I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
“L’ELABORAZIONE DEL LUTTO. LA GESTIONE DELLA PERDITA E DELL’ATTACCAMENTO AFFETTIVO”
Dott. BAIOCCHI PAOLO
Direttore - Istituto Gestalt Trieste - Trieste
Ogni qualvolta si realizza la perdita di un oggetto al quale siamo affezionati ci troviamo in una situazione di elaborazione del lutto. Il problema dell’affezionarsi e del perdere hanno a che vedere con il cervello biologico in una delle sue funzioni principali: l’attaccamento.
La funzione biologica dell’attaccamento
La funzione dell’attaccamento serve al cucciolo per sviluppare un legame che gli permetterà di rimanere vicino alla madre in un periodo del suo ciclo vitale nel quale non può provvedere da solo alla propria sopravvivenza. Questo periodo, che aumenta nelle varie specie con l’aumentare delle dimensioni e della complessità del cervello, non avviene per uno scherzo o per un capriccio della natura. In questa fase infatti avvengono degli importantissimi processi di apprendimento che riguardano un grande numero di competenze e lo sviluppo di un grande numero di funzioni che potenzieranno le possibilità di sopravvivenza dell’individuo rispetto ad altre specie che sono meno dotate di questa funzione di apprendimento. L’adattamento della vita al mutare delle condizioni ambientali per la lotta della sopravvivenza ha trovato infatti un meccanismo fondamentale in grado di avvantaggiare le specie: apprendimento di risorse, cioè competenze adattative, strategie di riconoscimento di pericoli e fonti di gratificazione, strategie di lettura della realtà e di comportamento. Tutto questo diviene possibile se il cucciolo può permettersi il lusso di avere un periodo in cui non é preoccupato di dover sopravvivere, in quanto il bisogno di nutrimento e la difesa dai predatori avviene mediante la protezione, da parte dei genitori, del territorio e delle risorse in esso contenute. Il cucciolo, sgravato da queste difficili “responsabilità”, può quindi permettersi di apprendere tutte le competenze mediante l’imitazione, la correzione del comportamento da parte dei genitori e adulti significativi, mediante l’esperienza protetta, il gioco e anche attraverso il passaggio di informazioni per via empatica. In questo periodo il cucciolo, oltre ad apprendere, può permettersi di sviluppare funzioni del cervello, non ultime quelle affettive, che per loro complessità non potrebbero svilupparsi armonicamente se il cucciolo dovesse entrare immediatamente nella lotta autonoma per la sopravvivenza.
Per permettere tutto ciò la natura ha dotato i cuccioli di molte specie della funzione di attaccamento che determina un legame di grande forza e durata tra il cucciolo e la madre. Per il cucciolo perdere la madre significa rischio di vita. Egli realizza quindi una dipendenza fisiologica di grandissima portata. Opposta alla funzione di attaccamento appare la funzione di esplorazione che lo porta ad allontanarsi e ad esplorare il territorio e le proprie funzioni in modo autonomo. Tra l’attaccamento, che vuole il cucciolo vicino alla madre e l’esplorazione che lo vuole lontano e autonomo nelle esperienze, si realizza una sorta di danza, un gioco dialettico in cui il cucciolo si allontana, poi quando sente il pericolo e la distanza, ritorna vicino alla madre e si fa “consolare” e nutrire, per poi ritornare ad esplorare. Tale danza si interrompe quando il maturare delle risorse e delle funzioni del cucciolo porta l’individuo a un tale grado di sicurezza e autostima tale da affrontare l’ambiente in modo autonomo.
L’attaccamento nell’essere umano
A me sembra che l’essere umano, a differenza di altre specie, presenti sia una grande difficoltà nel pervenire alla fase di maturazione delle funzioni e risorse, sia una particolare persistenza della funzione dell’attaccamento; tutto ciò lo porta a trovarsi dipendente in senso affettivo a molte cose, persone e situazioni.
L’esperienza del lutto contiene in se la parola morte. Quando si verifica una perdita l’individuo sente che una parte di se non permette la perdita e registra una sorta di impossibilità di sopravvivenza senza l’oggetto perduto. Questa sensazione ricorda da vicino il vissuto dei cuccioli che perdono la madre e che vivono un reale pericolo di morte in questa situazione. La natura ha dotato i cuccioli di un particolare senso di importanza vitale riferito al legame con l’oggetto di attaccamento.
Le varie situazioni di perdita che sollecitano la funzione dell’attaccamento
Normalmente quando parliamo di lutto pensiamo ad una situazione nella quale muore qualcuno a cui siamo affezionati. Ovviamente il prototipo del lutto riguarda proprio la scomparsa per morte di una persona amata. Tipicamente questo avviene con i genitori, ma lutti molto frequenti sono anche la morte di un partner, di un fratello, di un amico e di un figlio. Ma nell’essere umano la sensazione di perdita si collega non solo a questo frangente, ma a moltissime altre situazioni che raramente sono lette con efficacia dalla coscienza. La più frequente perdita che genera grandi problemi di attaccamento riguarda la perdita di un partner, non per morte ma per separazione. La situazione di grande intensità si verifica quando una persona di cui si è profondamente innamorati decide di separarsi perché non ci ama più. Nella mia esperienza clinica ho notato che molti pazienti hanno deciso di entrare in terapia proprio conseguentemente ad una profonda crisi originata dalla rottura, parziale o totale, del legame affettivo della coppia.
Ma un altro tipo di perdite molto frequenti non sono legate alla morte o alla separazione, ma al cambiamento. In ogni cambiamento infatti ci si ritrova con una situazione precedente che non può più essere mantenuta e che viene quindi persa e una situazione futura, che non si conosce e genera angoscia, e rappresenta un vero e proprio salto nel vuoto per l’individuo che la deve affrontare.
Vediamo di enumerare le più frequenti situazioni di perdita:
Esperienze legate al lutto propriamente detto: in questo caso possiamo includere tutte le morti che sono significative per una persona: genitori, partner, figli, fratelli, amici, ecc.
Esperienze legate alla separazione da una persona amata: la più tipica riguarda la perdita del partner in una separazione. Il partner non più innamorato lascia e nel far questo deve elaborare un cambiamento. L’altro partner, lasciato, subisce una perdita di entità variabile, dipendente dal suo grado di attaccamento e maturità psichica, ma che spesso è vissuto come uno degli eventi di maggior dolore riferiti dai pazienti.
