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In queste pagine sono trattate le tematiche relative alla coppia dalla sua formazione alla crisi.
La finalità delle questioni qui descritte, data la loro brevità, non sta certo nell’esaurire l’argomento, bensì nell’intenzione di fornire spunti di riflessione su tematiche e problematiche che prima o poi, indirettamente o indirettamente, diventano pressanti nella vita di ciascuno.
“Capaci di amore non sono mai coloro che stanno in attesa dell’amore della loro vita, ma coloro che lo creano trasformando il reale secondo il loro ideale. Insomma, l’oggetto dell’amore non preesiste all’amore, ma è da esso creato” (Galimberti U., Le cose dell’amore, Feltrinelli, 2005).
In altre parole, l’amore non è una condizione passiva, ma una costruzione attiva, che trasforma una realtà di per sé insignificante in un evento straordinario.
Nell’innamoramento (talvolta preludio dell’amore) l’Io può divenire umile e poco esigente
e la persona amata sempre più magnifica, più preziosa, fino a impossessarsi, da ultimo, dell’intero amore che l’Io ha per sé, di modo che, come conseguenza naturale, si ha l’auto sacrificio dell’Io.
Ovvero, non ci si può innamorare, se non si idealizza la persona amata, se la fantasia non interviene a farne qualcosa di unico.
Quindi, l’amore è un processo spiritualmente estetico, che espone il sé alla contemplazione da parte dell’altro e viceversa. L’amore è infatti strettamente legato alla percezione del bello poiché mediante l’esperienza dell’amore ogni circostanza e ogni aspetto della quotidianità vengono percepiti più armoniosi.
Nell’età della tecnica l’amore sembra esser diventato l’unico spazio in cui l’individuo può esprimere davvero se stesso al di fuori dei ruoli che è costretto ad assumere in una società tecnicamente organizzata.
Questo spazio, essendo l’unico in cui l’Io può dispiegare se stesso e giocarsi la propria libertà fuori da qualsiasi regola e ordinamento precostituito, è diventato il luogo della radicalizzazione dell’individualismo, dove uomini e donne cercano nel Tu il proprio Io e nella relazione non tanto il rapporto con l’altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio Sé profondo, che non trova più espressione in una società tecnicamente organizzata, che declina l’identità di ciascuno di noi nella sua idoneità e funzionalità al sistema di appartenenza.
Per effetto di questa situazione nella nostra epoca spesso l’amore diventa indispensabile per la nostra realizzazione, come mai lo era stato, e al tempo stesso impossibile, perché nella relazione d’amore ciò che si cerca non è l’altro, ma, attraverso l’altro, la realizzazione di Sé.
L’amore perde, così, tutti i suoi legami sociali e diventa un assoluto (ab soluto = sciolto da), in cui ciascuno può liberare quel profondo se stesso, che non può esprimere nei ruoli che occupa nell’ambito sociale.
L’amore diventa la misura del senso della vita e non ha altro fondamento che in se stesso, negli individui che lo vivono, i quali nell’amore rifiutano il calcolo, il raggiungimento di uno scopo, persino la responsabilità che l’agire sociale richiede, per perseguire quell’autenticità, spontaneità, intimità, che nella società non è più possibile esprimere.
L’amore viene deificato, diventa l’unico ricettacolo di senso rispetto ad una vita considerata alienata, lo spazio per l’esercizio della propria libertà fino ai limiti dell’anarchia: perché là dove il diritto del sentimento è considerato come assoluto e divinizzato come unica e autentica via per la realizzazione di sé. nulla ci difende dalla natura del sentimento, che ha come caratteristiche l’instabilità e la mutevolezza.
Come unico spazio rimasto per essere veramente se stessi, l’amore appare come la sola risposta all’anonimato sociale e a quella radicale solitudine determinata, nell’età della tecnica, dalla frammentazione di tutti i legami.
Di conseguenza, l’amore, più che una relazione all’altro,appare come un culto esasperato della soggettività, in perfetta coerenza con l’individualismo, a cui non cessa di educarci la nostra società, nella quale l’altro è solo un mezzo per l’accrescimento di sé.
