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Che cosa aveva di speciale il miglior capo che abbiate mai avuto? O il miglior professore, il miglior conoscente, il miglior parente?
Chiudete gli occhi, sostate un attimo a pensare.
Probabilmente risponderete che vi sentivate bene con lui, che sapeva capirvi, intervenire al momento giusto, che comunicava bene, sapeva dire le cose con lo sguardo, con la mimica, con i silenzi, che difficilmente si alterava, aveva fiducia in se stesso e infondeva ottimismo, rispettava gli altri e veniva rispettato; se vi chiedeva una cosa lo faceva bene e voi avreste fatto di tutto per assecondarlo. Probabilmente direte che vi ha arricchito l'esistenza e che vi manca.
Con tutta probabilità anche altre persone pensavano più o meno le stesse cose di lui.
E il vostro peggior capo, professore, conoscente o parente, che cosa aveva di speciale o di cosa mancava in particolare?
Probabilmente direte che mancava proprio di quelle cose di cui il primo era ricco. Magari era egocentrico, presuntuoso, pretendeva troppo e lo chiedeva in malo modo, si alterava per un nonnulla, cambiava facilmente umore, sembrava volesse che il mondo ruotasse intorno ai suoi capricci o ai suoi problemi, interrompeva e parlava a lungo, svalutava le persone e così via. Certamente avete un ricordo avvilente di quella persona e vorreste cancellarlo dalla memoria.
Indipendentemente dalle loro doti intellettuali e dalle loro competenze tecniche, il primo aveva anche intelligenza emotiva e intelligenza sociale, il secondo invece, poteva magari essere un campione di dialettica o un superesperto nella sua disciplina, ma era un incompetente sotto il profilo emotivo e sociale.
A scuola ci hanno insegnato la grammatica, la storia, la matematica, la chimica, la ginnastica, le lingue e tante altre cose. Magari ci hanno dato una base professionale. Niente ci hanno detto su come parlare in pubblico, su come gestire l'ansia, su come lavorare in gruppo, su come canalizzare opportunamente le emozioni. Ci hanno insegnato competenze razionali, intellettive e tecniche, ma non ci hanno insegnato le competenze emotive e sociali. La scuola che si vuole "maestra di vita" non ci ha insegnato a vivere. Poteva? Non era costume, ma poteva. Può farlo oggi? Ci sono diverse cose da cambiare, negli indirizzi, nei metodi, nei contenuti e nelle competenze del personale docente, ma si può, eccome, e quanto sarebbe utile per i nostri ragazzi e per la convivenza civile ed anche per sostenere le competenze più direttamente produttive!
La formazione nelle organizzazioni di lavoro, sia pure in forma parziale e selettiva, si occupa anche di comportamento organizzativo e tratta competenze psico-sociali specifiche quali la comunicazione, la leadership, la motivazione, la delega, la flessibilità di fronte all'innovazione, il lavoro di gruppo, la gestione dello stress e diverse altre. Nei contesti più avanzati si parla di learning organisation ("l'organizzazione che apprende", vale a dire saperi e comportamenti collettivi e condivisi), in cui sono implicite competenze sociali. Si parla molto anche di empowerment (dare potere alle persone), che nella sua accezione di arricchimento delle competenze psico-sociali della persona che lavora, riconosce implicitamente la grande verità delle organizzazioni moderne:
di fronte ad una crescente complessità di gestione e alla dinamica ben poco prevedibile del cambiamento, non basta più una forte e sicura guida top-down, ma è necessario un'affidabile contributo di partecipazione e consenso bottom-up.
Per questo è indispensabile potenziare le capacità intrinseche della persona, per avere risorse umane più flessibili, più forti emotivamente, capaci di risolvere problemi con una certa autonomia, di assumersi rischi e responsabilità, di lavorare in sinergia con gli altri e di svilupparsi in autoapprendimento e non solamente con saperi somministrati dall'esterno.
La formazione psico-sociale non è comunque una prassi sufficientemente diffusa e congegnata in maniera organica. In particolare, ha spesso il difetto di parlare sulle competenze, ma non di cambiarle o svilupparle.
Eppure, come diremo più avanti, la necessità di sviluppare competenze emotive e sociali sta diventando sempre più una conditio sine qua non per la sopravvivenza ed il successo nella vita e nel lavoro di tutti. E questo vale sia per le persone che per le organizzazioni.
La sensibilità sul tema sta diffondendosi. Diversi libri sono già apparsi e stanno avendo un grosso successo. Fra questi citiamo come fondamentali i due testi di Daniel Goleman: "Intelligenza emotiva" e "Lavorare con intelligenza emotiva", editi in Italia con i tipi della Rizzoli.
