Sedurre

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Sedurre

FEMME FATALE : Ritratti nel tempo

Introduzione

La donna: creatura fisicamente e spiritualmente debole o forte? Succube o dominatrice? Sono domande con le quali ogni epoca storica si è trovata a confrontarsi e il risultato si è orientato, pur con innumerevoli sfumature, su due direttrici fondamentali e un eterno dilemma: angelo spiritualizzato o demoniaca tentatrice?
In questa indagine il proposito è quello di analizzare la cosiddetta femme fatale: figura antichissima, che pare rintracciabile in diverse forme di espressione artistica in ogni tempo. La donna fatale è prima di tutto un simbolo di seduzione, che è lo strumento stesso del suo potere.
Il verbo sedurre deriva dal latino sedùcere, composto da se (che indica separazione) + dùcere (condurre): propriamente separare, condurre fuori dal retto cammino; deviare dal bene, specialmente con astuzia e lusinghe, e tirare al male. Ne consegue la caratterizzazioni negativa del termine, almeno per una sorta di idea di “pericolosità” connessa a questa deviazione dal giusto. Ovviamente il sedotto (dal latino sedùctus, participio passato di sedurre) è l’oggetto della seduzione.
La donna fatale, l’ammaliatrice, che si è detto incarnare l’atto del sedurre, rappresenta evidentemente non un’attrazione armoniosa che corona il sogno di un amore perfetto, ma una forza subdola che rompe gli equilibri e apre ferite. Già i tragici antichi avvertivano delle pericolosità della seduzione, che scatena passioni sfrenate: abbandonarsi ad esse non lascia indenni.
Le rappresentazioni artistiche, si sa, non sono che lo specchio del reale nell’esperienza e nell’immaginario dell’artista. Così i protagonisti delle diverse opere letterarie, pur nella consapevolezza del rischio e già preda delle sofferenze inferte dalla seduzione. Continuano ad inseguirla: forse perché, umanamente, la più forte attrazione è quella che deriva dalle proprie paure.
Ecco, allora, che il mistero dell’universo femminile ben rappresenta il mistero della seduzione e la femme fatale finisce per rispecchiare i limiti e le debolezze dell’animo umano che si lascia soggiogare. Esistono, quindi, numerosi esempi di donne, nate dalla fantasia di diversi autori nella storia della letteratura, dell’arte, della musica, più tardi anche del cinema, che hanno esercitato il potere della seduzione più o meno consapevolmente, ma con conseguenze nefaste, legando la propria immagine a un’idea di crudeltà e ferocia, che in  qualche modo forse rispecchia il sentimento di fragilità dei loro creatori.

Ma cosa caratterizza e contraddistingue questa donne fatale ?

Bella…
Intuitivamente una caratteristica primaria e distintiva della donna fatale è la bellezza, infatti si tratta dell’aspetto su cui gli autori ( e quindi i loro protagonisti) si soffermano ampiamente.
Illuminanti alcuni versi di Baudelaire, il poeta maledetto che ha alimentato il mito del bohemien e ha gettato le basi della corrente simbolista, le cui influenze si rintracceranno nella letteratura decadente prima inglese e poi italiana:
Vieni dal ciel profondo o sorgi dall’orrore degli abissi, o Bellezza? Divino e infernale, versa il tuo sguardo, avvinti, il delitto e l’amore; onde assomigli al vino che atterra o impenna l’ale.
Ti risplende negli occhi il tramonto e l’aurora; spandi un profumo come di vespro burrascoso; sono un filtro i tuoi baci e il labbro che innamora fiacca l’eroe, ma rende il fanciullo ansimoso.
Sorgi dal nero gorgo o scendi dalle stelle? Vinto, il destino segue i tuoi passi errabondi; tu spargi indifferente il gaudio e le procelle; tutto governi invitta e di nulla rispondi.
O bellezza, tu incedi sui morti sorridente: non è l’Orrore il meno vago dei tuoi monili sul tuo superbo grembo danza amorosamente l’Omicidio, confuso ai ciondoli gentili.
Alla tua fiamma vola l’effimera abbagliata, crepita, brucia e dice: “O face benedetta!” L’innamorato chino sulla dolce amata pare che blandisca morente la tomba che l’aspetta.
O Bellezza, chimera innocente ed enorme, che importa che tu venga dalla terra o dal cielo, purchè il tuo volto, il piede e tutte le tue forme sul mondo sconosciuto che adoro alzino il velo?
Di Satana o di Dio, infernale o divina, che val, se rendi – fata dagli occhi di velluto, ritmo, profumo, raggio, o mia sola regina! – men duro l’universo, più dolce ogni minuto?“

