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il passato della Terra
Il Sistema solare si è formato circa 4600 Ma (milioni di anni) fa e da allora la Terra ha proseguito la sua evoluzione attraverso una lunghissima serie di eventi, molti dei quali hanno lasciato tracce ancora riconoscibili. La storia della Terra nasce dal tentativo di ricostruire tali eventi e di ordinarli in una successione che riproduca l'ordine in cui si sono verificati nel tempo, in una prospettiva che lasci intravedere le linee dell'evoluzione del nostro pianeta. Se, però, fin dal secolo scorso si è riusciti a trovare metodi e criteri per determinazioni cronologiche, che permettano cioè di stabilire tra più eventi geologici «quale è avvenuto prima e quale dopo», ben più difficile è stato arrivare a determinazioni cronometriche, che permettano invece di stabilire «quanto tempo fa» si è verificato un evento. Ma i progressi fatti in questo campo negli ultimi decenni sono stati tali che oggi siamo in grado di associare a moltissimi degli eventi, che compaiono nel calendario geologico in un ordine relativo, anche un’indicazione in termini di tempo assoluto, espresso come «anni da oggi» (più esattamente, per convenzione, dal 1950).
Il Precambriano è un periodo di tempo lunghissimo, che corrisponde all'85% di tutta la storia della Terra: dalla formazione di una prima crosta (oltre 4 miliardi di anni fa) fino all'inizio dell'Era paleozoica (570 milioni di anni fa), con il periodo Cambriano, caratterizzato da una diffusione di forme viventi così ampia e con tante forme, in confronto con il periodo precedente, che il fenomeno è stato definito l'«esplosione di vita cambriana». E’ la parte della storia della Terra meno conosciuta, per cui non è possibile suddividerla in molti intervalli più brevi, rintracciabili e collegabili tra loro nei diversi continenti; più che una storia, il Precambriano offre infatti una successione di episodi tra loro staccati e molto meno definiti di quelli della storia geologica più recente della Terra. Tutto ciò dipende dal fatto che le rocce precambriane sono state piegate, fagliate, intruse da magmi e, soprattutto, metamorfosate anche intensamente più volte, e ciascun evento ha mascherato ampiamente quelli precedenti; inoltre, gli affioramenti di tali rocce sono sporadici e scarsi, in quanto sono stati coperti da rocce più ,giovani: in pratica, si possono osservare solo dove l'erosione ha profondamente inciso e messo allo scoperto gli antichi scudi. Infine, i resti fossili sono estremamente rari e viene a mancare di conseguenza la possibilità di correlare affioramenti tra loro lontani.
Sulla parte più antica del Precambriano si possono fare solo congetture: le rocce più antiche finora rinvenute risalgono infatti a 3800 Ma e affiorano a Isua, sulla costa occidentale della Groenlandia: vi si riconoscono vulcaniti e rocce sedimentarie classiche depostesi chiaramente su una superficie emersa. Tracce di rocce sedimentarie ancora più antiche sono state trovate nell'Australia occidentale, dove alcuni granuli minerali (zirconi) hanno dato un'età radiometrica di oltre 4 000 Ma; poiché tali granuli fanno parte di una roccia clastica, sono la testimonianza che esisteva già un qualche tipo di crosta.
Questi ritrovamento sono comunque modesti «bagliori» in un buio di circa 800 Ma., In questo intervallo di tempo il nostro pianeta, dopo la fase primordiale di aggregazione, ha subito una profonda evoluzione: l'aggregato di polveri, gas e ghiacci si trasformò in una massa fusa, entro la quale gli elementi più pesanti, soprattutto il ferro e il nichel, sprofondarono verso il centro del pianeta, dando origine al nucleo, mentre gli elementi più leggeri si concentrarono verso l'esterno, formando involucri via via meno densi, destinati, con il raffreddamento e la solidificazione, a dare origine al mantello e a una crosta primitiva.
Il raffreddamento della massa fusa fu accompagnato da un diffuso degassamento, i cui prodotti sostituirono l'atmosfera primordiale di ammoniaca, metano, idrogeno ed elio con una nuova atmosfera, in cui prevalevano azoto, vapore acqueo, metano, ammoniaca, idrogeno e anidride carbonica. Quest'ultimo gas potrebbe aver svolto un ruolo essenziale nell'impedire, con l'effetto serra, il rapido raffreddamento della Terra, ancora poco riscaldata da un Sole meno luminoso di oggi. Mancava l'ossigeno, che si accumulerà solo con la comparsa del processo di fotosintesi ad opera delle prime alghe (e in seguito delle piante).
Prima di 4000 Ma fa dovrebbe essersi ormai formata una crosta primitiva, ancora rovente ma solida. Solo più tardi, con l'ulteriore raffreddamento della crosta, si sono potute raccogliere nelle aree più depresse le acque derivate dalla condensazione del vapore atmosferico, con la formazione dei primi mari, ai quali cominciarono ad arrivare i detriti trasportati dalle acque che scendevano dalle zone più rilevate.
La lunghissima serie di vicende del Precambriano comprende anche un evento particolare, che ha influenzato profondamente la successiva evoluzione del pianeta: la comparsa della vita e il successivo sviluppo della biosfera, che forma oggi un sistema integrato con l'insieme litosfera-idrosfera-atmosfera. Non è possibile riassumere in breve in modo adeguato le numerose teorie e le appassionanti ricerche sull'origine della vita, ma ci limiteremo ad accennare ad alcuni «passaggi» ritenuti probabili o, per lo meno possibili, nella lunghissima gestazione (oltre 3 miliardi di anni) che ha portato alla diffusione della vita su tutto il pianeta. Le più antiche tracce di organismi viventi risalgono a 3500 Ma fa, ma le forme riconosciute, pur essendo molto semplici (una specie di batteri) sono già molto complesse in confronto con i composti inorganici presenti sulla superficie terrestre. Si pensa perciò che la comparsa di organismi viventi sia stata preceduta dalla formazione dì un ambiente chimico in cui processi non biologici avrebbero dato origine a soluzioni di sostanze organiche,come amminoacidi, carboidrati e nucleotidi, che sono la base per la formazione di proteine e acidi nucleici. Un ambiente adatto all'innescarsi di questa evoluzione chimica potrebbe essere stato quello dei primi mari, probabilmente lungo le coste dove si formano facilmente stagni e pozze d'acqua saltuariamente alimentate dalle maree. In tali ambienti così soggetti a fattori variabili, in condizioni diverse rispetto a oggi (diversa salinità, maggior quantità di raggi cosmici e di raggi ultravioletti ecc.), si sarebbero verificate le condizioni per una serie di complesse reazioni chimiche tra metano, ammoniaca e vapore acqueo, secondo processi innescati e favoriti dalle scariche elettriche dell'atmosfera. Si sarebbero formati così acidi grassi e ossiacidi, e, successivamente, grassi e zuccheri, che avrebbero fornito la materia prima per i futuri esseri viventi.
