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L’EDUCAZIONE ALL’AFFETTIVITA’
NELL’APPRENDIMENTO SCOLASTICO
di Alisia Rosa Arturi
“Voi affermate che è difficile stare con i fanciulli – Avrete ragione. Ma poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, curvarsi, piegarsi, farsi piccoli. Ebbene in questo avete torto. Non sta qui la fatica maggiore, ma piuttosto nel dovere di elevarsi all’altezza dei loro sentimenti. Sta nell’impegno di distendersi, allungarsi, alzarsi in punta di piedi per non ferirli”. |
Troppo spesso oggi nella scuola si è portati a trascurare gli aspetti emotivi del processo di sviluppo dell’allievo a tutto vantaggio di quelli puramente cognitivi, dimenticando che l’individuo è totalità integrata ed organizzata e va educato nella sua interezza.
In ogni situazione, infatti, si manifesta un’ osmosi tra sfera affettiva e sfera cognitiva e gli atteggiamenti, le aspettative, più o meno esplicite, le comunicazioni verbali e non verbali dell’adulto, influiscono sull’allievo unitamente alle sue motivazioni personali, facilitando o ostacolando qualsiasi acquisizione conoscitiva.
Così come è altrettanto vero che la conquista di nuove abilità cognitive rafforza nell’alunno la stima di sé, soddisfa il bisogno di sicurezza e rende facile il rapporto con genitori e insegnanti.
L’interazione fra settore cognitivo e settore affettivo viene considerata, ai fini dell’apprendimento essenziale anche da Piaget, il quale sostiene: “a partire dal periodo preverbale esiste uno stretto parallelismo fra lo sviluppo dell’affettività e quello delle funzioni intellettuali, in quanto si tratta di due aspetti indissolubili di ogni azione: in ogni condotta, infatti, le motivazioni e il dinamismo energetico dipendono dall’affettività, mentre le tecniche e l’adeguamento dei mezzi impegnati costituiscono l’aspetto cognitivo.
Non esiste, quindi, un’azione puramente intellettuale e neppure atti puramente affettivi, ma sempre e in ogni caso, sia nelle condotte relative agli oggetti, sia in quelle relative alle persone, intervengono entrambi gli elementi, giacchè uno presuppone l’altro.
Importanza fondamentale ha, quindi, nella scuola, l’educazione all’affettività che, avviando l’allievo ad avere una positiva e realistica immagine di sé e facilitando l’instaurarsi di gratificanti rapporti con gli altri, costituisce un efficace mezzo di formazione di soggetti psichicamente sani e, conseguentemente, diventa un valido strumento di promozione del benessere psichico e fisico.
Anche i vecchi Programmi di insegnamento della scuola elementare, nonché gli stessi Orientamenti della scuola dell’infanzia hanno dato particolare interesse agli aspetti di natura emozionale che entrano in gioco nel processo educativo.
Tuttavia, nonostante la riconosciuta importanza di una equilibrata educazione affettiva troppo spesso essa viene trascurata nella stesura delle programmazioni educative e didattiche, oppure rimane nelle buone intenzioni e comunque non sono ben chiari i metodi e gli strumenti di verifica e valutazione.
Anche nell’ambito dell’altra agenzia educativa, che è la famiglia, tale aspetto viene inconsapevolmente tenuto nel limbo: ma quale genitore non desidera che il proprio figlio riesca ad acquisire quell’insieme di abilità personali e sociali che lo stesso Goleman definisce intelligenza emotiva?
L’educazione all’affettività, che le Indicazioni Nazionali inseriscono all’interno dell’educazione civica, rappresenta, appunto quel processo di apprendimento che porta alla “gestione” delle proprie emozioni.
Lo scopo generale è quello di facilitare nell’allievo il potenziamento delle emozioni positive, ponendolo nella condizione di essere in grado di ridurre l’insorgenza di stati d’animo ritenuti negativi.
È anche vero che è difficile fissare, per l’educazione affettiva, degli obiettivi univoci: “comunicare la percezione di sé e del proprio ruolo all’interno del gruppo-classe, in famiglia, nel gruppo dei pari in genere non è come “comunicare il proprio pensiero”.
