Guerra del Kossovo

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Guerra del Kossovo

BALCANI: VENTI DI GUERRA IN MACEDONIA. 


Venti di guerra spirano in Macedonia, la piccola Repubblica balcanica che sembrava essere sfuggita al tragico destino che ha travolto, negli ultimi dieci anni, gli altri Stati nati dalle ceneri della Repubblica Federale Socialista di Iugoslavia.
 
Le notizie di scontri armati tra esercito macedone e membri dell'U.C.K., sigla sotto cui si cela l'Esercito di Liberazione Nazionale albanese-macedone, hanno bruscamente risvegliato l'attenzione dell'opinione pubblica occidentale a due anni esatti dall'inizio dei pretesi "bombardamenti umanitari" compiuti dalla NATO contro la Repubblica Federale di Iugoslavia.
 
Gli attuali tentativi di destabilizzazione etnico-politica della Macedonia, Stato multietnico in cui convivono una maggioranza slava (66, 5% della popolazione) ed una minoranza albanese (22,9%) , si inseriscono nelle più complesse dinamiche che hanno coinvolto nell'ultimo decennio l'Europa balcanica, area in cui si sono concentrati (e tuttora si concentrano) gli interessi economici e politico-strategici delle potenze occidentali dopo la caduta del muro di Berlino e la scomparsa della superpotenza russa.
   
Regione europea di confine, in cui convivono popolazioni di etnie, culture e religioni diverse, aventi ciascuna proprie aspirazioni nazionali che, dopo la morte di Tito, sono state rivendicate violentemente, in assenza di qualsiasi processo democratico, i Balcani rappresentano, nell'immaginario occidentale, una "polveriera" che esplode al verificarsi di ogni mutamento nei rapporti di forza tra i vari membri della comunità internazionale. Le notizie di questi giorni, tuttavia, ripropongono l'annoso problema: potranno i popoli balcanici raggiungere una propria stabilità politica e sociale?
 
E' senza dubbio arduo rispondere ad una simile domanda, tuttavia è possibile formulare alcune considerazioni che permettono di comprendere meglio l'attuale situazione macedone.


1- Al di là della sorpresa espressa dall'opinione pubblica occidentale alla notizia delle attività paramilitari dell'U.C.K. macedone, il pericolo di una crisi etnica nella piccola repubblica balcanica, di cui è controverso anche il nome (Former Yugoslav Republic of Macedonia per la comunità internazionale - a causa delle pressioni esercitate dalla Grecia - e Republic of Macedonia per le autorità di Skopje), non era un'ipotesi così remota e tanto meno imprevedibile.
 
Segnali d'allarme erano stati lanciati già nel luglio del 1999 dal Primo Ministro macedone Ljubco Georgievski, che aveva paventato una possibile crisi etnica conseguente al dissesto economico, qualora l'Unione Europea e gli Stati Uniti non avessero prontamente erogato i 252 milioni di dollari promessi e necessari per risollevare l'economia della Macedonia .
 
Il delicato equilibrio etnico macedone aveva subito, infatti, una frattura insanabile a causa del flusso di oltre 250.000 profughi kosovari che avevano oltrepassato il confine per sfuggire alle bombe della NATO, flusso economicamente insostenibile per la piccola repubblica (il cui tasso di disoccupazione nel 1999 si attestava al 30% ed il reddito annuo pro capite a 1.900 dollari) chiamata a far fronte ad un improvviso aumento della popolazione del 10%.
 
Non si deve poi dimenticare che raids aerei della NATO contro la Repubblica Federale di Iugoslavia hanno arrecato un ulteriore danno alla fragile economia macedone: le vie di accesso all'Europa continentale sono state in gran parte distrutte e gli scambi commerciali con le società iugoslave (principali partners di quelle macedoni) irrimediabilmente compromessi.
 
La Macedonia si è trovata dunque a fare i conti con una situazione economica disastrosa (senza poter contare sui contributi internazionali promessi e mai erogati), che hanno prodotto un diffuso disagio, particolarmente sentito dalle parti più deboli della società (composte dalle minoranze etniche), disagio che ha alimentato l'avversione nei confronti delle autorità di Skopje ed il sostegno alla causa albanese.

2- La convivenza tra la minoranza albanese e la maggioranza slavo-macedone non è mai stata pacifica, soprattutto nella parte settentrionale della Macedonia (a maggioranza albanese) lungo il confine con il Kosovo; anzi ogni avvenimento che ha coinvolto il popolo kosovaro di etnia albanese inevitabilmente ha avuto ripercussioni anche in Macedonia. Entrambi i gruppi albanesi stanziati nelle due aree, infatti, appartengono al ceppo linguistico e culturale ghego, che si caratterizza per i forti legami di appartenenza familiare.
 
