Quesiti di storia per esame

Quesiti di storia per esame

 

 

 

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Quesiti di storia per esame

  • la novità del liberalismo e riformismo Giolittiano
  • neotraformismo: Giolitti e i socialisti, Giolitti e i cattolici, Giolitti e i nazionalisti
  • la conquista della Libia
  • il patto Gentiloni
  • la prima guerra mondiale:lo scoppio del conflitto e le prime fasi della guerra
  • la situazione in Italia: neutralisti e interventisti
  • Patto di Londra e promesse all’Italia
  • l’entrata in guerra in Italia e il suo fronte:la guerra di trincea
  • dalla sconfitta di Caporetto alla vittoria
  • l’uscita della guerra della Russia (rivoluzione Russa)
  • la guerra sottomarina e l’intervento degli USA
  • la fine della guerra:la conferenza di Parigi e i trattati di pace (in particolare quello di Versailles con la Germania
  • la repubblica di Weimar
  • l’ascesa del nazismo
  • Hitler al potere
  • la persecuzione degli ebrei
  • l’economia di guerra della Germania
  • la rivoluzione d’Ottobre
  • la guerra civile in Russia
  • la NEP
  • Stalin al potere
  • la collettivizzazione delle terre
  • i piani quinquennali
  • il terrore staliniano e i gulag
  • la crisi del 1929 e il New Deal
  • il dopoguerra in Italia (vittoria mutilata)
  • La questione di Fiume
  • dal  movimento fascista al Partito Nazionale Fascista
  • il biennio rosso
  • la marcia su Roma - il fascismo al potere
  • l’assassinio di Matteotti
  • le leggi fascistissime
  • i patti lateranensi
  • dirigismo economico
  • la conquista dell’Etiopia e le conseguenze, le sanzioni economiche
  • l’alleanza con Hitler (leggi razziali)
  • la guerra civile spagnola
  • asse Roma-Berlino e il Patto d’acciaio
  • patto anti-Comintern -Patto tripartito  Roma-Berlino-Tokyo
  • il patto Molotov-Ribbentrop
  • l’invasione della Polonia e il massacro di Katyn
  • la guerra lampo: la spartizione della Polonia
  • crollo della Francia il governo di Vichy
  • Battaglia d’Inghilterra
  • l’Italia in guerra: l’attacco alla Francia, alla Grecia e la campagna d’Africa
  • l’invasione dell’URSS (operazione Barbarossa)
  • l’attacco Giapponese a Pearl Harbor e l’entrata in guerra degli USA
  • la svolta di Stalingrado
  • le sconfitte italo-tedesche in Africa
  • sbarco in Sicilia degli alleati (10/07/1943)
  • la caduta del fascismo (25/07/1943)
  • Collaborazionismo e Resistenza
  • l’armistizio di Cassibile
  • Roma città aperta
  • la repubblica di Salò
  • la lotta partigiana: il CLN
  • l’eccidio di Cefalonia
  • la svolta di Salerno - i protocolli di Roma
  • le repubbliche partigiane: la repubblica dell’Ossola
  • lo sbarco in Normandia
  • la resa della Germania
  • la resa del Giappone
  • la spartizione del mondo in due blocchi
  • la guerra fredda
  • NATO, Patto di Varsavia, NON ALLINEATI
  • L’Italia repubblicana
  • Referendum istituzionale
  • La costituente
  • Le elezioni del 1948
  • Il PIano Marshaal -  Il Comecon
  • Il centrismo
  • Il miracolo economico: progressi e squilibri (spopolamento campagne e migrazioni interne)
  • La politica di centro sinistra (alleanza di DC-PSI)
  • Il 1968 e la contestazione studentesca
  • Gli anni di Piombo: la crisi degli anni 70, il terrorismo nero e rosso, l’assassinio di Moro
  • La ripresa economica degli anni 80
  • Clientelismo e corruzione
  • La nascita di nuovi partiti (Lega Nord, Forza Italia)
  • L’inchiesta mani pulite e la lotta della mafia
  • La riforma elettorale sistema maggioritario  e la vittoria di Berlusconi nel 1994

 

 

Novità del liberalismo e riformismo Giolittiano

Giovanni Giolitti primo ministro del governo Zanardelli e in seguito presidente del Consiglio, principale esponente del movimento liberale. (Il liberalismo è la dottrina politica politica che pone come obiettivo prioritario la libertà.in ogni ambito, comprreso quello economico –liberismo: libero scambio - economia di mercato: legge della domanda e dell’offerta - non intervento dello stato nell’economia)
Giolitti puntò, di fronte all’affermarsi del movimento socialista, ad integrare la classe operaia nelle istituzioni dello stato liberale. Per questo motivo attuò una politica di accordo con le rappresentanze sindacali e politiche del movimento operaio.(riconobbe l’importanza del sindacato inteso come organizzazione della proptesta operaia e cpme interlocutore della contrattazione tra lavoratori e datori di lavoro) Questa era proprio una grande novità per il sistema politico italiano. Tale scelta, però, impauriva un po’ la classe dirigente anche se ebbe l’appoggio della parte più avanzata della borghesia industriale. Anche i socialisti appoggiarono, almeno inizialmente, la scelta politica di Giolitti. Un altro aspetto della vita politica di Giolitti fu decidere di mantenere il governo in posizione di neutralità di fronte ai conflitti sindacali, avendo il ruolo di mediatore. Questo atteggiamento dello Stato portò a rafforzare il movimento sindacale. Per tale motivo gli scioperi (Giolitti riconobbe il diritto di sciopero) crebbero di intensità e spesso raggiunsero precisi obiettivi. Questo fu possibile poiché quando vi era uno sciopero della classe operaia, l’unico compito dello stato era mantenere l’ordine pubblico.
Giolitti prese provvedimenti importanti nel campo della legislazione sociale (riduzione dell’orario di lavoro, tutela del lavoro di bambini e donne, assistenza infortunistica e pensionistica, obbligatorietà del riposo settimanale) e cercò di valorizzare per quanto potesse lo Stato italiano; infatti statalizzò le ferrovie e attuò una nuova legge scolastica, che rendeva obbligatoria e statale l’istruzione elementare. Un’altra iniziativa molto importante fu la nazionalizzazione delle assicurazioni sulla vita e la rifoema elettorale ( Suffragio universale maschile) .L’altra faccia della medaglia fu il forte squilibrio tra Nord e Sud. Molte riforme giolittiane, infatti, si limitarono solo alla realtà del Nord, in quanto nel Sud lo stato continuò ad intervenire duramente con il tentativo di stroncare le lotte dei contadini.  indietro

Neotrasformismo giolittiano: Giolitti e i socialisti, Giolitti e i cattolici e i nazionalisti

Giolitti fu accusato di neotrasformismo dagli oppositori, sia di destra che di sinistra. Per neotrasformismo si intende la confusione di ruoli tra maggioranza e opposizione (Depretis) Questo avvenne poiché il progetto di Giolitti fu un compromesso tra appoggi politiche ed interessi economici (clientelismo)  Viene definito ‘neo’ perché Depretis fece la stessa cosa.
Giolitti e cattolici
Giolitti, pur essendo ostile ad ogni forma di clericialismo, capì che il cattolicesimo non poteva rimanere escluso dai processi di trasformazione in atto nella società italiana né lasciare i socialisti la rappresentanza politica delle aspirazioni e degli interventi popolari. La componete clerico-moderata, che nella vita sociale e politica era nettamente antisocialista. Così fu possibile avere un possibile alleato da contrapporre alla Sinistra.
Giolitti e socialisti
Giolitti con il partito socialista non riuscì a stringere un accordo politico. Egli non riuscì a fare dei socialisti una forza di governo, integrandoli pienamente nella vita politica. La componente riformista, era favorevole alla politica di Giolitti perché favoriva la crescita di una moderata borghesia industriale; al contrario la componente rivoluzionaria (massimalista)  si mostrò ostile.
Giolitti e nazionalisti
Nel corso dell’età giolittiana in Italia iniziò a diffondersi il nazionalismo finché nel 1910 fu fondata l’Associazione nazionalista italiana. I nazionalisti risentivano la necessità dell’espansione coloniale per l’affermazione della grandezza dell’Italia. Per ottenere il consenso dei nazionalisti iniziò varie guerre per conquistare colonie ed espandersi.
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Conquista della Libia
Giolitti iniziò la politica coloniale dal Nord Africa, con la guerra in Libia. La conquista della Libia fu una scelta del governo per assecondare la pressione dell’opinione pubblica nazionalista e dei gruppi industriali e finanziari. Tale conquista incominciò nel 1911-12 occupando le coste della Libia, Rodi e isole del Dodecaneso. L’impresa divenne interessante in quanto pubblicizzata come una grande opportunità economica per l’Italia, un‘opportunità che avrebbe reso l‘Italia potente: la Libia era un Paese di grande ricchezze. In effetti, però, l‘Italia ebbe moltissimi morti ed una volta ottenuto il dominio si ritrovò con una terra (scatolone di sabbianon si conoscevano i giacimenti petroliferi)  che non poteva essere sfruttata, ed i lavoratori italiani andavano li con fatica per lavorare. Gli unici profitti che l’Italia ottenne furono la crescita dei profitti delle banche e degli armatori dell’industria pesante, per il semplice fatto che finanziarono la conquista e la colonizzazione. La conquista della Libia fu portata a termine in modo diplomatico, con la Turchia che si ritirò dalla regione. indietro

Il patto Gentiloni

Nel 1913 si tennero le prime elezioni a suffragio universale maschile della storia italiana. Infatti il diritto di voto è stato ampliato il diritto di voto a tutti i maschi maggiorenni non analfabeti e agli analfabeti di età maggiore ai 30 anni o che avessero assolto il servizio militare, grazie ad una legge voluta dallo stesso Giolitti. In occasione di queste elezioni liberali e cattolici strinsero accordi a livello locale dove si impegnavano ad appoggiare i candidati liberali. Tale accordo prendeva il nome di patto Gentiloni. Quest’ultimo è un accordo che Giolitti fa con Filippo Gentiloni, con lo scopo di contrastare un possibile elettorale dei socialisti nelle elezioni del 1913. Questo patto garantiva, appunto, i voti dei cattolici al partito liberale e in cambio Giolitti si impegnava a non emanare leggi che fossero contro i principi della Chiesa, come il divorzio o l’aborto. Tale accordo risultò determinante in quanto la sinistra ottenne 69 deputati al contrario dei liberali che ne ottennero 304, dei quali 228 grazie solo all’aiuto dei cattolici.
A causa di una difficile fase economica, del passivo bilancio pubblico, dei sempre più aspri conflitti sindacali e le violente polemiche condotte da nazionalisti e socialisti, nel marzo 1914 Giolitti rassegnò le dimissioni indietro

La prima guerra mondiale: lo scoppio del conflitto e le prime fasi della guerra

In Europa dopo circa un secolo di pace, dovuto al congresso di Vienna, si presenta un conflitto per l’egemonia in Europa e nel mondo. Dal punto di vista economico e coloniale, cresceva sempre più la conflittualità fra le potenze europee e dal punto di vista politico la Germania svolgeva una politica di potenza; ciò delineava un conflitto con la Gran Bretagna e la Francia, a seguito della sconfitta del 1870. Erano presenti dunque due alleanze : la Triplice alleanza e la Triplice Intesa. La triplice alleanza che comprendeva la Germania, l’Austria-Ungheria e l’Italia; al contrario la triplice intesa era un’alleanza tra Francia, Russia e Inghilterra.
Le cause della guerra furono

  • il conflitto anglo-tedesco, (Revanscismo francese dopo la sconfitta di Sedan e la perdita di Alsazia e Lorena) 
  • La situazione balcanica (l’impero ottomano in disfacimento) interessi della Russia, delll’Austria  della Serbia e la Germania, che volendo avere uno sbocco sul Mar Mediterraneo entrano in conflitto;
  •  infine altri conflitti secondari erano tra Italia e Austria, per Trento
  • Altre cause della guerra furono, oltre le precedenti già elencate, la corsa agli armamenti, l’industria bellica che conobbe il suo splendore motivata principalmente alla corsa agli armamenti. Ad approvare lo scoppio di un conflitto, c’erano anchegli industriali e i militari. Questo fu dovuto al fatto che vedevano in un conflitto ottimi guadagni, soprattutto se si trattava di industrie pesanti quali quelle meccaniche, siderurgiche, belliche, ecc. ed i militari volevano consolidare la propria posizione ottenuta durante l’espansione coloniale.
  • Come ultimo ma non meno importante motivo c’è la diffusione del popolo di un sentimento nazionalista (che spinge la gente a pensare che la propria nazione abbia il diritto di prevalere sulle altre perché ritenuta superiore) Purtroppo il richiamo patriottico coinvolse sempre più gente, specialmente nelle città, fino ad arrivare al vero e proprio scoppio della guerra dove troviamo a favore la maggioranza della popolazione compresi alcuni partiti socialisti.

Il 28 giugno 1914 uno studente bosniaco uccide in un attentato a Serajevo l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando e la moglie. L’Austria il 23 luglio impone alla Serbia un ultimatum e la Serbia rifiuta unicamente per una clausola. A questo punto il 28 luglio 1914 l’Austria dichiara Guerra alla Serbia, che non tirandosi indietro ordinò la mobilizzazione dell’esercito. La Russia appoggia la Serbia e la Germania dichiara, quindi, guerra alla Russia, l’Inghilterra e la Francia entrano in guerra a fianco della Russia (Triplice intesa). L’Italia rimane neutrale.
La prima fase della guerra fu delineata, dunque, da due schieramenti: la triplice intesa (Inghilterra, Francia e Russia) che appoggiarono la Serbia con l’obiettivo di contrastare la Germania che appoggiò fin dall‘inizio la scelta dell‘Austria, e la triplice alleanza (Germania, Austro-Ungheria,).
La Germania, secondo il piano Schlieffen, vuole concentrare tutte le forze tedesche sul fronte occidentale per sconfiggere in una guerra lampo la Francia. Inizia l’attacco invadendo il Belgio che violandone la neutralità e con quasi 1,6 milioni di soldati continuò a marciare verso Parigi. I francesi riescono a bloccare l’avanzata nemica sulla Marna perché l’esercito tedesco aveva sottovalutato il logoramento delle proprie forze e la tenuta dei difensori, soprattutto perché in Francia erano presenti gli inglesi. Sul fronte orientale quest’ultima otteneva invece numerose vittorie contro la Russia. La sua alleata, l’Austria, non era invece in grado di respingere l’esercito Serbo. L’ultimo fronte su cui si vedeva combattere inglesi e francesi era sullo stretto dei Dardanelli contro la Turchia. indietro

Situazione in Italia: interventisti e neutralisti
Allo scoppio della guerra l’Italia (non viene interpellata dall’Austria - inoltre la triplice alleanza era una allenza difensiva)  rimase neutrale.
Si erano formati due schieramenti: i neutralisti e gli interventisti.
Lo schieramento neutralista era composto da:

  • i socialisti, che ritenevano la guerra fosse voluta dalle grandi potenze europee imperialiste e capitaliste, ma il loro schieramento era isolato e la loro posizione era indebolita dalle posizioni interventiste dei socialisti europei; infatti adottarono una linea pacifista e antimilitaresca
  • i cattolici che difendo l‘Austria come ultima potenza cattolica;
  • i giolittiani, i quali sostenevano che l'Italia non era preparata a sostenere una guerra che sarebbe durata molto tempo e richiesto numerose risorse economiche e militari. Giolitti riteneva che l'Italia avrebbe potuto ottenere numerosi vantaggi senza la guerra, indicando l'opportunità di contrattare la neutralità come se fosse una vittoria. Quindi i liberali (giolittiani) preferiscono trattare con l’Austria.

Allo schieramento degli interventisti appartenevano:

  • gli "interventisti democratici" e i "socialisti riformisti":  animati da uno spirito patriottico
  • i nazionalisti che vedevano nella guerra la possibilità di sostenere le loro ambizioni espansionistiche
  • i liberali conservatori che vedevano nella guerra la possibilità di dare al parlamento poteri straordinari tali da far finire per sempre le riforme giolittiane
  • gli irredentisti e i nazionalisti puntavano a riottenere i territori del Trentino e Trieste e di far acquistare all'Italia lo status di grande potenza.
  • la monarchia e i gruppi industriali

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Patto di Londra e promesse all’Italia

La rottura da parte dell'Italia della Triplice Alleanza sancita nel 1915 con il Patto di Londra tra Italia (firmato da Sonnino per volontà del re), Inghilterra, Francia, Russia fu invevitabile. In caso di vittoria l'Italia avrebbe ottenuto il Trentino e Trieste, l'Istria, la Dalmazia, il porto di Valona e altri territori da stabilire. Il Patto di Londra fu tenuto nascosto all’inizio alla popolazione. Adesso rimaneva il problema di convincere la maggioranza giolittiana ad entrare in guerra. Difatti prima si firmò il patto di Londra e poi si votò in Parlamento. Per questo motivo Giolitti rifiutò l’incarico di Salandra, che finse di dare le dimissioni. Allora il re non accettò le dimissioni di Salandra e il governo ebbe poteri speciali. Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria entrando così nella prima guerra mondiale. indietro

Entrata in guerra in Italia e il suo fronte: guerra di Trincea

L’Italia entra in guerra il 24 maggio 1915 contro l’Austria-Ungheria, con la quale era precedentemente alleata.
Dopo il blocco del commercio marittimo, effettuato dalla Francia e L’Inghilterra nei confronti dell’imperi centrali ( impero Austro Ungarico, Impero tedesco, impero Ottomano) al fine di tagliare loro ogni rifornimento, la flotta tedesca trovandosi impossibilitata di lasciare i mari del Nord, diede inizio alla guerra sottomarina, utilizzando i terribili sottomarini U-boote. Il conflitto si trasformo in una vera e propria guerra di trincea. I sacrifici portati dalla guerra di trincea,non si imposero solo nei confronti dei soldati ma anche nelle popolazioni civili che subirono gravi restrizioni. Nel 1917 Austria, Russia, Italia e Germania subirono gravi mancanze, tra cui la mancanza di alimenti e le devastanti malattie quali colera e tubercolosi. L’inefficienza della guerra di trincea allontanava la fine del conflitto. I lavoratori scioperarono e diedero iniziò a manifestazioni violente. Sul fronte diversi soldati abbandonarono il campo di battaglia, rassegnati dall’idea che il conflitto non avesse mai fine. Il clima di rassegnazione era sempre piu’ alto.
Le prime battaglie in cui fu coinvolto l'esercito italiano ebbero esito disastroso: nei territori del Carso i soldati italiani subirono quattro cruente disfatte (Battaglie dell'Isonzo). Nel frattempo la Bulgaria si schierava dalla parte degli imperi centrali, aggravando la posizione russa nei Balcani ma soprattutto quella serba. L'unico presidio dell'intesa nei Balcani fu Salonicco, città greca ufficialmente neutrale ma in realtà alleata dell'Intesa.  indietro

Dalla sconfitta di Caporetto alla vittoria

Il 24 ottobre 1917 gli austriaci e i tedeschi riuscirono a sfondare a Caporetto, costringendo i reparti italiani ad una ritirata verso il fiume Piave. Successivamente a questa pesante sconfitta, che aveva portato tra l’esercito segni di sfiducia e rivolta, Cadorna fu sostituito dal generale Armando Diaz. In Italia fu intensificata la repressione del disfattismo, ossia di coloro che manifestavano contro la guerra, così da accrescere il consenso. Inoltre fu riorganizzato l’esercito, migliorando i rapporti tra ufficiali e truppe, e arruolando ragazzi ancora minorenni e contadini, ai quali vengono promesse distribuzioni terriere nel dopoguerra. Per incentivare l’esercito furono anche istituiti degli appositi UFFICI “P” (propaganda), nei quali lavoravano anche pedagogisti, con l’obiettivo di inculcare il patriottismo e la solidarietà nazionale.
Questi sforzi diedero i loro frutti, di fatti l’offensiva austriaca venne arrestata nel giugno 1918 sul Piave. Il 24 ottobre l’esercito italiano iniziò il contrattacco, sbaragliando gli austriaci a Vittorio Veneto. Il 4 novembre 1918 l’Austria firmò presso Padova l’Armistizio.  indietro

L’Uscita della guerra della Russia (rivoluzione russa)

(La rivoluzione di ottobre-comunismo di guerra- Pace di Brest Litovsk)

Lenin cerca di convincere i bolscevichi a prendere il potere con un’insurrezione della classe operaia una vera rivoluzione armata. Ci riesce in ottobre, grazie anche all’appoggio di due leader del Comitato centrale bolscevico, Trockij e Stalin. Così nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917, che coincidono al 6 e 7 novembre del calendario occidentale, i bolscevichi attuano un colpo di stato, occupano i punti strategici della città di Pietrogrado, conquistando il Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio. Kerenskij, il socialrivoluzionario che si era occupato di formare il nuovo governo, fugge e Lenin costituisce un nuovo governo rivoluzionario bolscevico, a cui più avanti aderiscono anche i socialrivoluzionari di sinistra.  indietro

La guerra sottomarina e l’intervento degli usa

Il conflitto tedesco inglese si sposta sul mare. Avendo ottenuto una sconfitta da parte degli inglesi nella battaglia di Jutland (giugno 1916) i tedeschi danno vita a una guerra sottomarina illimitata, che prevede l’utilizzo dei siluri dei loro sottomarini, gli U-boote, verso tutte le navi che salpano o attraccano in Gran Bretagna. Nel frattempo gli Stati uniti erano preoccupati per la sorte dei prestiti concessi a Francia e Gran Bretagna e per la voglia di salvaguardare il commercio sui mari ostacolato dai sottomarini tedeschi, decise di schierarsi a favore della triplice intesa, inizialmente fornendo, in modo indiretto, ingenti prestiti agli Stati della Triplice Intesa. Tale alleanza si pensa sia stata presa anche per le stesse ideologie politiche delle potenze alleate. Il presidente americano Wilson aspettò a dichiarare guerra sino al 6 aprile 1917, quando i sottomarini tedeschi affondarono il sottomarino Luisitania. Gli americani colsero dunque questa occasione per dichiarare guerra sostenendo di aver subito l’uccision di civili. (Si suppone, però, che il Lusitania trasportasse materiale di contrabbando qali esplosivi o altro materiale potenzialmente esplosivo.)
approfondimento  Gli Stati Uniti, all'epoca, erano neutrali e mentre il Lusitania era ancorato nel porto di New York, l'ambasciata tedesca fece pubblicare, a proprie spese, un avviso sulla stampa statunitense per avvertire gli americani di non imbarcarsi su quella nave, poiché qualora questa avesse forzato il blocco navale sarebbe stata affondata. Nonostante l'avviso, numerosi cittadini statunitensi, più o meno mille, si imbarcarono sul Lusitania.
Il 7 maggio del 1915 il Lusitania era in navigazione, dopo aver forzato il blocco imposto dai tedeschi, e si trovava approssimativamente a 30 miglia da Cape Clear, Islanda quando si decise di ridurre la velocità a 18 nodi a causa della nebbia. Stava dirigendo per il porto di Queenstown, Irlanda quando alle ore 14:10 incrociò il sommergibile tedesco U-20 che lanciò un siluro. Dopo l'impatto, a distanza di pochi minuti, a bordo ci fu una seconda esplosione non determinata direttamente dal siluro lanciato dall' U-20: si suppose che il Lusitania trasportasse materiale di contrabbando quali esplosivi o altro materiale potenzialmente esplosivo. Oggi sappiamo che il siluro colpì vicino ai depositi per il carbone, dentro i quali si era forse formata una miscela di aria e gas infiammabili che, in conseguenza dell'esplosione provocata dal siluro, esplose anch'essa. Il transatlantico colò a picco e, poiché fu colpito vicino alle macchine, non fu possibile fermare i motori e calare le scialuppe. Morirono 1.198 persone; se ne salvarono 751.
Nel 2005 il governo americano ha confermato che il Lusitania, oltre ai passeggeri, trasportava materiale bellico per la Gran Bretagna. i ndietro

Fine della guerra - La conferenza di Parigi e i trattati di pace
In Italia, ancora sconvolta dalla sconfitta di Caporetto:

  • Cadorna viene sostituito dal generale Armando Diaz;
  • viene intensificata la repressione al disfattismo, cioè di coloro che manifestano contro la guerra, provvedendo ad accrescere il consenso;
  • viene riorganizzato l’esercito, migliorando i rapporti tra ufficiali e truppe, e arruolando ragazzi ancora minorenni e contadini, ai quali vengono promesse distribuzioni terriere nel dopoguerra;
  • si costituiscono gli uffici P dediti alla propaganda del sentimento patriottico e della solidarietà nazionale.

