropocentrico:
<<La Bibbia sosteneva ad esempio che i cieli erano stati creati per la Terra e la Terra per l’uomo... Sede dell’unico abitante razionale dell’Universo, la Terra era anche al centro degli avvenimenti più importanti del creato “al punto che una sola naturale follia d’una coppia ingenua, in Mesopotamia, poteva aver costretto con le sue conseguenze una delle persone della divinità a d assumere corpo umano e a morire sulla terra per la salvezza dell’uomo” (Lovejoy, op. cit., pag. 109). Disputati dalle potenze celesti e da quelle infernali, l’uomo e la sua sede costituivano dunque il senso stesso dell’essere>> .
Questa funzione consolatoria e auto-gratificante del geocentrismo/antropocentrismo è stata messa in crisi, per la prima volta, dalla rivoluzione copernicana. Essa ha costituito quella che Freud chiama la prima “ferita narcisistica” dell’uomo moderno:
<<Il primo colpo è quello che deriva dalla scoperta copernicana che, decentrando la terra, priva l’uomo della
sua collocazione sovrana nel quadro dell’universo, riducendolo ad una particella insignificante. E’ la prima
delle tre ferite narcisistiche che la scienza sembra riservare all’umanità. La seconda, quella darwiniana, colpisce al cuore l’immagine stessa dell’uomo, la sua discendenza divina, con l’inserirlo nelle generazioni del regno animale; la terza, infine, quella psicoanalitica, mette in crisi l’ultima presunzione dell’uomo, la residua illusione, quella di una signoria della sua interiorità, dimostrando che l’Io non è padrone neppure in casa propria>> .
Il copernicanesimo, in quanto prima umiliazione inferta al narcisismo dell’uomo occidentale, rappresenta anche l’inizio di ciò che Max Weber chiama il “disincantamento del mondo”, ovvero quel processo di progressiva intellettualizzazione e razionalizzazione del sapere, per cui non occorre più ricorrere alla magia o alla preghiera per ingraziarsi gli spiriti o la divinità, di fronte alle difficoltà e ai drammi dell’esistenza, poiché a ciò sopperiscono, sempre più tendenzialmente, la ragione e i mezzi tecnici .
Come si può vedere, tutti questi effetti non-scientifici della rivoluzione scientifica, inaugurata da Copernico, esigevano una profonda e radicale trasformazione della prospettiva con cui l’uomo occidentale interpretava se stesso, il suo rapporto con Dio, i fondamenti della sua legge morale e il suo posto nell’universo.
<<Una tale trasformazione non poteva essere condotta a termine in un breve arco di tempo e non fu quasi neppure iniziata finché le prove a sostegno della dottrina copernicana rimasero incerte come nel De Revolutionibus. Finché non si giunse a questa trasformazione, gli osservatori sensibili poterono ben trovare i valori tradizionali incompatibili con la nuova cosmologia, e la frequenza con cui l’accusa di ateismo venne lanciata contro i copernicani è la prova della minaccia dell’ordine stabilito che, secondo molti osservatori, il concetto di una Terra planetaria veniva a costituire>> .
La teoria copernicana si sviluppò durante la Controriforma, proprio quando la Chiesa era maggiormente sconvolta da riforme interne volte a far fronte alle critiche del protestantesimo. Questo fece sì che l’anticopernicanesimo costituisse una di queste riforme, facendo la sua prima illustre vittima nel filosofo e mistico Giordano Bruno, mandato al rogo a Roma il 17 febbraio del 1600.
5 – La morte di Giordano Bruno
L’adesione al copernicanesimo fu certamente una delle ragioni della condanna di Bruno, anche se non la più grave.
Egli venne condannato soprattutto per una serie di eresie teologiche concernenti la dottrina della Trinità divina, la persona del Cristo, la verginità di Maria e la transustanziazione.
Sul problema della Trinità, in particolare, egli sosteneva di credere in un Dio distinto in Padre, Figlio e Spirito Santo, ma ammetteva di non aver potuto capire come essi potessero essere considerati “persone”, richiamando a questo proposito i dubbi di un Padre della Chiesa come Sant’Agostino. Ammetteva di nutrire dubbi anche sull’incarnazione di Cristo, dubbi derivanti sempre
dal suo fervente travaglio filosofico che non gli
permetteva di tacere di fronte alle contraddizioni
della ragione. Nel caso specifico dell’incarnazione
faceva notare la sproporzione, o incommensurabilità,
tra la sostanza divina infinita e la finitezza dell’uomo,
così come non vi poteva essere proporzione tra
tra l’anima e il corpo.