Ma cos'è l'intelligenza emotiva e l'intelligenza sociale, come nasce, come si sviluppa, perché oggigiorno sta diventando sempre più importante, come si caratterizza una persona competente emotivamente e socialmente, quali sono le competenze distintive di tale intelligenza, e quali sono le capacità basilari?
Come si impara ? In particolare è possibile imparare le competenze emotive e sociali da grandi?
In questo lavoro apriamo una finestra generale su questi e altri quesiti correlati. Ed apriamo altresì alcune finestre specifiche su competenze emotive e sociali particolarmente importanti, sotto forma di schede sintetiche ed essenziali per capire. S'intende, parliamo di, non insegniamo le competenze. Non tanto perché non possano essere oggetto di insegnamento, anzi dovrebbero ben esserlo, a partire dalla scuola, ma perché non è con un libro o con un seminario breve che si possano correggere o sviluppare sostanzialmente competenze che, di fatto, sono abitudini comportamentali acquisibili in tempi relativamente lunghi e con un reiterato addestramento.
L'obiettivo è di mostrare il panorama ed il cammino. Al massimo di cominciare e fornire alcuni strumenti concettuali e di stimolo per l'autoapprendimento.
La notizia buona è che si può migliorare le proprie competenze emotive e sociali, tutti lo possono anche in tarda età. Non è necessario sconvolgere la propria struttura di competenze, anzi in genere è del tutto sconsigliabile modificare radicalmente il modo di essere e di comportarsi. Bastano spesso piccole modifiche nell'autoconsapevolezza e nel comportamento che la vita e l'impatto sul nostro contesto sociale cambiano radicalmente in positivo.
La notizia "cattiva", per modo di dire, è che ci vuole tempo, metodo, opportunità, motivazione e fatica.
COSA SONO L'INTELLIGENZA EMOTIVA E L'INTELLIGENZA SOCIALE
Molto semplicemente:
Intelligenza emotiva è il saper vivere con se stessi, con il proprio ambiente interiore (concetto di ecologia interna)
Intelligenza sociale è il saperci fare con gli altri, con l'ambiente sociale esterno (concetto di ecologia esterna)
Non a caso parliamo di ambiente. In senso antropologico, o se volete di evoluzione, intelligenza è la capacità di adattamento all'ambiente che varia. (Sopravvivono le specie che riescono a cambiare, o, meglio, quelle che riescono ad assicurare la trasmissione di una prole in un ambiente che cambia).
Da migliaia di anni ormai, per l'uomo l'ambiente di riferimento non è la natura o la fauna ostile, ma il mondo del sociale, o del politico se volete (è la stessa cosa o quasi). Per cui intelligenza è capacità di adattamento all'ambiente sociale: saper capire gli altri, saper comunicare, saper gestire il conflitto ecc. Ma per adattarci al sociale dobbiamo prima essere forti dentro, rispetto cioè al nostro ambiente interiore: aver fiducia in noi stessi, essere motivati, gestire le emozioni positivamente ecc.
Da un'altra prospettiva, l'intelligenza emotiva e sociale è la misura della maturazione della persona, cioè del livello a cui l'individuo è giunto nel percorso di apprendimento sociale, il cosiddetto processo di socializzazione, sia durante la socializzazione primaria in cui dipende da altri, di gran lunga il periodo formativo più importante, che durante la socializzazione secondaria, in cui pensa in maniera autonoma (all'incirca dopo i 12 anni). Rimane da discutere se e quanto sia intelligente socialmente chi si adatta perfettamente al proprio contesto sociale (col rischio magari di mimare un ambiente criminale o fanatico) o se per caso la persona veramente intelligente non sia quella che trascende, magari incorporandolo o rifiutandolo, il proprio contesto sociale, col rischio di passare per intollerante o rivoluzionario. A nostro parere, intelligente veramente è colui che sa vivere e interagire con i suoi e con chiunque, e sa al contempo riflettere e mettere sotto critica costruttiva la sua realtà sociale di riferimento.
L'intelligenza emotiva ha come oggetto le emozioni, gli umori, i sentimenti, i valori, gli atteggiamenti mentali, i pregiudizi radicati, le passioni, le motivazioni. Essere intelligenti emotivamente significa saper gestire questo mondo interiore in maniera positiva, equilibrata e finalizzata. In altre parole significa canalizzare l'energia e gli impulsi interiori nella direzione del nostro benessere e di un buon rapporto con gli altri.
Il mondo interiore delle emozioni è in larga misura radicato nel profondo dell'inconscio, e si rivela alle lenti del pensiero conscio attraverso un'attenta introspezione che porta all'autoconsapevolezza della nostra dinamica emotiva. Questa deriva dal disciplinamento sociale ricevuto e diventa auto-disciplina delle proprie forze e soprattutto degli impulsi istintivi, in particolar modo diventa attitudine a non lasciarsi sopraffare da emozioni, sentimenti e impulsi negativi e/o esagerati. Alla base di tutto c'è quindi l'apprendimento all'autocontrollo.
