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Leonardo da Vinci (Vinci 1452 – Cloux, Loira 1519)
Figlio illegittimo di un notaio di Vinci, crebbe nella casa del padre. La sua vita di artista, iniziata a Firenze nella bottega del pittore e scultore Andrea del Verrocchio, si svolse tra le principali corti europee: fu al servizio del duca Lodovico il Moro a Milano, del duca Cesare Borgia in Romagna, del cardinale Giuliano de’ Medici a Roma, di re Francesco I in Francia. Oltre a diverse celebri opere pittoriche, di lui ci sono pervenuti numerosissimi scritti e disegni di vario argomento artistico, tecnico e scientifico, raccolti in codici, che oggi sono conservati presso vari musei europei: il Codice Atlantico, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, il Codice Trivulziano, presso la Biblioteca Trivulziana di Milano, il Codice Urbinate, presso la Biblioteca Vaticana, il Codice Arundel ed il Codice Leicester, presso la British Library di Londra, i due Codici Forster, presso il Victoria and Albert Museum di Londra, i Fogli di Windsor, presso la Royal Library di Londra, i due Codici di Madrid, presso la Biblioteca Nacional della capitale spagnola, i Codici B-M ed il Codice Ashburnhamiano, presso la Bibliothèque de l’Institut de France di Parigi.
La matematica che compare nelle annotazioni di Leonardo è per lo più semplice e finalizzata alle applicazioni pratiche. Pare che dei numeri e delle forme egli apprezzasse soprattutto l’essenzialità. I suoi studi architettonici si basano interamente su elementi geometrici primitivi, linee rette ed archi. Leonardo evitava i calcoli complessi, e pare che certi suoi conti aritmetici rivelassero una certa goffaggine. Egli era carico di una portentosa intuizione, ma era poco istruito. Lui stesso ammetteva, nei suoi scritti, di essere “omo sanza lettere”. Non conosceva il latino, il che quasi sicuramente gli rese inaccessibili le trascrizioni medievali delle opere scientifiche dell’antichità. Gli storici su questo punto non sono concordi. Qualcuno di loro, vista la scarsa dimestichezza di Leonardo con i numeri, esclude che egli possa aver letto i trattati del Fibonacci. Secondo questi studiosi, egli disponeva solo di nozioni frammentarie, colte qua e là; era sicuramente venuto in contatto con gli scritti di Archimede, che egli citò più volte, e da cui trasse importanti ispirazioni, ma non poté mai studiarli in maniera sistematica. Ed è incerto fino a che punto egli avesse, tra le sue fonti, le opere di Erone ed Euclide, che pure molte parti dei suoi manoscritti sembrano richiamare. È difficile stabilire cosa Leonardo attinse dai suoi predecessori, e cosa reinventò in maniera indipendente, ignorando che si trattasse di idee già pubblicate.
Contro l’ipotesi di un Leonardo “uomo di numeri” pare deporre il suo disinteresse nei confronti dei grandi problemi matematici dell’epoca. Divenne amico del Pacioli, per il quale realizzò alcune illustrazioni del trattato De Divina Proportione:ciononostante rimase comple-tamente estraneo all’affannosa attività intorno alle equazioni algebriche di terzo e quarto grado che all’epoca teneva impegnati, insieme al Pacioli, il matematico Scipione dal Ferro e che, nel giro di una generazione, avrebbe infiammato gli animi di Antonio Maria Fior, Gerolamo Cardano, Nicolò Tartagliae Ludovico Ferrari. Non si addentrò mai in tali questioni, ma forse ciò è dovuto in gran parte alla sua personale convinzione che in natura le sole leggi fisiche significative fossero quelle che stabilivano una dipendenza lineare (proporzionalità) tra le grandezze misurabili. Tra queste egli seppe riconoscere correttamente:
Mai nessuno scrisse tanto sulla meccanica: e le osservazioni di Leonardo spaziano dai problemi di statica (resistenza delle travi, principio della leva ed equilibrio delle bilance) agli effetti dell’attrito sul moto, fino a sfiorare, così pare, il principio di composizione delle forze, che egli applicò in alcuni casi particolari, e che fu enunciato per la prima volta in maniera completa, due secoli più tardi, da Newton.
Il fatto che Leonardo non concepisse, tra le grandezze fisiche, relazioni quadratiche o di grado superiore lo portò spesso a conclusioni errate. Il suo acume gli consentì comunque di aggirare l’ostacolo, e di mettere a frutto le sue osservazioni nelle celeberrime macchine, come, ad esempio, quelle idrauliche e quelle per il volo. Molte delle sue pagine sono dedicate al moto dell’aria e dell’acqua, alle onde, alle correnti, ai vortici: fu il primo ad individuare le analogie e le differenze che i comportamenti dei due elementi presentano, precorrendo la creazione della fluidodinamica. La trattazione di Leonardo manca di un’elaborazione matematica vera e propria, eppure vi compaiono modelli geometrici, come quello che spiega la sovrapposizione delle onde sulla superficie dell’acqua.
Non mancano valutazioni quantitative, anche se non strettamente numeriche, sulle differenze di velocità dell’acqua che scorre in un fiume. Un fondo irregolare rallenta il flusso a causa delle onde che si creano intorno agli ostacoli e si propagano agli strati superiori. L’inclinazione di un bastoncino (baculum) con un’estremità fissata al fondo non indica invece necessariamente che l’acqua scorra, in superficie, più velocemente che sul fondo: il fenomeno è spiegabile con il principio della leva.
La pratica della pittura portò Leonardo ad occuparsi di ottica e di prospettiva. Le sue annotazioni sull’argomento furono raccolte da un anonimo compilatore col titolo di Trattato della Pittura, e pubblicate nel 1651. Leonardo, comunque, non disdegnò la matematica pura, anche se vi si cimentò con poco successo. Molti suoi aforismi ci fanno capire il valore che egli attribuiva a questa disciplina.
“O studianti, studiate le matematiche, e non edificate sanza fondamenti.” (Windsor 19066)
“Chi biasima la somma certezza delle matematiche si pasce di confusione, e mai porrà silenzio alle contradizioni delle sofistiche scienzie, colle quali s’impara uno eterno gridore.” (Windsor 19084)
“Nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienzie matematiche, over che non sono unite con esse matematiche.” (G 96 v.)
A questo proposito Truesdell osserva: “Se è vero che Leonardo adorava la matematica come una musa, è anche vero che non le fece una corte più serrata che alle altre muse, ed ella pare gli abbia concesso pochi favori.”
In una pagina del Codice Atlantico Leonardo tenta invano di dimostrare in maniera geometrica astratta che il baricentro di un triangolo è il punto d’intersezione delle mediane. Alla fine perviene al risultato tramite l’intuizione fisica: riesce a visualizzare il fatto che, per motivi di simmetria, un triangolo sospeso per quel punto deve necessariamente trovarsi in equilibrio. Con analoghi ragionamenti meccanici ricava il baricentro della piramide, come testimoniano vari brani del Codice Arundel. Egli dapprima risolve il problema per la piramide a base triangolare, che è poi un tetraedro, trovando che il baricentro coincide col punto d’intersezione di tutti i suoi assi, cioè i segmenti che congiungono il centro di ogni faccia con il vertice opposto. Il baricentro viene così a trovarsi, su ogni asse, ad un quarto di distanza dalla base corrispondente.
“Il cientro della gravità del corpo di 4 basi triangulari fia nella intersegazione de’ suoi assis e sarà nella 4a parte della sua lunghezza.” (Arundel, 193 v.)
Leonardo descrive anche un’altra costruzione dello stesso baricentro, che si può ottenere come intersezione dei segmenti che congiungono il punto medio di ogni spigolo al punto medio dello spigolo opposto:
“La piramide di basa triangolare ha’l centro della sua gravità naturale nel taglio che s’astende dal mezo della basa al mezo del lato oposito a essa basa, fatto equalmente distante alla congiunzione della base col predetto lato.” (Arundel, 123 v.)
Egli estende poi il risultato alle piramidi qualsiansi:
“De ogni piramide tonda, triangula o quadrata o di quanti lati sia, il centro della sua gravità è nella 4a parte della sua assis vicina alla basa.” (Arundel 218 v.)
