I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Il pensiero nell’età del progresso
Il Positivismo
La rivoluzione industriale, iniziata in Inghilterra nell’ultimo periodo del XVIII secolo portò ad un aumento esponenziale della produttività ed al successo di un modello socio-culturale che influenzò l’Europa intera. Attraverso l’utilizzo massiccio del ferro e del carbone, essa diede il via alla più radicale trasformazione delle forme produttive della storia umana ed i pensatori, i filosofi e gli intellettuali in genere, cercarono di cogliere, analizzare e decodificare gli aspetti sociali e culturali di un fenomeno di tale portata. Una nuova generazione di studiosi s’impegnò nella costruzione di filosofie in grado spiegare ciò che stava accadendo. Ovviamente questo avvenne nelle tre nazioni caratterizzate, se pur in tempi diversi, dai rapidi processi di trasformazione sociale che seguirono all’industrializzazione, l’Inghilterra, la Francia e la Germania.
Utilitarismo, Positivismo e materialismo dialettico
Inghilterra: la prima nazione ad elaborare un nuovo corso del pensiero fu l’Inghilterra, in quanto fu la prima a produrre il fenomeno dell’industrializzazione. Qui, all’interno della prima rivoluzione industriale, nacque il moderno pensiero economico. Nella loro ricerca sull’uomo, i filosofi del passato si erano sempre occupati di produttività, ma questi nuovi pensatori concepivano la loro teoria economica in modo autonomo. Dopo il decano degli economisti inglesi, Adam Smith (1723-1790), i successivi analisti dei fenomeni produttivi, come David Ricardo (1772-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1833), Jeremy Bentham (1748-1832), John Stuart Mill (1773-1836) si presentarono come specialisti e, sul solco della tradizione illuminista, s’impegnarono in quell’operazione di “ingegneria sociale”, che mirava ad analizzare ed a costruire la società del futuro e che prese il nome di Utilitarismo. Di costoro ci siamo già occupati nel corso di Storia (cfr. Studiare Storia vol 2. pag.270-271) e all’interno della scheda “La civiltà industriale”.
Francia: Quando anche la Francia cominciò il suo processo di industrializzazione massiccia, a partire dai primi anni dell’Ottocento, molti filosofi percorsero la via che aveva tracciato il vecchio illuminista, Claude de Saint-Simon (1760-1825), in particolare il di lui allievo Auguste Comte (1798-1857), il quale, negli anni trenta del secolo, diede il via alla grande stagione del Positivismo.
Germania: La Germania, ultima nazione ad industrializzarsi, dominata culturalmente dall’organica teoria idealistica, sviluppò in breve tempo una modificazione strutturale delle relazioni sociali ed economiche, delle quali due giovani hegeliani di sinistra, il tedesco Karl Marx (1818-1883) e l’inglese Friedrich Engels (1820-1895), elaborarono uno studio teorico e critico che, nei decenni successivi, sarebbe stato sviluppato anche sul piano politico e avrebbe dato vita ad un “sistema” tra i più fecondi della storia del pensiero, il “Materialismo storico e dialettico marxista”.
Se la prima rivoluzione industriale, che aveva nelle fabbriche, nel settore tessile e nell’invenzione della ferrovia i suoi cardini, fu l’età dei pensatori economisti, i teorici dell’Utilitarismo, la seconda rivoluzione, periodo di straordinario progresso scientifico, esteso a tutti i campi del sapere (dalle scienze della natura a quelle dell’uomo), segnò il definitivo divorzio tra la scienza e la filosofia vera e propria con il trionfo del Positivismo, che denomina complessivamente la tendenza di un’epoca.
I. 1. L’Utilitarismo inglese. La nascita della scienza economica.
La prima manifestazione del Positivismo, in Inghilterra può esser considerato l’Utilitarismo che si sviluppò nella prima parte dell’Ottocento. Fu, questa, una filosofia sociale, corrispondente a quella contemporanea francese, che ebbe i suoi massimi esponenti in Bentham, James Mill e Stuart Mill e nei grandi analisti dell’economia politica Thomas Robert Maltus e David Ricardo. Malthus, nel suo Saggio sulla popolazione, constatò che una popolazione tende a crescere secondo una progressione geometrica, contro la progressione aritmetica di accrescimento dei mezzi di sussistenza, determinando uno squilibrio che può essere eliminato solo eliminando la miseria o controllando preventivamente le nascite, con l’astensione dal matrimonio. Ricardo analizzò il rapporto tra il salario del lavoratore e il profitto del capitalista mettendone in luce l’antagonismo. Bentham, sulla scia di Cesare Beccaria, riteneva che il fine di ogni organizzazione sociale fosse “la maggior felicità possibile per il maggior numero di persone” e, in base a questa massima, affermò che un’azione è buona solo in quanto è utile alla felicità comune. Da qui, oltre che il termine utilitarismo, deriva un bilancio morale dei piaceri che si potranno considerare il Bene., se soddisfano ai caratteri di intensità, durata, certezza, fecondità ed estensione (capacità di essere estesi al maggior numero di persone.
I. 2. Il Positivismo. Mito del progresso, culto della scienza, ottimismo.
Movimento filosofico e culturale, caratterizzato dall’esaltazione della scienza e dei suoi metodi, il Positivismo nasce in Francia nella prima metà dell’Ottocento e s’impone a livello europeo solo nella seconda parte del secolo.
Il decollo del sistema industriale, della scienza e della tecnica, la possibilità di accelerare gli scambi commerciali e culturali su larga scala determina un “clima” di fiducia entusiastica nelle potenzialità del sapere scientifico e tecnologico e una generale fiducia nell’incontrastabile progresso umano. Il continuo avanzamento della ricerca (nella chimica, nella fisica, nell’ingegneria, nella medicina) offrì il miglior motivo di diffusione di questo sentore di ottimismo che si tradurrà in un vero e proprio culto per il pensiero scientifico e tecnico (= Progresso, Ottimismo, Culto per la Scienza). Per cui, se l’Illuminismo aveva celebrato, come tipo ideale, il “filosofo” ed il Romanticismo “il poeta”, il Positivismo esalta soprattutto lo “scienziato”, di cui è incarnazione massima quel Newton della biologia che è Darwin.
1. Il positivismo della seconda metà del secolo appare come la vera filosofia della moderna società industriale, tecnico-scientifica, l’espressione culturale delle speranze e delle infatuazioni ottimistiche che hanno caratterizzato un’epoca. Non per nulla si sviluppa principalmente in quelle nazioni all’avanguardia nel progresso industriale e scientifico.
2. Il Positivismo è l’ideologia tipica della borghesia liberale dell’occidente, che di questa rivoluzione è stata fautrice. Con questa borghesia emergente il positivismo condivide la fiducia nella moderna società industriale e la tendenza politica riformista, nemica tanto del conservatorismo quanto del rivoluzionarismo socialista che, proprio in quegli anni, con Marx, andava elaborando una critica dell’esistente, una fotografia in negativo dei “costi umani” collegati alle strutture socio-economiche del capitalismo industriale.