In sintesi, l’amore, che all’individuo appare come salvezza residua da questo scenario ineluttabile, finisce paradossalmente per confermare questo stesso scenario nel regime dell’intimità, dove il Tu è funzionale all’Io, proteso alla ricerca di sé e al proprio riscatto
Quando l’intimità è cercata per sé e non per l’altro, l’individuo non esce dalla sua solitudine e, tanto meno, dall’impermeabilità affettiva e dall’inalterabilità ostinata della sua identità.
Ma l’amore è una sorta di rottura di sé, affinché l’altro ci attraversi: non una ricerca di sé, ma dell’altro, che sia in grado (naturalmente a nostro rischio) di spezzare la nostra autonomia, di alterare la nostra identità, squilibrandola nelle sue difese.
L’altro, infatti, mi incrina, mi espone, spezza le mie rigidità, mi altera: senza tale alterazione, come posso essere attraversato dall’altro, che è il solo che può consentirmi di essere, oltre che me stesso, altro da me?
Senza tale alterazione, come posso evolvere e crescere e espandere il mio Io, facendolo diventare, Noi nel rapporto con il Tu?
Per essere davvero il contro altare della tecnica e della ragione strumentale che la governa, l’amore non può essere la ricerca di sé, che passa attraverso la strumentalizzazione dell’altro, ma deve essere un’incondizionata consegna di sé all’alterità, che incrina la nostra identità, non per evadere dalla nostra solitudine, né per fondersi con l’identità dell’altro, ma per aprirla a ciò che noi non siamo.
Per questo diciamo che amore è violazione dell’integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell’uomo, per andare al di là dell’Io, per trascendere la soggettività.
“Se ti sei innamorato una volta, sai ormai distinguere la vita da ciò che è supporto biologico e sentimentalismo, sai ormai distinguere la vita dalla sopravvivenza. Sai che la sopravvivenza significa vita senza senso e sensibilità, una morte strisciante. Mangi il pane e non ti tieni in piedi, bevi acqua e non ti disseti, tocchi le cose e non le senti al tatto, annusi il fiore e il suo profumo non arriva alla tua anima.
Se, però, l’amato è accanto a te, tutto improvvisamente risorge e la vita ti inonda con tale forza che ritieni il vaso di argilla della tua esistenza incapace a sostenerla.
Tale piena della vita è l’Eros. Non parlo di sentimentalismi e slanci mistici, ma della vita che solo allora diventa reale e tangibile, come se fossero cadute squame dai tuoi occhi e tutto si manifestasse per la prima volta, ogni suon venisse udito per la prima volta e il tatto fremesse di gioia alla prima percezione delle cose.
Tale Eros non è privilegio dei saggi. è offerto a tutti con pari possibilità ed è la sola pregustazione del Regno, il solo reale superamento della morte, perché solo se esci dal tuo Io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro di Lui.”
(Kristos Iannaras, Variazioni sul Cantico dei Cantici, Interlogos, Schio, 1994)
In altre parole, l’amore non protegge: espone, affinché accada la vita, che l’esistenza, con tutto il suo sistema protettivo, contrae e chiude.
Il momento culminante dell’esposizione amorosa consiste nell’apice dell’amore. In esso, l’Io e il Tu si dissolvono e si verifica una rinuncia all’Io e al proprio corpo che lo rappresenta nel mondo. Questa rinuncia al proprio Io e all’immagine del proprio corpo è resa possibile dalla fiducia nell’altro, senza la quale non potrebbe essere superata la profonda angoscia, che l’orgasmo possa condurre alla perdita di sé come nella morte. La fiducia reciproca garantisce il ritorno e l’assenza di essa può inibire l’atto sessuale o interromperlo o lasciare, dopo esso, un senso di vuoto, che, affonda le radici nel passato dell’Io e le rappresenta nella fragilità del Noi.
Per tale ragione, nell’innamoramento (e non nel gioco seduttivo o nella pura attrazione sessuale) si attiva il pudore, inteso come riservatezza e, talvolta, quasi ritrosia.
Infatti, non è vero che il pudore limita la sessualità: il pudore la individua Sottraendola a quella genericità in cui si celebra esclusivamente il piacere corporeo, l’urgenza fisiologica.
Per questo, talora, c’è un rifiuto a concedersi sessualmente finché l’amore non è certo e provato, soprattutto nella donna in cui il legame con il corpo e la funzione riproduttiva è più forte di quanto non sia nell’uomo e, quindi, più incerto il confine del riconoscimento di sé.