Questi cambiamenti risultano utili; l’Italia, infatti, contrattacca l’Austria a Vittorio Veneto, portandola, il 4 novembre 1918, a firmare l’armistizio, seguita dalla Germania, l’11 novembre.

A fine guerra è necessario stabilire un ordine mondiale stabile e duraturo. Alla conferenza di pace di Parigi del 1918 il primo problema fu quello di ridisegnare la carta politica dell’Europa, sconvolta dalla caduta contemporanea di 4 grandi imperi (l’impero russo, a causa della rivoluzione interna, la Germania e l’impero austro-ungarico, usciti sconfitti dalla guerra, erano ora delle repubbliche, per abdicazione dei rispettivi sovrani, impero ottomano). Le decisioni vengono prese dai 4 grandi vincitori (Usa, Francia, Inghilterra, Italia). I vinti non furono ammessi al congresso. Vengono firmati 5 diversi trattati di pace, quello di Versailles, relativo alla Germania, Saint-Germain con l’Austria, Neuilly con la Bulgaria, Trianon con l’Ungheria e Sèvres con la Turchia. Questi trattati lasciano insoddisfatta l’Italia e puniscono severamente la Germania, elemento fondamentale che successivamente scatenerà il nazismo di Hitler.
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La repubblica di Weimar

Nell’agosto 1919 viene approvata la costituzione di Weimar, chiamata così dal nome della città dove si ritrova l’Assemblea Costituente. I primi anni della repubblica di Weimar sono retti dalle coalizioni del governo con i socialdemocratici, i liberali e i cattolici. Inoltre si assiste a vari disordini e assassini politici, tra cui anche dell’ebreo Walter von Rathenau , accusato di aver sottoscritto il trattato di Rapallo, un accordo di collaborazione economica con l’Urss. L’economia dello stato è in crisi e non riesce a stabilizzarsi, anche a causa delle dure riparazioni di guerra addossate alla Germania. Francia e Belgio, inoltre, occupano la Ruhr, la maggiore zona industriale tedesca, per garantirsi i propri crediti di guerra, aggravando ancora di più la situazione. Nello stesso anno fallisce anche il colpo di stato tentato a Monaco da Adolf Hitler, capo  dell’Nsdap, un piccolo partito di estrema destra.  indietro

l’ascesa del nazismo

il nazismo faceva capo ad un partito, il Partito nazionalsocialista operaio tedesco. Esso come ogni partito di destra possedeva squadre militari (SA) utilizzate per  assalire i militari di sinistra. A questo partito negli anni ’20 entrò a farne parte anche il futuro dittatore tedesco Adolf Hitler. Egli portò il partito ad effettuare un colpo di stato, che fu represso e finì con l’arresto e la condanna a 5 anni di reclusione di Hitler. Ciò non impedì, però, al partito, dopo il rientro di Hitler, di prendere il potere nel 1925 grazie alle ideologie hitleriane da lui esposte in modo da attirare gli stati più diversi della società. Per analizzare le ideologie del partito possiamo dividerle in due: quelle nazionaliste, che rivendicavano la sconfitta subita durante la prima guerra mondiale e volevano la revisione dei conseguenti trattati di pace. A questo Hitler aggiunse anche un’espansione della Germania come grande potenza. Dall’altra parte troviamo anche un socialismo ti tipo nuovo, estremamente antimarxista che prevedeva potere ad uno stato forte basato sui valori della comunità del popolo. Le parole d’ordine del partito sono però estremamente nazionaliste, come lo “spazio vitale”, ideologia che portava a pensare che tutta l’Europa fosse uno spazio da colonizzare; l’antimarxismo, l’antibolscevismo e l’antidemocrazia. Nel frattempo Hitler era riuscito ad ottenere il consenso dell’élite della repubblica di Weimar, grazie alla figura con cui si era presentato, di colui che avrebbe prevenuto eventuali rivoluzioni e avrebbe governato in modo autoritario. A migliorare la condizione di Hitler fu anche l’egemonia che aveva preso all’interno del partito nazista grazie alle sue grandi doti carismatiche e di leadership.  indietro

Hitler al potere
Durante gli anni ’30 in Germania il governo era portato avanti dal cattolico Bruning che oramai non aveva più la maggioranza parlamentare, portava avanti il governo con decreti di emergenza appoggiati una volta dalla destra e una volta dalla sinistra. Contemporaneamente Hitler aveva oramai conquistato sempre più fiducia nell’élite economiche e militari e nel 31 aveva attenuto il 36% dei voti, ed era anche l’uomo su cui la destra conservatrice puntava.
Successivamente il governo fu affidato a von Papen, che si districava tra emarginare le sinistra e far entrare nel governo Hitler, senza dargli però troppo potere. Nelle elezioni del luglio ’32 il partito nazista ottenne sempre più voti ma la richiesta di far diventare capo del Governo Hitler fu un'altra volta respinta. Nelle sole elezioni del novembre del ’32 il partito nazista aveva perso voti ma il paese era oramai ingovernabile. I disoccupati continuavano a crescere, le sinistre erano totalmente divise, i partiti affollavano il governo e fu così che nel gennaio del 1933 venne affidata a Hitler la carica di cancelliere. Al capo del Governo tedesco, ci volle meno tempo per trasformare la Germania in uno stato totalitario a differenza di Mussolini. Nel marzo del ’33 nuove elezioni portarono il partito di Hitler ad avere la maggioranza assoluta in parlamento per via delle sempre più numerose violenze che le squadre militari come SA e SS facevano incolpando i militari di sinistra. Nel giro di poco tempo il partico comunista fu abolito, i sindacati di opposizione e i partiti furono sciolti, fu lanciata una nuova legge contro la formazione di altri partiti al di fuori di quello nazista, Hitler aveva ottenuto i pieni poteri con cui a abolì ogni garanzia costituzionale, ogni libertà e ogni possibilità di dissenso. Hitler avevo oramai la carica di capo dello stato concentrando su di se tutti i poteri.  indietro

La persecuzione degli ebrei

La persecuzione degli ebrei di Hitler raggiunge dei livelli impressionanti. Inizialmente li esclude dalla pubblica amministrazione e gli vieta cariche pubbliche, come l’insegnamento o il giornalismo, e, successivamente, emana delle leggi, dette di Norimberga, le quali privavano i cittadini non ariani della cittadinanza del Reich e impedivano i matrimoni tra ariani ed ebrei. Avvenimento concreti di tali discriminazioni sono la tragica notte dei cristalli del 1938, durante la quale ci furono uccisioni, devastazioni di negozi, incendi alle sinagoghe, la requisizioni di beni appartenenti agli ebrei, gli arresti, l’obbligo di portare sugli abiti la stella gialla, come segno di riconoscimento e, inoltre, fatto sicuramente più eclatante, la deportazione degli stessi nei campi di concentramento, con i quali si assisterà al vero e proprio genocidio. indietro

L’economia di guerra della Germania
Lo stato tedesco finanzia, oltre ad alcune opere pubbliche come per esempio una grande rete di autostrade, anche una veloce politica di riarmo, sostenendo spese militari che superavano, alla vigilia della seconda guerra mondiale, il 50% delle complessive spese dello stato.  L’economia nazista mirava, infatti, a preparare, entro 4 anni, la Germania in vista della nuova guerra, attraverso il lancio di un piano economico quadriennale. Di conseguenza il l’elevato deficit pubblico creato per sostenere le spese di guerra richiedeva una politica estera molto aggressiva, per conquistare economicamente ed egemonicamente una posizione più che favorevole, alla quale si legava anche la continua ricerca di Hitler di uno “spaio vitale”, individuato nell’Europa dell’est. indietro

La rivoluzione di ottobre
Lenin cerca di convincere i bolscevichi a prendere il potere con un’insurrezione della classe operaia una vera rivoluzione armata. Ci riesce in ottobre, grazie anche all’appoggio di due leader del Comitato centrale bolscevico, Trockij e Stalin. Così nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917, che coincidono al 6 e 7 novembre del calendario occidentale, i bolscevichi attuano un colpo di stato, occupano i punti strategici della città di Pietrogrado, conquistando il Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio. Kerenskij, il socialrivoluzionario che si era occupato di formare il nuovo governo, fugge e Lenin costituisce un nuovo governo rivoluzionario bolscevico, a cui più avanti aderiscono anche i socialrivoluzionari di sinistra.  indietro

La guerra civile in Russia
Dalla fine del 1917 alla fine del 1919, che vede la presenza del terrore rosso e del terrore bianco, ovvero. Lo scontro tra il Partito comunista, bolscevico, rosso, e le armate controrivoluzionarie bianche. Questi contrasti nascono come reazione antibolscevica contro Lenin e porta gravi perdite soprattutto alla popolazione contadina, in quanto si cercano di arruolare più persone possibili e trarre risorse necessarie per gli scontri locali che caratterizzano questa guerra. Tra i vari episodi si ricorda l’uccisione di tutta la famiglia reale. A fine guerra si ritrova vincitore il Partito comunista, i rossi, soprattutto grazie alla forte efficienza dell’Armata rossa, l’esercito organizzato da Trockij, e alla debolezza dei bianchi, che non ottengono l’appoggio della popolazione contadine a causa dell’incapacità di offrire loro proposte convenienti.  indietro

La NEP

In Unione Sovietica Lenin, per porre rimedio, almeno temporaneamente, ai disastri economici del comunismo di guerra e alle perdite avute dalla guerra civile, istituisce, dal 1921 al 1929, la NEP, Nuova politica economica, ovvero un sistema di riforme economiche, in parte orientate al libero mercato. Con questa

  • finiscono le requisizioni nelle campagne, sostituite da un’imposta, in denaro o in natura;
  • il conferimento di grano allo stato continua ma senza forzature;
  • i contadini sono ora liberi di vendere le eccedenze e di assumere manodopera in cambio di salari;
  • il mercato interno viene liberalizzato;
  • si favoriscono i risultati delle piccole imprese.

Lo stato conserva però le attività economiche dell’industria pesante e delle banche. Questa riforma da dei risultati positivi, riportando la produzione agricola e il reddito nazionale ad ottimi livelli, apportando una lieve ripresa anche della produzione industriale.  indietro

 Stalin al potere

Negli anni della malattia di Lenin e la sua successiva morte, Stalin (in russo “acciaio”) si impose, con Trockij, come la personalità di maggior spicco del partito. Nominato segretario generale, Stalin, iniziò a farsi strada nel partito, anche se nella sua posizione politicamente contava poco. Iniziò a controllare i diversi funzionari del partito, dando inizio a ciò che lo avrebbe portato a capo incontrastato del partito pochi anni dopo. Iniziò alleandosi con l’esponente del partito di destra, Bucharin, per cacciare Trockij, colui che rappresentava la più grande minaccia per la carriera di Stalin. Tra Trockij e Stalin ci fu un difficile scontro, il primo era sostenitore della teoria della rivoluzione permanente, che metteva la Russia in condizione di intensificare il suo slancio rivoluzionario e industriale mettendosi a capo di una rivoluzione internazionale; mentre Stalin portava avanti la teoria del socialismo in un solo paese, cioè voleva consolidare il socialismo senza dare il via ad una rivoluzione oramai rivelatasi illusoria.
Lo scontro tra i due finì con l’esilio di Trockij, che morirà in Messico per un attentato dalla polizia segreta sovietica. Stalin si pose con una posizione centrale, tra il partito di destra di Bucharin e quello di sinistra di Trockij. Il popolo russo oramai stanco di attendere una rivoluzione internazionale smise di votare la sinistra che oramai stava cedendo; la destra proponeva come sempre una società contadina tradizionale che però non suscitò come Stalin l’appoggio delle classi sociali russe, che ritrovavano in lui una sicura garanzia di difese del loro ruolo e prestigio nell’organizzazione nazionale. Fu così che Stalin si instaurò solidamente alla testa del partito. indietro

  La collettivizzazione delle terre

La grave crisi nella raccolta agricola del 1927 spinse Stalin a ripristinare le tradizionali requisizioni di cereali verso i contadini, accompagnate da una campagna contro i kulaki, e, nel giro di due anni, ad una collettivizzazione forzata delle terre, trasformando cioè la proprietà privata in collettiva e sottraendo i terreni ai proprietari, scatenando una guerra contro i contadini, per ottenere dalle campagne le risorse
necessarie per il finanziamento dell’industrializzazione, risolvere il problema dei contadini, considerati un ostacolo per la modernizzazione del paese, ed eliminare il nucleo di resistenza al potere dello stato. Così facendo milioni di aziende contadine vengono trasformate in fattorie cooperative o di proprietà dello stato, andando in contro ad un vero e proprio scontro sociale nelle campagne. Stalin decide di agire attraverso il terrore contro i kulaki, confiscando i beni di loro proprietà e deportandoli in regioni lontane. Dal punto di vista economico l’esito di tale avvenimento risulta disastroso, con una diminuzione della produzione agricola e a un meccanismo di depredazione delle risorse, che condussero ad una forte carestia. Per porre rimedio al problema il governo cerca di bloccare la fuga dei contadini, anche attraverso l’assegnazione di passaporti interni, e ripristina il diritto di coltivare in modo autonomo piccoli appezzamenti di terra.  indietro
 Piani quinquennali

Il piano quinquennale è uno strumento di politica economica utilizzato nei regimi ad economia pianificata, ovvero nei Paesi socialisti o comunisti dove l'iniziativa economica è in larga parte gestita da enti pubblici. Un piano quinquennale prevede determinati obiettivi da raggiungere ogni 5 anni in ogni campo dell'economia. Tali obiettivi consistono in una definita quantità fisica di materia da produrre.
I piani quinquennali furono introdotti per la prima volta nell'URSS sotto la guida di Stalin negli anni tra il 1929 ed il 1933: in URSS l'organo principale responsabile della pianificazione economica quinquennale era il Gosplan. Il primo piano quinquennale sovietico favorì un enorme sviluppo dell'industria pesante, mentre sfavorì la produzione dei beni di consumo e il settore agricolo. A questo primo tentativo seguirono altri piani quinquennali, nei quali i metodi divennero di volta in volta più elaborati e sofisticati, anche grazie all'introduzione di maggiori indicatori di produttività (non solo in termini fisici), al mutamento della lista delle priorità a favore dei beni di consumo, all'aumento dell'uso di incentivi (estesi anche ai dirigenti) e all'autonomia delle strutture locali.
In URSS complessivamente ci furono tredici piani quinquennali. Il primo venne approvato nel 1928, per il periodo di cinque anni dal 1929 al 1933, e venne completato con un anno di anticipo. L'ultimo si riferiva al periodo dal 1991 al 1995 e non venne completato a causa della dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991.  indietro

  Terrore staliniano e i gulag

A partire dal 1935 la dittatura attuata da Stalin diventa vero e proprio terrore, anche grazie alla collaborazione stretta tra il governo e la polizia politica segreta, la Nkvd. Tra il 1936 e il 1938 l’Unione sovietica assiste all’epoca del Grande terrore, sviluppatasi su 2 piani diversi. Il primo è quello pubblico, rappresentato da processi politici condotti contro vari dirigenti della rivoluzione con l’accusa di cospirazione, e, contemporaneamente, si assiste a operazioni terroristiche contro dirigenti politici, funzionari, ufficiali dell’esercito o semplici cittadini, che vengono giustiziati, indotti al suicidio o deportati nei gulag, i campi di detenzione e di lavoro sovietici. Si diffonde un clima di sospetto, di paura, di delazione e denuncia e i tribunali emanano condanne basate anche su semplici supposizioni o confessioni estorte con la forza.  indietro

  La crisi del 1929 e il New Deal

Con la crisi del ’29 negli Stati Uniti, Roosevelt  attuò un nuovo programma economico, il New Deal, con l’introduzione dell’intervento dello stato nella vita economica. Il governo agì sul sostegno della domanda attraverso la spesa pubblica, anche a costo di provocare un deficit del bilancio statale e un aumento del carico fiscale; introduzione di misure di ordinamento e di controllo dell’attività economica; adozione di provvedimenti di carattere sociale (per fasce più povere della popolazione);avvio di un rapporto di collaborazione con i sindacati; introduzione di un’opera di propaganda svolta attraverso la radio, per creare nel paese un clima positivo e ottenere consenso .
I provvedimenti di Roosevelt in campo economico-sociale sono:

  • Legge per il risarcimento industriale nazionale (national industrial recovery act) per limitare la concorrenza fra imprese, sostenere prezzi e garantire un salario minimo ai lavoratori;
  • Legge sull’emergenza bancaria (emergence banking act) che aumentava il potere di controllo della banca ;
  • L’assunzione di giovani in opere di carattere civile (es. tenessee valley authority) come la sistemazione delle acque e sfruttamento dell’energia elettrica;
  • Sostegno dei prezzi agricoli, anche a costo di distruggere le derrate alimentari per ridurre l’offerta sul mercato (agricultural adjustement act);
  • Wagner Act, che riconosceva i diritti sindacali, compreso lo sciopero;
  • Social Security Act, che introduceva le indennità di disoccupazione, di malattia e vecchiaia;

 Dal punto di vista economico i risultati del New Deal furono abbastanza modesti anche se inferiori rispetto alle attese; sul piano politico e sociale invece furono molto buoni.  indietro

  Il dopoguerra in Italia (vittoria mutilata)

L’Italia, nonostante l’uscita vittoriosa dalla Prima Guerra Mondiale, è in una situazione sfavorevole, soprattutto in campo economico, avendo un grande debito pubblico, contratto per finanziare la guerra, l’inflazione ed una forte disoccupazione. La guerra ha anche stimolato lo sviluppo industriale, soprattutto nei campi della siderurgia, della meccanica e della chimica, con il rafforzamento di alcune industrie, come la Fiat. Sotto il profilo sociale si intensificano le lotte contadine e operaie e si sviluppano le organizzazioni sindacali. Si assiste a scioperi e, nel meridione, all’occupazione delle terre da parte dei contadini. I lavoratori, nelle industrie, ottengono l’aumento dei salari e la riduzione della giornata lavorativa a otto ore, grazie anche alla tolleranza dimostrata dal governo, l’imponibile di manodopera e una parziale ridistribuzione delle terre incolte occupate. Anche i ceti medi, però, risentono economicamente della guerra, e tra i motivi vi è anche l’avversione per il socialismo. Questo ceto, inoltre, ha subito una mobilitazione politica, protagonista della vita nazionale.
Nel 1919 si svolgono le prime elezioni a sistema proporzionale, vinte dal Partito socialista, nelle quali prevale il nuovo Partito Popolare, di ispirazione cattolica, fondato dal sacerdote Luigi Sturzo, che ribadiva i punti fondamentali della dottrina cattolica, come il rispetto della proprietà privata, l’interclassismo, cioè il rifiuto alla lotta di classe o la libertà di insegnamento. Per la prima volta, inoltre, le masse popolari hanno una rappresentanza sociale e politica, capace di far valere i propri diritti all’interno della società. All’interno delle organizzazioni, però, vi sono delle divisioni, come quella nei cattolici o nei socialisti, fra la parte massimalista e quella riformista. Quest’ultima divisione emerge soprattutto durante l’occupazione delle fabbriche, operata nel 1920 dagli operai di Milano, Torino e Genova, in risposta alla chiusura decisa dagli imprenditori. Giolitti, nonostante le forti pressioni, rifiuta di intervenire con la forza, cercando, invece, un compromesso. Tale protesta infatti, porta agli operai un notevole aumento dei salari, ma sotto l’aspetto politico, rappresenta l’inizio del “biennio rosso”.  indietro