Il termine Positivismo fu coniato da Auguste Comte (1798-1857), che, nella sua opera fondamentale, Corso di filosofia Positiva (1830), fornì la base teorica di quella che diventerà in seguito una vera e propria “scuola”. Dalla metà del secolo, infatti, il Positivismo di Comte si diffuse in tutta Europa, assumendo progressivamente i tratti di una filosofia, di una visione del mondo e di un’ideologia, per non dire una religione, al pari di quella romantica capace di esercitare una vastissima influenza.
Il sapere “positivo”, per Comte, è un sapere che fa ricorso esclusivamente a leggi e metodi scientifici, rifiutando ogni spiegazione del mondo di carattere metafisico che si rifaccia ad ipotesi non dimostrate o a principi religiosi.
I suoi caratteri fondamentali:
a) Il ricorso al metodo della scienza (= osservazione dei fenomeni, formulazione di ipotesi e loro verifica sperimentale)
b) La totale indipendenza della ricerca scientifica da legami con la religione.
c) L’estensione del metodo scientifico ad ogni manifestazione della vita dell’uomo, compresa quella associata che può essere oggetto di studio come un organismo.
d) La nascita della “Sociologia” come scienza atta a indagare l’organismo societario, a individuarne malattie e soprattutto indicare possibili cure.
I. 3. Comte. Il Positivismo sociale.
Il fondatore del Positivismo, Auguste Comte (1798-1857), nacque a Montpellier, studiò al Politecnico di Parigi, fu collaboratore di Saint-Simon e nel 1830 pubblicò il primo volume del Corso di filosofia positiva. Il cuore della filosofia di Comte è la Legge dei tre stadi, ossia la legge che spiega lo svolgersi del pensiero umano dalle origini ai nostri giorni. Ogni stadio descrive un modo complessivo di intendere il mondo ed i suoi fenomeni, “tre modi insomma di fare filosofia”. ☺Lo stadio teologico rappresenta l’infanzia dell’umanità; lo stadio metafisico, la giovinezza; quello positivo la maturità del genere umano. Alle origini, l’umanità viveva in una condizione spirituale teologica, dove, in un mondo incomprensibile, ogni evento naturale era spiegato con l’intervento di cause o potenze sovrannaturali e divine. In seguito, in Grecia nacque la metafisica. Mediante essa l’uomo volle comprendere il mondo, le essenze elementari che lo compongono e le leggi che lo regolano. Nonostante in esso l’uomo abbia raffinato la propria razionalità, lo stadio metafisico altro non è se non “una semplice modificazione del precedente stadio”, in quanto sostituisce agli agenti soprannaturali principi astratti, quali il “principio di causa”, il concetto di “essenza”. Nello stato positivo, finalmente, lo spirito umano, da Galileo in poi, rinuncia a cercare l’origine e il destino dell’universo, a conoscere le cause ultime dei fenomeni, per dedicarsi esclusivamente a scoprire, con l’uso opportunamente combinato del ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive. In altre parole, il pensiero positivo rinunciando al chiedersi il “perché” delle cose si concentra esclusivamente sul “come”.
Facendo un esempio pratico, la filosofia positiva accetta che i fenomeni generali dell’universo siano spiegati dalla legge newtoniana della gravitazione (= la tendenza di tutte le molecole le une verso le altre, in ragione diretta delle loro masse e in ragione inversa dei quadrati delle loro distanze) che spiega una serie di fenomeni legati alla pesantezza dei corpi ed alla loro attrazione reciproca; ma rinuncia a spiegare che cosa siano, in se stesse, l’attrazione e la pesantezza, perché questo lo lascia “all’immaginazione dei teologi o alle sottigliezze dei metafisici”. A proposito dell’esempio riportato riguardo alla pesantezza ed all’attrazione, tutte le volte che si è tentato di definire questi principi, dice Comte, non si è riusciti a far altro che spiegare l’uno per mezzo dell’altro e viceversa. Quindi la scienza evita di chiedersi quale sia la natura intima degli oggetti che misura, dato che il tentativo di spiegare la natura in termini metafisici porta a contraddizioni insolubili.
La convinzione di Comte è che tutti i fenomeni, sia quelli naturali che quelli della vita dello spirito, siano il prodotto di sistemi complessi ma scomponibili nelle loro parti semplici, meccaniche e materiali. Questo prende il nome di riduzionismo. Poiché tale operazione di riduzione non si attua con la stessa facilità in tutti gli ambiti del sapere, Comte propone l’organizzazione di una Enciclopedia delle scienze in senso gerarchico, che collochi le scienze secondo un ordine di complessità crescente e comprenda infine quattro scienze fondamentali. L’astronomia, la fisica, la chimica e la biologia. Dal novero sono escluse: la matematica (in quanto presupposta come il fondamento di tutte); la logica (che in quanto studio dei metodi di ogni scienza è interna a ciascuna); la psicologia (che Comte non ritiene possa mai pervenire allo stadio di scienza, poiché da essa non è possibile ricavare dati oggettivi e quantificabili). Inoltre c’è una scienza che merita a pieno titolo il posto d’onore tra quelle positive ed è la Sociologia; ad essa tutte le altre dovrebbero essere subordinate come mezzi ad un fine. La “fisica sociale”, come la chiama Comte, ha il compito di condurre la società ad una nuova e più efficace organizzazione del vivere comune ed a questo scopo deve costituirsi nella stessa forma delle altre discipline positive, ossia concepire i fenomeni sociali come soggetti a leggi naturali che ne rendano possibile la previsione, sia pure nei limiti della loro complessità superiore.
Lo scopo di ogni indagine scientifica è, infatti, la formulazione della legge solo la legge permette la previsione e solo la previsione dirige e guida l’azione dell’uomo sulla natura. Scienza, donde previsione; previsione, donde azione. La scienza è previsione, dunque azione.
Essendo l’analisi di Comte esplicitamente diretta a favorire l’avvento di una società nuova che egli chiama sociocrazia (un regime fondato sulla sociologia, corrispondente a quello teocratico, fondato sulla teologia), lo studio della società in termini scientifici diviene indispensabile.
Statica e dinamica sono le due componenti della fisica sociale. La prima corrisponde al concetto di ordine e mette in luce la relazione intercorrente tra le varie parti del sistema societario, l’altra studia lo sviluppo continuo e graduale della società. Il progresso realizza un perfezionamento incessante, per quanto non illimitato, del genere umano, ma esso non implica che una qualsiasi fase della storia umana sia inferiore alle altre. La stessa nozione di progresso implica che ciascuno stadio consecutivo sia il risultato “necessario” del precedente e motore indispensabile del seguente. Per Comte, come per Hegel, la Storia è sempre, in tutti i suoi momenti, tutto ciò che deve essere e in ciò cita De Maistre: tutto ciò che è necessario esiste.
Avverso alle moderne idee di libertà individuale e pluralismo, Comte concepisce il suo ordine sociale come un regime assolutista altrettanto organico di quello teologico che dovrebbe soppiantare. Espresso nel Sistema di politica positiva, questo nuovo ordine positivo interviene a ripristinare l’unità, culturale e pratica, infranta dall’interregno anarchico della società moderna e mira a trasformare la filosofia positiva in una religione. Il concetto fondamentale di questa nuova società è quello di Umanità che deve prendere il posto di quello di Dio. L’umanità come tradizione ininterrotta e continua del genere umano, che ha saputo gradualmente svilupparsi nelle sue età primitive (quella teologica e quella metafisica) per giungere all’età positiva, che preannuncia la sua piena maturità. L’umanità è tributaria di un culto dotato di un cerimoniale e di una morale. Tale morale è l’altruismo. Vivere per gli altri è la massima fondamentale. Infatti, accanto agli istinti egoistici l’uomo possiede naturalmente istinti simpatici, che l’educazione positivista può sviluppare gradualmente sino a renderli predominanti sugli altri.