Dopo la nascita della F.Y.R.M., avvenuta nel 1991, il Parlamento ed il governo macedoni hanno provveduto al riconoscimento di numerosi diritti a favore delle minoranze etniche, sono sorte diverse formazioni politiche albanesi legittimamente rappresentate nel parlamento macedone (alcune delle quali hanno partecipato alla coalizione di governo disponendo di propri ministri) e le minoranze hanno avuto pieno accesso ai media di stato, alla cultura ed all'istruzione.
 
L'unico ostacolo alla piena "integrazione" era costituito dalle modalità di attribuzione della cittadinanza che, in base alla Costituzione macedone, può essere concessa solo dopo 15 anni di residenza senza interruzione nello Stato. In tal modo numerosi albanesi, che avevano lasciato il Kosovo per trasferirsi nella piccola repubblica balcanica (ancora federata alla R.F.S.Y.) durante gli anni 80, si erano visti privati di tale attribuzione.
 
Ciò ha causato una contrapposizione tra le élite kosovaro-macedoni e le autorità di Skopje e la progressiva disaffezione degli albanesi macedoni stanziati lungo il confine kosovaro all'establishment politico macedone. Le posizioni si sono radicalizzate nel corso degli anni: gli enti locali amministrati dagli albanesi si sono rifiutati di partecipare ai censimenti indetti dal governo ed hanno avviato un processo volto all'autonomia. Il governo ha risposto vietando l'esposizione dei vessilli albanesi, promovendo alcune riforme pregiudicanti i diritti delle minoranze (vietando, ad esempio, l'insegnamento della lingua albanese nelle scuole superiori e nelle università ed il suo utilizzo nelle istituzioni statali).
 
La guerra in Kosovo ha costituito una grave minaccia per l'equilibrio etnico macedone, per tale ragione il governo di Skopje ha assunto un approccio moderato a tale crisi, accogliendo nella propria coalizione il partito albanese moderato ed avviando una serie di riforme, che tuttavia non hanno sortito alcun effetto positivo a causa della mancata erogazione dei finanziamenti internazionali.
 
3- Non può certo sfuggire ad un attento osservatore che le recenti attività estremistiche dell'U.C.K. macedone, che formalmente rivendica pari diritti per la popolazione albanese macedone e chiede la creazione di una Federazione albanese-macedone e slavo-macedone (non si prefigge, quindi, la secessione della regione nord occidentale della Macedonia a maggioranza albanese), si sono realizzate in concomitanza con le azioni di un'altra formazione estremista anch'essa albanese, l'U.N.C.M.B., che chiede l'autonomia di Presevo Bujanovac e Medvedja, città di etnia albanese poste nel sud est della Serbia.
 
E' lecito, dunque, il sospetto che dietro l'attività di queste due formazioni, che apparentemente non hanno alcun legame, vi sia un'unica struttura organizzativa avente un unico obiettivo: la creazione di un'entità albanese; o quanto meno che un simile progetto sia adombrato da entrambe le formazioni e che le odierne rivendicazioni autonomistiche albanesi, non comportanti attualmente la secessione dell'area nord orientale della Macedonia (Tetovo e Gostivar) e della zona sud orientale della Serbia (valle di Presevo) costituiscano un passo intermedio per il riconoscimento della causa albanese, nell'intento della costituzione di uno Stato albanese, comprendente, oltre alle regioni già citate, il Kosovo, il Montenegro meridionale e, naturalmente, l'Albania.
 
D'altra parte l'ideale di una "Grande Albania" non ha mai cessato di alimentare i sogni del popolo albanese; non è un caso, dunque, che nell'ufficio del Preside dell'Università di Tetovo (sorta su modello dell'Università clandestina di Pristina e dichiarata illegale dalle autorità macedoni) sia esposta una carta geografica raffigurante tale Stato.
 
Non si deve inoltre dimenticare che le aree in cui si sono verificati gli scontri armati confinano con il tormentato Kosovo e che già nella primavera dello scorso anno il settimanale macedone "Start" aveva pubblicato un articolo in cui si denunciava l'esistenza di un presunto Esercito della Repubblica di Macedonia, ala macedone dell'Esercito Nazionale Albanese (E.L.N.A.), composto da membri del disciolto U.C.K. kosovaro, il cui obiettivo consisterebbe "nella liberazione dei territori albanesi sottoposti alla dominazione slava". Anche il quotidiano di Skopje "Dnevnik" aveva denunciato collusioni tra gli aderenti all'Esercito di Liberazione del Kosovo, i membri del Kosovo Protection Corps (corpo formato dai membri del disciolto U.C.K. kosovaro, che affianca la Kfor per le attività di controllo) e gli estremisti albanesi macedoni.
 
