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In questa lezione il professore (una volta fatto il punto della situazione inerente i Project Work che noi studenti stavamo sviluppando per sostenere l’esame, dandoci ulteriori supporti teorico-pratici) ha iniziato la spiegazione parlando della Terapia Psicomotoria, affermando che il termine psicomotricità “si riferisce all’attività motoria in quanto influenzata da processi psichici e in quanto riflette il tipo di personalità individuale. Essa studia ed educa l’attività psichica attraverso il movimento del corpo” (definizione presa dal Dizionario di psicologia U. Galimberti Garzanti).
La terapia psicomotoria “nasce” dalle professioni del movimento: educazione fisica, danza, ritmica ed espressione corporea.
Poiché i contenuti delle attività specifiche della terapia psicomotoria sono spesso affini a quelli delle attività sopra citate, molte volte viene confusa con qualcuna di esse.
In realtà, tale terapia si distingue dalle altre discipline in riferimento agli scopi e ai modi con cui i contenuti sono proposti: il fine infatti non è la prestazione, la performance sportiva o artistica.
La psicomotricità si occupa del disturbo presentato dal bambino che vede come una discrepanza del rapporto tra mente e corpo.
Essa si deve porre in una situazione di ascolto profondo verso il fanciullo, amplificandone il suo agire e modificandone le sue parti inadeguate, nel rispetto della sua individualità, dei suoi tempi, della sua disponibilità, favorendo il recupero armonico del suo sviluppo.
Il terapista psicomotorio deve creare i presupposti utili per far sì che il bambino possa elaborare, interiorizzare i vissuti, le esperienze fatte in una stanza adeguatamente strutturata per svolgere tale attività.
In un primo momento di psicomotricità, ovviamente, il piccolo, disorientato, si chiederà:
Queste domande, nel tempo si trasformeranno in:
Il terapeuta sfrutta l’azione del bambino (azione intesa come movimento del corpo per consentire al bambino l’accesso piacevole al pensiero, alla rappresentazione dei propri vissuti o alle proprie difficoltà).
Se il bambino percepisce i propri limiti, li accetta. E ciò avviene soprattutto attraverso lo sviluppo delle proprie potenzialità.
Il terapeuta è un veicolo che permette al bambino di accedere a una consapevolezza della propria identità corporea, consapevolezza fondamentale per giungere alla capacità di rappresentare emozioni individuali.
L’obiettivo del terapeuta è quello di aiutare il bambino ad essere in grado di “pensare il proprio pensiero”.
Il terapista si colloca al lato del fanciullo per collaborare in una ricerca personale delle emozioni e delle parole che le rappresentano.
Egli amplifica la spontaneità del bambino, gli permette di mettere in pratica la voglia di agire o di non agire che ha dentro, rendendo ogni suo gesto, parola, azione, unica ed utile per il raggiungimento e la risoluzione della domanda di aiuto che esprime attraverso il suo essere.
A questo punto il professore ha approfondito i seguenti aspetti: come e dove si svolge la terapia psicomotoria, a chi è rivolta.
La terapia psicomotoria è indicata per i bambini compresi in una fascia di età che mediamente va dai primi mesi di vita agli 11 – 15 anni.
La sua durata non è preventivamente quantificabile.
In modo puramente indicativo, in quanto dipende da vari fattori, può prolungarsi per un periodo che va da 1 a 3 anni.
La durata della terapia psicomotoria dipende dalla:
I tempi della pratica psicomotoria sono ben strutturati, le sedute non devono capitare per caso senza che il bambino possa aspettarle, desiderarle, pensarle.
Per alimentare il desiderio, ma al tempo stesso per permettere l’elaborazione del desiderio stesso, si consiglia una scadenza bisettimanale degli incontri.
I tempi della seduta si devono contenere entro i 50 - 60 minuti, compresi i rituali d’inizio.
Lo spazio della stanza di terapia psicomotoria è uno spazio “pensato dall’adulto per il bambino”, ed è il primo grande segnale di attenzione al suo desiderio.
L’allestimento prevede un’area legata al senso-motorio costituita da: spalliere, scivoli, materassi; materiale da cui e su cui è possibile salire, scendere, cadere, ,saltare soprattutto verso il basso, attraverso una struttura obliqua in cui ogni bambino possa decidere l’altezza da cui saltare.
