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Dal 1846 al 1848 ci fu il “biennio riformatore”, in cui i sovrani italiani dovettero introdurre delle innovazioni nella conduzione politica dei loro Stati.
Piemonte→ Carlo Alberto promosse un ammodernamento dei codici e dei sistemi amministrativi e concesse la libertà di stampa; in politica estera e nella politica religiosa però rimase conservatore.
Toscana→ fu parzialmente abolita la censura, venne creata la Guardia Civica e si cercò di allargare la partecipazione alla vita dello Stato. Si cercò di formare una lega doganale tra i governi di Torino, Firenze e Milano.
Da parte dei moderati però le richieste per una svolta più decisiva aumentarono. Dopo la costituzione concessa da Ferdinando II nel Regno delle due Sicilie, anche gli altri sovrani fecero altrettanto.
In Piemonte, il 4 marzo 1848, venne promulgato lo Statuto Albertino e venne eletto come Presidente del nuovo governo costituzionale il liberale Cesare Balbo.
QUESto però non bastava alle popolazioni dell’Italia centro-settentrionale.
Scoppiaro rivolte a Venezia, a Milano e nelle altre città del Lombardo-Veneto.
A Venezia gli insorti liberarono dal carcere Daniele Manin, il quale assunse la guida del movimento e cacciò gli Austriaci, formando un governo provvisorio.
A Milano Carlo Cattaneo si unì al Consiglio di guerra e, dopo 5 giorni (le “Cinque giornate di Milano”), l’esercito del maresciallo Radetzky si dovette ritirare dalla città. Fu creata una municipalità presieduta dal conte Gabrio Casati e composta da aristocratici di idee liberali-moderate; essi però non si unirono in governo con i democratici che avevano guidato l’insurrezione, ma preferirono costituirsi autonomamente in governo provvisorio, chiedendo l’intervento militare di Carlo Alberto.
Carlo Alberto pensò di dichiarare guerra agli Austriaci non per l’idea nazionale, ma per altri motivi: la pressione dell’opinione pubblica per un sostegno ai milanesi in rivolta; data la situazione dell’Impero austriaco, c’era possibilità di espandersi nella pianura Padana; appoggiava una guerra combattuta a fianco degli altri sovrani italiani e con la partecipazione del papa.
Egli però indugiò per ragioni di impreparazione militare e per trattati di amicizia stipulati con l’Austria.
Il 23 marzo però ci fu l’attesa dichiarazione di guerra; ormai però era troppo tardi ed inoltre le operazioni militari vennero condotte molto lentamente, tanto da consentire al comando austriaco di riordinare il suo esercito e di organizzarsi per la resistenza.
La guerra assunse subito un carattere federale e nazionale, contruppe regolari (dei sovrani) e reparti di volontari. Carlo Alberto però voleva prima la garanzia che la Lombardia, una volta liberata, avrebbe accettato la fusione con il Regno di Sardegna.
Carlo Alberto riuscì ad assicurarsi l’annessione della Lombardia, ma perse la guerra con Radetzky; il generale infatti riuscì a rifugiarsi nei territori del Quadrilatero, allo sbocco della valle dell’Adige, dalla quale attraverso il Brennero ricevette rinforzi.
Nonostante ciò l’esercito piemontese vinse a Pastrengo e a Goito e riuscì a prendere Peschiera.
In seguito si ritirò dalla guerra papa Pio IX, e il suo gesto segnò la fine del neoguelfismo; si ritirò anche Ferdinando di Napoli e così anche Leopoldo II.
Un contingente di universitari toscani venne sterminato a Curtatone e Montanara; l’esercito piemontese però sconfisse gli Austriaci a Goito e riuscì a conquistare Peschiera, una fortezza del Quadrilatero
L’esercito sardo venne sconfitto a Custoza e abbandonò Milano al ritorno degli Austriaci. Venne infine negoziato con gli austriaci un armistizio che ripristinava il vecchio confine tra Lombardia e Regno di Sardegna (Armistizio di Salasco).
Erano fallite le proposte del neoguelfismo e del federalismo monarchico.
