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Il coinvolgimento emotivo è l'obiettivo della comunicazione espressiva ed artistica ed ha lo scopo di aprire l'altro alla percezione di sensazioni ed allo sperimentare emozioni. Questo tipo di comunicazione è il luogo specifico dell'emersione di carismi: se la vibrazione emozionale è attiva nel comunicatore e egli è particolarmente trasparente gli altri possono immedesimarsi nel suo vissuto e far proprio il suo stato emotivo. Questa comunicazione può avvalersi di effetti sorpresa, di stimoli incuriosenti, di espressioni seduttive, di eventi che incantano, che commuovono, che suggestionano, ecc.
Per coinvolgere emotivamente occorre vincere le proprie inibizioni, caricarsi emotivamente ed eccitare, far sognare, improvvisarsi a raccontare una storia o una favola, a costruire un'immagine, un gioco o un disegno. Il coinvolgimento emotivo è molto efficace nei confronti degli adolescenti che manifestano grande bisogno di affetto o che sono ansiosi e d affannati alla ricerca di qualche appagamento. Attraverso l'espressività emotiva si fa crescere la loro sensibilità.
Il bimbo che sta esprimendo il suo affanno di essere preso in considerazione, può essere invitato ad accarezzare l'orsacchiotto che, caduto per terra, si è fatto male. L'oggetto transazionale può diventare il bersaglio di un attaccamento protettivo e far spegnere la richiesta di essere lui oggetto di attenzione e attaccamento.
Il bambino, imbrigliato nelle dipendenza da una madre che non lo ha saputo saziare affettivamente, crescendo rischia di diventare un gregario condizionabile da parte di qualcuno che lo utilizza per i suoi fini. Egli può essere facilmente manipolato e diventare, suo malgrado, un esecutore di ordini che possono far del male ad altri. Coinvolgere emotivamente significa aprire la sua sensibilità verso l'ambiente, gli oggetti o le persone che possono essere feriti dalle sue azioni. L'ambiente appare allora come un luogo di espressione di tenerezza che deve essere protetta e salvaguardata proprio da lui. è questo il caso del dislocamento dell'attaccamento verso animali domestici da parte dei bambini adesivi: a volte il loro affanno può addirittura apparire un gioco crudele proprio in ragione della loro incapacità di percepire il vissuto del piccolo animale. Tali bambini sono così centrati sul loro bisogno, da non riuscire a percepire quello degli altri.
Da ultimo una considerazione generale nei confronti degli “adesivi” adulti: non c'é nulla di più efficace per dare un senso alla vita di quell'adesivo anziano, che staziona per ore sul muretto del parco cercando di attaccare discorso con qualcuno e che è, di solito, compatito, ma ignorato da tutti, che destare la sua attenzione verso un nido di uccellini, verso i pulcini di papera appena nati nello stagno o verso una cucciolata.
L'anziano può essere distolto dall'esercizio del suo controllo sulla realtà e dalla sua ansia attraverso lo spostamento di interessi verso l'azione. Quando scopre l'impegno (e ciò accade soprattutto in circostanze non ordinarie nella quotidianità) riesce a dare il meglio di sé. Per spostare verso l'impegno è necessario trovare spunti affinché egli possa emotivamente coinvolgersi nell'azione.
Un bimbo spaventato e reso pauroso da una caduta che gli ha procurato dolore, può essere indotto verso la punizione nei confronti del pavimento su cui è battuto inducendolo a sgridare e “dare botte” al pavimento che è stato “cattivo” con lui. Il coinvolgimento emotivo nasce dalla attribuzione di responsabilità operata dall'educatore verso il pavimento. L'emozione che egli vive si trasforma da paura in rabbia, da un copione difensivo a un copione punitivo.
Mentre l'anziana signora spolvera meticolosamente i soprammobili del soggiorno e non presta attenzione al fatto che quel suo comportamento genera tensione nelle persone che la circondano, dall'ambiente può emergere discretamente la sorpresa di una vecchia fotografia che contiene l'impressione di un momento vissuto e su cui dislocare l'attaccamento della signora. Oppure il vecchio maresciallo in pensione, che incute timore alla giovane nuora, ossessionandola con la necessità di riporre bene in ordine tutte le stoviglie dopo pranzo, può essere efficacemente distolto dal coinvolgimento in qualche impegno particolarmente intrigante per lui e per il suo senso di responsabilità: controllare il funzionamento della caldaia, il livello del combustibile, la tenuta ermetica dello sportello del frigorifero. Interventi che solo lui può fare.
Il coinvolgimento emotivo è poco efficace nei confronti di soggetti troppo attivi (non colgono una comunicazione espressiva e, se la colgono, la utilizzano solo come strumento per ulteriore attivazione). La comunicazione coinvolgente può essere utile se il contenuto del coinvolgimento è la pace, con l'obiettivo di comunicare la possibilità di spegnere le tensioni.
Insegnare significa far prendere coscienza di contenuti, far ragionare e far riflettere. La comunicazione di insegnamento è la più diversificata poiché contempla sia forme di comunicazione euristica che inducono alla formazione di processi mentali di scoperta, sia l'ostensione di modelli e di rappresentazioni di cui l'educando si appropria collocandoli nella sua memoria ed organizzandoli in strutture di conoscenza.