In questa area il fanciullo è prevalentemente impegnato in azioni di trasformazione a livello del suo corpo reale, con stimolazioni propriocettive legate ai repentini cambiamenti posturali.
Un altro luogo connesso all’espressività motoria è quello in cui si concentrano gli oggetti o il materiale non strutturato necessario per attività di gioco simbolico, in cui la matrice rappresentazionale comincia a differenziarsi dal proprio corpo.
In questa area il bambino sperimenta la mobilità dell’esperienza (uno dei poli essenziali per la costruzione del sé) attraverso: il costruire e il distruggere, l’apporre e lo scomporre forme, il dentro e il fuori, l’equilibrio e il disequilibrio.
Tutto ciò, attraverso la mediazione dell’oggetto, attiva nel bambino infinite possibilità di creazione di schemi di azioni, favoriti in maniera diretta e indiretta dall’adulto.
In un secondo momento, il bambino può accedere nell’area della rappresentazione plastica.
Essa è legata ad uno spazio ben delimitato in cui il bambino vive una fase di minor coinvolgimento corporeo.
L’area della rappresentazione plastica è il luogo della: rappresentazione grafica, costruzione di legno, creta da modellare, favola da raccontare.
Gli oggetti, gli attrezzi della psicomotricità sono: palloni, funi, bastoni, blocchetti di costruzioni, tappeti. Gli strumenti di base: il terapeuta, il bambino, il dialogo, gli sguardi.
Oltre ad essere un’importante espressione della vita affettiva del bambino, il gioco permette di sviluppare: abilità motorie, abilità cognitive, abilità sociali.
Il terapista della psicomotricità crea le condizioni ottimali per l’espressione ludica e sollecita strategicamente nel bambino le diverse forme di gioco: gioco motorio, simbolico, con regole, di costruzione.
Quindi il gioco diventa trampolino di lancio per motivare determinate prestazioni che sono solitamente evitate nel quotidiano.
La seduta di pratica psicomotoria vede la presenza di un Metodo molto importante, il Metodo di Bernard Aucouturier.
Tale Metodo, prevede che il bambino troverà all’interno della stanza uno scenario che ritornerà sempre uguale nelle sue caratteristiche di fondo.
Con lo scopo di evocare sensazioni, l’adulto fa domande che possono ricordare la seduta precedente, attiva ricordi che mobilitano il pensiero e ascolta qualche indicazione da parte del bambino. Il tutto avviene in un’area di piacere e di tranquillità.
In tale ambiente, l’adulto, struttura inizialmente la situazione ma deve favorire l’azione libera del bambino.
Qual è, perciò, il compito dell’adulto?
Lo scopo è favorire le trasformazioni e far evolvere le fissità che possono presentarsi nella scarsa abitudine dei bambini al gioco spontaneo.
Attraverso il controllo del tempo, l’adulto può avviare il bambino verso la fine della seduta.
Quali sono le aree di gioco della psicomotricità?
TONICO EMOZIONALE (si struttura nel dialogo tonico madre-bambino e interessa la sensibilità propriocettiva, labirintica e tattile); PRE SIMBOLICO
(nasce dalla qualità delle prime relazioni, dai primi dati sensoriali - soprattutto visivi - che si organizzano intorno al binomio “presenza e assenza” e dalla sensibilità legata alle sensazioni di “pieno e vuoto”); SENSO MOTORIO (è lo spazio ludico che si attiva intorno ai 2-3 anni, quando sembra completa una prima fase di costruzione della propria identità. In questa fase, il bambino si procura piacere da sé attraverso la sua iniziativa nello spazio e nel gioco dei contrasti - alto/basso, orizzontale/verticale, duro/morbido - ), SIMBOLICO (questa area si configura come la dimensione della finzione, della costruzione di spazi immaginari, personaggi, relazioni, vicende e storie strutturate ancora attraverso l’azione. Si passa gradualmente fra i 3-7 anni ad un gioco sempre più complesso di proiezioni delle vicende interne fino ad un raffinato gioco di identificazione con i ruoli della realtà vissuta dal bambino); MOTORIO (in questo gioco il bambino vive una nuova dimensione di piacere meno direttamente collegata all’emozione. È il piacere della ricerca del risultato, della competizione, del confronto con un obiettivo esterno attraverso l’anticipazione e la progettazione del movimento); RAPPRESENTAZIONE PLASTICA (in questa area il bambino può rappresentare contenuti reali o immaginari, espressi attraverso emozioni motorie molto ridotte, come la manipolazione di materiali, la costruzione, il disegno, lo scrivere in genere).
