Sessantotto

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Sessantotto

IL SESSANTOTTO
Nel corso degli anni Sessanta la crescita economica mondiale raggiunse il suo apice, permettendo la formazione di nuovi soggetti sociali di massa che in precedenza avevano scarsa incisione a livello sociale, ovvero studenti e donne. Tuttavia il conseguimento di un grande benessere economico nei paesi più industrializzati non fu sufficiente a gratificare le nuove aspirazioni giovanili ed intellettuali che iniziarono a manifestarsi, soprattutto tramite la musica cosiddetta “leggera”, già durante gli anni ‘50. Si parla, però, di “rivolta del Sessantotto” perché fu il 1968 l’anno in cui la contestazione raggiunse il suo punto massimo. I protagonisti furono dapprima gli studenti universitari della classe media, poi anche i giovani lavoratori.
Le cause della rivolta giovanile furono molteplici a partire dalla scolarizzazione di massa, perché fece incontrare e discutere centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze di molteplici estrazioni sociali nelle scuole e nelle università. Questi studenti, che non avevano conosciuto i drammi dei decenni precedenti (la guerra, la disoccupazione), non si dimostravano soddisfatti del semplice benessere materiale, ma denunciavano che la crescita economica non aveva eliminato le ingiustizie, il razzismo, l’oppressione neocoloniale e le guerre.
Proprio la scuola superiore, rimasta nelle sue metodologie elitaria e selettiva come quando poteva essere frequentata solo da studenti benestanti, non rispettava la promessa di migliorare le condizioni culturali di tutti, e continuava a fare discriminazioni tra studenti dei ceti più abbienti e quelli figli dei lavoratori, delle minoranze di colore, ecc.
Le ingiustizie sociali dei tempi furono denunciate anche dalla Chiesa cattolica tramite papa Paolo VI, il successore di Giovanni XXIII, che, all’interno dell’enciclica Populorum progressio (Il progresso del popoli), individuò, tra le cause del sottosviluppo e del disagio sociale, il neocolonialismo e l’atteggiamento egoistico dei Paesi capitalistici che consideravano il “profitto come motivo essenziale del progresso economico”.
I movimenti giovanili di contestazione, pur diversi da Stato a Stato, ebbero anche numerose somiglianze. In primo luogo, lottavano per ottenere maggiori libertà individuali e collettive e contestavano l’autorità ovunque limitasse la libera e responsabile scelta delle persone: nelle scuole il potere dei professori, nelle famiglie l’autorità dei genitori, nella società il potere dello Stato e della burocrazia, ma anche delle grandi aziende, della pubblicità, della TV, accusate di condizionare i bisogni e i gusti delle persone.
In secondo luogo, i movimenti giovanili chiedevano maggiore democrazia e la possibilità per tutti di partecipare alle decisioni che riguardavano la vita dello Stato, della città, del quartiere, della scuola. All’interno di questi movimenti, per esempio, l’assemblea era il luogo dove prendere le decisioni.
In terzo luogo lottavano contro le ingiustizie sociali, le discriminazioni razziali e l’esclusione dei poveri dalla scuola, lo sfruttamento economico dei Paesi del Terzo Mondo da parte di quelli industrializzati.
La contestazione giovanile scoppiò nel cuore del sistema economico capitalista, gli USA, e in particolare nelle università. Il centro iniziale della lotta studentesca fu l’università di Berkeley, in California, occupata già nel 1964: gli studenti chiedevano di cambiare i metodi e i contenuti dell’insegnamento, protestavano contro l’esclusione degli studenti più poveri dagli studi, e contro l’intervento americano in Vietnam, divenuto sempre più cospicuo tanto che nel ’67 erano circa 500.000 i soldati americani coinvolti nel conflitto.
La protesta si estese nel corso degli anni successivi a tutte le altre università statunitensi. Essa s’intrecciò con la lotta che la popolazione nera stava conducendo sin dalla fine degli anni Cinquanta contro la discriminazione razziale, e che aveva tra i suoi esponenti più carismatici Martin Luther King.
In Italia la contestazione studentesca si rivolse dapprima contro l'autoritarismo dell'istituzione universitaria, la natura elitaria e anacronistica del sapere che vi era impartito o, viceversa, la sua sottomissione agli interessi delle grandi imprese private. Il movimento si annunciò con l'occupazione della facoltà di architettura di Milano e della sede delle facoltà umanistiche dell'università di Torino alla fine del 1967. Si estese quindi a macchia d'olio con occupazioni e manifestazioni varie, e sistematici scontri, anche cruenti, con la polizia.