Leonardo cerca anche di determinare il baricentro del semicerchio (pieno). Leonardo lo suddivide in 8 settori uguali, che identifica con altrettanti triangoli isosceli. Determina quindi il baricentro dell’intera figura (che è simile ad un semicerchio, ma in realtà è la metà di un esadecagono) a partire dai baricentri dei singoli triangoli. Ottiene un risultato, naturalmente approssimato, in base al quale il baricentro si troverebbe - naturalmente, sull’asse del semicerchio - ad una altezza pari a 0,427 volte il raggio. Questo valore numerico è di fatto molto vicino a quello reale: dal teorema di Guldino si deduce che esso è pari a 4/3π » 0, 424 volte il raggio.
Se Leonardo avesse voluto utilizzare il metodo di esaustione di Archimede, non si sarebbe fermato qui, avrebbe immaginato di aumentare all’infinito il numero dei settori, arrivando a stabilire l’esatta proporzione tra l’altezza del baricentro e le misure del cerchio.
Ma Leonardo non cercò mai un tale rigore: a lui bastava il fatto di poter ricondurre i problemi curvilinei, con approssimazione soddisfacente, a figure rettilinee. Così risolse la quadratura del cerchio con una costruzione approssimata, in cui l’errore è il più piccolo possibile, ed assolutamente impercettibile: essa è dunque da considerarsi perfetta ai fini pratici.
Occorrerà attendere la scuola galileiana, in particolare Torricelli e Cavalieri, per vedere uno studio sistematico dei baricentri, basato sulla teoria degli indivisibili.
L’esempio forse più emblematico dell’approccio di Leonardo alla matematica è la sua soluzione meccanica del problema di Alhazen, proposto da uno scienziato arabo, vissuto intorno all’anno 1000: una candela è posta di fronte ad uno specchio sferico, e ci si chiede quale dei raggi uscenti dalla fiamma colpirà l’occhio dell’osservatore.
Leonardo mette insieme pochi listelli e costruisce uno strumento che, per ogni raggio uscente dalla fiamma, indica il corrispondente raggio riflesso.
Anche quando Leonardo sembra occuparsi di problemi geometrici astratti, il suo scopo ultimo è l’applicazione tecnica. Ci sono pervenuti, sia pure in maniera frammentaria, tre libri di un suo trattato “titolato de strasformazione, cioè d’un corpo’n un altro sanza diminuzione o accrescimento di materia.” Vi vengono descritti vari modi per ottenere, a partire da un solido, un altro solido di forma diversa ma avente lo stesso volume. Gli oggetti da manipolare sono le “tavole” ed i “cilindri”, ossia i parallelepipedi a base quadrata, aventi altezza rispettivamente minore e maggiore del lato della base. Bisogna vedere, in essi, nient’altro che blocchi di metallo da fondere.
“D’un cilindro si facia una tavola quadrata secondo una data largheza: adomandasi quant’esso s’abassa.” (Atlantico 32 r.)
Il problema si traduce in un’equazione lineare:
a2l = m2x,
dove a2 è l’area della base quadrata del cilindro, l la sua altezza, m il lato della base della tavola da ottenere, x la sua altezza incognita. Questo problema algebrico, che è poi una proporzione, rientra nella classe di quelli che Leonardo sapeva risolvere.
Altrove egli propone una soluzione geometrica, ovvero una costruzione con riga e compasso:
“Sia trasformato un cubo’n un cilindro equilatero secondo una data lunghezza.
Dato il cubo abcd, sia allungato secondo la linia ed. Per saddisfare alla proposta io metterò il pie’ del sesto in d, e farò la curva ef; di poi produrrò la linia df dal nascimento della linia de, e dall’angolo b produrrò la linia bg parallela alla linia df; facto questo, per fare rettangole le fronti d’esso parallelo bg df, io leverò il triangolo bhd del suo sito e lo riporterò in gmf e così arò fatto il parallelo hdfm, il quale, quadrandolo secondo la fronte m o f r, sarà equale al cubo a b c d; e perché tale fronte non resta quadrata, per avere lei da un lato la larghezza secondo la larghezza del cubo e dall’altra la larghezza m f, io lo farò di lati equali colla quinta di sotto.” (F 57 v.)
Il “pié del sesto” è la punta del compasso. La lunghezza ed=fd è l’altezza del cilindro che si vuole costruire. Leonardo dapprima costruisce il solido obliquo avente come base la base del cubo dato, e spigolo fd. La sezione ortogonale (fronte) mofr di questo solido è rettangolare, avendo il lato mo pari al lato a del cubo, e l’altro lato mf di lunghezza diversa l. Il lato x della base quadrata del cilindro cercato si ottiene allora risolvendo
al = x2.
Questa è un’equazione di secondo grado, che Leonardo sa risolvere con una costruzione euclidea: essa corrisponde alla quadratura del rettangolo, che Euclide descrive nella Proposizione 14 del Libro II degli Elementi.
Leonardo si accosta con la sola ragione, stimolata dall’intuizione, ed alimentata dalla percezione dei sensi, al rigore matematico che vede nella struttura del mondo. Quando asserisce che “la meccanica è il paradiso delle scienze matematiche, perché con quella si viene al frutto matematico” (E, 8 r.) e “la natura è costretta dalla ragione della sua legge, che in lei infusamente vive” (C, 23 v.)per poi precisare che “ogni nostra cognizione prencipia da sentimenti” (Trivulziano 20 v.)pare anticipare di un secolo la posizione galileiana che vede la scienza come il risultato di esperienza e ragionamento. Allo scienziato pisano lo accomuna anche l’avversione per la cultura appresa dai libri, che si nutre di sola tradizione:
“Chi disputa allegando l’autorità, non adopra lo’ngegno, ma più tosto la memoria” (Atlantico, 76 r. a)
“Molti mi crederanno ragionevolmente potere riprendere, allegando le mie prove per esser contro all’alturità d’alquanti uomini di gran riverenza apresso de’ loro inesperti iudizi, non considerando le mie cose esser nate sotto la semplice e mera sperienzia, la quale è maestra vera.” (Atlantico, 119 v. a)
Ma se Galilei porrà l’accento sul dato numerico, oggettivo, sulla misura delle grandezze fisiche come garanzia di adesione alla realtà dell’elaborazione matematica, per Leonardo sono le capacità intellettive dell’uomo a garantire, di per sé, una corretta interpretazione dei fenomeni naturali: “nessuno effetto è in natura senza ragione; intendi la ragione e non ti bisogna sperienzia.” (Atlantico147 v. a.)
Per questa via egli giunge alla formulazione di principi generali, come questo: “data la causa la natura opera l’effetto nel più breve tempo possibile.” (Arundel 174 v.) Ci sono voluti esperimenti accurati e strumenti matematici avanzati per stabilire la validità del principio di Fermat,secondo cui i raggi luminosi percorrono sempre il cammino più breve (in senso temporale). Il genio di Leonardo aveva afferrato la sostanza di questa verità con la sola arma dell’intuito. Ciò non deve far credere che Leonardo basasse, alla maniera di Cartesio, la conoscenza interamente sulla speculazione. Egli dice infatti:
“Nissuna cosa è che più c’inganni che’l nostro giudizio.” (Urbinate 68)
D’altra parte l’esperienza, di per sé, non permette di pervenire ad ogni verità:
“La natura è piena d’infinite ragioni, che non furono mai in isperienza.” (I 18 r.)
è soltanto dall’insieme di pensiero e percezione che nasce la vera scienza: il primo avrà comunque sempre la priorità sulla seconda:
“La scienza è il capitano, e la pratica sono i soldati.” (I 130 r.)
Il ragionamento che precorre l’osservazione è un tratto distintivo nell’evoluzione del pensiero di Leonardo: come rileva lo storico Gerolamo Calvi, egli fu prima inventore e solo in un secondo tempo divenne naturalista. Accurate ricostruzioni filologiche hanno stabilito che i suoi studi sul volo meccanico precedono, in effetti, quelli sul volo degli uccelli.
Le affermazioni di Leonardo sono spesso a carattere universale. Egli vede uniformità nel mondo, molto tempo prima che la fisica arrivi a formulare le prime leggi generali, come la legge della gravitazione di Newton. Ed è generale, anche se proiettata verso il lontano passato della filosofia pitagorica, la sua sentenza: “La proporzione non solamente nelli numeri e misure fia trovata, ma etiam nelli suoni, pesi, tempi e siti, e ‘n qualunque potenzia sia”. Nei quadri di Leonardo, come ad esempio, nell’Annunciazione, troviamo lo schema ricorrente della sezione aurea, di antica tradizione, riportato in luce dal Pacioli.