La possibilità teorica di una simile concatenazione di eventi è stata verificata in laboratorio nel 1953 dal noto esperimento di Miller-Urey, facendo scoccare una scarica elettrica in un contenitore riempito di metano, ammoniaca, idrogeno e vapore acqueo, per simulare l'atmosfera primitiva e i fulmini che la attraversavano, l'acqua fatta condensare al termine dell'esperimento (durato per alcuni giorni) conteneva alcuni amminoacidi. Il cammino successivo è ancora molto lungo, in quanto proteine e acidi nucleici devono essersi poi organizzati in unità autonome, capaci di scambi con l'ambiente. Anche se non sappiamo come, tutto questo era però avvenuto già 3500 Ma fa, l'età a cui risalgono, come già ricordato, le prime tracce fossili di organismi viventi: alcune sono strutture simili a batteri, altre sono forse alghe azzurre unicellulari, ritrovate nelle selci di Fig Tree, in Sud Africa. A tempi così lontani risalgono anche le stromatoliti della Rodesia: concrezioni calcaree sferoidali, in lamine concentriche, dovute a precipitazione biochimica da parte di alghe azzurre; strutture simili si formano anche oggi in varie parti del mondo. Sono comunque organismi ancora molto semplici, eterotrofi, costituiti da cellule procariote (prive di nucleo distinto).La successiva evoluzione ha lasciato scarse tracce, ma nelle selci di Gunflint (Canada), di due miliardi di anni fa, accanto ai batteri sì ritrovano alghe verde-azzurre filamentose e altre forme; sono comparsi, quindi, organismi autotrofi, capaci di sintetizzare in modo autonomo le sostanze nutritive, attraverso la fotosintesi; come conseguenza di quest'ultimo processo, si forma ossigeno libero, che dal mare passa gradualmente nell'atmosfera. E’ l'inizio di un profondo cambiamento nella composizione dell'atmosfera, nella quale verso la fine del Precambriano l'ossigeno arriva a circa il 10% della quantità attuale; con l'aumento dell’ossigeno comincia anche a formarsi in quota lo strato dell'ozono, un efficace schermo contro le radiazioni ultraviolette provenienti dal Sole. Si preparano cosi le condizioni che permetteranno il passaggio della vita dai mari, in cui in precedenza era costretta, alle acque superficiali e alle terre emerse.
Circa un miliardo di anni fa, l'evoluzione aveva compiuto un altro importante passo: nei sedimenti di Bitter Springs (Australia) sono stati ritrovati alghe azzurre, alghe verdi e, forse, funghi: sono chiaramente presenti cellule eucariote, con nucleo distinto e, quindi, con possibilità di una riproduzione sessuale.
Verso la fine del Precambriano, circa 700 milioni dì anni fa, la vita ha raggiunto forme ormai molto complesse e differenziate: nei sedimenti di Ediàcara (Australia) compaiono impronte di meduse, di anellidi, di brachiopodi e di alcuni molluschi: è veramente il preludio della fase fanerozoica, cioè «della vita manifesta», che si avvia a conquistare l'intera superficie terrestre.
L'Era inizia 570 milioni di anni fa e prende il nome da parole greche che significano «della vita antica»; in effetti, la vita di allora era ben diversa da quella odierna. L'Era venne chiamata anche primaria, prima che si scoprisse l’esistenza di terreni più antichi.
L'Era è stata suddivisa in vari capitoli, che possiamo raccogliere in due «gruppi»: il Paleozoico inferiore (dal basso, Cambriano, Ordoviciano e Siluriano: tra 570 e 400 Ma) e il Paleozoico superiore (Devoniano, Carbonifero e Permiano: tra 400 e 245 Ma).
Il Paleozoico inferiore: antichi continenti alla deriva mentre la vita conquista le terre emerse
Grazie alla maggior disponibilità di dati nei confronti del Precambriano, i geologi hanno potuto ricostruire, con una certa approssimazione, la paleogeografia, cioè la distribuzione delle terre emerse all'inizio del Paleozoico. L'emisfero meridionale era dominato da un grande continente (chiamato Gondwana), i cui frammenti formano oggi gli scudi di vari continenti e subcontinenti (Sudamerica, Africa, Australia, Antartide e India); tracce di una vasta glaciazione paleozoica trovate in Africa occidentale permettono di situare gli antichi terreni del futuro continente africano in prossimità del Polo sud. Altri tre continenti (nordamericano, europeo e asiatico) e vari frammenti minori erano distribuiti più a Nord, almeno all'altezza dell'Equatore. Il meccanismo della tettonica delle placche, già da tempo attivo, porta a collisione, a più riprese, i vari blocchi continentali. Progressivamente, il blocco continentale nordamericano (formato dalle rocce che oggi affiorano nel Canada e negli Stati Uniti centrali) si avvicina al blocco europeo (che allora comprendeva solo l'attuale Europa settentrionale); l'oceano interposto (Protoatlantico) si va chiudendo e nel suo interno doveva essere attiva una fossa di subduzione. Verso la fine del Paleozoico inferiore (nel Siluriano) si arriva alla collisione tra i due continenti europeo e nordamericano (orogenesi caledonica), che si saldano in un unico continente (Laurussia), mentre il continente asiatico è separato da un oceano; il continente Gondwana continua la sua lenta deriva verso Nord. Inutile cercare, in un periodo così antico, i lineamenti dei continenti attuali.
I resti dell'orogenesi caledonica sono oggi riconoscibili nei Monti Appalachi settentrionali (Stati Uniti nordorientali), in Groenlandia, Scozia e Norvegia; ovunque, quelli che dovevano essere imponenti rilievi, sono ormai ridotti a basse colline. In Italia, lembi di rocce di quell'età si trovano in Sardegna e in Carnia, che allora facevano parte del Gondwana.