Oltre al partner esistono altre separazioni che possono essere molto dolorose: da fratelli, amici, soci, ecc.
Esperienze legate al ciclo vitale: tutti i passaggi critici dell’individuo innescano una perdita importante legata alla fase che sta per chiudersi. Se pensiamo alle fasi fondamentali della vita, quali infanzia, adolescenza, età adulta, età matura, vecchiaia, possiamo notare quanto siano difficili i passaggi da uno stadio ad un altro e quanto le persone si attacchino alle cose che hanno amato e goduto nella fase ormai obsoleta. Così molte persone non si staccano mai dall’infanzia, nonostante passino gli anni e la vita chieda loro altre modalità di comportamento e relazione, altri ancora alla adolescenza, altri ancora al potere della fase adulta, e altri a quella della fase matura.
Esperienze legate al ciclo di vita della coppia: una coppia passa, proprio come un organismo, delle fasi di vita. Da una prima fase di attrazione si passa al corteggiamento, poi da esso all’innamoramento, alla esplorazione della possibilità di un legame duraturo, al fidanzamento e infine al matrimonio. Quando il matrimonio si verifica inizia un altro lungo percorso che sarà attraversato da fasi che di solito hanno a che vedere con il ciclo vitale della famiglia. Un grande lutto che di solito non viene elaborato è quello relativo all’innamoramento. L’innamoramento ha un suo senso e durata biologici. Esso serve a creare una connessione profonda con un altro essere umano e a mobilitare una enorme dose di energia vitale al fine di permettere agli individui di percepire che hanno una forza sufficiente a districarsi dalla famiglia e costruire il nido. Quando questa fase giunge alla sua parabola discendente le persone raramente accettano di perdere la magia di questa fase per impegnare la fase successiva, nella quale altri tipi di sfide aspettano la coppia. Normalmente essi confondono questo passaggio critico come segnale di perdita di interesse verso il partner.
Esperienze legate al ciclo vitale della famiglia: quando nasce un figlio, specie il primo, la coppia attraversa un grande cambiamento che sconvolge i già delicati equilibri della coppia, ma anche quando il figlio va a scuola, poi quando entra nell’adolescenza, e poi quando si svincola e si sposa. La fase dello svincolo, da tempo nota come “sindrome del nido vuoto” comporta un altro passaggio critico che raramente viene compreso nel suo significato di perdita e separazione, ma la sofferenza ad esso legata diviene spesso alimentazione di litigi e discussioni tra i genitori e tra essi e il figlio. Un altro grande cambiamento avviene quando si verifica la morte di uno dei membri della famiglia. In tutti questi passaggi la famiglia tende a rimanere attaccata alle cose amate nella fase precedente come accade in tutti gli altri cicli.
Esperienze legate al ciclo vitale dei gruppi: così come accade nella coppia e nella famiglia anche i sistemi amicali, siano costituiti dall’amico del cuore o da gruppi numerosi, attraversano dei cicli. Da una fase iniziale, caratterizzata da grande entusiasmo e felicità in quanto viene soddisfatto il bisogno di appartenenza, si passa a una fase istituzionalizzata in cui il piccolo o grande gruppo inizia a darsi delle regole per garantire la propria struttura. Ma con il variare dei bisogni degli individui, variano anche le premesse che avevano dato origine al reciproco associarsi. Il gruppo, quando i bisogni iniziali sono stati soddisfatti e sono cambiati, perde la sua vitalità e ragione di esistere, e i partecipanti iniziano a sentire il peso dell’incontro più che non la magia di esso.
Molti cambiamenti che si traducono in perdite riguardano l’incrociarsi dei cambiamenti relativi al ciclo vitale di coppia o di famiglia o individuale con la relazione amicale. Basti pensare alla difficoltà del cambiamento che avviene quando due coppie amiche tra di loro devono gestire il fatto che una delle due ha messo al mondo un bambino. In questo caso la coppia senza figli subirà il cambiamento legato alla nascita del bambino a livello della relazione amicale.
Esperienze legate al cambiamento in ambito lavorativo: nel maturare del percorso lavorativo dell’individuo si verificano molti cambiamenti. Nel passaggio dalla scuola elementare alle medie esiste un grande modificarsi di situazioni, così come dal sistema della scuola superiore all’università. Tipicamente il concludere gli studi universitari diventa per alcune persone una difficile perdita da gestire e non è infrequente trovare persone che hanno terminato gli esami ma sono anni che non riescono a concludere la tesi che farebbe loro perdere lo stadio di studente. Nel sistema lavorativo inoltre ci sono molti cambiamenti possibili, come i cambi di ruolo propri o dei colleghi, i trasferimenti, i cambi di azienda e di politica e struttura aziendale, ecc.
Una esperienza di grande perdita è legata al fallimento. Quando qualcuno perde una situazione di benessere come conseguenza del fallimento lavorativo, spesso lotta per riacquistare il bene perduto, senza rendersi conto che ciò che affettivamente è stato perso non ritornerà comunque mai più.
Esperienze legate al cambiamento di luogo: casa, città, paese. Molto spesso tali cambiamenti possono rappresentare delle perdite di grande valore nel livello biologico, mentre la mente le registra come eventi desiderabili e scelti. Questo si verifica in età adulta quando ad esempio una persona decide di cambiare casa in quanto con la nascita di un nuovo figlio manca una stanza, oppure quando una persona sceglie di trasferirsi per lavoro o per studio, o addirittura sceglie di cambiare paese. In questo caso il fatto che il cambiamento derivi da una scelta personale, non sia cioè imposto da altre persone o circostanze, inganna l’individuo che non riconosce il valore di perdita nel cambiamento, proprio perché nasce dalla sua stessa volontà. Nonostante ciò i cambi di casa, i traslochi, possono causare delle profonde depressioni apparentemente incomprensibili. I cambi di città per motivi di studio o lavoro, per non parlare di paese, possono essere di grande impatto emotivo, in quanto oltre a perdere la propria rete affettiva e sociale le persone devono appena ricostruirne una nuova nel posto di arrivo.
