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“Storia materiale della scienza - Dal libro al laboratorio”
(Marco Beretta)
Sin dal Rinascimento, il significato di scienza è stato collegato al concetto di natura; per capire lo sviluppo storico della scienza è quindi necessario conoscere l’evoluzione del concetto di natura.
La scienza contemporanea è vista come esistenza di fenomeni esterni che è possibile conoscere e classificare tramite un insieme ordinato, omogeneo e razionale di nozioni; questo concetto è il frutto di un percorso filosofico complesso durante il quale sono andate creandosi le varie discipline scientifiche.
Punto di partenza di tale cammino è la filosofia della natura di Aristotele (IV sec. a.c.) che riconosce le differenze della natura rispetto al soggetto, contrariamente ai suoi predecessori che ponevano l’uomo al centro dell’universo ricollegando molti fenomeni naturali alla sfera umana.
Ogni elemento della natura acquista una propria dimensione diventando fonte di nuova conoscenza di particolari attraverso l’osservazione empirica e la classificazione dei fenomeni secondo un ordine logico fondato sulla percezione dei sensi
Conseguenza: suddivisione della scienza in numerose discipline che differiscono nelle categorie di oggetti che studiano e nelle metodologie con cui effettuano gli studi.
Aristotele fu il primo a cogliere l’unitarietà della natura dietro le varie forme in cui si manifesta.
Operò inoltre una distinzione tra:
Le teorie aristoteliche iniziano a incrinarsi durante il Rinascimento per la comparsa di nuovi saperi (scienze occulte) e per l’espandersi del mondo della natura dovuto alle scoperte geografiche.
Le nuove specie animali e vegetali comparse con l’esplorazione di nuove terre e non annoverate nei testi antichi rappresentavano una contraddizione con i testi stessi.
Gli umanisti, restii ad ammettere possibili errori o lacune da parte degli autori classici, tentarono di chiarire tale discordanza analizzando attentamente i testi e i termini utilizzati e confrontandoli con le nuove scoperte. Il processo era complicato per l’ambiguità dei termini e la scarsità di particolari descrittivi nei testi antichi ma il continuo confronto delle nuove realtà con i testi portò a un rinnovato interesse per l’osservazione della natura e all’elaborazione di nuovi criteri di classificazione (riaffermazione della metodologia aristotelica).
Tra il XV e XVI sec. comparve un movimento detto “Naturalismo Rinascimentale” che rifiutava l’insegnamento fondato su libri e università in favore di una conoscenza diretta della natura.
Se per Aristotele l’esperienza doveva essere confrontata con una determinata classificazione, i naturalisti rinascimentali ritenevano l’osservazione diretta sufficiente per la comprensione totale dei fenomeni della natura considerata come un tutt’uno con l’essere umano e non come un insieme di oggetti separati; risultava quindi inutile suddividere le varie discipline scientifiche; rafforzamento della relazione tra scienza e teologia.
Il metodo esplicativo dei misteri del cosmo era basato sul principio che la sua conoscenza poteva avvenire solo grazie alle capacità del naturalista (simile a un sacerdote – profeta) di svelare i segni delle cose nascoste alla visione diretta, che non si possono apprendere da libri, né da studi ma solo da un’esperienza diretta.
La curiosità verso le manifestazioni della natura e la ricerca dell’esperienza diretta erano molto diffuse e portarono alla scoperta di una moltitudine di fenomeni che da una parte, non essendo confrontati con nessun sistema classificatore, erano considerati come prodigi e portarono ad una proliferazione di credenze e superstizioni (regressione della scienza); dall’altra portarono ad un aumento delle conoscenze naturalistiche rispetto al passato
Oltre alle teorie di Aristotele, vennero riconsiderate altri temi classici per lo studio della natura: la teoria di Platone (rivalutazione dei numeri) e l’atomismo di Epicureo (principi costituenti la materia)
La fisica aristotelica incontrò un’alternativa veramente valida solo verso la fine del XVI sec con le nuove concezioni della natura di:
Francesco Bacone: l’uomo non può essere spettatore passivo della natura ma deve intervenire tramite le scienze operative e sperimentali (meccanica, farmacia, alchimia) in modo induttivo e con la sperimentazione sistematica per aumentare il sapere naturale.
Come per Aristotele, Bacone conferma la conoscenza tramite percezione, aumentando però le possibilità di osservazione empirica con l’utilizzo di strumenti scientifici e degli esperimenti.
Il naturalista diventa colui che manipola i fenomeni della natura, per comprenderla e per creare invenzioni a beneficio dell’umanità.
Renato Cartesio: il mondo naturale e i relativi fenomeni sono un insieme di enti la cui conoscenza si deve basare sullo strumento matematico, non sulla percezione dei sensi che sono ingannevoli e non certi. La conoscenza della natura deve avvenire tramite modelli matematici e meccanici che ne spiegano il funzionamento, perché solo la matematica ha regole precise che possono garantire una conoscenza veritiera.
L’opera di Cartesio e la sintesi newtoniana sostituirono la fisica qualitativa di Aristotele con un’immagine meccanicista del cosmo influendo in particolare sullo sviluppo delle “scienze esatte” (astronomia e fisica generale).
La fisica e la matematica divennero le discipline guida del sapere scientifico europeo anche grazie allo sviluppo tecnologico e dell’industria; le scoperte scientifiche e relative applicazioni portarono all’identificazione tra sviluppo scientifico-tecnologico e progresso sociale e culturale.
Diderot, che considerava inutile la matematica nella conoscenza della natura e sosteneva la filosofia sperimentale, fu tra i pochi che, senza successo, si opposero a queste teorie.
La scienza contemporanea è effettivamente matematizzata; basta pensare allo studio dei composti atomici e della composizione genetica, entrambi espressi ed elaborati con linguaggi matematici.
Anche la distinzione tra artificiale e naturale non è più assoluta: la chimica moderna ha creato infatti nuove sostanze combinando elementi esistenti in natura.
Esiste quindi una contraddizione tra l’ideale “tradizionale” di natura e la pratica scientifica.
Gli strumenti occupano un ruolo di prim’ordine nella storia della scienza e sono strettamente collegati alle scoperte scientifiche: essi hanno creato le condizioni materiali per osservare il mondo secondo parametri quantitativi e sviluppare la scienza sperimentale, fornendo spesso gli elementi teorici delle scoperte.
Orologio meccanico – XIV sec: prima forma di quantificazione della realtà esterna, scandisce il tempo secondo intervalli regolari e uguali; l’uomo può regolare la propria attività secondo una suddivisione meccanica del giorno e delle ore, indipendentemente dai cicli naturali. E’ un primo segno di riconsiderazione verso le arti manuali, considerate da sempre inferiori alle liberali.
Gli strumenti scientifici erano già in uso dall’antichità (utensili meccanici, da difesa, misuratori del tempo, bilance, bussole) ma servivano solo come semplici utensili per aumentare la forza dell’uomo, erano utilizzati solo per attività pratiche e non per ricerca scientifica.
Dal XVI sec. lo strumento scientifico a scopo di ricerca acquista valore grazie al bisogno dei naturalisti di ricercare strumenti che potenziassero le capacità cognitive dei sensi dell’uomo.
Tra tutti i sensi, la vista era quello più importante e l’immagine dello scienziato è spesso associata a quella dell’osservatore scrupoloso.
Il primo strumento scientifico rivoluzionario fu il libro: l’osservazione scientifica non era infatti una semplice constatazione di fatti, ma era effetto di una meditata selezione di dati provenienti da scrittori precedenti e di una verifica empirica.
Il libro fu per molto tempo il principale termine di paragone delle osservazioni e nozioni scientifiche e l’introduzione dei caratteri mobili rappresentò una tra le più significative scoperte. La semplice osservazione e sperimentazione, senza mediazione di uno strumento intellettuale, non erano considerate produttive, anche perché rese poco affidabili da strumenti imprecisi. Da qui l’esigenza di migliorarli.
Gli alchimisti con i loro laboratori rudimentali furono i primi a implementare in maniera diversa la scienza pratica e sperimentale.
Ma i primi rivoluzionari strumenti scientifici si ebbero nel campo dell’astronomia, quando, grazie allo sviluppo nella tecnologia di lavorazione delle lenti, si giunse all’invenzione del telescopio, microscopio, barometro e termometro.
Le potenzialità scientifiche del vetro lo resero oggetto di studi da parte dei migliori scienziati dell’epoca. In Italia, vi era un’alta tradizione vetraria che portò a ottimi risultati sugli strumenti ottici e, in particolare sul telescopio, anche se il primo esemplare fu inventato probabilmente in Olanda. Il telescopio poteva ingrandire l’oggetto osservato fino a 20 volte, grazie al potere rifrangente di due lenti, una concava e una convessa poste all’estremità di un tubo di cartone di 1m.
Grazie all’opera di Galileo, il telescopio divenne il primo vero strumento scientifico collegato alle scoperte che rese possibili: egli associava infatti la teoria fisica che spiegava con il perfezionamento dello strumento utilizzato. Grazie al telescopio si comprese che la natura poteva esser studiata solo tramite la mediazione di strumenti.
Numerose furono le scoperte che seguirono in ambito astronomico e soprattutto fu possibile considerare in modo differente la questione copernicana: non si trattava più di basarsi su semplici ipotesi, ma di costatare dati di fatto.
Il ruolo assunto dal telescopio nella rivoluzione scientifica diede una nuova dimensione professionale agli artigiani, consapevoli del fatto che la maggior accuratezza e precisione degli strumenti, diventati ormai parte fondamentale della ricerca, potevano portare a nuove scoperte.
Fu così che, per pubblicizzare le migliori qualità dei propri strumenti, gli artigiani iniziarono a divulgare i vantaggi scientifici da loro raggiunti, arrivando, seppur con intenti commerciali, a nuove scoperte scientifiche.
Un esempio è la controversia nata tra Eustachio Divini – artigiano italiano – e Christiaan Huygens – scienziato olandese – sulla teoria degli anelli di saturno.
Divini aveva ottenuto con lo strumento da lui creato una corretta rappresentazione degli anelli di saturno, che fu messa in discussione dallo scienziato olandese.
Per la prima volta, un costruttore di strumenti si era posto sullo stesso piano degli scienziati per le sue nuove scoperte favorendo inoltre l’inizio di una nuova serie di ricerche, grazie alle controversie nate attorno alle sue teorie.