Apprendere ad apprendere è un processo descritto come acquisizione di forme mentali che consentono di elaborare le informazioni: vi sono forme sempre più complesse di apprendimento di segnali, di concatenazioni, di discriminazioni e di concetti. Si apprende per ricezioni, in modo meccanico o significativo, per scoperta attraverso attività progressivamente concatenate di comprendere, ricordare, ragionare, risolvere problemi correlando le nuove informazioni con altre già in memoria e riorganizzando le strutture di conoscenza precedenti.
Il processo di insegnamento, che qui si vuol richiamare, è il processo di trasmissione di concetti e di schemi mentali più generali e quotidiani, non necessariamente didattici. Tale insegnamento fa leva sul perno del distanziamento tra il “sé” e “le cose”, ponendole alla giusta distanza ed osservandole con un punto di vista più ampio (come ha magistralmente spiegato il sociologo Elias in “Coinvolgimento e distacco”). L'insegnamento, nell'artigianato educativo, è un modello di comunicazione finalizzato a porre l'educando alla giusta distanza dal sé, dalle relazioni, dal mondo, a liberarsi così dai pregiudizi e mettere in discussione le precedenti impressioni, convinzioni o condizionamenti. Questo modello educativo di insegnamento deve essere individuato in forma pura, non va confuso con il coinvolgimento emotivo, con l'incoraggiamento o con il rimprovero, pur presentandosi nella realtà spesso miscelato a questi altri modelli di comunicazione educativa.
Il soggetto più portato a questo tipo di comunicazione è il creativo portatore di libertà e di autostima ed i destinatari che hanno maggior bisogno dell'insegnamento educativo sono colore che non riescono ad apprendere per disturbi dell'affettività e della stima di sé. L'insegnamento consente di proporre al soggetto “adesivo” una più attenta analisi della realtà e depotenzia la vergogna aumentando l'autostima attraverso una più serena e pacifica accettazione delle cose.
Lo spostamento dell'attaccamento verso il senso di realtà può avvenire attivando l'attenzione dell'adesivo verso eventi, persone, oggetti a cui egli non aveva precedentemente fatto caso.
L'insegnante che ha in classe un adesivo, sempre con la mano alzata a subissare di richieste di attenzione, potrà spostare l'affanno dell'adesivo, mostrando la sua attenzione verso di lui e rendendolo oggetto di attenzione da parte dell'ambiente.. Se appena entrato in classe dichiarerà ad alta voce indirizzandosi all'adesivo: "Che bel maglione hai oggi!", il suo intervento anticiperà le sue richieste di attenzione e lo porterà ad estendere il suo sguardo sul contesto per gustare socialmente la attenzione ricevuta. In tal caso si sarà effettuato un efficace spostamento dall'affanno verso i suoi compagni, complessivamente osservati e non ricercati individualmente al fine di aderire all'uno o all'altro con un rapporto interpersonale.
Vale la pena di considerare più a fondo la frase dell'insegnante: essa contiene attenzione alla persona che anticipa le richieste dell'adesivo, ma contiene altresì la caratteristica fondante dell'insegnamento e cioè l'apertura verso orizzonti più ampi. In questo caso sposta l'attenzione dal sé al contesto della classe. A quel punto in lui si determina un'apertura: sentendosi osservato, osserva gli altri e placa il suo copione di insoddisfazione.
Il bimbo adesivo ha bisogno di essere avvolto dall'attenzione e lo spostamento dell'emozione può avvenire in lui se viene distratto dall'attenzione al sé all'attenzione sull'ambiente. Il suo attaccamento alle cose potrà essere utilizzato per produrre l'interesse a ricercare dove sono finiti i suoi giochi e controllare che ci siano tutti. In questo caso l'insegnamento è rivolto a tenere insieme i giocattoli ed imparare modalità per conservarli in ordine.
Il controllo e la concretezza della realtà insegnano a rispettarne la natura, la forma ed ad agire con cura e delicatezza. L'adesivo infatti può mettere una tale quantità di energia per compiacere l'oggetto della sua attenzione, da rischiare di far del male, distruggendolo involontariamente. L'insegnamento serve a distanziarlo ed a correggere i suoi comportamenti, facendolo riflettere.
Diverso effetto provoca l'insegnamento nel soggetto con scarsa autostima. Il bimbo ha provato a fare un salto, ha inciampato ed è caduto, si sente imbarazzato per il suo impaccio. La consolazione è: “Ma guarda che non se ne è accorto nessuno! Puoi anche riprovare nessuno ti criticherà o deriderà!”. Se l'ambiente non si attiva in risposta al suo impaccio egli può anestetizzare la sua vergogna e percepire un senso di indifferenza per lui vitale. L'invisibile infatti può sopportare il dolore nel suo movimento verso l'apatia che corrisponde allo spegnimento della sofferenza. Tutto questo processo equivale alla dinamica dell'insegnamento: apprendere dall'ambiente la sua autentica natura, imparare a valutare i dati e finalmente interpretarlo in modo più freddo e distaccato.
Per far avvenire lo spostamento è necessario trasmettergli la possibilità di ricavare dall'ambiente l'atarassia indispensabile. è il caso dell'ammalato o del ferito che presenta piaghe vistose da cui è necessario non farsi impressionare ed, anzi, trattarle con distacco. “La gente qui intorno ha visto di peggio nella vita!”. Questo serve a favorire l'oggettivazione, l'analisi chiara di una ferita o di una malattia vista con neutralità scientifica.