Ancora diversa è la situazione di perdita di casa, città o paese per i figli di persone che si trasferiscono. Essi non scelgono tale cambiamento e subiscono quindi direttamente la perdita.
Esperienze incidentali e traumatiche che comportano delle perdite concrete o funzionali. Quando una persona fa un incidente in macchina, può restare illeso ma la macchina non è più quella di prima, anche se viene aggiustata dal carrozziere. Ma egli può perdere la macchina, oppure può perdere degli arti o delle funzioni come conseguenza dell’evento traumatico.
Il terremoto, gli allagamenti, i furti, gli incendi, comportano in genere delle perdite di oggetti e situazioni che sono permanenti.
Esperienze legate al crollo di un sogno o di un ideale. L’essere umano non è soltanto un essere biologico ma anche culturale. La cultura, che viene tramandata mediante il linguaggio e la comunicazione si fonda su miti. Esistono miti centrali nella cultura dei popoli, come miti centrali nelle famiglie e infine miti individuali. Le persone, oltre alle varie missioni biologiche (sopravvivenza, conquista di un territorio, formazione del nido, creazione di appartenenze ecc.), tendono a realizzare dei sogni che hanno una natura prettamente culturale (il lavoro che mi piace, un certo tipo di coppia piuttosto che un’altra, amicizie di qualità, ecc.). I sogni, le vision, i progetti di una persona acquistano una coloritura mitologica che tende a realizzare un ideale di tipo etico o estetico. Questi sogni sono più facili da sognare che da realizzare, in quanto richiedono, ben più che le semplici missioni biologiche, che l’individuo abbia appreso una grande quantità di risorse al fine di reggere lo sforzo della costruzione del prodotto artistico interno al sogno. Un grande numero di persone con il passare degli anni vede allontanarsi sempre più la realizzazione di quei sogni che avevano motivato i propri sforzi e le proprie azioni. Questo sovente apre ad una grande crisi depressiva conseguente al fallimento della realizzazione del sogno. La persona allora tratta il sogno crollato come qualsiasi altra perdita non elaborata.
Proprio come affermato dal buddismo, che pone come centrale il problema dell’attaccamento, tendiamo ad affezionarci ed attaccarci ad un sacco di cose e poche volte siamo consapevoli di come questo innesca in noi un grande grado di sofferenza.
Sintomi legati alla perdita
I sintomi della perdita si possono dividere in due principali categorie: acuti e cronici.
Sintomi acuti
I sintomi acuti riguardano l’elaborazione della perdita quando essa è appena accaduta. Sono un senso di smarrimento, una crisi di tipo esistenziale con perdita del senso dell’esistenza, un appiattirsi e rendersi grigio della vita, un senso struggente di mancanza dell’oggetto perduto: di fatto aleggia la morte. Nostalgia, cordoglio, dolore, sono emozioni molto frequenti quando il lutto è in azione.
Sintomi cronici
Ma non sempre le persone sono in grado di elaborare e quando non elaborano o lo fanno solo in modo parziale si assiste alla comparsa dei sintomi cronici. L’elaborazione non riesce quando la persona non ritiene di avere le risorse sufficienti per reggere il mondo senza la persona o la cosa perduta. In questo caso il dolore risulta essere talmente forte da mettere in atto dei meccanismi di difesa da esso e il processo profondo di distacco dall’oggetto viene abortito. In questo caso nel livello biologico l’oggetto viene ad essere congelato insieme alla parte di organismo che aveva potuto vivere ed esprimersi nella relazione con esso.
Quando l’elaborazione non riesce allora entrano in gioco i meccanismi di difesa più disparati: tipicamente il dolore della perdita viene tramutato in rabbia. Questo avviene mediante un meccanismo che trasforma il dramma della perdita in un crimine. Si cerca una causa e un colpevole. Basti pensare quanto spesso accadE che coloro che hanno perso un familiare inizino a indagare sugli errori dei medici, o quanto spesso l’innamorato abbandonato viva la separazione come un furto compiuto dal nuovo partner dell’altro. Ma altrettanto potente è il meccanismo di negazione e quello di svalorizzazione. Forse la reazione più comune a una separazione nel campo della relazioni umane consiste nella trappola della critica svalorizzante. Quando si fa difficoltà a separarsi si tende a cercare di vedere tutti i lati negativi dell’altro o dell’oggetto per poter alleviare la sofferenza della separazione. Come vedremo questo atteggiamento, come quello di tutti gli altri, se diminuiscono il dolore per la mente, allontanano la possibilità di gestione della perdita in quanto il piano esistenziale non offre sostegno alcuno al processo di integrazione.
Un’altra comune reazione negativa alla perdita consiste nel dare la colpa a qualcuno, magari a dio, o a se stessi, entrando in uno stato di autosvalutazione.
Anche molto frequente è la negazione della perdita ottenuta coltivando una relazione fantasmatica con l’oggetto nel proprio mondo interiore. Questo può avvenire mediante una serie di modalità:
1 relazione con il mondo medianico, spirituale, negazione della realtà
2 svalutazione del mondo reale per privilegiare un mondo interiore
3 attaccamento a rituali che ricordino l’oggetto d’amore perduto
4 atteggiamento di accanimento per far rivivere la relazione perduta
5 atteggiamento di possessività
6 atteggiamento distruttivo e autodistruttivo
7 raffreddamento emotivo, razionalizzazione dell’evento e distacco patologico
8 idealizzazione dell’oggetto perduto ed elevazione mitologica dello stesso
Ma il fenomeno centrale che si genera nel sintomo cronico della perdita può essere chiamato: la domanda infinita. Questo significa che ciò che più ha caratterizzato la bellezza dell’incontro d’amore diventa ciò che la persona che non ha elaborato il lutto più ricerca nel mondo e proprio ciò che egli trova di meno. Prendiamo ad esempio una relazione amorosa tra un uomo e una donna. L’uomo si innamora della donna e con lei sperimenta un grande senso di vitalità e forza misto a una dolce tenerezza. In un secondo momento la donna si disinnamora e decide di lasciare l’uomo. La perdita risulta essere troppo difficile da gestire ed egli congela il processo. Soffre e si arrabbia con se stesso per non essere stato all’altezza di averla trattenuta. In un qualche modo non riesce a dire addio alla donna in quanto egli senza la donna ritiene di essere incapace di vivere delle esperienze simili.