Proprio i soldati della Kfor hanno più volte sostenuto che i guerriglieri albanesi-macedoni oltrepassano il confine per cercare rifugio nei villaggi kosovari, dove vi è un'alta adesione alla causa albanese.
 
Lo scenario diventa ancora più inquietante se poi si considerano le dichiarazioni rilasciate dal comandante dell'E.L.N.A. ad un settimanale italiano: l'obiettivo dei ribelli, infatti, non sarebbe la creazione della grande Albania, piuttosto di un grande Kosovo -composto dal Kosovo, la Serbia meridionale, la Macedonia occidentale e la parte sud-est del Montenegro – un paradiso del narcotraffico nel cuore dell'Europa gestito dalla mafia albanese e kosovara. Anche il Segretario della NATO Robertson si è mostrato preoccupato per i recenti episodi di guerriglia avvenuti lungo la fascia smilitarizzata di sicurezza, fascia che segna il confine virtuale tra Kosovo e Serbia, utilizzata, soprattutto nella zona meridionale nei pressi della frontiera macedone, come base per l'attività di gruppi estremisti, nonché un crocevia per il narcotraffico ed il contrabbando verso l'Albania .  


 4- Dopo aver compiuto alcune considerazioni inerenti gli aspetti nazionali e regionali della crisi macedone, è ora possibile tentare di elaborare alcune valutazioni riguardanti l'attuale contesto internazionale.
 
In primo luogo è necessario rilevare l'atteggiamento tenuto dagli Stati occidentali nella gestione della questione macedone. Le autorità di governo occidentali hanno infatti espresso piena solidarietà al governo macedone e manifestato riprovazione per il ricorso alla forza da parte degli estremisti. Detto atteggiamento contrasta nettamente con il favore che quegli stessi Stati avevano dimostrato per la causa perseguita e i metodi utilizzati dall'Esercito di Liberazione del Kosovo, favore che si era manifestato, in un primo tempo, con i bombardamenti della NATO nella regione iugoslava, l'uccisione di inermi cittadini serbi ed albanesi e la distruzione di infrastrutture civili, ed, in un secondo tempo, nel tollerare la pulizia etnica e le uccisioni di civili serbi kosovari da parte di albanesi, giustificandole come una comprensibile reazione nei confronti del popolo serbo.
 
Ora il Segretario della NATO Robertson ed il responsabile degli esteri della UE Solana (Segretario della NATO ai tempi della guerra in Kosovo) esprimono la loro più profonda preoccupazione per la minaccia all'integrità della Macedonia e considerano pericolose le attività degli estremisti albanesi, istruiti ed addestrati dalla CIA. Hanno forse imparato la lezione del Kosovo? La risposta sembra essere tuttavia negativa.
 
I Balcani rappresentano un’area strategica nello scacchiere geopolitico internazionale, in quanto costituiscono un potenziale ponte di passaggio tra le regioni caucasiche del Turkmenistan e dall'Azerbaijan, produttrici di idrocarburi, ed il mondo occidentale che ha un unico obiettivo: sganciarsi dalla dipendenza petrolifera dei Paesi arabi. Un primo passo in questo senso è stato compiuto con la creazione del cosiddetto corridoio 8, finanziato dal FMI e dall'UE, per la realizzazione di un oleodotto che attraversi la Bulgaria, la Macedonia e l'Albania sino all'Adriatico. Anche gli USA non sono stati a guardare, poiché hanno stipulato un accordo per la costruzione di un altro oleodotto che dall'Azerbaijan giungerà in Turchia, evitando accuratamente Stati non amici, quali l'Iran e la Russia (5).
 