L'insegnamento è un modello comunicativo generalizzato a tutti attraverso lo specifico della didattica. Lo scopo dell'istruzione è quello di far interiorizzare contenuti e processi mentali di apprendimento e di porgerli nel modo più idoneo ai diversi tipi di persone. Il modello educativo di insegnamento, ovvero la capacità di distanziarsi dalle cose, è una comunicazione che richiede duttilità coinvolgente con le persone ansiose e innesco di incoraggiamento motivazionale con gli apatici. Gli ansiosi hanno necessità di controllare e di ordinare le informazioni che debbono essere proposte come un catalogo da memorizzare, senza dover modificare gli schemi mentali già formati. In genere si appiattiscono sulle informazioni che possiedono e, oltre ad ampliare la base della loro memoria, fanno uno sforzo di selezione delle informazioni funzionali a tenere deste quelle che comprendono come importanti al fine di una buona riuscita in un esame e in un concorso. Il loro ordine interno li rende spesso vincenti all'interno di questi contesti formali, ma non li porterà ad essere mai pienamente padroni delle informazioni che hanno appiccicato in memoria. Gli apatici hanno bisogno di motivazione ad apprendere ed una comunicazione che li inviti a distanziarsi dalle cose è per loro sinonimo di pacifica indifferenza. L'indispensabile modulazione incoraggiante dell'insegnamento può essere espressa per passi e gradi successivi, facilitandoli nella loro propensione ad un metodo cadenzato
Per sollevare gli altri è necessaria l'umiltà. Sostenere non significa “dar carica” (quello è incoraggiare) anche se spesso tali termini sono utilizzati come sinonimi. Il sostegno è un rapporto fondato sulla discrezione e sulla disponibilità al sacrificio di qualcosa di sé per favorire un'altra persona. Chi sostiene non è mai in vista, sta alle spalle del soggetto da sostenere: la qualità del sostegno è tanto maggiore quanto meno il sostenitore è apertamente visibile. Infatti se chi sostiene si sostituisce alla persona da sostenere, gli fa perdere forza perché lo fa apparire incapace. Il sostegno può essere aperto e dichiarato solo se diventa comunicazione di fiducia e investimento sulle capacità dell'altro. L'aperto sostegno non può mai esprimere dubbi sulla riuscita di chi viene sostenuto: se chi sostiene esprime le sue paure o titubanze invece che sostenere, abbandona o, addirittura, avversa.
La comunicazione di sostegno è, a volte, silenziosa: una presenza concreta e fiduciosa è più efficace di molte parole Comunicare sostegno significa saper sorreggere le difficoltà, le sofferenze ed anche la disperazione. Sostenere impedisce il cedimento della vita mentale di chi ha già subito grandi o piccoli crolli. Sostenere richiede una grande nobiltà d'animo poiché è la comunicazione e l'azione educativa più impegnativa e meno gratificante: chi sostiene non vede risultati della sua fatica se non quelli del mancato peggioramento delle condizioni di chi si aiuta.
L'azione di sostegno può anche significare mettere le basi per un valido orientamento: quando il sostegno è rivolto a un soggetto depresso (che rivolge la sua aggressività contro se stesso), il fatto di sentire qualcuno al suo fianco, muto e paziente, appare come una garanzia che quel momento nero avrà termine e consente un dialogo di orientamento che fa rinascere la fiducia nel futuro. Il processo di tale dialogo non assume infatti alcuna modulazione di tipo persuasivo, non è né convincente né insistente, non è ripetitivo o penetrante (a fronte di tali comunicazioni si ottiene solo un indubbio rinforzo dell'aggressività reattiva che, nel caso del depresso, è rivolta verso di sé e si può dar luogo a seri danni). La modulazione della comunicazione deve essere estemporanea, disordinata e frammentaria: è il soggetto che così potrà far suo un filo logico sottinteso alle parole, riempiendo i vuoti ed usando la sua logica interna per unificare il messaggio frammentario.
Sostenere una persona in difficoltà offre alla persona fiducia nel suo successo; saper guardare negli occhi e saper soffrire con lui fino a quando trova la via per uscire dalla sua difficoltà, superando le confusioni ed i conflitti interni, è una delle forme più alte di disponibilità ed aiuto. Sostenere ha sempre la stessa modalità sia nel rivolgersi ad un ragazzo che sta facendo scena muta ad una interrogazione, sia di fronte ad una confusione interiore che ha preso il sopravvento ed ha creato un ingorgo mentale di idee da cui non si può raccapezzare.
La trasmutazione della rabbia (o della depressione) in controllo richiede un’attenzione ancora più puntuale. Quando il soggetto bersaglio di un intervento di pedagogia speciale è in forte stato di eccitazione è necessario porre la massima attenzione a non contraddirlo mai. Il "no" deve essere escluso dal vocabolario dell'artigiano dell'educazione. L'emersione della volontà di agire con maggiore equilibrio e autocontrollo è determinata dalla calma dell'educatore, che pur non dando ragione al ruminante, lo sostiene poiché gli fa comprendere che capisce la sua sofferenza. è questo sostegno che indurrà il ruminante a verbalizzare la sua aggressività, dando sfogo a tutti i suoi improperi ed alla sua disperazione.