Dopo un po' di tempo, egli ritorna apparentemente in uno stato di benessere, ma appare larvatamente depresso. Ed ecco che inizia per lui la domanda infinita: ogni volta che incontrerà una donna egli cercherà di risperimentare le emozioni e le sensazioni che aveva vissuto con la prima, e queste saranno per lui la cosa che meno sarà in grado di raggiungere. Il motivo per cui questo accade è che si ricerca un qualcosa che è anacronistico e che non può prodursi nella nuova essenza della relazione. L’illusione di poter trovare nel mondo quanto sperimentato nella magia dell’incontro d’amore è talmente forte che questa pretesa assurda appare verosimile agli occhi di chi ha toccato con mano il paradiso dell’attaccamento. Forse che Dante Alighieri si riferisse proprio a questo fenomeno nella famosa frase “amor che a nullo amato amar perdona”. La domanda infinita è una pretesa terribile perché proprio ricercando una cosa specifica l’individuo non è in grado di vivere nel presente e cogliere le incredibili bellezze nuove che sarebbero possibili al momento attuale. La domanda infinita è talmente terribile che l’individuo non riuscirebbe più a vivere le bellezze perse neppure con la persona che se ne è andata, neanche nell’ipotesi estrema che questa non lo abbia mai abbandonato. Il cambiamento è la regola centrale della vita e nulla può fermarsi a lungo.
La domanda infinita, sintomo cronico centrale del lutto non elaborato, è un problema devastante e diffusissimo. È devastante in quanto impedisce all’individuo di vivere e nutrirsi delle esperienze attuali e inoltre lo porta in una situazione di perenne insoddisfazione e frustrazione. Da un punto di vista relazionale inoltre fa si che l’individuo si relazioni con gli altri cercando in loro qualcosa che appartenne a qualcun altro nel passato. Se una donna dovesse innamorarsi dell’uomo dell’esempio, ella dovrebbe fare perennemente i conti con una richiesta di essere al cento per cento uguale ad una altra donna, cosa che rivela immediatamente il carattere folle e atroce della pretesa insita nella domanda infinita. È diffusissima in quanto la incapacità di gestire l’attaccamento è a mio parere una caratteristica centrale della nostra specie.
Gestire le perdite
Apprendere a gestire le perdite è una risorsa che deve essere appresa culturalmente e un individuo deve farne esperienza fino a che inizia a confidare in essa. Se l’attaccamento è un fenomeno di natura biologica, la capacità di gestirlo al contrario risiede in uno sviluppo di una serie di atteggiamenti culturalmente appresi nel proprio piano esistenziale. È la mente che deve guidare il processo di elaborazione, ma è il piano biologico che deve compierlo.
La procedura che descrivo ora trae spunto da due principali fattori di organizzazione: il primo riguarda un lavoro su di un lutto che ho visto svolgere personalmente a quel mago della Gestalt che è Erving Polster, l’altro invece da una esperienza personale di elaborazione di una domanda infinita riguardante un amore perduto.
Polster nel lavoro a cui assistetti disse una frase alla donna londinese che erano anni che non riusciva a lasciar andare il padre morto: “deve averti amato tanto questo padre vista la difficoltà che stai facendo a lasciarlo andare!”. Ascoltando queste parole mi resi conto di quanto il cuore voglia trattenere un oggetto che ha permesso di sperimentare l’amore. Pensando alle mie esperienze di amore mi parve che esse fossero tutte caratterizzate da un fenomeno particolare, molto vicino all’esperienza mistica, che viene comunemente descritto come “magia” o “feeling”. Polster mi fece capire che è questo momento che è difficile da abbandonare.
Ma cosa succede quando sperimentiamo magia e feeling con un’altra persona? Accade un fenomeno che nel tempo ho iniziato a chiamare connessione. Con chi ci si connette? Con l’altra persona, e si prova la sensazione di percepire cosa l’altro sente e che sente che noi lo stiamo sentendo. Ma come si fa a connettersi con un altro essere umano? In questo passaggio sta la chiave di tutta l’elaborazione del lutto che voglio proporre. Per connettersi con un’alta persona un individuo in realtà si connette con se stesso, e in questo sta la magia. Allora cosa si intende per questo “se stesso” con il quale la coscienza dell’individuo si connette? È l’organismo sano che normalmente è poco accessibile alla coscienza, intrappolata come è nella stanza degli specchi dei concetti e immaginazioni della mente. Tutta la Gestalt nella sua pratica si occupa di portare in contatto la coscienza con l’esperienza, il che significa aiutare una persona ad avere accesso ad un organismo che di solito è disconnesso, tagliato fuori dalla percezione della coscienza. Normalmente la coscienza della persona viene assorbita nel livello mentale delle rappresentazioni e dei concetti. L’esperienza d’amore è il più grande stimolo naturale alla connessione che esista. Questo accade perché l’attrazione per qualcosa che sta fuori dell’individuo è tale che egli decide di uscire dai limiti della propria mente per esplorare e allora si imbatte principalmente nella propria vita organismica che è in contatto con l’esterno. L’esperienza della connessione avviene spesso quando una persona sta a contatto con la natura, dove la mente inizia a riposare e ad acquietarsi in quanto gli stimoli relazionali e sociali vengono meno. Ma la connessione avviene anche facendo all’amore con intensità oppure quando ad esempio si ride a crepapelle, quando cioè capita di venire tanto catturati da un evento umoristico da abbandonarsi in una di quelle risate totali e piene che sospendono per un attimo il livello difensivo della mente. Osservando il fenomeno della risata piena scopriamo che solitamente avviene quando si ride con qualcuno. In questo caso quello che di solito fa ridere così tanto in senso liberatorio è il fatto che vediamo qualcosa di ridicolo e diveniamo coscienti che anche l’altro vede per un attimo la cosa dallo stesso lato. È come se sentissimo profondamente che stiamo vedendo una cosa con gli stessi occhi, dalla stessa prospettiva umoristica. In altri termini, proprio come nell’innamoramento, siamo connessi senza dubbio all’altro in un senso percettivo esperenziale. Una prova che il senso di magia si realizza primariamente nella connessione con se stessi e in un secondo momento con l’altro mi è venuta tanti anni fa quando, durante un corso che lavorava sui meccanismi della coscienza, stavo facendo delle pratiche di esplorazione degli stati di coscienza avendo come partner un orsacchiotto di pezza con due grandi occhi neri. Mentre il mio stato di coscienza si dilatava e mi si apriva il senso di magia e connessione, osservai uno strano fenomeno: gli occhi dell’orsacchiotto apparivano sempre più dolci, animati di vita e brillanti come se fossero dotati di un’anima! Ovviamente io ero in contatto con la mia anima, ma la mia mente proiettava questa percezione al di fuori, colorando il mondo con i miei vissuti. Insomma la magia relazionale inizia dalla connessione con se stessi per prolungarsi con la connessione con l’altro. A ben pensare tutte le pratiche meditative hanno al loro centro la connessione della coscienza con il se profondo e la liberazione di essa dalle anguste stanze dell’intelletto.