A volte, la ritrosia può anche ripresentarsi successivamente in una coppia di lunga durata, quando i cambiamenti del corpo o le disattenzioni di uno dei partner provocano insicurezza, o quando il rapporto sessuale diviene, più o meno consapevolmente, lo strumento di un gioco di potere di una parte (solitamente quella femminile) verso l’altra.
Tuttavia, in genere Il pudore è quel sentimento che consente di scegliere chi risponde al riconoscimento dell’individuo, alla sua specificità fin dentro alla sua intimità, che lo rende unico e inconfondibile. è la protezione, vinta la quale gli innamorati, affidandosi reciprocamente l’uno all’altro, entrano nelle rispettive corazze.
In tale prospettiva, l’amore non consiste nel bisogno di essere amati: il vero amore è un sentimento che richiede un personale impegno,un nutrimento costante per cui chi vuol essere amato deve prima imparare ad amare per riuscire perfino ad accettare il rischio della delusione e della solitudine.
Perciò, solo nel caso in cui la persona accetta di rischiare, perché sente che l’altro la riconosce, l’atto sessuale diventa un incontro intimo, la conoscenza profonda di due anime, che desiderano condividere e condividersi. La vertigine, che ogni atto sessuale porta con sé, ha bisogno della presenza dell’altro, come memoria della realtà che si lascia e possibilità di un ritorno dal mondo estraneo a cui ci si è concessi nella dissolvenza dell’Io. In tal senso, quello che chiamiamo godimento dell’Io, in realtà, è il suo disfacimento, perché sia consentita quell’apertura inquietante, che si annuncia con i toni forti della vita e della morte, per quel che eravamo e che, dopo ogni atto d’amore, non siamo più. O si passa attraverso questa vertigine, o il gioco resta epidermico, senza spessore, senza profondità.
La sessualità non è carne, ma desiderio. Ciò a cui tende non è l’orgasmo, ma l’incontro con l’altro.
Perché solo desiderando l’altro o sentendomi oggetto di desiderio io mi scopro sessuato: sono nell’essere riconosciuto dall’Altro che è importante per me, io posso scoprire parti di me, metterle alla prova, consolidarle o rifiutarle.
In questa prospettiva, non è il cambiamento a degradare l’amore.
Esiste un fenomeno socialmente appreso (fin dall’infanzia), a causa del quale operiamo una limitazione della capacità di desiderare, di sostenere il desiderio, che viene visto come qualcosa di negativo, di eticamente sbagliato “l’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del Re”.
A causa di questo appreso, a volte, dove amiamo, non proviamo desiderio. Dove proviamo desiderio, non possiamo amare. Così, privo di desiderio, l’amore garantisce tenerezza, intimità, sicurezza, ma non prevede l’avventura, l’emozione, l’attrazione. Dal canto suo il desiderio senza amore è stimolante, vibrante, ma non ha l’intensità e il senso di un’elevata posta in gioco, che rendono profonda la relazione.
Di qui nasce, per esempio, il successo dell’amore on line. La fantasia di scatenare il proprio desiderio con una persona che non c’è, offre non solo la possibilità di esplorare il proibito e il precario, ma anche la possibilità di fantasticare sul proibito e sul precario da un luogo più sicuro rispetto alle nostre relazioni reali, nelle quali non intendiamo permettere a noi stessi di destabilizzarci.
Il timore di essere destabilizzato riguarda, solitamente, gli uomini, che, per esempio, soffrono maggiormente di perdita di identità nel caso di separazione e divorzio.
La donna, dal canto suo, è più disponibile ai cambiamenti, pur essendo spaventata dai condizionamenti sociali sul ruolo femminile, coniugale e materno.
Pertanto, per conciliare il bisogno di sicurezza e il desiderio di avventura è necessario accorgersi e accettare il cambiamento quotidiano che ogni abitante della casa subisce, un cambiamento che riconfigura la quotidianità, sbilancia la familiarità, infrange le abitudini, rende insolito e nuovo il tempo.
In quest’ottica, la familiarità, la quotidianità, la prevedibilità sono i prodotti della nostra disattenzione all’altro,strumenti che usiamo per spegnere la curiosità e la passione, ingredienti del desiderio, allo scopo di garantirci la sicurezza. Per garantirci un partner sicuro e prevedibile, ignoriamo i cambiamenti e i nuovi desideri dell’altro, barattando la felicità con la stabilità per timore dell’ignoto. L’abitudine (necessaria nelle fasi della gravidanza e allevamento dei figli) rassicura, ma, protratta nel tempo, uccide il desiderio e spegne il piacere di conoscersi, condividere, confrontarsi.