Un bimbo arrabbiato che protesta veementemente e che gode del fatto di trasmettere la sua tensione agli altri (costringendo la mamma ad accontentare il suo capriccioso bisogno di eccitazione) può essere contenuto standogli a fianco, sostenendo la sua necessità ma orientandolo a capire che la sua esagerazione può essere pericolosa. L'orientamento è infatti funzionale al controllo ed all'autocontrollo: il ruminante, nel pieno della tensione distruttiva o autodistruttiva, è incapace di rendersi conto dei segnali che, attraverso la l'emozione della paura, lo avvertono dei rischi. La rabbia lo conduce ad una forma di incoscienza che lo rende, al momento, impavido; l'orientamento silenzioso e guardingo gli trasmette la prudenza. Gli guarda le spalle.
Il bimbo non vuol dormire e il suo pianto è rabbioso perché pretende di continuare a stare sveglio in braccio alla madre: il rombo di un camion che passa sotto casa o il buio misterioso fuori della finestra, fatti notare dalla mamma, lo inducono alla mansuetudine perché la mamma lo protegge da ogni possibile timore. Così egli recede dalla carica capricciosa che lo agitava e si ridimensiona il suo vissuto, con lo sbocciare di qualche timido pensiero di limitatezza e di accettazione. Tale spazio di ispirazione, non intuitiva ma esclusivamente emotiva, porta in contatto con il sé attraverso il sostegno silenzioso ed orientante. Poco vale discutere e confutare le argomentazioni e fronteggiare la snervante alterigia di chi si è perso nella confusione mentale, è molto più efficace una presenza chiara ed inequivocabile che parla con un controllatissimo ed inibito linguaggio di sottili sensazioni. La comunicazione di sostegno è allusiva, mai diretta. è un feed-back alle comunicazioni di chi è sostenuto su una lunghezza d'onda molto più sottile e profonda dei suoi ragionamenti: conferma costantemente l'altro, ma le risposte sono su un piano preverbale. Laddove qualunque avvicinamento o ricerca di accordo sembra impossibile e, laddove la logica evapora, non c'è spazio per discriminare tra giusto e sbagliato, c'è solo lo spazio per confermare che si comprende il motivo di tanto distacco e di tanta ricerca. Il ragazzo che gioca con il suo computer e che cerca di mostrare quanto è bravo, saltando da una schermata alla successiva senza lasciare il tempo di comprendere i processi a cui tiene dietro, entrerà in un altro gioco se si sentirà dire: “So perché fai tutta questa fatica e mi piaci per questo!”.
L'avvocato un po' svitato che si parla addosso con guizzi di ingegno e battute sagaci cercando una “spalla” alle sue facezie insensate, può essere sorretto da un gesto o un pensiero rivolto alla sua persona, con delicatezza e penetrazione profonda. Ciò gli consente di operare una ricomposizione dei diversi tasselli della sua esperienza personalizzandola. Il sostegno si attua, in questo caso, tenendo ferma la sua attenzione su qualche elemento.
Quando si incontra una persona in preda alla confusione mentale ed alla confusione di sentimenti, è inutile e controproducente cercare di “distrarla” dai suoi pensieri. Al contrario occorre esprimere segnali che richiedono la concentrazione, possibilmente urgente, su qualcosa. Quando si incontra un soggetto che non tiene più dietro ai suoi pensieri, che farfuglia parole sconnesse e senza senso, occorre far concentrare la sua attenzione su una parola, un espressione, un comportamento che, in qualche modo, abbia una risonanza per lui ed aumentare la sua valutazione di importanza di quella parola, gesto o azione. Si può cogliere l'occasione della prima parola che egli dice riferita (anche casualmente) ad un oggetto, una scritta o qualunque elemento presente nell'ambiente insistendo sulla ripetizione, sulla osservazione più accurata, su qualche comportamento che l'ambiente inequivocabilmente gli richiede con pedanteria. Fino a promuovere in lui un'azione. Spesso la confusione scompare (o diminuisce) quando la persona è fisicamente impegnata in qualcosa.
Incoraggiare significa saper dare carica e trasmettere motivazione ad altre persone. Per incoraggiare è prima necessario costruire e dare forma all'energia dentro di sé e poi comunicarla in modo persuasivo per indurre all'azione. Al contrario del rimprovero, l'incoraggiamento richiede impegno e forza in chi lo vuol far percepire ad altri. In genere l'incoraggiamento non funziona quando vengono commessi alcuni errori molto diffusi. Spesso chi incoraggia non lo fa con sufficiente energia e convinzione: se, nel momento dell'incoraggiamento, non viene espressa una potenza sufficiente e con una sufficiente durata, la comunicazione si perde nel vuoto, non ottiene risultati e porta ad una caduta di tono nell'autore dell'incoraggiamento. Accade frequentemente che l'incoraggiamento si disperda se non ha un bersaglio preciso. Occorre indicare nominativamente la persona che si incoraggia e, nel caso di un gruppo, occorre dedicare incoraggiamento anche ai singoli componenti del gruppo. Basta infatti un solo demotivatore all'interno di un gruppo, che si esprima con una battuta squalificante, per far perdere energia a tutti.
L'incoraggiamento deve avere il suo destinatario e fermarsi su di lui con una individuazione precisa e circostanziata. Inoltre l'incoraggiamento deve essere puro, senza mescolarsi a critiche, pur se motivate. Non si può incoraggiare e rimproverare allo stesso tempo e nemmeno incoraggiare e insegnare (o dare consigli). L'educatore deve trattenersi da miscelare contenuti e forme di comunicazione, perché chi riceve ha bisogno di un messaggio chiaro ed univoco.
