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Un parlamento era una Corte sovrana sotto l'Ancien Régime. I parlamenti possedevano anche dei poteri politici ed amministrativi.
Ruoli
Ruolo giudiziario
I parlamenti funzionavano come Corti d'Appello e di Cassazione, sia in materia civile che penale, per i casi concernenti il terzo stato, ma anche come tribunale di giurisdizione speciale di prima istanza per le cause che coinvolgevano i membri della nobiltà francese.
Ruolo legislativo
I parlamenti non ebbero un potere legislativo propriamente detto, cioè quello di emettere leggi nuove in materia penale o civile. Tuttavia, in ambito legislativo avevano due generi di potere:
Ciononostante questa superiorità non era assoluta, poiché il re poteva sempre avocare a sé la giurisdizione cioè togliere ad un parlamento o ad una qualsiasi corte un caso e farlo giudicare definitivamente dal suo Consiglio del re. Era comunque una procedura molto rara. In queste occasioni il parlamento aveva il diritto di rimostranza, cioè poteva emettere delle osservazioni sulla legalità nei testi che doveva registrare. Questo diritto aveva lo scopo di permettere ai parlamenti di verificare la concordanza dell'editto o dell'ordinanza con il diritto precedente, con i privilegi ed i costumi della provincia, ma anche con i principi generali del diritto. A poco a poco i parlamentari utilizzarono questo diritto per diventare un contro-potere di fronte a quello monarchico. In caso di rifiuto della registrazione, il re poteva indirizzare al parlamento degli “ordini di interinazione” e, in caso di rigetto dei medesimi, di imporre la sua decisione al parlamento presiedendo lui stesso un lit de justice. La decisione regale era quindi registrata con la dizione «per espressa disposizione del re».
Personale
I parlamenti francesi non erano paragonabili a quelli della vicina Inghilterra, non erano cioè assemblee di rappresentanti o di deputati eletti, si trattava di magistrature i cui membri formavano una specie di casta o, meglio, di corporazione alla quale si accedeva comprando la carica, e in molti casi per successione ereditaria. Questi magistrati occupavano dunque, con orgoglio, l'office in nome di privilegi dalle remote origini feudali. Gli incarichi erano di grande peso e consistevano nell'amministrazione (a pagamento) della giustizia, nel fronteggiare il “pericolo” costante che lo Stato facesse pagare le tasse ai ricchi, nel controllare rigidamente e censurare le manifestazioni non ortodosse della cultura e della libertà di pensiero e di espressione (mandando al carcere gli scrittori “ribelli” e “irreligiosi” e facendo bruciare sulla piazza i loro libri) e ostacolando in ogni modo il “potere legislativo” del re (gli editti e i decreti reali) quando sembrassero in contrasto con l'autonomia, i diritti e le “tesi” parlamentari. Poiché il sistema francese del tempo non era fondato né su una Costituzione, né sulla divisione dei Poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) che caratterizzano i regime liberal-parlamentari, è evidente che il confronto istituzionale tra gli atti amministrativi e giuridici del re, cioè del capo dello Stato e dei suoi ministri, e quelli dei parlamenti era senza mediazioni o filtri di alcun genere e si caricava di volta in volta, per ogni singolo intervento, di significati simbolici e politici.
Così, se un parlamento respingeva, ad esempio, un decreto sovrano, il rifiuto poteva essere interpretato come un gesto di libertà dei sudditi e della “nazione” (di cui i magistrati si sentivano interpreti) contro il manifestarsi del potere dell'assolutismo regio. Nello stesso tempo il re, esercitando questa autorità nel nome dello Stato, imponeva l'interesse generale a quello di gruppi, “classi”, corporazioni che a Parigi e nelle grandi città si identificavano con principi di sangue, nobili di toga e aristocratici di vario grado. Dunque, l'imposizione sovrana finiva con l'apparire più “popolare”, ma priva del tocco “liberale”, che segnava il rifiuto parlamentare. Questo groviglio giuridico-ideologico sconcertava soprattutto gli intellettuali illuministi, i quali non riuscivano a districarsene e spesso non sapevano per chi parteggiare. Voltaire fu uno dei primi ad uscire allo scoperto pubblicando, nel 1769, un saggio sulla situazione paradossale del parlamento di Parigi che aveva accumulato un potere enorme e “sembrava schierarsi dalla parte del popolo, ma faceva ostruzionismo al governo e intendeva confermare la propria autorità sulle rovine del potere sovrano”. Ma, sosteneva Voltaire, “l' attuale, sorprendente anarchia non può durare. O il re recupera la sua sovranità o i parlamenti prevarranno”.
brani tratti da Wikipedia, l'enciclopedia libera e da un articolo dello storico Lucio Villari pubblicato su La Repubblica del 23 novembre 1991
Antica assemblea straordinaria dei rappresentanti di nobiltà, clero e Terzo stato in Francia e nelle Fiandre. Gli Stati generali francesi furono convocati la prima volta durante il conflitto tra papa Bonifacio VIII e Filippo IV (1301-1302). Nel 1317 Filippo V dispose che le città del regno scegliessero i propri rappresentanti all'assemblea, introducendo il principio dell'elettività dei deputati.