In molti suoi dipinti, del resto, si riscontrano strutture geometriche, come, ad esempio, la disposizione triangolare delle figure nella Adorazione dei Magi, esposto al Museo degli Uffizi di Firenze, e in Sant’Anna, la Madonna e il Bambino con l’agnello, e La Vergine delle Rocce, entrambi esposti al Museo del Louvre di Parigi.
Curiosità
Fonte: http://www.dm.uniba.it/ipertesto/leonardo/leonardo.doc
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Piccola galleria di personaggi.
Geber (Giabir-Ibn-Hayyan) (c. 760-c. 815). Viene considerato il fondatore dell‟alchimia araba. Scrisse numerosi libri che successivamente furono grandemente considerati dagli alchimisti occidentali, descrivendo in modo relativamente chiaro diversi composti chimici, come il cloruro d‟ammonio, il salnitro, e vari acidi, oltre a strumenti e tecniche di laboratorio, con particolare riguardo alla distillazione.
Rhazes (Muhammad ibn Zäkariyyā Al-Razi) (c. 820-c. 925). Medico e alchimista persiano. Si dedicò anche a studi mineralogici; descrisse tra l‟altro la preparazione del
„gesso da presa‟ (CaSO4·1/2H2O) indicandone anche l‟impiego per immobilizzare ossa fratturate, e varie apparecchiature di laboratorio, come provette, becher, alambicchi e mortai.
Avicenna o Ibn-Sina (Abu-‟Ali Al-Husayn Ibn-Sina) (980-1037). Filosofo e medico persiano, nato a Bukhara. In gran parte autodidatta, fu all‟inizio medico di corte, quindi uno studioso girovago. Dopo un breve soggiorno a Rai, si stabilì a Hamadan dove praticò e insegnò medicina. Riassunse i raggiungimenti arabi nell‟alchimia, ponendo qualche dubbio sulla possibilità di trasmutazione della materia. Il suo Canone medico, basato sulle teorie di Galeno (Claudio Galeno, 130-200), fu per 400 anni il testo fondamentale di medicina in Europa.
(San) Alberto Magno (Alberto conte di Bollstadt) (c.1200-1280). Teologo e scienziato tedesco, nato a Lauingen in Svevia. Monaco domenicano, insegnò in scuole tedesche e a Parigi (1245) dove ricevette il dottorato in teologia. Fu provinciale dei Domenicani in Germania (1254-1259) e vescovo di Ratisbona (1260- 1262). Scrisse diversi commentari su Aristotele e cercò di unificare la teologia cristiana con l‟aristotelismo. Le sue conoscenze in campo alchimistico e filosofico furono così grandi da meritare i nomi di Magnus e Doctor Universalis. Gli vennero attribuiti diversi trattati tra i quali il De alchimia, De mineralibus e il Libellus de alchimia. Fu beatificato nel 1622 e canonizzato nel 1932 da Pio XI, ponendo in forse la paternità delle precedenti opere.
Paracelso (c.1493-1541). Medico e scienziato svizzero-tedesco, nato in Svizzera col nome di Philip Theophrast Bombast von Hohenheim. Il soprannome di Paracelsus sembra gli sia stato affibbiato sarcasticamente dagli umanisti perché pretendeva di essere «più grande di Celsus» (Aulus Cornelius Celsus, medico dell‟antica Roma, i cui scritti avevano prodotto grande interesse), in risposta al suo dichiarato disprezzo per le antiche autorità mediche greche e latine. Filippo Teofrasto non amava i nomignoli latini, ma fu d‟accordo che il nome Paracelsus era abbastanza corretto e lo portò con orgoglio. Studiò chimica, botanica, medicina e mineralogia con il padre, medico, Wilhelm von Hohenheim che gli insegnò a imparare dall‟esperienza e non solo dai libri. Frequentò le università di Tubinga, Vienna e forse Ferrara (1508-1513).
Viaggiò molto in Europa, in Oriente e nel Medio Oriente come medico militare e chirurgo. Chiamato alla facoltà di medicina di Basilea nel 1527 vi rimase per un anno. Curava i poveri senza farsi pagare, mentre si faceva pagare profumatamente dai pazienti più ricchi. A causa di una disputa in tribunale sul mancato pagamento di un onorario dovette lasciare la città vivendo come medico itinerante. Dichiarava che era in grado di curare malattie che per altri erano senza speranze, pur rimanendo un
„eterno studente‟ che sapeva che la conoscenza di uno scienziato non è mai completa. Morì a Salisburgo, forse assassinato. Durante la sua vita e anche dopo, Paracelso fu identificato dalla gente comune e dai poeti con il leggendario Faust. Fu idolatrato dagli alchimisti che lo chiamavano Aureolus, disprezzato dai posteri come alchimista. Basandosi sul credo che «compito del medico è conoscere le varietà dei processi che hanno luogo nel corpo e i rimedi che esistono in natura» rigettò le teorie galeniche (Claudio Galeno, 130-200) e introdusse nella fisiologia e nella medicina i concetti dinamici di processi corporali e metabolismo. Diede origine e sviluppò la teoria del protoplasma e anticipò la teoria dei germi per le malattie e della cellula in biologia. Fu il primo a riconoscere i gas („caos‟) come distinti dall‟aria in generale e diede origine alla „iatrochimica‟ (chimica medica) ponendo le basi della chemioterapia. Egli insistette sul fatto che i prodotti chimici usati per le cure dovevano essere specifici sia nella loro natura che nella quantità. Introdusse nella pratica medica l‟arsenico, il mercurio, lo zolfo e altri prodotti chimici. Si occupò per primo di vari problemi di medicina per cui vari storici lo hanno definito tra l‟altro il padre della ginecologia, della medicina interna, della medicina del lavoro, della chemioterapia, della farmacologia e della biochimica. Ovviamente era figlio del suo tempo e le sue idee erano frammiste a concetti filosofici e astrologici che in qualche modo lo avvicinavano alla magia.
Jan Baptista Van Helmont (1577-1644). Medico e chimico fiammingo. Nacque a Bruxelles e studiò all‟università di Louvain. Da Paracelso derivò il concetto di archeus, il principio dinamico e vivificatore della materia da cui sviluppò un sistema di medicina molto fruttuoso. Ė importante per il notevole impulso dato alla chemioterapia, fondata da Paracelso. Fu il primo ad usare il termine gas per i fluidi aeriformi.
Robert Boyle (1627-1691). Chimico e fisico inglese. Nacque a Lismore Castle in Irlanda, quattordicesimo figlio (settimo maschio) del primo conte di Cork, Richard Boyle, un inglese che andato in Irlanda all‟età di 22 anni era diventato ricchissimo, sembra con mezzi un po‟ dubbi. Studente precoce, a otto anni fu mandato a Eton dove rimase per tre anni. Visitò l‟Italia nel 1641 e studiò i lavori di Galileo; ritornato in Inghilterra nel 1644 (anni della guerra civile tra Corona e Parlamento) contribuì a fondare il „Collegio invisibile‟, più tardi noto come „Società reale di Londra‟. In quegli anni cercò di non prender parte nella guerra civile, essendo anche diviso dal fatto che il padre era un fervente „Realista‟ e la sorella Katherine, con cui viveva, una fervente „Parlamentarista‟. Tuttavia, tutto gli andò bene perché, ritornato in Irlanda nel 1652, per badare alle sue proprietà divenne lui stesso molto ricco quando
Cromwell divise tra gli inglesi le terre degli irlandesi. Da quel momento poté dedicarsi completamente alla scienza, dimostrandosi però sempre generoso con il suo denaro. Studiò i gas scoprendone molte proprietà, ma si interessò anche di medicina, praticando la dissezione anatomica e studiando la circolazione sanguigna. Le sue opere principali sono „New experiments‟ (1660), nella cui seconda edizione è riportata la famosa legge PV=costante, „The sceptical chymist‟ (1661) e „Origin of forms and qualities‟ (1666). La lapide sulla sua tomba a Dublino porta l‟iscrizione
„Padre della Chimica e zio del conte di Cork‟, suggerendo forse che essere zio del conte poteva essere più che padre della chimica, o forse che il conte di Cork voleva essere „cugino‟ della chimica.
Georg Ernst Stahl (1660-1734). Chimico tedesco. Nacque ad Ansbach, insegnò chimica e medicina a Halle da 1694 al 1716 quando divenne medico del re di Prussia. Distinse la soda (carbonato di sodio) dalla potassa (carbonato di potassio) e studiò la composizione dell‟allume, del calcio e della calamina. Sviluppando la teoria di Johann Joachim Becher (1635-1682), avanzò la teoria del „flogisto‟ per spiegare il processo di combustione. Formulò anche la teoria dell‟animismo che identificava l‟anima con la forza vitale, attribuendo le malattie fisiche a mal dirette attività dell‟anima.