L'intelligenza sociale ha come oggetto la qualità dei rapporti con gli altri. È quindi un'intelligenza che si forma interagendo con il mondo sociale esterno. Essere intelligenti socialmente significa capire, interagire con e saper influenzare positivamente gli altri. Quindi significa saper ascoltare, saper comunicare, saper lavorare in gruppo, saper comandare ecc. Alla radice delle competenze sociali c'è una buona intelligenza emotiva e, in misura fondamentale, c'è la capacità di essere empatici nei confronti di terzi. L'empatia è la capacità di sintonizzarsi emotivamente e mentalmente con le persone con le quali interagiamo. Essa ci consente di "leggere", capire, compatire e influenzare i sentimenti e i pensieri degli altri e, in definitiva, di "convivere" bene.
PERCHÉ OGGI, PIÙ DI IERI, SONO COSÍ NECESSARIE
Molto semplicemente perché il mondo che ci circonda cambia con un ritmo sempre più veloce e la nostra capacità di apprendimento e di adattamento è in crisi di controllo permanente: siamo ormai in uno stato di apprendimento e di adattamento continuo.
Molti problemi, sia usuali che nuovi, sono risolubili con metodi ben conosciuti e collaudati o con l’esperienza: questa è la via dell'algoritmo (la formula o la procedura, che, se applicata correttamente, risolve il problema). Ma in altre situazioni l'algoritmo o la memoria di esperienze simili o non ci sono o non funzionano, perché mancano informazioni e conoscenze, c'è incertezza sui metodi, non si possono prevedere rischi ed esiti, eppur decidere bisogna. Anche problemi apparentemente usuali, si complicano sostanzialmente per il mutare di variabili ambientali. Ma poi, chi possiede oggigiorno tutti gli algoritmi utili? Persino gli esperti di settore non arrivano più a dominare tutte le situazioni con "la formula precostituita"?
E allora ?
In molte situazioni serve piuttosto un approccio "euristico" (letteralmente ricerca della verità, in pratica strategia di ricerca di soluzioni accettabili), che si avventuri in un cammino incerto, fatto di ipotesi, investigazioni, tentativi e opzioni possibili fino ad arrivare ad una risposta probabilmente ottimale e/o pragmaticamente accettabile. Questo modo di arrivare alle decisioni, genera ansia e paure, soprattutto se i tempi sono stretti o l'esito è percepito come importante. Inoltre si presenta spesso come un lavoro che abbisogna del contributo degli altri: consiglio, dialogo, lavoro di gruppo, negoziazione. Per cui oltre ad una competenza tecnica di più alto livello, in cui prevale il ragionamento ipotetico-induttivo, servono anche competenze emotive come il controllo dell'ansia e delle emozioni in genere e competenze sociali come il saper comunicare e saper lavorare con gli altri.
Si badi bene, si potrebbe dire: niente di nuovo sotto il sole. Da sempre i due approcci, algoritmico ed euristico hanno convissuto. Il problema è che il ritmo del cambiamento è aumentato e, con esso, il tasso di incertezza. Per cui servono approcci alla vita e al lavoro più flessibili, più di tipo euristico, in cui l'intelligenza emotiva e l'intelligenza sociale giocano un ruolo fondamentale.
Più vorticoso è il cambiamento e più debbono saltar fuori competenze adattive e pro-attive (che creano e anticipano la situazione, che non sono cioè solo di tipo reattivo o di aspettativa rispetto allo stimolo). Le competenze adattive e pro-attive (creatività, saper gestire il cambiamento, saper rapportarsi al diverso, automotivazione, grinta, negoziazione, saper vendere le proprie idee ecc.) sono per definizione nel novero delle competenze emotive e competenze sociali oppure sono competenze intelletive e/o tecniche fortemente impregnate di intelligenza emotiva e sociale (altrimenti non hanno impatto utile).
Beninteso servono sempre anche le competenze speculative e tecniche “pure”, eccome, ma in generale nell'epoca in cui stiamo vivendo, per il successo nella vita e nel lavoro, senza un buon bagaglio di intelligenza emotiva e sociale si rischia seriamente di finire nel novero dei perdenti.
Una volta non era così: il garzone della bottega artigiana doveva copiare esattamente le mosse del maestro e in questo modo si garantiva il successo economico per la vita. Una laurea o un diploma ed un posto fisso, davano un'agiata sicurezza per la vita. Ancora nei primi anni sessanta, l'ingegnere era il modello di tutte le forme di dirigenza in azienda, perché razionalità, pianificazione e organizzazione era quanto di più prezioso serviva all'organizzazione produttiva in quel periodo. Insomma fino ad alcuni decenni orsono, le competenze tecniche e razionali erano quanto bastava per il successo nel lavoro, ed il successo nel lavoro e nel reddito faceva sopportare eventuali incompetenze emotive e sociali della persona. Il massimo di soddisfazione che un giovane poteva dare ai suoi genitori era un 110/110 e lode nel corso di laurea, qualsiasi laurea. Con quel voto, i genitori sapevano anche che il loro ragazzo/a aveva aperto un credito sicuro per un buon posto di lavoro e per una buona carriera.