 La questione di Fiume

Un argomento fortemente discusso è quello riguardante la vittoria mutilata dell’Italia, rappresentata dalla mancata assegnazione di Fiume e della Dalmazia. I nazionalisti reagiscono accusando il governo di essere troppo fragile ed occupando la città di Fiume (D’Annunzio e i legionari), proclamandone l’annessione all’Italia. La questione viene risolta da Giolitti, tornato al governo nel 1920, che firma il Trattato di Rapallo con la Iugoslavia, cedendole la Dalmazia e facendo di Fiume uno stato indipendente.  indietro
Il movimento fascista

Il fascismo è un movimento politico italiano del XX secolo, rivoluzionario e reazionario, di carattere nazionalista, autoritario e totalitario, che sorge in Italia per iniziativa di Benito Mussolini alla fine della prima guerra mondiale. Di ispirazione sindacal-corporativa, combattentistica, socialista revisionista e organicista, raggiunse il potere nel 1922 con la Marcia su Roma e si costituì in dittatura nel 1925. Il fascismo descrive sé stesso come una via alternativa a capitalismo liberale e comunismo marxista, basata su una visione interclassista, corporativista e totalitaria dello Stato. Radicalmente e violentemente contrapposto al comunismo e pur riconoscendo la proprietà privata, il fascismo rifiuta infatti anche i principi della democrazia liberale.
Il movimento fascista nacque contemporaneamente come reazione alla Rivoluzione Bolscevica del 1917 e alle lotte sindacali, operaie e bracciantili, culminate nel Biennio rosso in parte in polemica con la società liberal-democratica uscita lacerata dall'esperienza della prima guerra mondiale, unendo aspetti ideologici tipici dell'estrema destra (nazionalismo, militarismo, espansionismo) con quelli dell'estrema sinistra (primato del lavoro, rivoluzione sociale e generazionale, sindacalismo rivoluzionario), inserendovi elementi ideali originali e non, quali l'aristocrazia dei lavoratori e dei combattenti, la concordia fra le classi, il primato dei doveri dell'uomo sui diritti di Mazzini, e il principio gerarchico, portato al suo culmine dell'obbedienza cieca e pronta al capo di alcuni reparti d'assalto  durante la grande guerra.  indietro

 Il biennio rosso

In Italia il "biennio rosso" è caratterizzato dall'irruzione sulla scena politica di nuovi settori sociali, nuove idee e nuovi progetti volti a rinnovare profondamente la vita politica e sociale.
L'evento che segnò con forza l'apertura del biennio rosso è l'occupazione delle fabbriche attuata nell’agosto 1920dagli operai metallurgici di Milano, Torino e Genova, in risposta a una serrata, cioè a una chiusura totale delle fabbriche, decisa dagli imprenditori. Questo avvenimento sembra a tutti l’inizio di una rivoluzione socialista e si fanno pressioni su Giolitti, capo del governo, per convincerlo a reprimere militarmente l’occupazione. Egli rifiuta, convinto di poter giungere a un compromesso con gli operai, cosa che accadde successivamente e che permise un aumento dei salari  dei dipendenti metallurgici . Così facendo, però, perde i consensi degli imprenditori.  indietro

La marcia su Roma      -       Il fascismo al potere

A fine estate 1922 Mussolini decide di compiere un’azione di forza, preparando una concentrazione di squadristi armati della capitale, rafforzando l’apparato militare del fascismo e riorganizzando le squadre in una milizia fascista, al fine ultimo di compiere la Marcia su Roma. Quest’azione inizia a fine ottobre 1922 con l’occupazione di alcuni edifici pubblici in varie città italiane, ma raggiunge il culmine vero e proprio il 28 ottobre dello stesso anno, quando le colonne fasciste, senza incontrare nessuna forza dell’ordine o dell’esercito in resistenza, entrano a Roma. Vittorio Emanuele III rifiuta di firmare il decreto di stato di assedio per difendere Roma e il 30 ottobre convoca Mussolini nella capitale e gli assegna il compito di formare il nuovo ministero, ovvero il Primo governo Mussolini.  Da primo ministro, i primi anni di Mussolini, dal 1922 al 1925, furono caratterizzati da un governo di coalizione, composto da nazionalisti, liberali e popolari, che non assunse fino al delitto Matteotti veri e propri connotati dittatoriali. In politica interna Mussolini favorì la completa restaurazione dell'autorità statale e la soppressione dell'estrema sinistra, con l'inserimento dei fasci di combattimento nell'interno dell'esercito, fondando nel gennaio 1923 la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, e la progressiva identificazione del Partito in Stato. In politica economica e sociale vennero emanati provvedimenti che favorivano i ceti industriali e agrari (privatizzazioni, liberalizzazione degli affitti, smantellamento dei sindacati). Nel luglio 1923 venne approvata una nuova legge elettorale maggioritaria, che assegnava due terzi dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi, regola puntualmente applicata nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il "listone fascista" ottenne uno straordinario successo, agevolato anche dai brogli, dalle violenze e dalle intimidazioni contro gli oppositori.
L'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che aveva chiesto l'annullamento delle elezioni per le irregolarità commesse, provocò una momentanea crisi del governo Mussolini.  indietro

L’assassinio di Matteotti

Il delitto Matteotti è uno dei passaggi che portano il governo italiano alla completa dittatura di Mussolini. L’esponente socialista aveva denunciato alla Camera i brogli e le violente intimidazioni usate da Mussolini per ottenere consensi dal popolo durante le elezioni, che lo avevano visto vincere con una forte maggioranza di voti, provocando molti ripensamenti all’interno dell’opinione pubblica nei confronti del capo del governo, sottoponendo per alcune settimane, il fascismo sotto il peso di una condanna generale. In risposta a tali accuse Matteotti viene rapito e ucciso da una squadra fascista.   indietro

 Le leggi fascistissime

Mussolini, a partire dal 1925, mira alla fascistizzazione dello stato e della società civile. Per attuare tale trasformazione emana delle leggi, dette fascistissime, le quali stabilivano che:

  • il capo di governo doveva rispondere del suo operato solo di fronte al re, succube di Mussolini, e non più davanti al parlamento e, di conseguenza, neanche di fronte all’intera nazione;
  • il parlamento non poteva discutere nessuna legge senza un effettivo permesso del governo, e quindi era privo di qualsiasi poter;
  • era abolita la libertà di associazione e vietati tutti i partiti politici, ad eccezione di quello fascista;
  • il parlamento non si occupava più della legislazione inerente all’amministrazione dello stato;
  • le autonomie locali erano abolite e i sindaci venivano sostituiti con i podestà, non più eletti dai cittadini;
  • i giornali antifascisti venivano chiusi, tutta la stampa veniva controllata ed era vietata l’informazione sulla cronaca nera e sui delitti, in modo da indurre i cittadini a credere di vivere in uno stato modello e perfetto. Cambia, infine, i direttori di vari giornali, sostituendoli con persone a suo favore;
  •  veniva istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, che si occupava dei delitti politici ed operava contro le ideologie, e non contro reati veri e propri. indietro

I patti lateranensi

Per ottenere consensi e una buona stabilità politica, Mussolini cerca di giungere ad una conciliazione fra stato e chiesa, per sanare la frattura creatasi nel 1871, con la presa di Porta Pia, quando i bersaglieri italiani erano entrati a Roma. L’11 febbraio 1929 vengono sottoscritti, capo di governo e il papa, i Patti Lateranensi dal, un concordato con cui la chiesa riconosceva la sovranità dello stato italiano e lo stato, a sua volta, riconosceva la sovranità pontificia sulla Città del Vaticano, considerato, a tutti gli effetti, uno stato autonomo. Tale conciliazione ebbe un’importanza molto rilevante per la politica fascista, avendo il consenso dei cattolici. Tuttavia i rapporti non furono sempre ottimali, in quanto lo stato non aveva una così buona considerazione delle organizzazioni cattoliche, totalmente autonome, come i boy-scout o l’azione cattolica. indietro

Dirigismo economico

Il fascismo cerca di imporre il potere dello stato anche in campo economico, sino ad arrivare ad una forma di dirigismo economico, che prevedeva l’intervento effettivo del governo attraverso la direzione delle attività economiche da parte dei poteri pubblici. Questo intervento, esatto contrario del liberismo, attuò diverse iniziative, prima fra tutte la creazione dell’Istituto per la ricostruzione industriale, un ente pubblico che acquisiva pacchetti obbligazionari di società e banche in difficoltà, sino a trasformare lo stato nel più grande imprenditore italiano. Oltre a quest’ente furono formati l’Imi, l’Agip, molti enti assistenziali, enti mutualistici, come per esempio l’Inps, ed altri diretti a maternità e infanzia. Così facendo si contraddistinse come stato assistenziale, con l’unico scopo di ottenere consensi. indietro

La conquista dell’Etiopia e le conseguenze, le sanzioni economiche
Il 3 ottobre l’Italia inizia l’invasione dell’Etiopia, adottando una campagna militare caratterizzata, per la prima volta, dall’impiego di gas tossici. L’invasione del paese viene portata a termine il 6 maggio dell’anno successivo, con la presa di Addis Abeba. Si procede alla fondazione dell’africa orientale italiana, facendo diventare Vittorio Emanuele III, oltre che re d’Italia, anche Imperatore d’Etiopia. Tutta questa operazione viene condannata dalla Società delle Nazioni, che condanna l’Italia e gli applica pesanti sanzioni economiche, tra le quali il divieto di esportare in Italia armi, munizioni e merci indispensabili alla guerra. Questo aspetto negativo finisce dopo la vittoria italiana, quando le sanzioni vengono totalmente abolite, e rimane solo quello positivo, consistente nel raggiungimento dell’obiettivo di Mussolini, che ha guadagnato un forte consenso al regime proprio grazie alla conquista dell’Etiopia. indietro

L’alleanza con Hitler (leggi razziali)

Nell’autunno 1938 viene approvata in Italia una legislazione razziale, che introduceva nel paese leggi fortemente discriminatorie nei confronti degli ebrei. Si ricordano il divieto agli ebrei di sposare italiani considerati “ariani”, l’esclusione degli ebrei dal servizio militare, dalle libere professioni e da qualsiasi carica pubblica. Questo provvedimento viene accolto solo da una ristretta minoranza della popolazione, in quanto la comunità ebraica in Italia era ben integrata. Anche l’opinione pubblica si dimostra perplessa o addirittura indifferente a riguardo. L’introduzione di queste leggi dimostra ancora di più la completa dipendenza di Mussolini nei confronti di Hitler, ma afferma anche la presenza nella corrente fascista, di una mentalità antidemocratica e antiegualitaria, anche se effettivamente le nuove leggi razziali non vennero prese in considerazione fino in fondo, in quanto vengono applicate solo formalmente, e gli ebrei vengono protetti. Si assiste alle violenze contro di essi solo dal 1942 al 1943, con la presa di potere della Germania.   indietro

la guerra civile spagnola

Anche in altri paesi si instaurano regimi dittatoriali simili al fascismo, soprattutto in Portogallo, con Antonio de Oliveira Salazar, e in Spagna, dove Francisco Franco impose la sua autorità a seguito di una guerra civile di 3 anni. Tale esempio è significativo in quanto anticipa il conflitto mondiale, iniziato poco dopo, nel 1940. Qui nel 1931, tramite elezioni, era stato destituito il re Alfonso XIII, proclamando la repubblica. Il nuovo governo aveva attuato fin da subito una politica di riforme, criticate subito dalle forze di destra, che ottennero la vittoria nelle elezioni successive del 1933. Questo fatto spinse le sinistre a presentarsi in un fronte popolare, su modello francese, alle elezioni del 1936, vincendole. Le destre, contrariate dal risultato, insorsero contro il governo repubblicano. La guerra durò 3 anni e fu caratterizzata da un terrore sistematico, con massacri e fucilazioni di massa, e bombardamenti terroristici, che colpirono, tra le altre, la città di Guernica. Nel gennaio 1939 Franco prende Barcellona e successivamente Madrid, ponendo fine alla guerra.
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L’asse Roma-Berlino
Dopo la guerra civile spagnola Mussolini decide di allineare la politica estera italiana con quella tedesca, attraverso l’asse Roma-Berlino, nell’ottobre 1936, affermano così l’effettiva affinità tra le ideologie dei due  regimi, che si caratterizzavano per la loro politica di potenza, per l’espansionismo e le forze militari.

Patto d’acciaio
Il Patto d'Acciaio fu un accordo tra i governi di Italia e Germania, firmato il 22 maggio 1939 da Galeazzo Ciano e Joachim von Ribbentrop. Venne stipulato a Berlino nella Cancelleria del Reich alla presenza dello stesso Hitler e dello Stato Maggiore germanico.
Il patto stringeva un'alleanza sia difensiva che offensiva fra i due Paesi. Nello specifico le parti erano obbligate a fornire reciproco aiuto politico e diplomatico in caso di situazioni internazionali che mettevano a rischio i propri "interessi vitali". Questo aiuto sarebbe stato esteso al piano militare qualora si fosse scatenata una guerra; i due Paesi si impegnavano, inoltre, a consultarsi permanentemente sulle questioni internazionali e, in caso di guerra, a non firmare eventuali trattati di pace separatamente; la durata del trattato era inizialmente fissata in dieci anni.
Pur non essendo stabilita la data dell'inizio dei conflitti, cosa che appariva ormai inevitabile, Mussolini si assicurò di comunicare più volte a Adolf Hitler che l'Italia non sarebbe stata pronta alla guerra prima di due o tre anni
Il 23 maggio, tuttavia, il giorno dopo la firma del Patto d'Acciaio Hitler tenne un consiglio di guerra segreto: all'ordine del giorno c'era l'attacco alla Polonia. Per i tedeschi, il compito degli italiani doveva essere quello di contenere la reazione di Francia e Inghilterra nel Mediterraneo.
Mussolini ad ogni modo avrebbe potuto rifiutarsi di seguire in guerra la Germania, a causa della mancata consultazione dell'Italia prima dell'invasione della Polonia e della mancata comunicazione del patto Ribbentrop-Molotov, che poteva essere denunciata come una violazione dell'obbligo di consultazione permanente contenuto nel Patto d'Acciaio.
Dopo nove mesi di forzata "non belligeranza", Mussolini entrò in conflitto al fianco della Germania nel giugno 1940.

Patto anticomintern 

è un patto di alleanza politica tra il governo del Terzo Reich tedesco e l'Impero giapponese stipulato il 25 novembre 1936 a Berlino.
Esso prevedeva una cooperazione tramite scambio di informazioni, pressione sull'opinione pubblica, e lotta contro gli agenti comunisti, tesa alla «difesa comune contro l'opera disgregatrice dell'internazionale Comunista». Il patto prevedeva anche un protocollo che impegnava i contraenti a non rafforzare la posizione dell'URSS nel caso quest'ultima avesse aggredito uno dei paesi membri.
Il 6 novembre 1937 l'adesione del Regno d'Italia origina il primo embrione dell'alleanza tripartita che sarebbe poi stata formalizzata il 26 settembre 1940.

Patto tripartito
Il Patto Tripartito o trattato tripartito, 27 settembre 1940 fu sottoscritto a Berlino dal governo del III Reich tedesco, dal Regno d'Italia e dall'Impero del Giappone al fine di riconoscere le aree di influenza in Europa ed Asia. (Italia area mediterranea, Germania area europea centro-orientale, Giappone area del Pacifico-Cina)  indietro
Il patto Molotov-Ribbentrop
Il Patto Molotov-Ribbentrop è un trattato decennale di non aggressione, istituito tra la Germania Nazista e l'Unione Sovietica. Viene firmato a Mosca, il 23 agosto 1939, dal Ministro degli Esteri sovietico Vjačeslav Molotov e dal Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop, dai quali prende il nome.
Si tratta di una conseguenza della politica espansionistica territoriale avanzata da Hitler. Tale accordo gli consentiva di combattere su un solo fronte la guerra imminente, mentre Stalin cautelava i propri interessi e i propri territori da un’eventuale attacco tedesco. Al patto effettivo viene aggiunto un protocollo segreto che definiva le zone di influenza del Terzo Reich e dell'Unione Sovietica, assegnando proprio a quest’ultima la parte orientale della Polonia. La conseguenza più spettacolare di questo trattato è l’invasione della Polonia del 1 settembre 1939, con la successiva spartizione dei suoi territori, operazione che porta Francia e Gran Bretagna, il 3 settembre, a dichiarare guerra alla Germania, segnando l'inizio della Seconda guerra mondiale.
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L’invasione della Polonia e il massacro di Katyn e 44. La spartizione della Polonia
L'invasione della Polonia del 1939 fu condotta dalla Germania nazista, dall'Unione Sovietica e dalla Slovacchia, che inviò un piccolo contingente. L'invasione della Polonia segnò l'inizio della seconda guerra mondiale in Europa poiché gli alleati occidentali della Polonia, il Regno Unito e la Francia, dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre, seguiti subito dal Canada, dall'Australia e dalla Nuova Zelanda. La campagna iniziò il 1° settembre 1939, una settimana dopo la firma del patto segreto Molotov-Von Ribbentrop, quando le forze tedesche invasero la Polonia da nord, sud e ovest. Dopo la sconfitta polacca avvenuta a metà settembre nella battaglia della Bzura, i tedeschi conquistarono un indiscutibile vantaggio. Le forze polacche iniziarono a ritirarsi verso sud-est, ma il 17 settembre 1939 l'Armata Rossa sovietica invase le regioni orientali della Polonia in cooperazione con la Germania. I sovietici stavano perseguendo la loro parte dell'appendice segreta del patto Molotov-Ribbentrop. La battaglia finì il 6 ottobre 1939, con la Germania e l'URSS che occuparono l'intera Polonia, dividendosi, come stabilito, il territorio. A questo momento della storia corrisponde anche un altro avvenimento di grande importanza, il massacro di Katyn. Il massacro della foresta di Katyń, noto anche più semplicemente come Massacro di Katyń, avvenne durante la seconda guerra mondiale e comportò l'esecuzione di massa, da parte dell'Unione Sovietica, di circa 22.000 soldati e civili polacchi nella foresta di Katyn. La scoperta del massacro nel 1943 causò l'immediata rottura delle relazioni diplomatiche tra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica. L'URSS negò le accuse fino al 1990, quando riconobbe nell'NKVD la responsabile del massacro e della sua copertura.
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La guerra lampo
Per quanto riguarda le seconda guerra mondiale la Germania si basava sulla convinzione di una guerra lampo, battendo le linee nemiche con bombardamenti aerei e carri armati, eliminando poi le forze di resistenza rimaste. La strategia si dimostra inizialmente vincente, vendendo l’entrata tedesca e sovietica a Varsavia. Le due potenze, Germania e Russia, si spartiscono la Polonia, dove emerse il carattere barbarico della guerra, visibile nelle epurazioni delle SS, che eliminarono 50.000 civili, o nel massacro di Katyn, operato dall’Armata Rossa.
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Crollo della Francia

Dopo alcuni mesi di attesa Hitler riprende la sua offensiva, nel 1940, aggredendo Danimarca e Norvegia, e attaccando la Francia. Le forze tedesche, sfondano le difese francesi a Sedan, costringendo gli inglesi alla fuga, e occupano Parigi. Il 22 giugno 1940 viene firmato l’armistizio franco tedesco, gran parte del territorio francese rimane sotto l’occupazione militare, mentre a sud viene formato un governo filofascista guidato da Pétain. Il 18 giugno il generale Charles de Gaulle lancia un appello alla resistenza contro i nazisti.
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Battaglia d’Inghilterra

La battaglia d'Inghilterra è la campagna aerea combattuta sui cieli della Manica e dell'Inghilterra fra l'aviazione britannica e quella tedesca, supportata da unità italiane e di altre nazioni alleate dei nazifascisti, nel corso della seconda guerra mondiale. Il motivo strategico della battaglia fu la volontà tedesca di conquistare la supremazia sui cieli della Manica e dell'Inghilterra meridionale, come condizione preliminare per l'attuazione del piano d'invasione dell'isola, operazione detta “Leone Marino”, per vanificare la supremazia della Royal Navy che avrebbe impedito qualunque tentativo di attraversamento del canale della Manica. La battaglia terminò con un pieno successo da parte dell'aviazione britannica, grazie anche all’introduzione di un’importante strumento di avvistamento, il radar, e mantenne, così, il controllo aereo della Manica e segnò un punto di svolta importante a favore delle forze alleate nel corso della guerra, costringendo Hitler a rinunciare al piano di invasione del Regno Unito. La battaglia durò da luglio a settembre 1940. La battaglia d'Inghilterra fu la più importante e prolungata campagna di bombardamento messa in opera fino a quel momento ed il primo tentativo di realizzazione pratica delle dottrine di bombardamento strategico, che erano sorte a partire dal primo dopoguerra.
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l’Italia in guerra: l’attacco alla Francia, alla Grecia e la campagna d’Africa