Joseph Black (1728-1799). Chimico e fisico scozzese. Nacque a Bordeaux in Francia, studiò nelle università di Glasgow ed Edimburgo. Mentre era professore di chimica all‟università di Glasgow, 1756-1766, sviluppò la teoria del calore latente e dei pesi specifici. Negli ultimi anni fu professore di chimica e medicina all‟università di Edimburgo. Il suo lavoro sulla calcinazione dei carbonati, con la scoperta dell‟aria fissa (CO2), fu di grande importanza anche pratica per la produzione della calce. Su Black si racconta il seguente aneddoto: A quei tempi gli studenti pagavano direttamente ai professori la tassa per i corsi che seguivano ed era altresì comune l‟uso di tagliare le monete d‟oro. Dopo qualche anno Black calcolò che in tal modo aveva perso da 40 a 50 ghinee all‟anno e da quel momento pose all‟entrata del suo studio una bilancia in modo da assicurarsi che le monete ricevute in pagamento avessero il peso giusto. Precisione scientifica o spirito scozzese?
Henry Cavendish (1731-1819). Chimico e fisico inglese. Nacque a Nizza in Francia, studiò all‟università di Cambridge. Visse a Londra come un recluso, isolandosi dai suoi simili (un eccentrico o più probabilmente, come annota O. Sachs nel suo „Zio Tungsteno‟ (Adelphi), affetto da una forma particolare di autismo), indifferente ai beni materiali (era comunque molto ricco) e al successo, privo insomma di ogni passione umana. Dedicò la maggior parte della sua vita alla ricerca scientifica, ottenendo grandi risultati. Nel 1766 determinò la vera natura di un gas estremamente leggero che chiamò „aria infiammabile‟, gas che nel 1783 Lavoisier chiamò
„idrogeno‟ avendo osservato che quando bruciava formava acqua, ciò che Cavendish aveva già dimostrato nel 1781. Isolò anche il gas in seguito chiamato „argon‟. Tra gli altri suoi successi c‟è la prima determinazione della densità media della Terra e la
scoperta dell‟acido nitrico. Anticipò le scoperte di Charles Augustine de Coulomb (1736-1806) e Michael Faraday (1791-1867) sull‟elettricità, come dimostrato dal suo libro Electrical Researches (1789).
Joseph Priestley (1733-1804). Pastore e scienziato inglese. Dopo aver studiato in una scuola „non conformata‟ di Daventry entrò nel ministero liberale nel 1755. Dopo alcuni „pastorati‟ divenne nel 1761 professore di belle lettere all‟accademia „non conformata‟ di Warrington. In quel tempo incominciò i suoi esperimenti sull‟elettricità. Nel 1767 ritornò al pulpito alla Mill Hill Chapel di Leeds, dove abitava vicino a una birreria. Avendo osservato la formazione di gas nei processi di fermentazione incominciò a studiare „l‟aria fissa‟ di Black (anidride carbonica, CO2) producendo nel 1772 la prima bevanda carbonata. Nelle sue ricerche „sui diversi tipi di aria‟ scoprì nel 1774 „l‟aria deflogisticata‟, cioè l‟ossigeno, che ottenne per riscaldamento dell‟ossido di mercurio (HgO). Scoprì inoltre „l‟aria salnitrosa‟ (ossido di azoto, NO) e lo usò per il riconoscimento dell‟ossigeno (2NO + O2 ® NO2; NO è incolore, NO2 è di colore rosso bruno), rinunciando così a topi e uccelli per giudicare la respirabilità dell‟aria «facendo gioire tutti gli animi sensibili». Prima dei suoi lavori, oltre all‟aria, erano noti solo due gas, „l‟aria fissa‟ di Black e „l‟aria infiammabile‟ (idrogeno, H2) di Cavendish. Egli scoprì e studiò diversi nuovi gas, oltre all‟ossigeno: „l‟aria salina‟ (cloruro di idrogeno, HCl), „l‟aria alcalina volatile‟ (ammoniaca, NH3), l‟anidride solforosa (SO2), il „gas carbonico‟ (ossido di carbonio, CO), il „gas di salnitro deflogisticato‟ (protossido di azoto, N2O). A dispetto delle scoperte di Lavoisier sulla combustione, 1777, egli rimase sempre attaccato alla teoria del flogisto, a dimostrazione che nessuno è perfetto. Le sue idee liberali e il supporto alla rivoluzione francese gli procurarono molti nemici. Nel 1791 la sua casa e il laboratorio di Birmingham furono distrutti dalla folla. Fuggì a Londra dove fu mal ricevuto e quindi migrò in Pennsylvania nel 1794.
Karl Wilhelm Scheele (1742-1786). Chimico svedese. Lavorò come apprendista e poi come assistente di farmacia a Stoccolma e Uppsala finché attorno al 1780 acquistò una farmacia propria a Köping. Nel 1772 scoprì l‟ossigeno, ma i risultati dei suoi esperimenti furono pubblicati solo nel 1777, tre anni dopo la scoperta dell‟ossigeno da parte di Priestley. Scheele distinse l‟acido nitroso (HNO2) dal nitrico (HNO3), scoprì o identificò manganese, cloro, molibdeno e tutta una serie di composti, tra cui la barite, vari acidi organici e la glicerina. Di lui Dumas (il chimico francese che per primo applicò le equazioni chimiche per rappresentare le reazioni) disse: «Egli non tocca un corpo senza fare una scoperta».
Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794). Chimico francese. Nacque a Parigi dove frequentò il Collegio Mazzarino studiando astronomia, botanica, chimica e geologia. Guadagnò ben presto fama per le sue ricerche e all‟età di 25 anni fu eletto membro dell‟Accademia delle Scienze. Il suo più grande contributo alla chimica fu lo sviluppo di una nuova teoria della combustione (1777) e la formulazione della legge della conservazione della materia. Nell‟applicazione della chimica alla fisiologia egli fu il
primo ad asserire che il cibo viene lentamente ossidato durante la sua assimilazione producendo il calore che mantiene costante la temperatura corporea. Inoltre, egli diede per primo la corretta interpretazione del processo di respirazione. Durante la monarchia, Lavoisier era stato fermier générale (raccoglitore delle tasse; figura mai molto amata). A causa della ricchezza e del suo stato sociale, legati alla sua posizione, fu guardato con sospetto durante il periodo del Terrore; alla fine fu arrestato, condannato - «La repubblica non ha bisogno di scienziati» furono le parole pronunciate da Fouquier-Tinville - e ghigliottinato l‟8 maggio del 1794.
Martin Heinrich Klaproth (1743-1817). Chimico tedesco. Migliorò i metodi analitici tanto che Berzelius lo definì «il più grande chimico analitico d‟Europa». Fu tra i primi chimici tedeschi ad accettare le idee di Lavoisier. Le sue accurate analisi lo portarono alla scoperta dell‟uranio, dello zirconio e del cerio; verificò la scoperta del titanio e studiò le proprietà del tellurio, del berillio e del cromo. Fu professore di chimica all‟università di Berlino dalla sua fondazione nel 1810.
John Dalton (1766-1844). Scienziato inglese che formulò la teoria atomica. Nato da famiglia assai povera nel villaggio di Eaglesfield nel Cumberland terminò la sua educazione scolastica all‟età di 11 anni. A 12 anni, data la sua intelligenza e grazie all‟aiuto di potenti protettori, iniziò la carriera di insegnante, iniziando poco dopo una serie di osservazioni scientifiche sui fenomeni meteorologici. Il suo successo come insegnante di „Filosofia naturale‟ lo portò a essere nominato nel 1793 professore di matematica e fisica al New College di Manchester dove continuò i suoi studi di meteorologia, iniziati a Kendall, arrivando a formulare l‟ipotesi che l‟aria non fosse un composto chimico, ma una miscela di composti chimici gassosi. Studiò inoltre il fenomeno della cecità a determinati colori, in seguito chiamato „daltonismo‟, malattia della quale soffriva lui stesso. A tale proposito si racconta che egli, devoto quacchero, dovendo essere presentato al re Guglielmo IV d‟Inghilterra, rifiutò di indossare, per motivi religiosi, i colorati abiti di corte. Fu convinto dagli amici a indossare gli abiti scarlatti dell‟Università di Oxford, dalla quale aveva ricevuto la laurea, perché, daltonico, „si vedeva vestito di grigio‟.