La scuola stessa, che pur vantava di essere maestra di vita, non insegnava, e tuttora insegna ben poco, competenze di relazione sociale e di controllo delle emozioni, ma solo saperi razionali e tecnici.
Quello era il modello di competenze vincente: bravura nel ragionamento e competenze tecniche specifiche. Non era proprio così in realtà. Anche in passato, le competenze emotive e sociali hanno sempre fatto la differenza, soprattutto nei ruoli di leader e nei rapporti affettivi. E succedeva anche in passato che i primi della classe non sempre funzionavano bene nel lavoro e nella vita di relazione. Quello comunque era il modello di formazione e di valutazione: essere bravi nelle competenze razionali e tecniche.
Da tempo ormai quel modello riduttivo è largamente sconfessato dalla realtà dei fatti. Servono ancora beninteso le competenze razionali e tecniche, ma ancor di più servono intelligenza emotiva e sociale. Ricerche e studi comparativi (v. i libri di D. Goleman) dimostrano largamente che il successo e il benessere psico-sociale di una persona, oggi, sono relativi soprattutto a quante e quali competenze emotivo-sociali essa possiede ad un livello di maestria. Oggi l'incompetenza emotivo-sociale, anche in presenza di un alto Quoziente di Intelligenza, significa fallimento e isolamento sociale.
Degli studiosi hanno seguito per molti anni la vita di ex-laureati ed hanno riscontrato che, a parità di QI e voti finali, coloro che possedevano delle buone competenze emotive e sociali, avevano avuto un successo nella vita e nel lavoro di dimensioni doppie, quadruple e anche più rispetto a quelli relativamente privi di tali competenze. Quelli poi più scarsi nelle competenze emotivo-sociali, erano di solito i protagonisti di storie di fallimenti disastrosi negli affari e anche nella vita privata.
Altre ricerche fra gruppi di venditori, fra candidati alla presidenza degli Stati Uniti e tante altre, dimostrano quanto ormai sia ineludibile, per sopravvivere e riuscire nella vita e nel lavoro, un buon bagaglio di competenze emotive e sociali. Come mai? L'abbiamo detto, tutto cambia velocemente intorno a noi e servono quindi sempre più capacità adattive e pro-attive, che mettono in gioco abilità emozionali e di relazione sociale.
Fenomeni come l'evoluzione delle tecnologie, la globalizzazione e la turbolenza dei mercati, i continui riassetti organizzativi del mondo del lavoro, la comunicazione planetaria permessa dal WEB, l'enorme accumulo di saperi da tempo ormai impossibile da perlustrare alla ricerca del meglio per noi, le angosce delle catastrofi nucleari, chimiche, batteriologiche, ecologiche e così via, non sono che alcuni dei concetti-immagine che illustrano il vorticoso cambiamento in atto.
Ormai è un dato di fatto: dobbiamo apprendere vita natural durante. Questo significa non solo apprendere saperi nuovi, come il computer o nuovi modi di lavorare, ma anche, anzi soprattutto, saperci adattare al nuovo e, possibilmente, creare condizioni o misure anticipatorie di controllo del cambiamento (concetto di pro-attività). Tutto ciò non si può più fare senza alcune competenze emotive e sociali fondamentali, come saper lavorare sotto pressione, saper lavorare in gruppo, gestire in maniera costruttiva le nostre emozioni, avere fiducia in se stessi, sapersi "vendere" e saper convincere, saper ascoltare e comunicare, saper motivare e automotivarsi e così via.
INTELLIGENZA O INTELLIGENZE ?
INTELLIGENZA: dal latino "intus legere" = leggere dentro
È LA CAPACITÀ DI PERCEPIRE, CAPIRE, APPRENDERE E CONOSCERE.
Esistono molteplici forme di intelligenza (e di memoria), che sono state acquisite in periodi lunghi di apprendimento e sono diventate in larga misura "abitudini", ma che sono pur sempre in evoluzione o involuzione continua. Nel loro insieme costituiscono il patrimonio di attitudini e abilità mentali e psico-sociali di una persona. Possiamo suddividerle in:
In generale, per il successo e il benessere nella vita e nel lavoro, le intelligenze che servono a tutti sono:
In passato, e in larga misura tuttora, si dava molta importanza alla sola intelligenza razionale. Era la sola oggetto di insegnamento nelle scuole.