In realtà l’obiettivo affettivo (come sostiene anche lo studioso Krathwohl) è di tipo globale e, limitando il discorso all’ambito scolastico, concerne un corso di studi nel suo insieme piuttosto che nelle sue parti isolate.
Krathwohl è autore di una tassonomia, basata su una successione di cinque livelli principali (ricezione, risposta, valorizzazione, organizzazione, caratterizzazione) e tredici sottolivelli. Questa tassonomia utilizzata in campo affettivo, soprattutto in ambito accademico, è poco fruibile a causa del suo carattere astratto e non definisce mai i concetti in termini operativi.
Sicuramente più comprensibili ed utili allo scopo risultano essere gli obiettivi che Goleman definisce “il curriculum delle scienze del sé”: essere autoconsapevoli, decidere personalmente, controllare i sentimenti, controllare lo stress, essere empatici, comunicare, essere aperti, essere perspicaci, autoaccettarsi, essere personalmente responsabili, essere sicuri di sé, saper entrare nella dinamica di gruppo, sapere risolvere i conflitti.
È evidente, quindi, l’importanza di una corretta educazione affettiva e, in particolare, di una educazione mirata allo sviluppo della cosiddetta intelligenza emotiva che è trasversale a tutto ciò che si intreccia con gli insegnamenti disciplinari.
Essa è la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo, nonostante le intemperie della vita, di controllare gli impulsi, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza impedisca di pensare.
Alla scuola viene chiesto ancor più di considerare i suoi allievi non solo come tante “tabula rasa” sulle quali incidere il sapere, ma come soggetti nella loro interezza.
La richiesta è che gli allievi non imparino a leggere, scrivere e far di conto, bensì che vivano la scuola con la totalità del loro essere e in un clima affettivo sereno.
Tutto questo non sta a significare solamente tener conto dell’evoluzione psicologica del singolo allievo, bensì porsi come strumenti attivi affinché gli alunni possano apprendere i contenuti disciplinari, esprimere le proprie emozioni e gestire una discussione.
Studi recenti dimostrano quanto la relazione tra insegnanti e allievi influenzi positivamente la motivazione ad apprendere: la serenità di stare bene in gruppo, che soddisfa i bisogni di accettazione e affiliazione, permette di affrontare qualsiasi apprendimento in modo proficuo.
In questo senso, l’educazione all’affettività ha come obiettivo quello di migliorare nell’alunno la conoscenza di sé e di facilitare nel gruppo classe la comunicazione tra i vari soggetti.
La finalità che la scuola si prefigge è quella di portare gli allievi a migliorare la capacità di pensiero costruttivo e razionale nelle più comuni situazioni di vita scolastica, extrascolastica, familiare e sociale, ponendosi alcuni obiettivi, come:
Il punto è cercare di imparare a capire ciò che viene trasmesso dagli altri e a far comprendere i propri stati d’animo penetrando nella sfera emotiva.
INSEGNARE A SCUOLA LE ABILITA’ EMOZIONALI
È molto importante aiutare il bambino a diventare consapevole delle proprie emozioni e a saper dare loro un nome che gli consenta di comunicare agli altri i propri sentimenti. Bisogna, quindi, cercare di ampliare il suo vocabolario emotivo, ponendolo nelle condizioni di riconoscere le principali dimensioni affettive (ansia, paura, collera, ostilità, dolore, depressione, piacere, gioia) e di indicarle facendo ricorso anche a dei sinonimi. Solo successivamente si può passare a fare discriminare la diversa intensità con cui può manifestarsi una determinata emozione.
I seguenti strumenti culturali offrono lo spunto per progettare un percorso operativo finalizzato all’acquisizione di determinate abilità emozionali:
EDUCARE AL CONTROLLO DELLE EMOZIONI
L’educazione affettivo-emotiva parte dal presupposto che è possibile insegnare al bambino, sin dal suo primo ingresso nella scuola, strategie per affrontare in maniera costruttiva le difficoltà che può incontrare nel suo quotidiano vivere.