I suoi studi sui gas dell‟atmosfera lo portarono nel 1803 a credere che questi, come del resto i liquidi e i solidi, fossero composti da „particelle ultime‟ o „atomi‟, ponendo così le basi sperimentali della teoria atomica moderna. Inoltre, studiando la combinazione tra ossigeno e azoto per formare i diversi ossidi, pervenne all‟idea che i cambiamenti chimici erano il risultato dell‟unione di uno o più atomi di un elemento con uno o più atomi di altri elementi (legge delle proporzioni multiple). Un fatto ovvio oggi, ma non così ai suoi tempi.
William Henry (1774-1836). Chimico e medico inglese, nato a Manchester. Studiò l‟infiammabilità dei gas e scoprì che il „gas di miniera‟ era principalmente costituito da metano ed etano. Studiò inoltre la solubilità dei gas, scoprendo (1803) che per i gas poco solubili, la loro concentrazione in soluzione è direttamente proporzionale alla pressione: c = K·p.
Amedeo Avogadro (1776-1856). Fisico italiano. Figlio del conte di Quaregna, nacque a Torino e fu avviato agli studi giuridici, conseguendone la laurea, ma in seguito si dedicò alla fisica e alla matematica. Nel 1809 divenne professore di fisica al Collegio Reale di Vercelli e dal 1820 ebbe la cattedra di fisica matematica (allora detta „fisica sublime‟) all‟università di Torino. Nel 1811 avanzò l‟ipotesi, oggi nota come principio di Avogadro, che volumi uguali di gas diversi, misurati nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole (il numero di Avogadro, appunto!). L‟idea di Avogadro fu osteggiata da Berzelius e Dalton e rimase dimenticata per cinquant‟anni fino alla „ripresentazione‟, in forma forse più chiara, da parte di Cannizzaro al congresso di Karlsruhe nel 1860. Oltre agli studi relativi alla teoria molecolare, compì varie ricerche, tra cui alcune sull‟elettricità, precorrendo in taluni casi certe tesi enunciate successivamente da Faraday.
(Sir) Humphry Davy (1778-1829). Chimico inglese. Nacque a Penzance dove lavorò come apprendista presso un farmacista e più tardi come assistente di un medico. Gli esperimenti che condusse in questo periodo gli valsero la nomina nel 1798 a sovrintendente della Medical Pneumatic Institution di Bristol, dove scoprì le proprietà anestetiche del „gas esilarante‟, il protossido di azoto N2O, e lo propose per l‟uso in odontoiatria, suggerimento che venne accolto solo 50 anni dopo. Nel 1802 divenne professore di Chimica alla Royal Institution di Londra dove nei 10 anni seguenti compì ricerche nei campi della chimica agraria e dell‟elettrochimica. Nel 1807 ottenne per elettrolisi il sodio e il potassio e nel 1810 dimostrò che „l‟acido ossimuriatico‟, preparato da Scheele nel 1774, era un elemento, il cloro. Nel 1815 inventò una lampada di sicurezza per minatori (la lampada Davy), rifiutando di brevettarla perché fosse disponibile a tutti. Fu anche buon poeta e brillante conferenziere. Venne nominato cavaliere nel 1812 e baronetto nel 1818. Nel 1820 fu eletto presidente della Royal Society.
Joseph Louis Gay-Lussac (1778-1850). Chimico e fisico francese. Nacque a St. Léonard-le-Noblat e studiò a Parigi all‟Ėcole Polytechnique, dove più tardi fu professore. Nel 1802 formulò la legge che porta il suo nome sulle „proporzioni definite‟. Nel 1804, assieme a Jean Baptiste Biot studiò l‟atmosfera dimostrando che la sua composizione non variava sostanzialmente con l‟altitudine. Assieme a Louis Jaques Thénard ideò i processi per ottenere sodio e potassio dai loro idrossidi. Isolò il boro dall‟acido borico e nel 1815 ottenne il cianogeno (CN). Studiò vari processi, tra cui la fermentazione, lo sbiancamento, la preparazione della polvere da sparo e la produzione dell‟acido solforico.
Jöns Jakob Berzelius (1779-1848). Chimico svedese. Studiò chimica e medicina a Uppsala dove si laureò nel 1804. Nel 1807 diventò professore di medicina e farmacia chimica a Stoccolma. Nel 1815 fu nominato cavaliere e nel 1835 barone. Scoprì il selenio, il torio e il cerio; isolò il silicio e lo zirconio; studio i composti del fluoro e
diffuse in Svezia le idee di Lavoisier. Migliorò i metodi analitici per la determinazione dei pesi atomici. Introdusse un sistema di simboli atomici che è alla base del sistema attuale, come pure la scrittura delle formule molecolari del tipo H2O, CaCO3, ecc.. Oltre a essere una figura preminente nel campo della chimica del secolo XIX, fu anche geologo e contribuì a gettare le basi dell‟elettrochimica.
Michael Faraday (1791-1867). Scienziato inglese. Nacque a Newington nel Surrey da famiglia poverissima, ma sostenuta da una semplice e forte religione che fornì a Faraday due convinzioni basilari per il suo futuro lavoro scientifico. La chiesa Sandemaniana, una piccola comunità religiosa molto cooperativa, predicava l‟armonia dell‟universo e la fallibilità dell‟uomo. Dal primo concetto Faraday formò la convinzione che tutti i fenomeni fisici avevano una base comune, dal secondo la necessità di una gran cura nelle sperimentazioni. A 14 anni, lavorando presso un rilegatore, Faraday incominciò a interessarsi alla scienza dopo aver letto un articolo sull‟elettricità in un volume dell‟Enciclopedia britannica, portata a rilegare. Fortunatamente nel 1813 incontrò Sir Humphry Davy che lo prese come assistente di laboratorio alla Royal Institution. Davy si occupava di luce, calore, elettricità e magnetismo, tutti fenomeni di particolare interesse per i chimici dell‟epoca e che dovevano portare a nuove concezioni sulla natura della materia. Faraday entrò nella Royal Society nel 1824 e divenne il direttore del laboratorio della Royal Institution nel 1825, succedendo poi a Davy quale professore di chimica nel 1833. Le sue scoperte principali, tutte di grande rilevanza, riguardano l‟elettromagnetismo e l‟elettrolisi. In suo onore l‟unità di misura della capacità elettrica è stata denominata farad e quella della quantità di elettricità, faraday (1F = 96489 coulomb).
Friedrich Wöhler (1800-1882). Chimico tedesco. Dopo aver studiato medicina a Marburg e Heidelberg, studiò per un anno chimica con Berzelius a Stoccolma e divenne professore di chimica all‟Università di Berlino (1825-1831) e successivamente a Kassel (1831-1836) e Göttingen (1836-1882). Aprì il campo della sintesi organica scoprendo casualmente nel 1828 di aver ottenuto l‟urea, CO(NH2)2, dall‟evaporazione di una soluzione di cianato d‟ammonio, NH4OCN, contribuendo così tra l‟altro agli studi sull‟isomeria, avendo i due composti la stessa composizione CH4N2O. Questo risultato dimostrò la falsità della teoria che composti organici potessero essere sintetizzati solo con l‟intervento di una „vis vitalis‟, una „forza vitale‟, presente negli organismi viventi. Scrisse infatti una lettera a Berzelius dicendo: “Debbo dirvi che posso preparare l‟urea senza aver bisogno d‟un rene o d‟un animale, sia uomo che cane”. Con Liebig svolse ricerche sull‟olio di mandorle amare individuando l‟acido benzoico e altre sostanze correlate. Studiò anche l‟acido urico e i suoi derivati. È anche famoso per le sue analisi di minerali che lo portò a isolare il berillio, l‟ittrio e l‟alluminio.
Justus von Liebig (1803-1873). Chimico tedesco, nato a Darmstadt. Imparò fin da piccolo a destreggiarsi nel laboratorio dove il padre preparava da sé i prodotti per i colori in cui commerciava. Dopo gli studi in Germania e alla Sorbona, dove ebbe per
insegnanti Gay-Lussac e Thenard, ritornò in patria occupando la cattedra di chimica prima a Giessen e poi a Monaco. Si dedicò molto all‟insegnamento fondando anche il primo laboratorio di chimica per studenti e a opere di divulgazione scientifica. Liebig diede un notevole contributo allo studio dell‟isomeria avendo verificato (1824) che il fulminato d‟argento (AgCNO) aveva la stessa composizione chimica, seppur diversissime proprietà, di quella dell‟isocianato d‟argento (AgNCO) determinata un anno prima da Wöhler. Tra i suoi maggiori ottenimenti nel campo della chimica organica va annoverato il miglioramento dei metodi di analisi elementare e la ricerca sull‟applicazione della chimica nel campo della fisiologia e dell‟alimentazione (famoso è l‟estratto di carne che porta il suo nome), nonché dell‟agricoltura dove introdusse l‟uso dei fertilizzanti chimici per reintegrare nel terreno gli elementi nutritivi sottratti.