Quali possono essere i possibili approcci psicomotori?
L’impostazione teorico-clinica su cui si fonda la disciplina della Psicomotricità si basa sull’integrazione di più approcci: comportamentista, cognitivista, sistemico.
Durante la terapia psicomotoria, non ci si avvale di un solo approccio, ma si adotta l’uno o l’altro tipo, secondo la necessità del momento.
La terapia deve essere in ogni caso svolta individualmente. Perché?
Perché ogni bambino è unico per la sua originalità (con la sua storia personale e ambientale) e quindi anche il lavoro terapeutico che si svolge su di esso, deve essere altamente specifico.
Alla domanda di aiuto del bambino, la pratica psicomotoria risponde tenendo conto delle peculiari caratteristiche di ciascun individuo:
PSICOMOTRICITA’ IN ACQUA
Il professore, a questo punto, ha spiegato l’importanza di utilizzare l’ambiente
acquatico in riabilitazione.
Il corpo immerso in acqua, infatti, è sottoposto sia alla forza di gravità che alla spinta idrostatica: ciò implica una riorganizzazione del sistema nervoso centrale ai fini del controllo motorio e della decodifica sensoriale.
Alcuni effetti dell’immersione sono la riduzione del tono posturale e la modificazione delle informazioni esterocettive che inducono un’alterata percezione dello schema corporeo.
Si ha quindi la possibilità di sentire il corpo in modo diverso: più leggero, meno contratto, unico, avvolto dal confine-pelle.
L’immersione in acqua altera la percezione del corpo che non si vede più, è nascosto, fa meno paura. L’ambiente acquatico pone infatti tutti alla stessa altezza, mettendo gli occhi dei presenti sulla stessa linea.
Questa condizione riduce al minimo le interferenze provenienti da stimoli visivi offerti dall’ambiente e potenzia i canali comunicativi non verbali, a vantaggio degli scambi tra gli sguardi fra operatore e paziente.
Si ricorre all’ambiente acquatico in molte situazioni, anche gravi. La condizione è di conoscere adeguatamente l’acqua e la propria modalità di rapportarsi ad essa.
Gli obiettivi della psicomotricità in acqua possono essere: Teorici, Pratici, Relazionali.
A tal proposito, Aucouturier ci spiega chi è un bambino aperto:
“è un bambino che sa accogliere, che sa aprirsi agli altri e sa porre domande a chi gli sta intorno.
È un bambino che prova piacere nel dare e nel ricevere, nello scoprire e nel conoscere, un bambino curioso di tutto.
È un bambino felice di vivere, che esprime i suoi desideri senza timori, senza dubbi, senza sensi di colpa, che si sottrae al dominio degli adulti che gli sono vicini e che ha il coraggio di dire no.
È un bambino riconosciuto nella sua originalità, nell’espressione del suo mondo interno tramite il corpo, un bambino che può comunicare e pensare.
Un bambino aperto non è traumatizzato dagli insuccessi, soprattutto quelli scolastici. Per lui dovremo prevedere le condizioni ottimali per favorire il suo sviluppo intellettivo e la migliore integrazione possibile nella scuola”.
Fondamentale è poi la presenza dei cosiddetti laboratori di psicomotricità, che nascono dalla consapevolezza del fatto che, fino all’età di 7-8 anni, il corpo è il nucleo dell’organizzazione psichica e sociale dell’individuo, la cui crescita armonica avviene attraverso il corpo in relazione a sé e al mondo. Per il bambino, il gioco (senso-motorio e simbolico) rappresenta la modalità privilegiata di espressione di sé.
Durante il gioco egli mette in scena le difficoltà, le paure, le insicurezze, la rabbia, l’aggressività, ma condivide anche momenti di piacere, di collaborazione e di condivisione con i compagni, che altrimenti troverebbero difficilmente un canale di espressione spontaneo.
La pratica psicomotoria di tipo relazionale, secondo la metodologia di Bernard Aucouturier, rappresenta uno strumento educativo globale che favorisce lo sviluppo affettivo, relazionale e cognitivo del bambino attraverso l’espressività corporea.