L’invenzione del microscopio non fu simile a quella del telescopio, se non nell’uso rivoluzionario che se ne fece da parte degli scienziati in nuovi ambiti di ricerca relativi al mondo animale (zoologia, botanica, ecc.)
Il microscopio ripristinava la teoria filosofica – scartata da Aristotele – dell’atomismo, confermando che il mondo era composto da particelle più piccole, e partecipava alla teoria di meccanizzazione dell’universo, rivelando la natura meccanica del corpo costituita da strutture minute.
Da ricordare Giambattista Hodierna con il suo primo trattato di anatomia microscopica sull’occhio della mosca e il medico Marcello Malpigli con opere di anatomia comparata.
Il vetro, grazie alle sue molteplici caratteristiche fu protagonista anche nella definizione della teoria del vuoto (Evangelista Torricelli) e nell’invenzione di altri strumenti, come il barometro e il termometro e relative scale di misura.
Nel 700 la scoperta di nuove classi di fenomeni – l’elettricità e la composizione dell’aria – spinsero i ricercatori a creare nuovi strumenti, sempre più grandi e costosi, utilizzando nuovi materiali
Con l’elettricità furono create macchine elettriche per prove di fisica sperimentale.
In chimica, per esempio, Lavoisier, con una macchina complicata costituita da vari strumenti, scoprì e verificò la composizione dell’acqua.
L’utilizzo di macchine complicate, che collegavano più strumenti, tra cui attrezzi di misura e controllo, era dato dall’esigenze di migliorare qualità e precisione della sperimentazione e di ridurre la necessità del ricercatore di affidarsi ai propri sensi e osservazioni dirette.
Lo strumento, quindi, non serviva più come ausilio ai sensi e all’osservazione, ma serviva in sostituzione di questi.
Dalla prima metà del 900 la tecnologia modificò gli strumenti in sistemi di sperimentazione, o reti di strumenti, che richiedevano ingenti finanziamenti e un numero elevato di personale scientifico per la loro gestione.
La scienza contemporanea dipende per la maggior parte dalla capacità di innovare tecnologicamente gli strumenti.
La comunicazione ha rivestito un ruolo centrale nello sviluppo della scienza occidentale dal Rinascimento in poi. Molte scoperte attribuite a quell’epoca infatti erano già note nelle civiltà orientali con secoli di anticipo, ma la mancanza di strumenti idonei per la loro diffusione le rese irrilevanti dal punto di vista economico e sociale.
Con l’invenzione della stampa e l’introduzione del mercato librario, la comunicazione costituì ben presto uno degli elementi principali dell’attività scientifica e rese necessario concordare un linguaggio universale di facile accesso per rappresentare il mondo naturale (linguaggio matematico).
Le tecnologie – stampa – si svilupparono rapidamente unite all’esigenza di trovare uno stile autonomo rispetto alle discipline letterarie per esprimere contenuti scientifici.
La rivoluzione scientifica non fu generata solo dalla diffusione della stampa, ma fu né indubbiamente favorita e condizionata.
Inizialmente questa invenzione non fu accolta con molto entusiasmo dagli scienziati per vari motivi:
La necessità di trovare una forma di comunicazione più rapida della stampa e meno impegnativa del libro favorì la diffusione delle lettere scientifiche quale mezzo per comunicare esiti di esperimenti o nuove scoperte a scienziati che dovevano poi diffonderne i contenuti alla comunità scientifica. (Es. Marin Mersenne per Cartesio)
La lettera non solo informava in modo rapido, ma favoriva la ricerca stimolando la soluzione di nuovi problemi e creando competizione tra gli scienziati.
Unico difetto di questo efficace mezzo di comunicazione era la scarsa durevolezza dovuta alla fragilità dei rapporti personali su cui si basavano gli scambi epistolari.
Nel 1665, per colmare questa lacuna, nacque con il “Journal des Savants” – sostituito dopo poco con “Memoires sur les sciences et sur les arts” a Parigi la stampa periodica, che inizialmente mirava a diffondere semplicemente dei contenuti scientifici evitando dibattiti e controversie.
La stampa periodica divenne rapidamente il principale strumento di divulgazione scientifica in grado di garantire tramite una rapida pubblicazione, la paternità delle scoperte scientifiche.
Ben presto il numero degli articoli da pubblicare fu talmente elevato che era impossibile mantenere una pubblicazione veloce e attendibile di tutto il materiale e nacquero periodici specializzati che trattavano delle varie discipline.
Questa diffusione inizialmente rallentò i progressi scientifici perché l’attività dello scienziato fu assorbita dallo studio del materiale disponibile e, data la quantità di nozioni, bisognava procedere con un approccio selettivo, con un conseguente abbassamento della qualità di molte pubblicazioni. Altri strumenti di diffusione utilizzati dagli scienziati furono i congressi e l’infittirsi dei contatti personali.
Nel XX sec. la diffusione di Internet ha notevolmente ridotto le difficoltà di comunicazione ma ha introdotto l’esigenza degli scienziati di tutelare la proprietà intellettuale e il brevetto pur rivendicando pubblicamente la propria scoperta.
Il problema della segretezza dei dati scientifici è riemerso nella sua importanza con la corsa al riarmo e la possibilità di organizzare armi nucleari.
La tutela delle scoperte era materia già trattata dal Rinascimento e affidata allora alle corporazioni.
Agli inizi del 900 il controllo dei brevetti diventò uno strumento strategico perché legato alla produzione industriale.
Lo scienziato svolgeva le proprie ricerche secondo tempi e modi prescritti da chi finanziava la ricerca finche fu chiaro che una ricerca libera da vincoli poteva portare maggiori vantaggi.
L’interazione della scienza con l’industria portò allo sviluppo della retorica per meglio utilizzare i nuovi media nella diffusione delle nozioni scientifiche e sfruttarne l’impatto sul pubblico per richiamare l’attenzione dei finanziatori.
A volte l’annuncio di scoperte sensazionali – in realtà non ancora finalizzate – viene utilizzato come metodo per ottenere nuovi finanziamenti (es. scoperta della fusione fredda nel 1989 – la successiva ricerca dimostrò che non era fattibile, ma l’annuncio servì per richiamare l’attenzione degli investitori). Questo metodo, anche se non proprio leale, serve per portare a conoscenza di un vasto pubblico l’importanza di determinate ricerche.
La posizione sociale e intellettuale degli artisti era strettamente subordinata rispetto a quella degli scienziati – accademici e universitari.
La definizione di artista nel Rinascimento comprendeva ogni tipo di attività manuale - inclusa pittura, scultura e architettura - che potevano garantire incarichi importanti ed economicamente vantaggiosi, ma non il prestigio riservato agli scienziati.
Malgrado ciò, gli artisti portarono grandi cambiamenti e innovazioni nella cultura del tempo poiché furono i primi a osservare il mondo della natura in modo diverso, trovando i modi più idonei per rappresentarla.
Nel campo della pittura, la prospettiva lineare rappresenta un primo passo verso una visione scientifica e naturalista del mondo che aveva l’esigenza di accedere direttamente alla conoscenza; la natura, per essere rappresentata in modo reale, doveva essere mediata da matematica e geometria.
Lo stesso influsso della scienza si riscontrò in campo architettonico.
La possibilità di interagire con la natura e di manipolarla permetteva agli artisti di mostrare l’utilità delle proprie arti anche se, fino al XIX sec., non vi fu molta integrazione con il mondo scientifico.
I segreti delle loro arti erano per la maggior parte tramandati a voce.
Alcuni pubblicarono dei trattati, come Vanoccio Biringuccio (De La Pirotechnia, metallurgia) il cui lavoro fu presto superato però dall’opera innovativa di Agricola, medico umanista.
La vera innovazione portata dagli artisti nel campo cultura fu portata con l’utilizzo della rappresentazione iconografica, emarginata dagli antichi classici perché ritenuta non funzionale per la conoscenza e sostenuta invece dai naturalisti e da chi era impegnato in un’intensa osservazione della natura – botanici, anatomisti. Nel 500 l’illustrazione, quale ausilio per la comprensione e conferma di ciò che era contenuto nei testi, si diffuse sempre di più fino a diventare una discriminante per il successo delle nuove opere.
L’osservazione del mondo naturale non poteva essere più espressa correttamente senza l’aiuto della rappresentazione iconografica, la cui qualità determinò il la velocità di diffusione di alcune opere.
Per esempio, nel 1543 il “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico e il “De umani corporis fabbrica” di Andrea Vesalio segnarono per i loro contenuti l’inizio di un periodo designato come Rivoluzione scientifica.
La rappresentazione iconografica diventava quindi un potente mezzo per comunicare superando l’ostacolo dell’alfabetizzazione.
I commenti sui rapporti tra scienza e religione nel corso dei secoli sono sempre stati contrastanti
Da una parte i primi progressi della scienza erano messi in relazione con la tradizione scolastica delle università medievali; dall’altra si evidenziava la componente razionale dei progressi scientifici, quindi nettamente opposti alla religione e alla dimensione sacra (secolarizzazione della scienza). Quindi i progressi della scienza sarebbero ricollegati al razionalismo scientifico opposto al dogmatismo.
Una terza interpretazione collegava i progressi scientifici con la diffusione del protestantesimo legato al sistema capitalistico.
Uno dei primi libri sul confronto scienza – religione, “History of the conflict between science and religion” fu messo all’indice dal papa Leone XIII nel 1896 – questo indica la problematicità del tema.
La contrapposizione delle varie opinioni persiste fino ai giorni nostri.
John Heilbron in un recente libro sostiene che la Chiesa nel XVII secolo non solo non ostacolò la scienza, ma la promosse – da qui la presenza in molte chiese italiane di laboratori astronomici – e afferma che i gesuiti ebbero molta importanza nel progresso scientifico europeo.
L’interesse dei gesuiti verso la scienza fu reale, ma non tale da affermare una tesi in netto contrasto con le numerose controversie nate tra scienza e religione nel 600/700.
Uno degli eventi più caratterizzanti del rapporto scienza-religione, in particolare dell’aspetto anti-scientifico della religione, fu la condanna di Galileo Galilei nel 1633 all’abiura della teoria Copernicana e la proibizione per tutti i cattolici di leggere le sue opere e quelle di Copernico
Per una corretta valutazione storiografica non è giusto però valutare solo questo accadimento.