Scienza e filosofia nell’Ottocento.
II. 1. Il Trionfo del meccanicismo e i germi della sua crisi.
Gli orizzonti delle scienze della natura, che ancora per Kant non si spingevano oltre i confini della meccanica, a partire dall’Ottocento si allargano a dismisura. Con la fondazione della termodinamica (ad opera di Robert Boyle, Sadi Carnot, Lord Kelvin e Rudolf Clausius), dell’elettromagnetismo (che trova compiuto fondamento nell’opera di James Clerk Maxwell), col rapido sviluppo della chimica e d’alcune branche della biologia, la scienza ottocentesca si frantuma in una molteplicità di ricerche sperimentali che rendono arduo quel tentativo di unificazione e di connessione organica tra i diversi territori dell’indagine scientifica auspicato da Comte. Nonostante la collaborazione tra scienza e filosofia (felicemente realizzata nell’età dell’Illuminismo) entri in crisi la pratica scientifica non riesce, tuttavia, a rinunciare ad alcuni principi prettamente filosofici che fungono da guida e supporto nell’indagine.
In tal senso il quadro di riferimento, che fa da sfondo alla ricerca scientifica, è, e continuerà ad essere fino alla fine del secolo, il Meccanicismo di cui troviamo una lapidaria formulazione nel famoso brano di Pierre Simon de Laplace (1749-1827): Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore e la causa di quello che seguirà. Un’intelligenza che per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva di tutti gli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta per sottomettere questi dati al calcolo, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e quelli del più leggero atomo: niente sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.
Meccanicismo è un termine filosofico usato per indicare una concezione del mondo che evidenzia la natura esclusivamente corporea, e quindi meccanica, di tutti gli enti che lo compongono, che implica il rifiuto del finalismo e della metafisica. Vedi voce meccanicismo
La concezione meccanicista, nella sua versione ottocentesca, (perché si parla di meccanicismo classico, cartesiano e ottocentesco) riconduce il mondo a quattro distinte entità, lo spazio, il tempo, la materia e il movimento (o forza). I principi che lo caratterizzano sono tre: il determinismo, il riduzionismo e la reversibilità.
►Il Determinismo: è la dottrina filosofica secondo la quale tutto ciò che esiste o accade, comprese le conoscenze e le azioni umane, è determinato da una catena ininterrotta di eventi causali avvenuti in precedenza. La conseguenza più importante di questo principio è la convinzione che quel che accadrà in futuro è predeterminato dalle condizioni iniziali. Il determinismo è associato alle teorie del meccanicismo e della ca-u-sa-li-tà (non casualità) sulle quali si appoggia.
►Il Riduzionismo: è la posizione tipica del positivismo, per la quale gli enti, le metodologie o i concetti di una scienza, devono essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti. In questo senso il riduzionismo può essere inteso come un’applicazione del cosiddetto rasoio di occam (o “principio di economia”) che raccomanda di evitare ipotesi aggiuntive, quando quelle iniziali sono sufficienti (= Se una teoria funziona è inutile aggiungere una nuova ipotesi). Il riduzionismo è scientificamente giustificato, nell’ottocento, dalla convinzione che tutti i fenomeni di cui abbiamo esperienza siano il prodotto di sistemi complessi, ma pur sempre scomponibili nelle loro parti più semplici. Un essere vivente con ciò finisce per risultare solo una macchina complessa.
►La Reversibilità: è un principio che si deduce dalla natura dei fenomeni meccanici che risultano simmetrici rispetto all’inversione del tempo (si pensi agli urti elastici) e implica che il tempo possa essere percorso indifferentemente in un verso o nell’altro, ove si abbia a che fare con sistemi ordinati. Ad esempio, i corpi che costituiscono il sistema solare potrebbero, senza alcun’alterazione della fisica, percorrere le loro orbite in senso opposto dato che comunque dopo un certo lasso di tempo torneranno a presentarsi nella medesima posizione. Questa visione si accompagna alla certezza che il tempo non lasci tracce permanenti e pertanto una qualunque configurazione della materia (= qualunque stato del sistema universo) può, almeno in teoria tornare a proporsi, dopo che si è manifestato una volta. In termodinamica una trasformazione reversibile di un sistema è una trasformazione che, dopo aver avuto luogo, può essere invertita riportando il sistema nelle condizioni iniziali senza che ciò comporti alcun cambiamento nel sistema stesso e nell’universo. Una trasformazione per essere reversibile deve essere quasistatica, ossia deve essere effettuata con delle variazioni infinitesime delle condizioni del sistema in modo che questo possa essere considerato in equilibrio termodinamico in ogni istante. Il che se è irrealizzabile nella pratica, in quanto richiederebbe un tempo quasi infinito per compiersi essa rappresentò uno dei principi della scienza positivistica.
Il Meccanicismo riposa, in ultima analisi, sull’inconfessata convinzione che lo scienziato possa osservare il mondo in una condizione assimilabile a quella della Intelligenza cui accenna Laplace, una condizione di non interferenza assoluta sull’oggetto osservato, da super-osservatore che non contamina il mondo né ne è contaminato (Nella prospettiva meccanicista manca ogni consapevole riflessione sulla presenza empirica dello scienziato nel mondo che egli osserva. La consapevolezza dell’interrelazione necessaria che si instaura tra l’osservatore e il mondo osservato, sembra assente; per essa si dovrnno attendere i primi decenni del Novecento).
Inoltre il Meccanicismo si fonda sulla volontà di mantenere saldamente distinti e separati gli ingredienti del mondo. Lo spazio, la materia e l’energia.
Tuttavia, già nell’800, proprio nel momento in cui il meccanicismo sembra celebrare il suo massimo trionfo, emergono incrinature che iniziano ad eroderne le fondamenta. Non si tratta di novità nei contenuti (magnetismo, chimica, elettricità) i quali, infatti, contribuiscono a fornire nuovi argomenti alla tesi meccanicistica, ma di novità nei metodi di indagine e nei modelli interpretativi.
1. Nell’ambito della matematica, si crea la separazione tra applicazione e ricerca puramente formale.
2. Nell’ambito dei fenomeni fisici, in particolare nello studio sulla propagazione della luce, acquisisce rilievo l’ipotesi dell’indistinguibilità tra materia ed energia e si insinua il concetto di probabilità, contrario a quello di necessità, che assumerà un ruolo fondamentale nella meccanica statistica.
3. Nell’elettromagnetismo, emerge il modello di campo, che entrerà in concorrenza con quello newtoniano dell’azione a distanza.
4. Nella termodinamica, emergono teorie che, se da un lato rafforzano la teoria corpuscolare newtoniana, dall’altro incrinano il principio base del meccanicismo sulla neutralità e ininfluenza del tempo (dunque il principio di reversibilità).
