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di
Marco Cannavicci
(psichiatra - criminologo)
La vendetta - è da sempre considerata come uno dei quattro principali moventi criminogeni. Questi sono: il piacere, l’odio, il vantaggio personale ed appunto la vendetta.
La vendetta nella società ha da sempre delle valenze sia culturali (come il diritto-dovere della vendetta) che psicodinamiche (è una emozione fisiologica) e psicopatologiche (la vendetta è il delirio del paranoico) in grado di produrre il comportamento vendicativo. La dinamica comportamentale della vendetta si compone di tre fasi: da una iniziale (a) esperienza di perdita subita si passa quindi da una (b) mancata gratificazione dei bisogni personali, in grado di produrre frustrazione, e quindi alla (c) liberazione di aggressività verso la ritenuta causa della perdita.
La vendetta è presente in tutte le epoche ed in tutte le culture. Nell’antica Grecia, ad esempio, tutti i drammi omerici si basano sulla necessità della vendetta: degli Achei per il ratto di Elena, di Achille ed Ettore per la morte di Patroclo, della strage dei Proci da parte di Ulisse per le insidie a Penelope.
E’ una dinamica sociale dunque presente fin dalle culture arcaiche, ove l’equilibrio infranto da una colpa originaria deve essere riparata attraverso il Diritto-Dovere del soggetto leso di rifarsi nei confronti del colpevole.
Il diritto di farsi giustizia da soli era ammesso in qualche modo anche dal nostro Codice Penale con l’ammissione della causa d’onore (reazione individuale). Inoltre è convinzione comune che la pena deve essere affittiva per il reo (deve soffrire come per vendetta), secondo la gravità del reato (la reazione collettiva).
Il comportamento vendicativo è praticato nelle sottoculture di varie regioni italiane (come nelle faide). E’ praticato nelle sottoculture della criminalità organizzata verso chi non rispetta quel codice di comportamento. E’ presente nelle conflittualità legate alla separazione ed al divorzio: l’odio verso il coniuge traditore può andare dalla distruzione di beni all’uso strumentale dei figli, fino all’omicidio.
Nella nostra cultura (ed in noi stessi) è diffuso ed ubiquitario il sentimento di vendetta nel riconoscere il DIRITTO ed il DOVERE di VENDETTA da parte del soggetto leso. La capacità di differire la vendetta è messa in relazione solo con l’opportunità utilitaristica di renderla più efficace (“la vendetta è un piatto da servire freddo”).
Di fronte alla frustrazione della perdita e della mancata gratificazione dei suoi bisogni il soggetto psicologicamente immaturo tende ad esprimere i propri sentimenti con vari tipi di reazioni emotive:
con l’esplosione risentita (come nel nevrotico), con il ritiro autistico (come nello psicotico), con il rabbioso risentimento paranoico oppure con il distacco e la rigidità degli schizoidi.
E’ la frustrazione narcisistica, la ferita nell’orgoglio, che scatena la vendetta. L’immaturo risponde alla frustrazione con un profondo sentimento di rivendicazione. Nell’individuo psicologicamente sano la frustrazione per la perdita subita si orienta verso altre direzioni.
Infatti bisogna essere in grado perdonare per non ammalarsi. Se, per la frustrazione che si ha dentro si diventa incapaci di amare, si finisce sempre per ammalarsi. Il passaggio dalla giusta punizione alla rappresaglia: ecco l’eccesso psicopatologico della vendicatività.
La vendicatività è un sentimento in cui è fortemente vissuto uno stato di malumore (disforia) che insensibile a qualsiasi critica e qualsiasi ragionamento. La persona vive in funzione della vendetta, ormai unico scopo di vita, e cerca qualsiasi occasione per pareggiare i conti con punizione o ritorsioni. Fa del male senza provare sensi di colpa, senza mostrare preoccupazione per le possibili conseguenze morali e sociali delle sue azioni. Sono aspetti psicopatologici simili allo sviluppo paranoide, con la differenza che il paranoide non chiede una ammissione di colpa.
La vendicatività è una passione intensa, prolungata per anni o decenno, può spaziare dalla gelosia e dall’invidia fino alla collera e rivendicazione. E’ uno stato passivo della volontà rispetto all’intensità della emozione, con la sopraffazione dei sentimenti sociali. Può essere messa in atto da tutti per la spinta di un teorico sentimento di giustizia che non si scontra con le componenti educative etico-morali.
L’impulso a vendicarsi - è legato al passato, ad un torto (vero o presunto) che è stato subito e che deve essere restituito. Stimola il narcisismo che è in ognuno di noi e che non viene contenuto dalla ragione. E’ attivato da una sofferenza che può essere sublimata solo con il perdono. La psicoterapia ad esempio stimola il perdono per liberare il soggetto dalla dolorosa vendicatività. Le energie pulsionali così liberate sono disponibili per finalità più utili e costruttive e per un piacevole adattamento alla realtà.
L’impulso a vendicarsi viene di solito superato con la sublimazione, meccanismo di difesa psicologico con cui l’IO della persona contiene gli impulsi distruttivi e li orienta in altre direzioni.