Dalla seconda metà dell’800 alcuni storici hanno messo in relazione lo sviluppo della scienza moderna con il diffondersi della riforma protestante. Un’analisi di Alphonse de Candolle (botanico di Ginevra) su alcune statistiche dimostra che la maggior parte degli scienziati della prima età moderna apparteneva a paesi o famiglie protestanti.
Karl Menton (sociologo americano) approfondì l’argomento sottolineando che l’etica puritana aveva avuto un ruolo importante nel diffondere l’interesse verso le scienze sperimentali per la propria filosofia: il lavoro e l’attento svolgimento dei doveri pratici erano fondamenti dell’osservanza religiosa, fino a diventare per gli scienziati puritani, una forma di empirismo baconiano. (Molti fondatori della Royal Society erano servitori della chiesa puritana)
Anche questa tesi su poi rivalutata, basando semmai il rapporto scienza / protestantesimo sul legame di quest’ultimo con l’economia capitalistica che si stava sviluppando.
Inoltre l’interesse per la scienza era attivo anche nei paesi cattolici con le stesse caratteristiche.
Dal XIV sec la scienza iniziò a diventare un corpo autonomo rispetto al sapere teologico; prima gli studi sui fenomeni naturali erano parte della filosofia scolastica.
Infatti prima di allora vi erano pochissime prese di posizione negative della Chiesa verso la scienza e ancor meno forme di repressione o censura. Tra le poche:
A parte questo, la censura e l’Inquisizione si focalizzarono per lo più verso scritti considerati eretici nel tentativo di frenare la diffusione del protestantesimo e l’uso spregiudicato che i suoi seguaci facevano della stampa. In quei tempi vi erano comunque pochi scienziati che vivevano del loro mestiere, per cui è logico che, essendo la loro figura professionale meno prestigiosa di umanisti, filosofi e letterati, non si riteneva necessario reprimere le loro opere.
O meglio, erano considerati meno pericolosi del conflitto teologico, militare e strategico rappresentato dalla riforma luterana che minava i dogmi consolidati della Chiesa romana.
La filosofia della natura di Aristotele era un fondamento della disciplina scientifica che dettava legge nel modo di guardare il mondo naturale ed era anche un fondamento teorico della dottrina cristiana.
Contestare i principi aristotelici significava quindi contestare anche dogmi e credenze nel campo della fede.
Paracelso e alcuni alchimisti aggirarono l’ostacolo portando il campo d’indagine scientifica oltre il limite previsto dalla filosofia scolastica, per es. studiando fenomeni trascurati dagli antichi – metalli.
In astronomia però questo non era molto possibile: la teoria tolemaica era strettamente in relazione all’interpretazione delle Sacre Scritture e all’interpretazione della teologia cristiana.
Mettendo in discussione l’ordine dell’universo, si contrastavano le basi della religione cristiana.
Copernico tentò di giustificare infatti la sua opera con il papa e teologi luterani, ma senza successo. Galileo fu il primo ad entrare in netto contrasto con la Chiesa; all’accusa di eresia rispondeva cercando di dare alla scienza il ruolo di guida più alta e affidabile nei confronti della natura.
Implicitamente dichiarava che la scienza poteva spiegare la natura meglio delle Sacre Scritture.
Nel 1616 la sua teoria fu considerata formalmente eretica e nel 1633 fu costretto all’abiura.
Da quel momento tutta l’attività scientifica iniziò ad essere sorvegliata dalle autorità ecclesiastiche.
Malgrado ciò, grazie alla fitta rete epistolare intessuta, Galileo riuscì a superare i controlli e ad esportare le sue teorie in Olanda, con la collaborazione di un calvinista.
Queste collaborazioni tra scienziati di diversa fede religiosa per diffondere temi d’interesse comune rivela il carattere non confessionale della scienza, che si dimostra invece cosmopolita.
La pratica scientifica coinvolgeva metodi e istanze estranee ai principi della teologia e della religione, per questo non era possibile che scienza e religione entrassero in conflitto.
La scienza si presentava in una posizione sottomessa rispetto alla verità delle Sacre Scritture. Vero o falso che sia, servì per ricavare uno spazio autonomo alla scienza.
A parte Galileo, e il suo clamoroso caso, la letteratura scientifica fu raramente oggetto di censure, anche perché i momenti di contatto tra scienza e religione divennero sempre più rari.
Si ridimensionò anche l’interesse scientifico dei gesuiti che compresero la difficoltà nel conciliare scienza e dottrina ecclesiastica.
Un nuovo episodio di conflitto che sollevò parecchio clamore fu la controversia con Charles Darwin per la teoria de L’origine delle specie che spiegava l’evoluzione delle specie animali come un processo di selezione naturale del tutto casuale e determinato da fattori ambientali.
Ammettere questo implicava riconoscere che tra gli effetti di un superiore disegno divino vi era l’estinzione di milioni di specie animali e vegetali.
La teoria dell’evoluzione era inconciliabile con la Genesi e Darwin cercò di non prender parte per quanto possibile al dibattito teologico. Malgrado questo la Chiesa attaccò tale teoria ma nuove conferme sempre più autorevoli della teoria, provenienti da altri rami delle scienze naturalistiche, rendevano sempre più difficile e infondata tale controversia.
Le teorie sul rapporto tra scienza e religione continuarono a proliferare.
Ernst Haeckel – 1892 – delineava una religione basata sul monismo – concezione che pone a fondamento della realtà un unico principio - in cui le leggi che regolavano il rapporto tra uomo e anima erano dettate da testi scientifici e non sacri.
La maggior parte degli scienziati di fine 800 si asteneva comunque da tali dibattiti.
Da allora gli interventi della Chiesa alcune svolte scientifiche non hanno influito più di tanto sul progresso, sulla rapidità e sugli indirizzi di ricerca. Scienza e religione sono, dal punto di vista scientifico, decisamente distinte.
Il museo è un edificio destinato alla conservazione dei reperti, per evitare di dimenticarli.
Questa definizione sembrerebbe porre questa istituzione in contrasto con la scienza, più proiettata verso il futuro.
In realtà, il museo ha avuto un ruolo molto importante per la scienza, permettendo la classificazione moderna del mondo naturale e la diffusione in pubblico della ricerca scientifica.
Nell’età classica, la parola museo indicava sia un luogo consacrato al culto delle muse, sia un luogo dove insegnare lettere e filosofia, sia un edificio dove conservare oggetti preziosi.
Il museo di Alessandria (280 a.C.) fu il prototipo del museo inteso in senso moderno: un edificio monumentale, sede di un’istituzione laica, anche se rimaneva più un luogo di ricerca che di collezione.
Nel mondo latino il termine inizia a indicare il luogo dove conservare monumenti, sculture antiche e oggetti che potevano destare meraviglia.
Tra i patrizi romani si diffuse molto il collezionismo, soprattutto di sculture, marmi e pietre preziose (dactylotheca)
Nel XIV sec la riscoperta del mondo classico portò a un rinnovato interesse per collezionismo e museo: gli umanisti si interessarono alla ricerca di manoscritti e reperti vari per ricostruire il mondo classico depurandolo dalla mediazione del cristianesimo e dall’influenza della filosofia scolastica cui era stato assoggettato durante il medioevo.
Lo “studiolo” divenne il luogo del collezionismo e della ricerca dell’umanista dove, insieme al museo, si stavano formando le prime istituzioni laiche del sapere.
Nella prima metà del 500, l’apparizione di nuove specie naturali dovuta alle scoperte geografiche favorì il trasferimento dell’attività scientifica nel museo, dove si potevano trovare metodi e strumenti che ne facilitassero lo studio e la classificazione.
Oltre al museo, la stessa attività era possibile nel “giardino botanico” e in quel periodo ne comparvero diversi importanti.
Il più importante fu quello bolognese, il cui prefetto era Ulisse Aldrovandi (1561) che, grazie alla sua condizione agiata, riuscì a riunire un museo naturalistico con 18.000 specie diverse e una ricca biblioteca. Aldrovandi voleva ricreare in forma ridotta la vastità del mondo naturale.
Per aggirare il problema della fragilità e deteriorabilità di alcuni esemplari, si rivolse all’aiuto di alcuni pittori, dimostrando che la rappresentazione del mondo naturale era importante quanto l’osservazione diretta.
Nel museo scienziati e artisti collaboravano (idea di laboratorio di ricerca) per ricostruire la natura in uno spazio chiuso e secondo determinati principi stabiliti dai primi: in questo modo veniva meno la differenza aristotelica tra artificiale e naturale.
Il collezionismo si presentava non come attività statica di accumulazione, ma doveva riprodurre all’osservatore un discorso che spiegasse la natura delle specie osservate (nasce la storia naturale).
Gli studiosi si staccano dall’autorità libresca ricercando nell’osservazione empirica un nuovo metodo di studio e classificazione.
In seguito il museo naturalistico fu inglobato nelle università e accademie – istituiti che promuovevano l’insegnamento della storia naturale.
Dalla seconda metà del 600 le collezioni iniziarono a specializzarsi.
L’interesse verso i musei cresceva, sia come luoghi che svolgevano una funzione pubblica, per divulgare i progressi della scienza, sia come luoghi di attività didattica.
L’insegnamento doveva essere però concreto e non noioso, svolto tramite opere che colpissero l’immaginazione del lettore (es. le Wunderkammern, che raccoglievano oggetti vari con il solo scopo di suscitare stupore)
La tendenza alla specializzazione si concretizzò nel XVIII sec – le specie da catalogare erano ormai un’enorme quantità e il problema venne risolto con nuovi metodi di classificazione e conservazione dei reperti.
Le collezioni furono sistematicamente utilizzate nel sistema didattico, mantenendo comunque il suo ruolo originario di laboratorio di ricerca scientifica.
Verso metà 700 sorsero differenti posizioni sul modo di classificare i tre regni della natura (es. fossili appartengono al gruppo minerale o animale/vegetale?)
Studi più approfonditi sui minerali – finora poco considerati dai naturalisti – portarono allo sviluppo della mineralogia come disciplina autonoma e all’isolamento delle collezioni di minerali in appositi edifici. Lo stesso procedimento coinvolse presto botanica, zoologia e biologia.
