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I ministri e i principi presenti al Congresso di Vienna avevano deciso che l’Europa doveva essere divisa come prima della Rivoluzione e di Napoleone; i vecchi sovrani potevano ritornare sui loro troni e le aspirazioni dei popoli potevano essere ignorate. Si trattò di un vero e proprio ritorno al passato, come se tanti anni non fossero trascorsi e non avessero lasciato una traccia profonda nella coscienza dei popoli.
Anche la carta politica dell’Italia era uscita quasi identica a quella di prima della Rivoluzione, ma con due eccezioni importanti. Vennero infatti cancellate le Repubbliche di Genova e di Venezia, che dopo i successi come superpotenze marinare del Medioevo avevano conservato per secoli la loro indipendenza.
I territori genovesi vennero attribuiti al re di Sardegna, che recuperò anche il Piemonte e la sua capitale, Torino. Il Regno di Sardegna, il Regno delle Due Sicilie e lo Stato della Chiesa erano pienamente indipendenti; gli altri erano sotto il dominio diretto o indiretto dell’Austria. Uniti alla Lombardia, i territori veneziani andarono invece a costituire il Regno Lombardo-Veneto, sotto la sovranità dell’imperatore d’Austria. Attraverso vari legami di parentela, l’Austria controllava il Ducato di Parma e Piacenza e il Ducato di Modena e Reggio.
Nel periodo tra la Rivoluzione Francese e il Congresso di Vienna, il mondo era però profondamente cambiato.
Prima della Rivoluzione erano i nobili ad avere il controllo della società. Con la Rivoluzione, invece, la guida era passata a una nuova classe, la borghesia, che era stata particolarmente favorita dalla politica napoleonica. Napoleone, infatti, nell’estendere i confini del suo impero, aveva eliminato le innumerevoli dogane fra un Paese e l’altro, agevolando così i ceti borghesi, che non dovevano più pagare tasse esorbitanti per far circolare liberamente le merci. D’altra parte, prima con la Rivoluzione e poi con Napoleone, molti dei beni della Chiesa erano stati espropriati e venduti, soprattutto ai borghesi, che li avevano subito utilizzati e valorizzati a proprio vantaggio. Le industrie locali erano state notevolmente stimolate: quella cotoniera, molto impegnata nelle forniture militari, ma anche le attività minerarie e metallurgiche, sempre più necessarie a causa del continuo stato di guerra. Non era quindi possibile che la borghesia tornasse a vivere in una condizione di totale subordinazione alla nobiltà.
Tuttavia, anche negli Stati italiani, la Restaurazione, riproponendo il ritorno della vecchia classe dirigente, aveva bloccato ogni tentativo di innovazione politica e sociale.
Il Regno Lombardo-Veneto, annesso all’impero asburgico, venne escluso da qualsiasi attività politica che lo riguardasse: tutte le decisioni venivano prese da Vienna.
Il governo austriaco, pur concedendo ai cittadini italiani gli stessi diritti di quelli austriaci, impose ben presto una forte censura alle attività sociali. Il governo di Vienna cercava principalmente di cancellare l'identità nazionale del popolo “italiano”, per creare un unico stato centro-europeo. Impose gravi oneri fiscali ed impedì l’importazione di macchine a vapore dall’Inghilterra, subordinando lo sviluppo industriale dell’Italia a quello dei paesi al di là delle Alpi.
Il Regno di Sardegna si distinse soprattutto per il suo carattere retrivo. Vittorio Emanuele I abolì il codice napoleonico e restituì al clero il monopolio dell'istruzione; non solo: furono stabilite anche delle barriere doganali interne, che colpirono lo sviluppo economico di Genova. In questo modo si autocondannava all’isolamento rispetto al resto dell’Europa.
Nel Granducato di Toscana, Ferdinando III di Lorena tornò alla tradizione dell'assolutismo illuminato della sua famiglia. Sostituì il codice napoleonico con il codice leopoldino, concedendo nuovi vantaggi ai cittadini del granducato e appoggiò lo sviluppo dell'agricoltura e dell'industria. Ma soprattutto incoraggiò una vivace vita culturale, tanto che Firenze divenne il centro del liberismo moderato.
Nello Stato pontificio e nel Regno delle due Sicilie le campagne, abbandonate ad una coltura estensiva e al pascolo, erano infestate dalla malaria e dal brigantaggio. Immensi latifondi erano posseduti da pochi baroni, nobili feudali, che impedivano il formarsi di una classe di produttori.
Durante la dinastia borbonica, tuttavia, si erano verificati dei progressi nel campo economico, culturale e istituzionale, che avevano determinato un aumentato benessere. Nel Regno di Sicilia l’emigrazione era sconosciuta, le tasse molto basse e così pure il costo della vita, l’economia in crescita, la percentuale dei poveri era pari all’ 1.34% (come si ricava dal censimento ufficiale del 1861) in linea con quella degli altri stati preunitari.
Dopo il Congresso di Vienna, i Regni di Napoli e di Sicilia furono unificati e il re Ferdinando, per tornare sul trono, dovette firmare un trattato segreto con l’Austria, con il quale si impegnava a sopprimere la Costituzione e a fornire all’Austria un grande contingente di uomini in caso di guerra.
Proseguì, tuttavia, la politica di riorganizzazione dello Stato, tesa a eliminare i privilegi feudali dei grandi proprietari terrieri.
I disegnatori satirici rappresentavano i ministri della Santa Alleanza impegnati a soppesare e a scambiarsi i popoli d’Europa quasi fossero pacchi postali. Al centro della caricatura si riconoscono, sulla bilancia, il pacco dei Tedeschi, conteso fra il ministro prussiano e quello austriaco, in basso a destra un barile che contiene i Polacchi e un saccone dove stanno pigiati gli Italiani.
Il disegno mostra come all’indomani del Congresso di Vienna si potessero facilmente individuare le maggiori vittime della diplomazia europea.
Il ministro di Prussica (contrassegnato con il numero 1) dice: :Ne prenderò la metà”.
Il ministro d’Austria (numero2) : “D’accordo, purché mi lasciate sul Po”.
Fonte: https://3bcorso2012-13.wikispaces.com/file/view/Restaurazione.doc
Sito web da visitare: https://3bcorso2012-13.wikispaces.com/
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