Dalla storia della letteratura abbiamo un esempio di sublimazione efficace: la Divina Commedia. L’opera è l’espressione della vendetta che Dante infligge ai suoi nemici mettendo in versi la legge punitiva del contrappasso. Tutto l’Inferno dantesco è una espressione dell’impulso alla vendetta. Una intuizione geniale della psicopatologia della vendetta lo troviamo nella metafora della morsa ghiacciata del lago in cui sono costretti due traditori e vendicatori per eccellenza: il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggeri. Il contatto forzato e costante con la fonte e l’oggetto dell’odio ha il risultato di alimentare all’infinito il desiderio di vendetta: il vendicatore non si sentirà mai appagato e “congelerà” la sua azione per sempre in quella morsa distruttiva, da cui non ne uscirà più. Dante sublima quindi il sentimento della vendetta attraverso la sua opera.
Il Desiderio di vendetta - Le persone incapaci di reprimere totalmente il desiderio di vendetta possono tuttavia attenuarlo ed agirlo in forme incruente o indirette. Come ad esempio nelle affermazioni: “ferito nell’orgoglio” dimostra vendicativamente il contrario (nello studio, nello sport, nel lavoro), oppure con la tragica identificazione con l’aggressore, ed anche con il “colpire per non essere colpito”. Inoltre i desideri di vendetta sono alla base di una ossessiva ricerca di perfezione e di ambizione nevrotica.
I bisogni vendicativi e sadici in alcune persone spesso si confondono ed il modo per raggiungere la “gloria” diventa quello di umiliare gli altri in modo distruttivo: “se io non posso, allora neppure tu potrai”.
Quanto più è immaturo e primitivo il livello di maturazione delle persone tanto più questi tendono a raggiungere la meta della vendetta mediante la distruzione. Quanto più la persona è immatura tanto più si lascerà andare alla rappresaglia. La rappresaglia non rende la pariglia, ma cerca solo un colpo più forte.
La vergogna - la vergogna è un sentimento che fa vivere i rifiuti degli altri come delle ferite narcisistiche e induce a rispondere con rabbia. Chi ha subìto una offesa narcisistica non avrà riposo finchè non avrà “vendicato” chi ha osato opporglisi e dissentire. L’orgoglio del nevrotico non considererà mai l’offesa sufficientemente ripagata e questo provocherà una sofferenza continua auto ed eterodistruttiva (come nel lago congelato di Dante). Inoltre una ulteriore espressione patologica della vendetta è il suicidio per sdegno.
Psicodinamicamente possiamo dire che lo sviluppo morale della persona (il SUPER-IO) generalmente blocca la vendetta (l’impulso dell’ES), provocando dubbi ed incertezze nel comportamento (l’IO). Un esempio del dubbio della vendetta è nelle parole di Amleto (“essere o non essere” che in fondo è vendicarsi o non vendicarsi contro lo zio per la morte del padre). Il dubbio sulla vendetta spesso sposta il comportamento su condotte moralmente e socialmente accettate (dall’IO e dal SUPER-IO) come l’ironia, il sarcasmo, la satira.
La società chiede a chi ha subito un torto di razionalizzazione i suoi impulsi vendicativi. La religione chiede una moralizzazione degli impulsi e degli istinti per interpretare gli eventi in accordo con i propri modelli etici (vendetta = giustizia).
Secondo le regole sociali è vendetta quando la giustizia ha un carattere privato. E’ punizione quando la giustizia ha un carattere collettivo.
Manifestazione innata dell’aggressività umana, la vendetta quindi risponde all’innata esigenza di ristabilire un equilibrio alterato dal un crimine. Nell’evoluzione delle dinamiche sociali la società civile si è fatta carico di rispondere a questa esigenza attraverso delle autorità costituite: i tribunali.
In questo modo si sottrae agli individui l’iniziativa della ritorsione e si applica la sanzione in nome della collettività.
Nel 620 a.C. ad Atene Dracone vietò ai suoi concittadini di vendicarsi privatamente dei torti subiti. Fino ad allora la vendetta personale era un dovere sociale. Questa esigenza produceva sia un eccesso di distruttività vendicatrice che sensi di colpa per l’aggressività liberata. Saranno le Leggi ed il Diritto (proiezione esterna del SUPER-IO) a controllare e reprimere gli istinti ed i comportamenti antisociali.
1. può attingere a moventi di natura patologica senza essere considerato un atto patologico.
2. può assumere tratti di eccezionale violenza e distruttività senza derivare da una condizione di “infermità mentale” rilevante ai fini forensi.
3. può assumere i valori culturali della società civile sulla base del “senso comune” in modo da attribuire al gesto la scusante di un “vizio di mente” non motivato sul piano psichiatrico.
4. di fronte alla complessità del problema gli strumenti della psichiatria forense sono inadeguati e limitati; ciò rende possibile errori diagnostici e valutativi per la multi-dimensionalità del fenomeno.
5. dovendosi confrontare un gesto, un atto, un comportamento sia con le leggi umane della psiche che con le leggi sociali della civiltà giuridica.
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Fonte: http://www.cepic-psicologia.it/contributi/LA%20VENDETTA.doc
Sito web da visitare: http://www.cepic-psicologia.it
Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine
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