Ma se io vedevo un’anima negli occhi di un orsacchiotto di peluche, il che mi apparve subito abbastanza sospetto, è ben difficile che i due innamorati si rendano conto che ciò che vedono negli occhi dell’altro, che così affannosamente ricercano, altro non è principalmente che la propria anima riflessa. Agli innamorati sembra di vedere realmente l’anima dell’altro e sembra che senza di essa la magia si perda. Sulla base di ciò la nostra biologia vede l’altro come artefice della magia e noi come fruitori di essa. Si realizza quindi un’equazione terribile: senza l’altro io perdo la mia anima.
L’elaborazione del lutto che voglio proporre consiste proprio in una procedura in sei fasi che permette di rompere questa equazione: senza l’altro io perdo la magia e perdo la mia anima.
La procedura si fonda su sei fasi progressive che permettono di scoprire che la magia è sempre stata prodotta da noi, con il sostegno dell’altro, grazie all’incontro con l’altro, ma è stata prodotta da noi. Tutta l’elaborazione del lutto passa da una definizione del problema nel senso: “senza l’altro io perdo la mia anima e non sono più nessuno” a una definizione nel senso: “grazie all’altro ho potuto trovare e scoprire un pezzo della mia anima che oggi posso usare e ho scoperto un po' chi sono”. Le esperienze di amore sono le cose più importanti che di solito la gente afferma di aver vissuto, in quanto in esse si apre una dimensione di connessione che permette di vivere al di la della normale vita mentale.
La procedura di elaborazione delle perdite
L’elaborazione del lutto ha a che vedere con la funzione di attaccamento e quindi viene processata dal cervello biologico. La mente non può processare il lutto al posto del cervello, ma può tenere in asse il processo per permettere al cervello di elaborare oppure può negare il suo sostegno o addirittura interferire con questo preziosissimo lavoro. Il piano esistenziale quindi deve operare delle azioni con degli scopi precisi che fungono da sostegno e guida alla elaborazione profonda che viene di fatto compiuta dal cervello biologico secondo dei tempi che sono suoi.
Le decisioni e le azioni che il piano esistenziale deve agire non hanno quindi un potere effettivo totale ma sono solo la base perché la separazione avvenga.
A questo fine ho elaborato una procedura, suddivisa in fasi, che aiuta il piano esistenziale ad alimentare dei processi di integrazione nel cervello biologico. Ho utilizzato il termine procedura più che quello di tecnica non a caso. La scelta di questo termine infatti ha a che vedere con la naturalità del processi biologici di integrazione che le varie fasi della procedura intendono sostenere. Più che la costruzione di artifici tecnici, che intendono creare degli effetti di compensazione o aggiustamento dell’esperienza della separazione, la procedura intende ripercorrere le fasi di elaborazione del lutto che mi è parso di notare accadano in quelle persone che ho visto essere state in grado di utilizzare la ricchezza della separazione. Negli anni infatti ho visto molte persone attraversare periodi nei quali accadde loro di attraversare eventi che ho descritto nella prima fase di questo lavoro: crisi evolutive, perdite di amici, partner, oggetti importanti ecc., i quali, invece di congelare il processo, sono riusciti a viverlo naturalmente fino alla sua integrazione. Ho prestato molta attenzione ai loro racconti per comprendere quali direzioni prendevano i processi di integrazione e le invarianze riscontrate sono state la guida, i binari che ho utilizzato per orientare le fasi della procedura. Questo approccio mi ha permesso quindi di isolare delle indicazioni utili da offrire al piano esistenziale dei clienti (che avevano congelato tale processo) per sostenere i processi naturali di integrazione della separazione.
Quando parlo di ricchezza della separazione mi riferisco al fatto che questa esperienza è fondamentale per l’essere umano al fine di produrre due fenomeni: l’individuazione e l’autonomia. Tutte le persone che infatti riescono a portare a termine l’integrazione dell’evento di perdita, oltre a riferire un senso di alleggerimento e fioritura amorevole a livello emozionale, percepiscono un rafforzamento dell’autostima, in quanto sperimentano un rinforzo delle loro risorse individuali, nonché una maggior coscienza della loro individualità, di chi sono, nel senso della chiarezza intorno a ciò che per loro ha senso e valore.
Molte di queste fasi richiedono la comunicazione e l’espressione, ma di fatto il centro della procedura riguarda molto più il mondo interno che non il mondo relazionale. Nel caso che la persona comunichi con l’altro, deve dare attenzione primaria al vivere al suo interno il significato delle varie fasi più che non concentrarsi sull’avere degli effetti nel rapporto o nell’altro.
Ci sono tre grandi momenti di elaborazione che sono in vari modi sostenuti dalle fasi della procedura: la chiusura, il lasciar andare e il riappropriarsi e l’impegnare una nuova sfida evolutiva.
Le sei fasi della procedura della elaborazione delle perdite
Vediamo quindi la procedura nei suoi dettagli. Data la enorme frequenza della perdita di una persona importante per separazione o per morte, le sei fasi saranno orientate in questo senso, ma esse possono essere utilizzate in parte o in toto, mediante degli adattamenti, per ogni altra perdita (oggetti, fasi del ciclo di vita individuale o famigliare, ecc.)