Le rocce dell'inizio del Paleozoico sono così ricche di fossili che, come già ricordato, si parla di «esplosione cambriana» (il Cambriano è il primo dei periodi in cui viene suddivisa l'Era).Compaiono numerosi gruppi di invertebrati marini, tra cui dominano, inizialmente, i trilobiti, forme intermedie tra gli insetti e i crostacei, divise in tre lobi e munite di numerose zampe per muoversi sui fondali sabbiosi dei mari di allora; essi compaiono nel Cambriano, si diffondono a milioni di esemplari per ridursi a poche forme che spariranno completamente alla fine del Paleozoico, dopo oltre 200 Ma dalla loro comparsa. Dallo studio dei trilobiti fossili si deduce che alcune famiglie avevano occhi composti, altre vivevano sepolte sotto la sabbia, altre ancora si difendevano arrotolandosi a palla.
A queste forme si associanonumerosi altri invertebrati: spugne, coralli, brachiopodi, molluschi, echinodermi, mentre le rocce dell'Ordoviciano contengono resti fossili dei primi vertebrati, naturalmente con forme molto primitive: sono gli ostracodermi, antenati dei pesci, così chiamati per avere la pelle rivestita da una corazza ossea. Nel Siluriano alcune fasce di terre emerse, paludose e costiere, vengono conquistate dalle prime piccole, alte poche decine di centimetri, con un fusticino, qualche ramoscello e un semplicissimo apparato fogliare e riproduttore; nello stesso periodo compare sulla terraferma il primo invertebrato che sia riuscito a lasciare l'acqua, una specie di scorpione simile a quelli attuali.
Il Paleozoico superiore: nasce il supercontinente Pangèa e scoppia la grande crisi biologica
La seconda parte del Paleozoico è dominata, nell'evoluzione della superficie terrestre, dal progressivo riunirsi dei vari continenti fino alla formazione di un'unica estesa massa di crosta continentale.
All'inizio del Paleozoico superiore un lungo oceano separa ancora i due continenti settentrionali da quello meridionale, che in parte è ancora in corrispondenza del Polo sud. Ben presto, però, il mare si ritira dall'antica Europa, che viene in buona parte corrugata e sollevata da una nuova orogenesi (orogenesi ercinica): il Gondwana entra infatti in collisione con il bordo meridionale del Laurussia e i due continenti si saldano con il sollevamento delle catene erciniche.
Le masse continentali citate erano in posizione notevolmente diversa da quella attuale; l'Europa centrale stava infatti sull'Equatore, come ci dimostrano i cospicui giacimenti di carbon fossile, che derivano da antiche foreste di tipo equatoriale. Il Sudafrica era invece coperto da una calotta di ghiaccio.
Verso la fine del Paleozoico, anche il continente asiatico si salda al Laurussia, con la formazione dei Monti Urali; insieme al Gondwana, le terre emerse formano ora un gigantesco unico continente (Pangèa), circondato da un vasto oceano (Pantalàssa); all'interno del supercontinente penetra profondamente un ampio mare, che si apre verso Est (chiamato Tètide, dal nome della dea greca del mare, moglie del dio Oceano.
La tracce dell'orogenesi ercinica si seguono nell'Inghilterra meridionale, nell'Europa centrale, negli Urali, in parte dell'Atlante (Nordafrica), nell'Africa meridionale e negli Appalachi meridionali (Stati Uniti); dopo circa 300 milioni di anni quelle catene montuose sono ridotte, in molti casi, a modesti rilievi.
Mentre i continenti si andavano aggregando, i numerosi gruppi di organismi già comparsi conobbero un periodo di grande diversificazione.
Le piante, che avevano appena iniziato a colonizzare il margine delle terre emerse, ancora a stretto contatto con il mare, ben presto si diffondono ampiamente verso l'interno dei continenti, formando foreste di alberi alti decine di metri, mentre l'atmosfera si andava sempre più arricchendo di ossigeno. Verso la metà del Paleozoico superiore, nel periodo Carbonifero, vi erano grandi foreste come quelle attuali dell'Amazzonia e del Congo; esse erano formate in particolare da piante vascolari e da gimnosperme, tra cui conifere, differenziate in specie a clima caldo (in Laurussia) e specie a clima freddo (in Gondwana); dall'accumulo di tanta sostanza vegetale è derivata gran parte dei grandi giacimenti di carbon fossile. Gli invertebrati continuano a diffondersi nei più diversi ambienti, ma sono i pesci a diventare protagonisti di una nuova affascinante fase dell'evoluzione biologica, tanto che il periodo Devoniano è conosciuto come «età dei pesci».
Già comparsi in precedenza con forme corazzate, che all'inizio del Paleozoico superiore si trasformano in poderose macchine da preda (lunghi fino a 9 m), si diffondono ben presto con nuove forme: i pesci cartilaginei (come gli squali attuali) e i pesci ossei (oggi i vertebrati più numerosi per specie). A loro volta alcuni pesci ossei, con forme dalle pinne lobate, simili a zampe, e con polmoni primitivi che affiancavano le branchie nell'assorbire l'ossigeno, iniziano ad adattarsi alla vita sulle terre emerse. All'inizio, sono solo brevi «passeggiate» da uno stagno all'altro, sempre lungo la costa, in vicinanza del mare, ma col tempo compaiono veri anfibi, i primi tetrapodi terrestri. Nel periodo Carbonifero, le immense foreste paludose ospitarono una grande varietà di anfibi, anche di grandi dimensioni, adattati a vivere in terraferma anche se ancora legati all'acqua per una parte almeno del loro ciclo biologico.
Ma nuove forme, ancora meglio adatte alla vita fuori dal mare, fanno la loro comparsa verso la fine dell'Era Paleozoica: sono i primi rettili che, dopo un rapido sviluppo in competizione con gli anfibi, avranno un'ampia diffusione nell'Era successiva. La fine dell'Era Paleozoica viene posta in corrispondenza di una crisi biologica di vaste proporzioni. La formazione del supercontinente Pangèa, facendo modificare drasticamente il regime delle correnti marine e quello delle masse d'aria dell'atmosfera, determinò notevoli cambiamenti climatici. Gli alti rilievi di recente formazione e la vastità della superficie continentale portarono a condizioni di aridità nel continente settentrionale e questodeterminò il declino delle grandi foreste paludose: come conseguenza, oltre il 75% delle famiglie di anfibi si estinse. Anche la vita nei mari subì una drastica riduzione: si estinsero i trilobiti, dopo oltre 200 milioni di anni di persistenza con migliaia di specie diverse, scomparvero i pesci corazzati e interi gruppi di coralli e molluschi, messi in crisi, si pensa, dalla forte riduzione di superficie della piattaforma continentale (l'ambiente in cui più rigogliosa e diffusa è la vita), conseguenza della saldatura di più continenti in uno solo. Nel giro di qualche milione di anni, l'85% delle forme viventi era scomparso.