Inoltre si era manifestato un altro problema: come ottenere un’adesione al moto nazionale da parte delle masse contadine, che si erano schierate con Radetzky.
La direzione del movimento nazionale passò dai moderati ai democratici:
A Venezia resisteva ancora la repubblica di Manin.
In Toscana si formò un nuovo governo diretto dal democratico Francesco Guerrazzi e da Giuseppe Montanelli. Nel 1849 il granduca Leopoldo si allontanò da Firenze.
Nello Stato pontificio si aprirono contrasti tra il papa e il movimento nazionale; il tutto culminò nell’uccisione del ministro degli interni ad opera di un reduce della guerra. Pio IX fuggì e si rifugiò a Gaeta. Nello Stato pontificio crebbe il peso della parte democratica, grazie anche ai patrioti tra cui Garibaldi e Mazzini. Nel febbraio del 1849 venne così proclamata la fine del potere temporale dei papi e l’instaurazione della Repubblica Romana, con un governo formato da Mazzini, Armellini e Saffi.
Nel Regno di Napoli ci furono tentativi da parte dei democratici e dei moderati di mettersi a capo attraverso sollevazioni; esse però fallirono. Prese quindi vigore la restaurazione dell’assolutismo, con il ricorso a forme di dura repressione. Il malcontento si espresse soprattutto in Sicilia, la quale aveva precedentemente proclamato la sua indipendenza da Napoli e si era data una Costituzione.
In Piemonte si era formato un nuovo governo moderato, presieduto da Cesare Alfieri di Sostegno, che era però attaccato da Gioberti e dai democratici perchè restio a riprendere la guerra nazionale contro l’Austria; egli puntava su una mediazione anglo-francese. Quando fu chiaro che l’Austria non voleva cedere la Lombardia al Regno sardo, Carlo Alberto diede a Gioberti l’incarico di formare un nuovo governo, orientato verso l’indipendenza e l’unità italiana. Gioberti cercò una linea unitaria di azione con gli altri governi italiani, ma ciò era ormai superato. Perciò egli cerco di riportare al potere il granduca in Toscana, sperando di riunire contro l’Austria il granduca, Pio IX e Ferdinando II. Però si spaccò l’alleanza con il Piemonte e Gioberti dovette dimettersi.
Carlo Alberto decise quindi da solo di riprendere le ostilità contro l’Austria. Il 20 marzo fu proclamato l’armistizio, e 3 giorni dopo, a Novara, l’esercito piemontese venne sconfitto. Carlo Alberto abidica a favore del figlio Vittorio Emanuele II, il quale avviò accordi di pace con il generale Radetzky. Ci furono numerose dimostrazioni popolari a favore della prosecuzione della guerra; a Genova si verificò una vera e propria insurrezione contro il governo e contro il re, sedata dall’esercito sardo. A Brescia ci fu un’insurrezione contro gli Austriaci, che riuscirono però a riconquistare la città.
Il tracollo sabaudo incoraggiò le forze reazionarie.
In Sicilia ritornò Ferdinando II, mentre in Toscana i democratici furono vinti dai moderati che permisero il ritorno del granduca Leopoldo al seguito dell’esercito austriaco.
Roma aveva appoggiato la ripresa della guerra da parte di Carlo Alberto, ma dopo la sconfitta di Novara venne istituito un triumvirato, composto da Mazzini, Saffi e Armellini, con il compito di proseguire la guerra di indipendenza e di salvare la repubblica.
Pio IX decise di rivolgersi alla Francia per riconquistare Roma; la Francia voleva infatti controbilanciare la presenza austriaca in Italia e conservare l’appoggio degli ambienti cattolici. Il 30 aprile, nel primo scontro coi difensori della repubblica,comandati da Pisacane e Garibaldi, l’esercito francese fu sconfitto. A giugno i francesi lanciarono un attacco a sorpresa a Roma, la quale dovette arrendersi il 3 luglio→ fine della repubblica romana.
Venezia resisteva ancora, ma ben presto anche la sua repubblica dovette arrendersi.
Fonte: https://sociologiaunipi.files.wordpress.com/2013/03/riassunti-storia-contemporanea-sabbatucci-vidotto.doc
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