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La vicenda dell’eroina Giovanna D’Arco si svolse durante la guerra dei cent’anni, della precisa durata di 116 anni e combattuta tra il 1337 e il 1453.
Il nome che a noi è pervenuto non è quello reale, poiché al suo paese natale tutti la chiamavano Jeannette e solo quando fu conosciuta da tutta la Francia le fu attribuito il nome Jeanne .Il suo cognome inoltre comparve solo negli atti del processo di riabilitazione nell’antica forma “Darc”, la quale pronuncia forse è, in Francese medievale “Tart”.
Giovanna nacque l’epifania del 1412 nel villaggio di Domrèmy-la-Pucelle, un paesino della Loira; i suoi genitori, Jacques e Isabelle Romèe, erano bons laboureurs, in altre parole piccoli proprietari terrieri, Jacques inoltre era il decano di Domrèmy. I genitori di Giovanna erano molto devoti e s’impegnarono in vari pellegrinaggi, raggiungendo persino Santiago de Compostela e Toledo; portarono i propri figli (Jeannette, Pierre, Jean, Catherine e Jacques) solamente nei pellegrinaggi più brevi, è certo per esempio che Giovanna visitò Notre Dame de Beaumont, non molto lontana da Domrèmy. Il ruolo di pellegrini dei genitori della ‘pulzella’ è riconosciuto inoltre dal soprannome della madre “romèe”, in tal modo, infatti, erano chiamati tutti i pellegrini che volevano raggiungere Roma.
Quindi si può benissimo capire come la vita di Giovanna D’ Arco sia stata profondamente legata alla religione, ma è anche vero che la fanciulla era legata alle tradizioni di origine pagana che accomunavano tutti i villaggi d’Europa nel Medioevo.
Infatti, Giovanna, nella fanciullezza, era solita unirsi alle compagne in primavera per danzare e cantare attorno ad un antico faggio, che secondo le leggende era la dimora delle fate. A Domrèmy, presso ‘’ l’albero delle fate ” c’era una fonte celebre per le sue proprietà taumaturgiche, e un boschetto.
Un ambiente del tutto fiabesco, ed è proprio in questi luoghi che Giovanna nel 1425 cominciò ad udire delle voci, da lei attribuite all’arcangelo Michele e alle sante Margherita d’Antiochia e Caterina d’Alessandria.
S. Michele era e rimase il simbolo della Francia, fu lui infatti a rivelarne la liberazione ancora prima della nascita di Giovanna.
La prima volta che la pulzella sentì le voci fu nell’estate del 1425, precisamente a mezzogiorno, l’ora dei demoni meridiani, nel giardino davanti casa sua. Subito capì che la voce era buona perché proveniva da destra e, Giovanna non ebbe dubbi, era S. Michele. Le voci insistevano sulla necessità di adempiere la volontà di Dio, che imponeva la cacciata degli assedianti inglesi. La ragazza ascoltava con timore e a volte giungeva anche a vedere gli Arcani. Con il passare del tempo, le voci si fecero sempre più insistenti, pretendevano che la povera ragazza si facesse profeta di Dio, doveva recarsi da Carlo di Valois immediatamente. Molto presto tutto il villaggio seppe delle voci perché amici e parenti della famiglia D’Arc ne parlavano. I genitori però non ne furono per niente contenti, e soprattutto il padre; questo, quando ancora Giovanna era neonata, spesso aveva in sogno la visione della figlia che partiva a cavallo di un possente destriero assieme ad un’armata di soldati e, terrorizzato all’idea, prestissimo l’aveva promessa in sposa ad un giovane di un villaggio vicino. Quando, perciò, Jeannette parlò al padre della sua particolare “dote”, questo reagì pesantemente, tentando più volte di non farle parlare più degli arcani.