Il termine mesozoico significa «della vita di mezzo»; infatti vi erano fiore e faune non primitive come quelle del Paleozoico, ma non ancora di tipo recente come quelle dell'Era successiva (Cenozoico).
L'Era mesozoica è nota anche con il nome di Era secondaria o anche di «Era dei rettili» ed è un lungo lasso di tempo (circa 180 Ma, tra 245 e 65 milioni di anni fa), durante il quale si nota una minore attività orogenetica che contrasta con l'irrequieto sollevamento della «catena ercinica» (Paleozoico superiore) e con l'imponente sollevamento della «catena alpina», che vedremo più avanti.
L'evento fondamentale è, invece, la frammentazione del supercontinente Pangèa, di cui è diretta conseguenza l'aspetto attuale della superficie della Terra.
Continenti di nuovo alla deriva: la frammentazione della Pangèa
I movimenti delle placche che avevano portato alla formazione del supercontinente ne provocarono ben presto anche lo smembramento. Circa 200 Ma fa iniziò infatti la frammentazione della Pangèa, che gradualmente si suddivise in blocchi in reciproco allontanamento per l'espansione dì nuovi fondi oceanici: è la «deriva dei continenti» riconosciuta da A. WEGENER.
Tutto inizia con due grandi fratture crostali, come stadio embrionale di futuri oceani: il Nordamerica si stacca dall'Africa (e nasce l'Oceano Atlantico), mentre lungo una frattura a Y il continente Gondwana si divide in tre blocchi, uno dei quali, la futura India, comincia un lungo «viaggio» verso Nord. In una fase successiva iniziano a separarsi Sudamerica e Africa e nasce l'Oceano Atlantico meridionale; l'India prosegue il suo movimento come conseguenza del progressivo espandersi dell'Oceano Indiano. Prima della fine del Mesozoico l'India ha raggiunto l'Equatore mentre gli oceani Atlantico e Indiano sono in piena maturità. In quest'ultima fase la placca Africana ha iniziato un movimento verso quella Eurasiatica: sul fondo dell'Oceano interposto (Tètide) è ormai attiva una fossa di subduzione; altre fosse di subduzione si sono attivate lungo i margini occidentali dei continenti americani alla deriva verso Ovest, sotto i quali si va consumando parte del fondo dell'Oceano Pantalàssa, ormai ridotto in ampiezza e avviato a divenire l'odierno Oceano Pacifico.
Poiché nel corso di questo lungo processo prevalgono fenomeni di espansione degli oceani e di separazione dei continenti, non si verificano collisioni e l'attività orogenetica, come già anticipato, è ridotta, soprattutto in Europa e in Asia; in pratica, solo i margini dei continenti americani, che si muovono verso Ovest, iniziano a deformarsi, come conseguenza della subduzione al di sotto di essi del fondo dell'Oceano Pacifico: cominciano a sollevarsi, così, le grandi cordigliere, la cui storia non si è ancora conclusa.
In questa paleogeografia, così mobile, è interessante per noi tenere d'occhio l'evoluzione del mare Tètide o, meglio, dell'Oceano Tètide, in quanto diviene sede di formazione di crosta oceanica. I sedimenti che, nel corso del Mesozoico, si accumulano sulle sponde africane ed europee di tale oceano sono quelli che, trasformati in rocce, formano oggi le catene alpina e appenninica, cioè l'ossatura della nostra penisola. L'avvicinamento tra le placche Africana ed Eurasiatica porterà, infatti, a una collisione, dalla quale sorgeranno, soprattutto nell'Era successiva, gli attuali rilievi del Nordafrica e dell'intera Europa meridionale.
Dal dominio dei rettili a una nuova crisi biologica
Le forme di vita sopravvissute alla grande crisi biologica che segnò la fine del Paleozoico iniziarono a diversificarsi e a occupare le nicchie ecologiche rimaste vuote, Sulle terre emerse, scomparse le grandi foreste paleozoiche ricche di piante vascolari, si diffondono le gimnosperme, tra cui troviamo ancora le conifere, con imponenti alberi d'alto fusto (come le sequoie e le araucarie), ben noti, tra l'altro, per gli splendidi fossili della Foresta Pietrificata dell'Arizona. Verso la metà dell'Era compaiono però le angiosperme: con il loro seme protetto da un involucro e con i fiori che, attirando gli insetti impollinatori, facilitano la fecondazione, prima della fine del Mesozoico queste nuove piante si diffondono ampiamente su tutto il pianeta. Nei mari compaiono nuovi coralli (esacoralli) a cui si accompagnano altri organismi costruttori, come le rudiste, lamellibranchi con il guscio ispessito e adattato alla vita di scogliera, in un mezzo ad alta energia. Tra i molluschi si assiste anche alla diffusione diun'enorme quantità di cefalopodi, tra cui le ben note ammoniti, dalla tipica conchiglia a spirale: vivono per tutta l'Era, con un gran numero di forme via via più evolute, tanto da fornire molti fossili guida.
Il Mesozoico è però soprattutto l'«Era dei rettili», chedominano il pianeta per oltre 160 Ma. Il loro vantaggio nei confronti degli anfibi fu la possibilità di riprodursi senza bisogno di un ambiente acqueo, grazie ad un uovo protetto da un guscio solido al cui interno l'embrione, immerso in un liquido biologico, poteva giungere a maturazione. Nella loro evoluzione, i rettili invasero ogni spazio: non solo le terre emerse e le acque continentali, ma anche i mari e l'aria.
Tra i rettili terrestri erano i famosi dinosauri (sauro =rettile, deinòs =terribile), con numerose forme: ve n'erano di piccoli e di enormi, di erbivori e di carnivori, di nudi e di corazzati. Dai piccoli e saltellanti rettili di mezzo metro, adatti alla corsa, si passava a forme giganti, lunghe fino a trenta metri e pesanti decine di tonnellate: tutti avevano un cervello molto più piccolo, rispetto alle dimensioni del corpo, di quanto avvenga nei mammiferi e, data la loro lunghezza, il sistema nervoso era coadiuvato da grossi gangli disseminati lungo la colonna vertebrale. Gli erbivori venivano cacciati dai carnivori e per difendersi alcuni fuggivano, altri erano provvisti di placche ossee o code con aculei pericolosi. Alcuni carnivori, feroci e con denti acuminati, correvano eretti sulle due robuste zampe posteriori e nei piccoli arti anteriori presentavano un dito appuntito a pugnale. Tra i rettili marini più diffusi erano gli ittiosauri, con gli arti trasformati in pinne, un corpo a forma di delfino e una lunga fila di denti appuntiti per afferrare gli abbondanti pesci. Vi erano anche rettili volanti, con una membrana alare come quella dei pipistrelli, ma con apertura anche superiore ai 7 metri; è stato dato loro il nome di pterosauri (dal greco pteròs = ala).