Il quoziente di intelligenza QI, che misura solo competenze razionali, ed i voti scolastici erano il massimo indice di bravura ed anche il principale indicatore predittivo di successo nella vita e nel lavoro (in realtà non è mai stata una misura attendibile di successo ma così andavano le cose)
Oggigiorno, a causa soprattutto dei ritmi sempre più intensi del cambiamento e della complessità delle relazioni, che richiedono competenze di adattamento, flessibilità e apprendimento continuo, si sta prendendo coscienza, che ancor più che il QI e la bravura intellettiva, servono le forme di intelligenza che da sempre sono state quelle vincenti nella sopravvivenza e nell'adattamento all'ambiente: l'intelligenza emotiva e l'intelligenza sociale.
Anche le competenze inerenti all'intelligenza emotiva e all'intelligenza sociale, al pari delle competenze razionali e tecniche, possono, e debbono, essere insegnate e sviluppate, anche da adulti.
Perché ? perché conviene, eccome, e nella vita e nel lavoro.
Il mix di successo per lavori complessi è:
Da sempre, ma ancor più in tempi di cambiamento e turbolenza, il rapporto fra requisiti di soglia (competenze razionali e tecniche) e requisiti di eccellenza (competenze emotive e sociali), volge molto più in favore delle seconde. Le prime sono certamente importanti e necessarie, ma sono soprattutto le competenze emotive e sociali che fanno la differenza per il successo (v. ad esempio gli aneddoti e gli studi riportati nei libri di Goleman citati,
In linea generale, più il lavoro è complesso, più servono competenze emotive e sociali.
DAL CONCETTO DI INTELLIGENZA AL CONCETTO DI COMPETENZA
Il concetto di intelligenza è molto utile a livello intuitivo. Esso corrisponde al concetto di capacità come potenzialità di saper fare un qualcosa in qualsiasi situazione e tempo.
Per ragioni pragmatiche però, come nel caso dell'istruzione e dell'addestramento, conviene parlare di competenza, per la semplice ragione che questo concetto consente un aggancio alla realtà più preciso. Nella sua accezione più utile, una competenza non è semplicemente una capacità potenziale, ma è una capacità che può essere messa in pratica, trasformandosi nel concetto di abilità, inoltre tale abilità deve essere di fatto applicata in un contesto determinato e anche riconosciuta, come abilità utile, dagli altri co-attori del contesto di applicazione.
Graficamente:
Competenza è:
ABILITÀ dice che è un saper fare, non una semplice potenzialità.
APPLICATA dice che è diversa da luogo a luogo di applicazione, da tempo a tempo e aggiunge un requisito fondamentale per il consolidamento e lo sviluppo della competenza: l'esperienza reiterata che porta alla maestria.
RICONOSCIUTA dice che vale in un contesto di validazione sociale: famiglia, azienda, gruppo ecc., altrimenti rimane qualcosa di non provato o non creduto e quindi non verificabile e "non vendibile".
Pertanto noi continueremo a trattare i termini intelligenza, capacità, abilità e competenze come fossero sinonimi, ma mettiamo già qui un punto di attenzione: allorquando si tratta di intervenire per il cambiamento o per l'addestramento di persone o gruppi definiti, è opportuno parlare di "competenza" piuttosto che di "intelligenza" sociale ed emotiva, altrimenti si rischia di fare programmi vaghi e generici, che possono anche essere di qualche utilità ma che mancano sovente di pertinenza e di impatto e, a volte, sono addiruittura controproducenti.
Nelle pagine seguenti c’è un esempio di scheda di competenze specifica.