Nel maggio del 1428 Giovanna D’Arco, con il pretesto di alloggiare un po’ di giorni dagli zii che abitavano nel paese di Vaucouleurs, tentò di farsi ricevere dal capitano Robert Beaudricourt che la cacciò subito, egli, infatti, era molto scettico e non voleva sentir parlare d’assurde voci. Un anno dopo, un po’ per porre fine alle insistenze di quell’ostinata ragazzina, che non si erano ancora fermate di fronte ai suoi ripetuti no, un po’ per non offendere suo padre, del quale era un grande amico, accettò di riceverla.
Dal colloquio il rude capitano rimase profondamente turbato e spedì varie lettere ai suoi feudatari. Il principe angioino si rifiutò categoricamente di parlare con lei, e allora il capitano la mandò al delfino.
Esorcizzata in precedenza dal parroco di Vaucouleurs, le fu affidata una scorta militare e le fu permesso di indossare abiti maschili più adatti al viaggio, quindi partì nel freddo mese di febbraio. Quando Giovanna arrivò al castello, Carlo decise di metterla alla prova mischiandosi alla nobiltà nella sala del trono; infatti, sarebbe stato difficilissimo riconoscerlo perché il re di Bourges non indossava abiti particolari ed inoltre non era stato ancora consacrato, quindi non indossava la corona. Ma Giovanna, guidata dalle sue voci, riconobbe subito il destinatario del suo messaggio e, fatto che stupì tutti, non sembrava minimamente turbata o intimidita dalla fastosa corte del re, cosa del tutto strana in quanto la ragazza aveva sempre vissuto in un piccolissimo e semplice villaggio, senza mai essersi allontanata di molto da questo. Inoltre Giovanna, stupendo di molto Carlo, sapeva esprimersi propriamente nei confronti di persone così altolocate. Per la seconda volta riuscì a convincere una persona che diffidava di lei. Carlo quindi rimase profondamente colpito da Giovanna, ma non volle nemmeno compromettersi abbracciando con decisione le idee di quella ragazzina che parlava il francese delle campagne, perciò si affidò ai professori dell’Università di Poitiers, dando a questa la responsabilità di un giudizio sulla ragazza. A Poitiers fu interrogata, per ben due settimane, non solo sulla sua fede religiosa da un gruppo d’ecclesiastici, ma anche da una commissione di signore che aveva il compito di esaminare ogni aspetto della moralità di quella ragazza che aveva viaggiato in abiti maschili assieme ad una schiera d’uomini e che fondava sulla sua verginità la sua funzione profetica. Si conoscevano già gli antecedenti di Santa Margherita che, per compiere il volere di Dio in mezzo ad individui dell’altro sesso senza cadere nel peccato, aveva indossato abiti maschili; ma comunque la cosa suscitava ancora scalpore poiché molto rara.
Giovanna però passò con successo l’interrogatorio e fu da allora che fu chiamata “la pulzella” ovvero la vergine.
Si era dunque avverata, o voluta avverare la profezia, che da lungo tempo aveva interessato la Francia, di una vergine guerriera che avrebbe liberato il paese. Giovanna non era la sola che si dichiarava tale, ma di sicuro era la più convincente sia in campo teologico, sia in ambito militare; essa voleva agire, non solo profetizzare. Le furono dunque fatti una lucente armatura e uno stendardo che lei stessa disegnò seguendo i consigli delle voci: era un vessillo candido con al centro l’immagine di Dio assiso in trono su un arcobaleno, affiancato da due angeli che portavano in mano un giglio (simbolo di Francia) e una corona del rosario, e le immagini di Maria e Gesù.Le fu data anche una spada con incise cinque croci, che si trovava dietro all’altare di un santuario; lei stessa la aveva avuto in visione e aveva mandato un cavaliere a prenderla. Inoltre le fu assegnata un’equipe militare e un piccolo stato maggiore. La notizia dell’esistenza della vergine guerriera diramò per tutta la Francia. Subito la pulzella si mise in azione scrivendo una lettera di ammonimento ai massimi esponenti inglesi, ma questi risposero con insolenza definendola una strega a una meretrice. Nel frattempo Giovanna si era recata ad Orlèans in difesa dell’allora governatore della città, Giovanni, definito “il bastardo d’Orlèans”. La città, infatti, era da tempo cinta d’assedio dagli inglesi che, al suo arrivo, dopo una prima vittoria, furono cacciati. Era l’ 8 maggio. Fu un maggio di gloria per Giovanna, ma il ferro doveva essere battuto finché era caldo perciò partì con Giovanni alla volta di Loches dove alloggiava il delfino, il programma della pulzella era molto preciso: liberata Orlèans avrebbe dovuto far consacrare il re, liberare Parigi e cacciare gli inglesi. Carlo non era spinto da sentimenti religiosi come Giovanna, ma si lasciò persuadere nonostante le forze nemiche fossero sempre più potenti. Frattanto si affiancò a Carlo di Valois Giovanni II D’Aleçon, protetto del delfino. Pare fosse un abile comandante e, se non fosse stato per la tanto proclamata missione di Jean, si sarebbe potuto parlare di un colpo di fulmine fra i due che passavano il tempo a parlare e a giostrare, lui arrivò persino a donarle un valoroso destriero e lei continuava a chiamarlo “il bel duca”.