Il soggetto che meglio di tutti sa incoraggiare è un soggetto volitivo, carico di energia e di entusiasmo. La sua carica e il suo impegno rendono spontanee ed immediate le sue comunicazioni di incoraggiamento; deve però trattenersi, mentre incoraggia, dal sostituirsi nell'azione al soggetto destinatario del suo incoraggiamento. Incoraggiare non significa aiutare o sostenere, ma trasmettere forza e coraggio, affinché l'altro li utilizzi per compiere l'azione.
I destinatari elettivi delle comunicazione di incoraggiamento sono i soggetti apatici e demotivati oppure colore che hanno scarsa stima di sé, sono rinunciatari e poco fiduciosi nelle personali capacità.
Il bimbo apatico, che non risponde ai richiami dei genitori e degli adulti e che rimane per lungo tempo ciondolante nel non far nulla, o svogliato e lamentoso con chi gli sta intorno, può essere attivato attraverso la visione di un luogo eccitante. Ricordo di aver consigliato ad un padre, il cui bimbo di cinque anni era stato spento nelle manifestazioni di eccitazione da una lunga permanenza presso gli anziani nonni, e che non mostrava alcun interesse per l'iniziativa e il divertimento, di passare a piedi vicino ad un Luna Park, e, in quel luogo, trasmettergli il suo interesse incoraggiante verso quel mondo pieno di stimoli, di musica e di luci. Il bimbo si era infatti auto anestetizzato dal dolore per la perdita della madre e per l'assenza prolungata del padre. Ad ogni richiamo all'azione rispondeva chiudendosi sempre di più. Le luci e le musiche del Luna Park hanno acceso il suo interesse.
E' analogo all'intervento tampone dell'educatore di fronte al soggetto abulico e rassegnato, il tossicodipendente da eroina ad esempio, che è stato ben sintetizzato nella frase "Tu solo ce la puoi fare, ma non ce la puoi fare da solo!". In questa frase sono contenuti gli elementi dell'incoraggiamento e del sostegno, ma ben distinti attraverso due proposizioni diverse quasi in giustapposizione tra di loro. L'esito non è una miscela, ma due concetti che debbono essere introiettati uno alla volta.
L'incoraggiamento nei confronti di chi ha scarsa stima di sé serve a spostarlo nella direzione dell'attaccamento. Lo sfiduciato è incapsulato nel suo perenne imbarazzo, nella sua timidezza ed appare giù di morale, abbattuto se non desolato e afflitto. Egli vive nella dimensione della estrema sensibilità per quanto avviene attorno a lui e non riesce ad avere un confine preciso tra il sé e gli altri. Tutto ciò che avviene nelle emozioni degli altri diventa un suo sentire personale. Il bimbo che rimane nascosto in un angolo ad osservare, privo di iniziativa, soffre per la sua incapacità e la sua inferiorità di fronte all'intraprendenza, alla plasticità fisica, all'acquaticità, alla prestazione atletica, alla capacità di gioco di un altro bimbo più grande di lui. "Tu non puoi fare quello, sei troppo piccolo!" è una frase penetrata dentro la sua pelle che lo fa sentire inutile e insignificante per gli occhi di tutti.
Da questa spiacevole sensazione di vergogna e di disistima di sé può essere velocemente distratto attraverso uno spostamento emozionale. Di solito un bimbo introverso diventa bersaglio di una consolazione sbagliata perché può essere un rinforzo ed un ulteriore discredito: "Vedrai che quando sarai grande lo potrai fare anche tu!" è una frase sbagliata perché non interviene nel presente attuale ove lui è, intanto, piccolo e insignificante. L'adulto che percepisce la sua sofferenza segue il naturale moto di tenerezza nei suoi confronti e lo trasferisce con una comunicazione consolatoria senza rendersi conto di dare una ulteriore squalifica.
Il vero e preparato educatore sa di dover trasmettere invece energie e dargli disciplina ed impegno affinché il giovane si attacchi di più alle cose, ai risultati, a se stesso. Deve arrivare a desiderare i risultati per farli suoi ed aderire ad essi. L'obiettivo è quello di incitarlo ad avere un successo, anche minimo, su cui far leva con un incoraggiamento progressivo ed insistente. Occorre porre attenzione alle gratificazioni consolatorie, perché egli è assolutamente in grado di comprendere l'effettiva realtà di ciò che ha fatto. L'incoraggiamento serve a che egli faccia suo il risultato e lo consideri inequivocabilmente come una cosa che gli appartiene.
L'incoraggiamento all'azione può essere agito anche attraverso un suo intervento su un ambiente che abbia necessità di lui. Occorre un ambiente sociale costituito da altri soggetti, più piccoli ed impacciati di lui, che stimolino la sua sensibilità a comprendere le difficoltà degli altri ed essere punto di riferimento per il loro attaccamento, così facendo si sentirà grande. Questa modalità consente lo sviluppo di una ulteriore osservazione educativa: vi sono alcuni bimbi che hanno necessità di frequentare bambini più grandi, altri, invece, necessitano della compagnia di bambini più piccoli. I naturali artigiani dell'educazione sanno osservare queste disposizioni e lasciano orientare le affinità dei bambini nel modo più virtuoso; anzi delicatamente incoraggiano questa assunzione di responsabilità affettiva. Altri educatori, purtroppo, decidono di intervenire con l'ideologia pianificante delle leve di nascita e irreggimentano i coetanei con i coetanei, quasi fosse un obbligo educativo e formativo la frequentazione tra bambini della stessa età.