Oltre alle accuse di ordine teologico, sicuramente determinanti, altre riguardavano più direttamente aspetti della sua filosofia ritenuti incompatibili con gli insegnamenti della Chiesa: l’infinità dei mondi, l’eternità dell’universo e la trasmigrazione delle anime. La sua adesione all’ermetismo gli valse anche l’accusa di praticare la magia.
Dal punto di vista della Chiesa, se l’universo è infinito, dove può collocarsi il trono di Dio? Negli infiniti mondi, come può l’uomo trovare Dio e Dio l’uomo? Bruno aveva una concezione immanentististica della divinità, concependola come la forza che anima le cose (“panteismo”), che le fa vivere dall’interno, sicché Dio è in tutto, a cominciare dalla nostra stessa interiorità di esseri razionali. Questa concezione bruniana di Dio non poteva certamente accordarsi con alcuna rivelazione religiosa.
Il filosofo viene arrestato nel maggio del 1592 dall’Inquisizione veneziana su denuncia del nobile Giovanni Mocenigo, di cui Bruno era ospite per insegnargli l’arte della memoria (mnemotecnica).
Mocenigo, per nulla soddisfatto dell’insegnamento mnemotecnico e spaventato dalle idee eterodosse del suo ospite, lo denuncia per eresia, affermando che il filosofo rifiutava ogni religione, negava i dogmi cristiani, affermava che Cristo era un mago e che le anime passavano da un essere vivente all’altro.
Nel febbraio del 1593 viene trasferito a Roma, rinchiuso nel carcere del Sant’Uffizio e sottoposto ad
un nuovo processo che durerà sette anni.
Nonostante tutti gli elementi di incompatibilità con la
dottrina della Chiesa, sia di carattere teologico che filosofico, Bruno riuscì per molti anni a difendersi affidandosi ad una sottile, ma tenace, distinzione tra il piano della ragione filosofica (“lume naturale”) e quello della fede, mantenendo una linea di autodifesa disposta ad ammettere i propri errori nel campo della dottrina religiosa, ma difendendo tenacemente i fondamenti della propria filosofia. Egli sperava di imporre il diritto del filosofo di esprime una sua concezione intellettuale del divino, pur ammettendo di non potersi esprimere in termini di verità assoluta, appannaggio della rivelazione.
Questa linea difensiva, ad un certo punto del processo, sembrò fare breccia nell’apparato dell’Inquisizione, ottenendo l’effetto di ammorbidire la posizione delle autorità ecclesiastiche. Infatti, nell’agosto del 1599, il cardinale Bellarmino, che sostenne l’accusa per un certo periodo, ricevuta da Bruno una memoria scritta in cui il filosofo si mostrava propenso ad abiurare su alcuni aspetti della controversia, espresse un parere di sincero ravvedimento dell’imputato di fronte ai membri della Congregazione del Sant’Uffizio.
Persino papa Clemente VIII si mostra più clemente dei giudici del tribunale (che vorrebbero estorcere a Bruno, con la tortura, una confessione piena e completa), chiedendo che all’imputato sia imposto di abiurare solo sulle questioni che la tradizione della Chiesa abbia condannato come inoppugnabilmente eretiche.
A questo punto (settembre 1599) la vicenda processuale potrebbe volgere verso una soluzione non traumatica, sennonché ai primi di ottobre il tribunale acquisisce informazioni riguardanti lo Spaccio de la bestia trionfante, opera storico-antropologica dalla forte impronta anticristiana, pubblicata in Inghilterra nel 1585, a cui Bruno non aveva mai fatto allusioni durante l’intero processo.
Tra l’altro l’opera sosteneva la tesi secondo la quale i fondatori del cristianesimo (Cristo e, soprattutto, Paolo di Tarso), predicando l’ascolto passivo del Verbo, l’umiltà e la rassegnazione, avrebbero avviato un ciclo storico teso a mortificare l’operosità intellettuale e manuale dell’uomo, invece di esaltarla. Testimonianza ne sarebbe l’epilogo luterano con la negazione del libero arbitrio dell’uomo, interpretato come l’episodio estremo di un processo degenerativo avviato proprio con l’affermazione del cristianesimo.