Così, quando cerchiamo di assicurarci una certa stabilità, screditiamo le idealizzazioni, che ci consentono di desiderare e diciamo di noi che siamo più saggi e siamo più maturi.
Al contrario, dovremmo persuaderci che l’esperienza umana è per natura mutevole,, accettando che ognuno di noi va incontro ad un cambiamento continuo, che la sicurezza è una nostra fantasia, che cerchiamo di realizzare immobilizzando l’altro in un nostro schema, mentre l’avventura che promuove il desiderio è la realtà.
Nella coppia il cambiamento più temuto è il tradimento, tradimento che non è solo sessuale, ma anche sentimentale e spirituale.
Chi instaura una relazione extraconiugale crea un grave squilibrio nella coppia, dal momento che rompe il patto di fiducia e intimità reciproca, provocando una grande sofferenza, spesso in entrambi.
Il tradimento è una rottura del patto di alleanza e può essere vissuto dal tradito con la perdita dell’autostima e della fiducia in se stesso, oltre che nel partner.
D’altra parte, va sottolineato che una cosa è l’infedeltà (prodotto di un impulso temporaneo e transitorio, che riguarda esclusivamente chi tradisce) e una cosa è il tradimento vero e proprio, in cui si instaura una relazione affettiva extraconiugale e in cui è presente il desiderio di liberarsi del precedente rapporto.
Nel primo caso sarebbe opportuno che chi tradisce fosse capace di tenere per sé un episodio che, sebbene eticamente disdicevole, può essere semplicemente il prodotto di un momento personale difficile e non l’indicatore di una crisi di coppia.
“Confessare” in nome di una improbabile sincerità, in questi casi, mostra l’incapacità di assumersi la propria responsabilità, costringendo il partner a condividerla e, magari, accusandolo di incomprensione, laddove non fosse capace di perdonare.
Nel caso in cui, al contrario, chi tradisce instauri una relazione extraconiugale duratura, dichiarare la crisi del rapporto è un indice di responsabilità e rispetto per l’altro, a cui,altrimenti, viene falsificata la quotidianità, oltre che tradita la fiducia.
Laddove colui o colei che ha tradito desideri, tuttavia, rinsaldare il rapporto di coppia, deve essere disponibile ad aspettare e ad affrontare il dolore e la rabbia dell’altro, che dovranno essere espressi, anche vivacemente, prima di poter essere metabolizzati.
Infatti, in qualunque modo, è inevitabile in un rapporto di coppia, prima o poi, deludersi e/o tradirsi: di conseguenza, è inevitabile trovarsi di fronte al bivio del perdonarsi o meno.
Il perdono è il prodotto di un processo di presa di coscienza dei rispettivi vissuti e delle rispettive ragioni, che porta al ripristino della fiducia reciproca.. riconoscendo il tradimento e passando oltre, il perdono toglie all’amore il suo aspetto più infantile, cioè l’ingenuità e l’incapacità di amare appena si annuncia un problema. Del resto, senza l’esperienza del tradimento, né fiducia, né perdono acquisterebbero realtà e significato.
Lo stimolo creativo presente nel tradimento dà i suoi frutti solo se è l’individuo tradito a fare un passo avanti, dandosi da sé una spiegazione del tradimento.
D’altra parte, ogni volta che siamo in relazione con l’altro, mettiamo in campo anche il desiderio di non annullarci nell’altro. Vogliamo essere con l’altro, ma, nello stesso tempo, per salvaguardare la nostra individualità, vogliamo non esserci completamente, perché l’amore è una relazione, non una fusione. Se, infatti, non esistessimo come individualità autonome, non solo non potremmo metterci in relazione con l’altro, ma non avremmo nemmeno nulla da raccontare all’altro, fuso simbioticamente con noi.
Tutto questo per dire che l’amore non è possesso, perché il possesso non tende al bene dell’altro, né alla lealtà verso l’altro, ma solo al mantenimento della relazione che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di sé, si sacrifica in cambio della sicurezza.