James Prescott Joule (1818-1889). Fisico inglese, nato a Salford. I suoi primi studi riguardarono il magnetismo e in particolare la magnetizzazione del ferro a opera della corrente elettrica che lo portò alla formulazione nel 1840 della cosiddetta legge di Joule (W=I2Rt). Nel 1843 formulò la prima legge della termodinamica che stabilisce l‟equivalenza dell‟energia termica con quella meccanica (1 cal= 4,184 J). Infatti, il suo nome è legato all‟unità di misura del lavoro (energia), il Joule appunto.
Karl Remigius Fresenius (1818-1897). Chimico analitico tedesco, nato a Francoforte sul Meno. Studiò a Bonn, nel 1841 fu assistente di Liebig a Giessen dove nel 1843 divenne „professore assistente‟. Nel 1845 ebbe la cattedra di chimica, fisica e tecnologia all‟Istituto di agricoltura di Wiesbaden e divenne il primo direttore della scuola e laboratorio per chimici ivi fondato nel 1848. A questa istituzione, situata nella sua abitazione, vennero successivamente aggiunti una scuola di farmacia (1862), una stazione sperimentale di agricoltura (1868) e un istituto batteriologico (1884). Il maggiore interesse di Fresenius fu rivolto alla chimica analitica e il suo testo del 1841 Anleitung zur qualitativen Analyse (Guida per l‟analisi qualitativa) venne tradotto in una decina di lingue e i suoi principi sono ancora validi. Nel 1862 fondò il Zeitschrift für analytische Chemie (Giornale di chimica analitica), tuttora esistente, e ne fu l‟editore fino al 1897.
William Thomson (Lord) Kelvin (1824-1907). Fisico e matematico britannico. Nacque a Belfast (Irlanda), dal 1846 al 1899 (anno del pensionamento) fu professore di filosofia naturale a Glasgow (Scozia). Kelvin si interessò di termodinamica e in particolare dei fenomeni dell‟assorbimento del calore. Lavorando con Joule scoprì l‟effetto Joule-Thomson (variazione di temperatura che subisce un gas quando viene forzato attraverso un setto poroso) che lo portò alla definizione dello zero assoluto a – 273,15 °C, da cui l‟uso della scala di temperatura assoluta (gradi Kelvin). In connessione con la posa di cavi nell‟Atlantico, lavorò come ingegnere elettrico e fu in gran parte grazie ai suoi esperimenti che gli sforzi ebbero successo nel 1866. Fu presidente della Associazione britannica per l‟avanzamento delle scienze nel 1871 e della Royal Society dal 1890 al 1895. Fu nominato cavaliere nel 1866 e pari nel 1892
come barone Kelvin di Largs. Lord Kelvin si interessò anche di geologia e attraverso applicazioni termodinamiche concluse che la Terra doveva essersi solidificata da una massa fusa tra i 20 e i 400 milioni di anni fa.
Stanislao Cannizzaro (1826-1910). Chimico italiano. Nacque a Palermo, dove frequentò la facoltà di medicina, senza però raggiungere la laurea. Partecipò all‟insurrezione del 1848 contro i Borboni per cui fu costretto all‟esilio a Parigi dove incominciò i suoi esperimenti sulle ammine che lo portarono alla scoperta della cianamide (NH2CN). Ritornato in patria nel 1851 insegnò ad Alessandria, Genova (1855-1861) e successivamente a Palermo. Nel 1871 fu nominato senatore del regno d‟Italia e chiamato all‟università di Roma. Compì varie scoperte in chimica organica come la riduzione delle aldeidi ad alcoli. Il suo merito maggiore, che gli procurò fama internazionale sta nell‟aver sostenuto l‟ipotesi di Avogadro e aver chiarito la distinzione tra atomo e molecola (congresso di Karlsruhe, 1860), oltre ad aver fornito un metodo per la determinazione accurata dei pesi atomici.
Francois-Marie Raoult (1830-1901). Chimico francese, nato a Fournes-en-Veppes, Lilla. Nel 1862 fu nominato professore di chimica presso il liceo di Sens, dove iniziò ad effettuare importanti esperimenti sulle celle voltaiche e sulla forza elettromotrice, lavoro che gli valse il dottorato di ricerca in fisica presso l‟Università di Parigi (1863). Successivamente divenne professore di chimica presso l‟Università di Grenoble. Effettuò (1838-1892) accurate misure di tensione di vapore (legge di Raoult: Dp=x1·p°) e di punti di gelo.
Alfred Bernhard Nobel (1833-1896). Chimico svedese. Nacque a Stoccolma, studiò a S. Pietroburgo e negli Stati Uniti. Ritornato in Svezia, lavorò con il padre nello sviluppo di siluri e mine sottomarine e sperimentò la fabbricazione della nitroglicerina, preparata per la prima volta da Ascanio Sombrero nel 1846, per uso commerciale. Nel 1867 brevettò la dinamite, nitroglicerina assorbita su un materiale inerte (kieselguhr o farina fossile, composta di scheletri di diatomee), ottenendo un esplosivo che, al contrario della nitroglicerina, poteva essere maneggiato e trasportato con sicurezza. I guadagni derivanti dal brevetto furono da lui destinati a un fondo per i premi „Nobel‟. Tra le altre invenzioni di Nobel ci sono la „polvere senza fumo‟ (ballistite), la guttaperca artificiale, un gasometro, uno strumento per la misura di liquidi e un barometro.
Dmitri Ivanovich Mendeleev (1834-1907). Chimico russo. Nacque a Tobolsk in Siberia, il più giovane di 17 figli; non essendo stato accettato né all‟università di Mosca né in quella di S. Pietroburgo, perché nato in Siberia, studiò all‟Istituto pedagogico centrale di S. Pietroburgo, dove nel 1863 divenne professore di chimica all‟Istituto tecnico e dal 1866 al 1890 all‟Università. Una disputa politica lo costrinse alle dimissioni e dal 1893 alla sua morte fu direttore dell‟Ufficio di pesi e misure a S. Pietroburgo. Fece importanti ricerche sull‟espansione dei liquidi e la compressibilità dei gas, ma il suo lavoro più famoso è legato all‟enunciazione nel 1869 della legge
della periodicità, basata sull‟osservazione che gli elementi ordinati secondo il loro peso atomico generalmente mostrano variazioni regolari nelle loro proprietà chimiche e fisiche. La sua Tavola periodica degli elementi aiutò a scoprire elementi ancora sconosciuti e a predire con successo molte loro proprietà. Diede contributi originali anche nello studio delle soluzioni e dei gas. Si occupò molto attivamente di tecnologia con ricerche sui metalli, sul petrolio e sui combustibili fossili. Per ricordare che anche i grandi scienziati sono uomini si può citare il fatto che egli divorziò dalla prima moglie nel 1876 e si risposò prima dei sette anni richiesti dalla Chiesa ortodossa russa, diventando bigamo. Alla richiesta del perché non si prendevano provvedimenti contro di lui, lo zar Alessandro II avrebbe risposto: «Sì, Mendeleev ha due mogli, ma io ho un solo Mendeleev.» Riguardo a una certa eccentricità si può citare il fatto che si tagliava barba e capelli soltanto una volta all‟anno e che neppure un appuntamento dallo zar lo faceva recedere da questa abitudine. Legato a questo fatto è il seguente aneddoto che mostra quanto grande fosse la sua fama: „A un convegno nazionale dell‟Associazione britannica per l‟avanzamento delle scienze, per cui era convenuto un grandissimo numero di persone, era stata annunciata la presenza di Mendeleev. Quando, al momento stabilito, un uomo dalla gran barba si alzò, scoppiò un fragoroso applauso, ma con disappunto dei presenti, questi annunciò: «Io non sono Mendeleev. Egli mi ha chiesto di porgervi le sue scuse, ma non parla inglese. Io sono Lothar Meyer.» Ci fu un momento di silenzio e quindi nuovamente un grande applauso perché Meyer aveva indipendentemente proposto un sistema periodico degli elementi. Meyer fece quindi cenno a un uomo dietro a lui e un altro straniero irsuto si fece avanti. Venne immediatamente riconosciuto come Mendeleev e sorse un gran tumulto per l‟entusiasmo.‟
Johannes Diderick Van der Waals (1837-1923). Fisico danese, nato a Leiden, nella cui università studiò dal 1862 al 1865. Dopo aver insegnato fisica nelle scuole superiori per alcuni anni fu nominato professore di fisica all‟università di Amsterdam nel 1877, dove rimase fino al pensionamento nel 1907. Nel 1910 gli venne assegnato il premio Nobel per la fisica per i suoi studi su gas (legge di Van der Waals) e liquidi.
