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La riflessione e la propaganda liberale si svilupparono in opposizione alle elaborazioni teoriche del pensiero politico della Restaurazione.
Le matrici del liberalismo sono legate al giusnaturalismo, alle Carte dei diritti, all’Umanesimo e alla Riforma protestante.
Il termine indica una concezione che mira a salvaguardare le libertà individuali e a favorire l’esercizio delle libertà politiche in una società pluralistica e nell’ambito di istituzioni regolate da leggi. È una teoria che tutela i cittadini da ogni eccesso di potere, e che ammette l’esistenza di una sfera dell’esistenza umana che deve restare fuori da ogni competenza pubblica; inoltre pone attenzione alle forme istituzionali, le uniche che possono garantire e tutelare i diritti degli individui.
Era perciò indispensabile l’istituto della rappresentanza, formato da persone scelte per la loro capacità e la dedizione al bene pubblico, che decidevano ciò che è giusto confrontandosi fra loro; perché ci fosse questo confronto era necessaria la libertà di stampa.
Un altro orientamento politico che si sviluppò, anche se in misura minore, fu quello democratico. Esso puntava sui temi dell’uguaglianza, della sovranità popolare e della giustizia sociale, e si distingueva da liberalismo per l’importanza data ad una partecipazione politica collettiva, al principio di nazionalità e per la diffidenza verso le soluzioni di tipo diplomatico. Questo pensiero si sviluppò soprattutto negli ambienti dell’emigrazione.
In Italia il rappresentante più importante fu Giuseppe Mazzini.
La strategia insurrezionale dei democratici uscì screditata da queste sconfitte, mentre presero piede le posizioni dei moderati che proponevano soluzioni graduali e pacifiche.
Il movimento liberale moderato riuniva un ampio numero di scrittori e la gran parte dell’opinione pubblica borghese. Era caratterizzato dall’avversione per l’immobilismo della Restaurazione e dalla convinzione che l’Italia doveva essere avviata verso la modernizzazione civile ed economica. Privilegiava il riformismo graduale.
L’iniziativa dei moderati cominciò nel campo della CULTURA→ in letteratura: Alessandro Manzoni, che nei “Promessi Sposi” del 1827 inserì intendimenti morali e pedagogici, Silvio Pellico, Massimo d’Azeglio.
In filosofia: fu riallacciato il dialogo con il criticismo kantiano e con l’idealismo tedesco.
In campo scolastico: furono editi libri con espliciti intendimenti educativi; furono istituite scuole professionali e fondati asili infantili; fu data particolare importanza agli studi di storia, al fine di trarvi auspici per il presente; ci si concentrò anche sullo studio di problemi concreti, di ordine tecnico, economico e amministrativo.
Importante fu l’opera di informazione svolta da alcune riviste.
Nel 1839 si tenne a Pisa il primo Congresso degli scienziati italiani.
POLITICA→ il progetto politico del federalismo moderato scaturì dallo studio del passato e dalla riflessione sulle condizioni presenti.
Mancò però per molti anni una precisa strategia politica.
Vincenzo Gioberti: un abate piemontese convinto che la religione avesse una funzione essenziale per la società, in quanto senza di essa non era possibile dare unità e disciplina alla società. Il primato dell’Italia rispetto alle altre nazioni consisteva appunto nell’essere stata sede del Papato.
La proposta giobertiana era la creazione di una confederazione di stati monarchici sotto l’egida della Chiesa; con ciò egli riuscì anche ad accostare al moto nazionale il mondo cattolico, che prima era rimasto sempre ostile o in disparte.
La posizione di Gioberti, detta neoguelfismo, dal 1843 al 1848 fu l’ideologia dominante nell’ambito del liberalismo moderato. Presentava però alcuni limiti: l’improbabilità dell’unione tra cattolicesimo e libertà, a causa del papa reazionario Gregorio XVI e dell’ordine dei Gesuiti, in opposizione al liberalismo; la mancanza nel programma della soluzione del problema della presenza austriaca in Italia.
Nel 1851 Gioberti rinunciò però a questo programma, sostenendo l’esigenza di affidare al Piemonte il compito di realizzare uno Stato nazionale unitario.
Sulla questione della presenza austriaca nel 1844 era stata pubblicata l’opera di Cesare Balbo; egli condivideva la scelta monarchico-confederale di Gioberti, ma si rendeva conto che il problema italiano toccava la questione dell’equilibrio diplomatico dell’Europa.
Gli Stati italiani dovevano conquistare l’indipendenza quando la crisi dell’Impero ottomano avrebbe spinto l’Austria verso i Balcani. Con l’espansione balcanica l’Austria avrebbe rinunciato più facilmente alle province italiane, che avrebbero potuto essere assegnate al Regno di Sardegna. Grazie a questa espansione la monarchia sabauda avrebbe assunto la guida della Confederazione italiana.
Dopo l’opera ci fu un riavvicinamento di Carlo Alberto al moto nazionale.
Gli avvenimenti romagnoli del 1845: Massimo d’Azeglio bloccò un moto insurrezionale che si stava lì preparando.
In seguito d’Azeglio scrisse su questo avvenimento un opuscolo, “Degli ultimi casi di Romagna”, che divenne un vero e proprio manifesto del moderatismo liberale. Vi era denunciato il malgoverno pontificio e venivano indicate le vie della libertà e dell’indipendenza; inoltre era presente una dura critica dei metodi cospirativi e insurrezionali.
Per la creazione di un vero mercato nazionale era necessario abolire i dazi doganali che impedivano la libera circolazione delle merci tra gli Stati italiani.
Nello stesso periodo Camillo Benso conte di Cavour pubblicava su una rivista francese un articolo sulle ferrovie in Italia, in cui affermava che erano ormai passati i tempi del dispotismo conservatore e delle cospirazioni, e che si doveva guardare con fiducia ai progressi della civiltà e allo sviluppo della società.
Anche i moderati cattolico-liberali toscani, tra cui Gino Capponi e Bettino Ricasoli, si impegnarono a realizzare opere di utilità sociale per migliorare la condizione dei contadini.
Nel 1846 venne eletto il nuovo papa, Pio IX.
Fonte: https://sociologiaunipi.files.wordpress.com/2013/03/riassunti-storia-contemporanea-sabbatucci-vidotto.doc
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