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Re IFITO dell'Elide, sconfitti i Piasti e impadronitosi di un vasto territorio (l'Elide) comprendente il distretto di Pisa, dove qui poi sorgerà OLIMPIA, decise di celebrare la vittoria facendo disputare una competizione sportiva. Il regolamento venne inciso su un disco di bronzo (“disco di Ifito”), tra le diverse prescrizioni c’era quella relativa alla “tregua sacra” (echecheiria). Era l'anno 776 a.C., ed ebbero così luogo i primi Giochi, imperniati su una sola gara, la corsa, vinta da un certo Coroibo sulla distanza di uno stadio, pari a 192,27 m.
Una leggenda narra che corrisponderebbe questa a 600 orme (misura) del piede di Ercole, o forse alle stesse orme (misura) del piede di Ifito. (misura è un etimo che significa anche piede ; ma è un termine usato anche nella metrica della poesia greca-latina) che corrisponde a circa 0,32 m. (non lontana dal foot inglese). Questi Giochi si svolsero e si rivelarono un grande successo, con grande partecipazione di pubblico. A grande richiesta furono non solo ripetuti ma si aggiunsero altre prove; quella della corsa dei carri e dei cavalli, del disco, del giavellotto, salto in alto e lungo, il pentathlon (che premiava l'atleta più completo nelle cinque discipline sportive più seguite) ed infine la lotta e il pugilato.
Dal VII secolo a. C. la partecipazione fu allargata alle colonie greche (es. Sicilia). Nell’80 i giochi si svolsero a Roma anziché ad Olimpia.
Non era permesso alle donne non solo di partecipare, ma nemmeno di assistere ai Giochi. Il motivo era che tutti gli atleti combattevano o gareggiavano del tutto nudi per evitare nel corso delle gare una presa ai loro avversari. Ci fu anche un clamoroso caso di una madre (Callipatera) che si travestì da uomo per assistere alla gioia del trionfo di suo figlio. Scoperta, fu da allora adottato un provvedimento di far denudare all'ingresso non solo gli atleti ma anche tutti gli spettatori. Questo rigore cambiò con i tempi, ma rimase sempre l'intolleranza verso le donne sia come spettatrici e sia come partecipanti. Cinisca, nobile sorella di Agesilao re di Sparta, fu la prima donna (facendo cambiare i regolamenti) che diede il primo esempio nel parteciparvi e anche con successo; guadagnò la vittoria nel corso dei carri tirati da quattro cavalli nel 376 a.C. Si celebrarono con una partecipazione di atleti di vari Paesi e uno sfarzo mai visto; era del resto la Centesima Olimpiade.
Quanto ai fanciulli, nelle prime edizioni era esclusa la loro partecipazione fino al 632 a.C., poi alla XXXVII edizione vi furono ammessi partecipando alle discipline tipicamente atletiche, escludendoli da quelle cruente, quelle che richiedevano grande perizia, come la corsa dei cavalli e dei carri - la più spettacolare e pericolosa - e dalle corse dette oplitiche che si svolgevano con gli atleti rivestiti con le armature di guerra.
Non potevano partecipare neanche coloro che fossero stati definiti indegni (oggi diremmo con la fedina penale sporca).
Nei Giochi antichi la sfida era "dilettantistica"; ma gli sponsor non mancavano e non era assente la corruzione. La mercede e il lucro, cioè la mercificazione c'era e vi dimorava assai; servirsi delle insegne dello sport per scopi personali ed elettorali, anche questa era una realtà nel costume greco e poi in quello romano. I Giochi interessarono sia la politica sia l'ambizione di qualche arricchito. La prima complicò i meccanismi con la sua organizzazione sempre più burocratica, mentre i secondi per i propri interessi i Giochi e gli atleti li mercificarono.
(Le iscrizioni venute alla luce a Pompei, offrono delle testimonianze inequivocabili. Sulla facciata della Casa di Giulia Felice (documento nel Museo di Pompei CIL, IV, n. 1147) il "Palazzinaro" arricchito Aulo Vettio, mecenate (!?), decise di "scendere in campo" anche nella politica e opportunisticamente si mise a cercare i voti presso i tifosi della squadra che lui sponsorizzava, dichiarando di essere meritevole per il lodevole e munifico piacere e il godimento che lui offriva al "popolo" con la "sua" "squadra di palla" molto famosa. Per ottenere questo consenso, utilizzò nella sua propaganda elettorale il nome, le insegne e i colori della squadra per farsi eleggere senatore.
Gli “Athleti” erano chiamati coloro che concorrevano a vincere l’ “Athla” (il premio). All’inizio erano premi in natura: capi di bestiame e armature. Sino alla VII Olimpiade ai vincitori spettava solo una corona di olivo selvatico fatta coi ramoscelli dell’albero sacro: l’olivo Kallistephanos. Dopo la vittoria, ritornando al loro paese come campioni di questo o quell'altro sport, la fama di cui godevano tra la plebe, li portava ad assumere cariche cittadine prestigiose. Uno dei casi clamorosi fu un "barbaro" Armeno: dopo aver vinto al pugilato, divenne addirittura Re della sua gente.