Dirigenti C.N.VV.F.: le competenze intrapersonali e interpersonali che servono
COMPETENZE INTRAPERSONALI (INTELLIGENZA EMOTIVA)
Tratto comportamentale |
Competenze specifiche |
Padronanza di se |
Saper gestire ansia ed emozioni in maniera ragionevole e proficua anche sotto tensione |
Saper gestire lo stress in condizioni di pericolo e di sforzo prolungato |
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Autodisciplina nel curare la propria forma psico-fisica (igiene di vita, esercizio fisico, prevenzione dello stress) |
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Saper temperare la foga di reagire e intervenire (in particolare quando sono in gioco autoprotezione e sicurezza) |
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Atteggiamento di tolleranza e autocontrollo di fronte all’aggressività altrui (non perdere le staffe) |
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Atteggiamento di tolleranza e comprensione verso opinioni diverse dalle proprie (interesse a capirle) |
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Capacità di temperare le reazioni esagerate di collera, di paura, di tristezza e di euforia |
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Attenzione all’altro |
Disponibilità ad ascoltare e capire l’altro (ascolto attivo) |
Orientamento mentale all’autoprotezione per se e per i propri uomini |
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Disponibilità ad immedesimarsi nell’altro (empatia, sintonizzazione) |
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Ragionevole amore e valorizzazione della propria persona, sempre in un rapporto di rispetto reciproco con gli altri |
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Disponibilità ad apprezzare il contributo degli altri |
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Saper pensare in termini di “sintalità” (noi come gruppo, come squadra, come Corpo) oltre che di individualità |
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Sicurezza, fiducia nei propri mezzi e |
Autostima (posso farcela, io sono O.K., gli altri sono come me, non mi lascio intimorire), ma non arroganza |
Capacità di e disponibilità all’autoapprendimento |
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Convinzione (grinta) controbilanciata dalla consapevolezza dei propri mezzi e limiti |
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Assertività (affermazione di se e delle proprie idee in termini costruttivi) |
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Entusiasmo (il piacere di lavorare e risolvere problemi) |
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Automotivazione (darsi la carica per superare le difficoltà) |
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Tensione |
Orientamento mentale verso la produzione di risultati concreti e di soluzioni (piuttosto che di colpe e problemi) |
Orientamento mentale verso la produzione di risultati insieme con gli altri |
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Disciplina alla preparazione e al rigore professionale (non sottovalutare il più semplice degli interventi) |
COMPETENZE INTERPERSONALI (INTELLIGENZA SOCIALE)
Tratto comportamentale |
Competenze specifiche |
Farsi capire |
Sapersi esprimere in maniera precisa, concisa e pertinente (comunicazione interpersonale) |
Attitudine a parlare per farsi capire (mettersi dalla parte di chi deve capire) |
|
Abilità nell’esporre le cose, anche in pubblico (public speaking) |
|
Concisione, chiarezza ed efficacia nella comunicazione scritta (comunicazione scritta) |
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Saper "leggere" il linguaggio del corpo e della voce (linguaggio del corpo e linguaggio paraverbale) |
|
Sapere interpretare lo stato d'animo altrui (linguaggio dell'atteggiamento) |
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Autorevolezza |
Saper”vendere” le proprie idee e convincere gli altri |
Capacità di influenzare il comportamento altrui facendo fare loro cose utili all’organizzazione e al compito |
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Saper comandare con autorevolezza e flessibilità piuttosto che in virtù dell’autorità conferita |
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Proporsi attivamente come “Coach” della propria squadra di lavoro e dei propri subordinati |
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Saper motivare i propri collaboratori |
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Saper delegare quando opportuno, possibile e senza pregiudizio concreto alla sicurezza |
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Saper decidere rischiando (in condizioni di rischio calcolato) |
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Fare squadra |
Atteggiamento di rispetto reciproco |
Saper concedere il diritto all'errore e saper sfruttare l'errore in positivo |
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Atteggiamento di sostegno reciproco e di azione sinergica con gli altri (la squadra) |
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Saper guidare un gruppo di lavoro o di studio |
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Saper preparare e condurre una riunione |
|
Sapersi astenere dai personalismi controproducenti |
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COMPETENZE INTERPERSONALI (INTELLIGENZA SOCIALE), continua
Tratto comportamentale |
Competenze specifiche |
Spinta al |
Attitudine a risolvere i problemi piuttosto che a cercare le colpe |
Saper trovare tempo, mezzi e risorse per pianificare, preparare, standardizzare , organizzare sia le attività di soccorso che le attività di prevenzione e quelle gestionali (da una cultura di sola crisi ad una cultura di ingegnerizzazione dei compiti) |
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Monitorare l’andamento dei progetti, degli studi, degli interventi e capitalizzare il know-how acquisito |
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Saper pensare in maniera pro-attiva, prevenendo e predisponendo e non solo reagendo agli eventi |
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Atteggiamento di sostegno alle idee innovative e di miglioramento |
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Essere modello ed esigere risultati di qualità |
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Saper promuovere la formazione permanente, l’autoapprendimento e il mantenimento della la forma psico-fisica del personale |
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Entusiasmo e piacere di produrre qualcosa di costruttivo e/o creativo , anche se la struttura o l’Amministrazione non supporta dovutamente |
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Saper gestire attività e tempo a disposizione |
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Dare immediato feedback positivo e, se necessario negativo, sulle prestazioni dei subordinati (non sulle persone ma sugli specifici compiti o prestazioni) |
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Spinta al risultato |
Saper vestire i ruoli istituzionali (Dirigente, membro di un gruppo, rappresentante pubblico di una Istituzione, leader istituzionale, leader "spontaneo", subordinato, partecipante a un gruppo di lavoro ecc.) |
Determinazione a raggiungere i risultati attesi |
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Saper ottenere lo stesso dai propri collaboratori |
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Capacità di promuovere l’immagine dell’Istituzione (Dipartimento e CNVVF) all’interno e all’esterno |
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Disponibilità ad offrire il meglio delle proprie competenze e del proprio impegno anche oltre il “dovuto”, se necessario |
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ALLA RADICE DELL'INTELLIGENZA EMOTIVA E SOCIALE
Alla radice della maestria nelle competenze emotive e sociali, ce ne sono due che sono di fondamento a tutte le altre:
fino alla padronanza di sé
fino ad una abitudine di orientamento al cliente (l'altro in generale)
1. Autodisciplina emotiva
Il primo apprendimento sociale è "questo non si può fare, questo non si deve fare così".