Non sappiamo più chi siamo, ma siamo insieme ad affrontare il mondo.
Nel Noi non ci si può seppellire come in una tomba: ogni tanto bisogna uscire, se non altro per sapere chi siamo senza di lei/lui. Solo gli altri, infatti, ci raccontano le parti sconosciute di noi.
Quel che si imputa al traditore è di esser diventato diverso e di muoversi non più in sintonia con il tradito. Solo se si accoglie il cambiamento dell’altro come sfida a ridefinirsi e a ridefinire la relazione, il cambiamento non è più percepito come tale.
Tradire significa svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario.
In ogni addio c’è lo stigma del tradimento e dell’emancipazione, c’è il lato oscuro dell’amore che, però, è anche ciò che gli dà significato e lo rende possibile
La fedeltà sessuale è un valore che conferisce un particolare carattere alla relazione. Il fatto di condividere un’esperienza talmente personale come l’atto sessuale con un solo partner, crea un’intimità che non può essere raggiunta con nessun altro. In questo modo si crea uno spazio che appartiene solo alla coppia, a cui nessun altro può accedere. Il rapporto di coppia diventa così qualcosa di speciale rispetto a tutti gli altri rapporti, qualcosa di unico.
La fedeltà non contrasta necessariamente con l’autorealizzazione. Probabilmente è legata alla rinuncia e all’imposizione di limiti. è proprio la capacità di porsi dei limiti, che distingue l’adulto saggio ed empatico, dall’adolescente egocentrico e affetto da delirio di onnipotenza.
L’amore matura e diventa vera dedizione se lo si riesce a concentrare su una sola persona. Ciò presuppone un’intensa e intrinseca motivazione verso l’altro,verso quella persona specifica e
produce un legame impossibile da raggiungere in altre relazioni.
Peraltro, è necessario tener presente che la profondità dell’amore non corrisponde sempre alla felicità personale. Infatti fedeltà significa anche rinuncia, ovvero impegno e responsabilità.
La responsabilità consente di aver cura dell’altro e l’impegno carica di entusiasmo il riconoscimento reciproco, la reciproca sima e il reciproco affetto, che nella coppia devono essere interdipendenti, per generare un’atmosfera priva di legacci, imposti dall’esterno.
Solo in questo modo la tolleranza e la pazienza reciproca possono divenire armoniosa condivisione di tempi e rispetto per gli spazi individuali.
Denis De Rougemonde, nel saggio “L’amore e l’Occidente” (in Galimberti) dice:
”La fedeltà è assurda almeno quanto la passione: ma dalla passione si distingue per un costante rifiuto di subire i suoi estri,per un costante bisogno di agire per essere amato, per una costante presa sul reale che cerca non di fuggire, ma di dominare. Dico che una fedeltà così intesa fonda la persona, perché la persona si manifesta come un’opera, essa viene edificata alla maniera di un’opera, con gli stessi criteri, dei quali il primo è la fedeltà a qualcosa che non esisteva ma si viene creando... La fedeltà di cui parlo è una follia, ma la più sobria e quotidiana, una follia di sobrietà che mima abbastanza bene la ragione, che non è né eroismo né una sfida, ma una paziente e tenace applicazione.”
L’individualismo che caratterizza la nostra cultura ha fatto sì che l’amore non abbia altro fondamento che in se stesso, cioè nell’individuo che lo vive in base alla sua personalissima idea di felicità.
L’attuale autonomia dell’amore non riconosce altra autorità che non sia la decisione soggettiva, sia nel matrimonio sia nel divorzio, caratterizzati entrambi dal rifiuto del calcolo, dell’interesse, fino al rifiuto dell’accordo, della responsabilità, della giustizia a favore della autenticità del sentimento, della sua incondizionatezza. Assolutizzato e slegato da ogni referente sociale, giuridico, religioso, l’amore oggi si annuncia come promessa di eterna felicità o guerra senza frontiere: perché così è quando a promuovere l’amore sono le esigenze di autorealizzazione fondate sulla cieca intensità del sentimento. Nella cultura del consumismo come la nostra, la libertà non è più in una linea d’azione che porti all’autorealizzazione, ma è la scelta di mantenersi aperta la libertà di scegliere, dove è sottointeso che le identità possono essere indossate e facilmente dimesse come il consumismo ci ha insegnato a fare con gli abiti.