A dirigere le gare erano preposti dei giudici supremi che si chiamavano Ellanodici e venivano scelti fra i cittadini dell’Elide di alto rango e di chiara fama, dei quali fosse noto il carattere incoruttibile.
Lo svolgimento della manifestazione era lungo e complesso. Gli atleti si trovavano nell’Elide 30 giorni prima delle gare; al 25° giorno si avviavano a piedi ad Olimpia, dove giungevano due giorni dopo marciando per circa 58 Km, poi avevano tre giorni di riposo.
Le Olimpiadi vere e proprie si svolgevano in quest’ordine:
Dalla 80° Olimpiade circa vennero affiancate alle gare ginniche anche sfide tra letterati e artisti.
Le feste Olimpiche erano pentateriche, cioè si svolgevano ogni quattro anni compiuti nel periodo centrale dell’estate, durante il plenilunio. Il termine olimpiade venne preso come base per computare gli anni nella cronologia greca. Il tempo era infatti diviso in Olimpiadi, ossia periodi di 4 anni e il punto di partenza era il 776 a.C.
Dal 776 a.C., ogni 4 anni, per 1172 anni, i Giochi, vennero celebrati in continuazione, per un totale di 294 edizioni. Fu l'Imperatore Teodosio che, su richiesta di Ambrogio, Vescovo di Milano, nel 396 d.C. li soppresse, perchè i Giochi e tutte quelle manifestazioni (riti, balli, e feste di ogni genere, ma anche fiorenti palestre dove tutto l'anno si allenavano gli aspiranti neo campioni) li considerò tutte pagani. Speculazione, corruzione, partigianeria erano diventate il sottofondo di una manifestazione che stava sempre più smarrendo il suo primigenio significato morale. Furono questi i veri motivi dell’intervento di S. Ambrogio, il quale era uno sportivo ed un praticante del gioco della palla.
I Giochi rinacquero nel 1896 per iniziativa del barone parigino PIERRE FREDI DE COUBERTIN (Un primo, sfortunato tentativo, era stato promosso dal mecenate greco Zapas nel 1859, ma non fu coronato da successo).
DISCIPLINE OLIMPICHE NELLE OLIMPIADI ANTICHE
La Corsa:
La corsa fece sempre parte delle gare olimpiche e fu la prima gara disputata ad Olimpia durante la prima Olimpiade. Gli atleti gareggiavano nudi e scalzi. La partenza era segnata da una fila di pietre e data con uno squillo di tromba.
Lo Stadion: gara di velocità su un percorso di 196,27 m. (lo stadion appunto).
Il Diaulos: gara simile alla precedente ma di lunghezza doppia; si correva sempre in rettilineo utilizzando due corsie vicine, una per l’andata e una per il ritorno.
Il Dolikos: corsa di resistenza, consisteva nel percorrere lo stadio un certo numero di volte da 4 a 24.
La Gara Armata o Oplitodromo: consisteva nel percorrere 2 o 4 stadi in assetto da guerra (con scudi, elmi, ecc...)
Vi erano anche corse ad ostacoli e staffette, delle quali però non si posseggono dati precisi.
Il Lancio del Disco:
Il disco, solos (pietra) aveva peso e dimensioni variabili da 1 a 5,5 Kg. Il discobolo aveva a disposizione tre lanci dei quali veniva preso in considerazione il migliore.
La tecnica: il lanciatore fermo sul “balbis” (pedana rettangolare 70x90 cm.) a gambe divaricate, destra avanti e sinistra dietro leggermente flessa, spalle di fronte, il disco, cosparso di sabbia perché non scivolasse dalle mani, veniva tenuto nella mano destra, con la mano sinistra posta sulla faccia opposta. Il lanciatore alzava le braccia al di sopra della testa, fletteva un poco le gambe, ruotava il tronco a destra portando il bracco destro con il disco in fuori e da questa posizione iniziava il lancio.
Il Lancio del Giavellotto:
Il giavellotto, àkon, veniva lanciato in due maniere: o come tiro al bersaglio o come tiro a distanza. Nella parte centrale presentava una cordicella di cuoio attorcigliata al centro che serviva per permettere al lanciatore di imprimere un movimento rotatorio per consentire agli atleti di lanciarlo con maggior forza e fargli acquisire migliore direzione. La tecnica è molto simile a quella attuale e prevedeva una fase di rincorsa e prima del lancio il giavellottista si trovava in una posizione bassa molto tesa completamente slanciata all’indietro per poi passare alla fase di lancio.
Il Salto:
Le gare di salto consistevano solamente in gare di salto in lungo, che venivano effettuate come quelle attuali con una breve rincorsa ed il salto. Non proprio chiaro era l’utilizzo di attrezzi chiamati “halteres”, che sembra venissero impugnati per dare maggiore slancio al corpo. Sembra esistessero anche gare di: salto in basso e salto in lungo da fermo.