Fu grazie ai due che Carlo di Valois conquistò la piazzaforte di Jeargeau. La presa fu molto sanguinosa e sucessivamente i tre riportarono una mirabile e fulminea vittoria su Patay. Si deve specificare però che il ruolo di Giovanna non era di comando, in quanto, a parte l’assedio d’Orlèans, non le fu mai dato alcun incarico del genere. Lei incitava e dava l’esempio ai soldati in nome di Dio, non predicando loro, ma con la sua stessa presenza essi erano conquistati. Impose ai soldati di non bestemmiare. Li obbligò a pregare e fece cacciare le cortigiane dagli accampamenti perché la loro guerra era speciale poiché voluta da Dio.
La cavalcata trionfale dell’incoronazione cominciò a Gieu, nel giorno di S. Giovanni Battista. La pulzella scrisse a Filippo, duca di Borgogna, di partecipare all’incoronazione di Reìms; il signore non rispose, ma le città di Borgogna mostrarono sentimenti d’amicizia e non sbarrarono la strada a Giovanna, fatto invece temuto da Carlo. Auxerre si offrì spontaneamente di rifornire l’esercito, Troyes provò rispetto verso il delfino e Chalons e Reìms gli aprirono subito le porte. Il “re di Bourges” fu dunque consacrato come Carlo VII re di Francia il 17 luglio. Subito si partì alla volta di Parigi, allora guidata dal duca di Borgogna. L’armata di Francia, priva del re che aveva preferito proseguire da solo per un cammino più tranquillo, puntò su Saint Dènis e poi su Parigi. La posizione di Filippo di Borgogna era però ambigua, egli non patteggiava per Carlo VII ma nemmeno completamente per Enrico VI che secondo il trattato di Troyes era ancora re di Francia e Inghilterra. D’altra parte Parigi non avrebbe mai aperto le pote ai francesi, poiché la plebaglia era fedele ad Enrico. Un primo attacco a Parigi fallì e Giovanna ne fu profondamente turbata, aveva inoltre commesso l’errore di combattere il giorno della Natività di Maria riportando inoltre un insuccesso. Era, difatti, proibito all’epoca combattere in giorni di festività cristiane. Dopo quell’ 8 settembre nulla fu più come prima; il rispetto che si era guadagnata durante le battaglie di Orlèans e Patay era svanito in un attimo e molti della corte di Carlo incominciarono a ritenerla una strega, forse un po’ per gelosia poiché le vittorie dei francesi non erano state attribuite ai generali, bensì alla pulzella. Seguirono una serie di maldestre azioni, ma al fine Carlo VII fu costretto alla resa. Parigi però, a questo punto, era in fermento; voleva sbarazzarsi degli inglesi. Animata dalla volontà dei parigini, Giovanna decise che era tempo di agire.