E' evidente, dunque, la necessità che codesti corridoi energetici attraversino Stati politicamente controllati - in maniera più o meno manifesta - dagli USA e dall'Europa occidentale. Solo in quest'ottica risulta chiaro perché l'attenzione della superpotenza statunitense si sia concentrata sui Balcani. La guerra in Kosovo ha permesso di eliminare un avversario scomodo, il nazionalismo serbo, e prevenire l'eventuale nascita di un'amicizia pericolosa tra la Repubblica Federale di Iugoslavia di Milosevic, la Bielorussia e la Russia, amicizia che avrebbe ostacolato la piena realizzazione dei piani economici occidentali. La destabilizzazione della Macedonia rientra nuovamente nel gioco occidentale: il tanto sbandierato appoggio occidentale al governo di Skopje non ha in realtà lasciato alcuna via d'uscita alla Macedonia che, incapace di affrontare da sola il pericolo albanese, si è vista costretta ad accettare l'intermediazione dell'UE, pena l'associazione della piccola repubblica balcanica all'Unione Europea. Diverse fonti diplomatiche europee hanno rivelato che l'UCK avrebbe rinunciato a scontrarsi con le forze di sicurezza macedoni, ritirandosi sulle montagne lungo il confine con Kosovo, grazie alle garanzie offerte da Solana, che avrebbe obbligato il governo macedone a procedere a riforme costituzionali ed amministrative sostanziali a favore degli albanesi, nonché ad introdurre l'albanese come lingua ufficiale .
 
La Macedonia diventa, in tal modo, uno Stato controllato dalle potenze occidentali, in quanto solo con il loro appoggio può tenere a bada lo spettro albanese. Come già accaduto in Kosovo, gestori unici della crisi in Macedonia sono state organizzazioni internazionali diverse dalle Nazioni Unite, più precisamente la NATO e l'UE, mentre il Consiglio di Sicurezza è rimasto alla finestra ad osservare gli sviluppi della situazione. Nell'unica risoluzione adottata (1345 del 21/03/01) il Consiglio di Sicurezza si è limitato ad apprezzare gli sforzi del governo macedone nel consolidare una società multietnica ed ha incoraggiato gli Stati e le organizzazioni internazionali a prestare il loro aiuto per garantire la democrazia nell'area. E' sempre più evidente che all'inizio del nuovo millennio dunque le Nazioni Unite sono alla ricerca di una propria identità, mentre alcuni Stati sembrano voler consolidare il ruolo di altre organizzazioni internazionali regionali, attribuendo ad esse competenze tradizionalmente riservate all'ONU.
 
Lo scenario balcanico è tuttora in movimento. Le recenti elezioni in Montenegro e la vittoria dell'indipendentista Djukanovic, di cui è nota l'amicizia con i signori del narcotraffico, potrebbero portare allo scoppio di nuovi conflitti etnici in tutta la regione.
 
Essenziale sarà anche capire la politica strategica dell'amministrazione Bush, che sembra abbia individuato nella Cina l'avversario più pericoloso, ed il ruolo della Russia di Putin, sempre più orientata a mantenere il controllo nell'area transcaucasica.
 
Con buona pace della Macedonia, che inevitabilmente subirà gli effetti delle scelte di forze più potenti.


) I dati si riferiscono all'ultimo censimento compiuto in Macedonia nel 1994 sotto la supervisione internazionale. Il numero dei cittadini macedoni di etnia albanese è aumentato a causa dei matrimoni misti, ma si ritiene non superi il 30 %. I leaders dell'U.C.K. macedone sostengono, invece, che la minoranza etnica albanese sfiori il 40% della popolazione. Oltre agli slavi ed agli albanesi, nella Repubblica di Macedonia vivono altri 25 gruppi etnici, tra cui i turchi (4%), i Rom (2,3%) e i serbi (2%). I dati sono tratti dal sito web http://www.rainews24.rai.it/sito/agg_pagine/speciali/macedonia/scenario.htm.

(2) Si veda in questo senso l'articolo pubblicato sul Financial Times il 20 luglio 1999, in cui il Ministro dell'Emigrazione così si esprimeva: "We are not asking for mercy, just for help. And if help doesn't come we'll have a domino effect: economic crisis followed by social crisis followed by ethnic crisis".
Dei 252 milioni di dollari promessi, la Macedonia ha ricevuto solo 6 milioni dagli U.S.A. e 12,1 milioni dall'U.E.

Si veda l'articolo pubblicato su Panorama del 12 aprile 2001.

Si veda in questo senso Zolo “Chi dice umanità”, Einaudi.

Così stabilisce l’art. 48 della Costituzione macedone:
“(1) Members of nationalities have a right freely to express, foster and develop their identity and national attributes.
(2) The Republic guarantees the protection of the ethnic, cultural, linguistic and religious identity of the nationalities.
(3) Members of the nationalities have the right to establish institutions for culture and art, as well as scholarly and other associations for the expression, fostering and development of their identity.
(4) Members of the nationalities have the right to instruction in their language in primary and secondary education, as determined by law. In schools where education is carried out in the language of a nationality, the Macedonian language is also studied”.

 

Fonte: http://www.tesionline.it/tesiteca_docs/3112/macedonia.doc

Sito web da visitare: http://www.tesionline.it

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