Da qualche gruppo di rettili, nel corso del Giurassico, il periodo intermedio del Mesozoico, nacquero anche i primi uccelli, che all'inizio avevano ancora alcuni caratteri rettiliani (denti, una lunga coda con vertebre), ma erano già ricoperti di vere piume, ben riconoscibili in Archaeopteryx, il più antico uccello conosciuto.
Il valore di questo fossile (gli uccelli si conservano raramente) è eccezionale; esso venne trovato nel «calcare litografico» di Solenhofen, in Baviera. Proprio per la finezza di questo calcare, usato un tempo in litografia perché separatile in lastre perfette, piane, con una grana finissima, alcuni esemplari dei primi uccelli vennero conservati fossili non solo con le parti scheletriche, ma anche con le chiare impronte delle penne.
Ma, all'ombra dei rettili, quasi in sordina, nel Mesozoico maturano altri «progetti» biologici; forse come evoluzione di un gruppo particolare di rettili (i terapsidi), in alcune formedi piccole dimensioni, onnivore o insettivore, compare la capacità di mantenere costante la temperatura del proprio corpo, detta omeotermia (sono, cioè, «a sangue caldo», in contrapposizione ai rettili, «a sangue freddo»). Nelle nuove forme le squame del rivestimento corporeo sono sostituite da peli, che sono un isolante più efficace, ma soprattutto l'embrione si sviluppa completamente all’interno del corpo della madre fino al momento del parto, che produce un individuo già relativamente maturo o che comunque viene assistito fino all'autosufficienza.
Queste «novità» segnano la comparsa dei mammiferi, le cui caratteristiche risulteranno vincenti: prima, però, dovrà scomparire, o ridursi di molto, il predominio dei rettili, e questo avverrà con una nuova grande crisi biologica, con la quale si fa terminare l'Era mesozoica. In un periodo di tempo relativamente breve - ma comunque dell'ordine di alcuni milioni di anni - si estinguono numerosi gruppi di organismi e, tra questi, tutti i dinosauri e i rettili marini e volatori (i soli rettili che sopravvivono sono coccodrilli, tartarughe, serpenti e lucertole). Scompaiono anche tutte le ammoniti e le rudiste, insieme a interi gruppi di foraminiferi (Protozoi con un minuscolo guscio, in genere calcareo, che fanno parte del plancton marino).
Le cause di quella crisi non sono ancora ben chiare, anche perché, a fianco di quelli estinti, molti altri gruppi non sembrano aver subito alcuna influenza, sia nei mari, come i pesci e molti molluschi, sia sui continenti, come gli uccelli, i mammiferi e le diffusissime angiosperme. Il declino dei dinosauri è in genere attribuito alla loro incapacità di adattarsi a forti cambiamenti ambientali, legati a un progressivo deterioramento climatico a livello dell'intero pianeta.
La causa di tale deterioramento è stata imputata, negli ultimi anni, a un periodo di opacità dell'atmosfera nei confronti dell'energia solare, dovuto alla presenza di una nube di polveri sottili sollevate dalla caduta sulla Terra di un asteroide del diametro di almeno 10 km, disintegratosi nell'impatto con la superficie avvenuto 65 milioni di anni fa (forse nello Yucatàn, in America centrale). Le tracce di quell'evento sarebbero costituite dal ritrovamento in più parti del mondo di un velo di sedimenti di quell'età particolarmente ricchi di iridio, un elemento abbondante nei meteoriti. Ma molti geologi non ritengono plausibile questa ipotesi, soprattutto perché, come già ricordato, l'estinzione non fu brusca, ma graduale: delle oltre 400 specie di dinosauri che si conoscono, alla fine del Mesozoico non ne rimanevano che 12, mentre gran parte delle altre si erano estinte negli ultimi 10-20 anni Ma.
Forse, modificazioni climatiche progressive hanno portato via via al prevalere di condizioni ambientali difficili per organismi molto specializzati, la cui incapacità di reagire con nuovi adattamenti ha determinato la crisi di un'ampia parte del sistema biologico. In ogni caso, la scomparsa di un gruppo di organismi che avevano dominato il pianeta come nessun altro prima lasciò campo libero allo sviluppo degli ancora piccoli e rari mammiferi: quella che segue sarà la loro Era.
Il termine cenozoico significa «della vita recente», perché durante quest'Era - detta anche terziaria - si osserva un totale rinnovamento nelle fiore e nelle faune, le quali assumono decisamente un aspetto simile a quelle attuali. Si usa anche chiamarla «Era dei mammiferi», perché con la scomparsa di gran parte dei rettili gli ambienti vengono conquistati da questi moderni ed evoluti animali a sangue caldo.
L'Era, iniziata 65 milioni di anni fa, è durata circa 63 milioni di anni e viene suddivisa in 5 periodi: Paleocene (il più antico), Eocene, Oligocene, Miocene e Pliocene (il più recente).
Le grandi catene montuose danno alla Terra il suo aspetto attuale
Nel corso dell'Era cenozoica assistiamo ad uno dei maggiori «drammi» paleogeografici: si sollevano tutte le grandi catene montuose attuali, cambiando il volto della Terra; prima con arcipelaghi che emergono pian piano dai frutti, poi con il sollevamento di massicci che ora giungono fino a quasi 9 000 metri (orogenesi alpino-hímalayana).L'India, alla deriva verso Nord, entra in collisione con l'Eurasia: dalla deformazione dei due margini continentali e del fondo oceanico interposto prende origine un gigantesco edificio montuoso a grandi falde, la catena himalayana, che «sutura» i due continenti. Più a Ovest, anche il margine del continente africano completa la sua collisione con il bordo dell'Eurasia: si sollevano grandi catene a falde, estese da Gibilterra all'Iran, che si saldano ai rilievi himalayani. Il prisma sedimentario accumulatosi in precedenza lungo il margine settentrionale della Tètide si deforma in falde che scivolano verso l'Eurasia e costituiscono l'arco di rilievi delle Alpi Occidentali (a Nord della Valtellina) e dei Carpazi, che si collegano, attraverso il Caucaso, all'Iran settentrionale; un po' più tardi, il prisma sedimentario formatosi lungo l'antico margine africano, si deforma in altre falde, che costituiscono una lunga catena che comprende i rilievi tunisini e algerini, l'Appennino, le Prealpi (a Sud della Valtellina) e le Alpi orientali, le Dinaridi e le Ellenidi e arriva, attraverso le Tauridi (Turchia), ai Monti Zagros (Iran meridionale).