Studi recenti ci aiutano ad affermare che le emozioni sono esperienze importanti e irrinunciabili della nostra vita; essi rappresentano momenti di gioia, di godimento, di felicità, ma sono anche manifestazioni che ci consentono di individuare un eventuale pericolo e, quindi, escogitare la modalità risolutiva.
Lo stesso D. Goleman è del parere che quando le emozioni si manifestano in maniera leggera si sfocia nell’indifferenza, ma quando queste sfuggono al controllo, per cui diventano troppo estreme, si cade nel patologico danneggiando la nostra stabilità.
È fondamentale il benessere psicologico, in quanto consente all’individuo di trovare un maggiore equilibrio tra stati emotivi ritenuti positivi e quelli che si presentano come negativi, anche perché entrambi fanno parte dell’esistenza umana: il punto è porsi nelle condizioni di vivere i primi come fondamentali e i secondi come capacità di escogitare risposte risolutive.
Pertanto, compito della scuola è porre l’allievo nelle condizioni di ridurre l’insorgere di stati d’animo eccessivamente negativi e facilitare il potenziamento di emozioni considerate positive.
Ogni processo di apprendimento deve condurre l’alunno all’autoregolazione delle proprie emozioni ed imparare così a dominarli.
Anche per il controllo delle emozioni vengono presentati alcuni standard di riferimento con specifici obiettivi da perseguire:
SUPERARE I CONFLITTI ESTERNANDO STATI D’ANIMO
Il contesto scolastico rappresenta uno degli ambienti più idonei per favorire negli allievi, soprattutto in quelli cosiddetti “particolari”, lo sviluppo delle abilità necessarie per rapportarsi in maniera adeguata alle situazioni emotive come quelle particolarmente forti.
Il supporto va garantito soprattutto ai quei soggetti che si esprimono in maniera aggressiva e che hanno poca capacità di autocontrollo nei rapporti con gli altri: “aggredisco perché non sono accettato”.
Compito della scuola è quello di eliminare tali atteggiamenti (problematici e viziosi) adoperando strategie, come quelle sotto elencate, per il superamento di emozioni forti come la collera, la rabbia, favorendo momenti di incontro e non solo di scontro con l’altro, a maturare la capacità di autocontrollo, di riflessione e di condivisione.
STRUMENTI METODOLOGICI
Tra gli strumenti metodologici ritenuti più idonei, per l’acquisizione di abilità e competenze in campo socio-affettivo, quelli maggiormente adoperati risultano essere: il brainstorming, il circle-time, il messaggio-io, il problem solving, l’ascolto attivo.
Relativamente alla tecnica del brainstorming, detta comunemente “tempesta dei cervelli”, essa consente a tutti i partecipanti del gruppo-classe di esprimere l’idea che in quel momento passa per la loro mente sfruttando intuito, associazione rapida, riferimento ad altri concetti.
È bene tenere presente che non esistono risposte giuste o sbagliate, tutte concorrono ad “accerchiare” la questione presa in esame dando origine anche a possibili situazioni umoristiche divertenti.
Il conduttore del brainstorming, individuato dal gruppo stesso, avrà cura di annotare ogni intervento e, al termine, con la collaborazione dell’assemblea, commentare e valorizzare il materiale raccolto.
Si tratta di una tecnica che aiuta a “costruire” ed a “scoprire” elementi originali e interessanti.
L’esperienza risulta efficace sia sul piano della partecipazione, sia su quello della motivazione e dell’apprendimento, anche perchè, in alcuni casi può aiutare i più restii, abitualmente passivi, a prendere la parola senza sentirsi criticati.
I partecipanti, attraverso questa modalità, possono scoprire le reali risorse creative presenti in loro stessi e vivere anche con maggiore intimità la vita di gruppo
Per quanto concerne la strategia dell’ascolto attivo essa è un modo di ascoltare che permette di capire ciò che gli alunni comunicano anche con la sola prossemica; favorisce, inoltre, la comunicazione ad ogni livello, comporta l’interazione con l’alunno permettendogli di avere delle prove che l’insegnante lo capisce.