Anche per l'adulto può innescarsi processo di attaccamento verso l'ambiente, se la sua attenzione è richiamata da necessità di cura che l'ambiente propone. L'adulto traumatizzato da derisioni e delusioni, reso vulnerabile da ogni tipo di insulto psicologico e fisico, può essere incoraggiato ad occuparsi con affetto delle piantine del suo terrazzo. Togliere le foglie secche da qualche vaso, cambiare la terra a gerani che stanno appassendo e sistemare le piante ordinatamente in un vaso sono passi nella direzione di un percorso di interessamento e di affezione verso cui deve essere stimolato.
L'incoraggiamento è inefficace con altri tipi di persone, con soggetti che hanno un grande bisogno affettivo o con soggetti incostanti per eccesso di emozionalità (i fuochi di paglia che si accendono subito, ma durano poco). Qualunque stimolo comunicativo ai soggetti bisognosi di affetto finisce per rinforzare il suo bisogno di attaccamento, mentre la comunicazione persuasiva verso l'impegno cade nel vuoto con chi ricerca emozioni sempre più eccitanti. Incoraggiare poi un soggetto ansioso può indurlo ad un rafforzamento della sua ansia; c'è sempre da temere che egli prenda ancora più sul serio le sue preoccupazioni e finisca inestricabilmente avvolto nelle sue fissazioni.
Nella prassi educativa corrente si sono assolutamente persi di vista significato e tecniche di rimprovero. Di solito si assiste a rimproveri che non sono altro che sfoghi di aggressività o di fastidio verso i bambini, espressi con eccessiva tensione, nel primo caso, e con nevrastenia, nel secondo. L'esito è quasi sempre l'assoluta inefficacia (il bambino o il ragazzo non ascolta e scappa via) o la lite (genitori che litigano con i figli invece di sgridarli) o l'oppressione (bambini o ragazzi schiacciati dal peso di genitori inquisitori o intimidatori).
Il rimprovero è una comunicazione ingiuntiva e regolativa, non deve essere confusa con una comunicazione incoraggiante. Deve dunque essere espressa senza enfasi e senza tensione. Il rimprovero serve a criticare un comportamento negativo già agito o, più raramente, a prevenire un comportamento negativo sul punto di essere messo in atto. Per rimproverare occorre un tono fermo, deciso, autorevole che si esprime in una comunicazione breve, forte e centrata sui fatti concreti. Al rimprovero deve seguire un silenzio lapidario che fa entrare in profondità il messaggio appena lanciato: il contenuto del rimprovero viene assorbito e vengono analizzate, da chi riceve il rimprovero, le conseguenze di un comportamento.
Se, dopo il rimprovero, l'educatore si dilunga in una predica, la comunicazione perde efficacia; se esprime considerazioni e cerca consenso o di “farsi capire”, mostra la debolezza dei suoi contenuti; se "ricatta" affettivamente il bambino o il ragazzo (“se fai così mamma non ti vuole più bene”) squalifica l'intero rapporto interpersonale e produce incertezza; se cerca di consolare fa sentire l'altro ancora più in colpa.
La parte più difficile e faticosa della comunicazione di rimprovero non è infatti l'atto in sé, ma la gestione da parte dell'educatore dei suoi personali dubbi: l'onda di ritorno del rimprovero si gestisce facendo silenzio, esteriormente ed interiormente, soprattutto se il rimprovero si è concretizzato in una punizione. Per questo motivo non è possibile rimproverare con enfasi e aggressività.
Rimproverare con efficacia significa proporre una comunicazione breve, saggia e responsabile, legare il rimprovero ai fatti concreti, oggetto del rimprovero, e gestire bene all'interno del proprio sé le conseguenze del rimproverare. Chi rimprovera deve decidere con se stesso di essere fermo.
La comunicazione di rimprovero è efficace se ben diretta: essa serve a modificare i comportamenti negativi per far sì che un soggetto volubile e irresponsabile sia costretto a distaccarsi dal suo stato emozionale e riflettere sul suo comportamento o che un soggetto demotivato ed indifferente si vergogni del suo scarso impegno.
Vediamo distintamente i due principali personaggi (ed i loro modi di fare) che sono oggetto di rimprovero:
1) La persona volubile tende a passare da un'emozione all'altra, senza coerenza e senza stabilità e si ritrova ad essere perennemente insoddisfatto. Se ne avesse goduto, ne avrebbe ricavato soddisfazione e non ne ricercherebbe di ulteriori. L'intervento educativo su di lui mediante rimprovero serve a distaccarlo da azioni che, oltretutto, non gli danno nemmeno pieno gusto. Un bimbo vanitoso e chiacchierone mette in imbarazzo genitori ed estranei per le libertà che si consente con gli altri, non possiede freni inibitori e non riesce a distinguere modalità di comportamento tipici dell'intimità affettiva da quelle che appartengono alla maggior riservatezza della sfera sociale. Un bimbo che sta tenendo eccessivamente desta l'attenzione su di sé, buttando ripetutamente a terra il cappello del nonno, togliendo la cravatta allo zio con la evidente consapevolezza di fare una cosa "sconveniente", ma pretendendo per ciò l'applauso degli astanti, può essere distolto da un rapido ed efficace rimprovero seguito da un silenzio denso ed inequivocabile che non accetta repliche. Egli sarà proprio disattivato dalla mancanza di sostegno dell'ambiente alle sue performance.