L’Italia entrò in guerra con una strategia di guerra parallela a quella dell’alleato tedesco, compiendo azioni autonome finalizzate all’ampliamento dell’influenza italiana nei Balcani e nel Mediterraneo.
Come primo fronte l’Italia combatte con l’ormai agonizzante Francia, che se vedrà poi invece a causa delle strategie fallimentari messe in atto dall’Italia.
Il successivo attacco italiano fu in Grecia, dove l’Italia voleva imporre il proprio dominio per espandersi nei Balcani, grande penisola strategica. Ciò che però essa non aveva calcolato era l’efficiente e forte resistenza dei greci che la costrinsero a ritirarsi in Albania adoperando una strategia di difesa. Solo nell’aprile del 1941, quando Hitler condusse una campagne fulminea in Iugoslavia e successivamente in Grecia, l’Italia poté occupare quest’ultima. Hitler, grazie anche all’alleanze con Bulgaria, Ungheria e Romania ottenne l’egemonia sui Balcani lasciando all’Italia diverse zone da controllare, mantenendo però sempre il controllo e la subordinazione militare e politica su di essa.
Apertosi con l’entrata in guerra dell’Italia il fronte africano era ricco di scontri. Già nel Mediterraneo la flotta più potente italiana ebbe difficoltà a sconfiggere quella aeronavale britannica, per via della netta inferiorità bellica.
La campagna d’Africa fu per l’Italia un enorme insuccesso, a parte qualche iniziale vittoria. Nell’Africa orientale inglesi e indiani riuscirono a spingere via le truppe italiane dall’Etiopia arrivando ad occupare la capitale Addis Abeba, delineando la fine dell’impero italiano d’Africa. Sul fronte egiziano, una delle conquiste più ambite per via delle risorse petrolifere contenute nella regione e per vie del controllo sul canale di Suez, l’Italia fu fiancheggiate dalle truppe tedesche che condussero la battaglia nel conquistare la suddetta regione. L’armata tedesca portò la campagna alla vittoria respingendo il nemico fino al confine.
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L’invasione dell’Urss (operazione Barbarossa)

Operazione Barbarossa è il nome in codice tedesco per l'invasione dell'Unione Sovietica da parte della Germania nazista, durante la seconda guerra mondiale, iniziata nella seconda metà del 1941, ma stabilità dal comando tedesco già nel dicembre 1940. Si tratta della più grande operazione militare terrestre di tutti i tempi. Il Fronte Orientale, aperto dall'operazione Barbarossa, fu il più grande teatro di operazioni della seconda guerra mondiale. Vi ebbero luogo alcune tra le più grandi e brutali battaglie, con enormi perdite in termini di vite umane. Nel corso delle operazioni belliche, decine di milioni di militari e civili patirono enormi sofferenze a causa delle condizioni di vita miserevoli in cui vennero a trovarsi. L'Operazione, che avrebbe dovuto costituire il punto di svolta delle fortune naziste, segna, invece, un importante e pesante fallimento e un elemento definitivo che determina, successivamente, la capitolazione effettiva della Germania nazista.
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L’attacco giapponese a Pearl Harbor e l’entrata in guerra degli Usa

Il 7 dicembre 1941 l’aviazione giapponese attacca la flotta degli Stati Uniti, nella zona di Pearl Harbor, nelle Hawaii, causandole danni e gravi perdite. Il giorno seguenti gli stessi Usa, uniti alla Gran Bretagna, dichiarano guerra al Giappone, entrando così nel conflitto. Dall’altra parte Italia e Germania, a loro volta, dichiarano guerra agli Usa. Tale ingresso segnava la svolta per la guerra, che si espandeva a livello mondiale. L’attacco giapponese derivava dalla politica espansionistica condotta in Asia degli anni 30, proseguita con l’occupazione dell’Indocina. Gli Stati Uniti, inoltre, erano un ostacolo all’affermazione dell’egemonia giapponese. L’attacco però si conclude in modo tragico.  La risposta americana all’attacco sarà la battaglia delle Midway (tra il 4 e il 6 giugno 1942)  La vittoria americana alle Midway dimostrò che i Giapponesi non erano invincibili e permise agli USA di passare all’offensiva nel Pacifico
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La svolta di Stalingrado

L’entrata in guerra degli Usa e l’attacco all’Urss segnano il verdetto del conflitto, apportando una vera e propria svolta. Entrambe le nazioni si alleano, infatti, per cercare di portare la Germania ad una resa senza condizioni. Sul fronte orientale viene bloccata un’offensiva lanciata dai tedeschi, a Stalingrado, teatro di una battaglia tremenda, durata fino all’anno successivo. Qui, la prima resa tedesca, seguirà poi, a Berlino, la vera e propria ritirata e la resa senza condizioni come era stato concordato dagli alleati nella conferenza di Casablanca nel gennaio 1943
Con il termine battaglia di Stalingrado  si intendono i duri combattimenti svoltisi durante la seconda guerra mondiale che, tra l'estate del 1942 ed il 2 febbraio 1943, opposero i soldati dell'Armata Rossa alle forze tedesche, italiane, rumene ed ungheresi per il controllo della regione strategica tra il Don e il Volga e dell'importante centro politico ed economico di Stalingrado (oggi Volgograd), sul fronte orientale. La battaglia, iniziata nella torrida estate 1942 con l'avanzata delle truppe dell'Asse fino al Don e al Volga, ebbe termine nell'inverno 1943, dopo una serie di fasi drammatiche e sanguinose, con l'annientamento della 6ª Armata tedesca rimasta circondata a Stalingrado e con la distruzione di gran parte delle altre forze germaniche e dell'Asse impegnate nell'area strategica meridionale del fronte orientale.
Questa lunga e gigantesca battaglia segnò la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista e dei suoi alleati e satelliti, nonché l'inizio dell'avanzata sovietica verso ovest che sarebbe terminata due anni dopo con la conquista del palazzo del Reichstag e la morte di Hitler nel bunker della Cancelleria durante la battaglia di Berlino.[7]
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Le sconfitte italo-tedesche in Africa

La campagna italo-tedesca in Africa riceve la prima grossa sconfitta in Nordafrica, nella Seconda battaglia di El Alamein del 1942. L'Esercito italiano in Libia è forte ma del tutto impreparato ad una guerra moderna. Aveva invaso, nel settembre del 1940, l'Egitto, difeso da poco più di 40.000 soldati inglesi, con lo scopo di impossessarsi del canale di Suez. Dopo qualche successo inizialw nel dicembre dello stesso anno gli inglesi iniziarono la loro controffensiva che li portò ad occupare l'intera Cirenaica, cioè la metà orientale della Libia. Quando Mussolini chiese aiuto ad Hitler, la Germania inviò in Italia alcuni reparti della Luftwaffe, formato da due divisioni al comando di Erwin Rommel. Dopo una serie di offensive e controffensive in Libia e in Egitto, la decisiva battaglia di El Alamein costrinse le forze italo-tedesche ad abbandonare la Libia e ad attestarsi in Tunisia. Nel frattempo lo sbarco di forze americane ed inglesi in Africa nel 1942, determinarono l'anno successivo l'espulsione totale delle forze dell'Asse dal teatro africano.
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Sbarco in Sicilia degli Alleati

Il 10 luglio 1943 forze di terra e aviotrasportate anglo-americane iniziarono l'invasione della Sicilia. Gli alleati disponevano di 160.000 uomini divisi in due armate: quella americana del generale George Smith Patton e quella britannica al comando del generale Montgomery supportati da 4.000 aerei e 600 carri armati. L'armata di Patton aveva il compito di conquistare le coste tra Licata e Vittoria, mentre quella di Montgomery doveva prendere le coste tra la penisola di Pachino e Siracusa. A contrastarli si trovavano 230.000 soldati italiani e 40.000 tedeschi. Gli italiani, al comando del generale Alfredo Guzzoni, erano raggruppati in quattro divisioni. Numerose inoltre erano le brigate, le divisioni e i reggimenti costieri. Il comando delle forze dell'Asse si trovava ad Enna. L'11 luglio, dopo aspri combattimenti, caddero Siracusa e Augusta, un'importante base navale. In soli 10 giorni l’armata americana e quella britannica conquistarono due terzi dell'isola. Palermo venne pesantemente bombardata e si arrese il 22 luglio. Conquistata Palermo le unità alleate puntarono su Messina. Le unità dell'Asse resistettero a Messina fino al 17 agosto, ma dovettero poi ritirarsi varcando così la costa per riparare in Calabria. La campagna costò più di 8.000 morti.
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La caduta del fascismo
Il 25 luglio 1943 per iniziativa da parte di alcuni importanti gerarchi (Grandi, Bottai e Ciano) con l'appoggio del Re, si tradusse in un famoso Ordine del giorno presentato al Gran Consiglio del Fascismo col quale si chiedeva al Re di riprendere il potere, e portò all'arresto di Mussolini e all'improvviso crollo del fascismo, che si dissolse tra il giubilo della popolazione italiana, stanca del regime e della guerra, cui sperava potesse essere posta fine in breve tempo.
Ma la caduta di Mussolini non preludeva alla conclusione delle guerra, che si protrasse per alcune settimane nella crescente ambiguità del nuovo governo Badoglio che sottoscrisse l'armistizio di Cassibile.
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L’armistizio di Cassibile

L'armistizio di Cassibile o armistizio corto, siglato segretamente il 3 settembre del 1943, è l'atto con il quale il Regno d'Italia cessa le ostilità contro le forze britanniche e statunitensi, alleate, nell'ambito della seconda guerra mondiale. In realtà non si tratta affatto di un armistizio ma di una vera e propria resa senza condizioni.
Poiché tale atto stabiliva la sua entrata in vigore dal momento del suo annuncio pubblico, esso è comunemente citato come "8 settembre", data in cui, alle 18.30, fu pubblicamente reso noto prima dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight D. Eisenhower e, poco più di un'ora dopo, alle 19.42, confermato dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell'EIAR. dALL’ 8 settembre l’italia  è co-belligerante  ALLE DIRETTIVE con gli alleati.
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Collaborazionismo e Resistenza

Il collaborazionismo
è un fenomeno sociale e politico connesso alle vicende di governo di un paese occupato militarmente da una potenza straniera, che vi organizza una classe dirigente totalmente asservita ai propri interessi.
Esso consiste nell'organizzazione di una struttura di controllo sociale, in modo da creare un collegamento tra la potenza occupante e la popolazione assoggettata.
Tale struttura di controllo sociale è composta da elementi  locali, spesso militari che assicurano il controllo e la repressione dei moti eversivi che possono turbare l'ordine imposto dagli occupanti.
Da ciò il termine negativo di "collaborazionismo", nel senso di offerta stabile e consapevole di collaborazione con un soggetto ostile extranazionale, che rappresenta gli interessi di un governo nemico, finalizzata a far funzionare l'apparato statale che altrimenti avrebbe difficoltà ad operare normalmente,
Dunque il collaborazionismo è una vera e propria forma di governo, nella quale vertici istituzionali ed apparato burocratico sono fortemente caratterizzati dall'essere sottomessi ai voleri ed agli ordini di un paese straniero, che ha necessità di controllare ad ogni livello il territorio invaso, e che realizza in tal modo una dominazione politica senza bisogno di dovere impegnare un numero ingente di risorse militari.
Un governo così caratterizzato viene definito con l'espressione di "governo fantoccio".
Nell'esperienza storica europea le vicende più importanti, che videro la nascita di governi fantoccio collaborazionisti, si ebbero a seguito della guerra di aggressione nazista. Hitler, infatti, instaurò in tutti i territori occupati governi asserviti ai propri voleri; tra questi ricordiamo in Francia la Repubblica di Vichy, guidata dal generale Philippe Petain, la Repubblica Sociale Italiana (RSI) di Salò affidata a Benito Mussolini.
Più in generale, la parola « collaborazionismo » può essere usata per estensione in tutti i casi in cui le autorità di un paese occupato sostengono la causa degli occupanti.
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Resistenza
Per Resistenza italiana (chiamata anche Resistenza partigiana o più semplicemente Resistenza) si intende l'opposizione, militare e anche soltanto politica, condotta nell'ambito della seconda guerra mondiale contro l'invasione d'Italia da parte della Germania nazista  e della Repubblica Sociale Italiana da parte di liberi individui, partiti e movimenti organizzati in formazioni partigiane, nonché delle ricostituite forze armate del Regno del Sud che combatterono a fianco degli Alleati (co-belligeranza).
Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazista - fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici). I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra.
La Resistenza costituisce il fenomeno storico nel quale vanno individuate le origini stesse della Repubblica italiana. Infatti, l'Assemblea costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche e ispirandola ai princìpi della Democrazia e dell'Antifascismo.
Il periodo storico individuato comunemente come Resistenza italiana inizia, per convenzione storiografica ormai consolidata, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e termina alla fine del mese di aprile 1945. La scelta di celebrare la fine di quel periodo con il 25 aprile 1945 fu riferito dal CLNAI con la data dell'appello per l'insurrezione armata della città di Milano, sede del comando partigiano.
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Roma città aperta

La proclamazione di "Roma città aperta", fatta il dal ministro degli Affari Esteri, Raffaele Guariglia, risolleva lo stato d'animo della popolazione romana. Attraverso la Santa Sede e il canale diplomatico dei paesi neutrali, Svizzera e Portogallo, viene comunicata ai governi di Londra e Washington la nota ufficiale, contenente tale dichiarazione. Il Comando Supremo italiano, in seguito a tale nota, ordina immediatamente alle batterie antiaeree della zona di Roma di non reagire in nessun modo in caso di passaggio aereo nemico sulla città; comanda poi lo spostamento di sede dei comandi italiani e tedeschi e delle rispettive truppe; si impegna a trasferire gli stabilimenti militari e le fabbriche di armi e munizioni e a non utilizzare il nodo ferroviario romano per scopi militari, né di smistamento, né di carico o scarico, né di deposito. Però tutto ciò non è sufficiente. Per prima cosa, si tratta di una dichiarazione unilaterale: essa non ha alcuna efficacia se proclamata da una sola delle parti in causa. Non contiene alcuna precisazione topografica, concordata o no, neppure sui limiti della "security zone", della "zona di sicurezza": ciò ne fa una dichiarazione altamente incompleta. Inoltre, l'istituto della "città aperta" non è regolato da norme di Diritto Internazionale: unica certezza, è che l'espressione "città aperta" significa che la città non possiede mezzi difensivi o offensivi, e che per tali ragioni è esente da bombardamento o da attacco. In particolare, riguardo tale questione, se anche l'impegno italiano a smilitarizzare la città può ritenersi sincero e realizzabile, ottenere quello tedesco risulta pura utopia. Per questi motivi, i governi alleati rifiuteranno di accettare la dichiarazione e si riserveranno «piena libertà di azione nei riguardi di Roma». Roma che infatti sarà bombardata dagli Alleati altre 51 volte dopo il 13 agosto, fino al 4 giugno '44.
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La repubblica di Salò

La Repubblica Sociale Italiana, nata col nome di Stato Nazionale Repubblicano, detta anche Repubblica di Salò, è un governo momentaneo della parte centro-settentrionale d’Italia, fondato da Benito Mussolini il 23 settembre nel 1943, dopo che il Regno d'Italia, l'8 settembre, aveva concluso un armistizio con le forze anglo-americane e dopo essere stato liberato dalla sua prigionia sul Gran Sasso, da tedeschi. Questo governo viene riconosciuto soltanto dall'Impero Giapponese, dalla maggioranza degli Stati componenti l'Asse Roma-Berlino-Tokyo, ovvero dalla Slovacchia, dall'Ungheria, dalla Croazia, dalla Bulgaria e dal Manciukuò; ovviamente viene riconosciuta soprattutto dal Terzo Reich, che, più avanti, eserciterà su di essa una sorta di invadente protettorato. Fondamenti ideologici, giuridici ed economici della Repubblica Sociale Italiana sono il fascismo, il socialismo nazionale, la volontà di avere una forma di governo rebupplicana, il corporativismo e l'antisemitismo. La fine simbolica di questo nuovo piccolo stato fascista consiste nell'esposizione del cadavere del suo capo, Mussolini, e di altri dirigenti del Partito Fascista Repubblicano nel piazzale Loreto di Milano, nell’aprile1945. La Repubblica Sociale Italiana, proclamata non comprese mai le province di Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, che furono amministrate direttamente dai tedeschi, anche se non annesse formalmente al Terzo Reich.
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Il CLN

Nell’estate 1943 si riorganizzano anche i partiti antifascisti, come il Partito Liberale, il Psiup, la Democrazia Cristiana, il Partito d’Azione, fondato da Carlo Rosselli, e il Partito comunista. Questi partiti, riunitisi l’8 settembre, creano il Comitato di Liberazione Nazionale, CLN, presieduto da Bonomi, un socialista riformista, con il compito di organizzare la Resistenza contro i nazifascisti ed assumere, in seguito, la guida del paese. Dei partiti di cui era composta solo comunisti e azionisti, durante il regime, avevano mantenuto, clandestinamente, le organizzazioni ed ora tale fatto gli garantiva un radicamento sociale notevole, soprattutto negli operai del nord, comunisti, e nel ceto intellettuale, azionista. Il CLN rifiutava il fascismo e il nazismo ma era costituito da vari orientamenti politici, quali i liberali, i borghesi italiani che volevano un ritorno al governo prefascista, la sinistra, con comunisti, socialisti e azionisti che miravano ad una trasformazione dello stato verso un governo quasi socialista, e la democrazia cristiana, che raggruppava gli eredi del Partito Popolare che volevano il solidarismo e l’interclassismo, e che più avanti, godranno dell’appoggio del Vaticano. Le differenze emergono durante la lotta della resistenza, marcandosi notevolmente, negli anni seguenti della Liberazione.
Secondo lo storico Claudio Pavone
la lotta partigiana poteva esser letta come una guerra patriottica, cioè per ottenere la libertà dal dominio tedesco; come una guerra civile tra partigiani e fascisti che portavano avanti diversi ideali all’interno della Repubblica di Salò; oppure come guerra di classe, cioè una guerra che, combattendo il nazifascismo, si prefiggeva la creazione di una nuova realtà politica e sociale fondata sulla giustizia (lotta di classe)
A seconda di come veniva interpretata la resistenza, tutti coloro che ne presero parte dagli intellettuali, ai contadini, agli operai, ai militari, agli studenti, ai borghesi ecc., aspiravano tutti al riscatto, all’autonomia, alla libertà di scelta che mancava dopo un lungo periodo di dominazione forzata, di apatia e di indifferenza.
A questi ideali comuni si aggiunsero altre motivazioni come la realizzazione di un ideale di libertà, di un principio di dignità e fratellanza, di un ideale patriottico, o di una volontà di risorgere come nazione.
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L’eccidio di Cefalonia

L'eccidio di Cefalonia fu una strage compiuta durante la seconda guerra mondiale, sull'isola greca di Cefalonia e su quella di Corfù, da reparti dell'esercito tedesco, ai danni dei soldati italiani dopo l'armistizio firmato con gli anglo-americani dell’8 settembre 1943. La guarnigione italiana stanziata nell'isola greca subì pesanti perdite in combattimento, ed inoltre numerosi massacri e rappresaglie, nonostante la resa incondizionata. I superstiti furono quasi tutti deportati verso il continente su navi che finirono su campi minati o furono silurate, con gravissime perdite umane. Fu uno dei maggiori crimini di guerra commessi dalla Wehrmacht, ovvero delle forze armate tedesche. A Cefalonia furono sterminati in pochi giorni 9.500 soldati italiani su 11.500, e 390 ufficiali su 525.    approfondimento
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La svolta di Salerno e i protocolli di Roma
La situazione politica del sud Italia muta notevolmente nella primavera del 1944, con il rientro in Italia dell’Urss e del segretario del partito comunista Palmiro Togliatti, il quale riesce a convincere il suo partito e le altre forze politiche, fra le quali anche il Cln, ad entrare a far parte governo Badoglio, rinviando la decisione su monarchia o repubblica a liberazione avvenuta. Tale fatto, passato come “la svolta di Salerno”, produsse due conseguenze immediate di grande importanza:

  • La questione istituzionale venne momentaneamente accantonata, Vittorio Emanuele III accettò di trasferire provvisoriamente i suoi poteri al figlio Umberto.
  • Il presidente della Cln Bonomi, sostituì Badoglio alla guida di un governo che comprendeva diverse personalità di primo piano dei partiti antifascisti.

I protocolli di Roma sono un accordo tra i delegati del CLNAI, il CLN del nord Italia, e gli alleati, firmato il 7 settembre 1944, con lo scopo di sancire il riconoscimento delle formazioni partigiane da parte degli alleati, a condizione però che al momento della liberazione il potere sarebbe stato riassegnato all’amministrazione degli alleati. Con questo accordo viene anche stanziato un finanziamento mensile di 160 milioni di lire verso i collaboratori antifascisti, da ripartire tra le regioni di Liguria, Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto.
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Le repubbliche partigiane:  La repubblica dell’Ossola

Dopo la sconfitta tedesca a Cassino e la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate, il 4 giugno 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia lancia un appello per un offensiva generale: l'indicazione è quella di creare nelle zone liberate vere e proprie forme di governo amministrativo. Sorgono così le “repubbliche partigiane” . In un documento del CLNAI si legge che spetta loro "assumere (..) la direzione della cosa pubblica, di assicurare in via provvisoria le prime urgenti misure di emergenza per quanto riguarda la prosecuzione della guerra di liberazione (..-) l'ordine pubblico, la produzione, gli approvvigionamenti, i servizi pubblici e amministrativi". Si raccomandano inoltre la nomina di un sindaco e di una giunta comunale "in cui siano adeguatamente rappresentate le diverse organizzazioni locali": lo scopo è quello di "realizzare l'effettiva partecipazione della popolazione alla vita del paese per fondare un regime progressivo aperto a tutte le conquiste democratiche e umane".
L'esperienza delle Repubbliche partigiane fu particolarmente significativa, nonostante la breve durata: l'offensiva nazifascista tra fine estate e autunno pose fine alla loro esistenza nel giro di pochi mesi
La Repubblica dell'Ossola fu una delle numerose repubbliche partigiane sorte nel Nord Italia.
Questa repubblica esistette dal 9 settembre al 22 ottobre 1944. I partigiani del CLN, l'8 settembre 1944 attaccarono le truppe fasciste di stanza a Domodossola, sconfiggendole e proclamando la repubblica.
A differenza di altre Repubbliche partigiane, la Repubblica dell'Ossola fu in grado, in poco più di un mese di vita, di affrontare non solo le contingenze imposte dallo stato di guerra, ma anche di darsi un'organizzazione articolata:

  • vennero assunti funzionari e commissari per l'amministrazione civile, incaricati di assumere impiegati;
  • venne vietata l'esportazione di valuta;
  • venne rinnovata la toponomastica della valle.