Essa è poi uno strumento di prevenzione primaria del disagio, poiché può incidere sui fattori di rischio del disagio, e di prevenzione secondaria, laddove intervenga sulle difficoltà dello sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale del bambino. La psicomotricità rappresenta quindi un utile strumento di promozione alla salute, intesa quale processo costruttivo che attivi i bisogni e le risorse degli individui.
Sono più di vent’anni che in Italia tale attività ha fatto il suo ingresso all’interno delle scuole dell’infanzia e delle scuole primarie, svolgendo una funzione di tipo educativo e, gradualmente, di tipo preventivo.
L’intervento psicomotorio all’interno del contesto scolastico, non può essere collocato ad un livello terapeutico e/o riabilitativo; non è teso ad attivare l’elaborazione diretta di problematiche personali profonde attraverso l’affidamento individuale del bambino allo psicomotricista, ma punta principalmente ad attivare i potenziali evolutivi dei bambini, utilizzando la dimensione del gruppo e la mediazione degli oggetti.
Nella seconda parte della lezione, il professore ha presentato i “Cenni sul rapporto tra motricità ed accrescimento” partendo da una breve descrizione circa le caratteristiche dell’accrescimento stesso, così come l’auxologia (specialità medica che studia e cura la crescita fisica della persona nell'età evolutiva) le descrive, distinguendo: periodo neonatale (fino a 12 giorni); prima infanzia (fino a 2 anni); seconda infanzia (fino a 6 anni); terza infanzia o età scolare (fino a 12 anni); pubertà (fino a 15 anni circa); adolescenza (fino a 19 anni circa).
Durante questi periodi prevalgono delle funzioni organiche specifiche:
Per quanto riguarda il peso, possiamo elencare le fasi di alternanza peso-statura: fino a 4 anni il bambino è più “rotondo”, vi è incremento ponderale (fase definita TURGOR PRIMO); fino a 7 anni il bambino compie il primo allungamento staturale (fase definita PROCERITAS PRIMA); fino a 12 anni il ragazzino appare di nuovo più “cicciotello” (fase definita TURGOR SECONDA); fino a 16-18 anni si realizza il secondo incremento della statura in modo, però, accelerato (PROCERITAS SECONDA).
In seguito il professore ha illustrato le fasi del processo evolutivo con le relative più importanti caratteristiche:
Per quanto concerne l’apprendimento motorio, esso porta all’origine del movimento, che si esprime attraverso la raccolta degli stimoli provenienti dall’esterno e trasmessi dalle vie afferenti o sensitive. La corteccia, poi, le elabora e ordina la risposta attraverso uno schema motorio. I centri sotto corticali coordinano il movimento, il cervelletto controlla il tono muscolare, il midollo conduce la risposta, i motoneuroni trasmettono l’impulso ai muscoli. Questo si realizza in tre fasi: rappresentazione mentale del movimento, volontà ad eseguire il movimento (che si traduce nell’invio di impulsi nervosi o motori corrispondenti all’immagine rievocata), esecuzione del movimento.
Soffermandoci ora, in particolar modo, sull’accrescimento motorio in età prescolare e nei primi anni di età scolare, possiamo vedere che:
Nell’ultima parte della lezione, il professore ha spiegato l’ Epistemologia delle attività motorie e sportive a carattere educativo, evidenziando che la ricerca, in campo educativo si arricchisce dei contributi di diversi settori (approcci) disciplinari che evidenziano il rapporto tra corpo, cognizione, movimento ed emozione, prospettando nuove modalità di accesso al sapere. I diversi settori citati, sono: storici, filosofici, psico-pedagogici, neuro-bio-fisiologici.
In riferimento all’approccio storico, è stato evidenziato che il corpo e il movimento hanno rappresentato i primi strumenti che l’uomo ha utilizzato per la sua sopravvivenza, attraverso pratiche esecutive di tipo naturale. L’evoluzione ha richiesto forme di movimento e prestazioni corporee sempre più specialistiche.
Le attività motorie praticate sono: attività manuali, di caccia e lotta; attività istintuali (imitazione, danza, corsa); attività di difesa del territorio.
In particolare, le attività motorie diffuse già nell’antico Egitto erano proprio azioni di lotta con finalità addestrative; a Creta le prime esercitazioni fisiche erano viste come riti religiosi, pratiche magiche, giochi funebri, riti catartici; in Grecia vi erano i Giochi Olimpici (776 A.C.), i quali prevedevano la presenza della corsa dello stadio, della Doppia corsa, della Corsa di fondo, del Pentathlon, del Pugilato, della Lotta.