5. Nell’ambito della biologia, infine, si afferma una prospettiva storica, che, in linea di principio, si oppone anch’essa al concetto di reversibilità.
Tutti temi, questi, che sono premonitori della seconda rivoluzione scientifica.
1. Intanto, a partire dai primi decenni dell’Ottocento, la matematica tende, progressivamente, ad acquisire lo status di scienza puramente formale, che ricerca entro se stessa il proprio fondamento. Svincolata da ogni riferimento sensibile (= utilizzare il numero per calcolare e la geometria per descrivere lo spazio della nostra comune esperienza), la matematica perviene ad una libertà assoluta e tende a divenire la scienza, per dirla alla maniera di Leibniz, di ciò che è logicamente possibile. La ricerca di rigore concettuale favorisce altresì il conseguimento di un più alto livello di astrazione, sia in aritmetica che in geometria. La geometria, ad esempio, può scandagliare le possibilità di spazi alternativi, non euclidei. La geometria proiettiva, le funzioni complesse, la chiarificazione del concetto di limite, la teoria dei gruppi, l’algebra astratta e l’algebra logica, sono alcuni dei frutti più significativi del mutato atteggiamento (ne parleremo ancora più avanti nell’ambito della cosiddetta Crisi dei fondamenti).
2. Nell’ambito della fisica, le ipotesi riguardo alla teoria ondulatoria della luce [proposta nel 1600 da Huygens e ripresa nell’800 da Augustin Fresnel (1788-1827) e da Michel Foucault (1819-1868)], si fanno spazio a scapito del modello newtoniano dell’azione a distanza. La teoria ondulatoria della luce si oppone a quella corpuscolare di Newton e implica l’introduzione di un medium di propagazione, puramente ipotetico e imponderabile, l’Etere, pervasivo di tutto lo spazio (compreso l’interno dei corpi) che possiede la capacità di interagire con la materia ma è difficilmente esperibile.
Teoria ondulatoria e teoria corpuscolare. I due Modelli a confronto.
La teoria ondulatoria di Huygens, affermava che la luce si trasmette per onde, che si propagano in un fluido, l’etere, allo stesso modo in cui il suono si propaga nell’aria. Il modello ondulatorio permetteva di spiegare fenomeni quali la riflessione, la rifrazione e la dispersione della luce nei vari colori.
La teoria corpuscolare di Newton, sosteneva che la luce è composta da particelle dotate di energia e impulso che si propagano in linea retta nello spazio vuoto, e quando incontrano un corpo, se questo è molto compatto, ne vengono respinti, e rimbalzano elasticamente secondo le leggi dell'urto.
Secondo Huygens, la luce è un’onda che si propaga in un mezzo che permea tutto l’universo.
Secondo Newton, la luce è formata da corpuscoli di massa piccolissima, emessi ad elevata velocità dalle sorgenti luminose.
Le due teorie proponevano due concezioni contrapposte.
Secondo il modello ondulatorio di Huygens, la luce è propagazione di energia e non di materia, ma richiede un mezzo materiale elastico per propagarsi, l’etere, mentre secondo il modello corpuscolare di Newton l’energia luminosa si accompagna al trasporto di materia, ma non richiede alcun mezzo per propagarsi.
Entrambi i modelli erano in grado di descrivere in modo coerente la maggior parte dei fenomeni luminosi conosciuti, ma divergevano radicalmente nell’interpretazione di alcuni di essi, tra cui il fenomeno dei colori, della rifrazione e la teoria delle ombre.
3. La teoria meccanicistica e newtoniana dello spazio risultava incrinata anche dagli studi del danese Hans Cristhian Oersted (1777-1851) che ipotizzavano la stretta relazione tra magnetismo ed elettricità (avanzata in precedenza dal filosofo italiano Gian Domenico Romagnosi, da Benjamin Franklin da Schelling), rendendo problematica la distinzione meccanicistica fondamentale tra spazio, materia ed energia.
Gli esperimenti del fisico francese André Marie Ampère (1775-1836) confermarono la stretta connessione tra magnetismo ed elettricità di Oersted, ma il rimando all’ipotetico (e poco dimostrabile) etere restava un elemento di forte imbarazzo. Sarà l’inglese Michael Faraday che, respingendo l’interpretazione newtoniana dell’azione a distanza, con i suoi esperimenti sulla limatura di ferro in prossimità del magnete, ipotizzerà uno spazio dinamico, percorso da molteplici linee di forza. È una fisica del continuo, quella di Faraday, che pone le basi, non solo per la fondazione rigorosa della teoria del campo (che sarà opera di Maxwell) ma anche per il definitivo superamento del “dualismo materia-energia”, che troverà conferma nella teoria della relatività ristretta.
Fu, però, lo scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879), che, con le sue quattro equazioni, elaborò la prima teoria moderna sull’elettromagnetismo. Le quattro equazioni di Maxwell dimostrano che l’elettricità, il magnetismo e la luce sono tutte manifestazioni del medesimo fenomeno: il campo elettromagnetico. Maxwell dimostrò che il campo elettrico e magnetico si propagano attraverso lo spazio sotto forma di onde alla velocità costante della luce. Egli ipotizzò per primo che la natura ondulatoria della luce fosse la causa dei fenomeni elettrici e magnetici. Tuttavia, egli rimase ancora legato alla teoria classica – ora abbandonata – della propagazione della luce attraverso l’etere luminifero, come abbiamo visto, un mezzo ineffabile e sfuggente ad ogni misurazione sperimentale che avrebbe permeato lo spazio vuoto.
4. Come anticipato, gli studi sulla termodinamica se, da un lato, rafforzavano la teoria corpuscolare e quella della separazione tra spazio e materia, dall’altro incrinavano la tesi sulla neutralità e ininfluenza del tempo di fronte agli eventi, mostrando come tali eventi si dipanino in una storia irreversibile, le cui vicende possono essere in qualche modo anticipate, non sulla base di previsioni deterministiche, ma in virtù di semplici considerazioni probabilistiche.
Lo studio sulla natura del calore non aveva fatto apprezzabili progressi dai tempi di Galileo, fino a quando, sulla base delle riflessioni intorno al movimento delle macchine progettate da James Watt, l’ingegnere francese Sadi Carnot (1796-1832) diede una prima formulazione del secondo principio della termodinamica in base al quale “è possibile estrarre lavoro dal calore solo disponendo di due sorgenti a temperatura differente e il lavoro estratto è proporzionale al dislivello termico tra le sorgenti stesse”. Il primo principio della termodinamica (o principio di “conservazione dell’energia”), successivo di trenta anni, si ricollega direttamente al dinamismo settecentesco di ascendenza leibniziana. Mentre per Cartesio, padre del meccanicismo moderno, ciò che si conserva in-de-fi-ni-ta-men-te è la materia e, in subordine, quel particolare stato della materia che è la quantità di moto, per Leibniz, invece, è l’energia cinetica, che lui chiama forza viva, a costituire la sostanza del mondo.