Vi partecipavano in tutto 900 rappresentanti; 300 membri per ogni ordine che si riunivano in tre camere separate, discutevano sulla legge ed emettevano un voto per camera: essendo 3 i voti il sistema non ammetteva il pareggio. Il più delle volte il Terzo Stato era svantaggiato, perché in qualche modo gli interessi dei nobili e del clero coincidevano: era sufficiente che questi emettessero due voti a favore per ottenere la maggioranza.
Organo puramente consultivo, non avevano funzioni definite ed era convocato saltuariamente per richiedere l'espresso consenso all'operato del sovrano. In alcune circostanze gli Stati Generali tentarono di accrescere le proprie prerogative assumendo iniziative politiche, ma la corona reagì evitando di convocarli. Nel secondo Cinquecento aumentò la loro importanza, specie in materia fiscale e finanziaria, ma crebbe anche la conflittualità fra le tre componenti. Tali contrasti fecero fallire la riunione del 1614-1615. Dopo quella data non furono più convocati fino al 1789.
Nell'ultima riunione degli Stati Generali, nel 1789, il Terzo Stato chiese altri 300 membri per la propria camera, l’istituzione del voto per testa e la riunione in un’unica camera. Di questi punti solo uno fu concesso, quello di elevare il numero dei propri membri a 600. In questo modo il sistema rimaneva lo stesso, perché per cambiare era necessario il voto per testa. A quel punto il Terzo Stato si autoproclamò l’unico vero rappresentante della Francia, assumendo il nome di Assemblea Nazionale, e ciò determinò la fine degli Stati Generali.
ANCIEN RÉGIME
(antico regime). Insieme degli istituti giuridici, politici e sociali della monarchia francese dal XVI secolo fino alla Rivoluzione francese. In senso più ampio, l'epoca della storia europea compresa tra il XVI e il XVIII secolo e, per alcuni paesi, anche oltre, fin quando non vi si affermarono istituzioni e forme sociali e politiche "moderne", in cui trionfarono i concetti di nazione, costituzione, sovranità popolare, eguaglianza, diritti dell'uomo e del cittadino.
L'ancien régime si fondava sulla centralità della figura del sovrano, vertice e personificazione di una monarchia ereditaria di diritto divino (vedi assolutismo), sulla egemonia sociale, politica, economica e culturale dell’aristocrazia (società di ordini) e su un’economia ancora prevalentemente legata alla terra e a forme produttive di tipo tradizionale. In particolare, esso era contraddistinto da un insieme di rapporti sociali e giuridici tali da configurare situazioni di privilegio e di diseguaglianza ereditarie e da consolidare le gerarchie esistenti.
Fanno parte di questo contesto sia le sopravvivenze del regime feudale (quali le servitù personali, la manomorta, il maggiorasco, i diritti signorili, le rendite feudali, le forme di giustizia signorile, istituti che furono formalmente distrutti dai decreti promulgati dall'Assemblea costituente il 4 agosto 1789), sia un sistema fiscale basato sul privilegio e sulle esenzioni a favore della nobiltà e del clero. Tipici dell'antico regime furono inoltre alcune pratiche amministrative come la venalità e l'ereditarietà di molti uffici finanziari e giudiziari e l'esistenza di privilegi a favore di particolari gruppi sociali: le corporazioni e le istituzioni accademiche nelle arti, nei mestieri e nella cultura, con l'insieme di vincoli, di regole, di franchigie e di norme da esse amministrate (all'abolizione di tutte le istituzioni che ostano alla libertà e all'uguaglianza dei diritti era dedicato il preambolo della Costituzione approvata dall'Assemblea nazionale nel settembre 1791).
Il diritto di maggiorasco era, nell'antico sistema successorio, il diritto del primogenito di ereditare tutto il patrimonio familiare.
Fonte: http://sandroarcais.altervista.org/Quarta_Storia_MonarchiaAssoluta_Testi.doc
Sito web da visitare: http://sandroarcais.altervista.org/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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