La Grecia, però, presentava una netta differenza tra l’educazione spartana e ateniese, anche in campo di attività motoria.
Infatti la formazione di Sparta fu prevalentemente di carattere militare, indirizzata all’acquisizione di capacità offensive e stili di vita utili funzionali alla difesa delle istituzioni. Lo Stato provvedeva direttamente all’addestramento del cittadino, potenziando le sue doti fisiche e forgiando le sue virtù, attraverso un complesso itinerario formativo caratterizzato da attività marziali e disseminato di prove atletiche preparatorie alle azioni di guerra. Il coraggio, la robustezza fisica, l’obbedienza incondizionata alle leggi, erano il presupposto per sviluppare le virtù guerriere ed erano le parole chiave di una formazione che a partire dai 7 anni, sottraeva alle famiglie i propri figli per educarli in strutture pubbliche simili a caserme che garantivano all’educazione un carattere quasi interamente militare.
L’educazione ateniese, invece, mirando alla coesione e alla completa integrazione sociale, non terminava con l’entrata del giovane nel rango del cittadino soldato, ma lo accompagnava costantemente nel percorrere il suo specifico iter educativo.
Ad Atene, i maestri stipendiati dai genitori, insegnavano ai piccoli a leggere e a scrivere i testi della tradizione greca e a danzare alle feste della polis; al pedotriba spettava il compito importantissimo di impartire i rudimenti dei giochi, della lotta e della competizione sportiva, preparando il fanciullo ad esibirsi secondo precise regole. L’educazione militare si aveva dai 18 ai 20 anni.
In Etruria, invece, per attività motoria si intendeva quella ricreativa, presente negli anfiteatri; a Roma essa si svolgeva attraverso i Ludi, dal carattere cruento e spettacolare (anche se il corpo veniva curato pure nelle Terme).
Nel periodo medievale, parallelamente alla sminuzione del corpo come specchio dell’anima e involucro da redimere e mortificare, si diffusero molti giochi cavallereschi.
I giuochi folkloristici del Medioevo sono alla base di alcuni nostri sport: sembra accertato, ad esempio, che il tennis derivi dal giuoco della pallacorda, il football dalla soule e che l’antico giuoco con la palla e il bastone sia l’antecedente di una grande varietà di sport attuali, come il croquet, l’hockey, il golf e il cricket.
Nell’Umanesimo e nel Rinascimento molti filosofi hanno parlato dell’importanza dell’esercizio fisico (ricordiamo in particolar modo Vittorino da Feltre, Michel Eyquem de Montaigne, John Locke, Girolamo Mercuriale, Jean Jaques Rousseau, Johann Paul Friedrich Richter).
Lo stesso è accaduto per vari pedagogisti, tra cui: Johann Heinrich Pestalozzi, Friedrich Frobel, John Dewey, Maria Montessori, Jean Piaget (che in particolar affermava che il gioco sportivo era il passaggio naturale dall’azione come esigenza conoscitiva alla ricerca e all’applicazione dinamica degli oggetti della conoscenza), Lev Semyonovic Vygotskij, Jerome Bruner, Robert Sternberg, Howard Gardner.
A livello psicologico, è risultato fondamentale ottolineare il contributo di Daniel Goleman, che illustrava l’importanza dell’intelligenza emotiva e delle abilità emotive volte a potenziare la consapevolezza, il controllo, l’autoregolazione, la capacità di motivare se stessi, la gestione delle relazioni interpersonali, l’empatia e il mimetismo motorio. Inoltre essenziale è stato il contributo di altri psicologici (Edward De Bono, David Ausubel, Joseph D. Novak, Edgar Morin, Paul Watzlawick, Michael Argyle) e neuro-bio-fisiologi (Edoardo Boncinelli, Joseph LeDoux, Donald Hebb, Antonio Damasio, Giacomo Rizzolatti e Alain Berthoz).
Fonte: http://docentiold.unimc.it/docenti/francesco-perrotta/2011/educazione-sportiva-2011/educazione-motorio-sportiva/at_download/Riassunto%20lezione%20Educazione%20Sportiva%20del%2020-12-2011-1.docx
Sito web da visitare: http://docentiold.unimc.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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