Tutte le leggi e i corpi militari fascisti vennero sciolti in soli 2 giorni. Salò reagì tagliando i rifornimenti all'intera valle, ma, dopo alcune incertezze, la piccola repubblica ottenne l'appoggio della Svizzera.
Il 10 ottobre i fascisti l’attaccarono con 14.000 uomini e, dopo aspri scontri, il 23 ottobre riconquistarono tutto il territorio. La gran parte della popolazione abbandonò la Val d'Ossola per rifugiarsi in Svizzera, lasciando il territorio quasi deserto e impedendo di fatto le forti rappresaglie che furono minacciate dai fascisti.
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Lo sbarco in Normandia

Nella conferenza di Teheran (28 novembre e 1 dicembre ’43) Churchill, Roosevelt e Stalin decidono di aprire  un secondo fronte in Europa: il 6 giugno 1944 un’operazione aeronavale, guidata da Eisenhower travolge la Germania e conduce alla liberazione di Belgio e gran parte della Francia. A questo evento succede, il 19 agosto 1944, l’insurrezione di Parigi, che porta alla riconquista della capitale. Sul fronte orientale l’Armata rossa avanzava fino a Varsavia e alle porte della Germania; l’avanzata sovietica annienta il dominio tedesco nell’Europa centrale. I paesi satelliti del Reich firmano, così, l’armistizio con i sovietici mentre in Iugoslavia Belgrado insorge contro i tedeschi che sono costretti a lasciare, insieme ad essa, anche la Grecia.
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La resa della Germania  

Mentre i Russi nella prima metà del 1944 riconquistavano le città occupate dai tedeschi, gli alleati comandati da Eisenhower, il 6 giugno sbarcavano in Normandia. L’operazione vide impegnati più di mezzo milione di soldati approdati utilizzando una poderosa flotta. Il 15 agosto si aprì un’ulteriore fronte, questa volta nel sud della Francia al quale aderirono pure le forze della “Francia liberata” comandate dal generale De Gaulle. Il 24 agosto 1944 dopo più di due anni di occupazione tedesca, Parigi veniva liberata.
Hitler decise di resistere ad oltranza sperando nelle armi di nuova concezione (missili V1 e V2) capaci di colpire direttamente il suolo Inglese. La guerra però era perduta. Si pensò di eliminare Hitler e il 20 luglio si ci era quasi riusciti. L’attentato però fallì e moltissime furono le fucilazioni e gli arresti ordinati da Hitler sempre più desideroso di continuare nel conflitto.
Adesso gli americani erano indecisi su da farsi: da una parte si voleva liberare prima il Belgio e l’Olanda per poi passare all’occupazione della Germania; l’altra parte preferiva occupare subito Berlino per poi eliminare i rimasugli di resistenza nazista.
Non appariva chiaro il comportamento tenuto dai Russi davanti a Varsavia che sapendo del loro arrivo era insorta sotto la guida della resistenza non comunista rimasta in contatto con il governo in esilio a Londra. Le truppe russe restarono ad attendere, nei sobborghi di Varsavia, consentendo ai nazisti la repressione dell’insurrezione. Rimase così il dubbio se ciò fosse accaduto per difficoltà militari o per annientare le forze del movimento antinazista i ispirazione non comunista.
I governi filotedeschi di Romania, Bulgaria e Ungheria, conclusero armistizi con gli alleati. Churchill e Stalin nell’incontro di Mosca dell’ottobre 1944 definirono le sfere di influenza: Romania e Bulgaria sotto influenza russa; la Grecia sotto controllo Inglese; Ungheria e Jugoslavia divise in ugual modo tra Inghilterra e Russia.
Yalta nel febbraio 1945 si discusse della Polonia; l’accordo raggiunto fu però assai vago e prevedeva la formazione di un governo costituito da antinazisti e successivamente gli elettori polacchi avrebbero dovuto decidere da soli il loro governo. In realtà accordi segreti lasciavano il via libera all’avanzata russa.
Si parlò anche della Germania e della divisione in zone d’occupazione a cui doveva seguire una completa smilitarizzazione. Si stabilì che a governarla dovesse esserci un Consiglio di Sicurezza composta da 16 membri + 5 appartenenti a Usa, Urss, Cina, Francia ed Inghilterra e le decisioni dovevano essere prese con il consenso unanime delle grandi potenze mondiali.
Mentre gli angloamericani fronteggiavano l’ultima disperata controffensiva tedesca nelle Ardenne, l’esercito russo avanzava da est. Le città tedesche furono bombardate per mesi e mentre gli angloamericani si erano stanziati come d’accordo nella linea del fine d’Elba, i russi entravano nell’ormai distrutta Berlino dove Hitler insieme ad altri gerarchi nazisti si era dato la morte all’interno del bunker della cancelleria.
L’8 maggio 1945 la Germania con Donitz firmava la resa incondizionata che poneva fine alla guerra in Europa.
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La resa del Giappone

La resa del Giappone e la fine della guerra La resa del Giappone e la fine della guerra Dopo aver faticosamente strappato al Giappone il dominio del pacifico nel novembre 1944 l'aviazione americana cominciò a bombardare Tokyo e il restante territorio nipponico. Quando in Europa la guerra era conclusa gli americani intensificarono i bombardamenti,niente riusciva a piegare l'accanita resistenza dei Giapponesi: i kamikaze (guerriero o terrorista che per distruggere un obbiettivo nemico, vi si getta contro con il proprio aereo carico di esplosivo compiendo un'azione che non gli consentirà di salvarsi) continuavano a schiantarsi contro le navi nemiche con i loro aerei carichi di bombe. Ma la morte di Roosevelt (1945) e l'elezione del repubblicano Harry Truman modificarono la situazione. Per costringere il Giappone ad arrendersi, il nuovo presidente degli USA autorizzò l'uso di un ordigno potentissimo che era stato sperimentato da poco a Los Alamos la prima bomba atomica. Truman inviò al Giappone un ultimatum nel quale minacciava la distruzione totale se l'isola non si fosse arresa. L'ultimatum fu respinto e gli Stati Uniti, con il consenso di Stalin, presero la terribile decisione di sganciare su due città giapponesi altrettante bombe nucleari. Il 6 agosto 1945 la prima bomba atomica della storia, frutto dell' avanzata tecnologia e dell' ingegno dei più valenti scienziati del mondo, esplose su Hiroshima; quest' abbaiante luce di terrore, spense la vita di oltre 90.000 persone che morirono sul colpo e 80.000 in un altro momento a causa delle radiazioni. Tre giorni dopo ne esplodeva una su Nagasaki: qui i morti furono 40.000 e gli ustionati 70.000. Il 2 settembre 1945 l'imperatore Hirohito firmava la tragica capitolazione del suo paese. La seconda guerra mondiale si era ormai conclusa. In tutto i morti furono: 55.285.000
Il 2 settembre il Giappone firmava la resa incondizionata .
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Le conferenze di Yalta, Teheran, Posdam

Vi furono diversi incontri tra i tre grandi stati vincitori della seconda guerra mondiale: Stati Uniti presieduti da Franklin D.Roosevelt, Gran Bretagna che avevano come primo ministro Winston Churchill e URSS che era sotto la guida di Stalin. Tra i numerosi incontri, tre sono estremamente importanti: la Conferenza di Teheran, nel corso dei quali i leader delle forze interalleate si incontrarono per definire la gestione della vittoria sul Nazionalsocialismo; la conferenza di Jalta in cui fu decisa la ripartizione del territorio tedesco in zone di occupazione coordinate da una commissione di controllo centrale; e la conferenza di Potsdam per gestire l’immediato dopoguerra.
La Conferenza di Teheran, Persia, tenutasi tra 28 novembre 1943 e 1° dicembre 1943 fu stata la prima conferenza dove si riunirono i tre "Grandi" della seconda guerra mondiale (Stalin, leader dell’unione sovietica; Franklin D. Roosevelt, presidente degli Stati Uniti d’America; Winston Churchill, primo ministro britannico). In tale conferenza si accordarono sull'appoggio ai partigiani di Tito in Jugoslavia; sulla data e sulle modalità della Operazione Overlord (Sbarco in Normandia), sull'entrata in guerra dell'URSS contro il Giappone dopo la sconfitta della Germania e inoltre sulla creazione, dopo la guerra, dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.
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La conferenza di Yalta tenutasi durante la seconda guerra mondiale fu la sede nel quale i capi politici dei tre paesi vincitori (USA, Gran Bretagna e URSS) presero alcune decisioni importanti su come proseguire il conflitto, sull'assetto futuro della Polonia e sulla nuova Società delle Nazioni.
I tre protagonisti furono Franklin D.Roosevelt, Winston Churchill e Stalin, capi dei governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e dell'Unione Sovietica. Non venne invitato il leader francese Charles de Gaulle, che intraprese una politica autonoma all’interno della scacchiera mondiale.
L'incontro si tenne in Crimea, nella vecchia residenza estiva dello Zar Nicola II a Yalta, fra il 4 e l'11 febbraio 1945, pochi mesi prima della sconfitta della Germania nazista nel conflitto mondiale. Esso fu il secondo ed il più importante di una serie di tre incontri fra i massimi rappresentanti delle grandi potenze alleate.
Gli accordi ufficialmente raggiunti a Yalta furono:

  • una dichiarazione in cui si affermava che l'Europa era libera e che invitava allo svolgimento di elezioni democratiche in tutti i territori liberati.
  • la proposta di una conferenza (da tenere nell'aprile 1945 a San Francisco) in cui discutere l'istituzione di una nuova organizzazione mondiale, le Nazioni Unite (ONU); in particolare a Yalta si considerò l'istituzione del Consiglio di Sicurezza.
  • lo smembramento, il disarmo e la smilitarizzazione della Germania, visti come "prerequisiti per la pace futura"; lo smembramento (che prevedeva che USA, URSS, Regno Unito e Francia gestissero ciascuno una zona di occupazione) doveva essere provvisorio, ma si risolse nella divisione della Germania fra Est ed Ovest che finì solo nel 1989
  • furono fissate delle riparazioni dovute dalla Germania, nella misura di 22 miliardi di dollari.
  • in Polonia si sarebbe dovuto insediare un "governo democratico provvisorio" che avrebbe dovuto condurre il paese a libere elezioni nel più breve tempo possibile.
  • riguardo alla Jugoslavia, fu approvato l'accordo fra Tito e Subasic (capo del governo monarchico in esilio) che prevedeva la fusione fra il governo comunista e quello in esilio.
  • i sovietici avrebbero dichiarato guerra al Giappone entro tre mesi dalla sconfitta della Germania; in cambio avrebbero ricevuto la metà meridionale dell'isola di Sakhalin, le isole Kurili e avrebbero visti riconosciuti i loro "interessi" nei porti cinesi di Port Arthur e Dalian.
  • tutti i prigionieri di guerra sovietici sarebbero stati rimandati in URSS, indipendentemente dalla loro volontà.
  • in Romania e Bulgaria si sarebbero dovuti installate delle commissioni alleate per governare tali Paesi, appena sconfitti.
  • l'impegno a garantire che tutti i popoli scelgano i propri governanti, impegno che non fu attuato nei decenni successivi.

molti vedono nella conferenza di Jalta il preludio della Guerra fredda.
Ancora oggi, nei manuali di storia la conferenza di Jalta viene descritta come l'evento in cui i tre leader mondiali si spartirono l'Europa in sfere d'influenza.
Altri studiosi invece ritengono che si debba far riferimento alla Conferenza di Teheran come vero inizio della divisione del mondo in blocchi contrapposti.
Conferenza di Potsdam fu l’ultima conferenza tenutasi dagli alleati dal 17 luglio al 2 agosto 1945. La conferenza ebbe luogo a Potsdam, Germania. In origine la conferenza avrebbe dovuto tenersi a Berlino ma a causa dei forti danneggiamenti subiti dalla città la sede fu spostata nell'intatto castello di Potsdam. I leader che parteciparono alla conferenza furono gli USA oramai presieduti da Truman, l’Unione Sovietica rappresentata da Stalin e la Gran Bretagna rappresentata dal primo ministro Churchill. Nel corso dell'incontro i leader discussero e raggiunsero accordi sulla gestione dell'immediato dopoguerra su questioni come: le frontiere nell’Europa liberata, l’ammontare dei risarcimenti dei danni causati dalla guerra, la gestione e il governo del territorio tedesco e la conduzione della guerra del Pacifico.
La conferenza si concluse con la nascita della Dichiarazione di Potsdam in cui:

  • furono stabiliti i confini tra Polonia e Germania sulla linea Oder-Neisse e fu deciso che tutta la popolazione tedesca presente nel territorio polacco, cecoslovacco e ungherese doveva essere rimpatriata in Germania.
  • Venne suddivisa la Germania in quattro zone di occupazione amministrate dalle potenze vincitrici.
  • Non vi fu accordo sull'ammontare dei risarcimenti, fu deciso che all'interno della propria zona di occupazione ogni potenza avrebbe gestito entità e tipologia di risarcimento in modo autonomo.
  • il presidente statunitense Truman lanciò un ultimatum al Giappone che se non si fosse arreso non avrebbe evitato una "immediata e completa distruzione".

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La spartizione del mondo in due blocchi

finita le guerra il mondo interno si trova di fronte ad una nuova spartizione del mondo non più capeggiata dalla secolare Europa ma dalle due emergenti super potenze, gli USA e l’URSS. Questo nuovo ordine internazionale prese il nome di bipolarismo, perché entrambi i suoi protagonisti tesero a trasformare i sistemi di alleanze di cui erano il centro in blocchi economico-politici contrapposti.
Questa spartizione del mondo tra le due super potenze fu decisa già nella conferenza di Yalta nel febbraio del 1945. Una delle città che subì in modo più drastico questa spartizione fu Berlino, che fu divisa in due, e successivamente separata da un muro costruito nel 1961 e abbattuto nel 1989.
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NATO,  Patto di Varsavia e non allineati
I due blocchi che avevano oramai diviso il mondo facevano capo a due alleanze militari distinte: gli USA si strutturarono nell’alleanza della NATO, ancora oggi esistente; mentre l’URSS fece capo al patto di Varsavia, sciolto nel 1989 con il ritiro delle truppe sovietiche dai paesi satelliti. Il patto di Varsavia sottoscritto nella capitale polacca nacque successivamente alla NATO, nel 1955, e comprendeva un alleanza militare tra i paesi socialisti dell’Europa dell’est. Aveva sede a Mosca ed era capeggiato da un generale sovietico che portava avanti un sistema di difesa militare integrato.
La NATO (North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del patto dell'Atlantico settentrionale) era un organismo internazionale politico-militare creato con il Patto atlantico il 4 aprile 1949 a Washington tra dieci paesi europei, due americani e successivamente entrarono a far parte dell’organizzazione altri 4 paesi europei tra cui la Repubblica federale tedesca, mentre la Francia uscì dall’alleanza. Quest’alleanza fu voluta dagli USA per fronteggiare la potenza dell’espansione sovietica, e per reggere il confronto durante gli anni della guerra fredda.
La struttura della NATO è così organizzata: essa è coordinata da un segretario generale, accompagnato dal Consiglio atlantico e dalle forze armate capeggiate da un comandante supremo. Il patto stretto da le diverse nazioni prevede la collaborazione politica, economica e militare per garantire la difesa collettiva in caso di aggressione dei paesi aderenti. Inizialmente la potenza economica-militare statunitense comportò la subordinazione di alcuni stati dell’Europa occidentale, come Italia, Francia e Belio, dove i partiti di sinistra furono espulsi dalla vita politica e la ricostruzione fu strettamente legata agli aiuti economici americani.
Con il crollo dell’URSS e la dissoluzione del patto di Varsavia, la NATO si impegnò a creare un programma di integrazione per i paesi dell’Europa dell’est per così ridefinire le alleanze. Ciò portò nel 1999 l’entrata nella NATO di Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. A fronte di un disturbo della pace l’organizzazione intervenne anche a sostegno del processo di pace in Bosnia-Erzegovina e militarmente nel conflitto tra Iugoslavia e Kosovo. Ciò diede vita ad una nuova dottrina stabilita dai leader dei paesi membri che prevedeva l’intervano militare a sostegno umanitario.
Finita la seconda guerra mondiale oltre alla creazione dell’asse del mondo Est/Ovest, la decolonizzazione dell’africa e dell’Asia portò la posizione economica di tali paesi ad un livello inferiore rispetto ai grandi pilastri dell’economia mondiale, quali USA e URSS. Si creò così l’asse tra il mondo sviluppato (nord) e il Terzo mondo (sud). Questi paesi che non facevano capo a nessuna delle due alleanze militari che spadroneggiavano nel mondo, parteciparono alla conferenza di Bandung (18-24 aprile 1955) in Indonesia. 29 furono i paesi asiatici e africani che parteciparono e che conclusero la conferenza con la stabilizzazione di 10 punti della Dichiarazione finale che condannavano tutte lo oppressioni di tipo coloniale, inclusa quella sovietica nell’Europa orientale, e inneggiavano alle pace e alla cooperazione tra i popoli.
Durante la conferenza ispirati dal rappresentante indiano Nehru fu fondato il movimento dei paesi non allineati, “Dichiarazione per la promozione della pace nel mondo e la cooperazione”, un movimento politico internazionale che aggregava gli stati che non facevano capo ne alla NATO ne al patto di Varsavia. I pilastri di tale movimento furono l’indiano Nehru, lo iugoslavo Tito e l’egiziano Nasser che raccoglievano adesioni da tutti i paesi del Terzo mondo di recente indipendenza. La prima conferenza ufficiale dei paesi non allineati si ebbe a Belgrado nel 1961 in cui parteciparono 25 paesi che sulla base di un programma alternativo a quello delle due super potenze adottarono una politica economica che permetteva lo sviluppo economico e sociale nel paesi aderenti e la democratizzazione delle relazioni internazionali attraverso il disarmo e la politica di non ingerenza nelle scelte degli stati. Successivamente le conferenze raggruppavano 75 paesi, ma l’organizzazione non assunse mai un carattere istituzionale per via degli evidenti conflitti che si verificarono tra gli stati membri sulla base di particolari interessi regionali. Anche se il movimento vedeva delle vittorie, come quella avvenuta a Cuba, in Algeria che riuscì a diventare indipendente dalla Francia o in Cina che iniziava a staccarsi dalle dure posizioni sovietiche, iniziava a perdere la sua originari influenza scoprendo che le contraddizioni erano prepotentemente dentro il Movimento. Le guerre tra poveri, gli stermini, le lotte fra paesi fratelli misero in seria difficoltà i Non Allineati. La creazione del NOEI, il Nuovo Ordine Economico Internazionale non portò però a grandi profitti, i paesi Non Allineati non coglievano i grandi cambiamenti che erano in atto e neanche la caduta dell’URSS, che lasciò un enorme vuoto politico, li aiutò a prendere posizione. Ancora oggi l’Organizzazione dei paesi Non Allineati ha difficoltà nella collocazione politica in un sistema di relazioni globalizzate.   approfondimento
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La guerra fredda
La guerra fredda fu il rapporto Est/Ovest che si instaurò alla fine della seconda guerra mondiale; fu un rapporto caratterizzato da tensione diplomatica e politica, mentre gli scontri militari fra i due avvennero solo in aree “periferiche” del mondo. Il momento più acuto di questa guerra si raggiunse con la guerra di corea: ex colonia giapponese divisa in due parti, il Nord con un regime comunista filosovietico e il Sud con un regime filoamericano; quando nel 1950 i nordcoreani entrarono nella parte meridionale, gli Stati Uniti intervennero militarmente, mentre l’Urss appoggiava il governo nord coreano. La guerra lunga e sanguinosa si concluse con un accordo di compromesso che confermava la suddivisione in due della penisola coreana. Dopo questo scontro, i rapporti tra i due blocchi furono meno conflittuali e con la seconda metà degli anni 50 si aprì il periodo della distensione che significò una ripresa del dialogo fra le due parti.
Finita la guerra in tutto il mondo si instaura una nuova politica internazionale che vedeva protagoniste le due grandi potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, USA e URSS. Tale ordine venne chiamato bipolarismo perché ora i diversi stati dell’Europa facevano capo ad uno dei due blocchi che erano centri economici-poitici contrapposti. Questa divisione mondiale fu stabilita ancor prima che la guerra finisse, con la conferenza di Yalta, che distribuiva l’Europa alle due super-potenze.
Inizialmente questa era una sola divisione militare tra sovietici che controllavano l’Europa dell’est e americani che controllavano l’Europa dell’ovest. Finito il conflitto però, non avendo più un nemico comune dato che la Germania nazista era stata sconfitta, le due super-potenze si trovarono con enormi divergenze politiche; una rispecchiava ideali socialisti e comunisti, mentre l’altra abbracciava ideologie repubblicane; ed economiche che andarono sempre più intensificandosi fino a raggiungere la così detta guerra fredda. La guerra fredda è una guerra che non sfociò mai in un conflitto diretto, ma su combattuta con le armi della propaganda e attraverso conflitti indiretti nei diversi paesi periferici di tutto il mondo. La guerra fredda fu un periodo duro per l’Europa e il resto del mondo, la corsa agli armamenti che subentrò quasi subito la fine del conflitto e la trasformazione poi in una corsa agli armamenti nucleari creò un clima di terrore per lo scoppio di una nuova e devastante guerra mondiale. Ciò fu sventato però dalla consapevolezza di tutte e due le super potenze che se fosse scoppiata una guerra non ci sarebbe stata ne una potenza vincitrice ne una potenza vinta perché la capacità bellica atomica delle due era così potente da distruggere 40 volte la terra.
Simbolo del bipolarismo che investi l’Europa fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989, segnando così anche il crollo dell’URSS, fu la Germania, che possedeva qualità economiche elevate e fu infatti divisa in Repubblica federale tedesca che faceva capo agli USA e Repubblica sociale tedesca che faceva, invece, capo all’URSS. La capitale tedesca, Berlino, anch’essa fulcro economico-politico dell’ex potenza europea venne spartita inizialmente in quattro, tra USA, Inghilterra, Francia e URSS, e in un secondo momento solo tra URSS e USA.