Il poeta chiarisce perfettamente la pericolosità della Bellezza e lo smarrimento dell’uomo di fronte ad essa, alla sua origine e al suo potere.
Le lettera maiuscola ( Bellezza come nome proprio e personificazione) fa pensare ad una generalizzazione del concetto ma poco importa che in questa poesia essa sia intesa come metafora della donna, di una donna particolare, o come idea di Bello in generale. La Bellezza con il suo volto amorevole e il suo risvolto letale, ben riproduce il sentimento del sedotto che allo stesso tempo venera e maledice l’oggetto del desiderio; allo stesso tempo ne riconosce la pericolosità, ma aspira ad essere soggiogato, non intende rinunciare al suo potere e ai suoi effetti estetici: ritorna l’attrazione per ciò che spaventa e atterrisce, poiché si avverte come forza sconosciuta. Anche per Byron: “Il piacere è un peccato, ma qualche volta il peccato è un piacere” e per Oscar Wilde: “L’unico modo per liberarsi da una tentazione è concedersi ad essa”.
La donna fatale possiede una bellezza speciale che sembra in qualche modo essersi radicata nell’immaginario popolare e letterario nel corso dei secoli. Oltre ai tratti fisici (che in parte differiscono  ed in parte coincidono tra i diversi autori, probabilmente anche in relazione alla diversa evoluzione dei canoni estetici e alla sensibilità di ognuno) una nota comune è la particolarità del suo fascino: una specifica declinazione della normale idea di Bellezza, che si cercherà di identificare attraverso l’analisi di alcuni celebri esempi di femme fatale.

 

 

… E fatale

Questo elemento appare meno univoco nella sua definizione, a seconda dei contesti e degli autori, dei miti e delle storie di cui la donna è protagonista, e probabilmente si presta ad una pluralità di interpretazione e rese caratteriali.
Nel linguaggio comune, anche contemporaneo, l’aggettivo rimanda alla sensualità e all’erotismo: una sorta di particolare specificazione dell’ideale di bellezza, Allo stesso modo, rimanda ad una personalità forte, volitiva, anche crudele e spietata, spesso libera e libertina e all’estremo lussuriosa.
Tuttavia, sembrano sussistere diverse sfumature della fatalità nell’essere donna e un fattore accomunante appare la sua distruttività, proprio nel senso letterale del termine: la donna fatale è colei che porta alla distruzione/dannazione il sedotto, è colei che causa sventura e perdizione.
Esiste, quindi, l’idea chiara degli “effetti” del suo passaggio: catastrofici per il sedotto e, spesso, non solo per lui. Esiste un vero e proprio esercizio dell’arte della seduzione che può essere più o meno cosciente, come atteggiamento spontaneo o come mezzo per il perseguimento di un determinato obiettivo. Esiste un’intenzionalità nella seduzione e, anche se non sempre e non necessariamente, nelle sue conseguenze fatali.
Il mistero dell’universo femminile e la debolezza dell’uomo nell’esaltazione dei sensi, in ogni caso, determinano un’identificazione tra il mito della donna fatale e l’incarnazione della tentazione. L’arte, nelle sue forme espressive più varie, ci ha consegnato numerose e diverse figure di femme fatale e la presente trattazione si propone di analizzarle, attraverso l’immaginario di alcuni autori che le hanno rappresentate utilizzando forme espressive diverse: dalla prosa alla poesia, dalla pittura al teatro.

Seirhnes : L’antica seduzione del canto

Il nome

La seduzione che travolge soggiogando, appare come una sorta di “incantesimo” e la stessa etimologia della parola ne chiarisce la portata.
Incantare: dal latino in+cantàre (intensivo di canere), cioè cantare, cantare in versi e anche vaticinare, fare incantesimi. Il latino càrmen (= carme, canzone), infatti, assumeva anche il significato di formula magica, poiché gli indovini e i fattucchieri usavano il canto e i versi numerati per le loro predizioni e per i loro incantesimi.
Il canto rappresenta la somma dei due elementi primari del suono e della parola: si è incantati da una voce (ma, allargando lo specchio di indagine, anche da uno sguardo o da una movenza) e quasi si perde coscienza di sé. In senso metaforico, infatti, il termine viene ricondotto all’idea di guadagnare l’animo di qualcuno.
Questa conclusione e la radice etimologica del termine, collegata all’esercizio del canto, suggeriscono due riflessioni. Prima di tutto una stretta correlazione tra l’arte della seduzione e la magia, quindi qualcosa di divino e misterioso, certamente appartenente ad un universo altro rispetto alla realtà dell’uomo (vedi anche Baudelaire ne “Inno alla Bellezza sopra citato “Divino e infernale”. Il collegamento resta comunque ad un livello ben diverso da quello terreno e mortale) .  
In secondo luogo, sovviene un richiamo immediato ad alcune figure mitiche che, proprio attraverso il canto melodioso, stregavano l’animo umano per condurlo alla morte: le Sirene.