Presto il movimento di protesta studentesco si congiunse con il movimento operaio internazionale a sostegno delle contestazioni che stava portando avanti per migliorare la vita delle classi più deboli e a sostegno dell’esigenza di diritti sociali più garantiti e egualitari, fatto che diede al movimento studentesco una netta connotazione ideologica di sinistra. Inoltre la ribellione si rivolse contro la società capitalistica che, si sosteneva sulla base dei concetti filosofici elaborati dalla Scuola di Francoforte e di Marcuse in particolare, riduceva l’uomo alla pura dimensione economica.
Questa unione parve trovare compimento nel periodo di forti agitazioni sindacali del cosiddetto "autunno caldo" nel 1969, ma fu stroncata dall'attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano, in piazza Fontana, nel quale il 12 dicembre perirono 17 persone e ne caddero ferite 88: l'evento segnò l'inizio della cosiddetta "strategia della tensione", caratterizzata da azioni terroristiche di matrice nera e fomentata verosimilmente da settori deviati dei servizi segreti.
In seguito il movimento si frantumò in una moltitudine di piccoli gruppi extraparlamentari, riconducibili a tre correnti principali: quella marxista-leninista, stalinista o maoista (Partito comunista d'Italia; Unione dei comunisti; Movimento studentesco, poi Movimento lavoratori per il socialismo); quella trotzkista (Avanguardia operaia) e quella operaista - spontaneista, più attenta alle esperienze di lotta nel mondo sviluppato (Lotta continua; Potere operaio). Conseguenza del ’68 fu anche la nascita delle Brigate Rosse nel 1970, gruppo di estrema sinistra votato alla clandestinità, alla lotta armata e alla rivoluzione cruenta in nome della rivoluzione del proletariato e degli ideali marxisti-leninisti.
La protesta giovanile fu molto forte anche in Europa occidentale: Berlino, Parigi, Amsterdam, perfino la Spagna, ancora dominata dalla dittatura franchista, furono sedi di estese agitazioni studentesche. Anche qui la protesta fu contro il sistema scolastico e contro l’intervento statunitense in Vietnam, ma poi finì per riguardare molti altri aspetti della società capitalista: il consumismo, lo sfruttamento del lavoro, la divisione dei ruoli familiari, la povertà sociale.
Tra i giovani si formarono molte organizzazioni rivoluzionarie, che s’ispiravano alle idee del comunismo internazionale e che si posero l’obiettivo di cambiare la società in maniera sovversiva. Il punto di massima mobilitazione del Sessantotto fu il “Maggio francese”: le università furono occupate dagli studenti, molte fabbriche dagli operai, e a sostegno di queste lotte si mobilitarono intellettuali e artisti. La protesta durò poco, ma fu tanto grande da scuotere il sistema politico francese.
Movimenti di protesta giovanili ci furono anche nel mondo socialista: in Jugoslavia, in Polonia, in Cecoslovacchia. Qui la protesta giovanile confluì nella “Primavera di Praga”, la breve esperienza di democrazia tentata dai comunisti cecoslovacchi guidati da Dubcek, poi schiacciata dai carri armati sovietici e del Patto di Varsavia.
Il “Sessantotto” in Cina coincise con la “rivoluzione culturale”, un movimento soprattutto giovanile iniziato qualche anno prima, che protestava contro i privilegi di funzionari statali e intellettuali, e chiedeva di organizzare la società cinese su basi rigorosamente ugualitarie (le comuni).
Il movimento fu appoggiato dallo stesso Mao per cacciare i vecchi dirigenti: le Guardie Rosse, gruppi di studenti armati, occuparono le università e imposero la cacciata di docenti, intellettuali, esponenti di partito accusati di volere ripristinare il capitalismo.
La protesta giovanile si esaurì quando lo stesso Mao intervenne a fermare le violenze con cui una parte delle Guardie Rosse voleva imporre le sue idee.
Agli inizi degli anni Settanta, la ribellione giovanile si concluse ovunque tranne che in Italia, dove le agitazioni sociali portate avanti da studenti ed operai durarono per tutto il decennio successivo.
Gran parte degli obiettivi del ’68 non furono raggiunti: la società capitalistica non fu abbattuta, né scomparvero le guerre e la povertà, né la fantasia andò al potere, come uno dei suoi slogan più famosi recitava. Tuttavia, l’importanza della rivolta studentesca fu grande: essa diffuse nella società gli ideali del pacifismo, dell’uguaglianza, dell’antirazzismo, e una maggiore consapevolezza dei diritti delle persone. Inoltre cambiò il rapporto tra giovani e adulti che, nella famiglia e nella scuola, divenne più aperto al dialogo e meno succube dell’autoritarismo dei più anziani. Fu poi fondamentale per modificare radicalmente i costumi sessuali giovanili.