  • Equilibrio del terrore

Il nuovo ordine internazionale scaturito dalla seconda guerra mondiale si fondò sul rapporto bipolare delle due superpotenze(Usa e Urss) e i loro blocchi di alleanze. Fra i due blocchi si instaurò un certo equilibrio che conobbe momenti di grave crisi, ma che però resse fino alla fine del “lungo dopoguerra”, ossia fino al crosso dell’Urss nel 1991. Secondo il filosofo italiano N. Bobbo, si trattò di un equilibrio del terrore perché si fondava sul fatto che l’arsenale nucleare a disposizione di entrambi i blocchi aveva un potenza distruttiva tale da rendere impensabile un conflitto atomico.

  • La coesistenza pacifica: Krusciov, Kennedy, Papa Giovanni XXIII

La coesistenza pacifica era la ricerca di soluzioni pacifiche ai problemi internazionali, nella consapevolezza che un atteggiamento diverso avrebbe messo a rischio la vita stessa del pianeta. Contribuirono a questo mutamento di clima politico Chruščёv, Kennedy, Papa Giovanni XXIII. Nell’Urss, dopo la morte di Stalin nel 1953 si aprì una fase di attenuazione della rigida dittatura staliniana, che ebbe come protagonista il nuovo segretario del Partito comunista Nikita Chruščёv che concesse un’amnistia per i reati politici, consentì una maggiore libertà di pensiero e in occasione del XX congresso del partito, denunciò le violenze di cui il regime staliniano si era macchiato. Sul piano politico il dibattito all’interno della società sovietica si fece più vivo e libero. La “destalinizzazione” Chruščёviana venne accolta positivamente dagli Usa, dove nel 1960 venne eletto il presidente democratico John Fitzgerald Kennedy; egli sviluppò all’interno una politica di riforme, soprattutto nel campo dei diritti civili dove sostenne la fine di ogni discriminazione nei confronti degli afroamericani; nelle relazioni internazionali rinunciò ai toni aggressivi e ideologici tipici della guerra fredda, cercò il dialogo con Mosca e propose un’immagine degli Stati Uniti come grande paese democratico impegnato per il progresso e per la pace di tutta l’umanità. In politica estera, Kennedy ebbe un atteggiamento ambivalente poiché da un lato si mostrò più aperto e disponibile nei confronti dei sovietici e dall’altro s’impegnò per riaffermare la potenza statunitense nei confronti del mondo comunista. Inoltre istituì la “linea rossa”, ossia il collegamento telefonico diretto tra la Casa Bianca e il Cremlino, firmò il trattato per la sospensione degli esperimenti nucleari nell’atmosfera. Il terzo protagonista della distensione fu il pontefice Giovanni XXIII che convocò il concilio Vaticano II, evento destinato a trasformare la vita della chiesa cattolica nel senso di una maggiore apertura ai problemi del presente. Testimonianza di questa nuova sensibilità fu l’affermazione dell’esigenza della pace, da ottenersi tramite il dialogo; essa fu affermata dal pontefice con l’Enciclica “Pacem in terris”. Il concilio Vaticano II fu convocato da Giovanni XXIII e venne concluso da Paolo VI, e introdusse importanti innovazioni nella vita della chiesa cattolica. In campo liturgico mirò a istituire un rapporto più paritario tra clero e fedeli; in campo dottrinale promosse una maggiore possibilità di dialogo sia all’interno del mondo cattolico, sia nei confronti delle altre confessioni religiose; in campo sociale la chiesa manifestò forte attenzione per i problemi della giustizia e del lavoro condannando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

  • La crisi di Cuba

La crisi dei missili di Cuba fu un conflitto tra USA e URSS circa lo spiegamento sovietico di missili nucleari a Cuba. La crisi iniziò il 15 ottobre 1962 e durò tredici giorni. Dopo la vittoria di Fidel Castro nella rivoluzione cubana, gli Stati Uniti erano desiderosi di soffocare sul nascere il nuovo regime, con il quale, già dal 1961, l'allora presidente Eisenhower aveva interrotto i rapporti diplomatici. Il suo successore, John Fitzgerald Kennedy, approvò un piano di invasione dell'isola definito dal precedente governo addestrando e appoggiando gli esuli cubani, che sbarcarono sull’isola di Cuba. L'operazione fallì e Cuba, vistasi minacciata, chiese e ottenne da Mosca l'installazione di batterie di missili nucleari sul proprio territorio. Quando gli aerei spia americani li scoprirono, nell'ottobre del 1962, Kennedy ordinò il blocco navale dell'isola. Dopo giorni di tensione, Chruščëv, vista la fermezza di Washington, ordinò il ritiro dei missili in cambio della promessa dell'indipendenza dell'isola dagli Stati Uniti. L'Avana fu considerata da quel momento un nuovo satellite dell'URSS, il più vicino al territorio statunitense.

  • Il crollo dell’Urss

Nel marzo 1985 venne eletto segretario generale del partito comunista sovietico Michail Gorbačёv, egli rappresentava la linea politica riformista e credeva che l’Urss avesse le risorse per uscire dalla crisi. Occorreva quindi democratizzare il paese per stimolarne le energie positive, rinnovare la politica per riformare l’economia; da questo si spiegano le parole “perestrojka” che indicava la necessità di operare una riforma della società sovietica e in particolare l’economia; e “glasnost” che significava l’istituzione di un nuovo rapporto fra potere e opinione pubblica. Quest’ultima fu molto usata da Gorbačёv sul piano internazionale, proponendo l’Unione Sovietica come una realtà dinamica in trasformazione; l’opinione pubblica gli diede maggiori consensi rispetto ai precedenti leader e questo era un fattore da non sottovalutare perché l’appoggio economico e politico dell’occidente era considerato un elemento essenziale della sua strategia, destinata a scontrarsi con difficoltà interne. In quest’ottica bisogna considerare anche l’opera di distensione internazionale che promosse, e venne recepita dall’amministrazione statunitense: il ritiro unilaterale dall’Afghanistan, gli accordi per la riduzione degli armamenti nucleari, la pacificazione con la Cina e l’incontro in Vaticano con il pontefice Giovanni Paolo II furono iniziative finalizzate a liberare l’Unione Sovietica dal suo ruolo di superpotenza antioccidentale e a fare un partner economico e politico dell’Occidente. La perestrojka si scontrò con difficoltà di ogni genere, fino a fallire; Gorbačёv non riuscì a gestire il processo di rinnovamento soprattutto perché non riuscì a vincere le resistenze al cambiamento manifestatesi nei settori più conservatori del partito e dell’esercito. La glasnost, con la sua liberalizzazione del dibattito e la fine della censura liberò forze trattenute a lungo. Però questo processo non fu accompagnato da un’evoluzione  delle strutture e da un miglioramento delle condizioni di vita; esso suscitò aspettative e speranze che le riforme non riuscirono a soddisfare perché implicavano l’abbattimento del socialismo. Gorbačёv democratizzò il sistema politico e istituzionale dell’Unione sovietica intaccando il partito comunista e ammettendo la costituzione di gruppi politici di diverso orientamento politico e la competizione elettorale. Volendo trasformare l’Urss in una specie di repubblica presidenziale, nel 1988 varò una riforma istituzionale che dava ampi poteri a un presidente eletto da un Congresso dei deputati del popolo per due terzi a suffragio universale. Gorbačёv tentò anche di introdurre elementi di economia di mercato in un sistema in cui lo stato continuava a giocare un ruolo direttivo; furono varate numerose riforme come la lotta alla corruzione, la possibilità di costruire imprese agricole e artigianali cooperative, allentamento del controllo pubblico sulle imprese e liberalizzazione dei prezzi di alcuni prodotti agricoli. Negli anni 1988-90 l’economia e il tenore di vita della popolazione si degradarono perché si incepparono tutti i meccanismi che fino ad allora avevano consentito al sistema di funzionare. Si indebolirono anche le strutture tradizionali del potere e nessun comando ebbe più la garanzia di essere eseguito e così a poco a poco fiorì l’economia illegale. Più Gorbačёv veniva apprezzato all’estero più la sua popolarità scendeva in patria. Egli dovette barcamenarsi tra una destra che giudicava avventata e precipitosa la sua politica e una sinistra che lo accusava di conservatorismo e indecisione. Tra questi oppositori emerse Boris Eltsin. Si vennero a creare a Mosca due centri di potere con i rispettivi capi: Gorbačёv ed Eltsin. Se il fallimento economico condannò la perestrojka, fu il conflitto centro-periferia a provocare la fine dell’Urss; l’Unione era un insieme di popoli che vivevano uno accanto all’altro conservando però la propria identità. La politica del governo sovietico nei confronti delle nazionalità aveva affiancato l’uso di strumenti repressivi per soffocare ogni rivendicazione nazionalistica a una politica di integrazione nello stato e nel partito delle classi dirigenti e istruite delle diverse repubbliche. Già prima della perestrojka la riduzione delle risorse a disposizione aveva provocato lo scontento delle élite locali; ma fu l’indebolimento del potere centrale a provocare un movimento di rivendicazione nazionali, in cui molte repubbliche dell’Unione incominciarono a rivendicare autonomia da Mosca. Il deteriorarsi della situazione economica favorì il formarsi di poteri territoriali autonomi, tanto più forti quanto più veniva meno l’autorità del potere centrale. Nelle tre repubbliche baltiche Estonia, Lituania e Lettonia, i movimenti della perestrojka passarono velocemente a rivendicare l’indipendenza da Mosca. Nel 1990 i parlamenti di Lituania, Estonia e Lettonia proclamarono l’indipendenza nazionale; nelle repubbliche asiatiche invece la competizione per risorse sempre più scarse e il nazionalismo etnico si tradussero in persecuzioni da parte delle nazionalità dominanti ai danni di quelle minoritarie, con l’esplosione di sanguinosi conflitti. Alle repubbliche baltiche si affiancarono nel rivendicare l’indipendenza molte altre repubbliche a maggioranza non russa. Dopo essere intervenuto con repressioni militari in Lituania e in Lettonia Gorbačёv propose alle repubbliche ribelli un nuovo trattato dell’Unione che garantiva loro maggiore autonomia; ma prendendo pretesto da tale trattato considerato distruttivo per l’unità dello stato, nell’agosto 1991 un gruppo di dirigenti del partito comunista tentò un colpo di stato contro Gorbačёv che fu messo agli arresti, ma il golpe fallì. Di fronte a un  Gorbačёv sempre più indebolito e isolato, Eltsin divenne l’arbitro incontrastato della situazione politica. Nei mesi successivi la disgregazione dell’Urss divenne irreversibile, il partito comunista venne dichiarato fuori legge in molte repubbliche e sospeso anche in Russia; Lettonia, Estonia e Lituania videro riconosciuta la loro indipendenza e Russia, Ucraina e Bielorussia nel dicembre 1991 diedero vita alla Comunità di Stati Indipendenti, seguite da molte altre repubbliche. Finiva così l’Unione Sovietica nata nel 1922. Il 25 dicembre 1991 Gorbačёv si dimise. Nello stesso giorno la bandiera dell’Urss venne ammainata sul Cremlino e al suo posto si alzò la bandiera della Repubblica Russa sotto la presidenza di Eltsin.

  • La fine delle democrazie popolari (Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Romania)

Tutti gli stati satelliti dell'URSS, tra l'89 e il 90, si resero autonomi e crearono governi democratici seguiti a libere elezioni cui parteciparono diversi partiti. Si trattava della fine dell'era dei blocchi. Era una svolta storica, il crollo del bipolarismo, cioè del sistema dei blocchi che aveva segnato l’epoca della "guerra fredda".
Come fu possibile una rivoluzione di tale portata e senza spargimento di sangue? Le popolazioni dei paesi comunisti dell'Europa Orientali stavano apparentemente tranquilli grazie alla paura delle truppe del patto di Varsavia e della repressione poliziesca, ma quando fu chiaro che l'URSS non sarebbe intervenuta, i fragili regimi comunisti crollarono uno dietro l'altro, anche perché erano tutti economicamente arretrati e forte era la speranza in tutti di un livello di vita più alto, simile ai modelli occidentali.
Polonia
Il colpo di stato del generale Jaruzelski, filosovietico, non aveva fatto smettere le manifestazioni antiregime, le quali si raccoglievano attorno al sindacato Solidarnos, guidato da Lech Walesa, e si facevano forti dell'appoggio del papa polacco Giovanni Paolo II. Il 1988 fu un anno decisivo: il paese fu scosso da moltissimi scioperi e fu sull'orlo della guerra civile. Gorbaciov intervenne su Jaruzelski consigliandogli un accordo per libere elezioni che avrebbero visto la partecipazione di diversi partiti, tra cui Solidarnos (costituitosi in forza politica), ma avrebbero lasciato comunque al partito comunista la maggioranza dei deputati in parlamento. La vittoria elettorale di Solidarnos fu però di tali proporzioni che il cambiamento appariva irreversibile: nel 1991 Walesa fu eletto capo dello stato e il regime comunista finì.
 Ungheria, Cecoslovacchia e Bulgaria
In Ungheria, Cecoslovacchia e Bulgaria il passaggio dal regime comunista a quello democratico fu ancora più pacifico.
In Ungheria il POSU Partito operaio socialista ungherese, si era già aperto a riforme economiche e aveva cambiato la classe dirigente: nel 1989 fece passare una nuova Costituzione che prevedeva più partiti. Nel 1990 le elezioni furono vinte dal raggruppamento di partiti di ispirazione cristiana, il Forum democratico, guidato da Jozsef Antalì.
Anche in Cecoslovacchia il passaggio alla democrazia fu naturale: imponenti manifestazioni di massa dall’agosto al novembre 1989 portarono a radicali trasformazioni nelle istituzioni.
Alexander Dubcek, leader della "primavera di Praga", divenne capo della assemblea legislativa; Vaclaw Havel, che aveva guidato il movimento di opposizione Forum civico, ottenne la presidenza della Repubblica federale ceca. Nel 1993 la Slovacchia si costituì in repubblica autonoma, staccandosi dalla Repubblica ceca, formata da Boemia e Moravia. Le successive elezioni confermarono il ruolo ormai non più dominante del Partito comunista in entrambi gli Stati.
In Bulgaria invece i dirigenti comunisti guidarono il processo di cambiamento, anche se spinti dalla pressione popolare.
Stabilirono elezioni libere che nel 1990 confermarono al potere l’ex Partito comunista, ma in un quadro politico non più di regime e secondo garanzie volute da una nuova
La Romania
In Romania il passaggio di regime fu invece travagliato e violento. Qui Nicolae Ceaucescu governava in modo autoritario e dispotico, proclamandosi Conducator, condottiero, della nazione e promuovendo una politica autonoma da Mosca: nel 1968 non era intervenuto a Praga, ora criticava le riforme di Gorbaciov. Voleva apparire come il difensore degli interessi nazionali rumeni, ma in realtà governava reprimendo spietatamente ogni forma di opposizione.
La popolazione viveva in una diffusa povertà e priva di libertà. Alle rivolte di alcune città desiderose di riforme economiche e politiche il dittatore rispose con l’esercito provocando centinaia di morti. Nel dicembre 1989 la protesta si estese alla capitale Bucarest e parte dell’esercito solidarizzò con la popolazione. La guerra civile in Romania vide da una parte il Fronte di salvezza nazionale, formato da ex comunisti, militari e oppositori del regime, dall’altra i fedelissimi di Ceausescu e la polizia segreta. Il breve ma sanguinano conflitto si concluse con l’esecuzione sommaria di Ceausescu e con libere elezioni che segnarono la vittoria del Fronte.

  • La caduta del muro

L'episodio più importante, anche dal punto di vista simbolico, fu la riunificazione delle due Germanie. Nel 1989 l'Ungheria permise il libero passaggio verso l'Austria, aprendo un varco attraverso il quale si rovesciarono milioni di cittadini dela Germania Est verso la Germania dell'Ovest. Il governo comunista tedesco non era in grado di opporsi e si trovò a dover affrontare manifestazioni di massa a Lipsia, Dresda e Berlino. Nel novembre del 1989 fu lasciato libero transito ai tedeschi dell'est che volevano varcare il confine con la Germania Ovest, il muro fu rapidamente abbattuto. La Germania Ovest, sotto la guida del democristiano Helmut Kohol spingeva verso l'unificazione. Fu firmato un trattato di unione economica, furono abbattute le frontiere tra i due stati tedeschi, nell'ottobre del 1990 si giunse infine alla riunificazione politica con il consenso di URSS, Francia, Inghilterra e USA. E' caduto anche il segno fisico della cortina di ferro e della guerra fredda.

  • Riunificazione tedesca

Dopo il crollo del muro, il processo di unificazione della Germania ebbe una rapida accelerazione. Le prime votazioni libere che si tennero nella Germania orientale nel marzo 1990 diedero la maggioranza ai cristiano-democratici e alle forze favorevoli all’unificazione, perseguita fortemente dal cancelliere federale Helmut Kohl, appoggiata dal presidente americano George Bush e seguita da Londra e Parigi. Dopo l’unificazione monetaria il 12 settembre 1990 le potenze vincitrici firmarono il trattato che consentiva la riunificazione, formalizzata il 3 ottobre 1990.
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L’Italia repubblicana
Dopo la liberazione i partiti politici antifascisti presenti nel Cln governarono l’Italia fino al maggio del 1947. Durante questo periodo vennero abbandonate le diversità ideologiche e politiche dei due schieramenti: Democrazie cristiana e Comunisti e Socialisti. La Dc era guidata da De Gasperi, era di orientamento cattolico, rifiutava la lotta di classe e aveva consenso nella borghesia industriale finanziaria. I partiti della sinistra formavano un blocco che contrastava il programma della Dc ed erano formati dal Partito socialista di Nenni e dal Partito comunista di Togliatti, che voleva creare una democrazia progressiva per promuovere riforme aventi come obiettivo la riduzione delle ingiustizie sociali e del potere dei grandi monopoli industriali. Accanto a questi gruppi politici si era creato nel 1942 il Partito d’azione, che aveva tra i dirigenti anche Ferruccio Parri. E che proponeva riforme economiche, una riforma agraria e la nascita di uno stato Repubblicano con ampie autonomie locali. Un ulteriore partito era il Partito liberale, che voleva una continuità con l’Italia prefascista col favore di gruppi dirigenti dell’economia. Le figure più importati furono Benedetto Croce e l’economista Luigi Einaudi. Il primo governo dell’Italia liberata fu presieduto da Parri (giugno- novembre 45), ma trovò ostacoli nelle forze conservatrici e dagli alleati. Gli succede De Gasperi tra novembre 45 e luglio 46, con la presenza dei comunisti.  Rimane da risolvere la questione istituzionale dopo che nel giugno del 1944 il re Vittorio Emanuele III aveva abdicato in favore del figlio Umberto I.
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Referendum istituzionale
Il 2 giugno 1946 in Italia si svolse il primo referendum istituzionale. Gli italiani furono chiamati a scegliere la nuova forma di governo dello stato italiano, tra repubblica e monarchia. Inoltre durante queste elezioni si scelsero anche i componenti dell’Assemblea Costituente. Il voto fu, per la prima volta in Italia, a suffragio universale, in quanto anche le donne avevano finalmente ottenuto il diritto di voto, e l'affluenza fu dell'89 % degli aventi diritto. I risultati diedero 10.000 voti per la monarchia, che ricevette un forte consenso soprattutto nelle regioni del nord, e 12.000 voti a favore della repubblica.  Questa, quindi, prevalse con il 54 % circa dei suffragi.
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La costituente

Lo stesso 2 giugno i cittadini votarono per eleggere i deputati dell’Assemblea costituente, i quali avevano il compito di redigere la Costituzione che sarebbe andata a sostituire il vecchio Statuto Albertino. I risultati delle elezioni confermano la Democrazia cristiana con il 35% i socialisti con il 20%, i comunisti con il 19%. Repubblicani e liberali ricevettero voti nettamente inferiori, mentre ebbero notevoli consensi i monarchici e il movimento qualunquista, il partito dell’uomo qualunque, nato come rifiuto alla lotta tra fascisti e antifascisti. Il 22 dicembre 1947 venne approvato dall’Assemblea costituente il testo della nuova Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948. La Costituzione risultò il confronto fra i tre grandi orientamenti ideali:  quello liberaldemocratico, cattolico, socialista e comunista e vide la collaborazione dei più prestigiosi dirigenti dei partiti antifascisti, come Togliatti, De Gasperi, Nenni, Terracini e Parri.
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Le elezioni del 1948

Nelle elezioni politiche dell’aprile 1948 la campagna elettorale raggiunse un clima di “guerra ideologica”. La democrazie cristiana  si presentò come il partito dell’ordine, come difensore della libertà, del cattolicesimo e dei suoi valori contro l’ateismo. Questo partito era appoggiato da potenti alleati, soprattutto:

  •  dagli Stati Uniti, che consideravano la sconfitta delle sinistre durante la guerra fredda necessaria per integrare l’Italia nel blocco politico- militare occidentale e quindi nella Nato;
  • dalla chiesa, che sostenne la campagna elettorale con l’intervento di parroci e di associazioni cattoliche.