L'adattamento sociale comincia così, mettendo le briglie al soddisfacimento immediato degli istinti, degli impulsi e delle emozioni. Dal controllo degli sfinteri, al modo di comportarsi a tavola e di rispondere alle figure genitoriali, di comportarsi con l'altro sesso e così via.
Così impariamo a limitarci, a rinviare il godimento delle gratificazioni, a riflettere prima di reagire. Impariamo cioè un controllo e una disciplina delle spinte interiori e delle emozioni, che ci consente, se il processo va nel verso giusto, di governarle e di esprimerle con più opportunismo e poter così convivere bene con l'ambiente umano che ci circonda.
È un processo necessario, che a volte può produrre anche effetti negativi, come una eccessiva inibizione sociale, un eccesso di preoccupazione continua, di ansie e di paure senza oggetto. È come il freno e gli altri controlli di un automezzo, non è certamente prudente farne senza, ma neanche si può viaggiare con i freni sempre tirati o con il volante bloccato o, come capita in certe forme di disadattamento sociale, come lo stress, usare freno e acceleratore a sproposito e magari contemporaneamente. L'obiettivo "sano" di questo proceso di apprendimento è di farci acquisire la maestria di usare freno (e acceleratore) a proposito e con maestria.
Se il processo di apprendimento emotivo e sociale procede bene, arriviamo con il tempo a pensare su, a riconoscere e distinguere le emozioni che ci pervadono e la loro dinamica di insorgenza e decorso. Questo si chiama autoconsapevolezza emotiva. L'autoconsapevolezza emotiva consente un governo ancor più sofisticato delle passioni e degli impulsi.
Ecco allora che possiamo, non è detto che ci riusciamo bene, pervenire ad una buona padronanza delle energie emozionali , in definitiva alla padronanza di sé.
L'iter ideale è dunque:
coscienti, volti a dare risposte "adeguate" agli impulsi
La base di tutte le competenze emotive e sociali
Autodisciplina emotiva fino alla padronanza di sé
PENSARE SE STESSI: "CONOSCI TE STESSO"
ACUIRE LA PERCEZIONE INTRAPERSONALE
MOLTA E DIVERSIFICATA INTERAZIONE SOCIALE
(Ogni persona è fatta di un se stesso, di una memoria e dei sentimenti e pensieri che vanno verso e vengono dagli altri)
MA SAPERSI MUOVERE AGILMENTE TRA IL POLO DELL’INIBIZIONE E QUELLO DELLA DISINIBIZIONE, A SECONDA DELLE CIRCOSTANZE E CON OPPORTUNISMO,
SENZA MAI TOCCARE GLI ESTREMI.
IL PROBLEMA PIÙ SERIO È L’ECCESSO,
ECCESSO DI DISINIBIZIONE
E, ANCOR PIÙ SPESSO, ECCESSO DI INIBIZIONE
2. Empatia
È l'attitudine a sintonizzarsi con le emozioni, i sentimenti, le preoccupazioni e le prospettive degli interlocutori. In pratica è la capacità di "leggere gli altri", di saperli ascoltare, di "compatirli", di calarsi nei loro panni e di adattarsi al loro stato emotivo e mentale.
Empatia non è necessariamente simpatia, ma comprensione e immedesimazione. Quando due o più persone sono in empatia hanno lo "stesso pathos", e questo consente un "flusso" di comunicazione e sentimenti agevole e senza barriere.
È la competenza principe alla base di tutte le altre competenze sociali. Per essere accettato, per convincere, per influenzare, per lavorare bene con gli altri, per saper negoziare e comporre i conflitti, per guidare e comandare, per istruire con successo, bisogna avere la competenza di creare le condizioni di empatia.
Condizione essenziale per essere capaci di empatia è saper passare:
Si può chiamare anche ORIENTAMENTO AL CLIENTE
Laddove per cliente si intende ogni tipo di interlocutore: compratore, ascoltatore, allievo, amico, superiore, subordinato, collega, parente, paziente, gruppo e così via al quale vogliamo far acquistare qualcosa: idee, oggetti, convinzioni, fiducia, spinta ad agire ecc.
Altra condizione necessaria è:
E non solo la comunicazione verbale esplicita, ma anche, anzi soprattutto la
COMUNICAZIONE NON VERBALE:
È soprattutto attraverso il linguaggio non verbale che si leggono e si trasferiscono negli altri sentimenti, emozioni, stati d'animo, convinzioni profonde, pregiudizi.
