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Voltaire
Vita e scritti
Francois-Marie Arouet detto Voltaire, nacque a Parigi il 21 novembre 1694, da famiglia borghese. Fu educato in un collegio di Gesuiti e fu introdotto assai giovane nella vita dell’aristocrazia cortigiana francese. Ma una disputa con un nobile, il cavaliere di Rohan, lo portò alla Bastiglia. Negli anni 1726-1729 visse a Londra e assimilò la cultura inglese del tempo.
Nelle Lettere sugli inglesi o Lettere filosofiche (1734), egli illustra i vari aspetti di quella cultura insistendo specialmente sui temi che furono propri della sua attività filosofica, storica, letteraria e politica. Così difende la religiosità puramente interiore e aliena da riti e cerimonie dei Quaccheri, mette in luce la libertà politica ed economica del popolo inglese; analizza la letteratura inglese traducendone poeticamente dei passi, e nella parte centrale esalta la filosofia inglese nelle persone di Bacone, di Locke e di Newton. Paragonando Cartesio con Newton, egli difende i meriti di matematico di Cartesio ma riconosce la superiorità della dottrina di Newton. Cartesio «fece una filosofia come si fa un buon romanzo: tutto parve verosimile e niente era vero».
Nello stesso anno 1734 Voltaire pubblicava il suo Trattato di metafisica nel quale difende i temi filosofici che già aveva messo in luce nelle Lettere sugli inglesi. Criticato e bandito, dal 1734, egli visse a Cirey (Lorena) presso la sua amica Madame de Chàtelet, e furono questi gli anni più fecondi della sua attività di scrittore. Voltaire pubblicò allora numerosissime opere letterarie, filosofiche e fisiche. Nel 1738 apparvero gli Elementi della filosofia di Newton, e nel 1740 la Metafisica di Newton o parallelo tra le opinioni di Newton e Leibniz. Nel 1750 accettò l’ospitalità di Federico di Prussia a Sans-Souci e qui rimase circa tre anni. Dopo la rottura dell’amicizia con Federico e varie altre peregrinazioni, si stabilì presso Ginevra nel castello di Ferney (1760), e lì continuò instancabilmente la sua attività per la quale divenne il capo dell’Illuminismo europeo, il difensore della tolleranza religiosa e dei diritti dell’uomo. Solo a 84 anni ritornò a Parigi per dirigere la rappresentazione della sua ultima tragedia Irene e vi fu accolto con onori trionfali. Morì il 30 maggio 1778.
Voltaire ha scritto poemi, tragedie, opere di storia, romanzi, oltre che opere di filosofia e di fisica. Tra queste ultime, oltre quelle citate, sono importanti il Dizionario filosofico portatile (1764) che nelle successive edizioni divenne una specie di enciclopedia in vari volumi; e II filosofo ignorante (1766), l’ultimo suo scritto filosofico. Ma assai notevole è, per il suo concetto della storia, il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni (1740) cui premise più tardi una Filosofia della storia (1765), nella quale cerca di caratterizzare i costumi e le credenze dei principali popoli del mondo.
La critica all’ottimismo e l’accettazione dei limiti umani
Shaftesbury aveva detto che non c’è miglior rimedio del buon umore contro la superstizione e l’intolleranza. Voltaire ha messo in pratica meglio di ogni altro questo principio con tutte le inesauribili risorse di uno spirito geniale. L’umorismo, l’ironia, il sarcasmo, l’irrisione aperta o velata, sono da lui adoperati di volta in volta contro la metafisica scolastica e le credenze religiose tradizionali. Nel romanzo Candido o dell’ottimismo Voltaire narra le incredibili peripezie e disgrazie che mettono a prova l’ottimismo di Candido, il quale trova sempre modo di concludere col suo maestro, il dottor Pangloss, che «tutto va per il meglio nel migliore dei modi possibili». In un altro romanzo, il Micromega, del quale è protagonista un abitante della stella Sirio, deride la credenza della vecchia metafisica che l’uomo sia il centro e il fine dell’universo e, sulle orme di Swift nei Viaggi di Gulliver, mette in luce la relatività dei poteri sensibili, relatività che può essere superata soltanto dal calcolo matematico. In un Poema sul disastro di Lisbona (1755), scritto a proposito del terremoto di Lisbona dello stesso anno, combatte la massima «tutto è bene» considerandola un insulto ai dolori della vita, e le contrappone la speranza di un migliore avvenire dovuto all’opera dell’uomo.