L'intervento su di lui è prodotto attraverso la presa d'atto della concretezza dell'ambiente ed il silenzio gli farà notare che l'ambiente risponde a delle regole che lui non può rompere. Se il silenzio interiorizzante viene rotto, il rimprovero non funziona ed, anzi, induce sconcerto. Di fronte ad un bimbo che ha imparato a dire le "parolacce" si assiste spesso al divertito stupore della mamma e del papà, a cui subentra il rimprovero quando quelle espressioni di fronte ad estranei sono causa di imbarazzo. A meno che il clima delle relazioni e la confidenza con i presenti non determini, nuovamente, la possibilità di invitare il bimbo a dire le "cose sporche". In questo caso il rimprovero non è solo contraddittorio ma anche ambiguo ed incomprensibile per il piccolo che vuole determinare quel clima di gioco e di intimità connesso a tali espressioni. Il rimprovero rinforza la sua richiesta, perché gli appare come parte del gioco fino a condurlo ad eccessi di istrionismo: per sfuggire all'angoscia della fine delle emozioni, egli ricerca la fusione in altre emozioni senza più limite. Lo spegnimento dell'eccitazione fusionale, mediante rimprovero, serve a far percepire che la musica dell'ambiente è finita ed è inutile insistere.
2) Il soggetto pigro e demotivato nei confronti di qualunque attività non riesce a sviluppare interessi e vive distrattamente anche rispetto a se stesso, non sentendosi mai attirato da nulla. Il rimprovero lo muove dallo stato di quiete e lo richiama alla realtà, facendolo vergognare della sua pigrizia. Perché il rimprovero non corra il rischio di essere eccessivo e non infierisca, è bene che sia oggettivato in una sorgente terza rispetto all'educatore. "Devi rispettare gli appuntamenti con il dentista, non ti vergogni di quello che può pensare di te!". Naturalmente questa frase non può essere gettata lì, tra una cosa e l'altra, ma deve essere espressa nel momento in cui l'apatico non può svicolare, deve essere seguita da un silenzio carico di osservazione e di attesa e l'educatore non si deve allontanare né si distrarre ma restare, anche per lungo tempo, in attesa di risposta. Lo sguardo, la postura e il silenzio dell'educatore debbono esprimere l'indignazione attiva, non manipolabile. La vergogna, per essere stato rimproverato, può far crescere nell'apatico il conflitto con se stesso e spingerlo alla volontà di azione.
Occorre però porre molta attenzione a non rimproverare né le persone fragili né coloro che sono eccessivamente permalosi: dai primi il rimprovero è vissuto come oppressione, dai secondi come squalifica. In tutti e due i casi il rimprovero è spesso inutile e inefficace. In tutti e due i casi il rimprovero è dannoso.
Per i soggetti fragili e con scarsa autostima il rimprovero rappresenta una ulteriore ferita inferta da parte di una persona a lui cara, che lo indurrà a scivolare ancor più nella autocommiserazione, per i permalosi ed orgogliosi il rimprovero è una ulteriore incomprensione dei suoi blocchi e delle sue difficoltà (a farsi ben comprendere dagli altri). Dunque rinforzerà la sua solitudine.
Nel caso di soggetti molti reattivi si può ottenere con il rimprovero effetti del tutto contrari alle aspettative: reazioni polemiche, richieste assillanti di perdono o rinforzi alla personali chiusure. In tali casi è necessaria una modulazione del rimprovero ed un arricchimento delle sue valenze. Se un bambino piuttosto vergognoso ne ha fatta una grossa: ha disubbidito o ha sottovalutato un compito assegnatogli da un genitore, deve essere rimproverato, ma è necessario che chi lo faccia sappia modulare il timbro della voce, sappia presentargli una precisa analisi dei fatti che metta in discussione il suo errore e non lui come persona. Per il permaloso il rimprovero deve essere necessariamente accompagnato dall'ordine di compiere un'azione riparatoria, spiegando con chiarezza il significato che ha. La concretezza di un'azione gli fa "mettere i piedi per terra" e gli fa scoprire le necessità sue personali e di tutti. "Hai fatto tardi, e ci hai fatto far tardi, ora apparecchi la tavola tu!".
Per i soggetti reattivi è necessario accompagnare al rimprovero un messaggio di insegnamento ("Invece di lagnarti per aver lasciato a casa i tuoi giocattoli, pensa al fatto che ci sono bambini che non ne hanno mai posseduti!") ed esprimersi senza tensioni: una comunicazione chiara, analitica, precisa e pacifica. Una sorta di analisi dei dati di fatto, senza commenti.
In sintesi l'arte di rimproverare non è semplice e necessità di una seria riflessione prima di effettuare un rimprovero preventivo o correttivo. Soprattutto deve essere proposto in modo chiaro ed efficace, senza quegli eccesso di energia comunicativa che, invece di agevolare la autocritica del rimproverato, finiscono per innescare la sua suscettibilità
L'azione educativa di tranquillizzare svolge la funzione di spegnere le tensioni che impediscono decisioni lucide ed obiettive. Ha bisogno di tranquillizzazione sia il soggetto in preda all'ansia che quello agitato per paura, rabbia o generico nervosismo legato alla difficoltà di produrre prestazioni efficaci. Chi intende tranquillizzare deve riuscire ad essere una spugna senza restituire alcun segnale all'altro se non di comprensione e di apertura al fine di far proseguire più a lungo possibile il dialogo, senza modificarne il tono ed il ritmo. A tal fine deve fare assoluta calma dentro di sé e non deviare dal percorso comunicativo scelto dall'altro, non deve contraddire l'interlocutore, pur smorzandone i toni, e non deve cadere nelle inevitabili provocazioni che l'altro può rivolgergli.