In tale processo, la Tètide gradualmente scompare, ma, verso la fine dell'Era, una parte dell'area di collisione risulta nuovamente sommersa da acque marine: si sta formando il Mediterraneo, il cui settore occidentale corrisponde all'aprirsi di alcuni bacini, in corrispondenza dell'assottigliamento e sprofondamento di alcuni settori di crosta. Tra questi nuovi bacini è anche il Mar Tirreno, il cui fondo, al largo della Calabria, ha solo due milioni di anni. Il Mare Adriatico e il Mediterraneo orientale, invece, sembrano essere le ultime testimonianze della Tètide, destinate anch'esse a scomparire.
Mentre avvenivano queste collisioni, gli oceani Atlantico e Indiano si sono progressivamente ampliati; la dorsale Medio-atlantica penetra fin nel Mare Artico e la Groenlandia si stacca dal Nordamerica. Lungo i margini verso il Pacifico dei continenti americani, invece, è proseguita la subduzione di crosta oceanica: si sollevano anche le Montagne Rocciose e la cordigliera andina occidentale, ancora oggi in formazione. Verso la fine dell'Era un nuovo evento complica questa paleogeografia già così articolata: dall'Africa si stacca la Penisola Arabica, lungo una gigantesca frattura che, allargandosi, ha dato origine al Mar Rosso, tuttora in espansione; a far le spese di questo movimento è il Golfo Persico, destinato a chiudersi, in futuro, per la collisione tra Arabia e Iran.
L'attività della crosta nelle aree di collisione non si è ancora esaurita, come già accennato: nell'area mediterranea lo vediamo, tra l'altro, dal persistere di un intenso vulcanismo (Vesuvio, Isole Eolie, Etna) e dalla forte sismicità attuale dell'area compresa tra il Veneto e la Sicilia, con terremoti frequentissimi e talora disastrosi.
Durante il Terziario, nella futura area mediterranea, sede di così radicali variazioni paleogeografiche, il clima, come si deduce dall'analisi delle facies e dei fossili, cambia gradualmente, da tropicale a temperato, con punte temperato-fredde (come oggi) alla fine dell'Era. Tale cambiamento è dovuto in parte a un vero cambiamento del clima che, verso la fine dell'Era, subisce un progressivo deterioramento, e in parte a uno spostamento dei blocchi continentali che, da latitudini più equatoriali, si portano gradualmente alle latitudini attuali.
Dall'evoluzione dei mammiferi nascono i primati
Gli organismi viventi sopravvissuti alla crisi biologica della fine del Mesozoico si avviano ad assumere caratteristiche per noi sempre più familiari. Le angiosperme, le piante con ì fiori, avevano sostituito ampiamente le gimnosperme già prima dell'inizio del Cenozoico; anche gli invertebrati marini assumono aspetti «moderni», con famiglie di molluschi, echinodermi, briozoi ecc. completamente nuove. In particolare, i gasteropodi e i lamellibranchi hanno una sorta di «esplosione» per il gran numero non solo di specie, ma anche di individui: varie specie che risalgono al Cenozoico sopravvivono ancor oggi. I pesci abbondano, con molti esemplari a scheletro osseo di tipo tropicale.
Grande importanza per la loro ampia diffusione raggiungono anche i microscopici foraminiferi (Protozoi), tra i quali ricordiamo le nummuliti (così chiamate perché grandi quanto un soldo: nummus, in latino). Le nummuliti sono abbondanti in molte rocce calcaree; esse caratterizzano solo l'Eocene e l'Oligocene e sono perciò ottimi fossili guida.
Ma i veri protagonisti del rinnovamento biologico sono i mammiferi che, occupando rapidamente tutte le nicchie ecologiche rimaste libere per la scomparsa dei rettili, si diffondono rapidamente e, differenziandosi in molte famiglie, in breve tempo divengono i dominatori del globo. Nella prima metà dell'Era compaiono i progenitori dei carnivori ed erbivori moderni e dei mammiferi marini; dall'Asia migrano in Europa suidi, ippopotami primitivi e rinoceronti senza corna alti fino a cinque metri. Fiorisce il gruppo degli equidi, le cui prime forme (Eohippus) sono alte un metro e hanno quattro dita per piede (mentre il nostro cavallo ha un solo dito per piede).
Nell’ultimo terzo dell'Era vi è un altro rinnovamento nelle faune a mammiferi; prosperano i canidi, i primi orsi, i macairodonti, feroci carnivori simili alle tigri, con i denti canini trasformati in zanne a pugnale, e i proboscidati poco evoluti, tra cui i mastodonti,simili agli elefanti ma con i denti molto più primitivi. Verso la fine dell'Era vi sono ormai faune a mammiferi molto simili a quelli che vivono attualmente; i mastodonti si trasformano in elefanti (Elephas meridionalis); con i rinoceronti e gli ippopotami essi popolavano in gran numero, per esempio, le pianure, ricche di laghi, del Piemonte e della Toscana.
Nel corso dell'Era compaiono, e si sviluppano rapidamente, anche i primati, a cui appartiene l'uomo.
Fra i primati, sono stati scoperti - nelle ligniti del Grossetano, vecchie 8 Ma - alcuni piccoli individui chiamati Oreopithecus i quali, per la conformazione particolare dei loro denti, sono posti da alcuni studiosi in un gruppo di forme che si differenziano dai pongidi (le scimmie antropomorfe) e risultano vicine, invece, alla linea evolutiva che porterà, più avanti, alla comparsa degli ominidi. Fra 3 e 4 milioni di anni fa comparvero e si diffusero in Africa meridionale e orientale gli australopitechi, che segnano un progresso nell'evoluzione verso la comparsa dell'uomo, con la loro capacità di camminare eretti; si estinsero circa un milione di anni fa, quando erano già comparse alcune altre forme differenziate, tra cui il genere Homo: ne riparleremo a proposito dell'Era Quaternaria.
L'Era in cui viviamo (della «vita nuova») ed è più nota con il nome di Era quaternaria (o Quaternario).
L'inizio dell'Era è stato posto a 1800000 anni fa, in coincidenza con l'età dell'evento normale Olduvai all'interno dell'epoca magnetica inversa Matuyama; tale evento deve la sua peculiarità al fatto che nella gola di Olduvai, in Tanzania, affiorarono sedimenti di quell'età in cui sono stati trovati i più antichi resti di ominidi riferitili al genere Homo, con la specie Homo habilis. E’ in questa brevissima era, infatti, che vediamo comparire l'uomo.