Josiah Willard Gibbs (1839-1903). Fisico e matematico statunitense. Nacque a New Haven (Connecticut), studiò all‟Università di Yale e in Europa; nel 1871 fu nominato professore di fisica matematica a Yale. I suoi studi di fisica hanno riguardato diversi aspetti fondamentali della termodinamica, mentre quelli matematici hanno riguardato l‟analisi vettoriale applicata a problemi cristallografici e al calcolo delle orbite di pianeti e comete.
Jacobus Hendricus Van’t Hoff (1852-1911). Chimico fisico danese. Nato a Rotterdam, studiò al Politecnico di Delft e nelle università di Bonn, Leida, Parigi e Utrecht. Van‟t Hoff fu il fondatore della „stereochimica‟, cioè dello studio della struttura tridimensionale delle molecole, che sviluppò dai suoi studi sulla
„tetraedricità‟ dell‟atomo di carbonio, concetto questo che, indipendentemente, era
già stato avanzato da J. A. Le Bel e ancora prima da Emanuele Paternò (1847-1935). Quest‟ultimo purtroppo pubblicò i suoi risultati nel 1869 sul praticamente sconosciuto „Giornale di Scienze naturali ed economiche‟ di Palermo. Van‟t Hoff studiò inoltre la velocità delle reazioni, l‟equilibrio chimico e le proprietà delle soluzioni diluite elaborando una teoria che gli valse il premio Nobel per la Chimica nel 1901 (primo Nobel per la Chimica). Terminò la carriera accademica, iniziata al Collegio veterinario di Utrecht, alla cattedra di fisica sperimentale di Berlino.
Emil Fischer (1852-1919). Chimico tedesco. Nacque a Euskirchen e studiò nelle università di Bonn e Strasburgo. Per i suoi studi sugli zuccheri ricevette il Nobel per la Chimica nel 1902. Con la sua scoperta del „Veronal‟ (così chiamato perché la notizia del successo dei test lo raggiunse mentre era a Verona) aprì il campo di una nuova classe di farmaci, i „barbiturici‟. Egli dimostrò anche che le proteine erano composte di amminoacidi e che gli enzimi hanno funzioni specifiche.
Wilhelm Ostwald (1853-1932). Chimico tedesco. Nato a Riga (Lettonia), studiò all‟Università di Dorpat e divenne professore di chimica fisica presso l‟Università di Lipsia nel 1887. Formulò la legge sulla diluizione degli elettroliti (legge di Ostwald) e mise a punto un processo di preparazione dell‟acido nitrico per ossidazione dell‟ammoniaca (processo Ostwald). Nel 1906 lasciò l‟università per dedicarsi esclusivamente alla ricerca chimica e a vari interessi, tra cui la misura dei colori e la promulgazione della dottrina filosofica dell‟‟energismo‟ (il bene supremo sta nell‟esecuzione efficiente delle attività ordinarie). Nel 1909 ricevette il premio Nobel per la Chimica per il suo lavoro sulla catalisi, i principi fondamentali dell‟equilibrio chimico e la velocità delle reazioni.
Svante August Arrhenius (1859-1927). Chimico fisico svedese. Nato a Uppsala, studiò nelle Università di Uppsala e Stoccolma, dove in quest‟ultima lavorò dal 1891 al 1904, anno in cui fu nominato direttore dell‟Istituto Nobel per la Chimica fisica (1905-1927). Nella sua tesi di dottorato a Uppsala formulò la teoria della dissociazione elettrolitica, proponendo che in soluzione acquosa diluita i sali, gli acidi e le basi forti sono completamente dissociati in ioni. La discussione della tesi (1884) ricevette la votazione positiva minima: “approvata senza lode”. La teoria di Arrhenius venne successivamente duramente attaccata da Lord Kelvin, ma ebbe il sostegno di Van‟t Hoff, nei cui laboratori aveva lavorato in un periodo di borsa di studio all‟estero (1886-1890) e di Ostwald. In seguito la teoria venne largamente accettata dalla comunità scientifica e gli valse il premio Nobel per la Chimica nel 1903. Il suo lavoro riguardò diversi aspetti della chimica fisica, tra cui la velocità delle reazioni, oltre alla pratica dell‟immunizzazione e all‟astronomia.
Walther Hermann Nernst (1864-1941). Chimico fisico tedesco. Nacque a Briesen (Prussia occidentale), studiò a Zurigo, Berlino, Graz e Würzburg. Divenne professore di fisica a Göttingen nel 1891 ove fondò nel 1895 l‟Istituto di chimica fisica ed elettrochimica. Nel 1905 si trasferì presso l‟Università di Berlino, divenendo
presidente dell‟Istituto fisico-tecnico nel 1922 e direttore dell‟Istituto fisico nel 1925. Per i suoi lavori di termodinamica e in particolare sull‟entropia allo zero assoluto ricevette il premio Nobel per la Chimica nel 1920.
Alfred Werner (1866-1919). Chimico svizzero. Nacque a Mulhouse in Alsazia- Lorena (Francia), studiò a Karlsruhe, Zurigo e Parigi. Insegnò al Politecnico di Zurigo nel 1889 e divenne professore di chimica organica all'Università di Zurigo nel 1895. Ottenne la cittadinanza svizzera dopo aver sposato una svizzera. Incominciò la sua carriera scientifica come chimico organico, ma divenne un gigante della chimica inorganica. Il suo primo importante lavoro riguardò la „stereochimica‟ di composti azotati. Nel 1893 enunciò la „teoria di coordinazione di valenza‟ che lo portò alla scoperta dell‟isomeria nei composti di coordinazione metallici. Nel 1913 Werner ricevette il premio Nobel per la Chimica in «riconoscimento del suo lavoro sul legame tra gli atomi nelle molecole, con cui ha gettato nuova luce su vecchi problemi e ha aperto nuovi campi di ricerca, particolarmente nel campo della chimica inorganica.»
Gilbert Newton Lewis (1875-1946). Chimico statunitense. Nato a Weymouth nel Massachusetts, dopo essersi addottorato nel 1899 all‟Università di Harvard, trascorse un anno in Europa, a Göttingen con W. H. Nernst e a Lipsia con W. Ostwald. Dopo un incarico come sovrintendente all‟Ufficio pesi e misure nelle Filippine tornò negli USA al Massachusetts Institute of Technology (MIT), passando poi nel 1912 all‟Università della California in qualità di professore di chimica. Lewis contribuì allo sviluppo della termodinamica chimica e della moderna teoria elettronica della valenza, proponendo inoltre una teoria sull‟acidità ancora oggi perfettamente valida.
Thomas Martin Lowry (1874-1936). Chimico inglese. Dopo aver studiato al Technical College (in seguito, Imperial College) di Londra, dove poi lavorò come assistente, nel 1920 divenne professore di chimica all‟Università di Cambridge. Studiò fenomeni di attività ottica, ma è particolarmente noto per la sua classificazione di acidi e basi (scambio di protoni) del 1923, proposta indipendentemente da Brønsted.
Johannes Nicolaus Brønsted (1879-1947). Chimico-fisico danese, nato a Varde. Noto per la sua classificazione di acidi e basi (scambio di protoni, Copenaghen, 1923).
Henry Gwin-Jeffreys Mosely (1887-1915). Fisico inglese, nato a Weymouth, si laureò al Trinity College di Oxford e poi divenne „lettore di fisica‟ all‟università di Manchester e collaborò con Lord Rutherford nello studio della radioattività. Mosely studiò gli spettri a raggi X degli elementi, scoprendo che la loro lunghezza d‟onda è legata al numero atomico dell‟elemento. Poté così ottenere una nuova tavola periodica che superava le difficoltà insite in quella di Mendeleev. Moseley venne ucciso nella I guerra mondiale.