Fase 1: rituale di separazione. In questa fase la persona compie delle azioni reali che hanno il fine di dichiarare e attualizzare la separazione. Quando si perde qualcuno, non sempre il cervello e la mente accettano la perdita e quindi tendono a mantenere un legame fantastico, cioè virtuale con l’oggetto. Il rituale di separazione può essere compiuto mediante una comunicazione con la persona se essa vive ed è disponibile oppure in caso contrario ad esempio al cimitero se la persona è morta oppure in forma di lettera, o mediante la tecnica della sedia calda. Lo scopo di questa fase consiste nell’inviare al cervello biologico un messaggio di chiusura definitiva della relazione, in modo da tagliare la strada a ogni fantasia di recupero di essa. Nelle comunicazioni reali o simboliche con la persona devono essere presenti le parole: chiudo la relazione, mi separo da te per sempre, ti lascio andare. Molte volte le persone hanno già compiuto dei rituali opposti a quelli della separazione in momenti emotivi di enorme intensità spesso nel periodo immediatamente seguente la perdita. Mi riferisco a dei gesti simbolici o dei giuramenti o promesse fatte all’altro o a se stessi. In questo caso il cervello emotivo ha fissato con estrema forza il congelamento del lutto e questi rituali vanno assolutamente sciolti. Voglio a questo riguardo parlare di una donna che era venuta in terapia da me per una crisi di coppia con il marito. Dopo una seduta nella quale la avevo confrontata sul rapporto troppo intenso che teneva con una figlia, preferenziale rispetto al marito, la notte ella aveva ricordato che otto anni prima, quando ancora non conosceva l’attuale marito era stata innamorata di un uomo che dopo due anni la aveva lasciata. Era stata la sua storia di amore più intensa e nel momento della separazione aveva avuto dei sintomi di angoscia e vuoto talmente forti da temere di impazzire. Dopo poco tempo lei era andata da questo uomo con una piccola chiave d’oro che aveva comperato apposta dicendogli: “questa è la chiave del mio cuore, tienila, perché sei l’unica persona al mondo che avrà accesso ad esso!”. Non aveva mai smesso di amare profondamente questo uomo e realmente non aveva più potuto aprire il cuore a nessun altro uomo. Ovviamente io le consigliai di andare, dopo tanti anni dall’uomo per chiedergli di restituirle la chiave e affermare con dolcezza ma fermezza che riprendeva il possesso della porta del suo cuore. Ella percepì immediatamente l’importanza di questo atto, lo fece entro pochi giorni e immediatamente sperimentò un senso di leggerezza, gioia e di riconnessione con la propria vita e storia esistenziale.
Fase 2: espressione delle emozioni e chiusura di cose sospese. In questa fase la persona esprime ogni emozione, pensiero, intenzione, ricordo che è rimasto non detto all’altro. Molte volte la separazione avviene dopo un più o meno lungo e doloroso periodo di disallineamento dall’altro, dove non sempre la comunicazione è stata tenuta aperta e ha chiarito gli eventi. Al contrario è molto comune che alcuni pesi si siano accumulati sul cuore a causa di eventi in cui ci si è sentiti feriti dal comportamento dell’altro, delusi nelle proprie aspettative, arrabbiati per azioni sgradevoli ecc. In questa fase è necessario esprimere eventi, emozioni vissute in conseguenza, e reazioni avute.
Al tempo stesso normalmente abbiamo ferito e deluso l’altro con i nostri comportamenti, volontariamente o involontariamente. Anche questo tipo di eventi vanno espressi e chiariti.
Lo scopo di questa fase è di pulire le negatività accumulate mediante l’espressione e assicurarsi di congedarci dall’altro senza il peso del non aver potuto dire qualcosa.
Le frasi tipo di questa fase sono:
Quello che non ti ho mai detto…
Mi dispiace molto quando ti ho fatto…detto…non ho fatto…
Ho sofferto molto quando tu…
Fase 3: ringraziamento all’altro. In questa fase la persona si concentra sul ringraziamento all’altro per i bei momenti vissuti insieme. La dichiarazione dell’importanza delle cose meravigliose vissute e l’apprezzamento di esse portano a celebrare il passato. Questa fase deve avere più forza e intensità della fase precedente, in quanto il rapporto di amore ha nutrito l’individuo per un periodo permettendo di fatto il suo rafforzamento.
Questa fase ha una fondamentale influenza sulla reale chiusura del rapporto e rappresenta il primo inizio del riappropriarsi di cose che riguardano la separazione. In una elaborazione naturale del lutto la tristezza si trasforma gradualmente in gratitudine. Questo avviene proprio perché il cervello emotivo, integrando la separazione, esperisce che il rapporto ha prodotto un arricchimento evolutivo. Non solo una persona ha potuto vivere dei momenti di grande felicità, conseguenti alla connessione tipica dell’esperienza di amore, ma ha anche potuto apprendere e rinforzare delle risorse nella relazione.
Le frasi tipo di questa fase sono:
Sei stato molto importante per me perché…
Grazie a te ho potuto…
Senza ti te non avrei mai capito…imparato a… scoperto che…
Ricordo come fosse oggi il momento…
Fase 4: scoperta del proprio tesoro interiore. In questa fase avviene un approfondimento del processo di riappropriazione di qualità profonde. La relazione di amore, mediante la sua forza protettiva, ha permesso di connettere delle qualità profonde e risorse non razionali che sono state vissute, agite e sperimentate all’interno della relazione stessa. La persona innamorata incontra due fenomeni di straordinaria importanza che ho chiamato: magia percettiva e forza vitale. Il altri termini la persona vede il mondo con altri occhi e sente una forza interiore tale da poter prendere dei rischi che normalmente non osa impegnare. Quello che rappresenta la più grande difficoltà nella elaborazione del lutto consiste nel fatto che la persona lega la meravigliosa visione del mondo e della vita e la forza vitale crescente alla relazione con l’altro o all’altro. La perdita della relazione diventa allora la perdita della propria forza vitale e della magia percettiva conosciuta. Questo legare la magia percettiva e la forza vitale alla relazione credo sia la peggior trappola percettiva dell’essere umano. È una totale illusione ma a quel che mi risulta la più diffusa. La realtà è ben diversa. La magia percettiva e la forza vitale sperimentate sono la conseguenza della connessione con se stessa che la persona ha vissuto nella relazione di amore. Le meraviglie che uno vede sono il manifestarsi della propria anima e delle qualità, talenti e caratteristiche proprie della persona che li vive. La forza vitale, che assume caratteristiche molto precise in ogni persona, deriva dal contatto con istinti e funzioni che appartengono all’individuo, ma che sono sepolti nel suo cervello biologico al di sotto della comune scissione mente-cervello che caratterizza l’essere umano e che si riduce naturalmente ma drasticamente nell’esperienza dell’innamoramento. Tutte le pratiche meditative, sportive, esperenziali, contemplative tendono infatti a far emergere forza vitale e magia percettiva senza la presenza di alcun innamorato. Tutte queste pratiche hanno in comune però il fatto che richiedono grande applicazione e disciplina, in quanto la coscienza rimane a lungo intrappolata nei meandri della mente, prima di trovare la difficile strada della connessione con il cervello biologico. L’innamoramento rappresenta un evento umano nel quale la connessione si verifica in modo rapido e potente, in quanto la forza dell’istinto erotico e della dinamica di riproduzione da un lato, e l’esperienza di incontro amorevole dall’altro, permettono il verificarsi della connessione in tempi incredibilmente più rapidi rispetto alle pratiche mistiche e contemplative. Quando ad esempio si parla di “colpo di fulmine” si intende proprio una connessione talmente rapida e travolgente da ricordare appunto i tempi di una folgore nel cielo.