Il museo si sviluppò poi secondo diverse linee guida
Museum d’histoire naturelle di Parigi – 1793/4: da deposito di collezioni il museo diventò sede dell’insegnamento superiore delle scienze della vita - secondo il nuovo modello d’istruzione scientifica delineato dai principi dell’educazione repubblicana promossi dalla Convenzione Nazionale – e aprì le sue porte al pubblico per diffondere la cultura.
La fondazione del Museum ebbe una forte componente ideologica – voluta dai giacobini, seguaci di Rousseau. Legato all’ideale, il museo entrò in crisi con il cambiare della situazione sociale e la riaffermazione della superiorità delle scienze fisico-matematiche.
La ricerca si spostava nei laboratori, università e accademie.
All’inizio del 900 si costruirono imponenti musei per ospitare le enormi collezioni alimentate dalle scoperte geografiche, sostenendo così un aspetto positivo del colonialismo.
I musei del 900 avevano quindi motivazioni diverse rispetto a quelli dell’800: erano più ideologiche, economiche – aumentare il nr. di visitatori a discapito della qualità era questione di sopravvivenza.
Es. Museo di storia naturale di Stoccolma: fondato con l’obiettivo di competere con gli altri musei naturali e ampliare la collezione ad ogni costo.
I musei dell’800 erano condizionati dal nazionalismo che pervadeva l’Europa in quel periodo, dato che le collezioni provenivano dalle colonie o da aree geografiche nazionali.
Museo della Storia Naturale in Svezia: imponente edificio, estremamente costoso, di chiara ispirazione nazionalistica, che non rispettava però l’esistente gerarchia tra le varie discipline economiche. Verso fine secolo si estese l’idea di utilizzare i musei per affermare il primato di una certa ideologia scientifica:
Per via della nuova alleanza tra scienza e industria, ogni museo rivendicava la superiorità delle proprie tradizioni nazionali.
Nella seconda metà del 900 sono nati anche nuove istituzioni – “science centers” – per mostrare la creatività della scienza pura, vista in maniera disinteressata e cosmopolita, ma non hanno avuto lo stesso successo e diffusione dei musei.
I musei nati e affermatisi sulle grandi motivazioni ideologiche si sono conclusi con il cambiare di queste.
I maggiori progressi scientifici sono per la maggior parte legati a personaggi singoli piuttosto che non a collettività. In effetti fino al XVII sec le scoperte scientifiche erano dovute in genere alla creatività di singoli individui e non a istituzioni. Dopo tale data le accademie, nuove organizzazioni istituzionali basate sull’organizzazione collegiale della ricerca, hanno avuto un ruolo fondamentale nel progresso, favorendone la velocità.
La struttura delle Accademie sorte nel 700 era completamente diversa da quella degli istituti rinascimentali.
In questi ultimi, un gruppo di persone colte, legati da amicizia e dalla passione per la cultura, si riuniva periodicamente per discutere vari temi, di preferenza letterari o umanistici, e per commentare alcune opere. Le discussioni di carattere scientifico, si limitavano al semplice dialogo.
Accademia dei Lincei – Roman 1603 – ne è un classico esempio: si dialogava sulla scienza o si presentavano nuove opere scientifiche, ma i membri dell’accademia procedevano autonomamente nei loro studi. Scopo dell’accademia era pubblicare e diffondere i risultati ottenuti, non coordinarne l’opera.
Accademia del Cimento – Firenze 1657 – prototipo di accademia moderna. Nello stesso periodo, con caratteristiche simili, furono fondate anche la Royal Society a Londra e l’Académie des Sciences a Parigi. Nata per proseguire il programma di Galileo, i fattori di distinzione di quest’istituzione furono:
La scienza sperimentale venne riconosciuto come attività autonoma e si conquistò un posto in un rango superiore per la sua utilità operativa.
Gli accademici del Cimento seguivano una concezione della scienza basata sullo sperimentalismo, pur riconoscendo la superiorità del metodo matematico rispetto alle teorie aristoteliche.
In particolare si concentrarono sulla ripetizione degli esperimenti, consapevoli della problematicità del metodo sperimentale. Le interpretazioni diverse dei vari risultati portavano a discussioni approfondite, a volte senza soluzioni ma stimolarono la collaborazione collegiale tra gli scienziati e la creazione di laboratori ben equipaggiati.
L’organizzazione collegiale permetteva agli scienziati di lavorare senza l’angoscia di problemi economici e stimolava lo Stato a prender coscienza dell’utilità della scienza.
Il rovescio della medaglia era che le istituzioni fagocitarono le capacità di alcuni brillanti individui.
Le accademie del 600 favorirono la standardizzazione della comunicazione scientifica – con la pubblicazione dei primi periodici – e la valorizzazione della specializzazione.
La forza innovatrice di queste istituzioni non durò molto e già nella seconda metà del 700 fu seriamente messa in discussione.
Diderot e Rousseau furono tra i primi che contestarono queste associazioni che volevano regolare il progresso delle scienze, raggruppandole sotto comuni principi.
La creatività e genialità – per es. Galileo, Newton, Descartes – erano individuali, non collettive.
Jean-Paul Marat riprese queste critiche inasprendole, proclamando la libertà nel promuovere il progresso.
Jean D’Alembert – matematico scrisse un saggio su rapporti tra intellettuali e potenti; egli rivendicava un nuovo ruolo per gli intellettuali e metteva in discussione i rapporti con le istituzioni che distraevano gli scienziati dalle loro vere attività, dando voce al suo desiderio di riformare il sapere e slegare i corpi accademici dalla protezione delle istituzioni.
Le accademie avevano ormai raggiunto un notevole prestigio e – secondo Formey, Accademia di Berlino – avrebbero dovuto cambiare il loro ruolo favorendo la specializzazione delle scienze e ostacolando la moda di mettere il sapere scientifico a portata di tutti.
L’accademia in realtà si dimostrò un’organizzazione chiusa, poco propensa a cambiamenti e riforme che ne potessero mettere in discussione l’autorità.
Ma gli scienziati rivendicavano sempre più il bisogno di raggiungere una libertà espressiva frutto di immaginazione pari a quella dei letterati.
Inoltre, le accademie non erano più così neutrali come si pensava e ostacolarono la diffusione di alcune dottrine.
Le accademie in Francia furono chiuse dopo la caduta della monarchia – Rivoluzione Francese.
La ricerca scientifica si trasferì di fatto nei laboratori, colleges e università e il laboratorio dell’Academie divenne un museo.
In generale, le accademie diventarono un luogo d’incontro per la presentazione di risultati scientifici, mentre nacquero per esercitare le scienze, organismi più snelli e funzionali
Se le accademie svolsero un ruolo fondamentale nell’istituzionalizzazione della scienza, l’università della prima età moderna continuò a essere luogo privilegiato di cultura feconda e creativa.
Le università rinascimentali erano considerate rigide e immobili, questo per l’esigenza di trasmettere un sapere coerente con la cultura dominante del momento. Non potevano quindi addentrarsi verso fenomeni naturali inconsueti e in disaccordo con le attuali dottrine.
In medicina e botanica si riuscirono a raggiungere comunque notevoli progressi.
Anche il cartesianesimo si insediò molto bene come insegnamento universitario delle scienze naturali.
L’insegnamento universitario rimase in ogni caso ancorato alla struttura tradizionale medievale fino al 1700; le scienze naturali erano relegate in secondo piano, tra le arti liberali (divisione tra trivium – grammatica, retorica, dialettica – e quadrivium – aritmetica, geometria, astronomia e musica) e i testi utilizzati sempre gli stessi classici.
Le scienze naturali avevano un ruolo istituzionale subalterno: per gli studenti non vi erano possibilità di sbocchi professionali scientifici e non vi era accesso alla sperimentazione diretta.
Erano quindi inadatte ad accogliere i contenuti della rivoluzione scientifica del 600.
Nel 700 iniziarono alcune attività di riforma, che riguardavano per lo più piccoli atenei, con organizzazioni meno complesse e più facili da modificare.
La medicina fu la prima scienza ad esser rinnovata.
Hermann Boerhaave – medico – tenne dei corsi fortemente innovativi insegnando la medicina secondo un nuovo canone imperniato sulla pratica sperimentale, favorendo lo sviluppo della chimica.
Altre discipline presero forma contemporaneamente – come la fisica sperimentale – sempre incentrando le proprie dottrine sulla pratica di laboratorio e sul tirocinio pratico.
Il manuale acquisiva una nuova dimensione: non più solo sintesi dei classici, ma rapido approccio dei contenuti dei corsi.
Nell’università di Svezia, invece, le riforme avvennero per motivi politici: il governo considerava compito primario della scienza il favorire lo sviluppo economico della nazione e gli scienziati venivano sollecitati a produrre nuove invenzioni. Questo portò a riformare le discipline scientifiche nella maggiore università scandinava – Uppsala – dato che le scienze erano considerate politicamente strategiche.
In Italia vi furono delle riforme nelle cattedre universitarie, con diverse iniziative a livello regionale, date le situazioni politiche e sociali che, in quel momento, appartenevano a realtà divise (università di Pisa, Padova, Pavia e Bologna)
La ricerca scientifica ebbe molto successo in tutte queste università proprio perché appartenenti a realtà geografiche diverse e in competizione tra loro.
Inoltre, nelle Università locali era più semplice istituire meccanismi di rinnovamento che non nelle grandi Università europee.
Malgrado tutti questi progressi, l’università non riuscì a diventare sede privilegiata di ricerca fino a inizi 800.
In Francia il sistema educativo subì un rinnovamento con la Rivoluzione Francese e il relativo processo di laicizzazione della cultura nazionale.
Napoleone soppresse la classe di scienze morali e politiche dell’Institut National favorendo gli scienziati che si erano dimostrati più fedeli allo stato e portatori di un’attività utile.
Dato che le scuole militari non erano sufficienti per le rinnovate esigenze dell’Impero, Napoleone autorizzò numerose facoltà di scienze a rilasciare un diploma di abilitazione favorendo la ricerca originale e innovativa.
La riforma di questo sistema si diffuse anche in Italia e Germania per via delle guerre napoleoniche.
In Germania Liebig diffuse il nuovo insegnamento della chimica basato su lezioni tenute direttamente in laboratorio, combinando didattica e ricerca.
Ben presto divenne indispensabile utilizzare nel metodo didattico laboratori che quindi dovevano essere il più possibile equipaggiati di strumenti e personale adatto.