Carl Linus Pauling (1901-1994). Chimico statunitense. Nato a Portland (Oregon), studiò all‟Oregon State College, al California Institute of Technology (CIT) e presso le Università di Monaco, Copenaghen e Zurigo. Come membro della Facoltà del CIT (dal 1927), negli anni ‟30, incominciò le sue ricerche sul legame chimico e sulle strutture molecolari. Nel 1954 vinse il premio Nobel per la Chimica per le sue ricerche sulle proteine e nel 1962 gli fu assegnato il Nobel per la pace. Fu una figura di spicco nella controversia sugli effetti delle radiazioni nucleari, sostenendo che esse erano più pericolose per gli esseri umani di quanto generalmente si pensasse.
Per concludere e avere un‟idea dei raggiungimenti più recenti in campo chimico, aggiungo la lista dei premi Nobel per la Chimica, con l‟università di appartenenza e una breve menzione del loro lavoro. Si può notare l‟aumento della complessità delle ricerche dall‟inizio alla fine del XX secolo (che infatti toccano argomenti al di fuori della nostre conoscenze) e un certo passaggio delle „grandi università‟ dall‟Europa agli Stati Uniti d‟America, per la maggiore disponibilità di fondi necessari per finanziare la ricerca scientifica sempre più costosa.
1901 Prof. J. H. van’t Hoff (Berlino): Leggi sulla dinamica chimica e pressione osmotica delle soluzioni.
1902 Prof. E. Fischer (Berlino): Sintesi dello zucchero e della purina.
1903 Prof. S. Arrhenius (Stoccolma): Teoria di dissociazione degli elettroliti.
1904 Sir William Ramsay (Londra): Scoperta dei gas inerti e loro localizzazione nella Tavola periodica.
1905 Prof. A. von Baeyer (Monaco): Coloranti organici e composti idroaromatici. 1906 Prof. H. Moissan (Parigi): Studi sul fluoro e uso della „forno Moissan‟.
1907 Prof. E. Buchner (Berlino): Ricerche biochimiche.
1908 Prof. E. Rutherford (Manchester): Disintegrazione degli elementi e chimica delle sostanze radioattive.
1909 Prof. W. Ostwald (Gross-Bothen): Catalisi, equilibrio chimico e velocità delle reazioni.
1910 Prof. O. Wallach (Göttingen): Composti aliciclici. 1911 Prof. Marie Curie (Parigi): Scoperta di radio e polonio.
1912 Prof. V. Grignard (Nancy): Scoperta del „reagente di Grignard‟. Prof. P. Sabatier (Tolosa): Idrogenazione di composti organici.
1913 Prof. A. Werner (Zurigo): Legame atomico nelle molecole, specialmente in composti inorganici.
1914 Prof. Th. W. Richards (Cambrige, Mass.): Determinazioni accurate dei pesi atomici.
1915 Prof. R. Wilstätter (Monaco): Pigmenti vegetali, clorofilla.
1918 Prof. F. Haber (Berlino-Dahlem): Sintesi dell‟ammoniaca dagli elementi. 1920 Prof. W. Nernst (Berlino): Termochimica.
1921 Prof. F. Soddy (Oxford): Chimica delle sostanze radioattive, natura degli isotopi.
1922 Dott. F. W. Aston (Cambridge): Scoperta di isotopi con la spettroscopia di massa.
1923 Prof. F. Pregl (Graz): Invenzione del metodo della microanalisi di composti organici.
1925 Prof. R. Zsigmondy (Göttingen): Natura delle soluzioni colloidali. 1926 Prof. T. Svedberg (Uppsala): Sistemi dispersivi.
1927 Prof. H. Wieland (Monaco): Acidi biliari e sostanze associate.
1928 Prof. A. Windaus (Göttingen): Steroli e loro connessione con le vitamine. 1929 Prof. A. Harden (Londra) e Prof. H. von Euler-Chelpin (Stoccolma):
Fermentazione di zuccheri ed enzimi fermentativi.
1930 Prof. H. Fischer (Monaco): Costituzione dell‟emina e della clorofilla, sintesi dell‟emina.
1931 Prof. C. Bosch (Heidelberg) e Dott. F. Bergius (Heidelberg): Invenzione dei metodi chimici ad alta pressione.
1932 Dott. J. Langmuir (Schenectady, N.Y.): Chimica delle superfici. 1934 Prof. H. C. Urey ( New York, N.Y.): Scoperta dell‟idrogeno pesante.
1935 Prof. F. Joliot e Dott. I. Joliot-Curie (Parigi): Sintesi di nuovi elementi radioattivi.
1936 Prof. P. Debye (Berlino-Dahlem): Struttura molecolare da momenti di dipolo e diffrazione di raggi X ed elettroni nei gas.
1937 Prof. W. N. Haworth (Birmingham): Studi sui carboidrati e la vitamina C. Prof. P. Karrer (Zurigo): Studi sui carotenoidi, flavine e vitamine A e B2.
1938 Prof. R. Kuhn (Heidelberg): Lavori su carotenoidi e vitamine.
1939 Prof. A. F. J. Butenandt (Berlino): Ormoni sessuali. Prof. L. Ružička
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1943 Prof. G. Hevesy (Stoccolma): Uso di traccianti radioattivi nello studio di processi chimici.
1944 Prof. O. Hahn (Berlino-Dahlem): Scoperta della fissione di nuclei pesanti. 1945 Prof. A. J. Virtanen (Helsinki): Ricerche in campo chimico agricolo e
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1946 Prof. J. B. Summer (Ithaca, N.Y.): Cristallizzazione di enzimi. Dott. J. H. Northrop e Dott. W. M. Stanley (Princeton, N.J.): Preparazione di enzimi e proteine virali.
1947 Sir Robert Robinson (Oxford): Prodotti vegetali di importanza biologica, alcaloidi.
1948 Prof. A. W. K. Tiselius (Uppsala): Ricerche su elettroforesi e analisi di assorbimento, proteine del siero.
1949 Prof. W. F. Giaucque (Berkeley, Cal.): Termodinamica chimica, basse temperature.
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1956 Sir. C. N. Hinshelwood (Oxford) e l‟Accademico N. N. Semenov (Mosca): Ricerche nel campo del meccanismo delle reazioni chimiche.
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1958 Dott. F. Sanger (Cambridge): Struttura di proteine, insulina.
1959 Prof. J. Heyrovsky (Praga): Scoperta e sviluppo del metodo di analisi polarografica.
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1963 Prof. K. Ziegler (Mülheim/Ruhr) e Prof. G. Natta (Milano): Studi nel campo della chimica e tecnologia degli alti polimeri.
1964 Prof. Dorothy Crowfoot Hodgkin (Oxford): Determinazione con raggi X della struttura di importanti sostanze biochimiche.
1965 Prof. R. Burns Woodward (Cambridge, Mass.): Alti raggiungimenti nell‟arte della sintesi organica.
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2005 Yves Chauvin (Francia), a Robert H. Grubbs (USA) e a Richard R. Schrock (USA): Studi per lo sviluppo del metodo della metatesi nella sintesi organica.
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2008 Osamu Shimomura (USA), Martin Chalfie (USA) e Roger Y. Tsien (USA): Scoperta e studio della Proteina Fluorescente Verde (GFP).
2009 Venkarraman Ramakrishnan (UK), Thomas A. Steitz (USA) e Ada E. Yonath (Israele): Studi sulla struttura e funzione dei ribosomi.
2010 Richard F. Heck (USA), Ei-ichi Negishi (Giappone)e Akira Suzuki (Giappone): Studi delle reazioni di accoppiamento ossidativo con catalizzatori al palladio nelle sintesi organiche.
2011 Dan Shechtman (Israele): Scoperte nel campo dei quasicristalli.
2012 Robert J. Lefkowitz (USA) e Brian K. Kobilka (USA): Studi sui recettori accoppiati alla proteina G.
2013 Martin Karplus (USA), Michael Levitt (USA) e Arieh Warshel (USA): Sviluppo di modelli in grado di descrivere reazioni chimiche complesse con l‟utilizzo del computer.
2014 Eric Betzig (USA), Stefan W. Hell (Germania) e William E. Moerner (USA): Sviluppo della microscopia in fluorescenza in super-risoluzione, per lo studio delle strutture cellulari.
Fonte: http://www.uni3trieste.it/wp-content/uploads/2014/08/Piccola-galleria-di-personaggi.pdf
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