I rapidi tempi della connessione dell’innamoramento, a differenza di quelli delle procedure meditative, non permettono quindi all’individuo di realizzare che la magia percettiva e la forza vitale hanno a che vedere con la riconnessione a se stessi della propria coscienza prima incarcerata nella mente. Tantomeno permettono di credere che tutte le qualità sperimentate nella relazione d’amore siano in realtà sempre appartenute al suo legittimo possessore, cioè l’innamorato stesso e non all’altro o alla relazione, come appare alla povera coscienza, sbigottita dal miracolo dell’amore, che le proietta addosso all’altro e le lega indissolubilmente alla relazione. La meraviglia della magia percettiva porta inoltre l’innamorato a vedere il partner come talmente meraviglioso da apparire unico e straordinario. La perdita stressa a tal punto la funzione di attaccamento e interrompe la possibilità di connessione che questo impedisce all’individuo di rendersi consapevole della proprietà completa della sua esperienza. Non solo ma il vedere impossibile la connessione con l’altro, che rappresentava una modalità semplice di connessione con se stesso, rende straziante la perdita. Io credo che la perdita più grande che avviene nella separazione di un partner sia la perdita della connessione a se stessi, erroneamente interpretata come amore verso l’altro. In realtà si perde la possibilità di sperimentare la magia della connessione a se stessi attraverso la relazione con l’altro. Questa perdita rappresenta un qualcosa di intollerabile per chi non ha altre vie di connessione con se stesso, e viene vissuta come lo sprofondare in un mondo grigio senza valore, depauperati di un tesoro che scoperto tempo prima, aveva reso piena e meravigliosa la vita.
La percezione di aver scoperto un tesoro è assolutamente reale, ma l’illusione consiste nel fatto che esso è stato proiettato al di fuori, sul partner o sulla relazione.
Lo scopo centrale di questa fase consiste proprio nel ribaltare questa percezione illusoria e far prendere consapevolezza del fatto che la magia percettiva e la forza vitale sono fenomeni conseguenti alla connessione con il proprio organismo e con le sue profonde qualità.
Questo può essere eseguito ponendo attenzione ai momenti più importanti e magici dell’esperienza di amore. La persona, ripercorrendo tali esperienze, deve notare quali attitudini, comportamenti, emozioni, percezioni, istinti, energie, si mobilitavano in se stessa in tali occasioni. Molto importante è che l’individuo annoti la percezione che aveva di sé stesso e della propria identità.
Una volta trovato il tesoro, cioè identificate le funzioni, le qualità positive che sono fiorite dalla connessione conseguente all’esperienza di amore, la persona deve prendere coscienza della proprietà di esse. Questo può essere facilitato mediante la dichiarazione di esse nella forma: io sono… (capace di amare, pieno di attenzioni, gioioso e umoristico, ecc.).
La scoperta della proprietà del tesoro non svalorizza in nessun modo la relazione e l’altro. Infatti senza la relazione di amore l’individuo non avrebbe potuto scoprire il tesoro delle sue qualità interiori. Il valore che la relazione ha avuto è quindi inestimabile. In questo senso il valorizzare il tesoro, che di sua natura è inalienabile e sempre vivo, permette di divenire grati a chi, in una relazione di natura impermanente, ce lo ha fatto scoprire.
La fase della scoperta del proprio tesoro interiore non viene fatta in relazione con la persona dalla quale ci si separa, ma con se stessi, da soli o con l’aiuto di un amico o un terapeuta che ci aiutino a notare che le qualità e funzioni che innescavano la magia percettiva e la forza vitale sono realmente di nostra proprietà. Di fatto come è comune essere ciechi rispetto ai propri difetti, lo stesso accade per le nostre migliori qualità; un amico o un terapeuta dall’esterno possono essere un grande sostengo per il processo di riappropriazione delle qualità proiettate all’esterno.
Questa fase risulta essere la più difficile e tecnica, in quanto spesso si confondono le qualità profonde con le emozioni vissute. Le chiavi per scoprire le proprie qualità nascono dalle seguenti domande da fare a se stessi:
Pensando a un momento di magia percettiva vissuto con la persona perduta nel passato.
Come vedevo me stesso…?
Come vedevo il mondo…?
Come vedevo il mio amato…?
Come vedevo gli altri…?
Cosa ero in grado di fare…?
Cosa sentivo possibile, quale progetto o sogno…?
Cosa in me, quale qualità o risorsa, rendeva possibile realizzare tale progetto o sogno…?
Fase 5: uso individuale del proprio tesoro interiore. Questa fase consiste nell’orientare l’arricchimento esistenziale ottenuto dalla relazione d’amore verso una nuova sfida, verso altre affascinanti e eccitanti dimensioni di evoluzione, sviluppo, conquista. Se il tesoro interiore non viene investito verso un nuovo obiettivo esso perde il suo potenziale vitale e costruttivo e rimane congelato, se invece tale investimento avviene esso tenderà a rinforzarsi sempre più.