L'aspetto delle terre emerse e dei mari è ormai quello attuale: espansione dei fondi oceanici, fosse di subduzione, deformazioni crostali, modellamento superficiale compongono un quadro di cui possiamo avere esperienza diretta. Ma il fenomeno più importante è lo sviluppo di una nuova era glaciale, come conseguenza del progressivo deterioramento climatico già avvertito alla fine del Cenozoico. Almeno 5 grandi glaciazioni, alternate a fasi interglaciali, si sono susseguite nel Pleistocene: dall'ultima, siamo appena usciti.
Ospiti «freddi» e ospiti «caldi» nei nostri mari
Le conseguenze dell'alternanza di puntate fredde e calde furono imponenti. Non tutte le puntate ebbero la stessa intensità; ma nei casi più spiccati, le quantità di acqua marina immobilizzate sui continenti sotto forma di ghiaccio, o viceversa tornate al mare per fusione, fecero abbassare o alzare il livello dei mare di un centinaio di metri: le linee di costa subirono quindi grandi spostamenti in tempi relativamente brevi. Il Mar Baltico divenne a più riprese un piccolo lago, le acque dell'Adriatico giunsero più volte in Lombardia per ritirarsi altrettante volte. Molte isole a volte scomparvero, a volte si congiunsero ad un vicino continente o a un'isola maggiore (tipica è, ad esempio, l'unione di Malta con la Sicilia). I sistemi ciclonici e anticiclonici dell'atmosfera subirono radicali cambiamenti; le fiore e le faune effettuarono grandi migrazioni, ora verso Nord, ora verso Sud. Le variazioni del livello del mare dovute alla formazione o allo scioglimento dei ghiacci sono chiamate oscillazioni eustatiche; esse sono state valutate in molte decine di metri, o addirittura in un centinaio di metri. Ne deriva che i sedimenti marini depostisi durante le puntate glaciali più recenti si trovano ancora oggi sotto il mare, e non li vediamo se non prelevando campioni dal fondo con l'aiuto di opportune strumentazioni, mentre alcuni depositi interglaciali si possono rinvenire anche ad una certa altezza sul livello marino attuale, che è più basso di quello delle passate fasi interglaciali. Abbiamo detto solo «i sedimenti glaciali più recenti», perché quelli più antichi sono stati spesso portati a varie quote dai movimenti di sollevamento (epirogenesi) dovuti alle ultime fasi dell'orogenesi alpina, non ancora terminata.
I sedimenti glaciali più antichi dell'area mediterranea sono ben rappresentati in Calabria, dove affiorano come argille sollevate fino a 1000 metri di quota; l'origine di tali sedimenti in un periodo di clima freddo è rivelata dalla presenza di abbondanti resti fossili di foraminiferi e di molluschi detti ospiti freddi (o nordici), scesi fino al Mediterraneo dai mari del Nord in cerca di acque meno gelide, anche se pur sempre fresche. Fra gli ospiti nordici nel Mediterraneo, i due più tipici sono il foraminifero Hyalinaea balthica, che vive oggi nel Mar Baltico, e il mollusco bivalve Arctica islandica, che prospera oggi nei mari dell'Islanda.
Sedimenti di clima freddo, ma riferibili a un ciclo successivo, affiorano in Sicilia e lungo molti tratti delle coste tirreniche; in genere si trovano a quote meno alte dei precedenti, per il minor effetto dell'epirogenesi.
Dopo questi ultimi, però, non troviamo più formazioni marine «fredde» emerse, perché il livello marino durante le ultime glaciazioni era molto più basso e l'epirogenesi non ha fatto ancora emergere i corrispondenti sedimenti. Possiamo invece osservare, nei ripiani posti a varie quote lungo le coste, che rappresentano antiche fasce costiere sollevate i giacimenti «caldi». Ognuno di essi giace in trasgressione sul precedente, perché dopo ogni interglaciale il mare si ritirò (abbassamento eustatico dovuto ad una glaciazione) per alzarsi nuovamente ed avanzare durante il successivo interglaciale, i depositi «caldi» si riconoscono non solo per la litologia diversa (banchi calcarei invece che argillosi), ma anche per la presenza di ospiti caldi che risalivano le coste africane per raggiungere le tiepide acque del Mediterraneo, come il famoso Strombus bubonius ed altri gasteropodi.
La differenza di temperatura fra un momento «caldo» ed uno «freddo» può essere ricavata in più modi; nel caso citato (8 gradi) si è ricorsi allo studio dei pollini fossili presenti nei sedimenti, che testimoniano le migrazioni delle piante o delle erbe, costrette a spostarsi a Sud durante le glaciazioni e a risalire a Nord durante gli interglaciali; le conclusioni che se ne ricavano sono basate, ovviamente, sulla conoscenza delle temperature a cui oggi vivono quelle piante, tuttora presenti a latitudini più elevate. Lo sbalzo climatico può venire individuato anche con lo studio degli isotopi dell'ossigeno.
Sui continenti i ghiacciai provocano grandi migrazioni
Durante le glaciazioni vasti territori vennero coperti da calotte di ghiaccio il cui spessore è sconosciuto. Ne ritroviamo le tracce in tutta l'America settentrionale, in Siberia ed in Europa settentrionale. Le Alpi erano coperte da un unico enorme ghiacciaio i cui lobi scendevano verso Sud fino alla Pianura Padana: attorno alle rive meridionali dei nostri laghi prealpini (dal Lago Maggiore al Lago di Garda) e allo sbocco delle grandi valli nella pianura (come la Valle dell'Adige) vi sono archi collinari di detriti, lasciati dai vari ghiacciai, detti anfiteatri morenici.
Le ondate successive di freddo e le avanzate dei ghiacciai provocarono in parte una migrazione verso zone più calde dei mammiferi insofferenti del freddo, in parte la scomparsa di specie che vennero sostituite da forme meglio adattate. Fra gli orsi scomparve l'Ursus etruscus, mentre il successivo Ursus spelaeus si adattò al freddo e alla vita in caverna. Fra gli elefanti, che popolavano con enormi mandrie soprattutto le pianure dell'Italia peninsulare (Toscana, Lazio, Campania), scomparve ben presto l'Elephas meridionalis, tipico del Pleistocene inferiore; esso venne sostituito dall'Elephas antiquus, che resistette fino all'ultima glaciazione, benché non abituato al clima freddo, e dall'Elephas primigenius (mammut), che si adattò al freddo.