La democrazia cristiana ebbe un ampio schieramento di forze sociali   intorno al suo programma: ceti medi urbani, piccola proprietà contadina e tutti coloro che temevano di perdere gli aiuti americani. All’opposizione c’era il fronte democratico popolare con i partiti di sinistra che proponevano:

  • la nazionalizzazione dei monopoli
  • una politica di programmazione economica nei settori importati del paese
  • una notevole riforma agraria.

Per la politica estera dichiarava una neutralità attiva. Questo programma non fece presa sull’elettorato perché si vedevano forti legami ideologici con il modello sovietico.  Per tanto le elezioni del 18 aprile del 1948 si presentarono non solo come alternativa politica tra le due forze, ma anche come scelta di civiltà e di ideali. La DC ottenne uno straordinario successo, ricevendo il 48,5% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, mentre il fronte democratico popolare ottenne solo il 31%.
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Il centrismo

Il nuovo governo di De Gasperi, dal 1948 al 1953, attuò importanti strategie nella politica estera, apportando l’adesione alla NATO nel 1949; in politica interna, invece, pur disponendo della maggioranza assoluta in parlamento, il governo mantenne l’alleanza con i piccoli partiti di centro, ovvero Psdi (di centro, tendente alla sinistra), Pri (partito repubblicano, laico e di centro), e Pli (partito liberale dei borghesi, di destra). Da qui deriva il termine centrismo, che indicava, appunto, i governi dal 1948 al 1964 guidati dalla DC e dai partiti di centro. Inoltra De Gasperi cercò di mediare le diverse correnti del suo partito, ovvero quella clericale, quella conservatrice, quella cattolico liberare, ed infine quella cattolico democratica.   indietro

Il miracolo economico: i suoi progressi e squilibri (spopolamento campagne e migrazioni interne)

La crescita economica fu accompagnata da un benessere sconosciuto alla gran parte della popolazione italiana, che finì con l’interessare anche parte dei ceti popolari. L’aumento del reddito si tradusse nella diffusione di nuovi stili di vita e di consumo e i prodotti che più di tutti caratterizzarono quest’epoca di consumi furono la televisione e le automobili. Cambiò anche il modo di vestirsi e nei consumi alimentari, infatti cominciarono ad assumere un peso maggiore le carni e i latticini. Lo sviluppo migliorò il tenore di vita medio della popolazione italiana, ma non risolse gli squilibri di fondo della nostra economia. In primo luogo i settori industriali che conobbero il maggiore sviluppo furono quelli ad alta intensità di lavoro; questo fatto approfondì la dipendenza tecnologica dell’Italia dagli altri paesi avanzati, principalmente dagli Stati Uniti. In secondo luogo una quota elevata del reddito nazionale fu destinata ai consumi privati delle famiglie, mentre l’alta evasione fiscale limitava le entrate pubbliche e quindi la capacità di intervento dello stato. La conseguenza fu che vennero trascurati i consumi pubblici o sociali.
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La politica di centro sinistra (DC - PSI)

Mentre l’economia e la società italiane si trasformavano tra gli anni ’50 e ’60 maturò un’importante cambiamento politico, infatti dal centrismo si passò alla formula del centro-sinistra fondata sull’alleanza tra Dc e Psi. Le elezione del 1958 indussero la Dc sotto la guida di Fanfani e poi di Moro a cercare un’alleanza con il Psi, indispensabile per acquisire il consenso della classe operaia. L’apertura a sinistra divenne possibile anche in conseguenza dei nuovi orientamenti politico-sociali assunti dalla chiesa in occasione del Concilio Vaticano II. Nella politica italiana, su cui la chiesa esercitava una profonda influenza, questi orientamenti favorirono i contatti dei democristiani con il Psi. L’avvicinamento tra Dc e Psi fu poi agevolato dalla distensione nei rapporti Est/Ovest; l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 approvata da Togliatti fu invece condannata dai socialisti, che iniziarono da allora a seguire una politica autonoma di alleanze verso il centro, basate sulla fedeltà all’alleanza atlantica. Il primo governo di centro-sinistra, presieduto da Fanfani e appoggiato dall’esterno dei socialisti, riuscì a realizzare le uniche vere riforme della stagione del centro-sinistra: la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la riforma della scuola media inferiore.
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Il 1968 e la contestazione studentesca
La contestazione studentesca e una fase di lotte operaie iniziarono nel 1968 e arrivarono al loro culmine nell’”autunno caldo” del 1969, questi furono la conseguenza dell’incapacità del potere politico a riformare e modernizzare la società che stava attraversando un processo di cambiamento. La protesta studentesca era inizialmente indirizzata contro l’autoritarismo nell’impostazione degli studi, le gerarchie accademiche e la selezione meritocratica. Traeva origine dalla situazione delle università, in cui al grande aumento di studenti non era corrisposto nessun ammodernamento delle strutture e dei metodi di insegnamento; inoltre venivano vanificate le possibilità di accesso di nuovi ceti sociali all’istruzione superiore perché nonostante gli studenti iscritti all’università erano raddoppiati, i laureati erano aumentati  in maniera molto scarsa. Come negli altri paesi, il movimento studentesco esprimeva il disagio delle giovani generazioni nei confronti del conformismo sociale e dell’arretratezza delle strutture politiche ed educative, alla quale si contrapponevano la valorizzazione della partecipazione alle scelte, la libertà di espressione individuale e collettiva, un forte egualitarismo. indietro

Gli anni di Piombo: la crisi degli anni 70, il terrorismo nero e rosso, l’assassinio di Moro
Lo shock petrolifero del 1973 colpì l’Italia con violenza mettendo in mostra tutte le debolezze strutturali del sistema economico; a ciò si unì l’accresciuto costo del lavoro che contribuì a erodere i margini di profitto delle imprese italiane, che su questo elemento fondavano la propria competitività internazionale. Il risultato fu un lungo periodo di inflazione a due cifre e per combatterla fu adottata una politica economica restrittiva e da qui la recessione che vide diminuire il prodotto interno lordo; i redditi dei lavoratori furono in parte protetti dagli effetti della crisi grazie alla scala mobile che adeguava automaticamente i salari alla crescita dei prezzi, e la cassa integrazione guadagni. Ma il ricorso alla cassa integrazione finanziata dallo stato  e la crescita della spesa pubblica pensionistica si scaricarono sul bilancio dello stato, provocandone il crescente passivo, anche a causa dell’evasione fiscale. Accanto alla crisi economica, un fattore di disgregazione e di instabilità fu rappresentato dal terrorismo. Vi fu il terrorismo nero di marca fascista, che insanguinò il paese con attentati che colpivano indiscriminatamente la popolazione civile e miravano a spargere il terrore. Gli obiettivi di queste stragi e della strategia della tensione erano quelli di condurre un attacco alle istituzioni democratiche e alle conquiste ottenute dalle forze popolari per favorire un disegno eversivo, autoritario e antidemocratico; più torbido è il rapporto che il terrorismo nero ha avuto nelle sue varie fasi con i servizi segreti italiani e stranieri, i poteri occulti dentro e fuori lo stato e la mafia. Con la metà degli anni ’70 si avviò invece un terrorismo rosso praticato da gruppi di estrema sinistra e con l’obiettivo era quello di innescare un moto rivoluzionario; agivano nella clandestinità effettuando rapimenti, ferimenti e omicidi. Il punto massimo e anche inizio del declino fu l’assassinio, dopo 55 giorni di prigionia del presidente della Dc Aldo Moro a opera delle Brigate Rosse. L’assassinio di Moro sconvolse il paese e provocò una reazione nella coscienza popolare, nelle organizzazioni democristiane e sindacali e nelle istituzioni, infatti grazie a speciali decreti antiterrorismo e di normative che riducevano la pena ai terroristi “pentiti”, gli organi di polizia e la magistratura riuscirono in breve tempo a sgominare le organizzazioni terroristiche.   indietro

La ripresa economica degli anni 80
Nel corso degli anni ’80 l’Italia uscì progressivamente dalla crisi, la ripresa fu possibile grazie a condizioni internazionali e condizioni interne come il decentramento produttivo in cui vi fu il trasferimento delle produzioni a piccole e medie imprese o all’economia derivante dal “lavoro nero”; le ricostruzioni aziendali dovute all’introduzione di lavorazioni sempre più automatizzate; lo sviluppo del settore terziario pubblico e privato e l’indebolimento del sindacato che aveva perso parte della propria base sociale e capacità rappresentativa. indietro

Clientelismo e corruzione
La conflittualità politica crebbe,ma mancò un ricambio della classe dirigente e diveniva sempre più evidente la paralisi del sistema politico. Nella seconda metà degli anni ’80 si rivelò ostruito quel canale di comunicazione tra società e istituzioni che per un lungo periodo i partiti politici avevano garantito, favorendo la crescita dell’economia e consentendo alla giovane democrazia italiana di superare drammatici momenti. Dilagavano le pratiche di clientelismo, la lottizzazione, la corruzione, mentre l’accresciuta influenza delle segreterie dei partiti governativi sui lavori del parlamento e sulle decisioni dell’esecutivo mortificava la funzione delle istituzioni rappresentative, rallentandone e paralizzandone l’iniziativa. indietro

La nascita di nuovi partiti (Lega nord, Forza Italia)

La principale beneficiaria della sconfitta dei partiti di governo fu la Lega Nord di Umberto Bossi, che raccolse la protesta e il malcontento diffusosi nell’Italia settentrionale nei confronti del sistema politico e del governo centrale per via del carico fiscale eccessivo e dell’amministrazione costosa e inefficiente. La Lega introdusse nel dibattito politico il tema del federalismo, ipotizzando la trasformazione istituzionale dell’Italia in tre repubbliche federate, ottenendo un ampio consenso nelle regioni del nord. Molti ritenevano indispensabili riforme istituzionali e del sistema elettorale che consentissero la formazioni di soli due schieramenti in competizione per la guida del paese, con programmi chiari e leader conosciuti in anticipo dagli elettori(bipolarismo). Questa volontà si manifestò con il successo del referendum per l’abolizione delle preferenze plurinominali e per l’introduzione di un sistema elettorale uninominale. Nell’estate del 1993 il parlamento giunse all’approvazione della nuova legge che trasformava il sistema elettorale in senso maggioritario e uninominale. Le nuove regole elettorali volevano favorire la formazione di schieramenti contrapposti e quindi all’alternanza politica che in Italia non c’era mai stata. Tra il 1993 e l’inizio del 1994la crisi delle principali forze politiche giunse al culmine e mentre il Psi di Craxi che era travolto da inchieste per corruzioni si dissolveva, la Dc si divideva in 3 tronconi: il Partito Popolare Italiano, il Centro Cristiano-Democratico e i Cristiani-Democratici uniti. Nascevano nuovi partiti come Alleanza Nazionale guidata da Gianfranco Fini e Forza Italia fondata dall’imprenditore Silvio Berlusconi. Forza Italia che si era rapidamente organizzata usando anche le strutture aziendali delle imprese del suo fondatore, si proponeva di offrire una rappresentanza agli elettori moderati delle vecchie forze politiche entrate in crisi, costituendosi come catalizzatore di un nuovo schieramento di centro-destra, sulla base di un radicale liberismo, in netta contrapposizione nei confronti della sinistra e del Pds. indietro

L’inchiesta mani pulite e la lotta della mafia
A far precipitare la crisi del sistema politico fu la realtà della corruzione. Con l’inchiesta “mani pulite” avviata nel 1992 dalla magistratura milanese, vennero alla luce le reali dimensioni della corruzione che aveva infettato la vita politica. Insieme ai politici le inchieste della magistratura  investirono i vertici delle principali imprese pubbliche e private, poiché erano sospettati di essere coinvolti nel sistema di corruzione e di finanziamento delle forze pubbliche governative in cambio di favori accordati alle loro imprese. Questo scambio illegale non solo violava le leggi. Ma alterava le regole del libero mercato e della concorrenza fra imprese. A queste inchieste si aggiunsero le indagini delle magistrature di Palermo e Napoli contro operazioni mafiose e camorristiche. La mafia aveva scatenato un’offensiva contro lo stato che si aprì nel 1982 con l’omicidio a Palermo del Prefetto, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e proseguito con numerosi fatti di sangue; ma solo dopo l’uccisione nel 1992 dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino le istituzioni dello stato avviarono una reazione nei confronti della criminalità organizzata. Con le informazioni dei pentiti la magistratura e le forze di polizia assestarono un duro colpo alla mafia; l’arresto nel 1993 del Boss di Cosa nostra Totò Riina segnò il punto più alto della guerra dello stato contro la criminalità organizzata, che oggi a distanza di circa 20 anni non è ancora stata vinta. indietro

La riforma  elettorale maggioritaria e la vittoria di Berlusconi nel 1994

Alle elezioni del 27 marzo 1994 si presentarono i tre schieramenti principali, ossia la sinistra che raccoglieva intorno al Pds, oltre a Rifondazione comunista, Verdi, Rete e forze minori risultanti dalla diaspora democristiana e socialista; uno schieramento di centro e uno schieramento di centro-destra, il Polo delle libertà e del buon governo costituito da Berlusconi intorno al movimento di Forza Italia, alleato al Nord con la Lega di Bossi e al sud con Alleanza Nazionale. Dopo una campagna elettorale accesa e confusa, giocata sugli schermi televisivi, le elezioni furono vinte da Berlusconi e dai suoi alleati. Tra le ragioni del successo del centro-destra vi fu la fragilità degli avversari e soprattutto il consenso che Berlusconi seppe coagulare intorno alla propria immagine di imprenditore di successo, incarnando per molti un ideale politico di efficienza, alternativo rispetto alle meditazioni e alle lentezze della politica tradizionale.
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Approfondimenti

Cronologia dell’eccidio di Cefalonia e Corfù

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 a fianco della Germania, Mussolini optò per l’espansione della “Gloriosa Nazione Italica”nella penisola balcanica, la sua idea era quella di conquistare la Grecia soprattutto per assicurarsi il dominio, economico e strategico, del Mediterraneo e affrontare così il nemico britannico ad armi pari.
La spedizione in Grecia però, non andò come previsto, l’esercito greco, più abile e preparato nelle azioni di guerriglia di montagna, ebbe più volte la meglio fino a quando le truppe tedesche non vennero in soccorso dell’esercito italiano, costringendo così alla resa i greci comandati dal generale Papagos. Strategicamente molto importanti erano le isole di Corfù, Zante e Cefalonia perché presidiavano l’accesso a Patrasso e al Golfo di Corinto, qui alcune divisioni dei due eserciti furono stanziate e quella tristemente più famosa divenne la Divisione Acqui, operativa a Cefalonia, e comandata dal generale Antonio Gandin. Inoltre qui furono dislocate delle batterie di artiglieria in funzione antinave, preda bellica tedesca di provenienza francese e belga, ma affidate a personale italiano, infine, i tedeschi dispiegarono un loro presidio composto dal 966° Reggimento Granatieri da fortezza, al comando dell’Oberstleutnant (tenente-colonnello) Hans Barge e dalla 2° batteria del 201° Gruppo Semoventi d’assalto, composta da 8 StuG III da 75 mm, più uno StuHb42 da 105 mm, questi ultimi, nel pieno centro di Argostoli, il capoluogo dell’isola.
In effetti, la Acqui era composta da personale inesperto (317° reggimento) o che non combatteva da due anni, ed i tedeschi, circa 1800 uomini, da criminali comuni ai quali era stato offerto l’arruolamento come alternativa al carcere, inoltre i pezzi di artiglieria italiani, tranne quelli di preda bellica e i 75/27 contraerei, erano quasi tutti risalenti ai primi anni del secolo.
Nei primi mesi del 1943 la convivenza tra italiani e tedeschi nell’isola fu buona, le cose cambiarono l’8 settembre di quello stesso anno quando venne reso noto che il governo italiano con a capo il maresciallo Badoglio, subentrato a Mussolini, firmò l’armistizio con Britannici, Sovietici e Statunitensi. Le prime reazioni da parte della Divisione Acqui furono di grande stupore ma anche di gioia, consapevole del fatto che la guerra stesse per finire; gioia che però si trasmutò in angoscia quando, tra la notte dell’8 e dell’9 settembre un radiogramma del gen. Carlo Vecchiarelli (comandante generale delle truppe in territorio greco) affermava che i rapporti tra tedeschi e italiani dal quel momento cessavano di essere di alleanza e che l’ex-alleato era ora da considerarsi come nemico.

9 settembre: la situazione a questo punto cominciava a farsi drammatica,un secondo radiogramma, sempre di Vecchiarelli che sollecitava l’esercito a cedere le armi ai Tedeschi e a lasciare gli avamposti presidiati, giungeva alle truppe italiane, il gen. Gandin si trovava in una situazione ambigua: com’era possibile lasciare le armi a coloro che erano ora considerati i nemici andando così contro le decisioni del governo? Decise di temporeggiare e per prima cosa ritirò le truppe che presidiavano gli avamposti nel nord dell’isola. Inoltre i MAS presenti sull’isola partirono per Malta in osservanza alle clausole armistiziali.
10 settembre: i tedeschi presentarono l’ultimatum alle truppe italiane, imponendo loro la consegna delle armi nella piazza centrale di Argostoli davanti all’intera popolazione,cosa che significava una totale umiliazione.Inutile dire che la Divisione Acqui, venuta a conoscenza delle condizioni di resa, si rifiutò categoricamente di accettare l’ultimatum.
11 settembre: i tedeschi chiamarono a rapporto il gen. Gandin per esporgli le nuove condizioni e per chiarire quale fosse l’atteggiamento degli Italiani, Gandin si trovava così a decidere tra stare con i tedeschi, stare contro i tedeschi, consegnare le armi. La sera convocò un consiglio tra i soldati della Divisione prima di dare la risposta definitiva ai tedeschi, nel frattempo, i tedeschi disarmavano e prendevano prigioniero il personale delle batterie costiere di Lixuri, nella penisola di Paliki, che controllavano dal nord la baia di Argostoli.
14 settembre: il gen. Gandin invitò tutti i soldati della divisione ad esprimere il loro parere sulle 3 possibilità che l’esercito aveva, la risposta fu unanime e quasi plebiscitaria: “Guerra al Tedesco!” Contemporaneamente giungeva da Roma un radiogramma che invitava a prendere le armi contro i nemici. La divisione aveva ora anche il totale appoggio da parte del governo e alle ore 12 il generale consegnò al comando tedesco la risposta definitiva: cominciò così l’inferno di Cefalonia.
15 settembre: i tedeschi, numericamente inferiori, fecero subito pervenire sull’isola nuovi battaglioni, appartenenti a due divisioni, la GebirgsDivision (divisione da montagna) Edelweiss e la 104a Divisione Jaeger (Cacciatori), coadiuvati dalla presenza dell’aviazione tedesca alla quale gli italiani potevano opporre solo il fuoco di alcune mitragliere contraeree da 20 mm e il tiro contraereo dell’unico gruppo da 75/27 e di pezzi di artiglieria da campagna. La battaglia si protrasse aspra e sanguinosa fino al 22 settembre sotto il fuoco ininterrotto degli Stuka e dei bombardamenti tedeschi che decimarono la divisione.
Purtroppo, la precedente decisione di abbandonare le alture al centro dell’isola assunta da Gandin come segno pacificatore verso i tedeschi si trasformò in un cruciale svantaggio tattico, in quanto da quelle alture, si sarebbero potuti battere i punti di sbarco ostacolando pesantemente i rinforzi tedeschi.
22 settembre: il generale Gandin decise di convocare un nuovo Consiglio di Guerra nel quale si decise di arrendersi ai tedeschi, la tovaglia bianca, sulla quale i comandanti mangiavano tutte le sere, era stata issata sul balcone della casa che era sede del comando tattico in segno di resa. I soldati italiani che in precedenza erano stati catturati e fatti prigionieri, vennero fucilati per ordine dello stesso Hitler in persona, il quale considerava gli italiani come traditori.
I rastrellamenti e le fucilazioni andarono avanti per tutto il giorno seguente causando la morte di 4500 soldati e 155 ufficiali, il bilancio però era destinato a salire. Infatti, tra il 23 e il 28 settembre i tedeschi continuarono nella loro opera di “pulizia” uccidendo più di 5.000 soldati e 129 ufficiali tra i quali anche il gen. Gandin. Compiuto l’orrendo crimine bisognava far scomparire le tracce, ad eccezione di alcune salme lasciate insepolte o gettate in cisterne, la maggior parte furono bruciate, e i resti gettati in mare. Dei 163 superstiti alcuni furono deportati in Germania o in Russia, da dove molti non fecero più ritorno.
Il Ministero della Difesa non ha mai rilasciato, salvo errori, alcuna stima dei caduti, lo storico Rochat, secondo quanto riportato anche nel sito dell’ISRAL riportato tra i collegamenti esterni, stima in 6.500 la cifra complessiva, di cui soltanto 1.300 morti in combattimento, mentre Caruso sommando anche i morti negli affondamenti delle navi arriva ad oltre 9.400. Studi sono stati fatti anche dai tedeschi Christoph Schminck-Gustavus, dal 1974 docente di storia del diritto presso l’università di Brema e da Gerhard Schreiber, in particolare sulle perdite umane avvenute nell’affondamento delle navi cariche di prigionieri.
A ricordo della Divisione Acqui è stato eretto un monumento a Verona, e il 21 settembre di ogni anno viene commemorato l’eccidio alla presenza di autorità civili e militari. Il 1° marzo 2001 il Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi ha visitato Cefalonia pronunciando un discorso sottolineando come “la loro scelta consapevole fu il primo atto della Resistenza, di un’Italia libera dal fascismo”.
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NATO
(North Atlantic Treaty Organization, Organizzazione del patto dell'Atlantico settentrionale). Organismo internazionale politico-militare creato con il Patto atlantico il 4 aprile 1949 a Washington tra dieci paesi europei (Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo) e due paesi americani (Canada e Usa), cui si aggiunsero Grecia e Turchia (1952), Repubblica federale tedesca (1955) e Spagna (1982). Nel 1966 la Francia uscì dall'alleanza. Il testo del patto prevedeva la collaborazione politica, economica e militare per garantire la difesa collettiva in caso di aggressione contro uno dei paesi aderenti. La Nato dispone di una complessa struttura diretta da un Consiglio atlantico e coordinata da un segretario generale. Le forze armate comuni, articolate in settori territoriali di competenza, sono sotto gli ordini di un comandante supremo. Voluta dagli Usa per fronteggiare la minaccia di espansionismo sovietico in Europa, la Nato resse il peso del confronto diretto con le forze del Patto di Varsavia negli anni della guerra fredda, prima sul piano degli armamenti convenzionali e poi, dalla fine degli anni cinquanta, col dispiegamento delle armi nucleari. La fine della contrapposizione dei blocchi, la dissoluzione dell'Urss (1991) e il processo di diminuzione dell'impegno militare statunitense con la presidenza Clinton (1993) posero il problema di una ridefinizione dei compiti dell'alleanza. Nel 1994 la Nato avviò un programma di integrazione con i paesi dell'Europa orientale, che portò nel 1999 Polonia, Repubblica ceca e Ungheria ad aderire formalmente all'organizzazione. Nel 1995 la Nato intervenne in Bosnia-Erzegovina a sostegno del processo di pace, e nel 1999 intervenne militarmente in Kosovo contro la Federazione iugoslava, nell'intento di difendere la minoranza albanese. Quest'ultimo intervento fu motivato dai leader dei paesi membri con l'applicazione di una nuova dottrina internazionale, la dottrina dell'intervento militare a sostegno umanitario.
Bandiera   degli Stati Uniti Stati Uniti 18 febbraio 1952
Bandiera del   Belgio Belgio (fondatori)
Bandiera del Canada Canada
Bandiera della   Danimarca Danimarca
Bandiera della   Francia  La Francia si è ritirata unilateralmente dal Comando Militare Integrato nel 1966. Da allora partecipa solo alla struttura politica: le sue Forze Armate non sono più state reintegrate nell'Alleanza sino all'annuncio ufficiale di rientro del 2009
Bandiera   dell'Islanda Islanda L'Islanda è il solo membro che non ha un proprio esercito e ha aderito alle condizioni di non doverne creare uno. Tuttavia ha una Guardia Costiera e ha recentemente fornito truppe in Norvegia per missioni NATO di mantenimento della pace.
Bandiera   dell'Italia Italia
Bandiera del   Lussemburgo Lussemburgo
Bandiera dei   Paesi Bassi Paesi Bassi
Bandiera della   Norvegia Norvegia
Bandiera del   Portogallo Portogallo
Bandiera del   Regno Unito Regno Unito
Bandiera della   Grecia  La Grecia ha ritirato le proprie forze dal comando militare dal 1974 al 1980 per via delle cattive relazioni greco-turche risultanti dall'invasione turca di Cipro nel 1974.
Bandiera della   Turchia Turchia 9 maggio 1955
Bandiera della   Germania  La Saarland è stata riunita nel 1957, mentre i territori di Berlino Ovest e della Germania Est sono stati riuniti il 3 ottobre 1990. 30 maggio 1982
Bandiera della   Spagna  La Spagna entra però a far parte della struttura militare integrata solamente nel 1998. 12 marzo 1999
Bandiera   della Repubblica Ceca Repubblica Ceca
Bandiera della   Polonia Polonia
Bandiera   dell'Ungheria Ungheria 29 marzo 2004
Bandiera della   Bulgaria Bulgaria
Bandiera   dell'Estonia Estonia
Bandiera della   Lettonia Lettonia
Bandiera della   Lituania Lituania
Bandiera della   Romania Romania
Bandiera della   Slovacchia Slovacchia
Bandiera della   Slovenia Slovenia 4 aprile 2009
Bandiera   dell'Albania Albania
Bandiera della   Croazia Croazia