Senza empatia è impossibile essere maestri di competenze emotive e competenze sociali.
EMPATIA
Avere la competenza dell’empatia
non significa essere sempre nei panni dell’altro e mai egoisti,
ma saper costruire un clima di fiducia e comprensione
Goleman spiega con una metafora forte, quella di un sequestro delle emozioni da parte dell’amigdala, l’espressione di sentimenti “primitivi”, non “educati socialmente”, spesso esagerati e controproducenti.
L’amigdala, o meglio, le due amigdale, destra e sinistra, sono ghiandole endocrine situate all’interno del cervello limbico, un cervello relativamente “antico” rispetto alla corteccia cerebrale e sede di specializzazioni funzionali di tipo, diciamo, “animalesco”, che abbiamo cioè in comune con molti animali superiori.
Le due amigdale in particolare hanno una funzione basilare nella gestione delle emozioni e dei sentimenti.
Fra le regioni cerebrali coinvolte nella gestione ed espressione delle emozioni ci sono, in maniera preminente, anche i lobi prefrontali della corteccia cerebrale (il cervello dell’elaborazione, del ragionamento).
Ora si danno due casi:
Molto sinteticamente le reazioni emotive hanno il seguente schema di funzionamento: l’input percettivo (esterno o interno) di pericolo, gioia, dolore o quant’altro viene trattato dai due talami, due strutture omologhe situate anch’esse nel cervello limbico. I talami mandano l’informazione anche alle amigdale. Le amigdale scatenano la risposta comportamentale. Ma lo possono fare in due maniere: in maniera diretta senza la partecipazione dei lobi prefrontali e allora sarà, come abbiamo detto, una risposta di tipo “animalesco”, oppure possono farlo in maniera mediata, cointeressando i lobi prefrontali e aspettando il segnale elaborato per così dire dalla ragione.
Le due modalità di risposta emotiva hanno entrambe ragion d’essere. La via talamo – amigdala – reazione immediata, velocissima, serve principalmente per le risposte di emergenza, quando pensare significa perdere tempo prezioso, come ad esempio scappare o attaccare di fronte ad un pericolo grave. Se ad esempio un muro mi sta crollando addosso, non mi conviene fare delle considerazioni sull’opportunità di scansarmi. Mi scanso d’impulso. Invece La via talamo – lobi prefrontali – amigdala - reazione mediata, più lenta di circa il doppio del tempo come velocità neurale (anche se si tratta di millisecondi), serve principalmente per le situazioni esistenziali che meritano di essere ragionate e per tutte le situazioni di rapporto sociale.
La vita sociale impone reazioni emotive “ragionate”, “educate”. Non è opportuno gridare di gioia in chiesa perché ho visto entrare il mio amore. Non sta bene dare un pugno ad una vecchia signora perché mi ha urtato in malo modo per strada. Non conviene farsi prendere dal panico perché si ha una sensazione di diarrea durante una riunione. Non è consentito spaccare la testa a qualcuno per farlo stare zitto. Sono solo esemplificazioni fra le tantissime che si potrebbero fare. In sostanza per convivere bene e con mutuo profitto conviene pensare prima di reagire, quasi sempre.
La metafora del sequestro emozionale di Goleman illustra quei casi limite in cui la reazione emotiva è solo impulsiva, con esclusione totale della via che passa per i lobi prefrontali. È come se, dice la metafora di Goleman, l’amigdala avesse sequestrato le emozioni escludendo qualsiasi possibilità di gestione ragionata. E allora succede che, in preda ad un “raptus”, una persona uccide il vicino che lo ha insultato. Poi magari si pente e non si da pace di come abbia potuto fare una cosa simile. Quello che è successo è che ha agito come accecato dalla rabbia, ovverosia dal dominio esclusivo dell’amigdala.
In fondo la metafora richiama l’ES di Freud, quella parte della nostra personalità che è inconscia e che non ragiona in termini di bene-male o giusto–sbagliato, ma ubbidisce solo all’impulso di soddisfare il piacere o di evitare il dolore.
La morale è che un sano addestramento sociale e personale al controllo degli impulsi, o, meglio, ad una gestione calibrata e situazionale (inibitoria e disinibitoria flessibilizzata), è d’obbligo se si vuole convivere bene ed essere efficaci nel gioco sociale. Come direbbe Goleman, non dobbiamo farci sequestrare le emozioni dall’amigdala, ma far sempre intervenire in qualche modo il ragionamento e le nostre competenze emotive e sociali.
PER COMINCIARE
Fonte: http://www.electra.unipg.it/download/Impianti%20elettrici%20per%20l'energia/simonetti%20cerquiglini/DG-INTELLIGENZA%20EMOTIVA%20E%20SOCIALE.doc
Sito web da visitare: http://www.electra.unipg.it
Autore del testo: Angelo Lombardini
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