A Sud di Otranto, sulla riva del mare, vi è la Grotta Romanelli, dove i suoli corrispondenti all'ultima puntata glaciale sono ben rappresentati. Oltre a industrie umane vi sono ossa di Alca impennis, un grande pinguino artico ora estinto che venne ritrovato anche in una grotta di Gibilterra. I resti di questo uccello, abituato a climi molto freddi, confermano l'ipotesi che il Würmiano fu la glaciazione più fredda di tutte e col suo rigore dette il colpo di grazia a numerosissime specie che sparirono così dall'Europa o si estinsero del tutto.
Anche le flore seguirono le vicende climatiche. Nei periodi freddi si estesero fino alla Pianura Padana grandi quantità di betulle e di altri alberi oggi tipici di climi più settentrionali. Anche le piante erbacee cambiarono le loro associazioni secondo le alternanze del clima.
Ricordiamo, infine, come sia frequente nel Pleistocene superiore la comparsa di faune nane in popolazioni rimaste in condizioni di insularità. In Sicilia, a Malta, a Creta sono stati trovati scheletri di elefanti, ippopotami, cervi ed altri animali a taglia ridotta. Il caso più evidente è quello degli elefanti insulari, come l'Elephas falcòneri, che allo stadio adulto non superava il metro.
La preistoria dell'uomo
Ai depositi continentali del Quaternario sono spesso associate delle tipiche industrie, che vanno intese come giacimenti dì prodotti o di residui di lavorazione dell'attività umana. Le più antiche sono quelle della pietra scheggiata; venivano usati allora ciottoli di selce, una pietra dura dalla quale si ottenevano, con la percussione, lame, schegge a bordo tagliente, asce appuntite, punte di freccia ecc. L'età della pietra scheggiata si svolge per tutto il lungo periodo noto come Paleolitico (che corrisponde, in pratica, all’intero Pleistocene) nel quale le varie industrie si distinguono con nomi specifici, derivati da quelli delle località sede dei ritrovamento più importanti.
I più antichi resti umani recentemente scoperti in Africa sembra che risalgano addirittura al limite tra Pliocene e Quaternario. Nell'Africa centrale sono stati rinvenuti, in terreni di 1,8 milioni di anni fa, utensili litici estremamente rudimentali e resti di crani che sono stati attribuiti a Homo habilis, una specie che rappresenta un passo decisivo sulla via dell'ominazione, cioè dell'acquisizione dei caratteri tipici del genere Homo. Homo habilis è contemporaneo degli ultimi australopitechi, un gruppo di forme che rappresentano un passo ancora più antico lungo la stessa via, ma destinato a estinguersi. A tempi meno antichi (dal Gunz al Riss) risalgono le industrie a grosse schegge del Chelleano, atte a colpire anche grandi animali, e le amigdale (= a forma di mandorla) grandi quanto una mano, che venivano legate ad un bastone ed usate per vibrare colpi che potevano sfondare il cranio agli animali da preda. Più rari sono i resti umani di questo lungo lasso di tempo: l'Uomo di Pechino, l'Uomo di Heidelberg, l'Uomo di Giava sono tutte forme di Homo erectus che, comparso in Africa circa 1500000 anni fa, inizia a diffondersi nel continente eurasiatico, mentre Homo habilis si estingue. Più recenti, ed associati a manufatti di più accurata fattura (vi sono persino arpioni di osso per la pesca), sono i resti dell'Uomo di Saccopastore (Roma), di varie località della Dordogna (Francia), di Neanderthal ( =Valle di Neander, Germania), del Circeo (Lazio meridionale): sono considerati forme di Homo sapiens neanderthalensis, con le quali prosegue l'evoluzione degli ominidi; si ritrovano fino a circa 35000 anni fa, in pieno wúrmiano.
Nella parte finale del Paleolitico (in cui si trovano le testimonianze delle industrie del Musteriano, dell'Aurignaciano e del Maddaléniano, dalla più antica alla più recente) vi sono ormai le prove di due importanti conquiste umane: una forma di religione primitiva, su basi magico-rituali, e il sorgere dell'arte, con artisti chiamati di tribù in tribù ad incidere graffiti ed eseguire dipinti in rosso, giallo e nero sulle pareti e sulla volta delle caverne, spesso nelle parti più recondite, considerate come sacri luoghi di culto.
Una vera esplosione dell'arte - sempre legata a motivi rituali per propiziare la caccia, la pesca, la fecondità - ebbe luogo in Spagna settentrionale e in Francia, dove vi sono decine di grotte celebri: ricorderemo quella di Altamira (Spagna) e quelle di La Chapelle, Combarelles, Lascaux (Dordogna, Francia); quest'ultima, forse la più nota, è perfettamente conservata; contiene dipinti così pregevoli da essere conosciuta con l'appellativo di «Cappella Sistina della Preistoria».
Ad un breve periodo di transizione, detto Mesolitico, segue, a partire da circa 10 000 anni fa, il Neolitico, età della pietra levigata, in cui si usavano rocce più tenere che venivano accuratamente lavorate ottenendone utensili i cui bordi erano mantenuti taglienti levigandoli con rocce più dure. Veniva ormai usato più largamente anche l'osso, con le schegge del quale si facevano persino aghi per cucire. Nel frattempo, mentre gli uomini neandertaliani si estinguono bruscamente circa 35000 anni fa (nella seconda parte della glaciazione Würm), si va diffondendo Homo sapiens sapiens, con forme tipiche, come l'Uomo di Cro-Magnon. Al termine delleglaciazioni, l'uomo è ormai presente in diversi continenti e si differenzia nei gruppi razziali attuali. Ben presto, Homo sapiensimpara a fondere e lavorare i metalli, prima quelli più teneri (rame, circa 6000 anni fa, e bronzo, una lega di rame e stagno, circa 5000 anni fa), poi - con la scoperta dell'uso del carbon fossile, che permette di ottenere alte temperature - il ferro (nel XII secolo a.C., a cominciare dal Medio Oriente).
Dal momento in cui viene introdotta anche la produzione degli oggetti in argilla cotta è un rapido succedersi di culture protostoriche: l'agricoltura prende il sopravvento sulla caccia, molti animali vengono addomesticati e aiutano l'uomo nel suo lavoro. La lunga preistoria dell'uomo giunge così alla fine; con l'invenzione della scrittura siamo ormai alle soglie della storia.
Fonte: http://www.liceogalvani.it/download_file.php?id=13510
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