Nonostante la critica del servo arbitrio luterano, che si accordava con le posizioni del Concilio tridentino (che aveva da poco sancito la necessità ai fini della salvezza non solo della fede, ma anche delle opere), la radicale messa in discussione dei valori del cristianesimo dalle loro fondamenta non poteva essere tollerata dai giudici del filosofo. A questo punto Bruno, comprendendo di non poter più sostenere la linea difensiva fin lì perseguita, ma, nel contempo, non riuscendo a rinnegare gli aspetti fondamentali della sua filosofia, rinuncia alla ricerca di un
compromesso e affronta senza esitazione la sentenza di
morte pronunciando la frase:
<<Forse tremate più voi nel pronunciare
questa sentenza che io nell’ascoltarla>>
LA RIVOLUZIONE COPERNICANA
PAROLE CHIAVE
Antropocentrismo: concezione cosmologica e antropologica che considera l’uomo al centro dell’universo, non solo perché vive sulla Terra, considerata centro di rotazione di tutti i corpi celesti (geocentrismo), ma perché ritenuto il fine e lo scopo ultimo della creazione.
Deferente: circonferenza il cui centro coincide con il centro della Terra, che ruota con velocità uniforme, trascinando con sé l’epiciclo sul quale di solito si trova il pianeta. Introdotto da Apollonio e Ipparco, tra III e II secolo a.C., per risolvere il problema delle apparenti irregolarità nel moto dei pianeti.
<<Disincantamento del mondo>>: espressione coniata da Max Weber per indicare quel processo di progressiva intellettualizzazione e razionalizzazione del sapere (inaugurato dalla “rivoluzione copernicana”), per cui non occorre più ricorrere alla magia o alla preghiera per ingraziarsi gli spiriti, o la divinità, di fronte alle difficoltà e ai drammi dell’esistenza, poiché a ciò sopperisce la ragione e la tecnica.
Eliocentrismo: teoria astronomica (sostenuta per la prima volta, in età moderna, da Copernico) secondo la quale il Sole è il centro di rotazione di tutti gli altri corpi celesti, compresa la Terra e le stelle.
Epiciclo: piccolo cerchio che ruota con velocità uniforme attorno ad un punto della circonferenza di un secondo cerchio rotante (di solito il deferente). Introdotto da Apollonio e Ipparco, tra III e II secolo a.C., per risolvere il problema delle apparenti irregolarità nel moto dei pianeti.
Equante: nel sistema tolemaico è il punto simmetrico alla Terra, rispetto al centro del deferente (che non coincide più con il centro della Terra), rispetto al quale è uniforme il moto del centro dell’epiciclo lungo il deferente.
Etere: sostanza celeste, ipotizzata da Aristotele, di cui sarebbero costituiti tutti gli astri del mondo sopralunare; chiamata anche “quinta essenza”, per distinguerla dai quattro elementi della Terra (terra, acqua, aria, fuoco), corruttibili e dotati solo di moto rettilineo. L’etere invece doveva essere eterno, inalterabile e incorruttibile, il cui moto, cioè il moto di tutte le sfere astrali, doveva essere “per natura” circolare e uniforme (<<derivando per esso questa denominazione dal suo correre per sempre per l’eternità>>).
<<Ferita narcisistica>>: espressione coniata da Freud per indicare la crisi della funzione consolatoria e auto-gratificante, per l’uomo, del geocentrismo/antropocentrismo; per la prima volta ad opera della “rivoluzione copernicana”, in seguito ad opera anche di Darwin e dello stesso Freud.
Geocentrismo: concezione astronomica e cosmologica secondo la quale la Terra non è un pianeta qualsiasi, ma è il centro dell’universo, attorno al quale ruotano tutti gli altri corpi celesti, comprese le stelle.
LA RIVOLUZIONE COPERNICANA
BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA
• Thomas S. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einaudi, Torino, 1972
• Opere politiche di Platone, a cura di F. Adorno, UTET, Torino, 1953, vol. I
• A. Koyrè, Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, MI, 1970
• Giordano Bruno, De la causa, Principio e Uno, a cura di V. Spampanato, Principato, Messina, 1923
• A. Lovejoy, La grande catena dell’essere, Feltrinelli, MI, 1966
• Abbagnano-Fornero, Itinerari di filosofia, Vol. 2A, Paravia Bruno Mondadori Editore, MI, 2003
• Bertolt Brecht, Vita di Galileo, Einaudi, Torino, 1963
• Massaro-Fornero, Fare filosofia, Vol. 2°, Paravia, Torino, 1998
• Silvia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, Arnoldo Mondadori Editore, MI, 1986
• Max Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Einaudi, Torino, 1977

Fonte: http://www.acairoli.it/attachments/article/416/3%20RIVOLUZIONE%20COPERNICANA.doc

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