In questa fase la persona decide esistenzialmente di utilizzare nella propria vita, per se stessa, le qualità scoperte nella fase 4. Comunemente le risorse emerse nella esperienza di amore sono allontanate dalla coscienza dalla scissione mente-cervello. Per poter sentire come proprie tali risorse esse necessitano di essere utilizzate e integrate nel tempo, mediante una sperimentazione ed un raffinamento continuo, al pari di ogni abilità umana. Nella esperienza relazionale d’amore l’alto grado protettivo di essa permette di vivere tali risorse senza che esse siano state talmente rinforzate da permettere di reggere il confronto con situazioni relazionali meno amorevoli. Utilizzando una metafora, queste qualità personali sono come semi che hanno dato origine a delle piante giovani coltivate in serra. Esse sono assolutamente reali e vive, ma non possono ancora vivere di vita autonoma in una situazione non protetta. La relazione d’amore con il partner soddisfaceva questo bisogno. Sta adesso all’individuo costruire con il proprio piano esistenziale delle situazioni protette nelle quali permetta a tali piante di crescere e rinforzarsi. Il rinforzo delle qualità avviene mediante l’uso graduale di esse nella vita reale dell’individuo. Questo si verifica mediante decisioni e intenzioni di colorire la propria vita con le stesse attitudini, comportamenti, qualità e significati che avevano caratterizzato la storia d’amore.
Quando la persona decide di utilizzare le qualità che aveva scoperto grazie all’altro succede che egli risperimenta in senso autonomo la magia percettiva e la forza vitale e questo risulta la modalità più convincente che esista della non perdita del tesoro scoperto. Il rivivere magia percettiva e forza vitale è anche secondario alla riconnessione conseguente alla decisione di utilizzare delle risorse che ovviamente appartengono al cervello biologico della persona e non al suo livello mentale.
Alcune domande da porsi in questa fase, atte ad orientare l’uso del tesoro interiore, sono:
Come posso far vivere la qualità…nella mia giornata?
Come posso creare…nel mio quotidiano?
Quali azioni mi permetterebbero di vivere…nella mia vita oggi?
Quali scelte farei se usassi la qualità…oggi?
Fase 6: uso relazionale del tesoro interiore. L’uso delle qualità scoperte nella relazione di amore e poi sperimentate nella propria vita, in questa fase vanno utilizzate come dono da fare ad altre persone. Se una persona ad esempio ha scoperto la vitalità può far vibrare questa energia nelle relazioni con le persone, come una modalità di entrare in contatto con il proprio cuore e con quello degli altri. Dato che le qualità del tesoro interiore appartengono a qualcosa che non è mentale ma più profondo, la persone che decide di farle risuonare in se mentre comunica e si relaziona con qualcuno, si connette al proprio cuore e questo diventa un invito per l’altro a connettersi a sua volta. Nel tempo il tesoro interiore scoperto diventa la cosa più importante che una persona può utilizzare per coltivare delle relazioni affettive di qualità.
Le domande da porsi in questa fase per riuscire a far vivere le qualità del tesoro interiore nella relazione con gli altri sono:
Come posso far vivere la qualità…nella relazione con… (amico, figlio, partner, ecc.)?
In che modo posso dare qualcosa della qualità… a… (amico, figlio, partner, ecc.)?
Che comportamento sceglierei con … (amico, figlio, partner, ecc.) se usassi la qualità…?
Conclusioni
La procedura in sei fasi che ho presentato in questo articolo si fonda su di un concetto fondamentale che mette al centro l’evoluzione del piano esistenziale delle persone al posto dell’illusione quasi consumistica di vivere l’amore mediante il possesso di persone, oggetti, cose o situazioni. Credo che il centro di essa consista nella fase di scoperta del proprio tesoro interiore, che nella mia percezione è il punto cardine su cui si effettua il cambio percettivo, ma che veda anche la fase dello slancio verso nuove sfide esistenziali come punto di trasformazione, evoluzione e arricchimento esistenziale. Credo inoltre che questa procedura possa essere di grande sostegno nella pratica psicoterapeutica in quanto nella mia esperienza ho notato che il problema dalla perdita appartiene in un modo o nell’altro alla maggior parte dei pazienti che ho conosciuto. Per concludere voglio dire quello che ha prodotto in me da quanto la utilizzo nella mia vita per le tante piccole e grandi perdite che vivo: la sensazione più bella è la leggerezza del cuore nelle relazioni, derivante dal fatto che mi sembra possibile amare senza paura. Nella mia coscienza oggi come oggi non vedo più possibile perdere nulla amando, in quanto ogni piccolo o grande amore non possono far altro che aiutarmi a evolvere il mio tesoro interiore e quindi il dolore della perdita, qualora si verificasse, e a volte questo accade, risulta una piccola cosa rispetto al valore di ciò che acquisisco dalle persone che mi hanno permesso di vivere una relazione così meravigliosa.
Bibliografia
Bowlby J., Attaccamento e perdita, Bollati Boringhieri, Torino, 1999.
Carli L., Attaccamento e rapporto di coppia, ed Raffaello Cortina, Milano, 1995.
Harris M., La nostra specie, natura e cultura nell’evoluzione umana, Rizzoli, Milano, 2002.
Goman C. K., Come affrontare i cambiamenti, FrancoAngeli, Milano, 2000.
Kubler-Ross E., La morte e il morire, ed Cittadella, Roma, 1982.
Parkes S., Morris H., L’attaccamento nel ciclo della vita, Il pensiero scientifico, Roma, 2000.
Polster E., Polster M., Gestalt Therapy Integrated, Vintage Books, New York, 1973.
Spitz R.A., Il primo anno di vita, ed. Armando, Roma,1979.
Viorst J., Distacchi, ed. Frassinelli, Milano, 1986.
Winnicot D.W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, ed. Armando, Roma, 2002
(Formazione in Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia, Semestrale 1 N. 1/2003: Fenomenologia e Gestalt – Forme dell’Intenzione, Atti del congresso)
Fonte: http://www.istitutogestalt.net/scriptdownload.aspx?nome=D:%5CInetpub%5Cwebs%5Cistitutogestaltnet%5Cpublic%5Carticoli%5CElaborazione_del_lutto.doc
Sito web da visitare: http://www.istitutogestalt.net
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve