Economia e Politica Economica in età Fascista

Economia e Politica Economica in età Fascista

 

 

 

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Economia e Politica Economica in età Fascista

3 -  IL FASCISMO

La marcia su Roma
Avuto il controllo della piazza e sbaragliato il movimento operaio, il fascismo si pone il problema della conquista dello Stato. Mussolini giocò su due tavoli:

  • Fa trattative con i più autorevoli esponenti liberali per una partecipazione fascista al governo; rassicura la monarchia sconfessando simpatie repubblicane; si guadagna il favore degli industriali promettendo spazio all’iniziativa privata
  • Lascia che l’apparato militare fascista si preparasse alla presa del potere con un colpo di Stato.

Prende vita così il progetto della Marcia su Roma: mobilitazione generale di tutte le forze fasciste con l’obiettivo della conquista del potere centrale. Inizia il 27 ottobre.

  • La marcia non avrebbe avuto possibilità di successo se avesse incontrato la ferma opposizione delle autorità
  • Le squadre fasciste non erano in grado di affrontare uno scontro con l’esercito regolare
  • Lo stesso Mussolini considerava la marcia una forma di pressione

La Marcia su Roma colpisce lo Stato nel pieno disfacimento dei suoi poteri:

  • Facta si dimette il 28 ottobre;
  • il Re il 28 ottobre rifiuta di firmare lo stato d’assedio e il passaggio dei poteri alle autorità militari. Il rifiuto del re è la vittoria delle camicie nere.
  • Mussolini non si accontenta più di far parte del governo: lo vuole presiedere.
  • 30 ottobre senza incontrare resistenza è ricevuto dal Re. La sera stessa è già pronto il Gabinetto cui partecipano, oltre ai fascisti, anche liberali giolittiani, liberali di destra, democratici e popolari.

La crisi è risolta in modo ambiguo. Era una rivoluzione o no?

  • I moderati si rallegravano che la legalità costituzionale era stata rispettata;
  •  i rivoluzionari (massimalisti e comunisti) erano soddisfatti perchè nulla era cambiato, cioè perchè il governo borghese era sempre espressione della dittatura di quella classe e pensavano così di organizzarsi per fare la rivoluzione.
  • Il Paese seguì con misto di rassegnazione e speranza con il desiderio di fare l’esperimento.

Il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale.

 

Verso lo Stato autoritario
Assunta la guida del governo, Mussolini cerca subito di alternare una linea morbida (promesse di normalizzazione moderata) ed una linea più dura (minacce di una seconda ondata rivoluzionaria).
Usa il tono ricattatorio al momento della fiducia (fa riferimento all’ “aula sorda e grigia”)

Due provvedimenti evidenziano l’incompatibilità con i principi dello Stato liberale:
- Dicembre ’22 viene istituito il Gran Consiglio del Fascismo con il compito di indicare le linee della politica fascista e di servire da raccordo tra partito e governo.
- Viene anche istituita la Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale (gennaio ’23), corpo armato di partito per proteggere gli sviluppi della rivoluzione: dà uno sbocco agli squadristi.
Infatti non cessano le violenze illegali contro gli oppositori anzi si sommano con la repressione legale condotta dalla Magistratura, dagli organi di polizia (sequestro di giornali, scioglimento di amministrazioni comunali, arresti preventivi di militanti). Le vittime sono soprattutto comunisti, i sindacati non fascisti perdono progressivamente consistenza, i salari si riducono, gli scioperi sono sospesi.

La politica liberista veicolata dal Ministro delle Finanze De Stefani si basa su:

  • Compressione salariale
  • Libertà d’azione e margini di profitto all’industria privata
  • Alleggerimento delle tasse alle imprese
  • Abolito il monopolio delle assicurazioni sulla vita
  • Privatizzazione del servizio telefonico
  • Contenimento della spesa pubblica con licenziamenti nel pubblico impiego (20.000)

Grazie a questa dura politica finanziaria il bilancio torna in pareggio e aumenta temporaneamente la produzione.

Un altro sostegno a Mussolini proviene dalla Chiesa:

  • Pio XI eletto nel febbraio 1922,
  • Vi sono tendenze conservatrici, contente che si sia allontanato il pericolo socialista e che si sia restaurato il principio di autorità.
  • Mussolini abbandona per ora l’anticlericalismo del primo periodo ed appoggia:

- La riforma scolastica che è varata nel ’23 dall’allora ministro dell’istruzione, il filosofo Giovanni Gentile:  prevede esami di stato al termine di ogni ciclo di studi, insegnamento della religione alle elementari.

  • La prima vittima dell’avvicinamento tra Chiesa e Fascisti è il PPI: Don Sturzo è costretto a dimettersi dopo il Congresso di Torino (1923), poi nel 1924 va in esilio.

Mussolini ha il problema di rafforzare la propria maggioranza parlamentare facendo crescere il fascismo.

  • L’ottiene con la nuova legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo, luglio 1923) che dava i 2/3 dei seggi alla lista maggioritaria (con almeno il 25% dei voti), il resto era suddiviso con il metodo proporzionale tra le altre liste.
  • Alle elezioni del aprile 1924 alcuni liberali come Salandra e Orlando si presentano assieme ai fascisti nelle liste nazionali (come nel blocco nazionale del ’21 ma a parti invertite, questa volta dominano i fascisti).
  • Le altre liste sono divise, si presentano ognuna per proprio conto e si condannano a una sconfitta sicura.
  • Infatti alle elezioni del 1924 le liste nazionali ottengono più del 65% dei voti e ¾ dei seggi con la seconda lista.
  • Nel Mezzogiorno, dove il fascismo non aveva radici solide, con l’adesione dei nobili a Mussolini, il voto è praticamente unanime.

Il Fascismo diventa nel giro di tre anni la più importante forza politica italiana.
La rapida ascesa è frutto della rottura degli equilibri tradizionali che la guerra aveva prodotto:

  • Delusione per la vittoria mutilata
  • Velleitarismo della minaccia della rivoluzione socialista
  • Emergenza di nuovi ceti e nuove aspirazioni piccolo borghesi
  • Il pragmatismo, l’opportunismo e l’assenza di etica politica in Mussolini

Delitto Matteotti e l’Aventino

  • Le elezioni dell’aprile ’24 rafforzano Mussolini e indeboliscono le opposizioni che fanno fatica a inserirsi.
  • Alla fine di maggio Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, alla Camera aveva fatto una dura requisitoria contro il fascismo denunciandone la violenza e contestando la validità dei risultati elettorali. Il 10 giugno Matteotti è rapito a Roma dagli squadristi, il cadavere verrà ritrovato 2 mesi dopo.
  • La scomparsa è collegata al clima di violenza, all’impunità degli squadristi: infatti non vi furono dubbi sulla responsabilità delle squadre fasciste.
  • Il regime che sembrava inattaccabile viene attaccato e si trova isolato. L’opinione pubblica reclama giustizia: è un momento di grave smarrimento. Ma l’opposizione, indebolita dalle elezioni, non aveva la forza di mettere in minoranza il governo né era in grado di organizzare la mobilitazione del popolo.
  • Bastò dunque qualche spostamento a livello ministeriale (il nazionalista Federzoni al Ministero dell’Interno) per superare la crisi e normalizzare il clima. Addirittura arrivarono al Duce incoraggiamenti ad essere duro con le opposizioni divise e deboli.
  • I comunisti propongono uno sciopero generale, ma la proposta è respinta.
  • L’atto di denuncia più clamoroso è la secessione dell’Aventino: alcuni gruppi parlamentari abbandonano il Parlamento finché non si fosse ristabilita la legalità democratica. Inizialmente c’è qualche risultato per la drammaticità e la novità del gesto ma poi si dimostrò sterile, senza efficacia pratica. Il dibattere solo la questione morale non influiva il processo degli eventi.
  • L’assenza dei parlamentari dal Parlamento indebolì l’opposizione.
  • Oltretutto il Re non si sentì in dovere di intervenire.
  • Nel giro di pochi mesi l’ondata antifascista si spense

 Mussolini, premuto dall’ala più intransigente del partito, contrattacca:

  • il 3 gennaio 1925 dichiara chiusa la “questione morale” assumendosi la responsabilità storica politica e morale di quanto avvenuto.
  • Segue un’ondata di arresti, perquisizioni, sequestri sia a danno dei partiti di opposizione che degli organi di stampa schierati.
  • Ad un manifesto degli intellettuali fascisti (G.Gentile) si risponde con un contro-manifesto redatto da Benedetto Croce.
  • Si ingrossa l’emigrazione politica degli antifascisti: Amendola, Gobetti, Ferrari, Sturzo, Donati.
  • La stampa, anche quella indipendente, che aveva preso posizione in occasione del delitto Matteotti, è costretta ad allinearsi per le pressioni sugli editori.
  • Nell’ottobre 1925 con il Patto di Palazzo Vidoni il sindacalismo libero ricevette un colpo mortale: la Confindustria si impegna a riconoscere e a stipulare contratti solo con i sindacati fascisti. Vengono abolite le Commissioni Interne.

Il Fascismo si avvia ad attuare la dittatura non solo di fatto, ma anche stravolgendo i connotati giuridici dello Stato liberale.

  • viene varata una nuova legislazione che ha il suo maggior artefice in Alfredo Rocco. L’occasione di una serie di attentati falliti al Duce fa accelerare i tempi.
  • Vengono emanate leggi fascistissime in cui l’opposizione è messa al bando, sono sciolti i partiti, è instaurata la dittatura poliziesca. Di fatto si attua una riforma costituzionale, che adegua l’ordinamento giuridico alle aspirazioni autoritarie del fascismo ed alle esigenze autocratiche di Mussolini.
  • Legge 24.12.1925 n.2263 sulle attribuzioni e prerogative del capo del Governo. Il Presidente del Consiglio non è più primus inter pares ma diventa superiore gerarchico rispetto agli altri ministri, nominati e revocati dal Re su sua proposta e responsabili verso il Re e il Primo Ministro. Il numero e le attribuzioni dei Ministeri sono stabiliti con R.D. su proposta del Presidente del Consiglio; solo il Re può revocare il Primo Ministro e sono abolite le mozioni di sfiducia; subordina il potere legislativo a quello esecutivo attribuendo al Primo Ministro la determinazione dell’odg delle Camere.
  • Legge 31.1.1926 n.100 sulla facoltà del Governo di emanare norme giuridiche. La legge era finalizzata a normalizzare la prassi dei decreti-legge adottati dai Ministeri precedenti in deroga dello Statuto, ma finiva per attribuire vastissime facoltà legislative all’esecutivo. Infatti estendeva al massimo la facoltà di emanare, per semplice decreto reale, le norme giuridiche necessarie per disciplinare l’organizzazione e il funzionamento dell’Amministrazione statale, del personale ecc.

Inoltre si estendeva la possibilità del governo di usare il Decreto Legislativo su semplice delega o di ricorrere al decreto legge per necessità con conversione legge entro 2 anni. Di fatto il controllo parlamentare non aveva più significato. Tanto più che l’assenza degli aventiniani facilitava l’opera legislativa dell’esecutivo e del fascismo. I parlamentari dell’Aventino  vennero dichiarati decaduti con un provvedimento illegittimo sul piano costituzionale (che colpiva anche i deputati comunisti che non avevano partecipato all’Aventino).

  • Legge sindacale n.563 dell’aprile 1926: ammette solo i sindacati “legalmente riconosciuti” che erano quelli fascisti. Vieta lo sciopero e la serrata. Prevede la Magistratura del lavoro per i conflitti.
  • Poi nel novembre 1926 sono sciolti i partiti antifascisti ed i sindacati socialisti e cattolici; fu reintrodotta la pena di morte per i colpevoli di “reati contro la sicurezza dello Stato”: questi reati saranno giudicati da un Tribunale Speciale composto non da giudici ordinari, ma da ufficiali delle FF.AA. e della Milizia.
  • Legge per la fascistizzazione della Camera (Legge 17.5.1928 n.1019). E’ la nuova legge elettorale che sostituiva la legge Acerbo del 1923. Si affidava la proposta della candidatura, per 1000 nomi, ai sindacati, al partito e alle altre associazioni espresse dal partito o alle organizzazioni collaterali. Poi il Gran Consiglio, senza alcun vincolo, ne sceglieva 400: questi sarebbero stati sottoposti al plebiscito (si o no).
  • Il Gran Consiglio (Legge 2693 del 9.12.1928) da organo di partito diventa organo di Stato: costituzionalizzazione del Gran Consiglio, dipendente direttamente dal Capo del Governo che ne sceglieva i componenti, ad eccezione di taluni membri di diritto.

E’ la fine dello Stato Liberale.

Il regime fascista fino all’entrata in guerra

Stato totalitario quello fascista, ma fu un totalitarismo imperfetto: doveva venire a patti con la Chiesa; al di sopra di Mussolini c’era il re.

  • Caratteristica del regime è la sovrapposizione di 2 strutture e 2 gerarchie parallele: quella dello Stato monarchico e quella del Partito fascista.
  • Punto di congiunzione è il Gran Consiglio del fascismo, organo che ha anche importanti funzioni costituzionali.
  • Al di sopra di tutto: Mussolini, Capo del Governo e Duce del Fascismo.

 

Il partito va dilatando sempre più le sue funzioni:

  • l’iscrizione diviene una pratica di massa, necessaria per ottenere un posto nell’amministrazione statale.
  • Il partito si dota di organizzazioni collaterali per la fascistizzazione: l’Opera nazionale dopolavoro (1925) che si occupa del tempo libero dei lavoratori organizzando per loro gite, gare sportive ecc.; nasce il Coni (1927) per incoraggiare e controllare le attività sportive.
  • Nascono le organizzazioni giovanili del partito: fasci giovanili; Guf (giovani universitari fascisti); Onb (1926, opera nazionale Balilla) per i giovani dai 12 ai 18 anni; Figli della Lupa per i giovani al di sotto dei 12 anni.
  • Il Fascismo dunque nel suo disegno totalitario cerca di riplasmare la società dalle sue fondamenta, con propri riti.

Resta aperto il problema con la Chiesa, per il peso che essa ricopre nella società. Mussolini voleva risolvere lo storico contrasto tra Stato e Chiesa e per questo avvia delle trattative con il Vaticano nell’estate del 1926.

  • Le trattative si concludono l’11 febbraio 1929 con la stipula dei Patti Lateranensi (che presero il nome dai Palazzi del Laterano dove le Mussolini incontrò il cardinal Gasparri per la firma). I Patti si articolavano in 3 parti:
  • Un trattato internazionale con cui la Santa Sede poneva fine alla “questione romana” con il riconoscimento ufficiale dello Stato Italiano e di Roma sua capitale; dal canto suo lo Stato italiano riconosceva la sovranità dello Stato  della Città del Vaticano
  • Una convenzione finanziaria in cui l’Italia si impegnava a pagare un’indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontificio;
  • Un concordato che regolava i rapporti interni fra Chiesa e il Regno d’Italia (in cui tra l’altro sono esonerati i sacerdoti dal servizio militare; stabiliva che i preti “spretati” fossero esclusi dai pubblici uffici; che il matrimonio religioso avesse effetti civili; che l’insegnamento della religione cattolica fosse “fondamento e coronamento” dell’istruzione pubblica; che le organizzazioni dipendenti dall’Azione Cattolica potessero continuare a svolgere le loro attività, purché sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica e al di fuori di ogni partito).
  • I Patti danno un grande successo a Mussolini che diventa “l’uomo della Provvidenza”. Alle elezioni plebiscitarie del marzo 1929 si registra grande afflusso (90%) e larghissimo consenso (98%).
  • Anche il Vaticano trasse alcuni vantaggi dai Patti: se infatti da una parte era sancita la fine del potere temporale (perso da quasi 60 anni) dall’altra servirono a fargli assumere una posizione di privilegio nei rapporti con lo Stato, nell’istruzione, nella legislazione matrimoniale, con l’Azione Cattolica, strumento con cui fece azione formativa a largo raggio.

Totalitarismo imperfetto

  • Oltre alla Chiesa anche la Monarchia poneva limiti all’ascesa della dittatura del Duce
  • Il Re restava la più alta carica dello Stato: a lui spettava infatti il comando supremo delle Forze armate, la scelta dei senatori, il diritto di nomina e revoca del Capo dello Stato.

Il regime e il Paese
Osservando l’Italia del ventennio fascista l’impressione è quella di un paese largamente fascistizzato. Colpisce l’abbondanza del materiale di propaganda che invadeva tutta la vita quotidiana: ritratti del duce esposti ovunque, scritte fasciste sugli edifici, copertine dei libri e cartoline con l’emblema del “fascio littorio” (insegna del potere dei magistrati dell’antica Roma che divenne simbolo del regime), folle mobilitate in occasione di ricorrenze fasciste, discorsi del duce trasmessi alla radio, scolari impegnati in formazione militare (vestiti in camicia nera con fucili di legno), gli adulti che in divisa fascista si riunivano agli ordini dei fasci locali per celebrare i riti, i gerarchi che si esibivano negli stadi in esercizi ginnici.

Che rapporto esisteva tra realtà e propaganda?
Lo sviluppo della società italiana andava di pari passo a quello degli altri Stati europei?

  • L’Italia cominciò a muoversi e svilupparsi secondo le linee comuni al resto d’Europa, seppure con più lentezza.
  • La popolazione dal 1921 al 1939 passò da 38 milioni a 44 milioni. Si va accentuando l’urbanizzazione, cala l’occupazione agricola mentre aumenta quella industriale. Nonostante questi segni di sviluppo, lo stipendio di un italiano era circa la metà di quello di un francese e 1/3 di quello di un inglese, per cui molto veniva speso in consumi alimentari.
  • L’arretratezza economica e civile della società italiana era per certi versi funzionale al regime, che infatti accentuò l’esaltazione della vita in campagna (ruralizzazione) (scoraggiando l’afflusso in città mentre nel resto del mondo era già iniziato e procedeva a gran ritmo il fenomeno dell’urbanesimo).
  • Il fascismo inoltre, d’accordo con la Chiesa, portò avanti la politica dello sviluppo demografico, incoraggiando l’incremento della popolazione con gli assegni familiari, favorendo l’assunzione dei padri di famiglia, assegnando premi alle coppie prolifiche, mettendo una tassa sui celibi (1927).
  • Non favorì l’emancipazione femminile, anche se sviluppò organizzazioni femminili: i Fasci femminili, le piccole e giovani italiani, le massaie rurali.
  • Il fascismo punta a favorire il ceto medio: la piccola e media borghesia attraverso la moltiplicazione degli apparati burocratici, comprimendo i salari degli operai (un calo quasi costante: nel 1939 i salari nell’industria erano inferiori del 20% a quelli del 1921).
  • Nel 1927 viene varata la Carta del Lavoro: retorica esaltazione del lavoro; doveva servire a dare una patina di socialità al regime (De Felice).

Attenzione particolare al mondo della cultura, della scuola, delle comunicazioni di massa:

  • 1923. Riforma Gentile ispirata ai principi idealistici: severità degli studi, primato delle discipline umanistiche.
  • si cerca di porre un controllo sugli insegnanti che si adattano senza troppe resistenze.
  • L’Università godeva di più ampia autonomia, ma nel 1931 fu imposto il giuramento di fedeltà al regime (su 1200 solo una dozzina rifiutò, aderirono grossi nomi come Pirandello, Marconi, Mascagni…). Il regime dunque esercitò il controllo in forma blanda sulle attività culturali che si rivolgevano ad un pubblico specialistico, ma diventava diretto e capillare sulla cultura e sui mezzi di comunicazione di massa.
  • Tutta la stampa politica fu sottoposta a controllo severo da parte dello stesso Mussolini prima e dal Minculpop poi (ministero per la cultura popolare). Controllo della radio è affidato dal 1927 ad un ente di Stato detto Eiar: la radio, inizialmente poco diffusa, dopo il ’35 diventa il principale mezzo di propaganda (installazione nelle scuole, negli uffici pubblici…). Anche il cinema fu controllato dal regime allo scopo di limitare la massiccia entrata dei film americani nelle sale nazionali (il regime promuoveva i “cinegiornali”, prodotti da un ente statale l’Istituto Luce, raccontavano fatti d’attualità secondo i criteri della propaganda e venivano proiettati nelle sale prima del film).

Fascismo e Economia

  • Il corporativismo: secondo il Fascismo l’idea corporativa significava gestire direttamente l’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni distinte per settori di attività che comprendevano sia imprenditori che dipendenti. Questo sistema non trovò mai completa attuazione.
  • Nei primi anni (dal ’22 al ’25) il regime adottò una linea liberistica (De Stefani ministro delle finanze) che produsse insieme ad un incremento produttivo anche la crescita dell’inflazione, del deficit nei conti con l’estero e un forte deterioramento della lira(al cambio 1:145). De Stefani fu sostituito da Volpi che inaugurò una politica fondata sul protezionismo, sulla stabilizzazione della moneta, su un intervento statale più accentuato nei confronti dell’economia.
  • Primo provvedimento di Volpi: inasprimento del dazio sui cereali e la cosiddetta “battaglia del grano”: scopo della battaglia propagandistica era il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore cereali . L’obiettivo fu raggiunto con un aumento del 50% della produttività (con conseguente danno del settore allevamento e delle colture specializzate). Seconda “battaglia” di Volpi quella per la rivalutazione della lira. Il Duce annunciò di voler portare la lira a “quota 90” (cioè 90 lire per 1 sterlina) per dare al Paese la stabilità: l’obiettivo fu raggiunto in poco più di un anno, grazie alla riduzione dei credito  ed ai prestiti delle banche USA: arrivarono gli effetti positivi (prezzi diminuirono, la lira recuperò il potere d’acquisto). Ma  a goderne non furono i lavoratori dipendenti che si videro tagliare i salari, furono danneggiate le industrie esportatrici, in crisi le piccole e medie aziende. Favorite le grandi imprese e i processi di concentrazione aziendale.

Il Fascismo e la grande crisi. Lo “Stato imprenditore”.
Effetti in Italia della crisi del ’29: recessione, riduzione del commercio estero, crisi dell’agricoltura, tagli dei salari, disoccupazione da 300.000 a 1.300.000 nel 1933.
La risposta del regime alla crisi si attua su 2 direttrici:

  • Sviluppo dei lavori pubblici
  • Intervento diretto o indiretto dello Stato nei settori in crisi.
  • Lavori pubblici: programma di bonifica integrale che mirava al recupero di tutte le aree incolte; il programma fu attuato solo parzialmente. La parte più spettacolare fu la Bonifica dell’Agro Pontino in cui furono recuperati 60.000 ettari di terra. Nascita di nuovi villaggi: Sabaudia e Littoria (Latina). Rappresentò per il regime un grande successo.
  • Intervento dello Stato: nella forma più incisiva è sul sistema bancario. Le grandi banche miste (Comit e Credito italiano)  rischiavano il fallimento. Il governo intervenne istituendo l’IMI, istituto di credito pubblico, col compito di sostituire le banche nel sostegno alle aziende in crisi. Dopo 2 anni istituì l’IRI (Istituto per la riconversione industriale) che divenne azionista di maggioranza di molte banche in crisi e acquistò il controllo su grandi industrie italiane (Ansaldo, Ilva, Terni…). In questo modo lo Stato diventa banchiere e imprenditore. I privati (gli imprenditori che avevano gestito male le imprese ed erano sull’orlo del fallimento per i debiti) guardavano con favore la cosa, visto che Mussolini, così facendo, “socializzava le perdite” (come disse Carlo Rosselli) cioè accollava alla collettività i costi della crisi industriale (cioè i debiti e la mala amministrazione degli imprenditori privati). Si servì di tecnici, come Arrigo Serpieri per le bonifiche  ed Alberto Beneduce per l’IRI.

 
Intorno alla metà degli anni ’30 l’Italia era uscita dalla crisi peggiore e Mussolini pensò di lanciarsi nella politica dispendiosa delle imprese militari.

 

L’imperialismo fascista e l’impresa etiopica

  • Una componente imperialista fu sempre presente nel fascismo, paladino della riscossa nazionale. Fino ai primi anni ’30 tali aspirazioni imperiali rimasero vaghe: era più una propaganda ricorrente contro le democrazie plutocratiche (con cui si accordò a Stresa, aprile 1935) per tamponare il riarmo tedesco, mentre nel frattempo Mussolini preparava l’aggressione all’Etiopia.
  • Con la guerra d’Etiopia Mussolini intendeva dare uno sfogo alla vocazione imperiale del fascismo e vendicare lo scacco del 1896 (sconfitta di Adua). Mussolini voleva riuscire laddove i liberali avevano fallito. Era una occasione di mobilitazione popolare: inoltre anche i governi francese e inglese sembravano in qualche modo disponibili.
  • Ma quando nell’ottobre 1935 l’Italia invade l’Etiopia senza una dichiarazione di guerra, i governi francese e inglese portano la questione al Consiglio della Società delle Nazioni, fanno votare sanzioni, che furono approvate ma sortirono effetti limitati.
  • Il fatto che le grandi potenze plutocratiche volessero impedire “il posto al sole” per gli italiani, fece breccia nell’opinione pubblica (milioni di coppie donarono la fede nuziale, solidarietà venne da avari ambienti).
  • Mussolini con un atto fortemente demagogico tentò di dare alla guerra uno scopo umanitario, presentandola come una crociata per liberare gli etiopi dal regime schiavista e corrotto.
  • Le operazioni belliche non durano molto: 5 maggio 1936 truppe italiane comandate da Badoglio entrano ad Addis Abeba: il 9 maggio Mussolini annuncia al popolo “il ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma”.
  • L’Etiopia era un paese molto povero; l’operazione non ha risvolti economici positivi ma sul piano politico fu un grande successo. Dette la sensazione che l’Italia fosse diventata una grande potenza.
  • Sull’onda di tale entusiasmo, nell’ottobre 1936 Mussolini firma il patto di amicizia con la Germania, l’Asse Roma-Berlino. Nell’autunno ’37 aderisce al Patto anticomintern con cui al fianco di Germania e Giappone si impegnava a lottare contro il comunismo internazionale. L’Asse assume la forma di una vera alleanza militare e nel maggio 1939 Mussolini firma il Patto d’acciaio con la Germania, che legava le sorti dell’Italia a quelle dello Stato nazista.

L’Italia antifascista

  • A partire dalla metà degli anni ’20 inizia l’esilio o la clandestinità di tanti oppositori al regime.
  • Molti si appartano in volontario silenzio e cercano di sfruttare gli spazi di autonomia che il regime lascia, senza però assumere una dimensione politica: così ex popolari, cattolici, liberali, anche socialisti.
  • Invece i comunisti organizzano una struttura clandestina: molti vengono arrestati, spediti al confino, sottoposti a condanne del Tribunale Speciale.
  • Molti degli emigrati all’estero, in Francia (Gobetti, Turati, Treves, Nenni, Saragat, i fratelli Rosselli), soprattutto in Inghilterra e Usa (Sturzo, Salvemini), mantengono viva l’opposizione al regime.
  • Nel 1927 questi gruppi si costituirono in una organizzazione unitaria, la Concentrazione antifascista (collegata all’esperienza dell’Aventino).  La Concentrazione svolse un’importante attività di testimonianza, di propaganda antifascista, stampando giornali, mantenendo i contatti con gli esiliati, organizzando dibattiti politici.  Interessante fu il dibattito autocritico che portò al congresso di Parigi (1930) in cui il Psi ricompattò i due tronconi in cui si era scisso nel ’22.
  • Qualche impulso maggiore all’antifascismo arriva dall’attività di Emilio Lussu e Carlo Rosselli che fondano il movimento Giustizia e Libertà (estate 1929) che si proponeva come punto di raccordo fra socialisti, repubblicani e liberali secondo lo spirito del Socialismo liberale (il volume di Carlo Rosselli del 1930, che intendeva coniugare libertà politica e giustizia sociale). Carlo Rosselli fu assassinato insieme al fratello Nello nel giugno ’37.
  • I Comunisti furono polemici verso la Concentrazione antifascista e verso Giustizia e Libertà. Fino al 1934-35 i comunisti sono fermi su un atteggiamento di orgoglioso isolamento, prendono le direttive da Mosca dove Togliatti è segretario della III Internazionale (Komintern). Il Pci dunque era allineato alla linea di Mosca, adeguato al culto di Stalin e insensibile alle critiche di Gramsci e Terracini.
  • A metà degli anni ’30 nasce una fase nuova nell’emigrazione antifascista con la politica dei fronti popolari; nel 1934 i comunisti stringono un patto di unità d’azione con i socialisti.
  • Bilancio: scarsa incidenza sulla situazione italiana ma ruolo di grande importanza politica e morale anche all’estero. Rese possibile il sorgere dopo il ’43 della resistenza armata al nazifascismo.