Con un’armata guidata dal famoso generale Bartolomeo Baretta, il martedì del 23 maggio si diresse verso Compiegne dove la controffensiva le sbarrò le porte.
lo scopo degli inglesi era ben preciso: screditare la pulzella per gettare fango sulla casata reale francese, ovvero su re Carlo VII.
Ma Carlo VII non era propenso a permettere ciò ad Enrico VI perciò, invece di liberare Giovanna, non mosse un dito e incominciò anche lui a diffondere per tutta la Francia maldicenze sulla pulzella dicendo che era lussuriosa, vanitosa e assetata di sangue.
Durante la sua prigionia prima del processo, dal luglio al novembre, Giovanna fu trasferita da castello in castello, da prigione in prigione e molte furono le cose che accaddero.
Innanzi tutto, lo stesso Filippo III di Borgogna, che era anche granduca d’occidente, si mosse per parlare con lei; il colloquio fra i due fu molto breve, ma, da testimonianze dell’epoca, pare che, uscito dalla cella, Filippo fosse sconvolto, anche se poi disse di non ricordare più nulla; forse per non alimentare le voci su Giovanna. In seguito, varie dame di corte andarono a parlare con lei, chi per sostenerla, chi affascinata dal suo ruolo di vergine guerriera, chi per pura solidarietà femminile. Si parla di donne del calibro di Isabella di Portogallo e Anna, sorella del duca di Borgogna; che avevano molte influenze anche in campo politico. Pare, per esempio, fosse stata proprio Isabella a far trasferire Giovanna dalla lurida prigione dove alloggiava, nella torre del castello di Beaurevoir.
Infine la giovane giunse a Rouen, dove iniziò il processo contro di lei il nove gennaio 1431. Il vescovo Beauvais lo aprì affiancato dal vicario dell’Inquisizione. L’equipe che avrebbe giudicato Giovanna non era unanime; alcuni volevano la sua condanna ma molti altri invece o provavano indifferenza nei suoi confronti, o erano favorevoli alla sua libertà. In ogni caso Giovanna all’inizio non correva grossi rischi, di certo non la morte, gli inglesi volevano solo screditarla molto velocemente; ma ciò sarebbe stato possibile solo se la pulzella avesse abiurato subito le sue idee. Ciò non fu. Il processo constò di una fase d’ufficio, l’istruttoria, con inchieste e interrogatori, e di una fase ordinaria, dove sarebbe stata ammonita pubblicamente e privatamente a confessare che in lei non c’era nulla di santo, a volte per questa procedura veniva utilizzata anche la tortura.
L’istruttoria durò dal 9 gennaio a fine marzo. Fu interrogata e minacciata talmente tante volte che finì per abiurare pubblicamente tanto era stremata. Fu così condannata alla prigionia a vita ma pochi giorni dopo ritrattò la confessione. Si deve tenere conto che Giovanna non ebbe mai un difensore e le prove a lei favorevoli raccolte al villaggio di Domremy non furono mai prese in considerazione, fu carcerata in una prigione inglese, non ecclesiastica come sarebbe dovuto essere in quanto era giudicata in campo di fede, non di guerra, e sorvegliata da rozzi soldati che forse tentarono più volte di violentarla. Fu sottoposta persino all’esame della verginità che, però nemmeno compare negli atti giuridici. Ma in Giovanna risiedeva una forza immensa e se ne accorsero anche i giudici, Giovanna era rassicurata dal fatto di avere Dio dalla sua parte e inoltre dalla presenza costante non solo delle sue voci, ma anche di un gruppo di domenicani che la sostennero e la aiutarono fino alla fine dei suoi giorni. Si sentiva così protetta da rispondere spesso con insolenza ed evidente ironia ai giudici, tanto che essi arrivarono ad avere quasi soggezione di lei pur nascondendolo. La resistenza dell’imputata finì col disorientare e innervosire gli accusatori.
Nel primo processo che si svolse da gennaio a febbraio, i giudici fecero pressione sull’infanzia di Giovanna, soprattutto sull’albero delle fate, sul bosco di Domremy e su una mandragola che si diceva esserci vicino alla sorgente, ma lei se la cavò molto bene perché non conosceva a fondo queste leggende e rispose che ne sapeva veramente poco. Il processo riprese a fine febbraio e in quel caso gli inquisitori si concentrarono sulle “voci” che sentiva. Lei, infatti, molto spesso faceva menzione degli arcani che a volte le impedivano di rispondere ad alcune domande, divieto che durava un tempo limitato di giorni, dopo di che poteva rispondere liberamente. Ma col tempo , stremata dalle pressioni continue, cominciò a rispondere evasivamente. Le sue risposte parvero farsi stanche: non sapeva…,non ricordava…. I giudici poi insistettero sulle sue tentate fughe, frequentemente aveva tentato di fuggire contro la volontà delle voci e sempre i suoi piani erano stati sventati. Arrivarono persino ad accusarla di avere bestemmiato e di non aver obbedito a quelle stesse voci che loro ritenevano eretiche. L’istruttoria poteva dirsi completata il 24 marzo e tre giorni dopo cominciò la fase ordinaria. Le furono letti i 72 capi di accusa ai quali lei doveva rispondere solo un nego o un credo, ma molti furono d’accordo sul fatto che alcune imputazioni erano complesse e ricche di sfumature perciò Giovanna non sarebbe stata in grado di rispondere a tutte. Le fu dunque offerta la possibilità di farsi aiutare nelle risposte da un difensore ma lei rifiutò dicendo che già Dio era il suo difensore. Dopo ciò, si decise di sottoporre 12 articoli al giudizio delle facoltà di teologia dell’Università di Parigi poiché alcuni non erano concordi di incolpare Giovanna in modo così crudele. Durante l’attesa del responso si sentì molto male a causa, lei disse, di alcune cozze che le erano state mandate dal vescovo di Beauvais; la si accusò quindi di tentato suicidio, accusa puramente menzognera. Due giorni dopo il malessere si riprese il lavoro e l’esame delle sue accuse; le furono fatti altri pesanti interrogatori. Poiché le sue posizioni non cambiarono minacciarono la tortura; Giovanna ne restò impaurita, ma non ritrattò quanto detto. Fra il 14 e il 15 maggio l’Università di Parigi concordò sul fatto che l’imputata fosse colpevole d’idolatria, scisma e apostasia. Giovanna sarebbe stata sottoposta di nuovo alla pubblica ammonizione ma come ovvio, lei non abiurò. Nei giorni seguenti le pressioni furono insostenibili , alla ragazza fu fatto firmare un biglietto dove si impegnava a non portare più abiti femminili, a non combattere più, e a non tagliarsi più i capelli; poi fu condotta in prigione. Tutto ciò accadde il 24 maggio, che cosa poi accadde nei tre giorni successivi fu un mistero. La domenica del 27 maggio Giovanna indossò di nuovo abiti maschili rinnegando ciò che aveva giurato. Giovanna passò direttamente dal tribunale inquisitorio al carnefice. Fu condotta al rogo mercoledì 30 maggio sulla piazza di Rouen. Vergine come Maria, anche Giovanna aveva fatto proprio il mese delle rose. Morì bruciata davanti alla croce del Dio che aveva tanto amato, croce che le era stata portata da uno dei domenicani su sua richiesta, gridando il nome di Gesù. Molti di quelli che avevano assistito alla sua morte poi si convertirono e la ritennero una santa. Subito il vescovo inviò molte lettere ai maggiori esponenti ecclesiastici e non per annunciare la morte di una nemica della Chiesa e della Francia. Ma tutte le città che furono liberate da lei come Orlèans e Patay, non si piegarono alle insistenze degli ecclesiastici. Giovanna d’Arco fu e rimase una martire e ora come oggi non vi è una chiesa che non abbia almeno una sua statua.
Fonte: https://antoniolionello.files.wordpress.com/2007/12/giovanna_darco.doc
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