Se l’amore /passione, che alimenta sia la visione romantica sia quella mistica, è una sorta di evasione dal mondo per toccare il sogno e la felicità assoluta, l’amore/azione, che fonda il matrimonio non evade dal mondo, ma assume il proprio impegno in questo mondo.
Questo è comprensibile se si concepisce l’amore non come uno stato, ma come un atto, che invece di divinizzare il desiderio e la sua incontenibile brama, invece di rendergli un culto segreto e aspettarsi un misterioso accrescimento di gioia, sta alla parola data e prende a costruire scenari d’amore quotidiani in cui i principi non diventino regole comportamentali svuotate di significato, ma valori essenziali per guidare i coniugi su una strada, che sia percorso evolutivo sia per la coppia che per gli individui.
“Una vita che mi è alleata per tutta la vita: ecco il miracolo del matrimonio Una vita che vuole il mio bene quanto il suo, perché si confonde con il suo “ (Rouge Monde, L’amore e l’Occidente)
La separazione è un momento critico di passaggio tra la paura della catastrofe e il senso di liberazione.
Dal punto di vista emotivo ci si trova, inizialmente, catapultati in una dimensione sconosciuta, in cui non si riconosce né se stessi, né il quotidiano da affrontare in tutt’altro modo e con tutt’altre routine. Spesso, sotto shock, si cammina tra le macerie della vita passata che crolla, senza sapere se, come e quando si riuscirà a costruirne un’altra.
La separazione è la morte dolorosa di una parte di sé, una parte che credevamo ci accompagnasse per tutta la vita. Sulle macerie di questa parte nel tempo può nascere un nuovo progetto di noi stessi e di Noi inseriti in una coppia, ma solo se riusciamo a elaborare il senso di fallimento e la ferita che la rottura, il distacco e la fine del nostro progetto ci hanno causati.
La separazione, spesso, è un soqquadro totale, che non coinvolge solo una crisi affettiva, ma anche esistenziale, da cui talvolta può sorgere anche un nuovo percorso professionale.
E’come entrare in una terra sconosciuta, che inizialmente sgomenta.
Il fallimento del matrimonio può far dubitare di se stessi e consente ad una parte di noi di criticarci aspramente, aprendo, o riaprendo vissuti infantili non ben elaborati.
Più complessa è l’elaborazione della separazione laddove siano presenti figli. Gli ex partner avrebbero bisogno di allontanarsi, per ricostruirsi e costruire qualcosa di nuovo, mentre la necessità di rimanere uniti e alleati come coppia genitoriale li costringe ad un tira-molla emotivo decisamente difficile da affrontare.
D’altra parte, con i figli non serve a niente fare finta che la separazione non sia avvenuta, negando la sofferenza e/o cercando di mantenere intatte abitudini e regole quotidiane. Vivono meglio in una situazione difficile, ma chiara.
Spesso il desiderio eccessivo di proteggere i figli dalle difficoltà della vita nasconde il desiderio di proteggere il bambino interno, che si sente abbandonato e ferito. Ovvero, in molti casi la preoccupazione per i figli durante la separazione assume forme esagerate, perché in realtà gli ex partner non vogliono solo proteggere i figli reali, ma il bambino disperato che c’è in loro.
In questi casi, si crea una confusione di cui è essenziale rendersi conto, per evitare di attribuire ai figli una sofferenza che appartiene ai genitori e che talvolta diventa un’arma di ricatto contro l’ex partner.
D’altro canto, in molti casi nella separazione i padri scoprono un modo più totale di stare con i figli, un modo più completo e autonomo dalla supervisione delle ex mogli.
La separazione vera e propria avviene quando la vita esterna dalla coppia che fu si consolida.
E’necessario avere la pazienza di affrontare la situazione tumultuosa e precaria, fin quando ogni cosa non trova un giusto e nuovo posto.
Solo in questo modo, rispettando i tempi di ognuno, sarà possibile riconciliarsi con il passato, dando posto ad un presente senz’altro diverso, ma non per questo meno interessante e soddisfacente.
Fonte: http://www.prepos.it/DISPENSE/quattro%20laboratori%20per%20migliorare%20le%20relazioni.doc
Sito web da visitare: http://www.prepos.it/
Autore del testo: Daniela Troiani da QUATTRO LABORATORI PER MIGLIORARE LE RELAZIONI
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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