 

 

Apogeo e declino del regime fascista
La vittoriosa campagna in Etiopia fu per il fascismo l’apogeo del successo e della popolarità.

  • Svanito l’entusiasmo, il consenso cominciò ad incrinarsi soprattutto per la politica economica ispirata al prestigio, condizionata dalle spese militari. Alla fine del ’35, dopo le sanzioni inflitte dalla SdN, Mussolini rilancia la politica dell’autarchia: ricerca di una maggiore autosufficienza economica, soprattutto nel campo delle materie prime e dei prodotti indispensabili in caso di guerra. Ciò si traduce in una stretta protezionistica, in un più intenso sfruttamento del sottosuolo, nell’incoraggiamento alla ricerca nel campo delle fibre e dei combustibili sintetici. Alcune industrie riescono a trarne vantaggio ma in generale i risultati non sono brillanti con relativa crescita dei prezzi, lentezza nella produzione e generale peggioramento del tenore di vita.
  • Politica Estera: attuata da Mussolini e dal genero Galeazzo Ciano. L’opinione pubblica non vedeva di buon grado l’amicizia con la Germania, che andava contro le tradizioni risorgimentali e della I guerra mondiale. Lo stato nazista poi non godeva di alcuna simpatia. Le aspirazioni alla pace contrastavano con i programmi di Mussolini che auspicava per l’Italia un futuro di conquiste e di confronti militari e che gli italiani si trasformassero in un popolo di guerrieri.
  • A compimento del regime totalitario: ne scaturirono una serie di modifiche istituzionali e legislative: l’istituzione del Minculpop; l’accorpamento delle varie organizzazioni giovanili nella Gioventù Italiana del Littorio; l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni con abolizione della Camera dei deputati (1939). La più aberrante nella stretta totalitaria fu l’introduzione nel 1938 delle leggi discriminatorie contro gli ebrei, leggi che ricalcavano quelle naziste. Gli ebrei vengono esclusi dai pubblici uffici, sono vietati i matrimoni misti, sedicenti scienziati promuovono l’idea della “pura razza italiana”. Vengono adottate misure ripugnanti che non fecero guadagnare al Duce il desiderato sentimento di orgoglio italiano e che aprirono invece un serio contrasto con la Chiesa.

 

 

Bibliografia consigliata

 

R. De Felice – Mussolini il fascista, I. La conquista del potere, 1921 – 1925, Torino, Einaudi, 1966.

R. Vivarelli – Storia delle origini del fascismo, 2 voll., Il Mulino, Bologna, 1991.

  • Aquarone – L’ organizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965.

 

Ph. V. Cannistraro – La politica del consenso. Fascismo e mass media, Laterza, Bari.

C. Cartiglia – Il corporativismo, sta in: Mondo contemporaneo, volume I: Storia d’ Italia, La Nuova Italia, Firenze, 1978.

C. Rosselli – Socialismo liberale, Einaudi, 1979.

A. Saba – Storia della Chiesa vol. IV: Dai Pontefici di Avignone a Pio XII, Utet, Torino, 1945.

Letture consigliate

– La parola chiave: consenso. In:  A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto – Manuale di storia, 3. L’ età contemporanea, Editori LATERZA, Roma - Bari, 1997.

 

Una sentenza del tribunale speciale. In: A. Camera R. Fabietti – Elementi di storia -  L’ età contemporanea vol. 3, terza edizione, Zanichelli, Bologna, 1987.