Il Pugilato:
Il Pugilato veniva praticato con regole simili a quelle attuali ma con qualche eccezione: si lottava a mani nude (solo dopo cominciarono a coprirsi le mani con strisce di cuoio), si vinceva quando l’avversario non era più in grado di combattere o si ritirava e non esisteva un tempo massimo.
Veniva gravemente punita l’uccisione premeditata dell’avversario.
La Lotta:
I tipi di lotta erano 4:
Il Pentathlon:
Era formato da cinque discipline:
Chi riusciva a vincere tutte e cinque le prove poteva fregiarsi dell’appellativo di “pentatleta”.
Le Manifestazioni Equestri:
le prove ippiche erano molteplici e molto differenti tra loro; c’erano le corse delle quadrighe, le corse a cavallo (come quelle attuali ma senza sella), gare di abilità (con l’utilizzo del giavellotto) e gare miste metà a cavallo e metà di corsa.
LO SPORT A ROMA
Lo sport era uno spettacolo dedito al puro divertimento, del quale la violenza era matrice essenziale. Questo perché le discipline erano di origine etrusca e non greca.
I pubblici spettacoli erano chiamati “ludi” (svago, gioco) e avevano fini prettamente spettacolari.
Inizialmente erano legati al sentimento religioso, gradatamente, pur rimanendo feste in onore degli dei, divennero solo motivo di svago e di divertimento.
La pedagogia romana non rinunciava completamente al concetto di “mens sana in corpore sano”, ma la tendenza era quella di identificare l’educazione con lo studio delle lettere e dell’arte oratoria, strumenti necessari ai giovani per affermarsi nella vita pubblica e politica (letteratura, grammatica e retorica).
L’unico accenno all’attività fisica per fini igienico-salutistici lo si ha grazie alla notevole diffusione delle terme.
Ludi circensi
Furono i primi ludi (leggenda vuole istituiti da Romolo) e si limitavano a corse di cavalli con o senza carri. Erano feste religiose, infatti il cavallo vincitore veniva sacrificato al dio Marte e il suo sangue, raccolto e utilizzato per riti propiziatori. Successivamente si cominciò ad intervallare le corse con simulazioni di caccia (venationes) o vere e proprie battaglie navali (naumachia) nell’arena inondata d’acqua. Le gare a cavallo potevano essere: simulazioni di battaglie, corse a due cavalli (bighe), a tre cavalli (trighe), a quattro cavalli (quadrighe) e così via fino anche a dieci cavalli (decemiuges). Le vittorie portavano all’auriga e al suo seguito, composto da allenatori, veterinari, sarti e sellai, enormi quantità di denaro e fama. L’interesse della gente era dovuto anche alla “sponsio”, ovvero le scommesse.
Ludi scenici
Di estrazione greca, rappresentavano il punto di incontro tra cultura e sport. Si svolgevano nei teatri romani e spesso erano simulazioni di battaglie a passo di danza. Grande importanza era data alle danze mimiche, che erano imitazioni spesso grottesche di fatti di vita.
Ludi gladiatori
Questi spettacoli erano offerti da ricchi patrizi o imperatori ambiziosi di mostrare la loro potenza economica. I gladiatori prendevano il nome da gladius, la corta spada di cui erano muniti. Venivano addestrati in apposite scuole dette familiae sotto la guida di istruttori detti lanisti. Vi erano tre principali tipi di scontri:
Le venationes erano molteplici e differenti tra loro, andavano da quelle in cui doveva vincere l’uomo a quelle in cui doveva perdere. Poco gradite le prove in cui non c’era spargimento di sangue, in cui l’animale veniva ammaestrato (simili a quelle attuali dei circhi). Spesso però erano le fiere a morire, basti pensare che per l’inaugurazione dell’anfiteatro Flavio (Colosseo) morirono in un solo giorno circa 5000 animali.
Le hoplomachiae erano le preferite dal pubblico e come le precedenti molto varie e sanguinolente. I gladiatori di distinguevano a seconda delle armi che portavano:
Durante queste esibizioni col tempo presero piede anche le condanne a morte dei cristiani. Questo fatto accelerò la messa al bando di tali pratiche, avvenuta col dilagare del Cristianesimo nell’Impero.
Le naumachiae erano delle vere e proprie battaglie navali e si svolgevano nelle arene inondate, negli stagni o nel Tevere.
Ludi atletici
Erano gare sportive minori di derivazione greca legate soprattutto alla formazione dei giovani. Le principali erano:
Per volere di Augusto, fervido sostenitore di queste pratiche, le regole delle gare soprascritte furono conservate uguali a quelle applicate in Grecia.
Sempre di derivazione ellenica ebbero discreto successo i giochi con la palla. Quello più gradito dai romani era l’harpastum, molto simile al rugby ma più violento.
Il nuoto
Il nuoto era considerato l’esercizio fisico più armonico e salutare e il non saperlo praticare era considerato grave come il non saper leggere. Questa attività si praticava tutto l’anno o all’aperto o in piscine coperte pubbliche o private.
Fonte: http://www.altrimedia-tools.com/se_blog-upload/lodato/upload/2007/12/lezione%20storia%20prima.doc
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Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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