Il principio leibniziano dell’indistruttibilità della forza viva, trovava conferma scientifica nella teoria del tedesco Hermann Helmholtz, (1821-1894) che, nel 1847, riassumendo gli studi del fisico inglese James Jules (1818-1889), pubblicava la legge sulla conservazione dell’energia. Ricollegabile storicamente al dinamismo settecentesco, alla cui base sta l’equivalenza tra calore e lavoro, la legge afferma che, sebbene possa essere trasformata e convertita da una forma all’altra, la quantità totale di energia di un sistema isolato è una costante, ovvero il suo valore si mantiene immutato
(ΔEG = 0) (ΔED = 0) (l’energia non si genera) (l’energia non si distrugge).
Tale teoria (nota anche come “primo principio della termodinamica”) sembrava richiamare in vita il vecchio miraggio del moto perpetuo.
Ma un’energia indistruttibile non significa un’energia perennemente disponibile e l’analisi dei processi di trasformazione dell’energia meccanica in energia termica mostrava, con Lord William Thomson Kelvin (1824-1907), la tendenza ineluttabile e universale della natura verso la degradazione e la dissipazione dell’energia e Rudolf Clausius (1822-1888) individuava nell’Entropia (una funzione di stato data dal rapporto tra quantità di calore e temperatura) una nuova grandezza capace di misurare il progressivo e inarrestabile incremento di dis-ordine, di mescolanza, verso cui tende un sistema termodinamico.
Studi, ricerche, ma anche e soprattutto meditazioni, che inevitabilmente coinvolgevano la filosofia sui problemi legati al Tempo e all’Universo.
Utilizzando i rapporti tra energia ed entropia, Clausius aprì la strada alla scoperta che l’entropia del sistema universo tende ad aumentare sempre, fino ad un ad un massimo raggiunto il quale l’universo stesso si troverà in uno stato di morte immodificabile.
Inoltre, una nuova disciplina, la “meccanica statistica” elaborata da James Maxwell e dal fisico teorico austriaco Ludwig Boltzmann (1844-1906), detto “il terrorista algebrico”, riuscì, in termini probabilistici e sulla base di un modello puramente meccanico, a fornire piena spiegazione della spontanea e misteriosa tendenza della natura a dissipare l’energia prodotta, tendenza già individuata da Lord Kelvin. La nuova disciplina offriva gli strumenti per trattare statisticamente i moti disordinati delle molecole, per i quali è impensabile un’analisi individuale (= come i controlli sulle uova negli allevamenti) e conferiva rilievo alla probabilità nello studio dei fenomeni fisici (il concetto di “probabilità” sino a quel momento era escluso dal campo della fisica).
In questa nuova disciplina, i moti molecolari sono meccanici, dunque pienamente reversibili; anzi potremmo dire che essi rappresentano l’ambito in cui il modello meccanico funziona meglio. Ma…La reversibilità a livello molecolare dei moti meccanici, si trasforma “de facto” in irreversibilità a livello macroscopico (= il sistema universo), e questo per una legge probabilistica di natura matematica, la stessa che ci dice quanto sia improbabile un terno secco.
Ogni sistema fisico isolato tende spontaneamente ad evolvere (meglio dire “mutare) da una condizione di ordine ad una di disordine, da una configurazione improbabile ad una più probabile, e il grado di probabilità o di disordine di un sistema fisico, cioè la sua entropia, costituisce in un certo senso la misura del tempo trascorso, la traccia lasciata dietro di sé dal tempo. La termodinamica, a livello filosofico, evidenziava una conclusione sconcertante, l’universo, se può essere considerato un sistema chiuso, è volto verso una progressiva morte termica, ossia, secondo la visione prospettata da Clausius, da Kelvin e Helmholtz, è volto verso una configurazione in cui non si può ipotizzare alcuna forma di organizzazione. La meccanica statistica, così, se pure di controvoglia, era costretta a far posto all’asimmetria del tempo, alla sua irreversibilità. L’universo ha una storia che si dipana tra un non ben definibile “principio” ed una “fine”, caratterizzata da un totale livellamento termico. Questa teoria “del tempo asimmetrico” e della morte dell’universo era un’ipotesi terrificante per un’epoca dominata dal mito e dall’ideologia del progresso, infatti venne accettata solo all’inizio del secolo successivo, passato il tempo dell’ottimismo positivistico, quando si venne a trovare in sintonia con talune visioni tragiche dell’esistenza o con la riscoperta della trascendenza.
II. 2. Il Positivismo evoluzionistico.
Il concetto di Entropia, emerso dagli studi sulla termodinamica di Robert Clausius e allegri compagni, reintroduceva in fisica la nozione di disordine già affermata da Empedocle e quella di “asimmetria del tempo”, per la quale ogni sistema fisico isolato tende spontaneamente a un progressivo passaggio da una condizione di ordine a una di disordine, passaggio del quale il tempo lascia invariabilmente una traccia.
Le ricerche sulla biologia, allo stesso modo, sviluppano un tema già affrontato dall’Illuminismo, vale a dire la convinzione che la vita sulla terra abbia una storia e segua una sua evoluzione, ma in senso opposto a quello evidenziato dalla termodinamica, poiché la traccia lasciata dietro di sé dal tempo evidenzia il lento affermarsi di una organizzazione.
Il primo tentativo di sistematizzare l’idea di un processo evolutivo della vita lo dobbiamo a Jean Baptiste Lamark (1744-1822). Nella sua Filosofia Zoologica (1809) e nella Storia Naturale degli invertebrati (1815-1822) egli enunciava la sua “teoria di trasformismo biologico”, fondata sulla ipotesi di un’originaria tendenza della vita ad organizzarsi in forme sempre più complesse e ramificate. Tale intuizione, osteggiata dai sostenitori del fissismo come Georges Cuvier (1769-1832), rimase inascoltata. Ad essa, Georges Cuvier (1769-1832) oppose “la teoria della catastrofi”, che postulava la sparizione delle specie fossili ad opera di cataclismi che periodicamente hanno distrutto sulla terra le specie viventi. Dobbiamo attendere fino alla seconda metà del secolo perché l’evoluzionismo riprenda vigore su solide basi scientifiche, con l’intervento di Charles Darwin.
In termini filosofici l’“evoluzionismo positivistico” è l’indirizzo di pensiero che consiste nell’assumere il concetto biologico di evoluzione, desunto dalle dottrine di Lamark e Darwin, quale fondamento di una teoria generale della natura e nell’identificare nella stessa evoluzione la manifestazione di una realtà ignota e infinita. Condizionata dal presupposto romantico, che il finito sia manifestazione dell’infinito, tale teoria evoluzionistica generale presuppone che i singoli processi evolutivi, accertabili frammentariamente dalla scienza in alcuni aspetti della natura, siano saldati, gli uni agli altri in un processo unico, universale, continuo e necessariamente progressivo. Visto sotto questo aspetto l’evoluzionismo positivistico è l’estensione al mondo naturale del concetto di Storia elaborato dall’idealismo romantico.
Se il presupposto filosofico dell’evoluzionismo è il principio idealistico dell’infinito che si realizza nel finito, il punto di partenza di fatto è la teoria biologica, avanzata da numerosi studiosi (Buffon, Lamarck, Lyell) della “trasformazione della specie”, che ebbe la definitiva dimostrazione soltanto con le osservazioni e gli esperimenti di Charles Darwin (1809-1882), il quale, nel 1859, diede alle stampe L’origine della specie.