PATTO DI VARSAVIA
(1955-1989). Alleanza militare tra i paesi socialisti dell'Europa orientale, sottoscritta nel 1955 nella capitale polacca in conseguenza dell'ingresso della Repubblica federale tedesca nella Nato. Un comando con sede a Mosca e guidato da un generale sovietico dirigeva un sistema di difesa militare integrato. Venne sciolto a partire dal 1989, con il ritiro delle truppe sovietiche di stanza nei paesi alleati.

 

CONFERENZA DI BANDUNG,
(18-24 aprile 1955). Organizzata da Birmania, Ceylon, India, Indonesia e Pakistan con la partecipazione di 29 paesi asiatici e africani. Al centro degli incontri nella città indonesiana le questioni politiche della decolonizzazione in Asia e in Africa, ma anche il contenzioso tra Stati uniti e Repubblica popolare cinese, presente ai lavori con una delegazione guidata da Zhou Enlai. I lavori si conclusero con la condanna di tutte le forme di oppressione di tipo coloniale, inclusa quella della supremazia sovietica in Europa orientale. I dieci punti della Dichiarazione finale, sulla pace e la cooperazione tra i popoli, ispirati dall'indiano Nehru, sono alla base del movimento dei paesi non allineati.
Non allineati
Movimento politico internazionale sorto nei primi anni cinquanta del Novecento che aggregava stati che non appartenevano né alla Nato né al Patto di Varsavia. Si delineò per iniziativa di alcuni governanti (soprattutto lo iugoslavo Tito, l'indiano Nehru, l'egiziano Nasser) raccogliendo adesioni fra paesi del Terzo mondo di recente indipendenza. La prima conferenza ufficiale dei non allineati si tenne a Belgrado nel 1961 e vi parteciparono venticinque paesi sulla base di un programma alternativo ai due blocchi allo scopo di permettere lo sviluppo economico e sociale dei paesi aderenti e la democratizzazione delle relazioni internazionali attraverso il disarmo e una politica di non ingerenza nelle scelte degli stati. In seguito si svolsero altre conferenze e il movimento si estese fino a comprendere 75 paesi, ma l'aggregazione non assunse mai un carattere istituzionale. I suoi membri mantennero spesso comportamenti divergenti in campo internazionale e non riuscì a evitare i conflitti che si verificarono tra gli stati membri sulla base dei particolari interessi regionali. Con la scomparsa dei suoi prestigiosi promotori e l'accentuarsi dei conflitti locali degli anni settanta e ottanta, il movimento perse la sua originaria influenza.

IL PIANO MARSHAAL

Durante il secondo dopoguerra l’America era consapevole che era necessaria una ripresa economica europea per intensificare e mantenere i commerci mondiali che erano la base dell’economia statunitense. Il segretario di Stato George Marshall il 5 giugno 1949, dall’Università di Harvard, presentò un piano di aiuti economico-finanziari per l’Europa, che verrà successivamente denominato “piano Marshall”.
L’America mise a disposizione 17 miliardi di dollari, che furono poi diminuiti a 13 miliardi e che vennero erogati in una prima parte di 5,3 miliardi di dollari e poi 12.4 miliardi di dollari per un periodo di 4 anni a 16 Paesi europei sotto forma di titoli gratuiti o crediti a lunghissimo termine (30-40 anni) con tassi di interesse bassissimi (2.5%).
Il piano Marshall fruttava ottimi risultati, gli economisti statunitensi furono inviati in Europa, mentre gli industriali europei frequentavano corsi d’istruzione negli Stati Uniti.
Molti dei fondi destinati al risanamento e alla ricostruzione dell’Europa furono però spesi in campo militare per via della contemporanea guerra fredda con l’URSS, che cercava in tutti i modi di ostacolare l’ottimo lavoro che il piano d’aiuti stava facendo, incitando i partiti comunisti dei paesi occidentali a ribellarsi alla politica economica.
Gli aiuti più alti furono assegnati a Regno Unito, Francia, Germania Ovest, Italia e Paesi Bassi.
Nella primavera del 1951 i termini del programma d’aiuti finirono ed in virtù degli ottimi risultati lo si voleva portare avanti ma ciò non fu possibile per via della vittoria dei repubblicani alle elezioni per il Congresso dell’anno precedente e allo scoppio della guerra di Corea.
COMECON 
Consiglio di mutua assistenza economica, istituito nel 1949 dai paesi socialisti dell'Europa orientale (Urss, Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria), con l'eccezione della Iugoslavia, in contrapposizione al piano Marshall e per coordinare le economie dei paesi comunisti. In seguito ne entrarono a far parte Cuba, Mozambico e Vietnam, mentre l'Albania ne uscì nel 1962. Fu sciolto nel 1990.
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La nuova Europa: il trattato di Maastrich e Schengen

L’Europa fu caratterizzata da due importati trattati: il trattato di Maastricht che diede vita all’Unione Europea, ed il trattato di Schengen che unì l’Europa. 
Il Trattato di Maastricht (noto anche come Trattato sull'Unione Europea, TUE) venne firmato il 7 febbraio 1992, nella cittadina olandese di Maastricht, dai 12 paesi membri Unione Europea ed è entrato in vigore il 1º novembre 1993.
Sin dal 1983 si proponeva la realizzazione di un'unione politica dell'Europa, che s'integrasse con la CEE (comunità economica europea) e che avrebbe avuto come nome quello di Unione europea. Solo la riunificazione della Germania, resa possibile dalla caduta del Muro di Berlino(1989), permise di rilanciare l'idea di Unione europea. Per paura di una ricostruzione di una Germania forte e militarizzata fu accelerata l'integrazione tedesca in un'Europa integrata.
In un Consiglio europeo straordinario a Dublino nel 1990 si rilanciò formalmente l'impegno costruttivo per nascita di un'Unione politica europea. Il secondo Consiglio di Dublino, questa volta ordinario, si decise in quell'occasione a maggioranza di convocare una nuova CIG (Conferenza Intergovernativa). Tra il Luglio e il Dicembre 1990, intanto, la presidenza di turno passava all'Italia. Il secondo Consiglio europeo di Roma si aprì il 14 Dicembre per discutere sui rapporti che i Ministri degli Esteri avevano elaborato in merito all'unione politica. Vennero raggiunte fondamentali decisioni in merito al rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo, alla cittadinanza europea, al principio di sussidiarietà, all'area comune di sicurezza e giustizia.
La CIG sull'unione politica fu da subito contraddistinta da un'alta confusione di proposte:

  • La Commissione europea proponeva che l'Unione si sostituisse alle Comunità esistenti e fosse titolare della politica estera e di sicurezza.
  • Francia e Germania appoggiavano l'ipotesi federalista e premevano per accelerare la difesa comune trasformando l'UEO nel braccio armato dell'Unione, sempre in ambito NATO. Gran Bretagna e Olanda si opponevano all'idea preoccupati di un indebolimento dell'Alleanza atlantica.
  • La Spagna in un memoriale sollecitava il rafforzamento delle politiche economiche di sviluppo proponendo un aumento sostanziale dei fondi strutturali per garantire uno sviluppo effettivo delle regioni meno avanzate. Il governo spagnolo sottolineava quindi la necessità di pensare più all'integrazione economica che a quella politica.

Mentre il Lussemburgo, oramai divenuta la successiva presidenza di turno, proponeva che la futura Unione europea fosse composta di “tre pilastri”:

  • Comunità europea che avrebbe inglobato CECA(comunità europea del carbone e dell’acciaio), CEE(comunità economica europea) e CEEA(comunità europea dell’energia atomica).
  • Politica estera e sicurezza comune con un progetto che sposava più le idee anglo-olandesi che quelle franco-tedesche in materia di difesa.
  • Affari interni e giustizia.

Divenuto il turno di presidenza olandese esso propose un secondo progetto di Trattato. La struttura a tre pilastri veniva sostituita da un totale incorporamento delle nuove politiche nella CEE, mentre veniva esclusa qualsiasi autonomia federalista in campo difensivo in quanto la sicurezza europea sarebbe rimasta parte delle strategie della NATO. Il progetto non ottenne l'appoggio dei principali Paesi europei – tra cui l'Italia – ed ebbe vita breve: il disegno di tre pilastri veniva così fissato.
Conclusi i lavori della CIG, a Maastricht si apriva il 9 dicembre 1991 lo storico Consiglio europeo che avrebbe dato vita al nuovo Trattato.
Nella prima giornata furono sciolti gli ultimi nodi sull'Unione economica e monetaria: entro il 1º gennaio 1999 si sarebbe avviata la terza tappa del calendario, con l'introduzione della moneta unica. Più difficile fu superare l'opposizione britannica a questa soluzione e sulle questioni sociali. Venne sancita così la clausola di opting-out attraverso la quale la Gran Bretagna avrebbe potuto rimanere nella futura Unione europea pur senza accogliere le innovazioni che il suo governo avesse rifiutato. Nasceva così per la prima volta l'idea di un'Europa a due velocità.
Sul piano della PESC (politica estera e di sicurezza comune), veniva accolta la volontà futura di costituire una difesa comune e si stabiliva che sulle decisioni di politica estera generale sarebbe rimasta l'unanimità, salvo adottare la maggioranza per le “decisioni di applicazione”.
Chiusi i negoziati, il 7 febbraio 1992 veniva firmata sempre nella cittadina olandese il Trattato sull'Unione europea che da allora sarebbe stato noto come Trattato di Maastricht. Esso comprendeva 252 articoli nuovi, 17 protocolli e 31 dichiarazioni. L'Unione europea così creata veniva edificata sui tre pilastri del progetto del Lussemburgo, il cui principale sarebbe stato quello noto come “Comunità europea” (CE, in sostituzione della CEE). L'Unione dispone di un quadro istituzionale unico in quanto le sue istituzioni sono comuni a tutti e tre i pilastri; oltre a quelle canoniche, viene ufficialmente riconosciuto il Consiglio europeo come organo di sviluppo politico. L'Unione europea restava tuttavia una struttura anomala in quanto priva di personalità giuridica e di risorse proprie, a parte quelle della CEE di cui tuttavia non avrebbe potuto disporre.
Dopo la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME), entro il 1º gennaio 1999 sarebbe nata da esso la Banca centrale europea (BCE) e il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) che avrebbe coordinato la politica monetaria unica. Venivano distinte due ulteriori tappe: nella prima le moneta nazionali sarebbero continuate a circolare pur se legate irrevocabilmente a tassi fissi con il futuro Euro; nella seconda le monete nazionali sarebbero state sostituite dalla moneta unica. Per passare alla fase finale ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare cinque parametri di convergenza:

  • Rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%.
  • Rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.
  • Tasso d'inflazione non superiore dell'1,5% rispetto a quello dei tre Paesi più virtuosi.
  • Tasso d'interesse a lungo termine non superiore al 2% del tasso medio degli stessi tre Paesi.
  • Permanenza negli ultimi 2 anni nello SME senza fluttuazioni della moneta nazionale.

Nel campo della politica estera venne stabilito un legame organico tra UEO e Unione europea nell'ambito della sicurezza comune e della difesa. In campo giudiziario e di affari interni venivano realizzate importanti innovazioni:

  • Nuove procedura riguardo l'accesso di cittadini di Stati terzi nell'Unione e maggiore cooperazione doganale verso l'esterno.
  • Creazione dell'Europol (Ufficio europeo di polizia).
  • Rafforzamento della lotta contro terrorismo, traffico di droga, grande criminalità.

L'innovazione più importante di Maastricht era l'introduzione della Cittadinanza dell'Unione europea: è cittadino dell'Unione chiunque possieda la cittadinanza di uno Stato membro. Veniva rafforzato il diritto di stabilimento, circolazione e soggiorno nel territorio dell'Unione e riconosciute diverse novità:

  • Diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni municipali del comune di residenza e a quelle del Parlamento europeo dello Stato di residenza.
  • Diritto alla protezione consolare attraverso cui un cittadino europeo può chiedere assistenza all'estero alle autorità diplomatiche di un qualsiasi Paese dell'UE in assenza di istituzioni di rappresentanza del proprio.
  • Diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo su temi di competenza comunitari che coinvolgano direttamente gli interessi del cittadino.
  • Istituzione di un mediatore comunitario incaricato di tutelare persone fisiche e giuridiche in caso di cattiva amministrazione delle istituzioni comunitarie.

Con gli accordi di Schengen si fa riferimento a un trattato che coinvolge sia alcuni Stati membri dell'Unione europea sia stati al di fuori come Islanda, Norvegia e svizzera, per un totale di 28 stati europei aderenti agli accordi di Schengen. La zona di attuazione del trattato viene definita “area Schengen”. Il Regno Unito e l’Irlanda non fanno parte dell’”area Schengen”, mentre paesi come Cipro, Romania e Bulgaria non hanno ancora attuato del tutto gli accordi tecnici necessari per aderire all’”area Schengen”, pertanto, mantengono ancora i controlli alla frontiera. Gli obbiettivi primi di questo accordo sono:

  • Abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen
  • Rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen
  • Collaborazione delle forze di polizia e possibilità di queste di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi)
  • Coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale (per esempio mafia, traffico d'armi, droga, immigrazione clandestina)
  • Integrazione delle banche dati delle forze di polizia (il Sistema di informazione Schengen, detto anche SIS)

Gli accordi vennero firmati il 14 giugno 1985 a Schengen, cittadina del Lussemburgo, inizialmente da solo cinque Stati membri della allora CEE (comunità economica europea), Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi. Dopo il primo accordo tra i cinque paesi fondatori venne elaborata una convenzione firmata il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1995. Successivamente vi aderirono altri stati dell'Unione europea: l'Italia, il Portogallo, la Spagna, la Grecia, l'Austria. Nel 1996 i contenuti degli accordi vengono applicati anche a due Stati come Norvegia e Islanda non facenti parte dell'Unione europea, in quanto appartenenti all'Unione nordica che prevedeva norme simili per i paesi scandinavi. Nel 2008, anche la Svizzera, stato non appartenente all'Unione europea, entra a far parte dell'area Schengen. Attualmente i paesi divenuti membri dell’UE dal 2004 al 2007 sono obbligati ad entrare nello “spazio Schengen”. Ma per due di essi l'accordo non è ancora entrato in vigore, mentre per altri stanno ancora adottando tutte le infrastrutture necessarie.
Il Regno Unito e la Repubblica d'Irlanda non hanno aderito al Trattato di Schengen per svariati motivi:

  • hanno leggi di immigrazione (in particolare il Regno Unito) differenti e molto più permissive rispetto al resto d'Europa;
  • gli organismi di controllo passaporti non sono forze di polizia (sono personale civile con poteri limitati), le frontiere esterne Schengen devono essere gestite da polizia o polizia militare;
  • i due paesi applicano già il Common Travel Area che rimuove le frontiere tra di loro. Se uno di loro volesse entrare nel Trattato di Schengen dovrebbero mettersi d'accordo;
  • la sovranità sulle isole normanne e l'isola di Man (non fanno parte del Regno Unito, ma sono una dipendenza della Corona britannica. Il libero mercato è solo con il Regno Unito);
  • entrambi i Parlamenti hanno avuto una certa ostilità sul funzionamento di Schengen.

I 4 microstati Andorra (Francia/Spagna), San Marino(Italia), Principato di Monaco(Francia) e il Vaticano(Italia) non hanno firmato il trattato, ma aderiscono indirettamente all'accordo in quanto non hanno barriere doganali con Francia. Però il Vaticano ha espresso il desiderio di firmare il trattato ed entrare così nell'accordo ufficialmente.
La cooperazione intergovernativa era gestita da un Comitato Esecutivo, dotato di Segretariato. Dal 1999 gli Stati che divengono membri dell'Unione europea sono vincolati a recepire nella totalità l'acquis di Schengen, sebbene le sue disposizioni vengano applicate gradatamente.
In Italia l'organo preposto al controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen è il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.
Uno stato membro di Schengen può sospendere l'uso del trattatto per un limitato periodo, ma deve seguire una certa procedura; solitamente si ricorre quando uno stato vuole rafforzare le misure di sicurezza nel caso esso ospiti importanti eventi.
Le critiche maggiori al funzionamento di Schengen sono le seguenti:

  • ogni paese facente parte del trattato ha i propri permessi di soggiorno che in teoria non permetterebbero l'espatrio, salvo quanto previsto dal trattato stesso che assicura la validità del permesso di soggiorno per la libera circolazione all'interno dello spazio di Schengen. Questo purché si effettui una dichiarazione di presenza nello stato in cui l'individuo si trasferisce entro 60 giorni dall'arrivo e per un soggiorno massimo di 90 giorni totali. A causa della mancanza di frontiere vi sono dubbi che questa regola sia effettivamente applicabile;
  • se una persona di cittadinanza extraeuropea, non appartenente agli stati membri, vuole entrare in un paese UE dell'area Schengen passando per un altro paese membro UE, saranno le autorità del secondo paese a operare le procedure di controllo e di verifica dei passaporti, applicando le regole previste dal trattato e le proprie leggi che, in alcuni casi, possono differire rispetto a quelle del paese di destinazione. 

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Fonte: http://www.mlbianchi.altervista.org/risposte.doc

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