« Tutto un dì sarà bene, ecco la nostra speranza;
Tutto è bene oggidi, l’illusione è codesta».
Voltaire è convinto che il male del mondo è una realtà, non meno che il bene; che sia una realtà impossibile a spiegarsi coi lumi della ragione umana e che Bayle fosse nel giusto affermando l’insolubilità del problema e criticando spietatamente tutte le possibili soluzioni di esso. Ma dall’altro lato, è anche convinto che l’uomo deve riconoscere la sua condizione nel mondo così come essa è, non già per lamentarsene e per negare il mondo stesso, ma per dedurne una serena accettazione della realtà. In uno scritto giovanile in cui si occupa di Pascal, non contesta la tesi di quest’ultimo sulla condizione umana, ma solo a trarne un insegnamento tutto diverso. Pascal infatti traeva da essa la negazione del mondo e l’esigenza di rifugiarsi nel trascendente. Voltaire riconosce che essa è per l’uomo la sola condizione possibile e che pertanto l’uomo deve accettarla e trarne tutto il meglio possibile. «Se l’uomo fosse perfetto, egli dice, sarebbe Dio; e le pretese contrarietà che voi chiamate contraddizioni sono gli ingredienti necessari che entrano a comporre l’uomo, il quale è, come il resto della natura, ciò che dev’essere». Per Voltaire il mondo va lucidamente e serenamente accettato.
Il mondo, Dio e l’uomo
Voltaire desume i tratti fondamentali della sua concezione del mondo dagli empiristi, e dai deisti inglesi. Certamente, Dio esiste come autore del mondo; e sebbene si trovino in questa opinione molte difficoltà, le difficoltà che si oppongono all’opinione contraria sono ancora maggiori. Voltaire ripete a questo proposito l’argomentazione di Locke e dei deisti (che riproduce il vecchio argomento cosmologico): «Esiste qualcosa, dunque esiste qualcosa di eterno perché nulla si produce dal nulla. Ogni opera che ci mostra dei mezzi e un fine rivela un artefice: dunque questo universo composto di mezzi, ognuno dei quali ha il suo fine, rivela un artefice potentissimo e intelligentissimo» [Dizionario filosofico, art. Dio).
Voltaire ripudia dunque l’opinione che la materia si sia mossa e organizzata da sé. Ma dall’altro lato si rifiuta di determinare in modo qualsiasi gli attributi di Dio, ritenendo ambiguo anche il concetto di perfezione, che non può certo essere lo stesso per l’uomo e per Dio.
E si rifiuta di ammettere un qualsiasi intervento di Dio nell’uomo nel mondo umano. Dio è soltanto l’autore dell’ordine del mondo fisico. Il bene e il male non sono comandi divini, ma attributi di ciò che è utile o dannoso alla società. L’accettazione del criterio utilitaristico della vita morale mette Voltaire in grado di affermare recisamente che essa non interessa per nulla la divinità. «Dio ha messo gli uomini e gli animali sulla terra, ed essi devono pensare a condursi del loro meglio. È interesse degli uomini condursi in modo da rendere possibile la loro vita associata; né questo richiede il sacrificio delle loro passioni che sono indispensabili, come il sangue che scorre nelle loro vene; e non si può togliere il sangue ad un uomo solo perché può procurargli l’apoplessia (Trattato di Metafisica, 8). […]
Voltaire si occupa anche della storia umana in alcune importanti sue opere. In particolare, tende a mettere in luce la rinascita e il progresso dello spirito umano, vale a dire i tentativi della ragione umana di affrancarsi dai pregiudizi e di porsi come guida della vita associata dell’uomo. Il progresso della storia consiste appunto e soltanto nella sempre migliore riuscita di questi tentativi, dato che la sostanza dello spirito umano rimane immutata e immutabile. Secondo Voltaire, il progresso dunque riguarda il dominio della ragione sulle passioni, nelle quali si radicano gli errori.
Da N. Abbagnano, G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, vol.B tomo 2, Paravia, Torino, 2000, p. 559-61.
Fonte: http://www.bellodie.altervista.org/filo4a_file/Voltaire.doc
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