Il nucleo della teoria di Darwin si fonda sulla legge della “selezione naturale”, la quale viene desunta dall’osservazione di due ordini di fatti.
1) L’esistenza di piccole variazioni organiche che si verificano negli organismi viventi nel corso del tempo sotto l’influenza delle condizioni ambientali.
2) La lotta per la vita osservabile negli individui delle varie specie che tendono a moltiplicarsi in progressione geometrica (tale legge è desunta dalla dottrina di Malthus).
Da ciò consegue che gli individui che presentano mutamenti organici più vantaggiosi hanno maggior probabilità di sopravvivere nella lotta per la vita, e in virtù del principio di ereditarietà vi sarà maggior tendenza a conservare, nelle generazioni future, i caratteri accidentali acquisiti.
La teoria ci dice che la natura ha selezionato gli individui più resistenti e scartato quelli “inadatti”, e questo vale anche per le specie, alcune delle quali sono sopravvissute ed altre no, e di queste ultime rimangono tracce nei residui fossili. Per Darwin “la selezione naturale agisce solamente per il bene di ciascun individuo […] e tenderà a progredire verso la perfezione”. Attraverso l’opera di Darwin la scienza ha inserito l’intero mondo degli organismi viventi nella storia progressiva dell’universo, e per quanto Darwin si fosse definito “agnostico” riguardo alla credenza in una “finalità” superiore della natura l’intera struttura della sua teoria si fonda sul presupposto dell’idea di progresso che dominava il clima romantico dell’epoca.
II. 3. Lamarck e Darwin più da vicino
Verso la fine del XVIII, lo zoologo e naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck coniò il termine biologia ed elaborò la teoria sull’ereditarietà dei caratteri acquisiti. Con la pubblicazione, nel 1809, dell’opera Philosophie zoologique giunse alla conclusione che gli organismi, così come si presentavano, fossero il risultato di un processo graduale di modificazione che avveniva sotto la pressione delle condizioni ambientali.
La sua è considerata la prima teoria evoluzionista e si basa su tre principi:
1) Il principio di mutazione in grado di render conto della varietà di specie esistenti: Lamarck riteneva che poche specie fossero riuscite a mutare nel corso degli anni.
2) L’uso e il non uso degli arti: le specie avevano, con il tempo, sviluppato gli organi del loro corpo che permettevano di sopravvivere e di adattarsi all’mbiente. Per spiegare questa idea ricorse all’sempio delle giraffe: in un primo momento, secondo Lamarck, sarebbero esistite solo giraffe con il collo corto; queste ultime, per lo sforzo fatto per arrivare ai rami più alti, sarebbero poi riuscite a sviluppare collo e zampe anteriori e quindi ad avere quindi organi adatti alle circostanze.
3) L’ereditarietà dei caratteri acquisiti: le specie erano in grado di tramandare i caratteri acquisiti (il collo e le zampe più lunghi nel caso delle giraffe) ai discendenti.
La teoria di Lamarck consiste nell’affermazione “l’uso crea l’organo” e questo è tramandato alla discendenza.
La teoria evoluzionista successiva ha abbandonato la teoria lamarckiana, soprattutto per quanto riguarda l’reditarietà dei caratteri acquisiti. È ormai appurato che le mutazioni somatiche non si possono trasmettere ereditariamente, perché esse non intervengono sul patrimonio genetico dell’individuo che sarà poi trasmesso alla progenie. Tuttavia, gli ultimi studi sul citoplasma, sulla clonazione somatica riproduttiva nei mammiferi e sui citoplasti universali, stanno dimostrando che tale teoria, contrariamente a quanto era stato ritenuto in precedenza, è integrabile, in alcune sue parti, con quella della selezione naturale del biologo inglese Charles Darwin (che era, tra l’altro, un estimatore di Lamarck).
Nonostante ciò, Lamarck rimane il primo scienziato a propugnare una teoria evoluzionista che affermava la mutazione delle specie nel corso del tempo (idea che sarà poi condivisa da Darwin). In questo modo, egli portava la biologia fuori dal campo della filosofia e dal creazionismo e fondava una prospettiva dinamica della storia naturale.
Charles Robert Darwin (1809-1882)
Il suo nome è legato alla teoria dell’evoluzione delle specie (animali e vegetali) per selezione naturale e per aver teorizzato la discendenza di tutti i primati (uomo compreso) da un antenato comune. Pubblicò la sua teoria sull’evoluzione delle specie nel libro L’origine delle specie (1859), che è rimasto il suo lavoro più noto. Raccolse molti dei dati su cui basò la sua teoria durante un viaggio intorno al mondo in cui visitò le isole di Capo Verde, le Isole Falkland, la costa del Sud America, l’Australia e in particolare durante la sua sosta alle Isole Galápagos. Al suo ritorno, nel 1836, Darwin analizzò campioni di specie animali e vegetali raccolti e notò somiglianze tra fossili e specie viventi della stessa area geografica. In particolare, notò che ogni isola dell’arcipelago delle Galápagos aveva proprie forme di tartarughe e specie di uccelli differenti per aspetto, dieta, eccetera, ma, per altri versi, simili.
Nella primavera del 1837 gli ornitologi del British Museum, a cui si era rivolto, lo informarono che le numerose e piuttosto differenti specie che egli aveva raccolto appartenevano tutte ad uno stesso gruppo (cui appartengono anche i comuni fringuelli). La lettura del saggio sui principi della popolazione di Thomas Malthus (1798) (in cui si teorizzava il concetto di disponibilità di risorse alimentari intesa come limite alla numerosità delle popolazioni animali) gli forniva l’idea per la teoria dell’evoluzione per selezione naturale e sessuale. Darwin ipotizzò che, ad esempio, le differenti tartarughe avessero avuto origine da un’unica specie e si fossero diversamente adattate nelle diverse isole.
Consapevole dell’impatto che la sua ipotesi avrebbe avuto sul mondo scientifico, Darwin si mise ad indagare attivamente alla ricerca di eventuali errori, facendo esperimenti con piante e piccioni e consultando esperti selezionatori di diverse specie animali. Nel 1842 stese un primo abbozzo della sua teoria e, nel 1844, iniziò a redigere un saggio in cui esponeva una versione più articolata della sua idea originale sulla selezione naturale. Fino al 1858 (anno in cui Darwin si sarebbe presentato alla Linnean Society di Londra) non smise mai di limare e perfezionare la sua teoria.
Con la teoria evoluzionistica Darwin dimostrò che l’evoluzione è l’elemento comune, il filo conduttore della diversità della vita. Secondo una visione evolutiva della vita, i membri dello stesso gruppo si assomigliano perché si sono evoluti da un antenato comune. La teoria evoluzionistica di Darwin si basa su tre presupposti fondamentali:
1. Riproduzione: tutti gli organismi viventi si riproducono con un ritmo tale che, in breve tempo, il numero di individui di ogni specie potrebbe non essere più in equilibrio con le risorse alimentari e l’ambiente messo loro a disposizione (teoria di Malthus).
2. Variazioni: tra gli individui della stessa specie esiste un’ampia variabilità dei caratteri; ve ne sono di più lenti e di più veloci, di più chiari e di più scuri, e così via.