È una tecnica molto efficace per favorire l’apprendimento,ma soprattutto per creare un clima in cui gli alunni si sentano veramente liberi di pensare, discutere, porre questioni. Inoltre aiuta molto gli alunni a fronteggiare e neutralizzare forti emozioni come la collera, la rabbia, ecc..
Tale strategia favorisce, ancora, la risoluzione dei problemi da parte degli alunni e li rende disponibili ad ascoltare il docente stesso.
È chiaro che l’insegnante deve assumere atteggiamenti convincenti, nonché avere fiducia nelle capacità degli alunni nel risolvere problemi, deve essere capace di accettare sinceramente i sentimenti espressi dagli alunni, deve essere disposto ad aiutarli e a trovare il tempo per farlo.
Il circle-time è un’altra strategia di intervento volta a favorire la comunicazione e l’ascolto.
La modalità di conduzione consiste nel discutere su un argomento o un problema con l’obiettivo di creare un clima collaborativo ed amichevole attraverso la conoscenza reciproca.
Il compito del docente consiste nel far leva sul tipo di prossemica per favorire la comunicazione, stabilendo modalità fisse di riunione e organizzazione della partecipazione di tutti i componenti del gruppo-classe.
Il messaggio-Io consiste nel mettere a confronto i punti di vista dei componenti con genuinità.
Tale tecnica consta sostanzialmente di tre momenti: descrizione (senza giudizio) del comportamento indesiderato, descrizione delle possibili concrete esperienze, comunicazione del proprio stato d’animo in relazione alle possibili conseguenze.
Si tratta di esprimere autenticamente ciò che si prova quando l’alunno compie azioni che possono avere un effetto indesiderato. Per cui non bisogna esprimersi con “Tu sei”, che esprime collera e colpevolizzazione dell’altro, ma con “Io sento”, che esprime ciò che l’insegnante prova effettivamente e non scarica direttamente sull’alunno valutazioni e giudizi negativi.
Anche il problem-solving è ritenuto efficace in contesti di apprendimento e di ricerca e in situazioni di conflitto emotivo. Esso consente di discutere in gruppo del problema emerso, sia esso una controversia o un problema di disciplina, esponendolo con chiarezza dove gli alunni sono invitati a proporre soluzioni considerando, per ognuna di esse, gli aspetti positivi e quelli negativi. Insieme, poi, si sceglierà la soluzione ritenuta migliore e della quale dovranno essere verificati i risultati, i propri sentimenti e i propri bisogni con il comportamento indesiderato dell’alunno senza reagire nervosamente o irritarsi inutilmente.
Bandura sostiene che il giudizio del gruppo dei pari è importante nel processo di autoefficacia del singolo: se i suoi sforzi saranno riconosciuti, se le sue prestazioni positive saranno valorizzate e dichiarate degne di merito, egli acquisirà un forte senso di efficacia che gli consentirà di maturare l’autostima, imparerà, inoltre, a considerare l’impegno come l’elemento che può determinare il successo in tutte le situazioni che reputa come importanti per il suo quotidiano vivere.
Sperimentando comportamenti positivi, riconosciuti dagli altri, nelle prestazioni, l’allievo avrà una crescente fiducia in se stesso che lo spingerà a fare sempre di più e meglio, a partire dal contesto scolastico.
CONCLUSIONI
Anche se il ruolo del docente, dal punto di vista della motivazione, non è ben definito si può concludere affermando che l’apprendimento dipende dalla capacità che egli ha di suscitare l’interesse nell’allievo, di stimolarlo, di sollecitarlo, di offrirgli gli strumenti adeguati e sufficienti per farlo apprendere.
Vivere esperienze di questo genere significa porre il soggetto nelle condizioni di conoscere più intimamente gli altri e farsi conoscere, ma soprattutto migliorare le proprie capacità socio-relazioni che sono alla base di ogni conoscenza.
Bibliografia |
Fonte: http://www.icscalvino.gov.it/vecchiosito/sites/default/files/Anno%20I%20n.%200%20%20Arturi.doc
Sito web da visitare: http://www.icscalvino.gov.it
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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