Nell’università tedesca furono introdotti altri fattori che la portarono ben presto a un posto di rilievo rispetto alle università degli altri stati:
In Inghilterra le antiche università risultavano difficili da riformare; le scienze furono introdotte solo nel 1950.
La Francia, dopo una serie di importanti riforme attuale nell’epoca Napoleonica, veniva ora superata dalla Germania per la lentezza nell’aggiornare le maggiori università.
La supremazia germanica venne fermata solo dagli Stati uniti che avevano inizialmente adottato il sistema tedesco. A differenza delle istituzioni tedesche, le università statunitensi:
La flessibilità del sistema universitario americano attirò, e attira tutt’ora, molti scienziati di ogni nazionalità, ma con un limite: l’esagerata dipendenza tra università e industria sottopone a pressione lo scienziato e vengono meno le migliori condizioni per una libera ricerca.
La parcellizzazione delle scienze è un fenomeno piuttosto recente, dalla seconda metà dell’800.
Nel 600 (Rivoluzione Scientifica) le discipline riconosciute che garantivano sbocchi professionali erano la medicina (anatomia + chirurgia), botanica, matematica, astronomia e “filosofia naturale”, che raggruppava fisica – chimica – meccanica.
I naturalisti rinascimentali non accettarono subito e facilmente tale suddivisione, ma fu una logica conseguenza della rinnovata curiosità del Rinascimento verso il mondo naturale.
Le scoperte geografiche portavano a conoscenza di elementi non contemplati dalla cultura libresca.
Per trovare soluzioni e interpretazioni a nuovi fenomeni si ricorreva a scienze occulte e alchimia, dato che finora non vi erano altre spiegazioni esaurienti.
Aldrovandi, con la creazione nella seconda metà del 500 di un vastissimo museo – giardino botanico, dimostrò che era impossibile catalogare completamente in un unico posto tutti i reperti della natura, seguendo i principi delle dottrine medievali; serviva un’innovazione istituzionale capace di rispondere alle nuove esigenze del mondo scientifico.
Aldrovandi gettò le basi di una nuova disciplina, la storia naturale, sullo studio e classificazione dei tre regni naturali, legata strettamente alla struttura del museo e all’osservazione e accumulazione di reperti.
L’esigenza di modernizzare il sistema per adattarlo alle nuove scoperte non fu il solo fattore che portò alla creazione di questa disciplina; oltre a nuovi percorsi didattici e scientifici, il docente (Aldrovandi stesso) si guadagnava un notevole prestigio.
Un ostacolo all’affermarsi di queste nuove discipline era che Aristotele non aveva negato l’utilità di queste discipline, trovando contemporaneamente un’unione delle stesse in un’unica filosofia – metafisica – che garantiva l’inserimento delle discipline in un contesto comune.
Nel Rinascimento si riuscì a crear nuove specializzazioni ma senza tenere metodi comuni e ottenendo a volte un insieme di informazioni disorganizzate. Nel 700 si cercò di risolvere queste contraddizioni.
Bacone sosteneva la necessità di dividere le discipline secondo gli oggetti studiati, operando però una selezione delle nozioni tramite il criterio dell’esperienza. Nella ricerca scientifica si introdusse la divisione del lavoro: un gruppo di scienziati dovevano collaborare, ognuno con precisi compiti, per portare a termine questa divisione.
Cartesio mirava invece a rifondare le scienze unificandole con un metodo comune basato sulla matematica e le leggi della meccanica (tutto si poteva spiegare con queste leggi, anche la circolazione del sangue)
Entrambi, seppur con riflessioni opposte, cercavano di creare uno spazio istituzionale autonomo per lo studio della natura, senza i condizionamenti della metafisica, della scolastica e dell’aristotelismo.
La specializzazione delle discipline interessò per prima l’Académie Royal francese che istituì diverse classi disciplinari per orientare e favorire progetti di ricerca specifici, mentre nella Royal Society e nel Cimento non si avvertiva ancora la necessità di tale cambiamento.
Nel 1699 vi erano 6 classi di discipline (geometria, astronomia, arti meccaniche, chimica, botanica, anatomia) e nel 1785 erano già diventate 8 (+ storia naturale e mineralogia; chimica & metallurgia, botanica e agricoltura).
Lo stile di comunicazione tra scienziati diventò sempre più specialistico – si diffuse l’articolo – e lo scambio interdisciplinare tra scienziati diventò sempre più difficile.
Per questo motivo, la diffusione dei nuovi risultati di qualche scoperta procurava sempre meno interesse da parte di chi non era direttamente interessato in quella disciplina.
L’Académie si rivelava quindi inadeguata nell’organizzazione delle varie discipline create, ma queste discipline si erano ormai stabilite ed evolute, pronte per un cammino autonomo.
La specializzazione prosegui negli inizi dell’800 grazie alle Università riformate e disponibili ad accogliere la ricerca scientifica. Si diffuse la stampa periodica specializzata.
I nuovi criteri di reclutamento delle Università, basate sull’originalità delle ricerche, portava a un professionalizzazione della figura dello scienziato, evidenziando la necessità di effettuare una selezione qualitativa.
Di contro, la specializzazione come obbligo professionale per accedere a insegnamenti superiori, causava l’estraniamento della ricerca scientifica dalla cultura e dalla società.
Alcuni scienziati tentarono di risolvere il problema con la divulgazione scientifica, un genere che risultava però poco efficace per la complessità raggiunta dalle materie.
Anche i filosofi, non solo il grande pubblico, non furono più in grado di seguire lo sviluppo delle scienze.
La specializzazione non nacque solo per un’esigenza di riforma del sistema del sapere, ma fu favorita anche dallo sviluppo economico.
Ad esempio, la necessità di intensificare l’attività di estrazione metalli e migliorarne la lavorazione determinò lo sviluppo della mineralogia e dell’ingegneria mineraria; stessa cosa per la chimica agricola.
Oltre a creare ostacoli nella diffusione, la specializzazione aveva come lato negativo un progressivo impoverimento dell’attività scientifica, che si limitava a conoscere una sola materia.
La critica non presentava però valide alternative, infatti la specializzazione continuò nel corso del tempo accelerando costantemente.
Stranamente, mentre si sono accentuati i problemi di comunicazione dei risultati al di fuori dell’ambito delle singole specialità, la specializzazione ha favorito la collaborazione tra scienziati e l’interdisciplinarietà della scienza (es. molte scoperte vennero poi sfruttate in altri ambiti, favorendone altre).
Le discipline si sviluppano in modo flessibile: se ne creano di nuove e si esauriscono quelle che non possono più garantire prosecuzione perché obsolete.
Per esempio: le scienze naturali si sono estinte con l’isolamento del regno minerale, ben diverso e distinto dagli altri due.
La scienza ha potuto acquistare una dimensione autonoma del sapere solo quando ha potuto focalizzare l’attenzione su proprio valore strategico e sui benefici che poteva portare per le nazioni.
Questo processo iniziò, anche se in maniera molto difficile, nel Rinascimento quando i Naturalisti difendevano una nuova forma di sapere ancora non ben definita contro una classe intellettuale ben stabilita e considerate e contro una schiera di teologi contrari allo studio della natura.
Varie circostanze favorirono però l’opera dei naturalisti: le guerre, la riforma protestante, le scoperte geografiche che aumentarono l’esigenze degli stati di servirsi di queste scoperte.
L’importanza della scienza fu riconosciuta però solo dopo la Rivoluzione Francese.
Fino a quel momento gli scienziati dovettero cercare di attirar attenzione mostrando che il sapere scientifico poteva essere utile per lo stato, anche più del sapere filosofico.
Un primo modo: mostrare in maniera palese come la scienza potesse portare novità e invenzioni utili, non solo per il sapere stesso, ma per il potere temporale dei sovrani.
La scienza si diffuse nelle corti dell’Europa rinascimentale per varie ragioni.
Prima di tutto, vi furono scienziati seguaci di diverse teorie e dottrine – non solo scienze esatte e meccaniche, ma anche alchimia e astrologia.
I sovrani preferirono mantenere un atteggiamento ambiguo nella politica delle scienze, probabilmente perché ancora non sapevano quale dottrina potesse essere quella più utile.
Questa situazione di ambiguità e di precarietà delle scienze ufficiali rimase fino alla Rivoluzione Francese. In questo periodo accadde in alcuni casi che dottrine alternative godessero del forte appoggio delle autorità.
Un esempio è il caso di Franz Mesmer, medico austriaco che dimostrò come fosse possibile applicare nella medicina il sistema di Newton sull’attrazione universale, ricollegandosi con le teorie di Paracelso per cui la conoscenza degli astri era fondamentale per comprendere le malattie umane.
Mesmer rispolverò quindi un antica dottrina adattandola alle esigenze scientifiche della medicina del 700. Egli sperimentò il magnetismo nel trattamento delle malattie, spiegando che bastava agire sul fluido magnetico che circonda gli umani. Queste sue terapie si diffusero rapidamente, soprattutto in ambienti importanti – ebbe l’appoggio della Massoneria parigina e della corte di Maria Antonietta – e Mesmer tentò di ottenere il riconoscimento istituzionale dall’Académie. La comunità scientifica negò il riconoscimento non riscontrando alcun elemento che potesse legittimare l’esistenza del fluido magico; la spiegazione delle terapie era la capacità di suggestione e il carisma del medico.
Le difficoltà incontrate dalla comunità scientifica nel convincere le autorità della validità delle proprie teorie rispetto a quelle del medico austriaco rappresentano la precarietà del proprio ruolo politico: Mesmer aveva saputo sfruttare la sua abilità nel diffondere una scienza alla portata della società, puntando direttamente all’opinione pubblica, mentre l’Académie era considerata come una corporazione.
Dopo la Rivoluzione Francese, gli scienziati diventarono grandi alleati del governo, offrendo il loro sapere a difesa della repubblica (fabbricazione della polvere da sparo, aeromobili, telegrafo ottico, sviluppi in medicina).
Le scienze subirono un’importante riorganizzazione in nuove associazioni libere e si raggiunsero risultati inaspettati; vennero quindi trasformate sia nella loro funzione sociale, sia nei contenuti.
I risultati erano di sicuro merito delle capacità degli scienziati e nel loro opportunismo – bravura nello sfruttare una possibilità di dimostrare la superiorità delle loro scienze – ma questi erano stati agevolati dalla politica culturale del dispotismo rivoluzionario.