3. Selezione: esiste una lotta continua per la sopravvivenza all’interno della stessa specie e anche all’esterno. Nella lotta sopravvivono gli individui più favoriti, quelli meglio strutturati per sfruttare le risorse naturali messe loro a disposizione, ottenendo un vantaggio riproduttivo sugli individui meno adatti.
La selezione naturale avviene quando variazioni ereditabili vengono esposte a fattori ambientali che favoriscono il processo riproduttivo di alcuni individui rispetto ad altri. Darwin affermò che l’evoluzione di nuove specie deriva da un accumulo graduale di piccoli cambiamenti. Ciascuna specie presenta una propria serie di adattamenti, ossia di caratteristiche che si sono evolute mediante la selezione naturale; comprendere in che modo gli adattamenti si sono evoluti per selezione naturale è di estrema importanza nello studio della vita quindi nella biologia.
II. 4. Spencer (da non fare).
L’idea di progresso, esteso alla totalità del mondo, ed il suo valore quasi divino sono alla base del Sistema di filosofia sintetica, diffuso nell’1860 da Herbert Spencer (1820-1903). Ingegnere delle ferrovie inglesi, abbandonata la carriera si dedicò alla sua attività di scrittore e filosofo. Nel saggio Il progresso, sua legge e causa, del 1857, l’evoluzionismo è interpretato come evidente affermazione del progresso, inteso come fatto universale e cosmico.
L’evoluzione, per Spencer, è un processo durante il quale elementi disomogenei e separati entrano in reciproca dipendenza. Coerentemente con il positivismo, Spencer riscontra analogie tra l’organismo individuale e l’organismo sociale. Entrambi vedono l’aumentare della loro massa con il passare del tempo, mutare la loro struttura, che diviene più complessa, aumentare l’interdipendenza delle loro parti e sopravvivere alla morte delle loro singole componenti. Il suo pensiero è quindi basato sul connubio tra l’evoluzionismo darwiniano ed una visione sociologica organicista che prende le mosse da Comte.
Il carattere divino della realtà, disvelata dal progresso cosmico, è il punto di partenza dei Principi primi, il suo scritto filosofico fondamentale. Nella prima parte dello scritto “L’inconocibile”, viene prospettata la possibilità di una conciliazione tra religione e scienza, dato che entrambe hanno come oggetto un mistero, che da sempre esige di essere interpretato. La natura ultima della realtà, di cui la scienza studia le manifestazioni è un enigma impenetrabile e tale è destinato a rimanere. E questo perché la nostra conoscenza è chiusa entro i limiti del relativo e ad essa è precluso l’accesso alla realtà suprema, sia che la chiamiamo Assoluto o Infinito. Se la scienza è limitata al fenomeno, questo non significa che esso sia pura apparenza. I fenomeni sono per Spencer una meravigliosa manifestazione dell’Inconoscibile, “gli effetti condizionati di una causa incondizionata”, ma non per questo sono meno reali di essa. Il rapporto di reciproco rispetto tra la religione e la scienza si fonda sul fatto che la prima deve riconoscere l’Inconoscibile e la seconda agire all’interno del conoscibile. E la filosofia? Ad essa spetta la conoscenza al suo più alto grado di generalità. La filosofia è la rappresentante stessa della teoria evolutiva, poiché è il prodotto finale di quel processo che comincia con la raccolta di osservazioni isolate e termina con le proposizioni universali. Essa deve assumere come suo proprio materiale e punto di partenza i principi più vasti e generali ai quali la scienza è giunta. “Unificare i risultati delle varie scienze in una generalizzazione superiore”, per questo Spencer definisce il suo pensiero come sistema di filosofia sintetica. I risultati generali raggiunti dalle varie discipline scientifiche sono riassumibili in tre principi:
L’indistruttibilità della materia,
La continuità del movimento,
La persistenza della forza.
Tali principi generali richiedono una formula sintetica che implichi una redistribuzione della materia e della forza e Spencer la identifica con legge dell’evoluzione per la quale la materia passa da uno stato di dispersione a uno di concentrazione, mentre la forza che ha operato tale concentrazione si dissipa.
I Primi Principi definiscono la natura e i caratteri generali dell’evoluzione che è un processo che si attua attraverso tre passaggi:
1) Passaggio dall’incoerente al coerente,
2) Passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo,
3) Passaggio dall’indefinito al definito.
1) Possiamo ritrovare questa tendenza a passare da uno stato di disgregazione ad uno di coerenza e di armonia nello sviluppo del sistema solare, in un organismo animale, in una nazione.
2) Ogni organismo, animale o vegetale, si sviluppa attraverso la differenziazione delle sue parti, che da principio sono chimicamente o biologicamente indistinte poi si differenziano fino a formare organi diversi. questo processo è proprio di ogni sviluppo in qualsiasi campo della realtà.
3) Indefinita è per esempio la condizione di una tribù selvaggia, in cui non c’è specificazione dei compiti e delle funzioni come in una società civile.
L’evoluzione è dunque per Spencer un’integrazione di materia e una concomitante dissipazione di movimento, durante la quale la materia passa da un’omogeneità indefinita e incoerente ad una eterogeneità definita e coerente; durante la quale il movimento conservato soggiace ad una trasformazione parallela. Un processo necessario, il cui punto di partenza, l’omogeneità è uno stato instabile che deve trapassare nell’eterogeneità per raggiungere l’equilibrio. Essa deve cominciare, e una volta cominciata deve continuare, il senso di questo processo è ottimistico.
Spencer applica il principio evolutivo al campo di varie scienze, dalla biologia, alla psicologia alla sociologia e all’etica. In contrasto con la sociologia di Comte, e con l’indirizzo generale del positivismo, quella di Spencer è orientata verso la difesa di tutte le libertà individuali, in quanto il tema che la guida è il principio che lo sviluppo sociale deve essere lasciato in mano alla forza spontanea che lo presiede e che dunque l’intervento dello stato nei fatti sociali non è che un elemento di disturbo. Inoltre tale sviluppo sociale è lento, graduale e inevitabile tanto da render inutili quelle idee di riforma proclamate dal positivismo sociale. Ogni tentativo di bruciare le tappe dell’evoluzione storica, ogni sogno di visionari e utopisti, non fa che ritardare o sconvolgere il naturale processo dell’evoluzione. Questo non significa però che l’individuo debba passivamente subire il corso degli eventi, l’attuale regime industriale, come lo chiama, fondato sull’attività indipendente degli individui, libero dal regime statale, lo determina a rafforzare le sue esigenze e a rispettare quelle degli altri, rinvigorendo la coscienza dei diritti personali e motivandolo a resistere agli eccessi del controllo statale. E questo in vista di un terzo regime sociale che concili insieme egoismo e altruismo. Possibilità questa che può essere prospettata soltanto dall’etica. La tensione verso una vita più lunga ed intensa è ciò che si deve intendere per felicità e la morale di Spencer è una morale edonistica, ma non utilitaristica nel senso prospettato da Bentham o dai Mill, perché sebbene il fine ultimo e indiretto della moralità sia l’utile collettivo, il movente diretto di essa è il dovere.
Un dovere che è un a-priori per il singolo, ma non lo è per la specie. quella di Spencer è un etica evolutiva, che da conto del sorgere del sentimento morale quale frutto di esperienze ripetute e accumulate attraverso il succedersi di innumerevoli generazioni. Queste esperienze hanno prodotto la coscienza morale. Secoli di Coazioni esterne, politiche, religiose e sociali hanno prodotto un sentimento di coazione puramente interiore e autonomo.