 

LETTURE

 

Consenso

 

Nel linguaggio politico moderno, il termine «consenso» indica l'accordo fra i membri di una comunità su alcuni valo­ri e principi fondamentali o su alcuni obiettivi specifici che la comunità stessa si pone attraverso l'azione dei suoi gruppi dirigenti.
Nei sistemi democratici e pluralisti­ci, un certo grado di consenso sui prin­cìpi e sulle istituzioni è considerato in­dispensabile alla vita dello Stato; ma sulle scelte dei governanti il dissenso è ammesso e in qualche misura istituzio­nalizzato attraverso meccanismi che permettono il ricambio della classe diri­gente. Invece nei sistemi autoritari - e soprattutto in quelli totalitari (cfr. 26.1) - il dissenso è represso o nascosto, mentre il consenso è dato per scontato, sulla base di una arbitraria attribuzione al capo, o al partito dominante, della capacità di rappresentare il popolo e di interpretarne i bisogni. Questo non si­gnifica che anche i regimi autoritari non possano godere di autentico consenso popolare. Il problema, per gli storici, è di verificare e misurare questo consen­so, in assenza di indicatori attendibili (poiché tali non sono i risultati delle consultazioni elettorali «plebiscitarie» e le manifestazioni di massa organizzate dai regimi stessi).
Nel caso del fascismo italiano, ad esempio, si è discusso e si continua a di­scutere sulla natura e sulle dimensioni del consenso di cui il regime godette. In anni recenti il più autorevole storico del fascismo, Renzo De Felice, autore di una grande biografia di Mussolini, ha sostenuto che, per la maggioranza della popolazione, questo consenso fu ampio e stabile, soprattutto nella prima metà degli anni '30 (prima che cominciasse la fase delle guerre e dell'avvicinamento alla Germania nazista). Altri studiosi hanno contestato sia le conclusioni di De Felice, sia l'attendibilità delle fonti da lui prevalentemente utilizzate (la stampa, le carte di Mussolini, i rapporti di polizia); e hanno affermato che il grosso della popolazione diede al regi­me niente più che un consenso «passi­vo», un'accettazione rassegnata (salvo che in alcuni momenti particolari, come la conquista dell'Etiopia o la conferen­za di Monaco). Oggi la maggior parte degli storici tende a riconoscere al fasci­smo una certa base di consenso, soprat­tutto fra i ceti medi. Anche se ci si rende conto della difficoltà di valutarne la na­tura (come si può distinguere il consen­so «attivo» da quello «passivo»?) e di misurarne con precisione l'entità.

 

Una sentenza del Tribunale speciale
        
Il «Tribunale speciale per la difesa dello Stato» fu istiuito per volontà di Mussolini nel 1926 per colpire ogni forma  di dissenso politico: cancellando la tradizione liberale e democratica che aveva affermato il principio della libertà d’ opinione, il regime fascista riprendeva invece modelli inquisitoriali per colpire la "cospirazione" (che era la sola forma in cui poteva organizzarsi l’ opposizione politica alla dittatura). Era un tribunale presieduto da un generale (prima dell'esercito, poi della milizia fascista). Durante tutta la sua attività, che durò dal 1926 alla caduta di Mussolini, il Tribunale speciale emise 5319 sentenze, tutte molto dure (tra di esse, 42 condanne a morte).Le sue vittime furono uomini e donne appartenenti per lo più alle classi subalterne del Centro-Nord.  Negli elenchi delle sentenze del 1929 per la Liguria c’ è un solo caso  di condannato con una qualifica sociale diversa da quelle di operaio o bracciante: è un “dottore in scienze sociali” che si chiamava Sandro Pertini.

Processo a carico di Pertini Alessandro

Avvocato – Socialista unitario.
Già condannato e poi amnistiato nel 1925 per incitamento all’ odio di classe.
Già assegnato al confino di polizia nel 1926, espatriò con Filippo Turati il 12.12.1926.
In Francia svolse, con scritti e conferenze, attività e propaganda sovversiva ed antifascista.
Nell'ottobre 1928 impiantò persino, in Nizza, una stazione radiotelegrafica con la quale riuscì a propagare false notizie ai danni dell’Italia.
In occasione del procedimento penale che per tale fatto subì in Francia, cercò di trasformare il dibattimento in un comizio antifascista, chiamando a testimoni del «barbaro dominio» i più noti fuorusciti.
Nel marzo u.s. si allontanò dalla Francia ed attraverso la Svizzera, con passaporto falso, rientrò in Italia.
Venne riconosciuto ed arrestato a Pisa il 14 aprile u.s.
Antifascista fegatoso e spavaldo, in udienza ha am­messo i fatti e dopo la sentenza ha gridato «Viva il so­cialismo».
Condannato a dieci anni e nove mesi di reclusione.

F.to Tringali Casanova

(da Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio storico: Tribunale speciale per la difesa dello stato. Decisioni emesse nel 1929, Roma, 1983, p. 346)

 

Fonte: http://scienzepolitiche.unipg.it/tutor/uploads/lezione3_-_il_fascismo.doc

Sito web da visitare: http://scienzepolitiche.unipg.it/tutor/uploads

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