Gli scienziati iniziarono a ricoprire importanti cariche politiche ma la vera svolta fu l’assunzione del controllo della pubblica istruzione.
Era necessaria una riforma basata sulla piena consapevolezza del ruolo politico della scienza che diventava il fondamento ontologico della conoscenza.
La guerra aveva dato agli scienziati un ruolo centrale e questi avevano rivendicato la propria superiorità nei confronti di altre discipline: la riforma era a questo punto fattibile.
Napoleone fu il primo a comprendere l’utilità politica e strategica delle scienze e affidò agli scienziati la nuova classe dirigente, diventando egli stesso membro della prima classe di matematica dell’Institut.
Il rovescio della medaglia: i consensi alla scienza erano distribuiti con la tacita convinzione che il loro contributo doveva essere subordinato alla volontà del primo console, abbandonando convinzioni filosofiche e ideologiche.
Lo scienziato doveva essere un tecnocrate che garantiva maggiore efficienza e prosperità allo stato, senza commentarne le decisioni.
Nella seconda metà dell’800 in Francia e negli altri paesi europei, molti scienziati assunsero cariche politiche di prestigio: la loro neutralità li rendeva bene accetti alla classe politica e in cambio potevano veder appoggiata liberamente la loro attività.
I filosofi si resero subito conto del cambiamento della loro posizione rispetto agli scienziati.
Auguste Comte, fondatore del positivismo, cercò di affidare al sapere scientifico il compito di realizzare una radicale trasformazione della società sulla base della razionalità scientifica.
Innanzitutto bisognava diffondere tra gli scienziati la coscienza politica del loro ruolo e il compito del positivismo era indicare il percorso storico che stava conducendo la società europea verso l’epoca positiva.
Secondo Comte, dopo il disfacimento del sistema superiore teologico con la Rivoluzione Francese, non vi era stato l’insediarsi di un simile sostituto sistema di organizzazione. I progressi dell’industria potevano fornire le basi di questo nuovo potere temporale alla cui guida dovevano esserci gli scienziati, competenti in materia e in grado di promuoverne gli sviluppi.
Per fare questo però gli scienziati dovevano abbandonare la loro inclinazione a occuparsi solo di questioni particolari e tornare ad affrontare le problematiche generali del sapere.
Questo fu preso in considerazione solo da pochissimi individui, la maggior parte era reticente a rimettere in gioco i privilegi acquisiti in nome di una filosofia utopistica.
Agli inizi del 900 il legame tra scienza e politica divenne ancor più marcato, data l’influenza dei progressi scientifici sulla società. Inoltre, la neutralità della scienza poteva garantire una società efficiente e senza conflitti.
Il sostegno politico a favore della scienza aumentò e si fondarono importanti istituti nazionali di ricerca.
Allo stesso tempo l’affermazione scientifica preoccupava il mondo politico che tema un’infinita ricerca di riconoscenze degli scienziati.
Soprattutto durante la seconda Guerra Mondiale il sistema scientifico tecnologico della ricerca divenne talmente importante da mettere in discussione i confini dello stesso potere politico.
Le soluzioni della guerra, con l’invenzione della bomba atomica, erano infatti nelle mani dagli scienziati.
La scienza iniziava quindi a diventare piuttosto difficile da controllare.
Inoltre dal punto di vista degli scienziati, le alleanze politiche costituivano in alcuni casi una limitazione nelle possibilità di comunicazione degli sviluppi scientifici: diffondere informazioni strategiche poteva essere in alcuni casi molto dannoso per gli equilibri politici.
Con la costruzione della bomba atomica iniziarono a sorgere dubbi e controversie sull’effettiva neutralità della scienza e agli scienziati fu chiesto di assumersi le responsabilità etiche e politiche delle proprie azioni.
Anche perché, il linguaggio scientifico era talmente tecnico che metteva al riparo gli scienziati da qualsiasi critica, lasciando i politici come unici responsabili.
Questa doppia identità delle scienze – neutrali per natura ma responsabili delle conseguenze etiche e politiche delle scoperte – è tutt’ora viva: basta considerare i dibattiti sulle ricerche per la clonazione.
Con il miglioramento dei rapporti tra artisti e scienziati iniziato a partire dal 400, iniziò ad emergere l’importanza economica delle scoperte scientifiche e delle tecniche.
Il rapporto però si limitava a considerare le tecniche – arti e mestieri – e non la tecnologia, termine che fu coniato nel 800 per indicare macchine utilizzate per la produzione industriale.
Un primo segno di considerazione verso le tecniche si ebbe nel 600.
Bacone criticava chi si atteneva alla pura filosofia, promovendo la pratica sperimentale associata alle arti meccaniche; gli artisti con le loro opere avevano reso possibile il progresso e la valorizzazione delle arti e delle tecniche poteva rendere possibile la trasformazione del mondo verso il successo sociale. Serviva però prima una riqualificazione dell’artista.
Finora la figura degli artisti era ben poco tutelata: il sistema dei brevetti si basava su leggi inadeguate e gli artisti, per non perdere i privilegi acquisiti con un invenzione, ne mantenevano segreti i metodi di produzione.
Anche Cartesio appoggiò questa teoria: mettere in condizione i tecnici di pubblicizzare le loro scoperte avrebbe consentito di riconoscere il loro valore ed estrema utilità.
A tal proposito creò nel 1648 una scuola delle arti e dei mestieri, che però non ebbe gran seguito.
Nel 700 la situazione cambiò radicalmente.
Già verso fine 600 il ministro delle finanze francese Colbert diede istruzione di creare un bilancio analitico degli attuali processi tecnici, dimostrando così di ritenere lo sviluppo delle tecniche un valido obiettivo. L’opera non riscosse molto successo; al contrario, l’”Enciclopedie, ou dictionnaire des sciences, des arts et des metiers” pubblicata da Diderot e d’Alembert si diffuse rapidamente con l’ambizioso obiettivo di modificare la gerarchia del sapere elevando il ruolo di pratica, esperienza, arti e tecniche.
L’opera conteneva numerose tavole incise, per meglio rappresentare l’importanza della tecnica.
L’entusiasmo dell’Encyclopedie verso le tecniche era collegato allo sviluppo economico manifatturiero dell’epoca in Francia ed al conseguente aumentato benessere.
In seguito a quest’opera e alla rinnovata idea di tecniche, molti scienziati vennero investiti di ruoli importanti in varie aziende manifatturiere, avvicinandosi all’attività dei tecnici.
In realtà non ci furono ancora vere collaborazioni tra scienziati e tecnici che consideravano con sospetto l’altrui attività.
In chimica, l’occasione di incontro tra le due categorie fu la creazione di una macchina con cui Lavoisier dimostrò le sue teorie sulla composizione dell’acqua; l’evento fu il primo passo verso la nascita di una scienza dipendente dalla tecnologia.
Rimaneva comunque un’importante differenza tra scienziato e artista: il primo svolgeva l’attività per passione, il secondo per ottenere benefici economici.
Lavoisier cercò di coinvolgere lo stato in un progetto di riforma dell’educazione che affidava alle tecniche un ruolo centrale. Il progetto non fu accolto, ma poco dopo fu fondata l’Ecole Polytechnique che rispondeva alle nuove esigenze di sviluppare la tecnica a favore dell’economia.
Se in Francia lo sviluppo delle tecniche fu favorito dallo Stato, in Inghilterra il ruolo chiave fu l’imprenditoria privata.
Da metà 700 gli imprenditori adottarono alcune innovazioni tecnologiche che portavano un gran cambiamento nei processi produttivi e nella divisione del lavoro – es. la spinning jenny, filatoio parzialmente meccanizzato.
L’invenzione della macchina a vapore completò il compimento della Rivoluzione Industriale.
Il segreto del suo successo fu la perfetta integrazione con un sistema economico in grado di appropriarsene con profitto e contribuire al suo perfezionamento.
Sviluppo della macchina a vapore:
La macchina venne perfezionata successivamente grazie alla collaborazione di uno scienziato, un tecnico e un imprenditore.
L’universalità e la versatilità della macchina di Watt incrementarono notevolmente gli investimenti di capitali nell’industria meccanica, creando una nuova legislazione sui brevetti che diventavano un’esigenza economica.
In Francia veniva riconosciuto il credito dell’invenzione e la proprietà commerciale per un periodo dai 3 ai 5 anni.
La conseguenza fu che, con garanzie legislative e capitali investiti, artisti e scienziati diedero vita a nuovi e più complessi sistemi tecnologici.
A metà 800 l’introduzione dell’elettricità nell’industria fu l’elemento decisivo per lo sviluppo della tecnologia.
L’attività dello scienziato diventava sempre più collegata con la tecnica, anche se gli scienziati continuavano a esser rappresentati come puri filosofi (es. Einstein): il valore di una scoperta scientifica dipendeva sempre più dalla sua applicabilità su larga scala e conseguente profitto economico.
I costi della scienza crebbero in maniera esagerata trasformando la scienza tradizionale nella nuova Big Science, ovvero un’attività che passa per i grandi laboratori (prima metà del 900 – Manhattan District)
Attualmente non è più l’originalità delle teorie a destar scalpore, ma la possibilità di trasformare il mondo materiale; macchine, strumenti, calcolatori e laboratori costituiscono oggi i prerequisiti di qualsiasi ricerca scientifica.
La Rivoluzione Industriale è riconosciuta come un pilastro nello sviluppo del capitalismo moderno con i numerosi cambiamenti e innovazioni portati dall’industria nell’organizzazione del lavoro, nella produzione e distribuzione delle merci.
Il contributo della scienza e delle tecniche è stato fondamentale, anche se non sempre riconosciuto.
I fattori “sviluppo scienza e tecniche” e “sviluppo economico” sono stati elementi complementari e collegati della rivoluzione: grazie a capitali, sviluppo del commercio e manifatture si era creato un terreno fertile per le nuove invenzioni; ma questo stesso sviluppo era stato possibile grazie a un rinnovato sistema culturale. Anche se con alcuni contrasti, le collaborazioni tra imprenditori e scienziati risultò in ottime collaborazioni. Nel 1700 in Francia alcuni scienziati accademici furono investiti di incarichi direttivi nelle tintorie e manifatture reali di vetro e porcellana. Queste imprese avevano però un’organizzazione centralizzata che non favoriva la libera concorrenza e le innovazioni. Unica ricerca era migliorare la qualità.
Le relazioni tra scienza e industria erano a volte molto problematiche, come nel caso di Nicolas Leblanc, medico che inventò un metodo efficace ed economico per produrre la soda.
Il procedimento fu finanziato ed ebbe successo finché il suo committente – duca di Orleans – non fu ghigliottinato. Dopo questo il metodo non fu ritenuto valido perché i risultati ottenuti erano gli stessi del metodo tradizionale .. anche se ottenibili con meno costi e fatica.
In altri casi scienza e industria collaborarono dando favorendo sviluppi in entrambi i campi.
In particolare la chimica fu ideale per queste collaborazioni perché non produceva materiali fini a se stessi ma commissionati da altri cicli produttivi. I prodotti dipendevano da chi li richiedeva e dall’esigenza che dovevano soddisfare; inoltre servivano per colmare la scarsità di alcuni beni naturali.
Un caso particolare è rappresentato dalla produzione del salnitro.
Con le frequenti guerre e la crescente importanza delle armi da fuoco, la produzione industriale di polvere da sparo e la ricerca per migliorarne il rendimento costituirono due settori strategici delle economie nella seconda metà dell’600.
In Francia vi era un istituto che deteneva il monopolio di tale attività, che realizzava profitti enormi a discapito della qualità e della quantità di prodotto fornito.
A questa causa fu imputata anche la sconfitta della guerra dei Sette Anni.
Per far fronte a questa carenza, lo stato nominò Lavoisier direttore dell’istituto che produceva materiale bellico sperando in un miglioramento del prodotto e della gestione industriale.
Lavoisier modificò gradualmente la politica scientifica tradizionale, favorendo l’industrializzazione della produzione delle polveri da sparo.
Egli iniziò a prender conoscenza dei processi produttivi presenti, portando avanti, contemporaneamente alcuni esperimenti; istituì un premio e un’inchiesta con lo scopo di raccogliere informazioni sistematiche sui metodi di produzione delle polveri nelle diverse industrie ed escogitò una riforma per migliorare la situazione di povertà di conoscenze teoriche emersa dall’inchiesta.
La riforma si basava sull’uniformazione degli standard di analisi e sull’applicazione delle recenti scoperte scientifiche sulla sintesi chimica.
Questo settore dell’industria nazionale, di importanza strategica, si sviluppò notevolmente, stimolando il sorgere di nuove manifatture e industrie affiliate (industrie di alcali diventati importanti per la produzione del salnitro) e la pura ricerca chimica.
Le sperimentazioni subirono però un freno dopo una tragica esplosione in una polveriera; il fatto dimostrava chiaramente la differenza tra la pura scienza condotta in ambito accademico e la sperimentazione pratica su larga scala.
Altra importante modifica introdotta da Lavoisier fu nella selezione del personale.
Rese obbligatorio un corso teorico – pratico per chiunque volesse lavorare nell’istituto delle polveri.
Le riforme di Lavoisier portarono a un aumento nella quantità e nella quantità del prodotto ma l’organizzazione del lavoro non venne ancora modificata.
Il vero cambiamento si ebbe nel 800 con la Rivoluzione Industriale.
Il sistema produttivo era sempre più basato su automatismi meccanici, come la macchina a vapore; si parlava di factory system per indicare l’azione combinata di diverse macchine dipendenti da un unico centro di produzione dell’energia.
La causa principale dello sviluppo industriale fu l’integrazione scienza – capitale.
Il chimico inglese Andrew Ure parlava addirittura di una nuova gerarchia: la manodopera era semplice controllo, il capitale era sostegno finanziario e la scienza era direzione dell’industria.
In realtà questo non era vero, e il potere restava nelle mani dei finanziatori che si interessavano alle scoperte tecnologiche solo quando si dimostravano produttivamente valide.
Dopo la rivoluzione industriale il legame biunivoco scienza – industria fu sempre più rilevante: entrambe avevano bisogno l’una dell’altra per svilupparsi
Nell’800 il processo di tecnologizzazione dell’industria si sviluppò maggiormente negli Stati Uniti, dove gli industriali si affidarono principalmente all’opera degli inventori, in grado di soddisfare nel breve termine, la richiesta di innovazioni dell’industria, dato che la ricerca non era ancora molto sviluppata.
Esempi di grandi inventori: Robert Fulton, Morse e Edison.
Caratteristica saliente della scoperta era la possibilità di integrarla a un prodotto industriale e il successo di ogni innovazione doveva necessariamente passare per il mercato.
Gli inventori avevano però un limite poco conciliabile con gli interessi economici, ossia l’imprevedibilità che comportava notevoli rischi per gli investimenti.
Per questo motivo negli inizi del 900 si crearono laboratori di ricerca per scienziati, in grado di fornire parametri di controllo e capacità di previsione migliori degli scienziati.
In particolare, la sinergia tra ricerca scientifica e industria ebbe ottimi risultati nell’industria farmaceutica (creazione dell’Aspirina).
La diversificazione dell’industria nel 900 rende impossibile una generalizzazione dei rapporti tra scienza e industria. Oggi vi sono però nuovi fattori da considerare, come la crescita esponenziale dei costi della ricerca di base.
Il riconoscimento della professione di scienziato è stato un processo con una lunga gestazione.
L’opera “La piazza universale di tutte le professioni del mondo” di Tomaso Garzoni, edita nel 1585, si rappresenta una società in cui la posizione dello scienziato ha ancora scarso rilievo, anche se paragonata a mercanti e artisti.
Esistono alcune figure come medici e astronomi, ma non vi è una professione “scienziato”.
In realtà nel Rinascimento non esiste neanche un termine adeguato per descrivere tale professione.
Vi sono esempi (Giorgio Agricola – autore del De Re Metallica – e Galileo) di scienziati con una formazione prettamente umanistica diventati poi celeberrimi scienziati proprio grazie a tale formazione.
Nel 600 il Francia si diffonde il termine Savant per indicare chi studia le scienze esatte.
In Gran Bretagna si impone il termine natural philosopher che pone in rilievo l’oggetto di studio – natura – rispetto al filosofeggiare. Ma non vi è ancora la nascita dello scienziato di professione.
Ancora nel 700 le scienze naturali non garantivano redditi e non facevano parte dei curricula universitari.
Era molto diffusa la committenza con cui i sovrani si garantivano i favori di scienziati e naturalisti, ma era un fenomeno molto legato alla volubilità dei committenti stessi che ancora non apprezzavano l’importanza strategica ed economica delle scienze.
Questa fu presa in considerazione solo nella seconda metà del 700 e con la Rivoluzione Francese il nuovo ruolo politico degli scienziati aveva creato nuove opportunità per la carriera scientifica.
Sul piano istituzionale la carriera dello scienziato ebbe quindi uno sviluppo lineare a partire da metà 800, mentre l’identità intellettuale di gruppo ebbe uno sviluppo più complesso.
E’ interessante notare come gli scienziati si siano costantemente sforzati di unificare il mondo dell’investigazione sotto un unico corpo disciplinare, facendolo confluire, nonostante la diversità delle materie in una sorta di meta-scienza. Questo soprattutto per distinguere la loro attività da quella letteraria e filosofica, delineando il profilo dell’autore scientifico.
L’identità dello scienziato era descritta inizialmente come negazione del sapiente; l’attività svolta era (ed è tutt’oggi) depurata da esperienze soggettive.
Di contro, vi era anche una forte esigenza per lo scienziato di rivendicare i risultati ottenuti; serviva quindi un nuovo ruolo per gli scienziati.
Il linguaggio scientifico assumeva una nuova funzione e si adattava, si modificava per meglio descrivere gli esperimenti: era una lingua oggettiva per non lasciare margini interpretativi.
I discorsi scientifici erano neutrali; lo testimoniano anche i numerosi Saggi pubblicati anonimamente per non influenzare il lettore.
I Saggi sono la prima opera in ambito scientifico scritta da più autori, molto utile per esplorare soluzioni innovative. Il lato negativo era però che non riconoscevano la paternità di scoperte o osservazioni.
Il problema si risolve con la pubblicazione in varie accademie di atti che riconoscono il credito intellettuale dei singoli articoli.
I saggi diedero inizio alla consuetudine di lavori d’equipe.
I congressi nascono a fine 700 e rispondono all’esigenze di
Il primo congresso si tenne a Parigi nel 1798 per discutere gli standard dei pesi e misure da adottare nei vari paesi europei, obiettivo mai realizzato per la differenza di metodologie nei vari paesi e regioni.
Il congresso portò in seguito alla diffusione del sistema metrico decimale in tutti i paesi, considerato superiore perché basato sulla natura stessa (la misura del meridiano terrestre) e quindi definitivamente oggettivo.
Questa riforma apriva una nuova epoca per la scienza, con un nuovo influsso sulla società – la riforma del sistema metrico decimale era stata infatti promossa come strumento per cancellare imbrogli nascosti nei vecchi sistemi.
Il secondo congresso fu a Monaco nel 1822 e non aveva nessun tema preciso; era semplicemente una comune sede di discussione.
Un tratto caratteristico dei congressi tedeschi fu infatti l’interdisciplinarietà, la possibilità di entrar in contatto con risultati di discipline limitrofe.
Il valore politico di queste riunioni era la capacità di creare una comunità animata da valori e interessi comuni; questo intento risultava molto più difficile nei paesi in cui vi era stata una rapida istituzionalizzazione di diverse discipline scientifiche. La parcellizzazione infatti creava interessi e politiche diverse per le varie discipline, impedendo una collaborazione disinteressata.
In Inghilterra ad esempio, i congressi ebbero un rapido sviluppo grazie alla British Association for the Advancement of Science, un’associazione che organizzava riunioni di “scientist” (termine coniato per questi eventi) per accrescere l’importanza degli scienziati britannici. Queste riunioni ebbero molto successo e iniziarono ad interessare anche i non addetti ai lavori
Oltre a congressi scientifici nazionali e generali, si organizzarono poco dopo anche congressi scientifici disciplinari, che più che un obiettivo politico, miravano a diffondere nuovi risultati della ricerca scientifica in determinati ambiti.
Per esempio, il congresso di Karlsruhe nel 1859 fu un estremo successo nell’ambito della chimica. Inizialmente giudicato non del tutto riuscito, si dimostrò negli anni a seguire molto valido, soprattutto per il chimico Italiano Stanislao Canizzaro che sfruttò la strategia di documentare le sue teorie con una pubblicazione che diffuse ai partecipanti del congresso. Questa mossa portò notevole vantaggi alla sua attività.
Durante il XX secolo vennero organizzati congressi a scopo propagandistico – es. convegno di Fisica organizzato dai fascisti per Marconi e Fermi – e la loro funzione rimaneva ancora principalmente quella di rafforzare il ruolo politico degli scienziati nella società. Le grandi invenzioni venivano in genere presentate durante convegni molto più ristretti.
Tutt’oggi i congressi rappresentano la possibilità di dar voce a quegli scienziati che per diverse ragioni non possono partecipare al mondo accademico.
Sono soprattutto un luogo privilegiato di comunicazione scientifica, per aggiornare l’opinione pubblica sulle nuove scoperte e favorire il dialogo tra esperti.
L’invenzione della polvere da sparo nel 1500 fu il primo evento scientifico che rivoluzionò l’arte della guerra, dando il via a una serie di sviluppi conseguenti nelle scienze e tecniche correlate: aumento della domanda di ferro per costruire armi e sviluppo lo sfruttamento minerario; raffinazione nella costruzione delle armi e nuove invenzioni – archibugio e cannone -, raffinazione nelle tecniche di lavorazione metalli, sviluppo delle tecniche di produzione per diminuire i costi.
La vera novità nell’arte della guerra del Rinascimento non furono quindi le innovazioni nei macchinari, ma gli sviluppi nella metallurgia che, grazie a questo nuovo e importante ruolo, iniziò ad esser oggetto di studio da parte di importanti scienziati, e non solo materia per semplici tecnici (es. opere di Giorgio Agricola sulla metallurgia e Niccolò Tartaglia sulla balistica)
Durante la prima metà del 500 alcuni scienziati iniziarono quindi ad applicarsi allo studio della scienza applicata alla guerra, contravvenendo all’insegnamento classico contrario a tale uso del sapere.
Galileo stesso aveva toccato l’argomento delle fortificazioni e architettura militare.
La vera collaborazione tra scienza e guerra iniziò (ancora una volta) dopo la Rivoluzione Francese quando gli scienziati iniziarono a ricoprire ruoli politici e strategici molto importanti. L’esito positivo delle guerre favorì la riforma dell’istruzione in senso tecnico e scientifico e fu fondata l’Ecole Polytechnique, una scuola superiore a numero chiuso per l’insegnamento delle scienze.
Napoleone tentò di militarizzarne la struttura affiancando un generale dell’esercito agli scienziati che la dirigevano e questo ebbe, contrariamente al previsto, risultati positivi.
Il collegamento tra scienza e guerra andò oltre, quando Napoleone fu eletto membro della classe di matematica dell’Institut: gli scienziati vedevano infatti in Napoleone colui che poteva favorire la crescita istituzionale e strategica della scienza.
Napoleone riuscì a integrare gli scienziati nel suo disegno strategico con la spedizione in Egitto del 1798 di una folta armata affiancata da una commissione per le scienze e per le arti che cercò di raccogliere in loco tutte le informazioni scientifiche possibili e fondò ad Alessandria l’Institut d’Egypt.
In questo modo la guerra perdeva un po’ della sua brutalità ed acquistava una funzione “evangelizzatrice” diffondendo civiltà e progresso.
L’alleanza tra scienza e guerra dopo Napoleone rimase latente fino alla prima Guerra Mondiale, il primo conflitto in cui l’applicazione delle scienze e delle tecniche si rivelò spesso decisivo nella guerra che era diventata una sorta di laboratorio di verifica delle innovazioni: il sottomarino, lo Zeppelin, i gas asfissianti.
Le tecniche chimiche furono l’innovazione più impressionante e devastante; Fritz Haber (con la collaborazione di Nernst e Duisberg) propose di riempire i proiettili di mortaio di gas asfissiante, la proposta fu realizzata nel 1915 quando l’esercito tedesco uccise sul fronte belga 15000 uomini con questa tecnica.
La storica neutralità della scienza giustificava lo scienziato che si limitava a risolvere quesiti tecnici e problemi strategici, senza nessuna implicazione morale o filosofica, distaccandosi completamente dallo spirito rinascimentale.
L’”esperimento” trovò infatti l’accordo di tutti gli scienziati dell’epoca.
Durante la prima Guerra Mondiale e nel dopoguerra la ricerca scientifica in ambito bellico raccolse numerosi investimenti e portò a notevoli risultati, rafforzando la collaborazione tra scienza, potere politico e militare tanto che la presunta neutralità della scienza iniziò ad esser messa in discussione.
La costruzione della bomba atomica costituì un passaggio fondamentale in questo cammino. Gli studi sulla fissione degli atomi, in particolare dell’uranio, vennero sviluppati da diversi scienziati – Fréderic e Irene Joliot, Niesl Bohr, Enrico Fermi – e furono presto chiare le possibilità dell’uranio di emettere energia atomica.
Albert Einstain scrisse al presidente degli stati uniti per informarlo sugli effetti pratici della bomba e chiedendo un controllo governativo su tale progetto. Il “Manhattan project” fu capitanato da un generale e tre fisici e portato avanti nel laboratorio di Los Alamos da Fermi e dagli altri scienziati che vi avevano lavorato fino ad allora.
L’8 Maggio 1945 ci fu la resa incondizionata della Germania.
Il 16 Luglio 1945 la bomba atomica fu “testata” nel deserto del New Mexico e, in seguito alla decisione presa dal presidente Truman, con parere favorevole di Fermi, Oppenheimer, Lawrence e Compton, il 6 e il 9 Agosto 1945 vennero sganciate le due atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Oltre 200.000 vittime con lo scopo di affermare il successo di un esperimento scientifico.
La neutralità della scienza da allora non è più così indubitabile e compito del potere politico è, ora come dopo la Seconda Guerra Mondiale, gestire gli effetti delle innovazioni scientifiche.
Il laboratorio è un luogo, o un sistema di sperimentazione scientifica e di elaborazione concettuale.
Tra i vari luoghi per l’esercizio delle scienze è l’unico che non ha radici classiche o umanistiche, in quanto è strettamente legato alla sperimentazione.
Università e musei avevano già messo a disposizione spazi diversi dalle aule, ma restano comunque legati alla tradizione classica e libresca con la loro funzione di ricerca e conservazione del patrimonio scientifico.
I laboratori invece centrano la loro attività sulla pratica, sull’esperimento.
La prima scienza ad utilizzare il laboratorio fu l’alchimia che tentava di manipolare la materia facendo esperienza diretta con la natura. Il laboratorio diventava quindi l’unico luogo ideale per questo modo nuovo di praticare il sapere scientifico.
Antenati dei laboratori degli alchimisti erano le botteghe di artisti e speziali.
Durante la seconda metà del 700 il laboratorio iniziò a subire alcuni fondamentali cambiamenti:
Durante il XIX sec il laboratorio divenne lo spazio privilegiato per la ricerca.
Un esempio è rappresentato dal laboratorio di chimica istituito in Germania da Justus von Liebig.
Allievo di Gay Lussac, ebbe modo di beneficiare dell’insegnamento di Gay Lussac, famoso chimico francese, e di collaborare nel suo laboratorio. Dopo vari riconoscimenti e al termine del tirocinio, Liebig ricevette la cattedra presso l’università di Giessen dove insegnò sulla base della sua esperienza, basandosi soprattutto sul laboratorio e trasformando la sede universitaria in un importantissimo polo per la ricerca chimica.
Molto importante, oltre allo stretto rapporto di collaborazione con l’insegnante, era la possibilità per gli allievi di veder riconosciuto con il loro lavoro sperimentale un credito scientifico.
Nel 900 le dimensioni dei laboratori crebbero ulteriormente, soprattutto negli Stati Uniti.
Ernest Lawrence riuscì a ottenere dei finanziamenti per il suo Radiation Laboratori e per gli esperimenti sulla produzione di energia atomica.
Non si ottennero particolari innovazioni, ma il laboratorio divenne uno dei migliori centri di ricerca per la fisica atomica.
Nei primi anni Cinquanta del 900 nacque a Ginevra il CERN.
Il laboratorio è stato da sempre il luogo ideale per sviluppare la propria attività e rappresenta la sintesi di tutte le condizioni materiali della pratica scientifica. E’ lo spazio ideale per ospitare e ottimizzare gli strumenti.
Evangelista Torricelli |
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teoria del vuoto |
Galileo Galilei |
fine 500 – inizi 600 |
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Isaac Newton |
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Paracelso |
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Aristotele |
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Francis Bacon |
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Descartes |
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Lavoisier |
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Marin Mersenne |
prima metà 600 |
corrispondente di Cartesio |
Leo Szilard |
900 |
fissione uranio – segretezza |
Niccolò Copernico |
metà 500 |
teoria eliocentrica |
Andrea Vesalio |
metà 500 |
studi anatomici |
Charles Darwin |
prima metà 800 |
evoluzione della specie |
Ulisse Aldrovandi |
metà 500 |
giardino botanico bolognese |
Denis Diderot |
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Jean-Paul Marat |
seconda metà 700 |
critico delle accademie |
Jean-Jacques Rousseau |
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Jean D’Alembert |
metà 700 |
matematico |
Jean-Henri-Samuel Formey |
seconda metà 700 |
segretario Accademia di Berlino |
Hermann Boerhaave |
1700 |
medico – riforma universitaria |
Christiaan Huygens |
seconda metà 600 |
teoria anelli di Saturno |
Auguste Comte |
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fondatore positivismo |
Franz Mesmesr |
seconda metà 700 |
medico – fluido magnetico |
James Watt |
seconda metà 700 |
invenzione macchina a vapore |
Denis Papin |
inizi 700 |
invenzione macchina a vapore |
Thomas Savery |
inizi 700 |
invenzione macchina a vapore |
Antonio Pacinotti |
metà 800 |
macchina elettromagnetica |
Werner von Siemens |
metà 800 |
dinamo e motore elettrico |
Guglielmo Marconi |
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radio |
Albert Einstein |
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Gay Lussac |
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Justus von Liebig |
inizi 800 |
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Unitarietà della scienza seppur con discipline diverse – interdisciplinarietà dei congressi
La natura aristotelica
Metafisica
Fonte: http://www.scicom.altervista.org/storia%20scienza%20e%20tecnica/SMAT.DOC
Sito web da visitare: http://www.scicom.altervista.org
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