Chi riesce efficacemente in una comunicazione tranquillizzante è un soggetto forte e calmo che non si accende e non si eccita ma si esprime trasmettendo pace. Destinatari di tal comunicazione sono gli ansiosi (per spegnere la loro ansia) e gli aggressivi (per calmare la loro tensione aggressiva).
La confusione ricorrente tra tranquillizzazione e sostegno impedisce la comprensione dei due processi comunicativi; la tranquillizzazione spegne, il sostegno orienta e guida verso le azioni corrette. La confusione non è solo nominale ma di sostanza giacché l'orientamento per un soggetto aggressivo o per un soggetto ansioso può produrre nuova tensione e disporlo all'azione anzitempo.
E' possibile smuovere dall'ansia (anche quando si è già trasformata in panico) verso l'attaccamento attraverso qualche evento capace di tranquillizzarlo. L'ansioso può essere liberato (temporaneamente) dal suo estenuante bisogno di sicurezza spingendolo verso l'esperienza dell'attaccamento.
Nei confronti di un bambino ansioso e spaventato può essere utile far esprimere dall'ambiente un segnale di sottomissione e di bisogno di cura. Un bimbo, che si difende dalla paura di un buio improvviso, può essere spinto all'attaccamento invitandolo a cercare di prendere in mano un suo orsacchiotto, illuminato da una pila o un accendino. Tale immagine è una presenza di tranquillizzazione e può stabilizzarlo attraverso il sentimento di tenerezza che sperimenta per l'orsacchiotto tutto solo. Ugualmente è possibile distogliere dalla paura e dall'ansia un adulto invitandolo ad interessarsi amorevolmente di qualcosa che ha bisogno delle sue attenzioni. La tranquillità dell'educatore orienta verso l'interesse di attaccamento ad oggetti, cose o ambienti che, se non presi in dovuta considerazione, potrebbero soffrirne o deteriorarsi.
La tensione rabbiosa ed aggressiva può essere tranquillizzata, invitando ad osservare qualche sorpresa interveniente nell'ambiente. L'energia e la carica dell'aggressività coinvolgono le persone in una pienezza da cui non è facile uscire: la tensione si autoalimenta attraverso il ruminamento ed essi trovano sempre un motivo valido per continuare ad essere carichi e non spegnersi. Nell'intervento di modificazione emozionale non si tratta di insegnare a spegnersi (questo è un obiettivo educativo di lunga durata), ma di agire situazionalmente sulla situazione di emergenza. Attraverso la presa in considerazione di stimoli ambientali, mediante la percezione della sorpresa, è possibile distogliere dal ruminamento interno e, con una comunicazione lenta e sicura, riuscire a tranquillizzare. La modalità comunicativa di chi tranquillizza deve assolutamente rispondere a due caratteristiche: estremamente lenta con grande attenzione a "staccare" le parole pronunciate l'una dall'altra con una pausa forzata nella frase ed estremamente concentrata verso l'altro, affinché "senta" di essere l'oggetto della comunicazione.
Il bimbo che sta distruggendo un giocattolo che non riesce ad aprire o che sta frantumando a morsi le tettarelle di un biberon, può essere distolto attraverso l'emozione della sorpresa, facendo comparire dinanzi ai suoi occhi un oggetto inusuale e sconosciuto. Lo spostamento verso la sorpresa è possibile mostrando con tranquillità la sorpresa medesima, affinché sia lui in prima persona ad attribuirle significato ed importanza.
Allo stesso modo, ma con un’attenzione ed una prudenza infinitamente superiore, può essere distratto dalla rabbia un adulto, spostando la sua attenzione su una notizia del telegiornale o facendogli pacatamente notare una situazione di interesse per catturare la sua attenzione.
La tranquillizzazione può miscelarsi con il sostegno solo laddove la persona che la riceva sia un soggetto che ha bisogno di conferme, e non solo a parole. Se empatizza di essere profondamente compreso può trovare una spazio per fermare i suoi conflitti interni tra l'attività ed il controllo della sua vita mentale. Una comunicazione tranquillizzante diventa allora anche coinvolgente. Ciò può indurre l'altro a "non agire", specie se la comunicazione contiene un richiamo ed una responsabilizzazione. "Fare calma" dentro di sé è comunque il motto obbligatorio per chiunque voglia tranquillizzare, altrimenti il suo dire ed il suo agire saranno inefficaci.
AAVV, Il Counseling Scolastico, Prevenire & Possibile, 2007.
MASINI V., Dalle Emozioni ai Sentimenti, Prevenire & Possibile,2009.
MASINI V., MAZZONI E., Manuale di Psicologia Relazionale Transteorica, Università degli Studi di Perugia.
TROIANI D., Training di Comunicazione Efficace e Analisi dei Bisogni per Assistenti Familiari Extracomunitari, Istituto Comprensivo “G.Parini”, 2006, www.prepos.it.
Fonte: http://www.prepos.it/DISPENSE/quattro%20laboratori%20per%20migliorare%20le%20relazioni.doc
Sito web da visitare: http://www.prepos.it/
Autore del testo: Daniela Troiani da QUATTRO LABORATORI PER MIGLIORARE LE RELAZIONI
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