Il mito

Il mito delle Sirene giunge a noi da una tradizione antichissima e ricchissima, in cui i riferimenti letterari e iconografici sono numerosi, tanto quanto la successiva bibliografia sulla ricostruzione del mito stesso in tutti i suoi aspetti.
Prima mezze donne e mezze uccelli, poi ibridi dalla coda di serpente ed infine di pesce, attraverso numerose e diverse letture e attribuzioni, il mito delle Sirene è rintracciabile già in epoca micenea a Pilo.
Numerose sono le ipotesi sull’origine del nome, tra cui: da seira, corda (quindi Sirena è “colei che lega”), in macedone Afrodite si chiama Zeirhnh e seirhn apparterrebbe alla radice verbale *gher-, desiderare, preferire (cfr. freco cairw) per cui le Sirene sarebbero “le desiderate”, oppure una derivazione ricondotta all’ebraico-fenicio con sir, canto, canto magico.
Anche le diverse ipotesi di derivazione del nome, quindi, sottolineano le caratteristiche e le funzioni di questa figura nell’immaginario degli antichi. Il riferimento ai lacci, quindi ad un legame, alla dea dell’Amore e della passione e al canto riconducono all’idea dell’incantesimo e della seduzione, quindi della servitù dell’animo.
Nel corso dei secoli, attraverso le leggende, il mito, i poemi e i racconti, le Sirene hanno rappresentato ora demoni, incarnazioni di anime, esseri misteriosi nati dalle leggende dei marinai come rappresentazione della pericolosità di certe rotte; ora protettrici come le Muse, potenze demoniache dell’oltretomba alternativamente benefiche o malefiche, serve di Persefone o Plutone che trasportavano gli uomini nell’Ade e molto altro. Alle volte la loro origine viene fatta risalire a delle fanciulle trasformate in ibridi dalla vendetta di Era, che esse avevano osato sfidare nel canto, o dall’ira di Afrodite che le aveva trasformate in creature metà donna e metà uccello, furiosa per il loro strenuo attaccamento alla verginità e, quindi, al rifiuto dell’amore.
La ricostruzione di questa figura è resa complessa dall’incredibile vastità del materiale storico e dalla sovrapposizione di quello letterario e iconografico. In ogni caso, è certo è che la figura della Sirena compare in epoche lontanissime e arriva ai giorni nostri attraverso i documenti letterari, le incisioni, la pittura e i fregi architettonici, per essere trasportata in epoca moderna anche nel cinema e nella pubblicità: a dimostrazione dell’eternità del mito della seduzione che esse hanno finito per rappresentare.

L’apparizione nelle Argonautiche

In età ellenistica le Sirene ritornano ancora una volta (prima si erano potute notare nell’Odissea di Omero) come mortifere cantatrici tra le righe di Apollonio Rodio nelle Argonautiche, l’unica opera completa arrivata a noi di questo poeta vissuto nel III secolo a.C.
Il poema (5835 esametri in quattro libri) riprende l’antichissima leggenda degli Argonauti e narra del lungo viaggio di Giasone e dell’equipaggio della nave Argo verso la Colchide (sulla sponda orientale del Mar Nero) per impadronirsi del vello d’oro e portarlo in Grecia, così che Giasone potesse riconquistare il trono di suo padre in Tessaglia. 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Aldo Carotenuto - Riti e miti della Seduzione – Bompiani 1998
Apollonio Rodio – Argonautiche, a cura di Alberto Borgogno – Collana I Classici Collezione – Arnoldo Mondadori Editore 2007
Charles Baudelaire, I Fiori del Male – Collana I Tesori della Poesia in Miniatura – De Agostini Editore 2005
Charles Baudelaire – Opere, a cura di Giovanni Raboni e Giuseppe Montesano – Arnoldo Mondadori Editore 1999

 

  Inno alla bellezza – da I Fiori del Male, Charles Baudelaire – Traduzione di Tullio Furlan

Così Aldo Carotenuto in Riti e miti della seduzione (Bompiani 1998, pag. 18): sottolinea il collegamento tra seduzione e divinità o potere divino: “l’epiteto seduttivo viene infatti attribuito sovente ad interventi soprannaturali o a forza impersonali, per sottolineare la natura demoniaca e il fatto che essi afferrano il soggetto, lo rendono oggetto”

Apollonio Rodio, nelle Argonautiche, fornisce un’ulteriore versione circa l’origine di queste figure come figlie della Musa Tersicore e del fiume Acheloo: un tempo ancelle di Persefone, cantavano con lei (Libro IV, 895 – 898)

 

Fonte: https://femmefatalritratti.wikispaces.com/file/view/FEMME+FATALE.doc

Sito web da visitare: https://femmefatalritratti.wikispaces.com

Autore del testo: Carlotta Meneghini

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