Negli anni ’50 e ’60 crebbe enormemente il numero delle donne universitarie che ebbero così la possibilità di raggiungere totale indipendenza e autonomia decisionale. Inoltre negli anni ’60 venne commercializzata sempre più la pillola concezionale che permise alle donne di separare sessualità e procreazione. Negli anni ’70 si svilupparono in molte parti del mondo movimenti femministi che lottarono, spesso con successo, per la parità dei diritti, la depenalizzazione dell’aborto e altri diritti ancora.  

  Con neocolonialismo s’intende la politica di sfruttamento economico adottata dalle potenze coloniali, ma anche dalle altre potenze mondiali, nei confronti delle  antiche colonie ormai indipendenti o di paesi sottosviluppati incapaci di gestirsi autonomamente per carenza di personale direttivo adeguato, di infrastrutture, di un sistema politico autosufficiente.

  Nel dicembre del 1955, in una cittadina dell’Alabama, una donna nera sedette sull’autobus in un posto riservato ai bianchi e fu per questo arrestata. L’episodio diede il via alla lotta dei neri per i diritti civili: la popolazione di colore danneggiò i mezzi pubblici e organizzò manifestazioni di protesta. Dopo un anno, la Corte Suprema (organismo che controlla la validità delle leggi negli USA) dichiarò incostituzionale e non ammissibile l’isolamento razziale sui mezzi di trasporto in Alabama. Fu la prima vittoria dei neri d’America. A guidare la lotta era stato un pastore della chiesa battista locale, Martin Luther King, che presto divenne famoso in tutto il mondo per il suo impegno civile e per la sua totale fiducia nel metodo gandhiano della non violenza. King riscosse l’ammirazione soprattutto dei giovani e nel 1964 ricevette il premio Nobel per la pace. La sua opera si interruppe nel 1968, quando fu ucciso in circostanze ancora oggi non chiarite. Alla fine, gran parte delle leggi segregazioniste in materia di istruzione, trasporti, diritto di voto, furono abolite, e anzi i governi degli USA, prima con John Kennedy e poi con Lyndon Johnson, garantirono i diritti civili dei neri.

 

Fonte: http://imparoqualcosa.altervista.org/IL_SESSANTOTTO.doc

Sito web da visitare: http://imparoqualcosa.altervista.org

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