Col procedere del completo adattamento dell’uomo allo stato sociale, le azioni più elevate, richieste per lo svolgimento armonico della vita sociale, l’altruismo, il sacrificio, diverranno con l’evoluzione così comuni come ora lo sono quelle azioni inferiori cui ci spinge il semplice desiderio.. l’evoluzine morale, facendo coincidere la soddisfazione del singolo col benessere e la felicità altrui (concetto di simpatia) provocherà l’accordo finale dell’altruismo e dell’egoismo.
(E vissero 100 anni felici e contenti!).
III. Positivismo e Illuminismo a confronto.
Come abbiamo detto, caratteristica comune dei pensatori positivisti è la celebrazione della scienza e per questo il positivismo è stato spesso interpretato come una ripresa dell’Illuminismo: la metafisica, infatti, viene emarginata e la fiducia nelle possibilità della ragione viene limitata al solo ambito scientifico. E soprattutto il tema comune alle due correnti di pensiero è la finalità sociale del sapere: la scienza ha un senso soltanto quando serve a produrre strumenti di trasformazione della natura volti al benessere sociale. Ma le differenze tra i due movimenti sono sostanziali.
Il Positivismo si discosta notevolmente dalla corrente illuministica, fautrice degli ideali tradotti in atto nella Rivoluzione Francese, per una minor carica polemica, che porta i positivisti a teorizzare o appoggiare un riformismo anti-rivoluzionario; una divergenza, questa, dovuta al differente momento storico in cui si sviluppano le due correnti filosofiche. Infatti, mentre gli illuministi si fanno promotori dell’ascesa economica e politica della borghesia e si fanno sostenitori di un progresso ancora da costruire, i positivisti agiscono in una situazione intellettuale e sociale in cui dominano già una visione laica e borghese della vita.
Diverso è l’approccio nei confronti della scienza. Mentre gli illuministi sono spinti ad una fondazione critica della scienza in grado didissolvere le credenze a-critiche, metafisiche e religiose, i positivisti, che ripongono nel sapere scientifico e nelle sue applicazioni pratiche una fiducia spesso a-critica, tendono ad assolutizzare tale sapere, quasi con fede religiosa, così come i romantici erano ricorsi all’assolutizzazione dell’arte e del sentimento.
IV. Positivismo e Idealismo romantico a confronto.
Il dissimile retroterra culturale, il differente contesto linguistico, economico e sociale tra il l’idealismo e il positivismo, sono innegabili ed evidenti. L’uno nasce in Germania come reazione al criticismo kantiano, l’altro in Francia connesso all’eredità illuministica. L’uno parla in termini di filosofia speculativa, di Spirito e Dialettica, l’altro in termini di scienza, di umanità e di progresso. L’uno si afferma in una società, come quella tedesca, dove non vi è stata rivoluzione borghese, l’altro in una società che ha conosciuto il più grande rivolgimento politico dell’età moderna, la rivoluzione francese. L’uno è collegato al ceto medio di una società pre-industriale, l’altro esprime interessi e ideologie della borghesia capitalistica. Tutte queste differenze, però, non escludono l’esistenza di analogie tra il romanticismo e il positivismo o l’esistenza di sotterranei influssi del primo sul secondo. Colto nel suo aspetto filosofico, il positivismo potrebbe essere il romanticismo della scienza. E questo per l’enfatizzazione ed esaltazione del sapere positivo assunto come unica verità e guida della vita umana. Come i romantici e gli idealisti, presi dalla brama di infinito, tendevano a caricare la poesia o la filosofia di un valore assoluto, così i positivisti, partecipi di un’analoga “mentalità assoluta”, tendono ad attribuire alla scienza, un significato quasi religioso. Il tratto formale che accomuna i due movimenti è il riferimento ad una medesima categoria di base che è quella della totalità processuale necessaria, ossia positivisti ed idealisti romantici fanno entrambi ricorso alle nozioni di “sviluppo ineluttabile” e “divenire ascendente”, interpretando il loro oggetto di studio, sia esso la natura, oppure l’uomo o la storia, come un processo verso l’alto, nel quale ogni evento è il risultato di un progresso rispetto al passato e condizione di un miglioramento futuro. Questo schema è stato elaborato dall’Idealismo, soprattutto da Hegel (come svolgimento necessario dello Spirito), e, contemporaneamente, da Comte, come chiave di lettura della storia e dei suoi stadi in cui passa necessariamente l’Umanità nel suo sviluppo progressivo; in seguito il concetto è stato esteso alla intera realtà dall’evoluzionismo, che ne ha fatto una piattaforma valida per la formazione dei cieli come per la dinamica delle civiltà. Di là dallo specifico linguaggio tecnico, idealisti e positivisti tendono a considerare il finito, come manifestazione di una realtà infinita: l’Io di Fichte, l’Assoluto di Schelling, lo Spirito di Hegel, l’Umanità di Comte, l’Inconoscibile di Spencer, l’Indistinto di Ardigò, la Materia di Ernst Haeckel. Tant’è vero che anziché presentarsi come “teorico” di una proposta etico-politica, come il filosofo illuminista, il filosofo, sia idealista che positivista, si presenta quale “profeta” di una situazione futura, inscritta nelle cose stesse e garantita dal corso del mondo. Da ciò la celebrazione idealistica dell’esistente “il reale è razionale” o il culto positivista del dato “il fatto è divino”, che porta questi filosofi ad assumere un atteggiamento essenzialmente giustificazionista del reale, in campo politico e culturale; da ciò la comune polemica contro l’individualismo illuminista e la tendenza a risolvere e a integrare l’individuo in totalità statali, sociali, storiche, biologiche o cosmiche, in relazioni di fronte alle quali perdono di significato quelle situazioni esistenziali che per Kierkegaard e l’esistenzialismo novecentesco costituiscono la trama irriducibile dell’esistenza singola. Questo modo di rapportarsi alla realtà e alla storia si riassume in una mentalità ottimistica, che è l’orizzonte categoriale dell’intera cultura dell’ottocento. Pur rappresentando un momento peculiare della cultura ottocentesca, il positivismo, se da un lato risulta geneticamente connesso all’illuminismo dall’altro appare concettualmente impregnato di romanticismo.
Definizione sintetica
Il positivismo è un movimento filosofico e culturale che nasce in Francia nella prima metà dell’800 e si diffonde nella seconda metà del secolo a livello europeo e mondiale. Ispirato ad alcune idee guida fondamentali riferite all’esaltazione del progresso e del metodo scientifico, il positivismo non si configura come un pensiero filosofico organizzato in un definito sistema, come quello che aveva caratterizzato la filosofia idealistica, ma piuttosto come un movimento per certi aspetti simile all’Illuminismo, di cui condivide la fiducia nella scienza e nel progresso, e, per altri aspetti, affine alla concezione romantica della storia.
Fonte: http://keynes.scuole.bo.it/~miglioli/2011_12/Positivismo%20per%20i%20ragazzi%20ultimo.doc
Sito web da visitare: http://keynes.scuole.bo.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve